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La riforma regionale della sanità Quanti interrogativi ! ? Perché no? rivista bimestrale edita dall'associazione Perchè No via Terenzi 11, Pesaro - numero 02 del 03 - 08 - 2011 Reg.Tribunale di Pesaro n° 589 del 04/05/2011 - Tiratura 10.000 copie - Stampato in Pesaro dalla Cooperativa Sociale T41B Progetto grafico artù comunicazione Direttore Responsabile Michele Gianni Aderenti al progetto: A.C.L.I., Ciformaper, Ass. ALPHA, Coop. soc. Labirinto, Coop.Soc.Tiquarantuno B, Ass. volontariato Operatori di Base, CANAAN Coop.Soc., Libera.mente ONLUS, Liberi per Pesaro, Ass. L’alveare, Ass. Omphalos, Coop.soc. Pegaso, I.R.S. L’ aurora Soc.Coop.Sociale, Italcappa Coop. soc., AmaAquilone Coop Soc., Il Grillo Parlante Coop Soc. Con 5 aree vaste la sanità si allontana sempre più dalla gente. E’ sempre più difficile realizzare l’integrazione socio-sanitaria che è anche partecipazione. Prima che sia irrimediabilmente soffocata ogni aspirazione di partecipazione e di confronto, rivediamola. I distretti sanitari, cosa sono e cosa diventeranno con le aree vaste? Il ruolo dei comuni nella sanità quale sarà e come verrà esercitato realmente? Questa non è una “rivoluzione”, ma una “restaurazione” del potere della sanità non solo sul sociale, ma su tutto! Interviste: Marco Gallizioli sull’identità culturale, Yuri Kazepov sul PIL e il BIL, Antonio sul suo quarto anno di superiori all’estero, Ferdinando Ciani sulla Scuola del Gratuito, Gianfilippo di Benedetto su un’associazione contro l’autismo. Partecipazione: Democrazia Diretta; Se le “partecipate” massacrano il welfare; acqua pubblica e non profit, il luogo dell’abitare La torre di Babellocchi Casa Paci e Pegaso: due comunità in festa Tiquarantuno “B” Cooperativa Sociale Via Lambro, 13/15 - 61122 Pesaro Tel. 0721.270001 - fax 0721.288009 [email protected] - www.t41b.it Vendita: frutta, ortaggi, olio, vino, conserve, miele, prodotti tipici Progettazione giardini Piante da frutto, ornamentali ed aromatiche Località Fenile tel./fax 0721.885679 - [email protected] - www.t41b.it Il giardino del Cante

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La riforma regionale della sanitàQuanti interrogativi !

?Perché no? rivista bimestrale edita dall'associazione Perchè No via Terenzi 11, Pesaro - numero 02 del 03 - 08 - 2011 Reg.Tribunale di Pesaro n° 589 del 04/05/2011 - Tiratura 10.000 copie - Stampato in Pesaro dalla Cooperativa Sociale T41BProgetto grafico artù comunicazione Direttore Responsabile Michele GianniAderenti al progetto: A.C.L.I., Ciformaper, Ass. ALPHA, Coop. soc. Labirinto, Coop.Soc.Tiquarantuno B, Ass. volontariato Operatori di Base, CANAAN Coop.Soc., Libera.mente ONLUS, Liberi per Pesaro, Ass. L’alveare, Ass. Omphalos, Coop.soc. Pegaso, I.R.S. L’ aurora Soc.Coop.Sociale, Italcappa Coop. soc., AmaAquilone Coop Soc., Il Grillo Parlante Coop Soc.

Con 5 aree vaste la sanità si allontana sempre più dalla gente. E’ sempre più difficile realizzare l’integrazione socio-sanitaria che è anche partecipazione. Prima che sia irrimediabilmente soffocata ogni aspirazione di partecipazione e di confronto, rivediamola.I distretti sanitari, cosa sono e cosa diventeranno con le aree vaste?Il ruolo dei comuni nella sanità quale sarà e come verrà esercitato realmente?Questa non è una “rivoluzione”, ma una “restaurazione” del potere della sanità non solo sul sociale, ma su tutto!

Interviste:

Marco Gallizioli sull’identità culturale, Yuri Kazepov sul PIL e il BIL, Antonio sul suo quarto anno di superiori all’estero,

Ferdinando Ciani sulla Scuola del Gratuito, Gianfilippo di Benedetto su un’associazione contro l’autismo.

Partecipazione:

Democrazia Diretta; Se le “partecipate” massacrano il welfare; acqua pubblica e non profit, il luogo dell’abitare

La torre di Babellocchi

Casa Paci e Pegaso: due comunità in festa

Tiquarantuno “B” Cooperativa SocialeVia Lambro, 13/15 - 61122 PesaroTel. 0721.270001 - fax [email protected] - www.t41b.it

Vendita: frutta, ortaggi, olio, vino, conserve, miele, prodotti tipiciProgettazione giardini Piante da frutto, ornamentali ed aromaticheLocalità Fenile tel./fax 0721.885679 - [email protected] - www.t41b.it

Il giardino del Cante

2Un nuovo giornale? Noi ci proviamo

Identità culturale e globalizzazione:

Intervista

due concetti in antitesi o strettamente correlati? Intervista a Marco Gallizioli

di Luciana Bacchini

• Perché da un po’ di tempo si sente tan-to parlare di rivendicazione della propria identità? A quali esigenze obbedisce que-sto bisogno?

L’attuale ossessione identitaria, per dir-la con Francesco Remotti, è la risposta a quel profondo disagio culturale pro-prio del mondo occidentale contempo-raneo. Per capire perché, oggi, siamo così nevroticamente protesi verso la rivendicazione di radici culturali e reli-giose occorre ampliare lo sguardo della riflessione socio-antropologica.Dal dopoguerra ad oggi, infatti, è venuto a coronamento quel processo di lique-fazione della società descritto in modo folgorante da Z. Bauman, secondo il quale al mondo “solido” del passato se n’è sostituito un altro, quello odierno, definibile come “liquido”. Per il socio-logo polacco, infatti, i contesti socio-culturali tradizionali si caratterizzavano per una certa solidità, dettata da usi, costumi, tradizioni, riferimenti religio-si, civili piuttosto uniformi e condivisi. In queste società, ciascuno assumeva un ruolo piuttosto definito, a partire dal livello economico, sociale e culturale di provenienza. Anche l’appartenenza al genere maschile o femminile, influiva nel determinare un percorso piuttosto che un altro, dal momento che la socie-tà di fatto impediva che le donne rive-stissero determinati ruoli o svolgessero alcune mansioni, relegandole nell’alveo domestico della cura del focolare. Nei contesti solidi, dunque, la presenza di linguaggi uniformi, garantiva al sog-getto di assumere un ruolo definito nel mondo; mondo che, peraltro, veniva let-to, interpretato e rappresentato in modo altrettanto uniforme. Certo, ciò non si-gnifica che nei contesti solidi gli indivi-dui fossero realizzati, dal momento che, generalmente, le aspirazioni cozzavano contro gli imperativi sociali e il soggetto veniva ricacciato dentro la sua categoria umana non appena tentava di emanci-

parsi, pena il divenire “indesiderato” in quanto diverso. Tuttavia, è altresì vero che gli individui erano più facilitati nel collocarsi in un mondo di credenze da tutti riconosciute come valide e ciò con-tribuiva a contenere le ansie esistenzia-li, facilitando una rappresentazione del mondo più addomesticata. Con la post-modernità, invece, le certezze sono ve-nute a crollare sotto l’urto di molteplici spinte contrastanti: l’ampliamento dei diritti civili, l’emersione della donna a livello pubblico, l’industrializzazione che ha moltiplicato i beni disponibili, la ricerca scientifica, la secolarizzazione, i flussi migratori, i nuovi sistemi di co-municazione di massa, dalla televisione alla rete, solo per citare alcuni feno-meni. Tutto ciò ha reso più dinamiche le culture, aumentando le opportunità esistenziali, economiche, ma anche gli sguardi sul mondo. Nel mondo degli ultimi decenni, quindi, è stato sempre più difficile appigliarsi a visioni solide, a letture marmoree, a epiche e religioni a tinte forti, perché, volenti o nolenti, l’individuo si è sentito sempre più pre-cario e costretto a annaspare, per non annegare, in sistemi sociali liquidi, nei quali proliferano i linguaggi, gli usi, i punti di vista differenti. Ciascuno, per parafrasare la celebre definizione di J. F. Lyotard, si è sentito rinviato a sé: davanti ad un modo sempre più com-plesso, le culture hanno messo in pri-ma fila il soggetto, i suoi desideri, la sua individualità, la sua eccezionalità. A livello di massa, negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, ciò si è spo-sato con un progressivo abbandono di ogni sostrato filosofico e religioso, per abbracciare con entusiasmo una forma di religione laica, legata al consumo. G. Ritzer ha chiamato questa strana religiosità, la “religione dei consumi”, dato che si officia negli ipermercati, nuove cattedrali dell’ultramodernità, dove l’ansia esistenziale è contenuta dal continuo rilancio del desiderio di possesso. Tuttavia, questo stordimento consumistico, slegato dalla riflessione e

dal pensiero, ha finito con lo sfregare in modo urticante con il soggettivismo, con l’isolamento culturale, con il pen-siero preconfezionato della televisione, e l’individuo, continuamente rinviato a sé si è risvegliato, alle soglie del ter-zo millennio, solo, spaventato, perché si è reso conto, per dirla sempre con Lyotard, che “il sé è poca cosa”. Le an-sie innescate dall’11 settembre, dalla differenza culturale, dalle crisi econo-miche, si sono manifestate tutte insie-me come dei mostri di cui avere paura; mostri da combattere e contro i quali occorre invocare una sorta di “indietro tutta” allarmata e un po’ isterica. L’uo-mo, autodichiaratosi sovrano del mon-do, si è accorto di essere debole: il re-individuo è apparso nudo, come grida il bimbo nella fiaba di H.C. Andersen “Il vestito nuovo dell’imperatore”! Da que-sta subitanea presa di coscienza, nasce quel fondamentalismo plumbeo, igno-rante, protervo, accusatorio, che spinge a disprezzare ciò che non rientra dentro il cono di luce, spesso modesto, della propria comprensione, e che dipinge l’alterità culturale e religiosa come una zona oltre confine, minacciosa, da non oltrepassare. Questa cultura fondamen-talistica e nevrotica ha rilanciato un’i-dea mitica di identità, che ha usato e continua ad adoperare per recintare il proprio orticello, nella speranza che le differenze non disturbino il quieto vi-vere. Il nuovo millennio, infatti, ci ha visti risvegliare pieni di imprecisate an-gosce, rinforzate dal lento franare delle sicurezze sociali, abbattute a picconate da una politica che agita le forbici con veemenza e le usa per tagliare lo sta-to sociale. Questo contesto è l’humus adatto per la creazione di nuovi capri espiatori, contro cui riversare il senso di frustrazione, che a turno possono essere gli stranieri, i non cristiani, gli atei, i comunisti, i relativisti, ma anche i propri figli, gli adolescenti, descritti come maleducati e svogliati, quando non, addirittura, pericolosi e anaffetti-vi. Contro questo sostrato di paure, il

fondamentalismo identitrio coincide con il recupero di poche, chiare, parole sicure, nelle quali rifugiarsi per ricostru-ire degli schemi interpretativi del reale, elementari, ma proprio per questo effi-caci soprattutto per chi si è disabituato a pensare, ma anche per chi si è senti-to sopraffatto dal pensiero. Un fonda-mentalismo identitario che proietta al di fuori di sé “l’oscuro” e lo individua come pericoloso, come nemico.

• È possibile parlare di una identità sog-gettiva o collettiva proprio ora che vivia-mo bombardati da continue notizie e in-flussi provenienti dai quattro angoli del mondo?

