rivista fralerighe crime n.9
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Il 9° numero della rivista Fralerighe. Questa è la parte dedicata alla narrativa crime.TRANSCRIPT
La foto di Stefano Piedimonte in copertina è da attribuirsi a
Giliola Chistè. Le foto di Claudio Paglieri, invece, sono da
attribuirsi a Gloria Ghiara.
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GEMELLAGGIO CON PESCEPIRATA
FORUM SCRITTORI
Pesce PiratA Forum di Scrittura Lettura Editing collettivo
Perche pesce? Pesce perche lo scrittore e un po' come un pesce... parla poco, e silenzioso, si muove rasente al fondale muovendo appena coda e pinne, ma scruta tutto, vede perfino quello che succede alle sue spalle. Perche Pirata? Perche come i pirati informatici sposiamo in pieno la filosofia dell'web 2.0 Ovvero il voler rendere pubblico e accessibile il lavoro frutto del singolo o della collettività.
http://www.pescepirata.it/
ei bassifondi della nave, nelle stive più losche e misteriose, a cui per accedere si devono percorrere cunicoli incredibili, là dove nessuno immagina ci sia
forma di vita, qualcuno ha progettato qualcosa. Niente rapine o atti terroristici, niente assalti o azioni contro la legge. Tassello su tassello, menti creative leggermente deviate, uomini e donne che non riescono a stare sui binari del normale, si sono riuniti in gran segreto. Hanno parlato, discusso, si sono presi a pugni. Hanno bevuto molta birra e qualcuno, per fumare, ha aperto la finestra dimenticando di essere su una nave. Da quello, da quei posti maleodoranti, da quelle persone poco raccomandabili, è nata la
Associazione Culturale PescePirata.
N
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Segnalazione Romanzi agli Editori.
Abbiamo collaborazioni con Agenzie Letterarie che ci affiancheranno, insomma, gran bella roba, un sacco di divertimento e molta energia.
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EDITORIALE
Eccoci arrivati all’nono numero di Fralerighe. Come al solito, consta-tiamo con piacere che i fan e followers su Facebook e Twitter sono sempre in crescita. Grazie. Per quanto riguarda la parte Crime, abbiamo deciso di ampliare il nu-mero di redattori. Al nostro invito ha risposto Marco Zanette, nuovo membro della rivista, che ha contribuito a questo numero con una recensione. Vi ricordiamo che l’offerta è ancora valida, e che per ulteriori informazioni potete scriverci all’indirizzo di posta elettronica: [email protected]
Abbiamo deciso di non riproporre l’intervista multipla, almeno per questo e il prossimo numero. Abbiamo intervistato per voi tre autori: Stefano Piedimonte, Claudio Paglieri e Samuel Giorgi, che per una volta ha smesso i panni del redattore per parlarci del suo thriller d’esordio. È un numero all’insegna della bizzarria e del divertimento. Tre autori originali, che crediamo vi piaceranno molto. A completare il tutto, come sempre, articoli, recensioni e novità editoriali. Troverete ben due speciali: uno su Loriano Macchiavelli, che continuerà nel prossimo numero, e un altro su Hitchcock. Non ci resta che augurarvi buona lettura.
Lo Staff
INTERVISTA A CLAUDIO PAGLIERI
Ciao Claudio, benvenuto! Antonio Tabucchi sosteneva che la doman-
da della domande, inevitabile per uno scrittore, è la seguente: per-
ché si scrive? “Perché ci si affanna a tessere sogni e raggiri” si do-
mandava da par suo Gesualdo Bufalino “si dà corpo a fantocci e fan-
tasmi, si fabbricano babilonie di carta, s'inventano esistenze vicarie,
universi paralleli e bugiardi, mentre fuori così plausibile piove la luce
della luna nell'erba, e i nostri moti naturali, le più immediate insurre-
zioni dei nostri sensi c'invitano al gioco affettuosamente, divinamen-
te semplice della vita?”. E
io mi arrischio a doman-
darlo a te: perché?
