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RISTRUTTURAZIONE BANCARIA, CRESCITA E INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE PMI MERIDIONALI di Giovanni Ferri e Ugo Inzerillo Novembre 2002 CSC Working Paper n. 30

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RISTRUTTURAZIONE BANCARIA, CRESCITA E INTERNAZIONALIZZAZIONE

DELLE PMI MERIDIONALI

di

Giovanni Ferri e Ugo Inzerillo

Novembre 2002 CSC Working Paper n. 30

RISTRUTTURAZIONE BANCARIA, CRESCITA E INTERNAZIONALIZZAZIONE

DELLE PMI MERIDIONALI Indagine su un

campione di imprese manifatturiere

Giovanni Ferri Ugo Inzerillo Facoltà di Economia Centro Studi Confindustria Università di Bari Viale dell’Astronomia, 30 Via C. Rosalba, 53 00144 Roma 70124 Bari Tel. 06 5903356 Tel. 080 5049334 Fax 06 5918348 E-Mail: [email protected] E-Mail: [email protected]

Abstract In the 1990s, Southern Italy’s economy first went through a severe crisis and then a phase of productive recovery, which was helped in part by a rise in exports. At the same time, Southern Italy’s economy underwent a profound restructuring of the banking system, which involved a transfer of ownership of a large number of local banks to leading Italian credit groups, thereby fueling the growing fears of a significant percentage of local business professionals.

This study uses a questionnaire given to a representative sampling of Southern small and medium-sized manufacturers to examine the effects of the aforementioned bank restructuring on firms’ growth, with particular reference to the availability of finance and to their internationalization. Whereas on one hand, the restructuring may have improved the banks’ efficiency and expanded the supply of innovative financial instruments available to businesses, on the other, by weakening the strong network of existing relations, it may also have intensified the constraints on businesses in terms of traditional forms of credit. Our research shows that the banking system restructuring did not significantly change bank/firm relations; in the immediate aftermath, it seems to have increased credit rationing, due in part to the interruption in bank/firm relations following the restructuring. Nor was there a more widespread use of innovative financial instruments, such as venture capital, which are a fundamental step in accelerating firms development and growth; what seems to have weighed heavily here was businessmen’s resistance to separating ownership from management. Though exports still remain at lower levels than the rest of the country, their rise is significant: of all the small and medium-sized firms surveyed, one out of two exports, while one out of four gets more than 20% of total revenues from foreign sales. The use of active internationalization instruments (direct

foreign investment and cooperation agreements) remains minor, even though, based on our evidence, they are able to strengthen firms’ ability to penetrate foreign markets. Even more modest is the support firms receive here from banks and other institutions.

The restructuring of the Southern Italy banking system, then, seems at this point to have produced few of the expected benefits for small and medium-sized firms in terms of innovative financing and internationalization support. Despite this, however, an overall assessment must recognize that the changes carried out in the banking sector were inevitable, helped to diversify risks and to increase operating efficiency in banks operating in Southern Italy, bringing permanent benefits in the medium- and long-term to southern Italian firms and society. Keywords: banking consolidation, firms internationalization, small business lending JEL Classification: F20, G21,O16 La ricerca è frutto di una collaborazione tra l’Area Centro Studi e l’Area Mezzogiorno di Confindustria; una prima versione è apparsa in Studi e Documenti, n. 42, Marzo 2002, dell’Area Mezzogiorno di Confindustria. Pur assumendosi l’esclusiva responsabilità di ogni residuo errore, gli autori desiderano ringraziare l’Abacus, per la scrupolosa realizzazione delle interviste, gli imprenditori presenti alla presentazione dei risultati preliminari presso l’Associazione degli industriali della Provincia di Bari, per gli utili suggerimenti, Cosimo Damiano Mennuni e Giuliana Timpani per il valido supporto nella ricerca.

Indice

1. Introduzione............................................................................................ 5

2. Ristrutturazione bancaria nel Mezzogiorno e vincoli finanziari

per le Pmi ............................................................................................ 14

3. Internazionalizzazione delle Pmi meridionali e vincoli finanziari........... 22

3.1 Sviluppo dell’export nel Mezzogiorno: qualche breve

considerazione ................................................................................ 22

3.2 Evidenze descrittive dal questionario.............................................. 24

3.3 Evidenze econometriche ................................................................. 33

4. Conclusioni........................................................................................... 42

Figure ....................................................................................................... 47

Tabelle...................................................................................................... 50

Appendice 1 - Aspetti metodologici dell’indagine e tabelle ....................... 52

Appendice 2 - Analisi empirica ................................................................. 62

Bibliografia............................................................................................... 65

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1. Introduzione

Il persistere di un ampio divario tra il grado di sviluppo del Centro-Nord e quello del Mezzogiorno è un fattore di costante preoccupazione per i policy maker italiani. Il divario del Mezzogiorno è tornato ad ampliarsi nella prima metà degli anni Novanta, quando le esigenze di riequilibrio dei conti pubblici hanno determinato una marcata riduzione dei trasferimenti nell’area. Da alcuni anni, tuttavia, nel Mezzogiorno si assiste a una nuova fase di crescita che meno che in passato beneficia di politiche specifiche di sostegno allo sviluppo da parte del governo e si basa invece in misura crescente anche sulle energie imprenditoriali autoctone. L’evoluzione positiva si sostanzia negli anni recenti nella dinamica più favorevole di alcune variabili fondamentali: tra il 1996 e il 2001 la crescita del Pil è stata pari al 2,0% nel Mezzogiorno, contro l’1,8% del Centro-Nord (Fig. 1); nello stesso periodo l’aumento delle esportazioni è stato, rispettivamente, del 9,4% e del 5,0% e anche il tasso di formazione di nuove imprese è risultato superiore nel Mezzogiorno (Isae, 2002). Sebbene il divario tra le due aree rimanga ancora ampio, i dati appena evidenziati lasciano anche intravedere qualche segnale di riduzione; non a caso nel 2000 il Pil pro-capite del Mezzogiorno in rapporto a quello del Centro-Nord è risalito al 56,5%, dopo la caduta registrata nella prima metà degli anni novanta, quando era sceso dal 58,4% del 1990 al 55,7% del 1995 (Svimez, 2001).

Ma la ripresa del Mezzogiorno, dove assai più che nel resto del Paese prevalgono le imprese di piccola e media dimensione (Pmi), si basa su fondamenta solide o ha i piedi d’argilla? Questa ricerca riflette sul complesso tema dello sviluppo dell’economia del Mezzogiorno, soffermandosi proprio su due aspetti tra i più rilevanti per la crescita dimensionale delle imprese meridionali, in larga parte : (i) la disponibilità

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di strumenti finanziari per le imprese, in primis i rapporti con il sistema bancario e le modalità di finanziamento degli investimenti; (ii) il grado di internazionalizzazione del sistema imprenditoriale locale. Negli ultimi anni la letteratura economica ha in effetti evidenziato che la finanza può costituire un fattore centrale anche per la capacità di crescita aggregata dell’economia; certamente per le regioni del Sud Italia, dove stenta ad affermarsi – più che nel resto del Paese – una piena articolazione degli investitori istituzionali, questo fattore acquista una rilevanza particolare. Se infatti nel confronto internazionale la borsa italiana svolge un ruolo marginale a sostegno delle imprese (alla fine del 2001 le imprese quotate erano 3,3 volte meno rispetto a paesi simili al nostro, come Francia e Spagna), questo ruolo è praticamente nullo al Sud: sempre alla fine del 2001 su 103 imprese industriali italiane quotate al mercato principale di borsa, quelle meridionali erano 3. Dall’altro lato, il potenziamento della capacità esportativa delle imprese costituisce senza dubbio una variabile centrale per lo sviluppo del Mezzogiorno.

Si è, inoltre, cercato di indagare, sempre con riferimento ai due aspetti menzionati, gli effetti per le imprese meridionali del vasto processo di ristrutturazione del sistema bancario italiano intervenuto negli anni novanta e caratterizzato dalla cessione, da parte dello Stato, delle quote proprietarie detenute nelle banche1; per il Sud del Paese, questo processo ha significato infatti il passaggio della proprietà di gran parte del sistema bancario locale, che presentava mediamente un forte divario di efficienza rispetto al resto del sistema, verso i maggiori gruppi creditizi nazionali. In particolare, si è cercato di valutare se l’arrivo delle grandi banche nazionali abbia amplificato i vincoli finanziari per le PMI del Mezzogiorno (ove questi assumono mediamente una rilevanza maggiore rispetto al resto del Paese), se vi siano stati dei vantaggi in termini di

1 Si veda al riguardo Inzerillo e Messori (2000).

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ricorso al capitale di rischio e alla finanza innovativa o di maggior sostegno all’internazionalizzazione del sistema produttivo, con riferimento non solo alle esportazioni, ma alle altre tre forme di internazionalizzazione di un’impresa: la realizzazione di accordi commerciali, di collaborazioni tecniche e di collaborazioni produttive.

Perché concentrarsi sull’internazionalizzazione e sui vincoli finanziari delle Pmi meridionali? Il potenziamento della capacità esportativa delle imprese meridionali è da tempo riconosciuto elemento assai importante per lo sviluppo del Mezzogiorno: l’incidenza dell’export sul Pil è notoriamente inferiore al resto d’Italia e le esportazioni sono generalmente la componente più dinamica della domanda. Se l’espansione delle esportazioni meridionali degli anni recenti ha in parte beneficiato della localizzazione nell’area di insediamenti ivi realizzati da grandi imprese del Centro-Nord o estere, è indubbio che la vera chiave di volta per accelerare lo sviluppo meridionale sta soprattutto nel rafforzamento delle esportazioni da parte delle Pmi locali.

Al tempo stesso, l’espansione delle Pmi meridionali potrebbe essere frenata se esse soffrissero vincoli finanziari in misura ampia. E vi sono buone ragioni per ritenere che l’entità dei vincoli finanziari per le Pmi del Mezzogiorno possa essere cambiata negli anni recenti. In particolare, è noto come la crisi del sistema bancario meridionale, assieme agli interventi di salvataggio, abbia determinato diffusi fenomeni di acquisizione di banche locali meridionali da parte di banche del Centro-Nord. Ne è risultata una drastica riduzione del peso delle banche meridionali, o almeno delle banche meridionali con proprietà meridionale: se nel 1993 il 55% del credito alle imprese meridionali faceva capo a banche o gruppi bancari con sede nell’area stessa, alla fine del 1999 tale quota era caduta al di sotto del 15% (Finocchiaro, 2000). È presumibile che ciò abbia modificato l’entità dei vincoli finanziari per le imprese del Mezzogiorno, anche se è difficile stabilire a priori se i vincoli siano stati

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intensificati ovvero affievoliti. Da un lato, infatti, la concentrazione e la riorganizzazione

proprietaria delle banche meridionali, portando fuori dell'area i centri decisionali, potrebbe aver sortito effetti indesiderati se ha condotto a una riduzione dell'impegno del sistema bancario a supporto dello sviluppo. Un segnale in tal senso, come si vedrà tra breve, è la significativa riduzione del rapporto tra impieghi e depositi bancari nel Mezzogiorno, che approssima il reinvestimento in loco delle capacità di finanziamento delle banche operanti nell'area. Non va dimenticato che la riorganizzazione del sistema bancario meridionale ha verosimilmente comportato una migliore diversificazione dei rischi per gli istituti di credito meridionali, la riduzione delle loro tradizionali inefficienze (Galli e Onado, 1988) e il venir meno del finanziamento di investimenti improduttivi. Al tempo stesso, tuttavia, si hanno indizi che i vincoli finanziari potrebbero essere cresciuti anche per molte imprese meritevoli, in ragione dell’allentamento o della rescissione dei loro rapporti con le banche locali, la cui proprietà veniva attratta al di fuori dell’area.