In un certo senso, l’dentità è sempre soggettiva e difficilmente riducibile a schemi, come sottolinea Amin Maalouf. Lo scrittore libanese, proveniente da una famiglia originaria del sud arabico, cristiano, di lingua e cultura araba, sta-bilitosi da tempo a Parigi, afferma che ogni identità è per sua stessa natura composita e indivisibile: “L’identità – afferma Maalouf - non si suddivide in compartimenti stagni, non si ripartisce né in metà, né in terzi. Non ho parec-chie identità, ne ho una sola, fatta di tutti gli elementi che l’hanno plasma-ta, secondo un dosaggio particolare che non è mai lo stesso da una persona all’altra”. Tuttavia, sostiene acutamente Maalouf, oggi viviamo in contesti cultu-rali globalizzati che si riconoscono at-torno all’idea centrale della semplifica-zione identitaria, al punto che, all’inter-no di ogni contesto socio-culturale si fa di tutto affinché gli individui rinuncino alla percezione dell’identità plurale per compattarsi attorno a slogans omolo-ganti. Le culture dominanti non accet-tano la pluralità come un valore; al con-trario, la combattono cercando in ogni modo di dissociare i significati identita-ri dai concetti di diversità e differenza. Per lo scrittore libanese, invece, occorre il coraggio di vivere la propria identità confrontandosi con la sua irriducibilità

ins.percheno-ok.pdf 1-06-2011 9:31:48

Un nuovo giornale? Noi ci proviamo 3

Intervista

a formule fisse e semplicistiche.È necessario non rinnegare il proprio essere “frontalieri”, ossia sempre inter-mediari verso qualcuno o qualcosa, per-ché ciascun individuo è, in ultima anali-si, frutto di un intreccio, di un rapporto dialogico; è un ponte allegorico tra rive opposte. Solo se si non si dimentica la natura mediatrice dell’identità, si pos-sono evitare le trappole tese dalle cultu-re del potere che pretendono di forgiare a lettere di fuoco delle opinioni e delle identità collettive marmoree, attraverso cui delineare l’antiidentitario, ossia l’av-versario irriducibile. Solo se concepisce che l’identità si costruisce e si trasfor-ma durante tutta l’esistenza si possono evitare i tranelli delle opinioni colletti-ve preconfezionate, volte ad amputare quasi chirurgicamente parti fondamen-tali della complessità per isolare un particolare fino ad evidenziarlo in modo nevrotico come l’unico possibile, l’u-

Presidente Di Benedetto, ci presenti Omphalos Onlus.L’associazione Omphalos, Rete per l’In-dividuo e l’Integrazione, nasce nel 2008 per iniziativa di un gruppo di genitori di bambini affetti da sindrome autistica. Fin dal principio la volontà è stata quella di perseguire una mission di altissimo respi-ro: raccogliere le tante e pesanti proble-matiche, che sono complesse, trasversali e pervasive esattamente come la patolo-gia che le genera, non limitandosi ad una funzione di sensibilizzazione o denuncia, ma piuttosto attivando quel sorprenden-te serbatoio di risorse e abilità spesso manifestate dalle famiglie, perché esse possano essere riconosciute e sostenute nel ruolo di collegamento tra le principa-li istituzioni interessate, Sanità, Scuola, Comuni.Qual è la lettura di Omphalos sullo stato attuale dei servizi all’autismo nella Regione Marche?

nico vero. L’operazione che soggiace a questi tentativi di sclerotizzazione della pluralità, osserva Maalouf, non è in sé nuova: coincide con i meccanismi della difesa dell’identità tribale, che ha orro-re dell’estraneo e lo percepisce sempre come una minaccia. Oggi, dice lo scrit-tore libanese, viviamo in contesti in cui milioni di persone rischiano di regredire ad uno stadio tribale, agitati dai fanta-smi del nemico e tesi a recuperare idee che permettano di sentirsi parte di un gruppo ben definito e definibile. Lenta-mente, quindi, si disimpara ad accetta-re, o perlomeno ad avvicinare, il punto di vista dell’altro; si regredisce in un antiumanesimo, intrisi della paura del-la differenza, di una paura che, come benzina, può infiammarsi facilmente degenerando in comportamenti violen-ti. Ma, osserva Maalouf, prima ancora della violenza fisica, che è sempre una sconfitta dell’uomo, occorre temere la

Ci troviamo oggi di fronte ad un assurdo paradosso. Ben nove anni fa un’ammi-nistrazione regionale attenta su questo fronte ha pioneristicamente prodotto un progetto integrato socio-sanitario senza precedenti in Italia. “Autismo Marche”, in special modo con il suo sotto-progetto per l’età evolutiva, ha efficacemente av-viato una serie di risposte ai complessi bisogni di intervento e presa in carico dei giovani utenti affetti da autismo, anzitut-to con l’enorme pregio di garantire alta qualità ad un servizio pubblico, dunque ugualmente accessibile da tutte le fa-miglie indipendentemente dalle proprie condizioni economiche. Ma nonostante gli eccellenti risultati raggiunti, forse me-glio noti e apprezzati fuori regione che in casa, il progetto giace ancora in uno stato di allarmante precarietà. Mentre il sotto-progetto per l’età adulta frena di fronte a nodi sostanziali che non è affatto facile sciogliere, il centro sperimentale per l’età

violenza delle idee, ossia un’anticultura che permea nelle società, tarantolando-ne le reazioni e producendo il deleterio punto di vista dei “nostri”.

• Quali sono i percorsi che possono spin-gere ognuno di noi (occidentali e non) ad incuriosirci, a uscire dal nostro mondo (spesso angusto), a cercare di conoscere le ragioni e i punti di vista altrui?

Per vincere la barbarie e l’orrore del razzismo nazista, Etty Hillesum invita-va a tornare semplici come il grano che cresce e la pioggia che cade. Invitava a tornare all’immediatezza dell’umano, alla semplicità dell’esistere, abbattendo le tremende sovrastrutture che, a volte, la cultura è in grado di costruire. Tor-nare semplici. Un invito che possiede il retrogusto della profezia, di quell’ar-dore profetico di cui, oggi, l’uomo reli-gioso sembra non avere più necessità,

evolutiva dislocato presso l’ospedale San-ta Croce di Fano, al quale sono attribuiti compiti di valutazione, diagnosi e pro-grammazione degli interventi riabilitativi, ma anche di formazione degli operatori, opera ancora oggi sulla base di un finan-ziamento regionale rinnovato di anno in anno, vedendo impedita la stabilizzazione degli psicologi professionisti assunti con contratto di collaborazione a tempo. Dunque quali sono le azioni con cui Omphalos si impegna perché lo stallo sia superato?Da qualche mese Omphalos Onlus ha inol-trato più e più richieste formali di udienza ai titolari degli assessorati alla Sanità e al Sociale, entrambi coinvolti nel progetto “Autismo Marche”, senza ricevere alcuna risposta. Un silenzio assordante indegno e incomprensibile, che tristemente rivela come, nel troppo tempo trascorso senza che un progetto sperimentale riuscito venisse tradotto in un servizio regionale

perso tra i deliri del suo feticismo fon-damentalistico. Se un essere umano, attanagliato dall’orrore, può dire paro-le profetiche, dirette come uno sguar-do autentico e pulsanti di quella vita tremendamente vera di cui tutti siamo nostalgici, credo che, a maggior ragio-ne, ciascuno, nella propria mediocrità, possa sforzarsi di tornare a guardare il mondo con gli occhi innocenti delle alte idealità. Quelle alte idealità che, poi, a ben vedere, si traducono in scelte sem-plici, di rispetto, di accoglienza, di con-fronto, di contemplazione del mistero della differenza.

MARCO GALLIZIOLI insegna ´´Antropo-logia delle religioni´´ al Biennio di alta specializzazione in Scienze religiose dell´ Universita´ C. Bo di Urbino

consolidato e stabile, i soliti avvicenda-menti alle cariche amministrative hanno visto perdersi la memoria storica di una scelta, della sua ragion d’essere e della sua reale portata. La richiesta è anzitutto quella di attivare un Tavolo di concerta-zione a partecipazione integrata che si occupi quanto prima del percorso di re-definizione e stabilizzazione del progetto “Autismo Marche”. Omphalos si impegna ad utilizzare ogni canale di comunica-zione, sia cartaceo sia televisivo, perché l’opinione pubblica sia sensibilizzata sul rischio enorme di disattenzione che grava sui moltissimi giovani colpiti dai disturbi pervasivi dello sviluppo e di spettro auti-stico nella nostra regione. Non mancherà poi, nel corso delle prossime stagioni, di concretizzare una serie di eventi culturali volti a diffondere i contenuti più attuali dell’intervento riabilitativo per l’autismo, di grande complessità per l’interconnes-sione tra gli aspetti sanitari e quelli socio-educativi.

Omphalos: un’associazione di genitori contro l’autismo

Intervista al presidente Gianfilippo Di Benedetto di Sheila Roccheggiani

4Un nuovo giornale? Noi ci proviamo

Democrazia

La crisi delle democrazia rappresentativa italiana si può superare solo con la democrazia diretta

La rivendicazione di Democrazia Diretta non è antipolitica

Democrazia

di Italo Campagnoli

DEMOCRAZIA DIRETTA, due parole che sentiremo sempre più spesso,

che esprimono un concetto molto chia-ro, una conoscenza atavica che ci era sfuggita, una esigenza che riemerge pre-potentemente.Quando pensiamo alla democrazia ci viene in mente il sistema migliore che conosciamo per garantire a tutti la liber-tà di esprimersi e allo stesso tempo ci evoca la fregatura colossale e opprimen-te che ci sentiamo addosso come una camicia di forza imposta dalla politica dei partiti.Questo perché ci fermiamo alla parola democrazia e così limitiamo il nostro pensiero sull’argomento.Invece la democrazia ha tanti aspetti e tante forme; quella che oggi è più che mai in crisi è la DEMOCRAZIA RAPPRE-SENTATIVA, cioè quella formula che re-gola la nostra società, dove ogni singolo individuo vota un partito delegato a rap-presentarlo.È appunto quel sistema che non funzio-na più, perché abbiamo visto nel tempo quanta distanza oggettiva ci sia tra l’e-letto e l’elettore.Negli ultimi anni questa distanza è sta-ta volutamente aumentata e protetta da ulteriori regole limitative, come l’a-bolizione della preferenza che invocata per motivi opposti ha portato i partiti ad avere il potere di nominare loro stessi i rappresentanti dei cittadini.Ora che anche il centro destra parla di primarie, non oso pensare cosa si in-venteranno per ottenere esattamente il contrario di quello che significano e cioè elezioni per far decidere agli elettori i propri candidati…

Nemmeno la DEMOCRAZIA PARTECIPA-TIVA ci garantisce maggior partecipazio-ne nelle scelte, perché anche in questo campo sono stati inventati metodi e re-gole che giocano solo a favore di chi ge-stisce il potere e non di coloro in nome dei quali viene gestito.L’esempio più clamoroso è il referen-dum, dove la validità è legata al quorum, e con questo giochetto si cerca di limita-re la portata e l’efficacia dell’istituto re-ferendario. Quando riusciremo ad impor-re l’abolizione del quorum i referendum saranno molto più partecipati perché chi vuole o non vuole una certa cosa non po-trà andarsene al mare ma sarà costretto ad esprimersi.La democrazia è tale se c’è uguaglian-za politica tra i soggetti e per essere garantita ha bisogno di partecipazione effettiva, parità di voto, diritto all’infor-mazione, controllo dell’ordine del giorno, suffragio universale.Questi requisiti non sono mai garan-titi pienamente: nessun cittadino ha le stesse possibilità di farsi sentire nel merito e di partecipare direttamente alle decisioni come un eletto, il nostro voto personale non può essere espresso nelle assemblee degli eletti, l’informazione, in Italia in particolare, è ormai una chimera che va inseguita solo nei canali ancora non censurati del web, l’ordine del gior-no non lo possiamo certo imporre noi cit-tadini e nemmeno il suffragio universale è realmente garantito in un paese dove chi ci vive regolarmente non può votare se non ci è anche nato (e nemmeno se ci è nato se i genitori sono stranieri, perché vige lo Ius Sanguinis, non lo Ius Soli)Tendere a un modello ideale è possibi-le attraverso strumenti di DEMOCRAZIA DIRETTA, come già avviene da tempo in

più parti del mondo, ne citerò sommaria-mente alcuni solo per titoli:REFERENDUMIn Svizzera, come in altri paesi, si ricorre spessissimo ai referendum, si è arrivati a sistemi informativi e di voto molto avan-zati che consentono a tutti l’informazio-ne sugli argomenti e la partecipazione al voto, ma soprattutto sono senza quorum e di diverso tipo: obbligatorio, se il go-verno vuole modificare un articolo della costituzione; facoltativo se 50.000 cit-tadini raccolgono le firme per modificare una legge; propositivo se 100.000 citta-dini raccolgono le firme per proporre una nuova legge.Questo sistema ha tolto tantissimo po-tere ai partiti perché sono costretti ad ascoltare i cittadini. Tutti gli indicatori sociali confermano la positività di questa maggior partecipazione alle decisioni.AMMINISTRAZIONI LOCALIL’importanza degli strumenti di demo-crazia diretta è ben visibile a livello lo-cale dove le decisioni sono molto parte-cipate e sentite.Oltre all’uso dei referendum locali, solo negli Stati Uniti oltre 10.000 all’anno, ci sono tantissimi casi di Bilancio Parte-cipato o di Assemblee Pubbliche come nell’85% dei municipi svizzeri e in alcu-ne città tedesche.REVOCA DEGLI ELETTIÈ lo strumento democratico che permet-te agli elettori di allontanare e sostituire un amministratore eletto. È adottato ne-gli USA, Svizzera, Canada, Bolivia, Vene-zuela, Argentina, federazione Russa.FORMULA MAGICAÈ il nome della legge che impone alla co-alizione di governo svizzera di accogliere al suo interno il 38% di rappresentanti dell’opposizione.

