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a.a. 2011-2012 Corso di Storia moderna Modulo 2 Re e regalità nell’età moderna

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a.a. 2011-2012

Corso di Storia moderna

Modulo 2

Re e regalità

nell’età moderna

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Il re fra religione e ragione XVI-XVII secolo

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Riforma protestante

e visione della regalità prima metà XVI secolo

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Martin Lutero

*

ritratto di Lucas

Cranach, 1529

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La Riforma: sacerdozio universale e comunità evangelica

M. Lutero, La cattività avignonese della Chiesa, 1520

Sul sacramento dell’ORDINE.

«La Chiesa di Dio ignora questo sacramento inventato dalla Chiesa del papa: infatti non solo non contiene alcuna promessa di grazia, ma tutto il Nuovo Testamento non ne fa cenno neppure con una parola … Evidentemente ci si è proposti di seminare la discordia tra sacerdoti e i laici, più divisi che cielo e terra, per offendere la grazia del battesimo ed introdurre il disordine nella comunità evangelica. Di qui è cominciata la detestabile tirannide degli ecclesiastici sui laici ... Così è andata in rovina la fraternità cristiana: così da pastori sono diventati lupi, da ministri tiranni, da uomini di chiesa potenza mondana.

«Se fossero costretti ad ammettere che noi, avendo ricevuto il battesimo, siamo tutti sacerdoti, come è in realtà, e che ad essi è stato affidato un ministero col nostro consenso, dovrebbero riconoscere che non hanno su di noi alcun potere se non quello che noi spontaneamente riconosciamo loro … Siamo dunque tutti sacerdoti, e siamo cristiani. Quelli che noi chiamiamo sacerdoti sono ministri eletti da noi, per agire a nostro nome, e il sacerdozio non è altro che un ministero …».

[da G. Dall’Olio, Storia moderna, Roma, Carocci, 2004]

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Riforma e cultura politica

NB

Lutero negherà che la sua dottrina abbia

implicazioni politiche, in occasione della guerra

dei contadini [Contro le bande brigantesche e

assassine dei contadini, 1525].

Tuttavia i fondamenti teologici e ecclesiologici

della Riforma ebbero grande rilievo

nell’elaborazione di una nuova cultura politica.

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Giovanni Calvino 1509-1564

Noyon (Francia) – Ginevra

ritratto di Tiziano Vecellio

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Riforma e limiti dell’obbligazione politica

Calvino, Catechismo, 1537

«Il Signore non solo ha attestato che la magistratura aveva la sua approvazione e gli era grata, ma ce l’ha pure grandemente raccomandata, avendo onorato tale dignità con titoli molto onorevoli. Infatti, egli afferma [Proverbi 8, 15-16] che è opera della sua sapienza il fatto che i re regnino, che i consiglieri ordinino cose giuste e che i grandi della terra siano giudici ... Perciò i principi e i magistrati devono pensare a chi servono nel loro ufficio e a non far nulla d’indegno di ministri e luogotenenti di Dio … D’altro lato, il dovere reciproco dei sudditi è non solo d’onorare e riverire i loro superiori, ma di raccomandare al Signore in preghiera la loro salvezza e prosperità. Essi devono sottomettersi volentieri al loro dominio, ubbidire ai loro editti e alle costituzioni e non devono rifiutare i gravami che vengono loro imposti, siano tasse, pedaggi, tributi e altre contribuzioni … Bisogna anche sopportare quelli che abusano tirannicamente del loro potere, finché per ordine legittimo non siamo liberati dal loro giogo.

Ma dall’obbedienza ai superiori bisogna sempre escludere una cosa: che ci distolga dall’obbedienza a Colui, agli editti del quale devono cedere i comandi di tutti i re … Se comandano qualcosa contro a Lui, non si deve fare nulla, né tener conto di tal ordine, ma si dia luogo piuttosto alla sentenza, che è meglio obbedire a Dio che agli uomini [Atti degli Apostoli 4, 19]».

[da G. Dall’Olio, Storia moderna, Roma, Carocci, 2004, p. 176-177]

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Francia.