Dall’altro lato, la maggiore presenza in loco delle grandi banche nazionali potrebbe essersi tradotta, per le imprese meridionali, in un vantaggio in termini di ricorso al capitale di rischio e alla finanza innovativa e, forse, in un maggior sostegno all’internazionalizzazione. A questo stadio è però difficile dire se i benefici di un’impostazione ‘meno lassista’ nella concessione del credito, i guadagni in termini di efficienza/diversificazione e il potenziamento dell’offerta di servizi di finanza innovativa e/o di sostegno all’internazionalizzazione abbiano o meno sopravanzato gli effetti restrittivi per le Pmi meridionali profittevoli.

Oltre all’esame dei dati statistici già disponibili, la ricerca si è avvalsa di un questionario somministrato a un campione di 402 Pmi manifatturiere, con sede nelle tre principali regioni del Mezzogiorno

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(Campania, Puglia e Sicilia) e con un numero di addetti compreso tra 20 e 300. Quest’ultimo parametro è funzionale agli obiettivi della ricerca, rivolta alle imprese di una certa dimensione ritenute particolarmente in grado di aprire o di espandere la propria attività all’estero. Il campione così costruito appare rappresentativo dell’universo di riferimento.

Le informazioni raccolte mediante il questionario hanno permesso anche di ricavare una serie di utili indicazioni sulla situazione economico-finanziaria e sugli assetti proprietari delle imprese. Tali informazioni hanno favorito la lettura sullo stato delle relazioni banca-impresa e sulla propensione all’export delle Pmi meridionali. I risultati del questionario sono stati approfonditi attraverso una serie di incontri-dibattito con gli imprenditori.

Le principali conclusioni raggiunte sono le seguenti. In primo luogo, il lungo processo di ristrutturazione delle banche meridionali intervenuto negli anni novanta non ha sostanzialmente modificato il rapporto banca-impresa – che rimane di tipo tradizionale – e, nell’immediato, sembra aver ampliato il razionamento del credito: alla fine del 2000, il 33% delle Pmi del campione non era riuscita a ottenere tutto il credito desiderato al tasso di mercato prevalente; in certa misura, indebolendo il patrimonio di relazioni preesistenti, l’interruzione dei rapporti banca-impresa conseguenti alla ristrutturazione del sistema bancario meridionale avrebbe contribuito alla diffusione dei vincoli finanziari. Non si è inoltre assistito alla diffusione di strumenti di finanza innovativa, quali il venture capital, che potrebbero costituire un passaggio fondamentale per l’accelerazione dello sviluppo delle imprese: solo il 2% delle Pmi intervistate ha avuto apporti di capitale di rischio dall’esterno nell’ultimo triennio. Ciò non riflette, tuttavia, solo i ritardi del sistema bancario ma anche, come emerge dall’indagine, la resistenza dell’imprenditore a separare la proprietà dalla gestione.

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In secondo luogo, pur permanendo su livelli inferiori al resto del Paese, la diffusione delle esportazioni è significativa. Tra le Pmi intervistate, una impresa su due esporta; una su quattro vende all’estero oltre il 20% del proprio fatturato. Tuttavia, è esiguo il ricorso a strumenti di internazionalizzazione attiva: solo l’1% delle Pmi effettua investimenti diretti all’estero e appena il 5% ha accordi di collaborazione tecnica, in grado di potenziare la proiezione all’estero delle imprese. Infine, è assai modesto il supporto all’internazionalizzazione che le Pmi meridionali ricevono da parte delle banche (e anche da altre istituzioni).

In sintesi, la ristrutturazione del sistema bancario meridionale sembra aver sinora prodotto pochi degli sperati benefici per le Pmi in termini di finanza innovativa e supporto alla loro internazionalizzazione. Ciononostante, un giudizio complessivo deve riconoscere che gli interventi di riorganizzazione aziendale degli istituti di credito erano inevitabili, hanno favorito una diversificazione dei rischi e un aumento di efficienza operativa delle banche meridionali, con un beneficio permanente, nel medio-lungo termine, per le imprese e l’intero Mezzogiorno.

Il resto del lavoro è così strutturato. Nel paragrafo 2 si considerano i potenziali effetti del consolidamento bancario meridionale – con attrazione della proprietà delle banche locali all’esterno dell’area – sui vincoli finanziari per le locali Pmi, alla luce dei contributi nella letteratura rilevante. Il terzo paragrafo descrive dapprima come il sostenuto andamento dell’export del Mezzogiorno sia stato il principale motore della ripresa dell’area negli anni recenti e se ne discutono le prospettive per le locali Pmi. Nello stesso paragrafo sono presentate le evidenze descrittive ed econometriche raccolte mediante il questionario alle Pmi manifatturiere meridionali. Il quarto e ultimo paragrafo discute le principali indicazioni di policy e gli indirizzi per futuri approfondimenti.

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2. Ristrutturazione bancaria nel Mezzogiorno e vincoli finanziari per le Pmi

Le banche meridionali si presentano all’appuntamento con la

liberalizzazione degli anni Novanta aggravate da un considerevole divario negativo di efficienza nei confronti delle banche del Centro-Nord, le quali, peraltro, difettano esse stesse nel confronto internazionale. È significativo che, alla vigilia della liberalizzazione, la Banca d’Italia si preoccupi di effettuare una dettagliata analisi mirata proprio sul sistema bancario meridionale (Galli e Onado, 1988). Da tale studio emerge che le inefficienze sono estese e riguardano la redditività sia in rapporto al capitale proprio che in rapporto al totale delle attività, inoltre al Sud è più basso il contributo dei ricavi da servizi ed è più elevata l’incidenza delle sofferenze sugli impieghi bancari. Uno studio successivo (Faini, Galli e Giannini, 1992) mostra che, al di là di inefficienze, anche di natura operativa, indotte dal contesto ambientale sfavorevole, vi è un divario di efficienza allocativa da colmare per la banche meridionali. Di conseguenza, il divario, pari mediamente a due punti percentuali, tra il tasso di interesse sui prestiti a breve al Sud rispetto al Centro-Nord non rifletterebbe esclusivamente un differenziale di rischio, ma anche l’inefficienza delle banche.

Né, allora come ora, le imprese meridionali si sottraggono ai costi loro inflitti dalle inefficienze delle banche dell’area mediante un accesso alla Borsa relativamente più intenso rispetto alle imprese domiciliate nel resto del Paese.

All’inizio degli anni Novanta, le debolezze strutturali delle banche meridionali amplificano le ripercussioni che su di esse sortisce la brusca recessione economica. L’improvvisa riduzione dei trasferimenti pubblici al Mezzogiorno, la restrizione monetaria del 1992, volta a sventare la crisi

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di cambio della lira, la limitata capacità esportativa dell’area, che non consente di beneficiare significativamente del successivo marcato deprezzamento della lira, sono tutti fattori che provocano l’avvitamento dell’economia meridionale. I livelli delle sofferenze su crediti nell’area si impennano e determinano situazioni di distress che colpiscono gran parte delle banche meridionali, a partire da quelle a controllo pubblico. Per far fronte a tale situazione, le autorità optano per azioni di salvataggio che, nella generalità dei casi, configurano l’intervento di grandi banche ben capitalizzate del Centro-Nord, chiamate a rilevare la proprietà delle banche meridionali in crisi. È esemplare il caso delle casse di risparmio meridionali, una ad una acquisite dalla Cariplo, con la rilevante eccezione della Sicilcassa, fatta confluire nel Banco di Sicilia. La crisi investe anche le due principali banche del Mezzogiorno – Banco di Napoli e Banco di Sicilia – alla fine confluite, rispettivamente, nel San Paolo-Imi e nella Banca di Roma. Come conseguenza, le banche meridionali vengono attratte sotto la proprietà di banche del Centro-Nord. Tra il complesso delle banche meridionali appartenenti a gruppi bancari – di fatto tutte quelle di dimensione medio-grande – la quota di quelle facenti capo a gruppi bancari del Centro-Nord, pari al 17% nel 1992 (3 su 18 gruppi), sale al 68% nel 2000 (28 su 41 gruppi). Al contempo, se nel 1993 il 55% del credito alle imprese meridionali fa capo a banche o gruppi bancari con sede nell’area stessa, alla fine del 1999 tale quota cade al di sotto del 15% (Finocchiaro, 2000).

Vi è consenso pressoché unanime sul fatto che, data la crisi, gli interventi di salvataggio fossero inevitabili e si conviene anche che la ristrutturazione abbia migliorato la capacità di diversificazione dei rischi del sistema bancario meridionale e ne abbia ridotto le inefficienze. Di conseguenza, se la ristrutturazione del sistema bancario si è tradotto in un accresciuto grado di sviluppo finanziario del Mezzogiorno, ne potrebbero beneficiare le prospettive di sviluppo economico dell’area. Ad esempio,

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proprio su dati territoriali per l’Italia, Guiso, Sapienza e Zingales (2001b) mostrano che al crescere del grado di sviluppo finanziario aumentano il tasso di imprenditorialità, la concorrenza e la crescita delle imprese, particolarmente per le Pmi. Dal canto suo, Acemoglu (2000) sostiene che le inefficienze dei mercati bancari europei sarebbero una delle cause principali del persistere di elevati livelli di disoccupazione in Europa.

Ma, il punto centrale che rimane da esplorare è se e in che misura la scomparsa delle banche locali abbia avuto conseguenze negative, almeno temporaneamente, sui vincoli finanziari per le Pmi del Mezzogiorno.

Si tratta di un aspetto della massima rilevanza per via della stretta correlazione che, come evidenziato da un ampio filone della letteratura economica, intercorre tra sviluppo finanziario e crescita economica. Il problema dell’assetto ottimale della struttura finanziaria è di particolare peso per le Pmi che, come noto, presentano profili di asimmetria informativa maggiori rispetto alle altre imprese e, come tali, sono maggiormente soggette a fenomeni di razionamento. Le banche locali possono svolgere un ruolo particolarmente prezioso se, grazie al radicamento nel territorio, riescono ad acquisire informazioni anche di natura “soft” difficilmente ottenibili da parte di intermediari esterni alla realtà locale e, dunque, riducono l’intensità del razionamento del credito (Inzerillo, 1996).