Cito questa norma non tanto come stru-mento di democrazia diretta ma come indice di quanta strada è stata fatta in un paese con noi confinante, così vicino geograficamente e così lontano cultural-mente e politicamente. In Italia la recente vittoria referendaria e soprattutto il deprimente spettacolino di tutti quelli che hanno voluto salire sul carro, solo dopo il risultato, ci fa capire quanto sia necessario togliere ai partiti io sistemi di controllo sugli elettori e ridare a questi gli strumenti diretti per decide-re.Il dibattito è aperto, molte persone sono impegnate su questo tema; si appena svolta con conferenze in diverse città la settimana nazionale della democrazia diretta; a Rovereto, Bolzano, Vicenza e Jesolo si sono già avuti risultati signifi-cativi per i regolamenti municipali; non mancano fughe in avanti di chi insegue utopici progetti di liste partecipate strut-turate con estrema libertà di partecipa-zione e chi parla di democrazia diretta ma si fa comandare da insindacabili le-ader; insomma ce ne per tutti e tutto è utile per capire. Voglio chiudere con una ultima citazio-ne, ricordando l’appello di Don Andrea Gallo ad un vescovo perché si battesse per aggiungere ai sette un nuovo peccato capitale: l’indifferenza; ecco la Demo-crazia Diretta è un antidoto all’indiffe-renza sociale e politica.

Se volete saperne di più ci sono almeno due libri fondamentali che potrete acqui-stare anche on line:- Democrazia Diretta più Potere ai Citta-dini di Thomas Benedikter- Democrazia dei cittadini di Paolo Mi-chelotto

Un nuovo giornale? Noi ci proviamo 5

La partecipazione agli utili contro la politica della partecipazione

Se le “Partecipate” massacrano il welfare locale…

ne Mentale). Siamo partiti da Fenile con falcetto, roncola, falce fienara ed un arnese che il pensionato chiamava “marraccio” ed abbiamo “fatto la frat-ta” andando su fino a Roncosambaccio e riscendendo giù fino alla Gimarra. Saltuariamente, ma molto, molto ra-ramente, veniva a controllarci il can-toniere del comune titolare di quella zona di Fano. Ci raccontava del da fare tremendo che aveva un po’ dappertut-to, ci diceva quali strade fare nei giorni successivi e ci chiedeva dov’era il ra-gazzo del CIM. Che era quasi sempre a dormire sotto qualche albero… A tutti andava bene che facesse così, in fondo con una roncola in mano era più peri-coloso…Da allora sembrano passati secoli.

“La fratta” non si fa più con la roncola e il falcetto, ma con dei trattori con le lame rotanti come quelle di Goldrake.Il Comune non assume più dei can-tonieri per due mesi, né vi sono più i cantonieri del Comune. Il lavoro è sta-to esternalizzato, generalmente asse-gnato a società “partecipate” dall’ente locale che a loro volta spesso subap-paltano “la fratta” a ditte private.Il CIM ha cambiato nome e le persone con problemi di salute mentale lavora-no solitamente con le cooperative so-ciali, che non permettono che le per-sone assunte dormano sotto un albero, perché devono far quadrare i conti e perché assumere una persona e farla dormire sotto un albero non è integra-zione, ma emarginazione.Ma seppur con meccanismi diversi, da tempo immemorabile lo svolgimento di

alcuni lavori di utilità pubblica è stato, senza clientelismi, ma in base a leggi, normative e graduatorie, un ammor-tizzatore sociale, una valvola di sfogo, un’opportunità che le comunità locali piccole e grandi hanno avuto per far la-vorare qualche persona particolarmente problematica residente nel comune. Questa forma storica di welfare viene oggi massacrata e messa in crisi dall’ir-ruzione nel tessuto socio economico lo-cale delle “Partecipate”.Il referendum sull’acqua, la presa di coscienza di milioni di cittadini dell’importanza che le risorse pubbli-che rimangano in mano pubbliche ha messo oggi fortemente in crisi il mo-dello delle “Partecipate”, società in cui gli enti pubblici, pur detenendo la maggioranza delle quote, sono spesso succubi delle scelte dei soci privati. La grande domanda espressa dagli italiani di riacquisizione del ruolo del settore pubblico nella gestione dei beni co-muni deve prendere in considerazione anche questo aspetto forse un po’ tra-scurato: le opportunità di lavoro per le persone più svantaggiate che da sem-pre i lavori di pubblica utilità hanno offerto.Dalla costa all’entroterra, infatti, nella nostra provincia il bollettino di guerra su questo fronte è agghiacciante. Fino a pochi anni fa le cooperative sociali si sono sviluppate dando lavoro a centi-naia di persone svantaggiate, cercando lavoro sul mercato privato, ma soprat-tutto accedendo ad appalti degli enti pubblici. Da alcuni anni questa ten-denza si è invertita: dalla pulizia de-gli autobus, alla gestione dei parcheg-gi, dalla manutenzione del verde alla gestione di vari servizi, nella nostra provincia le società partecipate hanno progressivamente tolto commesse di lavoro alle cooperative sociali. Spesso i comuni hanno passato alla “parteci-pate” le competenze in settori per cui precedentemente si servivano di coo-perative sociali, che hanno mantenu-to il servizio, dovendo però abbassare i prezzi per dar da mangiare al nuovo intermediario (la partecipata).Le cooperative sociali, che per loro natura non perseguono il profitto, ma l’occupazione di persone svantaggiate, stanno facendo di tutto per non licen-ziare, ma verrà forse presto il giorno in cui i comuni si troveranno a far fron-te ad un’ingente spesa sociale impre-vista per la poco lungimirante delega di questa sottaciuta forma di welfare alle “partecipate”, in cui spesso van-no a finire esponenti politici “a ripo-so”, rimasti senza altre cariche, che non esercitano alcun controllo politico sulle scelte delle società, dominate da

Paradossale

una logica di profitto che se ne frega del welfare locale. Lo strapotere dei privati in alcune “parte-cipate” pregiudica ogni sviluppo del wel-fare locale legato ai lavori di pubblica utilità. Il caso più macroscopico è stato quello del mega appalto per la raccol-ta differenziata porta a porta nel Co-mune di Pesaro. Nonostante gli stessi amministratori avessero individuato in questa attività uno strumento strategi-co per dare lavoro a numerose persone svantaggiate residenti nel comune, la “partecipata”, dominata dal socio pri-vato, ha di fatto precluso alle coopera-tive sociali la partecipazione alla gara d’appalto ed oggi non una sola persona svantaggiate lavora in questo settore in grande sviluppo.In controtendenza solo il settore igiene urbana dell’ASET: lo sviluppo, seppur molto al rallentatore, della raccolta dif-ferenziata ed il servizio di ritiro di ri-fiuti ingombranti sono stati negli ultimi anni occasione di crescita per alcune cooperative sociali fanesi che hanno così creato occupazione per persone svantaggiate.In tempi di bilanci pubblici falcidiati e di tagli indiscriminati dei trasferimenti di fondi ai comuni e alle Regioni, gli amministratori locali dovrebbero seria-mente riconsiderare le scelte fatte e valutare se la logica del profitto perse-guita dalle “partecipate” non costitui-sca un ulteriore tassello nella direzione dello smantellamento del welfare.

Roncola

Falcetto

di Michele Gianni

Trent’anni fa, di questi tempi, ho fatto 2 mesi da cantoniere avventi-

zio con il Comune di Fano. Eravamo in 3: io, un vecchio pensionato di Rosciano e un giovane as-sistito da quello che allora si chiamava CIM (Centro di Igie-

falce fienara

marraccio

6Un nuovo giornale? Noi ci proviamo

Dal pil al bil: democrazia, partecipazione e cittadinanza

Intervista

La Tua Associazione

Yuri Kazepov è pro-fessore associato di Politiche sociali comparate all’U-niversità di Urbino «Carlo Bo», dove è

presidente del Corso di laurea spe-cialistica in Organizzazione e gestio-ne delle politiche e dei servizi sociali. È, inoltre, tra i fondatori di ESPAnet Europa, una rete di studiosi di poli-tiche sociali che promuove il dibat-tito interdisciplinare sulle politiche sociali.

L’ho incontrato e intervistato quale osservatore privilegiato sulle

questioni inerenti il welfare.

Professor Kazepov, visto che si occupa di analisi comparate delle politiche di welfare, vorrei iniziare l’intervista chiedendole una opinione sulla situazione Italiana rispetto al contesto europeo. Cosa pensa dell’eredità che il lungo periodo di governo del centro destra lascerà nell’ambito delle politiche sociali

Considerare le politiche sociali italiane in una prospettiva comparata ci deprime sempre un po’, soprattutto se la comparazione avviene con i paesi dell’Europa continentale o del nord. In questi paesi le erogazioni monetarie sono più generose, i servizi più ampi e articolati nonché più inclusivi. La capacità redistributiva delle politiche sociali, inoltre, è nel suo complesso medio alta. Da noi è vero tutto il contrario. Le erogazioni sono sempre al di sotto della media, i servizi scarsi e segmentati e l’accesso tutt’altro che universalistico (con qualche eccezione). L’impatto redistributivo, inoltre, è tra i più bassi d’Europa.

È questa l’eredità che ci lascia il centro-destra? Non proprio. La questione va compresa in una prospettiva storica di lungo periodo, considerando anche il fatto che l’Italia ha solo tentato – senza grande successo ahimè – di modificare la situazione che si è stratificata nei decenni post-bellici. Le politiche sociali erano strumento di scambio politico (basti pensare alle pensioni di invalidità) e hanno comportato complesse stratificazioni di benefici e servizi per gruppi e categorie di cittadini molto differenziati tra loro. Le riforme e i tentativi di riforma ci sono stati. Importanti sono sicuramente le riforme delle pensioni e alcune leggi molto innovative, tra cui la 328 del 2000, che dopo esser stata approvata è stata abbandonata a sé stessa. Detto questo, il centro-destra non è esente da colpe, anzi. Non solo non ha contribuito a dare corpo alle riforme, ma ha costantemente operato per destrutturare l’intero settore delle politiche sociali. Un caso limite – ma che è coerente con il libro bianco che racchiude tutta l’impostazione del centro-destra – è l’attribuzione della gestione della “nuova” social card (una forma di sussidio alla povertà che prevede per alcune categorie l’erogazione di cifre simboliche totalmente inadeguate per uscire dalla condizione di povertà) agli enti caritatevoli. È un passo indietro di oltre un secolo! Con ciò, non voglio dire che enti del terzo settore non siano soggetti importanti, anzi. Ma il pubblico deve svolgere un ruolo guida, un ruolo al quale lo stato sembra aver abdicato con conseguenze sempre più estreme sulla frammentazione territoriale e le diseguaglianze nell’accesso alle prestazioni, sia economiche che di servizi.

Partecipare alla vita della comunità significa impegnarsi, dare la propria

disponibilità, mettersi in gioco. Ciò, oggi è reso difficile sia dall’ egoismo e dall’individualismo imperanti nella nostra cultura, sia dalla difficoltà di trovare luoghi e spazi dedicati alla partecipazione e condivisione democratica. Che ruolo svolge la politica ….?

Dicevo prima che il terzo settore è un soggetto importante. Lo è da tanti punti di vista. Da un lato realizza la sussidiarietà, dall’altro canalizza la partecipazione dal basso verso il bene comune. Tuttavia, se il quadro politico-sociale è quello che ho delineato, allora il terzo settore svolge un ruolo molto particolare e difficile. Da un lato sopperisce alle mancanze della politica, si pensi a molti servizi per gli immigrati, dall’altro contribuisce a rinforzare le diseguaglianze territoriali del paese. Infatti, non ovunque il volontariato è attivo, innovativo, vigile, intraprendente…. dove lo è si consolida e istituzionalizza le relazioni con il pubblico. Dove non lo è…. spesso anche il pubblico non c’è. Paradossalmente le due situazioni si rinforzano vicendevolmente.Ho definito la situazione italiana con il termine di “sussidiarietà passiva”, intendendo con questo l’attribuzione di responsabilità che la politica delega alla comunità, al volontariato (ma anche alla famiglia) senza con ciò creare le condizioni per poter esercitare la sussidiarietà. In sintesi, si ha una delega senza risorse: le prestazioni erogate dal terzo settore non sono coperte da finanziamenti adeguati e vengono spesso (sempre?) utilizzate come elemento di flessibilizzazione della spesa pubblica. Le famiglie non hanno sostegni adeguati, né economici, né in termini di servizi e la spesa per politiche familiari in Italia è tra le più basse in Europa. Insomma, si sta realizzando il libro bianco, che vede la famiglia e la

società civile essere gli attori principali, delegando loro responsabilità spesso insostenibili e con conseguenze molto negative in termini redistributivi. Non è casuale che l’Italia sia tra i paesi europei più diseguali nella distribuzione della ricchezza. La comunità, la famiglia, il terzo settore cui si delega molto non sono istituzioni adeguate per contrastare le diseguaglianze strutturali. Esse micro-redistribuiscono, ma l’impatto di questo operato è molto basso.

Il filosofo Umberto Galimberti ha recentemente definito la nostra epoca del “nichilismo passivo” precisando che il futuro non è più una promessa per i giovani che troppo spesso si trovano a dire “che cosa possiamo fare?” Insomma, per il filosofo, una società che non investe sulle nuove generazioni non ha un grande futuro e la speranza diventano i giovani immigrati, ricchi di entusiasmo e di capacità di sacrificio.