Monarchia e guerre di religione

Enrico IV seconda metà secolo XVI

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Caterina de’ Medici

ritratto di François Clouet

1555 circa

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Francesco II

(1544-1559-1560) re di

Francia

con la moglie Maria

Stuart, regina di Scozia

miniatura dal libro di preghiere

della regina madre Caterina

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La crisi della monarchia francese a metà ‘500 / 1

Fonte diplomatica inglese risalente al 1559, anno della

successione di Francesco II a Enrico II:

«I Guisa si comportano da re»

[Benedetta Craveri, Amanti e regine. Il potere delle donne, Milano, Adelphi,

2008, p. 38-39]

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Caterina de’ Medici con i figli

Carlo (re di Francia),

Margherita, Enrico, Francesco

Ercole

1561 circa

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La crisi della monarchia francese a metà ‘500 / 1

Enrico IV:

« Ma vi prego, cosa avrebbe potuto fare una povera donna

che la morte del marito aveva lasciato con quattro figli

piccoli, mentre due famiglie, la nostra [Borbone] e quella

dei Guisa, volevano appropriarsi della corona? Non era

forse necessario che ella rappresentasse strane parti per

ingannare gli uni e gli altri, proteggendo i suoi figli, che

hanno regnato successivamente grazie alla saggezza di

una donna tanto accorta? Io mi stupisco che non abbia

fatto di peggio. »

[Jean Orieux, Caterina de' Medici. Un'italiana sul trono di Francia, Milano,

Arnoldo Mondadori Editore 1988, p. 705]

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Enrico III

a un ballo

di corte,

con croce

al cordone

blu

dell’Ordine

dello

Spirito

Santo da

lui fondato

nel 1578

dipinto

anonimo

1581

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Nota sugli Ordini cavallereschi e sulla loro capacità di

creare connessioni

1585

Enrico III fu investito dell’Ordine della Giarrettiera dalla regina

Elisabetta, per sigillare l’avvicinamento delle due monarchie

per affrontare Filippo II, nemico comune. Fu mandata

appositamente un’ambasceria di cavalieri a Parigi.

I cavalieri dell’Ordine dalla Giarrettiera sfilarono per le strade

insieme ai cavalieri dell’Ordine enriciano di Santo Spirito.

La cerimonia dell’investitura fu solenne e vide presenziare la

corte (cattolica) di Francia [non i Guisa però].

[Frances Yates, Astrea, p. 228 ss.]

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Il massacro della notte di san Bartolomeo (23-24/8/1572) dipinto di François Dubois

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Francia.

I monarcomachi seconda metà secolo XVI

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Popolo, re, Dio: i testi monarcomachi

Contesto delle guerre di religione

Autori e testi monarcomachi (“in guerra con il re”) francesi

del secondo Cinquecento:

François Hotman, Francogallia (1573)

Theodore de Béze, Du droit de magitrats sur leurs sujects

(1574)

Stephanus Junius Brutus [Philippe Du-Plessis de Mornay /

Hubert Languet], Vindicae contra tyrannos (1579)

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Stephanus Junius Brutus

Vindiciae contra tyrannos. Il potere legittimo del principe sul

popolo e del popolo sul principe (1579)

Quattro questioni discusse nel trattato:

1. Se i sudditi siano obbligati a obbedire al loro principe, qualora questi ordini cose contrarie alla legge di Dio;

2. Se sia lecito resistere a un principe che violi la Legge di Dio, o che danneggi la Chiesa; da chi, come e in che misura ciò sia lecito;

3. Se sia lecito resistere a un principe che opprima o rovini lo Stato, e sino a dove tale resistenza possa spingersi; da chi, come e in base a quale diritto o legge ciò sia permesso;

4. Se i principi o gli Stati vicini possano, o debbano, soccorrere i sudditi di tali principi, afflitti per cause inerenti alla vera religione o oppressi dalla tirannide.