La letteratura che ha affrontato la questione se il consolidamento del sistema bancario riduca l’offerta di credito alle Pmi è vasta, soprattutto con riferimento agli Usa2. La conclusione cui giungono alcuni studi (es. Berger, Kashyap e Scalise, 1995) è che al crescere della dimensione delle banche cala la quota dei prestiti assegnata alle Pmi: di conseguenza, le acquisizioni di banche piccole da parte di quelle grandi potrebbero

2 Si veda Bonaccorsi di Patti e Gobbi (2001) per una rassegna ragionata di questa letteratura.

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determinare una contrazione nell’offerta di credito per le Pmi. In questo senso, diviene importante distinguere dalle altre le acquisizioni di banche piccole da parte di quelle grandi. Peek e Rosengren (1998) mostrano che la banca acquirente tende a far convergere la quota di prestiti alle Pmi da parte della banca acquisita verso il livello della quota di prestiti alle Pmi presso la propria istituzione prima dell’acquisizione. Relativamente all’Italia, Focarelli, Panetta e Salleo (1999) trovano che le banche interessate da fusioni e acquisizioni riducono la quota di prestiti alle Pmi.

In effetti, l’acquisizione della banca locale da parte di una banca esterna può avere conseguenze negative per le Pmi affidate dalla banca acquisita. Ad esempio, proprio su dati tratti dalla Centrale dei Rischi italiana, Sapienza (1998) mostra che spesso la banca acquirente, che non aveva già rapporti di affidamento in proprio con le Pmi affidate dalla banca acquisita, interrompe le relazioni di credito con queste ultime, per le quali, di conseguenza, i tassi di interesse debitori (presso le banche che continuano ad affidarle) divengono più elevati che in precedenza.

Studiando, per il caso italiano, l’impatto del consolidamento bancario e dell’ingresso di nuove banche, in seguito alla liberalizzazione, sull’offerta di credito alle Pmi Bonaccorsi di Patti e Gobbi (2001) trovano che le acquisizioni precedono una riduzione del credito e un aumento nella quota delle sofferenze; ciò è coerente con un miglioramento nell’efficienza allocativa delle politiche di prestito e il conseguente razionamento del credito ai debitori insolventi. Gli autori non trovano evidenze che, con il consolidamento, si verifichi una riduzione permanente dell’offerta di credito alle Pmi, ma giungono alla conclusione che la temporanea distruzione di relazioni di clientela che le Pmi vantavano con la banca incorporata potrebbe, in via transitoria, accrescere il razionamento anche per le Pmi.

Sulla questione appena delineata viene fatto uno specifico approfondimento sulla base dei dati raccolti mediante il questionario, ma

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prima di introdurre queste nuove evidenze, è opportuno commentare brevemente alcune informazioni già disponibili. A livello aggregato, il rapporto tra impieghi bancari alle società non finanziarie e Pil, che all’inizio degli anni Novanta era pari all’85% al Centro-Nord e al 55% nel Mezzogiorno, negli ultimi due anni è salito al 95% nel primo caso ed è invece sceso al 50% nel secondo (Fig. 2).

Tale evoluzione riflette la contrazione della quota degli impieghi ai residenti meridionali in rapporto al totale Italia dal 18% del 1992 al 14% del 2000. Dal lato dei depositi, invece, sempre con riferimento al 1992 e al 2000, la quota del Mezzogiorno rimane stabile al 21%. Di conseguenza, l’incidenza degli impieghi sui depositi bancari si è ridotta nel Mezzogiorno dal 125% al 119%, mentre è aumentata dal 158% al 190% nel Centro-Nord.

Il complesso di questi dati, pur non essendo certo sufficiente a identificare una contrazione dell’offerta di credito nel Mezzogiorno, costituisce tuttavia un indizio in tal senso.

Nonostante la marcata flessione che il tasso di interesse sui prestiti a breve termine subisce a partire dal 1993, le imprese del Sud continuano a pagare due punti percentuali di tasso di interesse in più rispetto al resto del Paese (Fig. 3).

Quindi, se la ristrutturazione del sistema bancario meridionale ne ha ridotto le inefficienze e, al contempo, la liberalizzazione ha accresciuto la concorrenza effettiva nei mercati bancari dell’area, ciò non sembra essersi tradotto in una riduzione del costo differenziale del credito. Anche in questo caso, tuttavia, il differenziale andrebbe corretto per il divario di rischio tra le due aree. In effetti, il rapporto sofferenze/impieghi per la clientela del Mezzogiorno passa dal 9% alla fine del 1991 al 22% del 1998, contro valori del 4% e 7% nel Centro-Nord.

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3. Internazionalizzazione delle Pmi meridionali e vincoli finanziari

3.1 Sviluppo dell’export nel Mezzogiorno: qualche breve considerazione In base alle statistiche ufficiali, nel corso degli anni novanta anche

l’Italia – in modo non dissimile dai maggiori paesi industriali - ha visto aumentare in misura significativa il grado di apertura internazionale della sua economia: tra il 1990 e il 2000 l’incidenza delle importazioni e delle esportazioni di beni e servizi in rapporto al Pil è balzata nel nostro paese da poco più del 32% a quasi il 45%. Le esportazioni continuano a rappresentare il punto di forza del sistema produttivo italiano mentre è modesto nel confronto internazionale il ricorso alle altre forme di internazionalizzazione3. Le imprese che esportano superano il 70% del totale delle imprese ma questa percentuale varia sensibilmente in base alla loro localizzazione geografica; mentre nel Nord-Est si supera l’80%, nel Sud del Paese questa percentuale è assai inferiore.

Negli ultimi anni Indagini di diversa fonte (della Banca d’Italia, del Mediocredito Centrale, delle Associazioni industriali) hanno segnalato una crescente apertura delle imprese meridionali al commercio estero. All’inizio degli anni novanta solo il 27% delle imprese meridionali vendeva all’estero; nella seconda parte del decennio la percentuale è salita al 40%. A livello aggregato, le esportazioni del Mezzogiorno crescono più di quelle del Centro-Nord per tutti gli anni Novanta, ad eccezione del 1996 e 1999; nel 2000 la crescita delle esportazioni al Sud è risultata quasi doppia che al Centro-Nord (27% contro 15%; Svimez, 2001) e anche nel 2001, pur in un contesto di forte riduzione del commercio internazionale, la dinamica dell’export meridionale ha tenuto meglio di

3 Si veda al riguardo Confindustria (2001).

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quella del resto del Paese: nei primi tre trimestri 7% contro 5%. La quota delle esportazioni meridionali sul totale Italia è così salita dal 9% del 1990 a oltre l’11% del 2001.

Il Mezzogiorno beneficia peraltro in misura del tutto esigua dei pur modesti afflussi di investimenti diretti giunti in Italia dall’estero. Attrarre questi investimenti è importante non solo per l’ampliamento dell’occupazione che ne deriva, ma forse ancora di più perché a questi spesso si accompagna il trasferimento di tecnologie avanzate che possono accrescere la dinamica della produttività ed avere un effetto permanente sulla crescita: esempi interessanti al proposito sono l’Irlanda e la Spagna che, nella seconda metà degli anni Novanta, hanno registrato sia forti afflussi di Fdi sia una accelerazione della crescita economica.

È diffusa la convinzione che per favorire l’afflusso di questi investimenti e potenziare la proiezione all’estero delle Pmi meridionali occorra migliorare la qualità e la gamma dei servizi reali e finanziari, uno sforzo che spesso richiede la collaborazione tra istituzioni pubbliche e private.

3.2 Evidenze descrittive dal questionario Questo paragrafo presenta i principali risultati dell’indagine condotta

da Abacus per Confindustria alla fine del 2001 su un campione rappresentativo di Pmi del Mezzogiorno (cfr. Appendice 1). L’indagine, come abbiamo chiarito nell’introduzione, ha riguardato 402 imprese del settore manifatturiero con un numero di addetti compreso tra le 20 e le 300 unità; le imprese con addetti inferiori a 50 unità costituiscono l’80% del campione4. Le imprese sono state infine selezionate in base alla localizzazione geografica, includendo nel campione quelle che, alla fine

4 Per questo e per una più ampia descrizione dell’indagine si veda Appendice 1.

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del 2001, avevano la loro sede legale nelle tre principali regioni meridionali: Campania, Puglia e Sicilia.

La nostra indagine conferma il trend al rialzo nella quota di imprese meridionali che esportano. Negli ultimi tre anni tale quota si è ulteriormente consolidata: la metà delle imprese intervistate ha compiuto una parte delle sue vendite all’estero (Tab. 1).

Questa percentuale è direttamente correlata alle dimensioni: è leggermente inferiore per le imprese fino a 50 addetti (47%), è pari al 63% per le dimensioni maggiori. All’interno delle imprese esportatrici, quelle oltre i 100 addetti hanno realizzato all’estero oltre un quarto del proprio fatturato, quelle fino a 50 addetti il 18% circa. L’export delle imprese meridionali si concentra soprattutto nei settori tradizionali, in particolare nel tessile e abbigliamento (68%) e nell’alimentare (54%). Sembra interessante rilevare che questi due settori si differenziano fortemente tra loro in base alla “anzianità” delle imprese (più o meno venti anni dall’anno di costituzione dell’impresa); nel tessile prevalgono le imprese più giovani (75% delle totale relativo), nell’alimentare quelle meno giovani (68%).

Un’importante occasione di ampliamento del mercato di riferimento e di potenziamento dell’export è verosimilmente offerta dall’accesso delle Pmi meridionali alle Information and Communication Technolohy (Ict), in primo luogo, Internet e commercio elettronico (Ferri, Galeotti e Ricchi, 2001). Ma, anche qui, la diffusione dell’Ict è sensibilmente inferiore nel Mezzogiorno rispetto ai livelli, comunque bassi nel confronto internazionale, del resto del Paese (Banca d’Italia, 2001; Svimez, 2001). Nel nostro campione, due imprese su tre hanno un proprio sito, anche se solo il 30% dichiara di effettuarvi commercio elettronico con i consumatori o con altre imprese (Tab. 2).

Benché in aumento, la propensione all’internazionalizzazione delle imprese meridionali – misurata in termini di esportazioni sul fatturato –

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rimane comunque modesta nel confronto con il resto del Paese. La maggior parte delle imprese, inoltre, esercita uno scarso controllo su questa parte del business; ciò è dovuto al fatto che l’export si basa su commesse di produzione che arrivano direttamente dall’estero, più che su consolidate relazioni commerciali con i mercati. Tale attività, infatti, richiede minori capitali di rischio, in quanto l’analisi della domanda, la definizione delle politiche di marketing e l’organizzazione delle attività di vendita e distribuzione diventano non necessarie o comunque marginali. Ciò riduce di molto il controllo dell’impresa su questa parte del fatturato, lasciando ampi spazi (in termini di volume e prezzi) a chi commissiona il prodotto.