Perché ne ho bisogno,
mentalmente e anche fi-
sicamente. Perché nei
giorni buoni, quando sono
seduto alla scrivania e ca-
pisco che il libro sta cre-
scendo, e funziona, vivo
ore di pura felicità. Per-
ché scrivere mi permette
di vivere le vite che non
ho potuto o saputo vive-
re. E anche perché è la
cosa che so fare meglio.
Giornalista, scrittore, ap-
passionato viaggiatore.
“Ha sempre cercato di
avere più Paesi del mon-
do visitati che anni di vi-
ta”, rivela il risvolto di
copertina dell’edizione
Bestseller dei tuoi romanzi, “e fino ai 37 ci è riuscito, ma ora è sotto
di tre”. Ecco profilarsi, dunque, un’altra domanda inevitabile: nume-
ro attuale dei Paesi visitati? Cosa rappresenta, per te, il viaggio?
Sono passati un po’ di anni da allora, e l’ansia di piantare bandierine
ha lasciato il posto a una considerazione semplice: meglio tornare in
un posto dove sono stato bene, piuttosto che andare in un uno che mi
attira poco. E’ un po’ così anche per i libri: una volta facevo a gara per
leggerne il più possibile in un anno, ora preferisco concentrarmi sugli
autori che amo e a volte rileggerli. Sono arrivato a quota 40 Paesi, e
non rincorro più la mia età. Viaggiare mi piace ancora moltissimo, e le
mie mete preferite sono le isole: per sentirmi lontano da tutto.
Di te stesso dici: “Sono una Bilancia perfetta, nel senso che ho tutte
le caratteristiche del segno. E sono un ligure totale, nel senso che ho
tutti i pregi e difetti tipici dei liguri”. Da ligure – e, ahimè, Capricorno
– totale a ligure totale: quale pensi possa essere il difetto peggiore? E
il miglior pregio? Cos’è che più di tutto ti fa sentire figlio della tua
terra?
Il difetto peggiore di noi liguri è la diffidenza nei confronti degli altri, la
mancanza di ospitalità. Esploriamo volentieri il mondo, da sempre, sul-
le nostre navi, ma vorremmo che nel nostro non penetrasse nessuno.
Io mi sforzo di essere aperto, ma sotto sotto sono esattamente così, e
fare lo scrittore in fondo è anche questo: andare alla scoperta degli al-
tri ma poi chiudersi a riccio, senza distrazioni, senza intromissioni, per
scavare il più a fondo possibile nella propria anima. Comunque non
toccatemi la mia Liguria, solo noi indigeni possiamo parlarne male!
Terra musona e ricca di spine, la Liguria: sembra nata per racchiudere
grandi misteri. Leggendo i tuoi romanzi l’ho ritrovata pienamente e
in un certo senso riscoperta… Quanto è importante che uno scrittore
sia “dei suoi posti”, per citare Isaac B. Singer, che scriva di ciò che co-
nosce davvero bene? E quanto è importante l’ambientazione per la
buona riuscita di un romanzo poliziesco?
Non mi piace sentirmi definire giallista genovese, o ligure. Come non
mi piace sentir dire che uno è uno scrittore omosessuale, o ebreo. Uno
è scrittore e basta, se lo è davvero. Detto questo, sono d’accordo sul
fatto che bisogna scrivere di ciò che si conosce, e io la Liguria un po’ la
conosco. I lettori sono attenti e se scrivi qualcosa di poco verosimile se
ne accorgono subito. L’ambientazione aiuta a catturare i lettori, non
solo quelli della regione stessa ma soprattutto gli altri, i foresti, gli
stranieri. In Germania i miei libri vanno molto bene e credo sia dovuto
al fatto di poter fare un viaggio in Italia, scoprire o rivivere le nostre
atmosfere. Così come noi leggiamo Larsson per immergerci nelle nevi
svedesi.