Questa è una triste realtà, in particolare in Italia. E non si tratta solo di politiche sociali in senso stretto, ma di politiche in senso ampio, basti pensare alla scuola, all’università a quei laboratori formativi che contribuiscono a delineare le speranze dei giovani per il futuro. Si taglia nella scuola indiscriminatamente senza un chiaro disegno di riqualificazione, si taglia nelle università senza prospettare soluzioni ai problemi radicati di inefficienza e malaffare. E le famiglie in cui i giovani crescono non vengono aiutate, anzi vengono lasciate nella loro condizione di partenza. Allora non è casuale che l’Italia, dove la famiglia è un valore anche culturalmente radicato, ha avuto a lungo il tasso di natalità più basso del mondo (!).Che possiamo fare? È una domanda che non dovrebbero porsi solo i giovani, ma anche i politici italiani. Le risposte ci sono: permettere la conciliazione famiglia-lavoro, sviluppare servizi

Intervista a Yuri Kazepov di Claudio Bocchini

Libertà non è star sopra un albero,non è neanche il volo di un moscone,la libertà non è uno spazio libero,libertà è partecipazione

da Libertà, Giorgio Gaber 1972

Un nuovo giornale? Noi ci proviamo 7

concezioni di sviluppo e progresso ed orientarci verso nuove politiche sociali, più innovative e partecipate?

Potenzialmente potrebbe essere un’occasione, tuttavia ci sono elementi che rendono questa potenzialità molto fragile. Per esempio, l’Italia ha sviluppato negli anni 60-70 politiche molto segmentate che privilegiavano alcuni gruppi e non ha consolidato – come è avvenuto nella maggior parte dei paesi dell’Europa continentale – misure che attribuissero diritti (e doveri) a tutte le persone che si trovassero in una specifica condizione di bisogno. No, la condizione di bisogno era subordinata all’appartenenza a categorie o gruppi specifici. Si pensi all’accesso di misure di mantenimento del reddito. Dagli anni 70 ad oggi molte cose sono cambiate ma aver saltato una fase importante di consolidamento delle politiche sociali in una fase espansiva della spesa rende i processi di riorganizzazione in corso meno “attrezzati” per affrontare la crisi. Le fasce più deboli, i poveri, si trovano in una situazione di estrema frammentazione dei loro diritti a condizioni di vita minime. A Bolzano e Trento hanno più diritti che non a Cosenza o Enna e non è la loro condizione di bisogno a definire i diritti, ma dove vivono. Il federalismo nelle politiche sociali esiste da almeno un quarto di secolo.Le potenzialità insite nella crisi, che potrebbero essere l’occasione per ripensare e innovare le politiche sociali, si scontrano con questa fragilità intrinseca al sistema italiano. L’innovazione già c’è, la partecipazione anche, ma molto frammentata, in realtà molto circoscritte. Non potrebbe essere diversamente. Tuttavia, e questo rende il sistema italiano meno ‘attrezzato’, manca la possibilità di estendere gli effetti positivi di queste esperienze altrove, manca da un punto di vista istituzionale, dal punto di vista della capacità del sistema di ‘impararÈ. L’Italia vive con la contraddizione insita nella capacità di innovare e nell’incapacità di imparare da queste esperienze positive.

Pensa che uno sguardo diverso alla società ci permetta di cogliere meglio la realtà complessa e variegata delle situazioni di bisogno? Insomma, il passaggio dal Pil al Bil implica un grande salto anche culturale e cognitivo e ci chiama in causa tutti?

Sono convinto che guardare e studiare la società richieda sempre lenti molteplici e numerosi metodi. Non basta prendere un metodo e leggere i risultati. Saranno sempre parziali. Quello che negli ultimi 20 anni ho sempre cercato di fare è stato quello di mettere insieme i pezzi di un puzzle utilizzando prospettive diverse e metodi differenti. Dalle analisi longitudinali sulle dinamiche di fruizione dell’assistenza ad analisi istituzionali a studi sulle storie di vita delle persone in condizione di bisogno. Abbiamo bisogno di avere uno sguardo complesso su fenomeni complessi, come per esempio la povertà.Lo stesso accade con il passaggio dal PIL al BIL o ad altri indicatori e indici più complessi di benessere. Ci si è resi conto – oramai da un po’ di tempo per fortuna – che avere un PIL elevato non necessariamente corrisponde a un elevato grado di benessere. Ci vogliono altri elementi che completino la visione parziale del reddito con altri elementi di qualità della vita. È un passo avanti importante perché contribuisce a “costruire” la consapevolezza di un cambiamento che – nel tempo – può forse anche portare a cogliere le implicazioni politiche di certe politiche piuttosto che altre. Non voglio sembrare eccessivamente ottimista, ma guardare con occhi nuovi ai problemi è una condizione necessaria al cambiamento. Certo non è sufficiente.

Se utilizziamo indicatori di benessere alternativi al PIL la Regione Marche migliora la propria posizione nel confronto nazionale, quasi a proporsi come modello. La Provincia di Pesaro e Urbino si presenta come un territorio “felice”. Possiamo, dunque, stare tranquilli che le cose da noi vanno meglio?

Non credo che possiamo stare tranquilli, anzi proprio perché abbiamo

Intervista

sperimentato che le cose possono funzionare anche diversamente e bene, dobbiamo essere più vigili, critici e consapevoli dei problemi che anche all’interno della nostra regione e nei nostri territori ci sono. È vero ci sono eccellenze, ma le Marche sono in Italia e condividono con il livello nazionale numerosi dei problemi che ho illustrato precedentemente. Questi problemi non si risolvono a livello regionale e tantomeno in una situazione di tagli come quella attuale. Il punto è innovare, ma non lasciare che l’innovazione sia un’esperienza isolata ed elitaria. Bisogna riuscire dalle specificità e fare sistema. Può sembrare uno slogan e pura retorica – e nella maggior parte dei casi lo è – il nodo è, tuttavia, proprio questo superare la frammentazione degli interventi, garantire diritti e doveri e sviluppare modelli flessibili che rispondano alle esigenze reali dei territori in un quadro che garantisca condizioni di vita decenti. I LEPS (i livelli essenziali delle prestazioni sociali, ndr) aiuterebbero ma, pur essendo previsti da oltre 10 anni, non sono ancora stati approvati e c’è il rischio concreto che riproducano la frammentazione esistente.Nel quadro attuale di diffusione della sussidiarietà nelle politiche sociali, il livello regionale e locale diventano, dunque, di fondamentale importanza. Il problema è quando gli attori della sussidiarietà, che sono le famiglie, il terzo settore, le associazioni di volontariato si trovano di fronte a una delega di responsabilità che le travolge perché lo stato si ritira. Questo va evitato. Il pubblico non deve abdicare il proprio ruolo di indirizzo nel perseguimento del bene pubblico. Può perseguirlo con questi ‘nuovi’ soggetti, ma in un quadro che garantisca diritti (e doveri) e non dia una ‘delega in bianco’ che non farebbe altro che riprodurre le diseguaglianze esistenti.Quindi, ben vengano i laboratori della felicità, ma poi le riflessioni devono tradursi in pratiche.

educativi. Ci sono esperienze all’avanguardia, ma non si va mai al di là della sperimentazione localizzata. Il problema per l’Italia è garantire servizi a qualità omogenea (medio-alta) sul territorio nazionale.

Un altro filosofo Remo Bodei ha affrontato recentemente il tema dell’identità contestandone la definizione di chiusura che può giungere fino alla xenofobia e rileggendola, al contrario, come un elemento di apertura e di confronto “simile ad una corda da intrecciare: più ci sono fili più l’identità individuale e collettiva si esalta”. Mi sembra una bella prospettiva su cui lavorare.

Identità implica sempre distinguersi dall’altro, ma il problema non è tanto la distinzione quanto il fatto che questa distinzione faccia differenza. Gli esseri umani sono tutti diversi, ma questa diversità non deve diventare la base per la discriminazione. Il rapporto tra individui e collettività è come il rapporto tra famiglia e stato o tra enti locali e stato nazionale. Ci deve essere quell’intreccio di cui parla Bodei, un intreccio che deve caratterizzare anche un giusto equilibrio da politiche passive e politiche attive, tra diritti consolidati e partecipazione dal basso.Questo cosa significa praticamente? Significa per esempio che le politiche devono sostenere la partecipazione dal basso, ma al tempo stesso devono garantire diritti uguali a parità di condizioni di bisogno. Devono permettere gradi di flessibilità tali da consentire di rispondere adeguatamente a condizioni diverse ma, al tempo stesso, evitare la frammentazione e categorizzazione delle prestazioni. Significa anche delegare responsabilità, ma anche allocare risorse per rispondere adeguatamente a queste responsabilità. Gli assegni familiari dovrebbero andare a tutte le famiglie con figli e non solo ai lavoratori dipendenti.

Restiamo all’oggi, questa crisi, così grave e persistente, potrebbe ancora diventare una occasione per ripensare le nostre

8Un nuovo giornale? Noi ci proviamo

di Andrea Bramucci

Tempo d’estate! Tempo di vacanza, di ferie, di relax. Tempo in cui ci conce-diamo di essere più leggeri, un po’ più spensierati abbandonando, almeno per un po’, le preoccupazioni e i problemi. Quando questo giornale uscirà avremo già raggiunto il mese di agosto e tante persone, forse i più, saranno al mare o in montagna, con parenti o amici, a trascorrere un tempo contrassegnato dalla possibilità di uscire dagli schemi e dai doveri della stagione lavorativa.Provo, tuttavia, tra il serio e il faceto, a stendere un elenco di parole e si-tuazioni che non vanno in ferie e che continuano ad accompagnarci anche nella stagione estiva. Alcune di que-ste parole sono da prendere sul serio e rimandano a condizioni esistenziali difficili; altre parole sono più light e in linea con l’atmosfera estiva, altre parole ancora ci permettono una breve riflessione partendo dal tema dell’e-state.

A come AlzheimerMalattia degenerativa di cui ancora non si sa molto e che colpisce soprattutto la popo-lazione anziana. Chi vive accanto ad un malato di Alzheimer

vede il progredire della patologia con la perdita progressiva, a volte lenta ma sempre inesorabile, delle sue funzioni vitali.Come si fa ad andare in vacanza con un congiunto in tale condizione? Ci si affi-da alle badanti, si cerca di organizzare tutto per non far mancare nulla al pro-prio caro/a così gravemente ammalato. Si va via, se ci sono le possibilità, con sensi di colpa, con il telefono sempre alla mano e con tante preoccupazioni...

B come BambiniL’estate è la loro sta-gione. Finita la scuo-la, finalmente il mare, la spiaggia, i giochi e il permesso di andare a letto più tardi. Non so voi, ma le mie esta-

ti più belle rimandano alla mia infanzia e adolescenza quando subentrava quel “dolce non far nulla” dei lunghi pome-riggi estivi... Oggi è ancora così? Oppu-re nonostante l’estate i bambini devono fare i compiti estivi, devono andare a fare la gara sportiva, devono fare il cor-so d’inglese, devono, devono, ...ma la-sciamogli vivere la loro infanzia in pace, lasciamoli andare in ferie!

C come CaniPer i cani l’estate è uguale a caldo boia. Loro possono suda-re solo dalla lingua e così li vedi ansimare agli angoli delle stra-de... e, specialmente

in alcuni casi, il padrone ( o la padron-cina) tirano il loro cagnolino perché non gli/le faccia fare brutta figura. Ma lui, il cane, è lì a ricordargli che in fondo lui è ...un cane appunto e da tale vuole vivere, con la lingua di fuori perché ...è un caldo boia!p.s. i cani vanno in ferie? credo che cer-chino di accontentare i loro padroni!

D come DenaroSiamo ossessionati dal denaro, soprattutto in questi ultimi tempi. Ci basterà? Sarà suffi-ciente per soddisfare tutti i bisogni, o anche i falsi bisogni, a cui

siamo abituati? La crisi economica, or-mai endemica, assilla i nostri pensieri. Le ferie sono un periodo di spesa, lo sap-piamo: senza soldi, nessuna vacanza, e tante persone quest’anno rinunceranno, proprio per mancanza di denaro.

E come Economia...e, proseguendo il di-scorso, ci mancava solo l’ultima iniqua manovra economica che, forse, ci fa fare una bella figu-ra con l’Europa e il Fon-do Monetario Interna-

zionale, ma ci diminuisce ancora più il nostro, una volta si diceva, potere d’ac-quisto. E se al posto del dio “economi-co” cominciassimo a mettere le persone con i loro bisogni? (possibilmente quelli veri e non quelli falsi) Troppo utopistico, non succederà mai!Se vuoi continuare ad arrabbiarti vai su-bito a leggere P come Pensioni.

F come FelicitàTra maggio e giugno la Provincia di Pesaro e Ur-bino ne ha sponsorizzato un festival. Anche io ho dato il mio piccolo contri-buto. Ma al di là dei fe-stival, che ormai si fanno

per tutto, provate a chiudere gli occhi dicendovi: che cos’è per me la felicità, provate a immaginare che forma ha la vostra felicità, provate a stare con le emozioni che ne scaturiscono e che vi invadono...Ecco concedetevi un po’ di tempo, forse potete dare un po’ di spazio alla felicità!