Queste considerazioni sono indirettamente confermate dall’esiguità delle altre operazioni di internazionalizzazione (accordi di collaborazione commerciale e tecnica e investimenti diretti all’estero). Complessivamente, queste operazioni coinvolgono meno del 17% delle imprese del campione (Tab. 3); esse assumono una certa significatività solo per alcuni settori, come la metallurgia e apparecchiature meccaniche (28%), la chimica (25%), il tessile e abbigliamento (18%). Complessivamente gli accordi commerciali e quelli tecnico produttivi risultano leggermente più diffusi, coinvolgendo, rispettivamente, il 10 e il 5% delle imprese intervistate; la percentuale di imprese che ha effettuato investimenti diretti all’estero è estremamente modesta, appena l’1,2%, e aumenta all’aumentare della dimensione (dallo 0,6% della classe dimensionale minore al 3,3% per le imprese più grandi). Anche le collaborazioni commerciali sono fortemente correlate alle dimensioni di impresa, passando dalla prima fascia (20-50 addetti) a quella successiva (51-300) la percentuale di imprese raddoppia: dall’8,4 al 16,7%.

La dimensione di impresa rappresenta dunque la variabile che meglio di altre riesce a spiegare le modalità del processo di internazionalizzazione delle imprese meridionali. Questo perché i costi

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irrecuperabili e i cospicui investimenti in informazione da sostenere per accedere ai nuovi mercati costituiscono spesso un ostacolo all’internazionalizzazione delle imprese minori. L’altra spiegazione, sempre legata al fattore dimensionale, rimanda all’esistenza di economie esterne, segnatamente all’esistenza dei distretti industriali, ove si colloca quasi una impresa su cinque del nostro campione. La capacità delle imprese distrettuali di mantenere costi di produzione contenuti, implica che la strategia preferita dalle imprese esportatrici è quella di produrre all’interno, senza bisogno cioè di dover procedere a investimenti diretti all’estero. Le imprese dei distretti presentano infatti, tradizionalmente, una produttività assai più elevata rispetto alla concorrenza. Non a caso al Sud i settori che presentano un grado relativamente elevato di internazionalizzazione sono principalmente quelli che operano nei distretti: i settori tradizionali del tessile e abbigliamento.

Il modello di internazionalizzazione del Mezzogiorno riflette, in parte, le peculiarità del sistema produttivo italiano, caratterizzato dalla presenza diffusa di imprese di piccola dimensione da un lato, da un numero contenuto di grandi imprese multinazionali dall’altro. L’internazionalizzazione di un sistema produttivo, infatti, trae alimento e si sviluppa più rapidamente dove prevalgono le dimensioni maggiori, poiché la grande impresa agisce molto spesso da traino nei confronti del suo indotto produttivo, in primo luogo perché fornisce una spinta alle esportazioni delle Pmi; in secondo luogo perché, seppure in misura ridotta, stimola gli investimenti diretti all’estero, nel qual caso la multinazionale svolge anche una peculiare funzione di consulenza per le Pmi.

La larghissima prevalenza nel nostro sistema produttivo - e ancor di più nel Mezzogiorno – della piccola dimensione non favorisce l’internazionalizzazione delle imprese italiane. In questa sede non ci occupiamo dei numerosi condizionamenti normativo-istituzionali, a

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partire dalle rigidità del mercato del lavoro, che ostacolano, ben più di quanto avviene in altri paesi, i processi di crescita e di apertura (in particolare la quotazione in borsa) delle imprese italiane e che si traducono, al crescere della dimensione, in una più elevata rigidità di funzionamento5. Rivolgiamo invece l’attenzione, in linea con gli obiettivi di questa ricerca, all’analisi del sostegno che il sistema bancario offre all’internazionalizzazione delle imprese.

La questione dei finanziamenti bancari rappresenta infatti un altro fattore di criticità del processo di internazionalizzazione delle imprese italiane; i risultati dell’indagine evidenziano in effetti che le imprese sostengono la spinta verso i mercati esteri in prevalenza con i mezzi propri. Le asimmetrie informative tra datore e prenditore di fondi sembrano operare in questo caso in misura particolarmente pervasiva, frenando l’internazionalizzazione delle imprese, in particolare delle Pmi.

Questo problema si somma, come emerge dall’indagine, a una generale insoddisfazione riguardo agli strumenti di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese. A giudizio delle Pmi, valori così contenuti delle operazioni di internazionalizzazione si spiegano anche con la scarsa funzionalità delle istituzioni preposte ad assistere le imprese. Infatti, il 78% delle imprese che hanno effettuato operazioni della specie dichiarano di non avere ricevuto alcun aiuto – in termini di consulenza e/o di finanziamento – da parte di istituzioni pubbliche o private (Tab. 4). Per quel che interessa di più qui, tra quelle poche imprese che, avendo realizzato operazioni di internazionalizzazione, hanno anche ricevuto assistenza, solo il 15% l’ha ricevuta dalle banche, mentre ben l’85% dalle istituzioni pubbliche.

Tutti i principali paesi industriali mettono a disposizione dei propri operatori (e degli acquirenti esteri) strumenti assicurativi e finanziari

5 Su questo punto si rimanda a Caprio-Inzerillo (2002).

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(molto diversificati sul piano tecnico) con l’obiettivo di favorire il processo di export e di internazionalizzazione del sistema produttivo6. In Italia, dove esiste una pluralità di operatori, il sistema nel suo complesso riesce ad assolvere alla propria funzione. Emerge tuttavia una mancanza di coordinamento interno, che in alcuni casi si traduce in una sovrapposizione di compiti, in altri in una totale assenza di assistenza. Questa situazione è aggravata dalla modesta proiezione internazionale del sistema bancario italiano7.

L’indagine ha analizzato in particolare la relazione tra finanza e internazionalizzazione. La percentuale di imprese esportatrici è notevolmente inferiore tra le Pmi che si dichiarano razionate – avrebbero voluto più credito alle condizioni correnti ma non l’hanno ottenuto – solo il 44,3% delle quali esportano, contro il 53,6% delle Pmi non razionate (Fig. 4). La quota di esportatrici è più alta per le Pmi con oltre 3 banche (56,8%) che per le altre (45,2%). Grossi divari si trovano anche in connessione col possesso del sito internet (56,1% le esportatrici contro il 40,4% tra le imprese prive del sito) e con l’appartenenza a distretti industriali (65,7% le esportatrici contro il 47,6% tra le imprese fuori dai distretti). Dunque, l’evidenza descrittiva – suffragata anche dagli esercizi econometrici presentati nel successivo paragrafo – corrobora l’ipotesi che tra internazionalizzazione e vincoli finanziari vi siano nessi rilevanti.

Ma cosa si può dire sul legame tra ristrutturazione del sistema bancario meridionale e vincoli finanziari per le Pmi? Dal questionario

6 La Spagna, ad esempio, ha puntato negli ultimi anni su questi strumenti per ritagliarsi una posizione di primo piano in America latina; al processo ha offerto un forte sostegno il sistema bancario, con investimenti massicci volti a costruire una diffusa rete di filiali sul territorio. La Germania ha utilizzato il sistema del supporto all’esportazione per costruire posizioni di predominio nell’Est europeo, con il contributo anche in questo caso del sistema bancario; la Francia ha fatto altrettanto in Cina. 7 Cfr. Inzerillo (2002).

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sappiamo che il 33,1% delle Pmi si dichiarano razionate, una percentuale elevata, ma niente ci autorizza a connetterne l’elevatezza con la ristrutturazione. Qualche indizio riusciamo invece a coglierlo contrapponendo le caratteristiche delle Pmi razionate a quelle delle non razionate. La figura 5 partisce le Pmi in base a due variabili dicotomiche: (i) se l’impresa ha interrotto (oppure no) rapporti di credito nell’ultimo decennio, il periodo della ristrutturazione, nell’idea che l’interruzione potrebbe aver depauperato le informazioni raccolte su di essa dalle banche e intensificato il razionamento; (ii) tra le imprese che hanno interrotto rapporti di credito nell’ultimo decennio (pari al 49,4% sull’intero campione), si considera se l’interruzione è avvenuta perché la banca locale di riferimento era stata assorbita (oppure per altri motivi), essendo proprio questa la variabile che dovrebbe cogliere l’eventuale depauperamento nelle relazioni tra Pmi e banche locali dovuto alla ristrutturazione.

Come si nota, passando dalle imprese che non hanno interrotto rapporti con banche a quelle che li hanno interrotti, la percentuale di Pmi razionate cresce dal 28,7 al 37,6%. Il divario massimo si tocca passando da quelle imprese che hanno interrotto rapporti con banche per altri motivi a quelle che, invece, li hanno interrotti perché la banca locale era stata assorbita (con ogni probabilità da una grande banca del Centro-Nord). Vi è dunque evidenza che la ristrutturazione del sistema bancario meridionale ha prodotto, in non pochi casi, una restrizione del credito offerto alle imprese locali.

3.3 Evidenze econometriche

I dati raccolti con l’indagine sulle Pmi meridionali sono stati utilizzati per una analisi econometria volta ad indagate tre questioni principali: (i) quali variabili contraddistinguono le imprese esportatrici

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dalle altre; (ii) quali variabili caratterizzano le Pmi “fortemente esportatrici” (che esportano cioè oltre il 20% del fatturato); (iii) quali variabili contraddistinguono le imprese che si dichiarano razionate nel mercato del credito.

I tre esercizi econometrici presentati consistono in analisi logit sulle determinanti della probabilità che l’impresa risulti positiva nella caratteristica dicotomica indagata: vale a dire, impresa esportatrice versus non esportatrice; impresa che esporta oltre il 20% del fatturato versus impresa che esporta una quota inferiore del proprio fatturato (tra le sole imprese che esportano); impresa che si dichiara razionata nel mercato del credito versus impresa non razionata. E’ ovvio che non si può parlare di variabili “determinanti” in senso stretto, in quanto non si identifica necessariamente un nesso causale, ma una correlazione, fra le variabili esplicative e la variabile dipendente. Per comodità, le variabili dipendenti saranno, comunque, chiamate “determinanti”. Le tavole con i risultati delle verifiche empiriche sono presentate nell’Appendice 2.