Philippe Du-Plessis de Mornay

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Stephanus Junius Brutus

Vindiciae contra tyrannos (1579)

QUESTIONE PRIMA

«Oggi re e principi cristiani alla loro incoronazione sono chiamati servitori di Dio, destinati a governare il Suo popolo. Poiché i re sono solo luogotenenti di Dio, posti sul trono di Dio dal Signore di Dio infinito, e il popolo è popolo di Dio, e poiché l’onore che si fa ai luogotenenti non procede che dalla riverenza che si porta a coloro che li hanno inviati, non è difficile dedurne che bisogna obbedire ai re a causa di Dio, non contro Dio, e quand’essi servano e obbediscano a Dio, non altrimenti»

Edizione a cura di Saffo Testoni Binetti, Torino, La Rosa, 1994 (p. 17)

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Stephanus Junius Brutus

Vindiciae contra tyrannos (1579)

Chi stabilisce che il re ha agito contro Dio?

La dottrina riformata ha annullato la MEDIAZIONE con Dio da parte della gerarchia, sia quella ecclesiastica, sia quella secolare. Il re non è più riconosciuto interprete della volontà di Dio.

Per inferenza dal testo si ricava che il giudizio spetta al popolo sulla base della Scrittura.

Anche il popolo è vincolato da un PATTO con Dio:

«Ora, noi leggiamo di due tipi di patto nell’investitura dei re: il primo tra Dio, il re e il popolo, affinché il popolo fosse popolo di Dio; il secondo tra il re e il popolo, affinché il popolo obbedisse fedelmente al re che avesse comandato con giustizia … Il re si impegnò, e così fece il popolo, non separatamente, bensì insieme, come le parole attestano, all’istante » (ivi, p. 19 e ss.).

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Stephanus Junius Brutus

Vindiciae contra tyrannos (1579)

O IL RE O DIO

«Con queste premesse si potrà facilmente risolvere la nostra questione.

Infatti, se Dio tiene il luogo di signore sovrano e il re di vassallo, chi osa negare che bisogna obbedire al sovrano piuttosto che al vassallo? Se Dio comanda una cosa e il re ne comanda una contraria, chi sarà tanto orgoglioso da chiamare ribelle colui che rifiuta di obbedire al re in contraddizione con Dio?....» (28)

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Stephanus Junius Brutus, Vindiciae contra tyrannos (1579)

QUESTIONE SECONDA

Che cosa si intende con la parola «popolo»?

«Sì che a questo punto mi si farà un’obiezione: sarà proprio necessario che l’intera popolazione, questa bestia da un milione di teste, si ammutini e dia luogo a disordini per dare ordine alla situazione suddetta? Che direzione c’è in una moltitudine senza briglie? Quale disegno e quale discernimento per prendere provvedimenti? Quando parliamo del popolo nel suo complesso, intendiamo con questa parola coloro che hanno l’autorità dal popolo, ovvero i magistrati che sono inferiori al re e che il popolo ha delegato, o in qualche modo istituito, come consociati nel potere e controllori del re, e che rappresentano tutto il corpo del popolo. Intendiamo anche gli stati, che non sono altro che l’epitome o una breve sintesi del regno, cui tutti gli affari pubblici si rapportano…

Gli ufficiali sopra nominati sono singolarmente inferiori al re, ma, considerati tutti insieme come corpo, gli sono superiori. Infatti, in accordo con quanto i concili di Basilea [1431] e di Costanza [1414] hanno determinato (e ben determinato), cioè che il concilio universale fosse superiore al vescovo di Roma, il capitolo è superiore al vescovo, l’università è superiore al rettore, la corte è superiore al presidente; in breve colui a cui tutta una compagnia dà autorità è sempre inferiore alla compagnia, ancorché sia superiore a ciascuno dei suoi membri…

E poiché ciò che è fatto pubblicamente dalla maggior parte è attribuito a tutti, si dirà che tutti hanno fatto ciò che LA MIGLIOR PARTE dei primi ha fatto, o, in breve, che tutto il popolo vi ha messo mano» (51)

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Stephanus Junius Brutus

Vindiciae contra tyrannos (1579)

I privati

«Qui non parliamo dei PRIVATI E DEI SINGOLI CONSIDERATI UNO PER UNO e che non sono stimati parti del corpo intero, così come le assi, i chiodi, i cavicchi non sono parti di una barca, né le pietre, le capriate, il pietrisco sono parti di una casa; parliamo invece di città o province, che costituiscono una porzione del regno, così come la prua, la poppa, la carena e altre parti del genere sono la barca, e le fondamenta, il tetto, le pareti sono la casa. Parliamo quindi dei MAGISTRATI che governano queste città o province» (51)

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Stephanus Junius Brutus

Vindiciae contra tyrannos (1579)

QUESTIONE TERZA

Se sia lecito resistere a un principe che opprima o

rovini lo Stato, e sino a dove tale resistenza

possa spingersi; da chi, come e in base a quale

diritto o legge ciò sia permesso.