G come GossipUna volta si chiama-vano pettegolezzi, ma adesso si dice così. Ci sono tanti tipi di gos-sip: relativi ad attori, calciatori, cantanti, starlette, divi dello

spettacolo, altri personaggi più o meno conosciuti. Ci sono gossip locali, pesa-resi, fino a quelli che riguardano i vicini di ombrellone. Oggi anche la politica, quella con la P maiuscola, si nutre qua-si solo di gossip che spesso assume un colore e un aspetto fangoso... ...dal mio

punto di vista è meglio non dare al gos-sip troppa importanza...una battuta e una risata sotto l’ombrellone. Per tutto il resto (come dice una nota pubblicità) c’è la magistratura.

H come HandicapPer gli utenti disa-bili e per le loro fa-miglie l’estate non è detto che sia un bel periodo. La disabi-lità non va in ferie, mentre i servizi e

gli operatori scarseggiano. E così l’han-dicap raddoppia: la disabilità e in più la difficoltà a trovare aiuto concreto da parte di qualcuno. (vedi la voce Q come Qualcuno).

I come immondiziaL’immondizia non va in ferie! Anzi l’estate porta con sé mia-smi e fetori tipici della stagio-ne. Lo smaltimento dei rifiuti sta diventando un problema globale. Non illudiamoci che la nostra, la provincia bella!,

sia un’isola felice! Certo non abbiamo l’ emergenza di Napoli, ma forse occorre guardare più avanti. Cominciare a cam-biare il nostro modello di sviluppo per non ridurci a trasformare le risorse na-turali in immondizia, al contrario valo-rizzando sempre più quest’ultima come risorsa e cercando di produrne sempre meno.

L come LavoroCosa succederà a settem-bre? Questa domanda, base di molti tormento-ni televisivi, sta in realtà assumendo toni dramma-tici. Lavoro che non c’è, lavoro pagato male, lavo-

ro in condizioni molto disagiate...spesso per ottenere o meglio strappare un mi-sero lavoro è una lotta tra poveri...

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Ci sono imprese chehanno fatto la storia...

...quella delle nostre Imprese!

Alfabeto per l’estatePersone e situazioni che non vanno in ferie

Tempo di ferie

Un nuovo giornale? Noi ci proviamo 9

M come Migranti...e tra questi nuovi poveri in primis i migran-ti - tra parentesi anche loro non vanno in ferie, perché, per es-

sere cinici, le hanno già fatte! – disposti a tutto pur di inserirsi in qualche modo nel nostro, pur sempre, nonostante la cri-si, mondo pasciuto. Ma occorre guardarci meglio dentro al fenomeno immigrazio-ne, uscendo dal cinismo e dal buonismo a tutti i costi, facendo opportuni distin-guo ed entrando nelle diverse situazioni personali. Tante storie si intrecciano, tan-ti mondi si scontrano. In una mia recente visita a un C.A.R.A. (Centro Accoglien-za Richiedenti Asilo) nel Sud Italia, ho potuto vedere, di sfuggita, un mondo a parte, di cui i tg e le tv non parlano...Cal-do, baracche di ferro, sporcizia, militari sfiniti, desolazione: a me è sembrato un girone dell’inferno!

N come NotizieLe notizie appunto...anche le notizie non vanno in ferie. Ma oltre alle notizie coc-codrillo (uso questo termine in relazio-ne non alla morte di

qualcuno, ma di servizi già preconfezio-nati: per esempio le fontane di Roma prese d’assalto dai turisti per refrigerarsi dal gran caldo!) cosa ci propone-propina il duopolio Rai-Set? Ben poco. Per for-

tuna c’è internet, per chi lo sa e lo può usare, e qualche testata giornalistica, si ma quale?

O come OspedaleD’estate è spesso l’u-nico presidio sempre aperto in assenza, per ferie o altro, di altri ri-ferimenti sanitari. Tal-volta ci si rivolge all’o-spedale senza un reale

bisogno sanitario ma più per essere tran-quillizzati, confortati; ma non dobbiamo dimenticarci che per molte persone l’e-state, e agosto in particolare, corrispon-de a silenzio e solitudine, che può anche trasformarsi in disperazione.

P come PensioniDopo tante riforme, leggi e leggine credo che il modo migliore per risolvere il proble-ma pensioni sia quello di fare delle “ riffe”, delle “ lotterie” (d’al-

tronde mi spiegate cos’è Win for life?) a cui su diecimila partecipanti, uno avrà una pensione decente. Personalmente so già che non avrò una pensione, ma siamo sicuri che vada bene così? ...e i nostri figli? Quien sabe dice Tex Willer ...ma un ranger risolverebbe la questio-ne in un altro modo...tranquilli, siamo in estate e come si sa il calore fa la sua parte...

Q come QualcunoL’estate fatta di rumo-ri, musica, feste river-bera l’assenza. A volte tutti avremmo bisogno di qualcuno vicino, a volte qualcuno ha più bisogno di quel qual-

cuno...che magari è in ferie!

R come RicoveroChe aria si respira nei ricoveri per anziani d’estate? Triste? È dire poco...forse nessuno di noi vorrebbe finire così...

S come SessoIl sesso in estate è par-ticolarmente attivo! Gli stereotipi e il mostrarsi di corpi e atteggiamen-ti sessualmente rive-lanti è, come si dice, sotto gli occhi di tutti!

Un dubbio: quel che si vede corrisponde a quel che si fa? Io resto nel dubbio...

T come TossicomaniLa tossicodipendenza non fa più notizia. Fini-ta la stagione del grande impegno degli anni ‘80 e ‘90, oggi si tende a “ge-stire” (parola orribile!) il fenomeno e forse tanti

fallimenti hanno piegato la motivazione di operatori e servizi. Ma il tossicodipenden-

te non va in ferie, anzi è proprio d’estate che si attiva di più, è proprio d’estate che ripartono le illusioni e aumenta il consu-mo di sostanze..che fare? Parliamone.

U come Uomo“Siamo uomini o caporali?” chiedeva Totò. Oggi più che mai possiamo chie-derci cosa distingue il genere umano, cosa lo qualifica. Fe-

rie o non ferie, che ci piaccia o no, siamo partecipi di una condizione umana. In epoca di punteggi e classifiche sarebbe interessante fare una graduatoria di chi può corrispondere di più ad un “essere umano” senza dover dimostrare qualcosa!

V come VitaAl di là di tutto l’estate è piena di vita!...voglio raggiungere tutti co-loro che non vanno in ferie e mandare loro un forte abbraccio e dir-gli: “Il sole (ma anche

la pioggia) è lì anche per te!”

Z come ZanzareLe zanzare non vanno mai in ferie: specialmen-te d’estate! Se come si dice è importante impa-rare dai propri avversari, le zanzare ci insegnano tante cose. Un esempio:

essere insistenti!

Tempo di ferie

10Un nuovo giornale? Noi ci proviamo

studenti, dei liberi docenti, dei politici, dei costruttori, dei commercianti, delle commesse, delle cassiere, degli operai, degli artigiani, degli industriali, dei contadini e dei cavolfiori.La città di Fano non poteva sopportare questa onta e fece trasferire nel centro storico l’università di Bellocchi. Ma Bellocchi allora reclamò qualcosa di molto più dirompente dell’Università: la scuola media! Ed i politici venuti da Bellocchi vollero umiliare la città capoluogo ed il suo anacronistico teatro della Fortuna, promettendo l’edificazione di un auditorium da 3500 posti! E così Bellocchi, l’unico luogo al mondo dove ci sono i cantieri navali ma non c’è il mare, divenne il paese dei teatranti, dei musicisti, degli insegnanti, dei bidelli, degli studenti, dei liberi docenti, dei politici, dei costruttori, dei commercianti, delle commesse, delle cassiere, degli operai, degli artigiani, degli industriali, dei contadini e dei cavolfiori.

E tutta questa gente cominciò allora a costruire una torre: la torre di Babellocchi! Ma dopo un po’ ognuno cominciò a parlare una lingua diversa: teatranti, musicisti, insegnanti, bidelli, studenti, liberi docenti, politici, costruttori, commercianti, commesse, cassiere, operai, artigiani, industriali, contadini e cavolfiori parlavano ognuno una sua lingua; la costruzione della torre andò avanti 10 anni senza che nessuno si ricordasse più perché era stata intrapresa, se per farci un centro commerciale, una banca, un centro direzionale… finchè a qualcuno venne in mente che a Bellocchi mancava ormai una sola cosa di cui la spocchiosa città di Fano era piena: un albergo! Fu così che la torre divenne un albergo, ai piedi del quale fu allestita una spiaggia di sassi ed una spiaggia di sabbia. E Bellocchi, l’unico luogo al mondo dove ci sono i cantieri navali ma non c’è il mare, divenne il primo luogo al mondo dove c’è la spiaggia, ma non c’è il mare…

di Michele Gianni

C’era una volta nei pressi di Fano una grande distesa di cavolfiori che

circondava una piccola frazione con le strade dai buffi nomi che evocavano l’America: prima strada,seconda strada, terza strada erano i nomi delle vie di Bellocchi, paese di contadini e cavolfiori.Poi vennero le industrie, le fabbriche, i cantieri navali, e Bellocchi, l’unico luogo al mondo dove ci sono i cantieri navali ma non c’è il mare, divenne il paese degli operai, degli artigiani, degli industriali, dei contadini e dei cavolfiori.Poi vennero gli Iper… Gli iper mercati, gli iper brico, gli iper diverso, gli iper cinema, gli iper metropi, che sono grandi magazzini di occhiali… E Bellocchi, l’unico luogo al mondo dove ci sono i cantieri navali ma non c’è il mare, divenne il paese dei commercianti, delle commesse, delle cassiere, degli operai, degli artigiani, degli industriali, dei contadini e dei cavolfiori.Poi vennero le lottizzazioni e le case perché tutta quella gente doveva pur abitare da qualche parte… e Bellocchi, l’unico luogo al mondo dove ci sono i cantieri navali ma non c’è il mare, divenne il paese dei costruttori, dei commercianti, delle commesse, delle cassiere, degli operai, degli artigiani, degli industriali, dei contadini e dei cavolfiori.Ma chissà com’è, dove arrivano i costruttori arrivano sempre anche i politici e le più alte cariche della città di Fano vennero da Bellocchi, l’unico luogo al mondo dove ci sono i cantieri navali ma non c’è il mare, che divenne il paese dei politici, dei costruttori, dei commercianti, delle commesse, delle cassiere, degli operai, degli artigiani, degli industriali, dei contadini e dei cavolfiori.Fu allora che a Bellocchi fu aperta l’università, che da oltre duecento anni mancava dal territorio del Comune di Fano. E Bellocchi, l’unico luogo al mondo dove ci sono i cantieri navali ma non c’è il mare, divenne il paese degli

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La torre di BabellocchiDai cavolfiori al cielo

La nutriaÈ un incrocio tra un topo ed un castoroo tra una talpa e una penticanaè proprio brutta, ma è una bestia stranaquella che tra canneti, siepi e alloro

tra un bagno nel canale ed un traforonegli argini che sono la sua tanadà spettacolo alla gente che sgranagli occhi osservandola intenta al lavoro.

Sfuggite ai pellicciai ed ai conciapellile nutrie han cominciato a frequentarei corsi d’acqua delle nostre città.

Volpi argentate, visoni e cincillàche l’uomo non ha smesso di scuoiarerimpiangono di esser così belli.

L’invito a mandare sonetti è stato raccolto da un lettore che ha mandato non un sonetto, ma una poesia ispiratagli dai ragazzi di “Casa Giona”, dove l’autore ha fatto volontariato.

Matti da amareMatti da amare, malati non certo immaginari,disagiati mentali da aiutare,son sempre uomini come noi.Fra queste genuine personeci sono dei grandi amici speciali.Possono confondere il giorno con la nottema non sono dei bambini,possono piangere e subito dopo ridere,ma son sempre adulti,possono non capirci quando parliamo loro,ma basta un gesto per intenderci,a volte siamo noi che non comprendiamo,ma il vero dialogo è il sorriso e un abbraccio.Sono ragazzi, sensibili, teneri e allegri.Come tutti amano, s’innamorano e si commuovono;sono altruisti, quasi mai gelosi,magari un tantino permalosiper nulla invidiosi.Basta un niente per offrir loro del calore.Ci vuole un po’ di affetto per renderli feliciVedono in due mondi,ma sanno vivere,viaggiano in universi paralleli,ma sanno incontrarsiQuesta sera, come per tutte le altre,sono loro i migliori amici che abbiamo.

(primavera 2009) Roberto Terenzi

Da secoli il sonetto racconta e commenta avvenimenti d’attualità. Avete anche voi dei sonetti? Inviateli a: [email protected]

Bellocchi

Un nuovo giornale? Noi ci proviamo 11

Antonio, 18 anni, è appena tornato dal Cile dove ha fatto il 4° anno di supe-riori .Questo tipo di esperienza è reso possibile dall’attività dell’ONG “Inter-cultura”.