Nel 1° esercizio, la regressione è ristretta alle sole imprese esportatrici del campione che, come precedentemente indicato, sono pari al 51% delle Pmi intervistate. La variabile dipendente è data da una dummy che ha valore 1 per le imprese esportatrici e 0 per le altre (EXP). Tra le possibili variabili esplicative si sono considerate le seguenti: (1) l’impresa appartiene a settori produttivi che si possono a priori classificare come non tradable, che dovrebbe ridurre la probabilità che l’impresa sia esportatrice (NOTRAD); (2) l’età dell’impresa, sul cui effetto non si hanno aspettative certe a priori (YBIRTH); (3) la dimensione dell’impresa, misurata dal numero dei dipendenti, che dovrebbe accrescere la probabilità che l’impresa esporti (NEMP); (4) una variabile di controllo per il settore di appartenenza dell’impresa, in considerazione del fatto che, anche tra i settori con beni tradable, l’esportabilità può differire (SECT); (5) una dummy che è 1 per le imprese

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che fanno parte di un distretto industriale ed è 0 per le altre, nell’aspettativa che le imprese distrettuali siano più facilmente esportatrici (DISTR); (6) la quota di addetti con contratto a breve termine, che potrebbe influenzare la propensione a esportare, anche se il segno è difficile da stabilire a priori (QSTEMP); (7) una dummy che è 1 per le imprese che posseggono la certificazione di qualità ISO, nell’idea che per esse sia più facile esportare (ISO); (8) una dummy che è 1 per le imprese che hanno un proprio sito Internet ed è 0 per le altre, nell’aspettativa che Internet possa facilitare l’esportazione (INTER); (9) una dummy che è 1 per le imprese che fanno E-commerce ed è 0 per le altre, nell’idea che le imprese siano più facilmente esportatrici quando, anziché usarlo solo come vetrina, hanno attrezzato il proprio sito Internet per commerciarvi (ECOM); (10) una dummy che è 1 per le imprese che sono state oggetto di operazioni di M&A negli anni recenti ed è 0 per le altre, presumendo che queste operazioni possano influenzare la propensione a esportare (M&A); (11) una dummy che è 1 per le imprese ove proprietà e management coincidono ed è 0 per le altre, dato che gli assetti proprietari potrebbero influire sulla vocazione all’export (P&M); (12) una dummy che è 1 per le imprese che fanno parte di un gruppo industriale ed è 0 per le altre, ove ci si attende che queste imprese dovrebbero essere più facilmente esportatrici (GROUP); (13) una dummy che è 1 per le imprese che hanno effettuato accordi di collaborazione tecnica, commerciale o investimenti diretti all’estero ed è 0 per le altre, nell’aspettativa che tali imprese dovrebbero essere esportatrici (FDI); (14) una dummy che è 1 per le imprese oggetto di apporti di capitale di rischio dall’esterno ed è 0 per le altre, apporti che potrebbero influenzare la propensione all’export (RK); (15) il numero di banche con cui l’impresa intrattiene rapporti, che ci si aspetta correlato positivamente con la probabilità che l’impresa sia esportatrice anche in considerazione del fatto che, ampliando il numero delle controparti bancarie, l’impresa potrebbe venire in contatto con le

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grandi banche nazionali maggiormente attrezzate ad assisterla nella propria internazionalizzazione (NBNKS); (16) una dummy che è 1 per le imprese che si dichiarano razionate in senso debole – vale a dire dichiarano che, al tasso e altre condizioni correnti del prestito, avrebbero voluto più fondi di quanti ricevuti – ed è 0 per le altre, nell’aspettativa che le imprese razionate potrebbero avere maggiore difficoltà a esportare (RAT1); (17) una dummy che è 1 per le imprese che si dichiarano razionate in senso forte – cioè dichiarano che sarebbero state disposte ad accettare aggravi nel tasso e/o nelle altre condizioni del prestito pur di ricevere altri fondi dalle banche – ed è 0 per le altre, l’idea essendo la stessa che per RAT1 (RAT2).

I risultati della stima sono riportati nella tabella A2.1. Come si vede, solo alcune delle variabili hanno un legame significativo con la probabilità che l’impresa esporti. È per questo che si è proceduto a selezionare la specificazione preferita riportata nella tabella A2.2 in cui, senza abbassare la bontà della regressione, si sono eliminate le variabili non significative. L’appartenenza dell’impresa a settori non tradable (NOTRAD) riduce significativamente la probabilità che essa esporti, probabilità che invece cresce con la dimensione dell’impresa (NEMP), se l’impresa appartiene a un distretto industriale (DISTR), al crescere del numero di banche con cui l’impresa intrattiene rapporti (NBNKS) e, soprattutto, per le imprese che hanno un proprio sito Internet (INTER) e per quelle che hanno effettuato accordi di collaborazione tecnica, commerciale o investimenti diretti all’estero (FDI). L’appartenenza dell’impresa a un gruppo industriale (GROUP) esprime una correlazione positiva con la probabilità di esportare ma il legame non risulta statisticamente significativo agli standard consueti.

Il 2° esercizio consiste nello stimare le determinanti della probabilità che l’impresa sia una “grande esportatrice”, vale a dire che esporti una percentuale del proprio fatturato superiore al 20%, caratteristica che, nel

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nostro campione, ricorre per il 26% delle imprese. La variabile dipendente è data da una dummy che ha valore 1 per le imprese che esportano oltre il 20% del proprio fatturato ed è 0 per le altre (EXPHI). Naturalmente, questa regressione viene effettuata sulle sole imprese esportatrici (quelle per le quali EXP=1).

Presentando direttamente la specificazione preferita, i risultati sono esposti nella tabella A2.3. Alcune delle variabili che figuravano come determinanti della probabilità di esportare sono importanti anche della probabilità che l’impresa sia una “grande esportatrice”. In particolare, tale probabilità cresce al crescere della dimensione d’impresa (NEMP), se l’impresa appartiene a un gruppo industriale (GROUP) e se l’impresa ha effettuato accordi di collaborazione tecnica all’estero (TECA; mentre non risulta significativa la variabile FDI descritta sopra che aggrega assieme a TECA anche le collaborazioni commerciali e gli investimenti diretti all’estero). In aggiunta, la certificazione di qualità ISO si mostra una caratteristica che accresce la probabilità che l’impresa sia una “grande esportatrice”, probabilità che invece si riduce al crescere della quota di addetti con contratti di lavoro a breve termine (QSTEMP).

Il 3° e ultimo esercizio consiste nello stimare le determinanti della probabilità che l’impresa si dichiari razionata. Come detto, si hanno due diverse accezioni di razionamento. La prima accezione è il “razionamento debole” (RAT1), che interessa il 33% delle Pmi del campione, mentre quella di “razionamento forte” (RAT2) coinvolge il 16% delle imprese. La nostra analisi si concentra su RAT1, in quanto il fenomeno è più diffuso e, quindi, è più facile identificarne le determinanti8.

I risultati della stima delle determinanti di RAT1, riportati nella

8 L’elevata incidenza del razionamento al Sud potrebbe essere riconnesso col fatto che nell’area è minore che nel resto del Paese la dotazione di capitale sociale (Guiso, Sapienza e Zingales, 2001a).

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tabella A2.4, indicano che la probabilità che un’impresa si dichiari razionata si riduce al crescere della sua dimensione (NEMP). Al contrario, tale probabilità aumenta quando l’impresa ha accresciuto negli ultimi anni il ricorso al credito bancario a breve (DICC è una dummy che prende valore 1 per questa tipologia di imprese ed è 0 per le altre) e anche per le Pmi che fanno parte di gruppi industriali. Quest’ultimo risultato può apparire prima facie controintuitivo, in quanto ci si aspetterebbe che il mercato dei capitali interni al gruppo riduca i vincoli finanziari per le imprese che ne fanno parte. Tuttavia, è stato spesso osservato che il lassismo potenzialmente introdotto per le controllate dal mercato interno dei capitali potrebbe indurre la capogruppo a cercare di sottoporre le controllate alla disciplina esterna da parte delle banche (Stein, 1997).

In ogni caso, il risultato per noi più importante è quello che si riferisce all’impatto sui vincoli finanziari delle Pmi del Mezzogiorno derivante dalla ristrutturazione del sistema bancario meridionale che, portando alla scomparsa o all’assorbimento di molte banche meridionali da parte di banche del Centro-Nord, potrebbe aver indebolito il patrimonio di relazioni che quelle banche avevano stabilito nel tempo con la loro clientela. Per cogliere questo effetto si è introdotta una variabile dummy volta a catturare l’interruzione di rapporti di credito nei confronti dell’impresa attuata dalla banca (Credof).La dummy assume valore 1 per le imprese che dichiarano di aver subito interruzioni nei rapporti con le banche negli ultimi 10 anni perché la banca è stata chiusa, ovvero è stata assorbita da altra banca (nella generalità del Centro-Nord9, mentre assume valore 0 per le altre imprese. Ebbene, si riscontra che Credof accresce in modo significativo la probabilità che l’impresa si dichiari soggetta a

9 Si include in questa casistica anche la situazione in cui l’interruzione del rapporto è derivato dal cambiamento del direttore ovvero è stato unilateralmente intrapreso dalla banca.

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fenomeni di razionamento del credito10. Dunque, sebbene da più parti si sia osservato che il relationship banking può avere effetti sfavorevoli per le Pmi del Mezzogiorno (es. Ferri e Messori, 2000), è possibile che, in ogni caso, le fusioni abbiano determinato effetti negativi attraverso la rescissione delle relazioni di clientela e il conseguente depauperamento informativo per le banche operanti nell’area.

Questo risultato parrebbe quindi indicare che la ristrutturazione del sistema bancario meridionale avrebbe, almeno temporaneamente, accresciuto i vincoli finanziari per le locali Pmi.

10 Un analogo esercizio di regressione effettuato su RAT2 non ha dato risultati informativi sulle determinanti del fenomeno.

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4. Conclusioni

Nel corso degli anni novanta il sistema bancario meridionale è stato interessato da un intenso processo di ristrutturazione che ha comportato il passaggio della proprietà di gran parte delle banche locali verso i maggiori gruppi creditizi nazionali. Tale processo, se da un lato ha permesso di ridurre il divario di efficienza del sistema bancario meridionale rispetto alle altre aree del Paese, dall’altro ha alimentato non poche paure da parte degli operatori economici locali, nel timore che a questo passaggio potesse seguire un minor sostegno da parte del sistema bancario allo sviluppo dell’economia meridionale.

Questa ricerca – partendo dalla convinzione e da una crescente evidenza empirica sulla rilevanza della finanza per lo sviluppo e la crescita dimensionale delle imprese – ha studiato due aspetti specifici ritenuti a questo riguardo particolarmente rilevanti: i rapporti con il sistema bancario – in primis la capacità e le modalità di finanziamento degli investimenti – e il grado di internazionalizzazione del sistema imprenditoriale locale. Oltre alla consueta batteria di indicatori statistici, la ricerca si è avvalsa di un’apposita indagine svolta su un campione rappresentativo di imprese meridionali di piccola e media dimensione.

Il rapporto banca-impresa che emerge dall’indagine è di tipo tradizionale. Il multiaffidamento è la regola e cresce con le dimensioni di impresa. Anche per quanto riguarda le fonti di finanziamento esterne dell’impresa trova conferma la larga prevalenza del debito bancario a breve termine. Emerge anche, però, che il razionamento del credito incide non poco e che il fenomeno interessa principalmente le imprese di piccola dimensione, in particolare quelle che hanno aumentato il ricorso allo scoperto di conto corrente o ad altre forme d’indebitamento bancario a breve e ancor di più quelle per le quali il rapporto con una banca locale è

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stato interrotto a seguito di un’operazione di acquisizione da parte di una banca esterna al territorio; in quest’ultimo gruppo di Pmi, una impresa su due ha, in qualche misura, sofferto un razionamento del credito.

La perdita del controllo delle leve del credito sembra dunque essersi tradotta, almeno momentaneamente, in una restrizione del credito offerto alle imprese locali. Ciononostante, un giudizio complessivo non si deve limitare alle conseguenze negative, sperabilmente solo temporanee, sui vincoli finanziari per le Pmi meridionali, ma deve riconoscere che gli interventi di riorganizzazione aziendale delle banche erano inevitabili, hanno favorito una diversificazione dei rischi e un aumento di efficienza degli istituti di credito meridionali, con benefici permanenti per le imprese e l’intera economia.