Risposta: è lecito ai magistrati, che sono i custodi

del patto fra re e popolo e del popolo con Dio.

Viene così ammesso e argomentato il DIRITTO

DI RESISTENZA

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Stephanus Junius Brutus

Vindiciae contra tyrannos (1579)

La RESISTENZA può essere:

- passiva (disapplicazione individuale delle leggi

del sovrano)

- attiva in vari gradi contro l’esecuzione delle

politiche del sovrano o volta a ostacolare

l’esercizio della legislazione da parte di questi

- essa può spingersi, secondo alcuni autori, fino

all’eliminazione fisica del sovrano, dopo

processo

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Regicidio e ‘abdicazione’ in Inghilterra metà – fine secolo XVII

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I due corpi del re Carlo I

Documento

DICHIARAZIONE DEI LORDS E DEI COMUNI, 27 maggio 1642:

«E’ riconosciuto [secondo la dottrina del Parlamento] che il Re è protettore e la fontana della giustizia, ma gli atti di giustizia e di protezione non dipendono dal suo arbitrio né sono compiuti dalla sua persona, ma lo sono ad opera delle sue corti e dei suoi ministri che debbono fare il loro dovere, anche se il re con la propria persona proibisse loro di farlo: e pertanto, se un giudizio deve essere da essi dato contro il volere e il personale comando del re, si tratta ciononostante di un giudizio del Re. L’alta corte del Parlamento non è solo una corte giudiziaria […], ma è come un concilio […], che deve garantire la pace pubblica e la sicurezza del regno e dichiarare la volontà del Re in tutte le questioni che vengono sottoposte, e ciò che essa compie in questa qualità ha il carattere dell’Autorità reale, anche se Sua Maestà con la sua persona lo ostacoli o lo impedisca». (Kantorowicz, p. 19).

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La Camera dei Comuni contro Carlo I Stuart

Presidente: Voi siete sempre vantato e l’avete testimoniato dappertutto con i

vostri discorsi, di non essere in alcun modo soggetto alle leggi e ch’esse non

erano affatto sopra di voi. La Corte fa benissimo a stimare […[ che le leggi

sono sopra di voi e che avreste dovuto governare conformemente alle leggi

[…]

Ora, siccome eravate stato insediato per essere il grande amministratore della

giustizia […] se la vostra grande carica vi è stata commessa e affidata per

rendere giustizia, e preservare e proteggere il popolo da ogni torto e ingiuria,

e invece di farlo ve ne siete voi stesso mostrato il più grande oppressore, se

invece d’essere il grande conservatore dlela pace ne siete stato il più grande

nemico, certamente tutto questo è contrario ai fini del vostro ufficio e alla

fede e fiducia che i vostri sudditi hanno riposto in voi […]

L’affare, signore, al quale siamo ora intenti per ordine della Corte sovrana [il

Parlamento] è stato ed è ancora presentemente d’esaminarvi e giudicarvi

per tali gravi offese che avete commesso. Siete stato imputato, signore,

d’essere un tiranno, un traditore, un assassino e il nemico pubblico dello

Stato d’Inghilterra […].

Quando il popolo chiama un re in giudizio, questi diventa minore e colui al

quale deve rendere conto è più grande di lui […]

In G. Dall’Olio, Storia moderna, Carocci, Roma 2004, p. 220

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Una tradizione inglese delle Vindicae datata

Londra 1689

Le dottrine monarcomache francesi della seconda metà del

Cinquecento fanno da riferimento agli inglesi durante la

Rivoluzione, fino alla “gloriosa” del 1688-89,

giustificando idealmente sia il regicidio, sia la

‘sostituzione’ del re cattolico con successore gradito al

Parlamento.