Facciamo un viaggio nel tuo universo letterario,
e cominciamo dalla fine: il 14 maggio scorso è
stato pubblicato “L’enigma di Leonardo” (Edi-
zioni Piemme), la quarta indagine del commis-
sario Marco Luciani. Ci racconti la genesi e la
gestazione di questo romanzo? Ho letto che la
sua preparazione è andata di pari passo con
quella della Maratona di New York…
La storia nasce da uno spunto reale: un ritratto a
sanguigna, ritrovato a Genova, che secondo le
perizie chimiche e il parere di alcuni esperti sa-
rebbe opera di Leonardo da Vinci. Anzi, sarebbe
addirittura un autoritratto firmato. Me ne sono
occupato come giornalista e poi ho pensato che sarebbe stato bello
lasciare che a indagare fosse Marco Luciani. Intorno al ritratto ruotano
molte morti misteriose e molte storie, l’intreccio è complesso e anche
per questo l’anno in cui l’ho scritto è stato molto faticoso: oltre a la-
vorare dovevo appunto costruire il giallo e prepararmi per la Maratona
di New York, che a differenza del libro non sono riuscito a finire. Ma un
giorno o l’altro ci riproverò.
Ne “L’enigma di Leonardo” Marco Luciani, poliziotto anoressico e
ombroso dotato di quello che si può senz’altro definire un adorabile
caratteraccio, è alle prese con le “gioie” della paternità e matura, in
molti sensi, come personaggio… strano a dirsi, per un tipo come lui,
ma si ammorbidisce persino un po’. Ci racconti com’è nato, cresciuto
– pasciuto non direi! – uno dei commissari più irresistibili della lette-
ratura poliziesca italiana?
Luciani nasce un po’ per reazione verso gli investigatori gourmet che
cucinano come Gordon Ramsay e stappano bottiglie costosissime, che
i veri commissari non potrebbero permettersi. E per reazione verso i
commissari politicamente corretti che dicono sempre la frase “giusta”
e assomigliano più a degli assistenti sociali. Ho immaginato un perso-
naggio che dice verità scomode e non accetta compromessi, e che è
sorretto da un grande senso di giustizia; severo ma giusto potremmo
dire, un po’ alla Tex Willer vecchia maniera. Sì, nell’ultimo libro doversi
occupare di un bambino lo costringe ad ammorbidirsi un po’, ma spero
non troppo!
Le vicende del romanzo ruotano intorno a un disegno (una testa di
profilo d’uomo che sembra raffigurare “tutti gli uomini, la nostra par-
te più profonda, la nostra coscienza che ci osserva dallo specchio”)
che potrebbe portare la firma di Messer Leonardo: impossibile non
pensare all’autore de “Il codice da Vinci” (del resto “L’enigma di Leo-
nardo” e “Inferno” sono usciti in libreria lo stesso giorno, vorrà pur
dire qualcosa) e a questa bellissima dedica: Se ti avessi dato retta,
oggi sarei Dan Brown (in epigrafe a “Il vicolo delle cause perse”,
Piemme, 2007). Ti va di spiegarla ai nostri lettori?
E’ una dedica al mio amico Riccardo che un giorno mi regalò “Il Santo
Graal” di Baigent, Leigh e Lincoln, consigliandomi di leggerlo perché
era una storia bellissima. Io lo lasciai in standby per troppo tempo,
mentre Dan Brown, più bravo e più sveglio di me, lo divorò. Poi, ro-
manzandolo, lo fece diventare un bestseller mondiale. Capii di avere
perso un treno importante, ma un altro treno guidato da Leonardo,
come in “Non ci resta che piangere”, è passato e questa volta ci sono
saltato su. Siamo partiti dalla stazione nello stesso giorno ma Dan
Brown è un frecciarossa, io un accelerato… diciamo che mi godo con
calma il paesaggio.
In “Domenica nera” (Edizioni Piemme,
2005), romanzo per molti versi profetico
che si svolge nel mondo tutt’altro che do-
rato del pallone, attribuisci a Marco Luciani
una considerazione che sospetto essere
largamente condivisa: “L’aveva amato to-
talmente, quel gioco, e ora altrettanto to-
talmente lo odiava, e compativa la folla
che vedeva sciamare sui marciapiedi con
quelle assurde sciarpe troppo colorate al
collo, uomini tristi con la sigaretta in bocca
e i capelli tagliati male, forse dalla moglie
in cucina, donne anziane che parlavano da
sole ad alta voce e bambini che stringeva-
no la mano dei padri e camminavano orgo-
gliosi con una bandierina in mano. Carne da macello (…)”.