L’aspetto forse più deludente – se confrontato con le aspettative iniziali che avevano accompagnato il processo di ristrutturazione del sistema bancario italiano e in particolare meridionale – è la modesta attività svolta sin qui dal sistema bancario a supporto dell’internazionalizzazione delle imprese del Mezzogiorno. Se la propensione a operare fuori dai confini nazionali - comunque bassa rispetto a quella del resto del Paese – ha segnato indubbiamente dei passi in avanti, non altrettanto può dirsi per tutte le altre operazioni di internazionalizzazione, la cui rilevanza rimane estremamente modesta.

In conclusione, il lungo processo di ristrutturazione (fatto di privatizzazioni, concentrazioni e riorganizzazioni proprietarie) delle banche meridionali non ha mutato in modo sostanziale il rapporto banca-impresa per le Pmi del Mezzogiorno, né ha sinora ampliato la gamma di servizi finanziari usati dalle Pmi dell’area. Mentre, dunque, per le Pmi del Centro-Nord si è assistito negli ultimi anni a una vera e propria fioritura del venture capital e di altri strumenti di finanza innovativa fino alla quotazione in borsa, molto meno sembra essersi mosso al Sud. Si tratta di un aspetto importante, perché l’apertura al capitale di rischio costituisce

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un passaggio fondamentale per l’accelerazione dello sviluppo delle imprese. Il passaggio dal credito al venture capital, agli altri strumenti di finanza innovativa e, da ultimo, alla quotazione in borsa costituisce la via maestra per rimuovere i vincoli finanziari alla crescita delle imprese. Ai ritardi del sistema bancario si sommano, da parte delle imprese meridionali, in modo forse più evidente che in altre aree del paese, taluni persistenti limiti culturali – in particolare la resistenza dell’imprenditore (o della sua famiglia) a rinunciare a posizioni di controllo anche nelle sfere gestionali – che frenano le possibilità di sviluppo dell’impresa stessa.

A questo stadio dell’analisi è difficile dire se i benefici di un’impostazione ‘meno lassista’ nella concessione del credito, i guadagni in termini di efficienza/diversificazione e il potenziamento dell’offerta di servizi di finanza innovativa e/o di sostegno all’internazionalizzazione abbiano o meno sopravanzato gli effetti restrittivi per le Pmi meridionali profittevoli.

Tra le implicazioni di policy, in particolare, è necessario promuovere l’internazionalizzazione delle Pmi meridionali anche potenziando il sostegno pubblico ma, soprattutto, migliorando il dialogo con le banche. Ad esempio, è noto che alcune tra le maggiori banche italiane hanno una presenza significativa nei paesi dell’Europa centro-orientale e nei Balcani, area verso la quale molte imprese, anche meridionali, guardano per accrescere la propria competitività, delocalizzandovi fasi produttive ad alta intensità di lavoro non qualificato. Ebbene, è tempo che le Pmi meridionali, superando la propria diffidenza, domandino a quelle banche di guidarle nell’internazionalizzazione produttiva e che quelle banche, vincendo segmentazioni operative interne, si propongano come partner a tutto campo.

Ma anche sul fronte della finanza in senso stretto molto resta da migliorare. Ad esempio, il passaggio verso forme di previdenza privata

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mette ampi flussi finanziari a disposizione anche per investimenti in imprese. Sarebbe un peccato se non si riuscisse a cogliere questa occasione per potenziare l’accesso al capitale di rischio da parte delle Pmi meridionali, riducendone la dipendenza dal credito bancario.

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TAVOLE

47

Fig. 1 - Italia: Crescita del Pil al Sud e al Centro-Nord

Fonte: Istat.

Fig. 2 - Rapporto Impieghi bancari/Pil1

1. Impieghi bancari a breve e medio-lungo termine al lordo delle sofferenze.I dati del Pil per il 2001 sono stime della Svimez. Fonte: Banca d'Italia, Istat e Svimez.

-2

-1

0

1

2

3

4

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

SudCentro - Nord

40

55

70

85

100

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

SudCentro-nord

48

Fig. 3 - Tassi di interesse sui prestiti bancari e divario Nord-Sud(dati in %)

Fonte: Banca d'Italia, Centrale dei Rischi.

-1,1

0

1,1

2,2

3,3

1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 20014

8

12

16

20

Divario tassi breve

Tasso a breve termine (scala destra)

49

Fig. 4 - PMI esportatrici in base a varie caratteristiche dicotomiche(dati in %)

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

Fig. 5 - PMI razionate in base a varie caratteristiche dicotomiche(percentuali di imprese che si dichiarano razionate)

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

47,6

65,7

40,4

56,1

45,2

56,8

53,6

44,3

0 10 20 30 40 50 60 70

Imprese che operano fuori dai distretti

Imprese che operano in distretti

Imprese senza un sito Internet

Imprese con un sito Internet

Imprese con non più di 3 banche

Imprese con più di 3 banche

Imprese che si dichiarano razionate

Imprese che non si dichiarano razionate

35,3

50,0

28,7

37,6

0 10 20 30 40 50 60

Rapporto interrotto per altre ragioni

Rapporto interrotto perché banca assorbita

Imprese che non hanno interrotto rapporti conbanche

Imprese che hanno interrotto rapporti con banche

50

Tabelle

Tab. 1 - Distribuzione delle imprese esportatrici per classi di addetti

Valori assoluti % Valori

assoluti % dal totale imprese

dalle imprese esportatrici

meno di 50 318 79,1 150 47,2 4,4 18,3da 50 a 100 54 13,4 34 63,0 12,9 20,4oltre i 100 30 7,5 19 63,3 16,2 25,5Totale 402 100 203 50,5 9,6 20,38

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

1. In percentuale del fatturato totale delle imprese del campione e di quello delle sole imprese esportatrici.

Imprese esportatriciTotale imprese Fatturato esportato1

Classi di addetti

20 - 50 51 - 100 101 - 300

Dispon ibilità 65,2 65,1 66,7 73,3Utilizzo1

Vendita di prodotti ad altre im prese 16,8 16,4 22,2 13,6Vendita di prodotti ai consum atori 14,7 16,9 8,3 0,0Gestione dei propri siti collegati in rete 20,3 18,8 19,4 27,3Acquisto di input produttivi 20,7 22,2 16,7 18,2Intenzione di attivare un sito2 72,8 76,6 83,3 62,5

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del M ezzogiorno.

Classi di addetti Totale imprese

1. In percentuale delle imprese che dispongono di un sito; il questionario prevedeva risposte multiple. 2 . Imprese che prevedono di attivare un sito internet nei prossimi tre anni (in % delle imprese che non dispongono di un sito internet).

Tab. 2 - Disponibilità e utilizzo di un sito Internet da parte delle imprese per classi di addetti

51

T ab. 3 - Imprese che hanno effettuato operazioni di internazionalizzazioneper tipo di operazione e classi di addetti(dati in %)

20 - 50 51 - 100 101 - 300Operazioni effettuate nel triennio 1998-2000 1

Accordi di collaborazione tecn ico produttiva 5,1 4,7 7,4 10,0Accordi di collaborazione com m erciale 10,4 10,4 16,7 10,0Investim en ti diretti per la produzione all'estero 1,2 0,6 3,7 3,3Non ha realizzato operazioni all'estero 83,2 86,8 77,8 86,7

Operazioni previste per il prossim o triennioPrevedono di effettuare operazioni all'estero 33,7 32,4 38,9 40,0Non prevedono di effettuare operazioni all'estero 50,7 52,5 48,1 36,7Non hanno dato alcuna preferenza 15,5 15,1 13,0 23,3Totale 100 100 100 100

1. Il questionario prevedeva risposte multiple.Fonte: Indagine Confindustria sulle PM I del M ezzogiorno.

Classi di addettiO perazioni Totale

imprese

Ha ricevuto assistenza in paesi UE 6,9Ha ricevuto assistenza in altri paesi 3,4Ha ricevuto modesta assistenza 12,1Non ha ricevuto assistenza 77,6

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

1. Consulenza e/o fondi da parte di istituzioni pubbliche, banche.

(in % delle imprese che hanno effettuato operazioni di internazionlizzazione)

Tab. 4 - Assistenza all'internazionalizzazione delle imprese da parte di operatori italiani1

52

Appendice 1 - Aspetti metodologici dell’indagine e tabelle

Nel mese di settembre 2001 l’ABACUS ha realizzato un’indagine telefonica presso un campione di 402 piccole e medie imprese (Pmi) meridionali, con un numero di addetti compreso tra 20 e 300 unità, attive nel settore manifatturiero, in particolare, dei seguenti comparti di attività economica: Alimentari, bevande e tabacco; Tessile, abbigliamento; Concia, prodotti in cuoio, pelle; Pasta-carta, stampa; Cokerie, raffinerie, chimica; Legno, gomma e plastica; Lavorazioni di minerali; Metalli e prodotti in metallo; Apparecchi meccanici, elettrici, ottici. Il campione di imprese è stato stratificato con i seguenti criteri: − area geografica di localizzazione della sede principale

(Campania, Puglia, Sicilia). − numero di addetti

(classi: 20-30 / 31-50 / 51-100 / 101-300). − attività economica nell’ambito del settore manifatturiero. Il questionario, studiato con il gruppo di lavoro designato dal Committente, ha affrontato i seguenti argomenti: − Internazionalizzazione (esportazioni, accordi di collaborazione tecnico-

produttiva, accordi di collaborazione commerciale, investimenti diretti per la produzione all’estero)

− Assistenza all’internazionalizzazione delle imprese − Forme di indebitamento delle imprese − Investimenti e modalità di finanziamento − Utilizzo di strumenti finanziari innovativi − Assetti proprietari − Relazioni banca-impresa

53

Il questionario utilizzato contiene prevalentemente domande strutturate con risposte “chiuse”. In corrispondenza delle domande riguardanti le modalità di finanziamento e le ragioni per le quali sono stati interrotti i rapporti con le banche, l’intervistato è stato lasciato libero di esprimere modalità di finanziamento o ragioni diverse da quelle previste. Tali informazioni sono state successivamente codificate. Nel 49% dei casi è stato intervistato un membro del consiglio di amministrazione (Titolare, Amministratore Delegato, Presidente), nel 26% dei casi il direttore generale e nel 22% dei casi altri dirigenti informati sugli argomenti oggetto dell’indagine (solitamente il direttore finanziario).