Notare la circolazione delle idee che si verifica in questo

periodo

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Giacomo II Stuart

ritratto di Sir Godfrey Kneller, 1684

Guglielmo d’Orange

ritratto di autore incerto

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Francia.

I politiques seconda metà XVI secolo

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La linea politique [cattolica, ma non

confessionale]

Caterina de’ Medici

(Erasmo da Rotterdam)

Michel de l’Hospital

Jean Bodin

Michel de Montaigne

Enrico IV

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Jean Bodin Angers 1530 – Laon 1596

autore dei

Sei libri dello Stato

(Parigi 1576)

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Jean Bodin, Les six livres de la république, Parigi 1576

(I sei libri dello Stato)

“Per SOVRANITA’ s’intende quel potere assoluto e perpetuo ch’è proprio dello Stato […]

Chi è sovrano […] non deve essere in alcun modo soggetto al comando altrui, e deve poter dare la legge ai sudditi, e scancellare le parole inutili in essa per sostituirne altre, cosa che non può fare chi è soggetto alle leggi o a persone che esercitino potere su di lui. Per questo la legge dice che il principe non soggetto all’autorità delle leggi […]

Se dunque il principe sovrano è per legge esente dalle leggi dei predecessori, ancor meno sarà egli obbligato a osservare le leggi e le ordinanze fatte da lui stesso […]

E’ ormai chiaro che il punto più alto della maestà sovrana sta nel dar legge ai sudditi in generale e in particolare, senza bisogno del loro consenso. A parte ciò che avviene in altri regni, qui nel nostro abbiamo spesso visto certe consuetudini generali abolite dagli editti del re, senza consultare gli stati in proposito, quando l’ingiustizia di esse era palese […]

Sotto questo potere di dare e annullare le leggi sono compresi tutti gli altri diritti e prerogative sovrane: cosicché potremmo dire che è questa la ola vera e propria prerogativa sovrana, che comprende in sé tutte le altre”.

[tratto da G. Dall’Olio, Storia moderna, Carocci]

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Jean Bodin, Les six livres de la république

“Quanto però alle LEGGI NATURALI E DIVINE, tutti i principi della terra vi sono soggetti, né è in loro potere trasgredirle, se non vogliono rendersi colpevoli di lesa maestà divina, mettendosi in guerra contro quel Dio alla cui maestà tutti i principi della terra devono sottostare chinando a testa con assoluto timore e piena reverenza […]

Il principe non può derogare a quelle leggi che riguardano la struttura stessa del Regno e il suo assetto fondamentale, in quanto esse sono connesse alla Corona e a questa inscindibilmente unite (tale è per esempio la legge salica)”.

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Jean Bodin, Les six livres de la république, Parigi 1576

“Per tutte quelle consuetudini generali e particolari che non riguardano la struttura fondamentale del Regno, non si ha abitudine di far cambiamenti se non dopo avere debitamente convocato gli STATI GENERALI di Francia, oppure gli Stati del singolo baliaggio; ma ciò non vuol dire che sia necessario seguire il loro potere o che il re non possa fare il contrario di ciò che gli si chiederà, se l’assista la RAGIONE NATURALE e la GIUSTIZIA DEI PROPOSITI. Proprio questo fa risaltare la grandezza e la maestà di un principe sovrano, che gli Stati di tutto il popolo si riuniscano e gli presentino richieste e suppliche in tutta umiltà, senza avere alcun potere di dare ordini, fare decreti, né alcuna facoltà deliberativa; sì che ciò che al principe piace consentire o negare, comandare o proibire, passa in vigore di legge, di editto, di ordinanza”.

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Enrico IV ritratto di Frans Pourbus

1610

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Il preambolo dell’editto di Nantes, 1598 / 1

“Enrico, per grazia di Dio re di Francia e di Navarra, a tutti coloro

che ora vivono, e a coloro che verranno, salute. Tra le infinite

grazie che è piaciuto a Dio elargirci, la più insigne e notevole

è quella di averci dato la virtù e la forza di non credere alle

spaventose tempeste, confusioni e disordini che

imperversavano nel momento del nostro avvento in questo

regno, il quale era diviso in così tanti partiti e fazioni, che la

parte più legittima era quasi la meno numerosa; nondimeno,

abbiamo fermamente resistito in questa tormenta, tanto che

alla fine l’abbiamo dominata e ora abbiamo finalmente

raggiunto un porto di salvezza e di riposo per questo Stato.” [in G. Dall’Olio, Storia moderna, Carocci, p. 133 ]