Tu hai fatto questa esperienza che è ab-bastanza inconsueta in Italia, per lo meno nella nostra zona. Ti risulta che dove sei andato questa possibilità di “scambio” sia più conosciuta e praticata?Sicuramente è conosciuta da tutti. Però non è molto praticata, credo sia soprat-tutto per ragioni economiche. Io sono stato a Valdivia, una città di 200.000 abitanti situata 800 KM a sud di San-tiago. Nella mia scuola quest’anno era-vamo solo 2 stranieri, io e una norvege-se. Però ogni anno ricevono ragazzi da altre parti del mondo.Hai trovato difficoltà in Italia, nella tua scuola, a far accettare questo percorso?La scuola mi è sembrata contenta di questa novità.Che hai fatto in Cile?Ho vissuto in una famiglia che mi ha accolto ed ho frequentato la quarta su-periore. Era una scuola privata.Concretamente cosa vuol dire?Che tutti gli alunni dovevano pagare una iscrizione abbastanza costosa.In Italia, in gran parte dei casi, le scuole private le fanno i ripetenti perché è più facile essere promossi… Invece la situa-zione in Cile è diversa?È diversa perché le scuole private sono quelle che ti danno la formazione ne-cessaria ad iscriverti alla Università. La scuola pubblica no. Non che l’acces-so alla Università sia chiuso a chi fa la scuola pubblica, ma c’è un esame di ammissione. Le scuole che preparano meglio per questo esame sono private.Quindi hai conosciuto una realtà limitata.Effettivamente a scuola e nella quoti-dianità sono stato solo insieme a gen-te di una certa classe sociale. Natu-ralmente ho conosciuto gente di ogni estrazione, ma i legami più stretti, le-gati alla scuola, sono stati solo con per-sone di un ceto benestante.Questa situazione di prevalenza della scuola privata è accettata in Cile?Nei giorni in cui sono partito dal Cile c’era una mobilitazione generale in tut-te le scuole pubbliche e nelle univer-sità, che erano occupate. Il 90% degli universitari, anche quelli delle univer-sità private, hanno aderito alla prote-sta. Nella mia scuola, che era privata, è stato dato il permesso agli studenti di partecipare alle manifestazioni ester-ne, con l’uniforme della scuola. Nei mesi scorsi in Italia si è parlato un po’ anche della questione di una centrale idroelettrica progettata nella Patagonia Cilena. È anche passata da Fano un ve-scovo cileno a raccontarne.Si il governo ha promosso il progetto “Hydro Aysen” di una centrale idroe-

lettrica con 5 grandi dighe sui fiumi nel pressi di Puerto Aysen, nel Sud del CIle. C’erano 2 punti critici: il primo è che chi avrebbe gestito l’energia non era una ditta cilena, ma italiana, era l’ENEL. L’altro punto critico era che l’energia sarebbe stata portata a San-tiago, quindi a circa 3000 Km di di-stanza! Questo voleva dire costruire un elettrodotto che sarebbe passato con i suoi piloni per almeno 20 parchi na-zionali e riserve naturali incontaminate fino ad ora. Dopo molte manifestazioni e proteste il progetto è stato sospeso.Hai conosciuto indios?Si, ho conosciuto dei mapuchesChe lingua parlano?La lingua Mapungùn. Nelle regioni Ma-puche c’è il bilinguismo. Però la gente Mapuche ha quasi ver-gogna del proprio cognome; anche se essere Mapuche dà loro molte agevola-zioni, come borse di studio, tendono a nasconderlo… C’è stato uno sciopero della fame dei Mapuches perche con-

tro un gruppo di loro che ha occupa-to le terre si sta applicando una legge della costituzione di Pinochet per cui sono considerati terroristi per essersi riappropriati delle terre che sono state loro sottratte. Gli occupanti di terre sono stati incar-cerati come terroristi ed hanno avviato uno sciopero della fame che suscitato grande solidarietà.Si parla del golpe, di Allende, di Pino-chet?La mia impressione è che a scuola sia un argomento tabù. Non se ne parla. Nella famiglia in cui vivevo se ne parlava molto, si raccon-tava molto. Per molta gente è un argo-mento tabù.È vero che ogni volta che si parla di Ber-lusconi all’estero si fanno delle risatine? Succede anche in Cile?Per fortuna molti non sanno chi è Ber-lusconi. Però capita spesso, che se vie-ne fuori il nome di Berlusconi la gente faccia delle risatine…

Cosa ti lascia questa esperienza?Un bagaglio culturale molto più ampio di quello con cui sono partito. Aver vi-sto posti nuovi , gente diversa, culture diverse. E anche gente che son conten-to di aver conosciuto e cose che son contento di aver fatto.Tu suoni. Pensi che stare un anno in CIle abbia influenzato il tuo modo di suonare?Probabilmente si. Comunque suonando con gente di là, anche quando la musica ormai è glo-balizzata e universale ho assimilato un modo diverso di suonare. Comunque credo che dipenda più dalla gente con cui ho suonato, dal gruppo, più che dal paese in cui son stato…Consigli ai tuoi coetanei un’esperienza a del genere?Senz’altro. Intercultura fa una selezio-ne molto attenta e penso che sia giusto che la faccia, perché non è un’espe-rienza facile e probabilmente non tutti sono pronti a farla. Chi non è pronto può avere dei momenti difficili.

Antonio, il 4° anno di superiori all’esteroDagli Appennini alle Ande e Ritorno

Intervista

Deserto di sale di Atacama

cimitero di Santiago

Mapuche in sciopero della fame

Un guanaco nel sud del CIle memoriale vittime del golpe - cimitero di Santiago

fiaccolata contro la centrale Hydro Aysen

Sincretismo: una donna mapuche prepara la “sopaipilla” con la macchina per le tagliatelle

12Un nuovo giornale? Noi ci proviamo

Non appena si sono vinti il referen-dum è iniziata la lettura “interpre-

tativa dei risultati”, le nostre organiz-zazioni del non-profit e della cittadi-nanza attiva che,soprattutto su quello dell’acqua,sono state tra i promotori ribadiscono che il futuro dell’acqua lo scegliamo tutti assieme. Le politiche pubbliche sui beni comuni o sono par-tecipate o non sono politiche pubbliche questo abbiamo voluto dimostrare con i referendum, con la raccolta di firme prima e con il voto successivamente.Ora la volontà espressa dal popolo so-vrano va rispettata concretamente que-sto chiediamo alla politica e per questo occorre ripartire dalla legge di iniziativa popolare presentata nel 2007 dai Fo-rum dei movimenti per l’acqua che è stata sottoscritta da 400.000 mila ita-liani e che una classe politica che spes-so colpevolmente ignora quanto avviene fuori dal Palazzo.Il testo, che porta il titolo “Principi per la tutela, il gover-no e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicazione del Servizio idrico” è stato sottoposto alla discussione collettiva e definitivamen-te approvato nell’assemblea del Forum del Movimenti per l’acqua il 7 ottobre 2006 a Firenze ed è stato al centro di una campagna nazionale di raccolta fir-me in tutto il paese.Le Acli concordano con la proposta avanzata ieri al simposio su etica ed economia tenutasi presso la Pontifi-cia Accademia delle Scienze di Roma dove si è indicato il bisogno del talen-to imprenditoriale nella gestione dei beni comuni come l’acqua e l’energia con un patto con il pubblico e la so-

di Maria Chiara D’AmicisAssistente sociale di Casa Paci

La nostra idea è stata proprio questa 6 anni fa quando cominciammo ad

organizzare incontri culturali e ricreativi nello splendido giardino di Casa Paci; mi domandavo quanti cittadini di Pesa-ro fossero a conoscenza di questa strut-tura, non troppo piccola, di colore giallo alle porte della città e che accoglie de-tenuti; io stessa, pesarese doc, prima di quel primo colloquio di lavoro, non ne avevo alcuna idea. La verità (ho imparato) è che spesso il pregiudizio è solo figlio di scarsa infor-mazione o più semplicemente è chiaro che, escludendo magistrati, polizia pe-nitenziaria operatori del sociale, e per-

cietà civile. L’alternativa per la gestione dell’acqua pubblica è a parere di molte Associazioni promotrici del referendum, l’affidamento della gestione ad organiz-zazioni non finalizzate al profitto e che quindi meglio possono attuare i principi cardine della legge.La proposta è di far partire una speri-mentazione sul modello del Galles dove quei cittadini delusi dalle privatizzazioni degli anni Ottanta crearono un’impresa sociale che ora gestisce tutto il servizio idrico. Una sperimentazione controllata è a nostro parere la soluzione che ri-

sone sottoposte a misure giudiziarie….ditemi voi chi spontaneamente e per cu-riosità può pensare di fare visita a Casa Paci; Così organizzammo il primo cineforum sotto le stelle aperto alla cittadinanza ed ogni anno a seguire incontri di poe-sia, di musica, spettacolo e magia, devo dire grazie al sostegno e alla partecipa-zione di circoli culturali pesaresi che e di persone umanamente e culturalmen-te ricche che hanno scelto di dedicare a Casa Paci tempo ed energia.L’8 luglio scorso abbiamo fatto festa. Casa Paci e le due Comunità terapeuti-che di Gradara insieme per un pomerig-gio di teatro e musica.Gli ospiti della ct di Gradara hanno in-scenato uno spettacolo teatrale dal ti-

lanciamo ai nostri Amministratori locali.Ma non solo i Gallesi hanno intrapreso questa strada in Alto Adige da quasi cent’anni l’acqua potabile di San Mi-che Appiano a sud di Bolzano è gestita da una cooperativa. Le coop dell’acqua sono inoltre presenti in oltre trenta altri centri di tutta la provincia. Il mutuali-smo è un principio fortemente valoriz-zato nella Caritas in Veritate la quale insiste che in una economia complessa è globale non può più essere lo Stato o il pubblico da solo a occuparsi dei beni comuni, una sana gestione ha infatti bi-

tolo “pinocchio forever”. Lo spettacolo non è stato che il risultato finale di un lavoro fatto all’interno della comunità con il supporto della compagnia teatra-le di Gradara ,un connubio perfetto di teatro ed esperienze personali che gli attori hanno regalato ad un pubblico numeroso mettendo a nudo indubbia-mente le proprie attitudini artistiche e le proprie fragilità profondamente uma-ne. Come Pinocchio ogni essere umano può essere portato per circostanze o fe-rite o vicissitudini di vita ad allontanarsi dalla verità, dall’amore verso se stesso e verso gli altri, ma allo stesso modo può riscoprire le proprie capacità, i valori e la forza di “ricominciare” anche con l’a-iuto di qualche “grillo parlante”.Dopo lo spettacolo è stato offerto ai par-

sogno del talento imprenditoriale senza che questo sia finalizzato al profitto da attuarsi con un nuovo patto sociale con la società civile.

Acli Provinciali Pesaro-Urbino

tecipanti un ricco buffet preparato ed allestito dagli ospiti di Casa Paci , dieci per la precisione (tale è la ricettività del-la struttura), accompagnato dalla musi-ca dell’orchestra “Le Belle Epoque” che ha allietato il centinaio di persone pre-senti con un repertorio di musica allegra dagli anni 60 ad oggi.Arrivederci all’estate prossima e per chi volesse conoscere in modo più appro-fondito la struttura può contattarci tutti i giorni e prendere un appuntamento con gli operatori. Casa paci riceve ogni anno centinaia di richieste di accoglien-za da detenuti degli istituti penitenziari della Regione Marche e non solo e offre ai propri ospiti accoglienza e programmi personalizzati per un corretto reinseri-mento nella società.

L’acqua pubblica la gestione al non-profit

Casa Paci in festa 8 luglio 2011

Un patto con il pubblico e la società civile

Chi ci conosce……… non ci evita………

Acqua

Un nuovo giornale? Noi ci proviamo 13

Alla seconda assemblea mondiale sull’invecchiamento, indetta dall’O-

NU a Madrid, l’Italia è risultata avere il primato in fatto d’invecchiamento: la po-polazione over 65, che al 2001 costituiva il 23,9% del totale, arriverà infatti entro il 2051 al 34,3%. Questo trend nell’incre-mento demografico impone riflessioni da un punto di vista sociologico e culturale e presenta nuove sfide per quelle aziende e quegli enti interessati a quest’ ampio seg-mento di utenza. Il design per il pubbli-co senior può oggigiorno essere un topic fondamentale per i mondi dell’architet-tura, dell’urbanistica e dell’arredamento. Sulla base di tale premessa la ricerca “Il luogo dell’abitare” finanziata dalla regione Marche, promossa dalla Provincia di Pesa-ro e Urbino, coordinata da CNA Pesaro, su un’idea di CNA Pensionati,capofila di nove associazioni di categoria: Confartigianato, Casartigiani, CLAAI, Confcommercio, Confe-sercenti, Coldiretti, CIA e API, tutte aderenti a CUPLA(Comitato Unitario Pensionati la-voro Autonomo) e CLAPS(Comitato lavoro Autonomo Politiche Sociali) effettuata da Image Lab, Centro di ricerca della Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino, con la collaborazione dell’ADI(Associazione Desi-gner per l’Industria), ha mirato a ottenere un ritratto del soggetto over in relazione alle abitudini al consumo dello spazio abitativo e dei suoi oggetti. Lo studio ha cercato di evidenziare l’aspetto utile alla progettazione di oggetti di design e archi-tetture in grado di tenere conto delle esi-genze legate alle estetiche e alle funziona-lità del target group di riferimento della ri-cerca. Dopo quasi un anno di lavoro,sono stati resi pubblici i risultati emersi dal pro-getto “Il luogo dell’abitare”,una ricerca in cui sono stati intervistati 170 over , pensio-nati e no, della provincia di Pesaro e Urbino, compresi in un’età tra i 60 e 75 anni ; i dati raccolti sono stati poi rielaborati in luce di teorie sociologiche, prestando particolare attenzione alle differenze di genere e alle correlazioni tra le varie sfere d’influenza emerse nei colloqui.