54

Tab. A1.1 - Distribuzione del campione

Numero di Imprese %

Area geografica

Campania 158 39,3Puglia 141 35,1Sicilia 103 25,6

M ezzogiorno 402 100Settori1

Alimentari, bevande, tabacco 56 13,9Tessile, abbigliamento 81 20,1Concia, prodotti in cuoio, pelle 6 1,5Pasta-carta, stampa 14 3,5Cokerie, raffinerie, chimica 12 3,0Legno, gomma e plastica 55 13,7Lavorazioni di minerali 50 12,4M etalli e prodotti di metallo 60 14,9Apparecchi meccanici, elettrici, ottici 68 16,9

Totale 402 100Classi di fatturato

0-5 miliardi 223 55,56-10 miliardi 84 20,911-25 miliardi 62 15,4oltre 25 miliardi 33 8,2

Totale 402 100Numero di addetti

20-30 198 49,330-50 120 29,951-100 54 13,4101-300 30 7,5

Totale 402 100Forma giuridica

Ditta individuale 26 6,5Società di persone 59 14,7Società di capitali 312 77,6Società cooperative 4 1,0Società mista 1 0,2

Totale 402 100Imprese con certificazione ISO 9000 165 41,0

1. Ordinati secondo la classificazione Ateco 91.Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

55

(in percentuale del totale del settore)

Settori1 EsportazioniAltre

operazioni2

Alim entari, bevande, tabacco 53,6 12,5Tessile, abbigliam ento 67,9 18,5Concia, prodotti in cuoio, pelle 50,0 0,0Pasta-carta, carta,stam pa 35,7 7,1Cokerie, raffinerie, chim ica 41,7 25,0Legno, gom m a e plastica 45,5 9,1Lavorazione di m inerali 32,0 10,0M etalli e prodotti in m etallo 41,7 28,3Apparecchi m eccanici, elettrici, ottici 54,4 27,9

M edia 51,6 15,4

Fonte: Indagine Confindustria su lle PM I del M ezzogiorno.

Tab. A 1.2 - Im prese che hanno effettuato operazioni di internazionalizzazione

1 . O rdinati secondo la classificazione Ateco 91 . 2 . Accordi di collaborazione tecnico-produ ttiva,accordi com merciali e investim enti diretti a ll'estero.

56

(dati in %)

20 - 50 51 - 100 101 - 300

meno 1% 4,5 0,0 25,0 0,0dal 1 al 5% 36,3 46,7 0,0 33,3dal 5 al 15% 18,1 20,0 25,0 0,0oltre il 15% 40,9 33,3 50,0 66,7

Totale 100 100 100 100

meno 1% 11,1 15,2 0,0 0,0dal 1 al 5% 31,1 33,3 22,2 33,3dal 5 al 15% 26,6 30,3 22,2 0,0oltre il 15% 31,1 21,2 55,6 66,7

Totale 100 100 100 100

meno 1% 0,0 0,0 0,0 0,0dal 1 al 5% 20,0 0,0 0,0 100,0dal 5 al 15% 40,0 50,0 50,0 0,0oltre il 15% 40,0 50,0 50,0 0,0

Totale 100 100 100 100

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

Tab. A1.3 - Imprese che hanno effettuato operazioni di internazionalizzazione per incidenza sul fatturato e classi di addetti

accordi di collaborazione commerciale

investimenti diretti per la produzione all'estero

Incidenza sul fatturato

accordi di collaborazione tecnico-produttiva

Totale impreseClassi di addetti

57

Numero di imprese %

Numero di imprese %

Stessa provincia 94 23,3 47 11,8Stessa regione 169 42,1 167 41,6Altre regioni 279 69,5 248 61,7Paesi UE 47 11,8 83 20,6Paesi industrializzati 15 3,7 40 10,0Paesi in via di sviluppo 16 3,9 19 4,7

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

Tab. A1.4 - Aree geografiche dei principali concorrenti e clienti delle imprese1

1. Il totale di colonna è diverso dal totale del campione perché il questionario prevedeva risposte multiple.

AreePrincipali concorrenti Principali clienti

Tab. A1.5 - M odalità di finanziamento delle operazioni di internazionalizzazione1

(in % delle imprese che hanno effettuato questo tipo di operazioni)

20 - 50 51 - 100 101 - 300

Apporto di capitale di rischio 9,9 11,5 0,0 33,3

Autofinanziamento 58,2 53,2 76,6 50,0

Credito bancario a breve termine 11,9 14,2 2,5 0,0

Credito bancario a medio-lungo termine a tasso di mercato

10,2 12,1 12,5 0,0

Credito bancario a medio-lungo termine a tasso agevolato

6,3 3,8 8,3 16,6

Agevolazioni pubbliche 3,3 5,5 0,0 0,0

1. Esportazioni, accordi di collaborazione tecnico-produttiva,accordi commerciali e investimenti diretti all'estero.

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

Totale imprese Classi di addetti Tipo di fianziamento

58

Tab. A1.6 - Investimenti effettuati dalle imprese(dati in %)

20 - 50 51 - 100 101 - 300

Per ampliamento della capacità produttiva% delle imprese del campione 70,7 68,9 79,6 86,7

Per rendere tecnologicamente più efficienti gli impianti% delle imprese del campione 83,1 82,4 87,0 93,3

Per mettere a punto prodotti innovativi% delle imprese del campione 48,6 49,1 44,4 56,7

Incidenza degli investimenti per categoria-Per ampliare la capacità produttiva 37,8 37,6 36,8 45,3- Per rendere tecnologicamente più efficienti gli impianti 44,0 43,6 47,8 39,4- Per mettere a punto prodotti innovativi 18,2 18,8 15,4 15,2

Totale 100 100 100 100

Modalità di finanziamento degli investimenti- Capitale di rischio 5,3 6,3 3,7 5,8- Autofinanziamento 43,5 43,8 44,4 35,3- Credito bancario a breve termine 9,1 9,3 8,8 7,8- Credito bancario a medio-lungo termine a tasso di mercato 8,4 9,3 8,4 17,5- Credito bancario a medio-lungo termine a tasso agevolato 11,5 11,1 13,2 9,5- Agevolazioni pubbliche 18,4 17,4 17,4 23,4- Leasing 3,4 2,8 4,1 0,7

Totale 100 100 100 100

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

InvestimentiClassi di addetti

Totale imprese

59

Tab. A1.7 - Operazioni di finanza straordinaria e assetti proprietari1

(dati in %)

20 - 50 51 - 100 101 - 300

Imprese che hanno effettuato operazioni straordinarie 9,8 8,8 9,3 16,7

Coincidenza tra proprietà e amministrazione 74,3 77,7 72,2 46,7

Condivisione del controllo

Parentela fra tutti i soci 27,4 28,8 24,1 20,0Parentela fra alcuni soci 31,9 27,4 37,0 66,7Nessuna parentela fra i soci 40,7 43,8 38,9 13,3

Partecipazione azionaria con gruppi industriali 8,2 4,4 11,1 43,3di cui:

Imprese capogruppo 18,2 7,1 16,7 30,8

1. Operazioni di acquisizione, di conferimento da altra società, di incorporazione di altra società, altre operazioni di acquisizione.

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

Totale imprese

Classi di addetti Operazioni

60

Tab. A1.8 - Rapporti con le banche: modifiche intervenute negli ultimi 10 anni(in % del totale delle imprese )

20 - 30 31 - 50 51 - 100 101 - 300

Imprese che negli ultimi 10 anni hanno interrotto almeno un rapporto 48,7 50,0 44,2 50,0 60,0

Motivi di interruzione del rapporto con la banca

dal lato della domanda

Insoddisfazione per il servizio 77,9 85,9 86,8 70,4 94,4Riduzione dell'attività dell'impresa 1,6 3,0 0,0 0,0 0,0Più funzionale lavorare con poche banche 5,6 4,0 5,7 11,1 5,6Banche locali offrono un servizio limitato 0,4 0,0 0,0 0,0 5,6

dal lato dell'offerta

Banca fallita 0,4 1,0 0,0 0,0 0,0Banca assorbita da altra banca locale 2,5 2,0 3,8 3,7 0,0Banca assorbita da altra banca del centro-nord 9,7 8,1 17,0 11,1 0,0Cambiamento del direttore 0,8 1,0 0,0 3,7 0,0Interruzione del rapporto da parte della banca 0,8 0,0 1,9 3,7 0,0

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

Totale imprese

Classi di addetti

61

Tab. A1.9- Forme di indebitamento delle imprese (settembre 2001)(in % del totale delle imprese )

20 - 50 51 - 100 101 - 300

Debito bancario a breve 67,8 69,9 58,0 68,8- scoperto in c/c 50,8 53,5 45,4 35,1

Debito bancario a m/ l termine 29,2 26,8 38,0 31,0- agevolato 16,3 15,4 16,7 17,2

Altro 3,1 3,3 4,0 0,2- debiti commerciali 1,3 1,4 3,2 0,2- finanziamenti da soci e infragruppo 0,4 1,1 0,0 0,0

Totale 100 100 100 100

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

Indebitamento Totale imprese

Classi di addetti

Tab. A1.10 - Configurazione del rapporto banca-impresa(in % del totale delle imprese )

20 - 30 31 - 50 51 - 100 101 - 300

Numero di banche con cui si intrattengono rapporti 3,5 3,3 3,7 5,0 6,8

Motivi per cui si intrattengono rapporti con più banche

Ridurre il costo del credito 23,4 21,7 21,7 13,0 33,3Soddisfare maggiori esigenze finanziarie 48,7 48,5 35,8 50,0 40,0Eliminare ingerenze da parte delle banche 20,8 13,1 24,2 27,8 16,7Diversificare fonti di credito 1,2 1,0 0,8 0,0 3,3Diversi servizi offerti 2,1 1,0 1,7 3,7 3,3Comodità operativa 3,5 4,0 4,2 1,9 0,0

32,9 28,3 47,5 27,8 13,3

Fonte: Indagine Confindustria sulle PMI del Mezzogiorno.

La vostra impresa avrebbe desiderato ricevere più credito al tasso di mercato prevalente

Totale imprese

Classi di addetti

62

Appendice 2 - Analisi empirica

Esercizio 1: Analisi logit delle determinanti della probabilità che l’impresa esporti

La variabile dipendente è EXP: è 1 per le imprese esportatrici (0 altrimenti). Le variabili indipendenti sono: NOTRAD, pari a 1 se l’impresa appartiene a settori produttivi non tradable (0 altrimenti); YBIRTH, l’anno di fondazione dell’impresa che ne determina l’età; NEMP, la dimensione dell’impresa, misurata dal numero dei dipendenti; SECT, una variabile di controllo per il settore di appartenenza dell’impresa; DISTR, che è 1 per le imprese che fanno parte di un distretto industriale (0 altrimenti); QSTEMP, la quota di addetti con contratto a breve termine; ISO, che è 1 per le imprese che posseggono la certificazione di qualità ISO (0 altrimenti); INTER, che è 1 per le imprese che hanno un proprio sito Internet (0 altrimenti); ECOM, che è 1 per le imprese che fanno E-commerce (0 altrimenti); M&A, che è 1 per le imprese che sono state oggetto di operazioni di M&A negli anni recenti (0 altrimenti); P&M, che è 1 per le imprese ove proprietà e management coincidono (0 altrimenti); GROUP, che è 1 per le imprese che fanno parte di un gruppo industriale (0 altrimenti); FDI, che è 1 per le imprese che hanno effettuato accordi di collaborazione tecnica, commerciale o investimenti diretti all’estero (0 altrimenti); RK, che è 1 per le imprese oggetto di apporti di capitale di rischio dall’esterno (0 altrimenti); NBNKS, numero di banche con cui l’impresa intrattiene rapporti; RAT1, che è 1 per le imprese che si dichiarano razionate in senso debole –vale a dire dichiarano che, al tasso d’interesse e altre condizioni correnti del prestito, avrebbero voluto più fondi di quanti ricevuti– (0 altrimenti); RAT2, che è 1 per le imprese che si dichiarano razionate in senso forte –vale a dire dichiarano che sarebbero state disposte ad accettare aggravi nel tasso d’interesse e/o nelle altre condizioni del prestito pur di ricevere altri fondi dalle banche– (0 altrimenti).