Da giornalista sportivo pensi che la letteratura possa contribuire a
denunciare le storture, il lato oscuro del mondo del calcio e contri-
buire, in qualche misura, a “depurarlo”? Te lo domando perché sono
rimasta molto colpita da una tua dichiarazione che mi è capitato di
leggere recentemente sul web: in buona sostanza affermavi che se
avessi scritto un saggio, sull’argomento, “probabilmente non se lo
sarebbe filato nessuno”. E un romanzo – oltre a deliziare gli appas-
sionati di storie nere, ben inteso – cosa può fare?
Non sono sicuro che un libro possa cambiare la vita di una persona, fi-
guriamoci se può cambiare un mondo… e a dire il vero ho perso tutte
le speranze di veder “depurare” il calcio. Le scommesse gli hanno tolto
l’ultima parvenza di credibilità. La letteratura fa quello che può, ma
anche quando “denuncia” (o semplicemente descrive) le miserie uma-
ne questo non basta per correggerle. Se però sono riuscito a far riflet-
tere qualcuno ho già raggiunto un buon risultato.
Marco Luciani è un personaggio forte, originale, che buca letteral-
mente la pagina… in una parola: riuscitissimo. Ci saranno altre inda-
gini? Ho letto – con ammirazione ma anche con un pizzico di sgomen-
to – che non intendi diventare un “serial writer”. Però, vedi, ai tipi
come Marco Luciani ci si affeziona…
Non so se ci sarà un altro giallo con protagonista Luciani, dipende se
avrò qualcosa di importante da dire, e una storia forte che faccia da
supporto, e il tempo per metterla insieme… non è facile. Ogni libro che
esce conquista nuovi lettori, e questo mi dà grandi stimoli, ma non vo-
glio farne uno nuovo tanto per farlo. Ho sempre puntato sulla qualità
più che sulla quantità, e continuerò su questa
strada. Magari facendo anche cose completa-
mente diverse ma che in quel momento mi in-
teressano di più. Quello a cui punto davvero è
la gloria postuma.
Direttamente dal questionario di Proust:
• gli autori che prediligo: Kurt Vonnegut, John Fante, Amin Maalouf,
il primo Stefano Benni, Georges Simenon, Dennis Lehane…
• i miei eroi nella finzione: Tex Willer
• i miei eroi nella vita reale: mio padre
• quel che detesto più di tutto: i lavori mal fatti
• vorrei vivere in un Paese dove… i parchi sono puliti e i treni arri-
vano puntuali
Fuori questionario: che rapporto hai con la lettura? Che libro tieni sul
comodino, in questo momento?
Adoro leggere, sia romanzi sia saggi. In genere però se sto scrivendo
leggo poco, e viceversa. Ho appena finito la trilogia di The Hunger Ga-
mes e sto leggendo la trilogia di Enrico Brizzi, in cui si immagina che
l’Italia fascista abbia vinto la guerra.
… e tornando alle domande inevitabili: stai lavorando ad un nuovo
romanzo? Possiamo provare a estorcerti una piccola anticipazione?
Sto lavorando anch’io a una trilogia ambientata nel prossimo futuro.
Un mix di Bibbia, Lost e Particelle elementari.
Foto di Gloria Ghiara.
Grazie infinite, Claudio. Per la disponibilità e per il tempo che hai de-
dicato alla nostra rivista. Un grosso in bocca al lupo per la tua vita e
per la tua avventura di scrittore.
Claudio Paglieri e Simona Tassara
RECENSIONE:
NEL NOME DELLO ZIO – STEFANO PIEDIMONTE
Lo Zio è un potente boss della camorra.
Regna incontrastato sui Quartieri Spagnoli
di Napoli grazie alla sua innata capacità
imprenditoriale, manifestatasi per la prima
volta in tenera età grazie a un uso
ingegnoso, produttivo e criminale delle
spine delle rose. Ha ai suoi ordini cinque
capitani e stuoli di pusher. Insomma, è un
capo-clan come tanti. Ma ha una passione:
il Grande Fratello. Segue la trasmissione
con devozione maniacale, religiosa, al
punto da mandare all'aria con noncuranza
meeting con ndranghetisti e altri affari
importanti.