Progetto “Il luogo dell’abitare”Domotica e design al servizio della terza età

Si è conclusa un’inedita ricerca sociologica sulla terza età finanziata dalla regione Marche che ha visto insieme la CNA provinciale di Pesaro e Urbino, capofila di un pool di associazio-ni di categoria (Confartigianato, Casartigiani, CLAAI, Confcommercio, Confesercenti, Coldiretti, CIA e API), la Provincia di Pesaro e Urbino, l’Università di Urbino e l’ADI(Associazione per il Disegno Industriale). Gli obiettivi: capire e sostenere le esigenze domestiche dei soggetti over 60, per produrre in modo più consono alla domanda, creando nuove opportunità di settore.

Il ritratto dell’over

Il quadro finale che emerge è significativo e ribalta alcuni stereotipi

diffusi. Il ritratto tipico dell’over 60 è quello di un individuo molto pragmatico, attento alle esigenze della pro-

pria famiglia, che sceglie gli oggetti da acquistare facendo attenzione soprattutto al rapporto tra qualità e prezzo. I ricordi di una generazione dalla storia

travagliata non sono dimenticati, ma nemmeno esaltati oltre la ragione: essi si sedimentano, a creare una solida base di concretezza sulla quale fondare il modo di vivere il presente.

Indicazioni alla progettazioneMolteplici le linee guida estraibili dalla mappatura finale. Gli spazi devono essere funzionali allo stile di vita e alle rela-zioni: l’ampiezza non è un valore assoluto, ma relativo. La luce è un elemento indispensabile per la propria abitazione, specie se naturale. Di conseguenza, i colori chiari sono preferiti alle tinte più scure, specie nelle stanze, dove si passa più tempo: crolla l’associazione mobile scuro/mobile elegante, però è da evidenziare che i colori troppo vivaci o sgargianti sono prero-gative di stanze per bambini, e non vengono graditi dagli over. I materiali devono essere sicuri e solidi, meglio se conosciuti e apprezzati, come il ferro battuto. Quelli frangibili, come il vetro, sono percepiti come rischiosi, sia in vista di eventuali future disfunzioni nella mobilità, sia in luce della vivacità dei nipotini. Comodità e funzionalità, dunque, sono i primi parametri da considerare. L’estetica viene dopo, ma non è totalmente abbandonata: si cerca un connubio tra queste due dimensioni, che comunque metta in primo piano la praticità. Gli oggetti e gli arredi devono poi essere immediatamente comprensibili. Gli over non sono inclini a sforzi immaginativi o rappresentativi: devono capire subito quali sono le funzioni di un oggetto, meglio se poche e ben definite. Il virtuosismo di design e l’eccesso estetico non sono mai graditi. La sicurezza è un tema portante. Più di tecnologie assistive che dipingono l’anziano come un disabile, è bene cercare di fornire agli over strumenti che facilitino le azioni quotidiane. Divani e poltrone, a questo proposito, vanno progettati secondo criteri d’integrità fisica e comodità. Si tratta di oggetti cardini per la socialità e il riposo: più che in ogni altro arredo, qui oc-corre la massima attenzione a sedute ed ergonomie. Una menzione di assoluta negatività va registrata per le scale: i gradini sono nemici degli over, perché sintomo di fatiche, possibili cadute e previsioni di future difficoltà.

Psicologie e tendenzeLe linee guida sin qui tracciate vanno sempre inquadrate nel contesto di consumo appropriato. Gli over provengono da una realtà dura, fatta di sacrifici e privazioni. Ciò li ha resi contrari agli sprechi e tendenti ad accontentarsi di ciò che hanno, poiché è tanto di più di quanto possedevano un tempo. Pertanto, la maggior parte dei loro acquisti sono sostituzioni di arredi e oggetti che non funzionano più o funzionano male.Nessuna sorpresa, dunque, che gli elettrodomestici rappresentino la primaria tipologia di acquisti recenti. Tuttavia, soprattut-to nelle donne, è anche evidente uno stimolo all’ammodernamento, al rinnovamento sia funzionale sia estetico di ambienti, oltre che di articoli per la casa.

La seconda parte del progetto “Il Luogo dell’Abitare”prevede di rendere concreto con la collaborazione dell’ADI(Associazione per il Disegno Industriale), progetti in grado di incarnare i valori e le esigenze riscontrate nella ricerca ed esprimere la qualità di una progettazione culturalmente consapevole. Riuscire a creare oggetti e arredi pratici e piacevoli, bilanciati in qualità e prezzo, potrebbero rivelarsi una strategia risolutiva per dialogare con un target tanto in crescita, che il mercato non può permettersi di ignorare. La scommessa che CNA Pensionati provinciale di Pesaro e Urbino e tutte le associazioni di categoria aderenti al progetto sono di recuperare sia il grande valore culturale dei nostri over, e sia di avere nei loro confronti un’adeguata attenzione sociale, per quello che hanno rappresentato e soprattutto per quello che possono dare alla società odierna. I nostri pensionati devono riappropriarsi attivamente della società di cui a pieno titolo ne fanno parte ed essi stessi diventare protagonisti attivi delle loro necessità.

Regione Marche

Provincia diPesaro e Urbino

Commedia sexy in una notte di mezza estate C’è stato il bacio saffico tra la Minetti e Ruby? La politica italiana si interroga. Sono anni che “il bacio” determina equilibri e scenari politici. Vi ricordate? “Andreotti ha baciato Totò Riina?” Del resto la storia umana è stata determinata dai baci: quello tra “Giuda e Gesù” ne è l’esempio più eloquente, o quello storico letterario tra Paolo e Francesca nella vicina Gradara … ma forse lì ci fu qualcosa di più (come se la Minetti ne fosse da meno). Ma a Pesaro? I gossip parlano di diverse effusioni, legami, flirt ...Un primo bacio, ormai storico è quello tra l’amministrazione comunale da sempre di sinistra con i “costruttori (e non di pace): un bacio leggero, amichevole, dato piano piano (regolatore) che ha costruito, mattone su mattone, un rapporto duraturo. Più appassionato l’abbraccio eterno tra minoranza (ovvero partiti del centro destra) e la sconfitta elettorale: sembra che ne siano scaturiti baci di tale impeto che hanno sigillato un rapporto stabile, tranne che per i vari candidati a sindaco, scappati dopo la prima notte di nozze (vado a memoria: Grianti, Lucarelli, Cascino ….). Polemiche invece tra il mancato rapporto d’amore tra la Cultura del Comune di Pesaro e le preziosissime collezioni di maioliche e simili … a spiegare il tutto un comunicato del Sindaco: “Si trattava di opere d’arte fuori dal Comune … e quindi noi che c’entravamo????” Negli ultimi tempi ha fatto scalpore il bacio tra Acacia Scarpetti e Balducci nascosti in qualche “greppo” del Parco San Bartolo a scambiarsi effusioni talmente forti da essere scambiati per effusioni sado-maso. Poi i due si sono separati con Scarpetti convinto di essere dalla parte della Regione (pardon … ragione). Niente male anche il bacio che Valentino Rossi dà alla sua moto dopo qualche corsa vinta; ultimamente però il nostro campione è stato scoperto in un brutto giro di soldi falsi: cercava di scambiare antichi Ducati per qualche euro. Ma i baci più sinceri sono quelli tra familiari, quelli dati al coniuge, ai figli, ai nonni… a proposito di Nonni… mi sorge spontanea una domanda: con la sua dolorosa scomparsa tutti (ma davvero tutti) a baciarlo e osannarlo, ma fin quando era in vita era proprio così???… boh, faccio fatica a capire o forse no … il bacio di Giuda è sempre di moda.

SCRITTI ERRANTI narrazioni girovaghe e ingannevoli di fra’ Galdino

Un progetto

14Un nuovo giornale? Noi ci proviamo

D. Nel vostro sito si dice che la scuola del gratuito è un progetto pedagogico che si pone come obiettivo l’educazione ca-pace di liberare la scuola,la società dai disastrosi condizionamenti della cultura del profitto. È un progetto ambizioso…R. È un progetto ambizioso perché è un progetto che è ispirato a una cultu-ra totalmente diversa da quella che c’è attualmente. La scuola che noi abbia-mo oggi è figlia di questo sistema so-ciale basato sull’economia, sul profitto, su un tipo di rapporto tra le persone mediato comunque sempre dall’in-teresse, dall’uso dell’altra persona al fine dell’interesse personale. Creare una mentalità del gratuito non signi-fica fare volontariato come può essere concepito oggi; anche il concetto del volontariato fa comodo al sistema, per-ché gli dà un volto umano e lo fa, in un certo senso sopravvivere. Invece creare la cultura del gratuito significa rimette-re l’uomo al centro nella società.Il tentativo di questa pedagogia è la creazione di una scuola che aiuta i giovani a crescere secondo una nuo-va mentalità per cui si studia in pri-mo luogo per crescere e non per esse-re promossi. Quindi abbiamo un salto enorme.

D. Mi viene in mente Don Milani su que-sto aspetto…R. Don Milani è uno degli ispiratori delle scuole libertarie così dette. Non esiste solo lui, ne abbiamo tante sparse nel mondo, dall’America, all’Europa. Creare scuole che tentano di far cre-scere la parte critica della persona e liberare quindi l’individuo dai condizio-namenti del sistema, qualunque esso sia, dal sistema in cui è immerso per poter migliorare la società. Don Milani faceva questo sostanzialmente.

D. Diciamo una scuola che si apre a tutto e a tutti…R. Si apre alla società, si apre alla cultura in senso lato, si apre a tutti i soggetti implicati nella scuola: agli studenti, alle famiglie, agli insegnanti, a tutti gli operatori; è una scuola che diventa casa comune, comunità di vita educativa.

D. Quindi anche autogestione, inventi-va…R. Soprattutto. Creatività e inventiva, tutto ciò che è utile, anche dal punto di vista didattico, per far migliorare i ragazzi, per dare loro uno spirito cri-tico, per arrivare a una interiorizzazio-ne della cultura e superare il concetto di una cultura solo contenutistica ed enciclopedica che non serve a nulla se non a far odiare quella cultura stessa. Spesso è solo dopo aver finito la scuola che i giovani si riappropriano della cul-

tura vera.Montale diceva che la cultu-ra è tutto quello che rimane quando si sono dimenticate le nozioni.

D. Si vede nel vostro progetto, anche in termini evidenti, il discorso della parteci-pazione e del coinvolgimento a tutti i li-velli: insegnanti, studenti, ma soprattutto il ruolo della famiglia…una famiglia più aperta…R. La famiglia in sé è aperta e vuole partecipare alla vita della scuola. Pur-troppo viene frustrata, nel senso che gli insegnanti, abituati ormai ad ave-re il controllo della scuola, esercitano di fatto un potere; la gestiscono e la controllano stabilendo regole sia per gli studenti che per le famiglie. Noi abbia-mo i decreti delegati ormai dagli anni settanta; i decreti delegati volevano far si che la famiglia entrasse nella scuola perché è una parte educativa non indif-ferente direi la principale. È successo di fatto che la scuola negli ultimi anni è stata concepita come un’azienda; i presidi come manager. Si assiste allora a una serie di competizioni fra le scuo-le per potersi accaparrare le classi, gli alunni, per cui la famiglia è un cliente come può avere un’azienda. Al cliente si cerca di vendere un prodotto utiliz-zando una pubblicità che poi non sem-pre corrisponde alla bontà del prodotto. La stessa cosa avviene nella scuola.