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Il preambolo dell’editto di Nantes, 1598 / 2

“Se a Dio piacerà, Egli ci farà gioire di un riposo migliore; ma

intanto, abbiamo pensato che l’uso migliore di questo

intervallo di tempo sia quello di occuparci di ciò che concerne

la gloria del Suo santo nome e del servizio a Lui dovuto, cioè

di provvedere che Egli possa essere adorato e pregato da tutti

i nostri sudditi; e, se a Lui non è ancora piaciuto permettere

che vi sia una sola forma di religione [abbiamo pensato di

provvedere a] che vi sia almeno una stessa intenzione, e così

regolata, che a causa della religione non vi sia più disordine e

tumulto fra i sudditi, e che noi e questo regno possiamo

sempre meritare e conservare il titolo glorioso di

‘Cristianissimo’, che è stato acquisito e mantenuto per tanto

tempo a causa di molti meriti […].” [in G. Dall’Olio, Storia moderna, Carocci, p. 134]

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Il preambolo dell’editto di Nantes, 1598 / 3

“Perciò, avendo riconosciuto questa materia come

importantissima e degna di molto attenta considerazione,

dopo aver considerato i documenti di rimostranze dei nostri

sudditi cattolici, e aver anche permesso ai sudditi della

religione cosiddetta riformata di riunirsi in assemblea di

deputati per compilare i loro e mettere insieme tutte le loro

rimostranze […], noi abbiamo giudicato necessario di dare in

questo momento […] a tutti i nostri sudditi una legge generale,

chiara, semplice e assoluta, attraverso la quale si possano

regolare riguardo a tutte le differenze che sono insorte tra loro

in passato a questo riguardo, e che potranno ancora sorgere

in futuro.” [in G. Dall’Olio, Storia moderna, Carocci, p. ]

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Inghilterra.

Il re-Leviatano di Hobbes metà XVII secolo

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Thomas Hobbes

1588-1689

(dipinto di John Michael

Wright, XVII secolo,

National Portrait Gallery)

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Thomas Hobbes, Leviathan (1651)

OBIEZIONE ALLA TEORIA MONARCOMACA DEL DOPPIO PATTO

«E siccome alcuni, a giustificazione della loro disobbedienza al sovrano, accampano un nuovo patto fatto non con gli uomini, ma con Dio [va detto che] anche questo è ingiusto; poiché non c’è alcun patto con Dio se non per la mediazione di qualcuno che rappresenti la Persona di Dio, cosa che non fa nessuno all’infuori del luogotenente di Dio, che al di sotto di Dio detiene la sovranità».

Brano da P.P. Portinaro (a cura di), Stato, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 24

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Thomas Hobbes, Leviathan (1651)

Cap. XIII – Della condizione natura e dell’umanità per quanto concerne la sua felicità e la sua miseria

«La natura ha fatto gli uomini così uguali nelle facoltà del corpo e della mente che, sebbene si trovi talvolta un uomo manifestamente più forte fisicamente o di mente più pronta di un altro, pure, quando si calcola tutto insieme, la differenza tra uomini e uomo non è così considerevole, che un uomo possa di conseguenza reclamare per sé qualche beneficio che un altro non possa pretendere, tanto quanto lui».

Trad. it. G. Micheli, Firenze, La Nuova Italia, 1987, p. 117

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Thomas Hobbes, Leviathan (1651)

Cap. XIV – Della prima e seconda legge naturale e dei contratti

«Il DIRITTO DI NATURA, che gli scrittori comunemente chiamano jus naturale, è la libertà che OGNI UOMO ha di usare il suo potere, come egli vuole, per la preservazione della propria natura, vale a dire della propria vita, e per conseguenza, di fare qualunque cosa nel suo giudizio e nella sua ragione egli concepirà essere il mezzo più atto a ciò».