63

Tab. A2.1logit exp notrad ybirth nemp sect distr qste mp iso inter ecom m&a p& m group fdi rk nbnks rat1 rat2

Logit Estimates Number of obs = 398chi2(17) = 59.78Prob > chi2 = 0.0000

Log Likelihood = -245.96486 Pseudo R2 = 0.1083

exp Coef. Std. Err. z P>|z|

notrad -1.469317 .5227928 -2.811 0.005 -2.493.972 -.4446616ybirth .0007673 .0057439 0.134 0.894 -.0104905 .0120251nemp .0036537 .0030068 1.215 0.224 -.0022395 .0095469

sect -.0759217 .0410494 -1.850 0.064 -.156377 .0045335distr .5463614 .3338426 1.637 0.102 -.107958 1.200.681

qstemp -.5605233 .8891184 -0.630 0.528 -2.303.163 1.182.117iso .0241431 .2316676 0.104 0.917 -.429917 .4782032

inter .5624629 .267658 2.101 0.036 .0378629 1.087.063ecom .2015156 .2721895 0.740 0.459 -.331966 .7349973m&a -.231757 .3793965 -0.611 0.541 -.9753605 .5118465p&m .0541283 .2645159 0.205 0.838 -.4643134 .57257

group .7895232 .4756751 1.660 0.097 -.1427828 1.721.829fdi 1.080.122 .3315829 3.257 0.001 .430231 1.730.012rk -.2340499 .728321 -0.321 0.748 -1.661.533 1.193.433

nbnks .0886468 .052955 1.674 0.094 -.015143 .1924366rat1 -.3021594 .300868 -1.004 0.315 -.8918498 .2875309rat2 -.0915791 .3848986 -0.238 0.812 -.8459666 .6628083cons -2.069.125 11.33783 -0.182 0.855 -24.29086 20.15261

Tab. A2.2La variabile dipendente è sempre EXP.logit exp notrad nemp sect distr inter nbnks group fdi

Logit Estimates Number of obs = 400chi2(8) = 57.03Prob > chi2 = 0.0000

Log Likelihood = -248.71 Pseudo R2 = 0.1029

exp Coef. Std. Err. z P>|z|

notrad -1.39266 .5141244 -2.709 0.007 -2.400326 -.3849949nemp .0055394 .0030247 1.831 0.067 -.000389 .0114677

sect -.0791285 .0403134 -1.963 0.050 -.1581414 -.0001157distr .5571292 .3205992 1.738 0.082 -.0712337 1.185492inter .6830527 .2331917 2.929 0.003 .2260053 1.1401

nbnks .0940387 .0523476 1.796 0.072 -.0085606 .196638group .6447833 .4525985 1.425 0.154 -.2422935 1.53186

fdi 1.078127 .3293794 3.273 0.001 .4325556 1.723699cons -2.01366 .9975623 -2.019 0.044 -3.968.846 -.0584736

[95% Conf. Interval]

[95% Conf. Interval]

64

Tab. A2.3 logit exphi nemp sect qstemp group iso teca if exp=1 Logit Estimates Number of obs = 201

chi2(6) = 35.77Prob > chi2 = 0.0000

Log Likelihood = -121.41296 Pseudo R2 = 0.1284

exphi Coef. Std. Err. z P>|z| nemp .0139745 .0046309 3.018 0.003 .0048982 .0230509

sect -.1266403 .0542961 -2.332 0.020 -.2330588 -.0202218 qstemp -4.685739 2.003331 -2.339 0.019 -8.612195 -.7592834

group 1.577062 .7345764 2.147 0.032 .1373182 3.016805 iso 1.005341 .335875 2.993 0.003 .3470383 1.663644

teca 1.188253 .6438815 1.845 0.065 -.0737319 2.450237 cons -3.391373 1.553617 -2.183 0.029 -6.436405 -.3463397

Tab. A2.4 logit rat1 credof nemp group diccLogit Estimates Number of obs = 399

chi2(4) = 23.94Prob > chi2 = 0.0001

Log Likelihood = -241.29953 Pseudo R2 = 0.0473

rat1 Coef. Std. Err. z P>|z| credof .7666469 .387339 1.979 0.048 .0074765 1.525817 nemp -.0080801 .0038213 -2.115 0.034 -.0155697 -.0005906 group 1.137813 .5751462 1.978 0.048 .0105472 2.265079 dicc .67745 .248547 2.726 0.006 .1903067 1.164593 cons -2.812669 1.172823 -2.398 0.016 -5.11136 -.5139787

Esercizio 2: Analisi logit determinanti probabilità che impresa sia “grande esportatrice”La regressione è ristretta alle sole imprese esportatrici (EXP=1). La variabile dipendente è EXPHI: è 1 per le imprese che esportano oltre il 20% del proprio fatturato (0 altrimenti). Le variabili indipendenti sono: NEMP, la dimensione dell’impresa, misurata dal numero dei dipendenti; SECT, una variabile di controllo per il settore di appartenenza dell’impresa; QSTEMP, la quota di addetti con contratto a breve termine; ISO, che è 1 per le imprese che posseggono la certificazione di qualità ISO (0 altrimenti); GROUP, che è 1 per le imprese che fanno parte di un gruppo industriale (0 altrimenti); TECA, che è 1 per le imprese che hanno effettuato accordi di collaborazione tecnica all’estero (0 altrimenti).

[95% Conf. Interval]

Esercizio 3: Analisi logit determinati probabilità impresa razionata in senso “debole”

La variabile dipendente è RAT1, che è 1 per le imprese che si dichiarano razionate in senso debole –vale a dire dichiarano che, al tasso e altre condizioni correnti del prestito, avrebbero voluto più fondi di quanti ricevuti– (0 altrimenti). Le variabili indipendenti sono: NEMP, la dimensione dell’impresa, misurata dal numero dei dipendenti; GROUP, che è 1 per le imprese che fanno parte di un gruppo industriale (0 altrimenti); DICC, che è 1 per le imprese che negli ultimi anni hanno intensificato il ricorso al credito bancario a breve termine (0 altrimenti); CREDOF, che è 1 per le imprese c che dichiarano di aver subito interruzioni nei rapporti con le banche negli ultimi 10 anni perché la banca è stata chiusa, ovvero è stata assorbita da altra banca (nella generalità del Centro-Nord oggetto di apporti di capitale di rischio dall’esterno) (0 altrimenti).

[95% Conf. Interval]

65

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Working Paper pubblicati 1. Testing purchasing power parity between Italy and the US with maximun likelihood methods, di Marco Malgarini, Ottobre 1996 2. Costo d'uso del capitale e distorsioni fiscali in Italia, 1980-1996, di M. Gabriella Briotti, Ottobre 1996 3. Commercio estero e occupazione in Italia: una stima con le tavole intersettoriali, di Sergio de Nardis e Marco Malgarini, Ottobre 1996 4. La mobilità territoriale delle imprese dal 1970 ad oggi, di Fabrizio Traù e Massimo Tamberi, Ottobre 1996 5. La mobilità dimensionale delle imprese nell'industria italiana, di Fabrizio Traù, Ottobre 1996 6. Mobilità e disoccupazione in Italia: un'analisi dell'offerta di lavoro, di Riccardo Faini, Giampaolo Galli e Fulvio Rossi, Ottobre 1996 7. Ristrutturazione finanziaria e proprietaria e ricorso al mercato di borsa: un'indagine sui servizi di investment banking in un gruppo di Pmi, di Ugo Inzerillo, Febbraio 1997 8. Stock e costo del capitale con misure di deprezzamento non geometrico, di Paolo Annunziato e Ioannis Ganoulis, Febbraio 1997 9. Sviluppo economico e occupazione nei paesi industriali, di Fabrizio Traù, Giugno 1997 10. La composizione settoriale dell'occupazione manifatturiera: continuità e cambiamento strutturale (1951-1991), di Fabrizio Traù, Giugno 1997 11. Inflazione e disoccupazione in Europa: determinanti strutturali e politiche macroeconomiche, di Marco Malgarini e Francesco Paternò, Giugno 1997 12. Legislazione, sindacato e licenziamenti collettivi - Un'analisi su dati aziendali, di Paolo De Luca e Ioannis Ganoulis, Settembre 1997

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13. Scambi con l'estero e posti di lavoro: l'industria italiana nel periodo 1980-95, di Sergio de Nardis e Francesco Paternò, Settembre 1997 14. A decade of regulatory reform in Oecd countries: progress and lessons learned, di Scott H. Jacobs e Marco Malgarini, Marzo 1998 15. Un approccio "interattivo" alla teoria del reddito permanente di Edoardo Gaffeo, Giugno 1998 16. Dalle politiche passive alle politiche attive del lavoro: il ruolo della formazione professionale, di Andrea Montanino, Ottobre 1998 17. Specializzazione settoriale e qualità dei prodotti: misure della pressione competitiva sull'industria italiana, di Sergio de Nardis e Fabrizio Traù, Ottobre 1998 18. Confronti internazionali di dati censuari: aspetti metodologici e riscontri empirici, di Anita Guelfi e Fabrizio Traù, Luglio 1999 19. La discontinuità del pattern di sviluppo dimensionale delle imprese nei paesi industriali: fattori endogeni ed esogeni di mutamento dell' "ambiente competitivo", di Fabrizio Traù, Settembre 1999 20. Investigating the credit channel: a parallel between the us case and the italian one, di Francesco Paternò, Febbraio 2000 21. Formazione aziendale, struttura dell’occupazione e dimensione dell’impresa, di Andrea Montanino, Marzo 2000 22. Regulation in Europe: justified burden or costly failure?, di Sandrine Labory e Marco Malgarini, Marzo 2000 23. Employment protection and the incidence of unemployment: a theoretical framework, di Anita Guelfi, Marzo 2000.

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24. Can tax progression raise employment?, di John P. Hutton e Anna Ruocco, Novembre 2000. 25. Le privatizzazioni bancarie in Italia, di Marcello Messori e Ugo Inzerillo, Novembre 2000. 26. Employment protection, growth and jobs, di Giampaolo Galli, Aprile 2001. 27. Allargamento a Est dell’Unione Europea: gli effetti sul mercato dei beni, di Stefano Manzocchi e Beatrice Pierluigi, Maggio 2001 28. Allargamento a Est dell’Unione Europea: l’impatto sugli investimenti diretti esteri di Stefano Manzocchi e Beatrice Pierluigi, Maggio 2001 29. Allargamento a Est dell’Unione Europea: il quadro di riferimento per le politiche comunitarie di sviluppo regionale e coesione, di Giuseppe Mele, Giugno 2001 30. Ristrutturazione bancaria, crescita e internazionalizzazione delle Pmi meridionali, di Giovanni Ferri e Ugo Inzerillo, Novembre 2002