D. Ma i decreti delegati erano un qualco-sa caduta dall’alto e la partecipazione è venuta un po’ a meno…R. I decreti delegati hanno costituito l’inizio di una legislazione sulla parte-cipazione della famiglia alla scuola. A livello di leggi si ribadisce sulla parte-cipazione della famiglia di fatto però, se non si cambia il tipo di scuola, la famiglia non può partecipare, è solo una partecipazione teorica, sulla paro-la. Oggi la scuola si basa su un sapere contenutistico in cui l’educazione vie-ne messa ai margini, perché è messa ai margini la persona; l’insegnante è con-cepito come colui che trasmette qual-cosa, non come un educatore lui stesso

D. Voi avete un manifesto costitutivo del-la scuola del gratuito. In un passo di que-sto manifesto voi insieme alla collabo-razione tra educatori scolastici,scuole e famiglie mettete i servizi sociali. Perché?R. Dove c’è bisogno della presenza, della collaborazione dei servizi, delle competenze professionali che i servizi svolgono la scuola è aperta, può e deve avvalersi di questa competenza. Oggi però si sta medicalizzando troppo, sia i ragazzi che le famiglie. Vi è un uso eccessivo dei servizi. Di fronte ad ogni problema gli insegnanti tendono ad at-tribuire il ruolo di curatore a qualcun altro perché non sono capaci di affron-

tare quella situazione soprattutto a li-vello di scuola secondaria inferiore e superiore. Nel progetto della scuola del gratuito, gli insegnanti diventano edu-catori e quindi devono essere anche formati a fare gli educatori per riuscire a parlare con i ragazzi, a mettere indie-tro il programma e a mettere avanti la persona.

D. In questo caso per esempio l’inseri-mento dei disabili diventa un punto cru-ciale…R. È un punto fondamentale perché parlando della scuola del gratuito chi meglio dei ragazzi in difficoltà che non hanno da spendere nulla a livello di competizione all’interno della scuola, chi meglio di loro rappresenta la gra-tuità? Loro diventano il centro della scuola e della vita di classe. Nella pe-dagogia del gratuito esiste la pedagogia degli ultimi, perché gli ultimi hanno da insegnare agli altri ragazzi e lo dico per l’esperienza di oltre trent’anni di scuo-la. Dove c’è un ragazzo che abbia delle difficoltà e dei problemi le classi matu-rano molto più rapidamente, così, solo per contatto. Se poi gli insegnanti fanno un lavoro tra i ragazzi in difficoltà, i loro compagni e lui stesso, avvengono cose stupende e si raccontano esperienze molto belle. Il ragazzo in difficoltà è un valore aggiun-to. In Italia siamo all’avanguardia come legislazione in questo campo, però il 70% dei ragazzi in difficoltà, secondo le statistiche, restano fuori della classe e questo è indicativo.

D. A Pesaro cosa fate e come siete co-stituiti?R. Tre anni fa circa dopo la presen-tazione del mio libro “ A scuola senza profitto “alcuni insegnanti mi hanno chiesto di concretizzare qualcosa per costruire questa scuola diversa. Ci sia-mo messi assieme e abbiamo comin-ciato a lavorare per conoscere e appro-fondire il progetto. Poi si è cominciato a sperimentare ognuno nella propria scuola.È ovvio che si tratta di sperimentazioni un po’ condizionate, perché si tratta di lavorare ’ nella “ tana del lupo” in un certo senso. Lavoriamo all’interno del sistema del profitto cercando di portare strumenti del gratuito. Non è facile, però ci stiamo riuscendo perché nonostante tutto abbiamo degli ottimi risultati là dove stiamo applican-do le nostre tecniche e modalità. Dopo un anno abbiamo creato il BLOG e si è formato un gruppo di genitori che si riuniscono ritrovando il gusto della partecipazione. Hanno ricostituito le assemblee dei genitori, dei rappresen-tanti e si sono presentati nei consigli di classe.

È possibile un’altra scuola?Intervista a Ferdinando Maria Ciani della “Scuola del gratuito”

Intervista

Star Bene a scuola si puòLa “Scuola del gratuito” è un progetto che pone al centro della sua pedagogia la motivazione naturale e gratuita di ogni giovane a crescere e sviluppare i suoi doni.Essa promuove un sapere interiorizzato e critico attraverso la partecipazione e la cooperazione educativa tra alunni, geni-tori e insegnanti.Dal febbraio 2009 si è costituito un “Gruppo di ricerca” composto da inse-gnanti di ogni ordine e grado con l’o-biettivo di formarsi, aprire confronti nel campo scolastico e culturale, sperimen-tare e divulgare esperienze relative alla “scuola e pedagogia del gratuito”.Parallelamente c’è anche un “Gruppo di genitori” che si incontra mensilmente per confrontarsi sugli stessi temi e per vedere come poter collaborare in modo costruttivo con la scuola dei propri figli.Se vuoi sapere di più visita http://scuola-delgratuito.wordpress.comSe vuoi contattarci o sapere quando ci in-contriamo: [email protected]: cell.3339823747

Ferdinando Maria Ciani nasce a Co-rinaldo (AN) il 16.09.1955. Dopo la laurea in Scienze Geologiche sce-glie l’obiezione di coscienza al ser-vizio militare svolgendo il servizio civile alternativo presso il CEIS di Pesaro dove rimane per una espe-rienza di lavoro come operatore so-ciale.Si sposa e assieme alla moglie Do-natella decidono di aprire la propria famiglia non solo ai figli naturali ma anche ad altri accolti in affido.Dal 1984 si dedica completamen-te all’insegnamento, approfonden-do e sperimentando nuovi modelli pedagogici. Entra a far parte della Comunità Papa Giovanni XXIII dove si occupa per alcuni anni del servi-zio generale scuola. Ha pubblicato articoli su varie riviste ed è autore del libro La scuola di Pinocchio (ed. Esperienze, 2001)

Un nuovo giornale? Noi ci proviamo 15

Il quattro settembre del 2001 una ragaz-za di 17anni per la prima volta veniva accolta nella Comunità Monte Illuminato.La comunità allora era strutturata all’in-terno dello storico convento di Monte Il-luminato, situato su di un alto colle alle spalle del paese di Lunano nel Montefel-tro. Il luogo estremamente suggestivo per la vista e per la luce che da li si gode, deve il suo nome ad una leggenda in cui si narra che San Francesco nel suo pere-grinare per l’appennino, qui compii il mi-racolo di restituire la vista ad un giovane cieco, utilizzando l’acqua del pozzo del convento. La metafora è stata immediata ed illuminante soprattutto per noi edu-catori, che lavorano con minori: cercare di illuminare attraverso le cose semplici, fare luce, orientare il percorso dei giova-ni che loro malgrado o meno, si ritrovano nell’età turbinosa, nel passaggio arduo, nel momento della complessa e dolorosa trasformazione da fanciulli a uomini.Quella prima ragazza tornò a casa dopo poco e ben presto a lei ne seguirono altri e altri ancora, a Natale i ragazzi erano già in sei. I primi momenti sono stati diffici-lissimi, darci un metodo condiviso , met-terci in gioco come adulti responsabili, riflettere continuamente sui nostri rispet-tivi stili familiari, attraverso i quali ave-vamo raggiunto le nostre mete evolutive discuterle e cercare la sintesi operativa è stato complesso, impegnativo e spesso anche doloroso.Come dolorosissimi sono stati i fallimenti a cui inevitabilmente siano incorsi.Riconosco ora che solamente la dichia-razione esplicita di quei ragazzi; che ci hanno richiesto di non abbandonarli han-no ridato a noi rinnovato vigore per non arrenderci.Dopo i primi due inverni un po’ troppo isolati, la su,sulla cima del colle circon-dati dalla neve abbiamo realizzato l’esi-genza di collocarci in un luogo meno ru-

stico ma più servito e agevole.Così nell’estate 2003 ci siamo trasferiti nella campagna di Candelara a pochi pas-si da Pesaro, in una natura forse altrettan-to gradevole ma meno ardua da accedere.I primi ragazzi hanno terminato positiva-mente il loro percorso, con raggiungimen-to degli obbiettivi di autonomia che erano stati proposti e da li giorno dopo giorno, volto dopo volto, ragazzo dopo ragazzo, siamo giunti ad oggi.Dieci anni sono un traguardo importante che non si può raggiungere se non con continuità e con collaboratività, per cui è opportuno sottolineare il valore dell’impe-gno di tutti coloro che in qualche maniera hanno partecipato a questa esperienza, dai supervisori, ai responsabili, agli edu-catori, ai tirocinanti e ai volontari.

Identità:Accogliere un minore significa princi-palmente accudirlo ed educarlo.Questo si traduce nell’offrire l’opportu-nità di entrare da protagonista nel pro-cesso comunitario di costruzione del senso parentale e collettivo della sua esistenza, dandogli modo di apprendere abilità e competenze per potersi rappor-tare alle diverse situazioni della vita con un più ampio raggio di prospettive.Intimità e confine si intrecciano conti-nuamente nella relazione tra operatore ed utente; tale relazione si costituisce principalmente, anche se non esclu-sivamente, a partire dagli ultimi gesti quotidiani del prendersi cura.La Comunità offre la possibilità di in-trecciare la propria storia con quel-la delle persone con cui si convive, di condividere esperienze di sofferenza, di confrontarsi nei diversi stili di pensiero e di comportamento, oltre che nei modi personali di affrontare le situazioni pro-blematiche. Si sovrappongono esperien-ze di accoglienza, di appartenenza e di distinzione, di gioco, di progettualità ed autonomia. Questo contesto stimola i ragazzi a non rapportarsi con gli altri partendo da routine sclerotizzate e di-fensive, illusoriamente predeterminate e rassicuranti, ma a rigiocarsi quotidia-namente nella relazione con gli altri.La vita di Comunità è un’esperienza forte, un’esperienza di appartenenza piena, che si realizza attraverso i gesti quotidiani e costituisce il presupposto per mettere in campo aspetti di sé che permettono il procedere dell’intervento educativo. La comunità è aperta all’esterno e svol-ge un lavoro in rete con le istituzioni e le realtà territoriali: scuola, enti locali associazioni sportive e di volontariato …

Tipologia dell’utenza:La Comunità vuole essere un centro d’ac-coglienza residenziale che ospita ragazzi nella fascia di età compresa tra gli 11 ed i 18 anni di entrambi i sessi.La tipologia di questa utenza contempla preadolescenti e adolescenti con specifi-che caratteristiche di personalità, in ogni caso accomunati dalla provenienza da un ambiente familiare con gravi difficol-tà o impossibilitato a guidare i figli ade-guatamente in questa fase di crescita.Il progetto prevede l’accoglienza di un numero circoscritto di minori con Prov-vedimento di messa alla prova.

Una caratteristica particolare della co-munità, sono le singolari esperienze proposte all’interno del progetto di co-munità: la pratica equestre e la scuola di navigazione a vela, attività di elevata intensità emotiva che sono state abbi-nate a successivi gruppi di discussione e che rivestono pertanto una funzione altamente educativa oltre che di meta-fora per importanti riflessioni esisten-ziali.

Il presidente della Cooperativa Bernardo Gili, è anche lo psicologo della Comu-nità. Si occupa di Comunità Educative e Terapeutiche dal 1986, è Presidente dell’Ordine degli Psicologi delle Mar-che, è membro dell’Osservatorio Nazio-nale per infanzia ed adolescenza presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.La Vice Presidente Claudia Rossi psico-loga, si occupa di Comunità Educative per Minori dal 1995.Il Coordinatore Matteo Piraino sociolo-go, collabora con la Comunità Monte Illuminato dal 2002.

Dieci anni di comunità Monte IlluminatoAccogliere un minore significa principalmente accudirlo ed educarlo

Pegaso Cooperativa Sociale a r.l.Strada della Puglia 7/3Candelara(PU) - 61122Tel.0721206270 / 3358322121Fax 0721206270E-mail [email protected]

Siamo un gruppo di persone legate, a vario titolo, dal comune desiderio di ridare forza alla centralità del cittadino quale soggetto capace di produrre strategie di benessere per il proprio ambiente di vita e per il proprio territorio. Siamo convinti che il periodo storico che stiamo vivendo richieda l’elaborazione di proposte politiche in grado di dare risposte concrete ai bisogni reali della gente. Siamo consapevoli che ognuno di noi può diventare protagonista o parte significativa di un’idea politica, di una “ricchezza”, di una nuova idea di cittadinanza e parteci-pazione, di un contributo per ripristinare un sistema di garanzie essenziali per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo. sede: Pesaro, via Terenzi,11 tel 335.7587473

Festa

La cooperativa sociale Ama-Aquilone ONLUS è un gruppo nato nel 1981 che si occupa di gestire servizi ed iniziative a favore di persone tossicodipendenti e con disagio mentale, minori in difficoltà nella provincia di Ascoli Piceno, oltre a gestire progetti in diversi ambiti (cooperazione internazionale, servizi per favorire l’inclusione sociale e lavorativa, etc.)

Servizi per l’infanzia e la famiglia:Asilo nido, Laboratori pomeridiani, Centro di ag-gregazione, Sostegno alla genitorialità, Counseling umanistico integrato, Formazione agli operatori socio-educativiVia Stabilimento 8/10 61020 Gallo Di Petriano (Pu)

ITALCAPPA cooperativa sociale

ALPHAcoop soc.

Labirintocoop soc.

L’alveare

Libera.mente ONLUS

Ciformaper

Pegasocoop soc

CANAANcoop soc.

A.C.L.I.

I.R.S. L’Auroracoop soc.

Ass. Omphalos

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