Trad. it. G. Micheli, Firenze, La Nuova Italia, 1987, p. 117

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Thomas Hobbes, Leviathan (1651)

La teoria politica di Hobbes:

a) e’ razionale (procedimento deduttivo)

b) parte dall’INDIVIDUO libero e onnipotente dello stato di natura

c) passa per un PATTO stipulato non dalla comunità con Dio, né dalla comunità con il principe, ma dagli individui dello stato di natura fra loro, volontariamente e liberamente

d) il patto impegna ogni individuo contraente a rinunciare completamente alla propria libertà e al proprio potere in favore di un SOGGETTO TERZO

e) questo soggetto diventa SOVRANO in forza di questo patto, al quale egli è estraneo e dal quale non è obbligato

f) il SOVRANO può essere una persona collettiva (→ repubblica) o una persona fisica (→ monarchia)

g) il sovrano ha POTERE ASSOLUTO, irrevocabile e perpetuo

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L’origine della società

politica

John Locke, Secondo

trattato sul governo, 1690

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L’origine della società politica

John Locke, Secondo trattato sul governo, 1690

Il corpo politico

“Poiché gli uomini sono tutti per natura liberi, eguali e indipendenti, nessuno può esser tolto da questa condizione e assoggettato al potere politico di un altro senza il suo consenso. L’unico modo con cui uno si spoglia della sua libertà naturale e s’investe dei vincoli della società civile consiste nell’accordarsi con altri uomini per congiungersi e riunirsi in una comunità, per vivere gli uni con gli altri con comodità, sicurezza e pace, nel sicuro possesso delle proprie proprietà, e con una garanzia maggiore contro chi non vi appartenga. Ciò può esser fatto da un gruppo di uomini, in quanto non viola la libertà degli altri, i quali rimangono, com’erano, nella libertà dello stato di natura. Quando un gruppo di uomini ha così consentito a costituire un’unica comunità o governo, essi sono con ciò senz’altro incorporati e costituiscono un unico corpo politico, in cui la maggioranza ha diritto di deliberare e decidere per il resto”.

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L’origine della società politica

John Locke, Secondo trattato sul governo, 1690

La maggioranza

“Infatti, quando un gruppo di uomini ha, col consenso di ciascun individuo, costituito una comunità, essi hanno con ciò fatto di questa comunità un solo corpo, col potere di deliberare come un solo corpo, il che è soltanto per volontà e decisione della maggioranza. Infatti, poiché ciò che una comunità delibera non è che il consenso degli individui che la compongono, e poiché a ciò ch’è un solo corpo è necessario muovere in un solo modo, è necessario che il corpo muova nel senso in cui lo porta la forza maggiore, che è il consenso della maggioranza; altrimenti è impossibile che esso deliberi o continui a essere un solo corpo, una sola comunità, che il consenso di tutti gl’individui riuniti in essa aveva convenuto che deliberasse e fosse tale, e quindi ognuno è tenuto, in base a quel consenso, ad attenersi alle decisioni della maggioranza […] In assemblee, investite da leggi positive del potere di deliberare, quando [...] non è stato stabilito il numero, la deliberazione della maggioranza è considerata come deliberazione della totalità […] Altrimenti questo contratto originario , con cui si è incorporato con altri in una sola società non avrebbe senso, e non sarebbe contratto, se egli rimanesse libero e sotto nessun altro vincolo che quelli che aveva prima nello stato di natura”.

Trad. it a cura di L. Pareyson, Torino, UTET, 1960

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Locke

Il GOVERNO per Locke si fonda sul contratto degli individui dello

stato di natura che si costituiscono in comunità politica

Il governo è RAPPRESENTATIVO

Esso è costituito da due organi:

a) un corpo rappresentativo che delibera

b) un collegio o una persona fisica (= re) che esercita il potere

esecutivo

Entrambi i poteri, deliberativo e esecutivo, sono REVOCABILI

qualora siano utilizzati contro la comunità politica e gli

individui che la costituiscono.

LOCKE TEORIZZA UNA MONARCHIA COSTITUZIONALE,

CONTRATTUALE E TEMPERATA

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Incoronazione di

Guglielmo e Maria

1689

[incisione olandese coeva,

in C. Capra, Storia moderna,

Le Monnier, 1994]