Costretto a una latitanza improvvisa, lo Zio
si ritrova a dover fuggire senza potersi
organizzare coi suoi per comunicare. Ma i
capitani sanno che il boss, cascasse il
mondo, guarderà il Grande Fratello. E
proprio tramite la trasmissione televisiva
proveranno a fargli sapere il nome del
traditore, grazie alla collaborazione di un
infiltrato.
I personaggi di questo romanzo sono sì
costruiti sulla base dei loro alter ego in
carne e ossa, ovvero i camorristi reali, ma al
contempo sono tutt'altro che appiattiti
sulla riproduzione cronachistica degli stessi.
Piedimonte si prende le sue libertà, facen-
do dialogare i suoi criminali con un linguaggio ora fittizio, cinemato-
grafico, ora realistico, dialettale. Quella de “Nel nome dello Zio” è una
camorra deformata e ridicolizzata, a ben vedere. Siamo lontani da
Gomorra, dai saggi/romanzi di denuncia: l'autore comprende e sfrutta
il potenziale comico della realtà che lo circonda, per confezionare una
storia leggera e appassionante, una commedia irriverente, più che
satirica.
Lo stile è scorrevole, ironico, leggero. Piedimonte punta all'intratte-
nimento e al divertimento del lettore, con risultati soddisfacenti.
Da tutto ciò deriva una lettura particolare, atipica. E forse anche per
questo piuttosto piacevole.
Consigliato.
Voto: 8 ½
Aniello Troiano
RECENSIONE:
L’ENIGMA DI LEONARDO - CLAUDIO PAGLIERI
Editore: Piemme
Collana: Narrativa Serie: Thriller Rilegatura: brossura con alette Formato: 13x21 cm Pagine: 400 Data di pubblicazione: maggio 2013
ISBN: 9788856627640
Prezzo consigliato: € 16,50
“… sulla strada dei criminali deve camminare
un uomo che non è un criminale, che non è un
tarato, che non è un vigliacco.
Nel poliziesco realistico quest'uomo è il detective. E' l'eroe, è tutto. Un
uomo completo, un uomo comune, eppure un uomo come se ne incon-
trano pochi.
Dev'essere, per usare un'espressione un poco abusata, un uomo d'ono-
re.”
Raymond Chandler, The Atlantic Monthly (1944).
Ogni volta che mi concedo il piacere di (ri)leggere un’avventura
di Marco Luciani, il burbero commissario della polizia di Genova nato
dalla penna dello scrittore e giornalista Claudio Paglieri, la mente corre
immancabilmente a queste parole. Non perché, chiariamolo subito, vi
siano particolari punti di contatto fra il buon commissario e Philip Mar-
lowe – il commissario Luciani, bontà sua ma soprattutto del suo “pa-
pà” letterario, non somiglia a nessun altro investigatore di carta in cir-
colazione – bensì in ragione del fatto che, pur tenendosi alla larga dagli
stereotipi più sfruttati del genere poliziesco, Luciani incarna alla perfe-
zione l’ideale di detective così come lo teorizzava Raymond Chandler
(uno che in materia la sapeva lunga, avendo messo nero su bianco, per
usare le parole di Oreste Del Buono, “il meno probabile realisticamen-
te, anche se il più convincente artisticamente, dei grandi detectives”):
un uomo “comune” fatto di pregi, difetti, debolezze; eppure un uomo
“come se ne incontrano pochi”: centonovantasette centimetri di one-
sta severità, senso profondo della giustizia e puro talento investigati-
vo. Un donchisciotte moderno e certamente, senz’alcuna retorica, un
uomo d’onore. Anoressico, per giunta (il che già di per sé costituisce
un merito… non pare anche a voi che la schiera dei detective gourmet
che smontano alibi a prova di bomba tra un risotto alla menta e un
budino d’uva fragola abbia fatto il suo tempo?), allergico al lusso e agli
sprechi.
Ecco qua: voglio parlare di un romanzo e finisco coll’imbastire
una dichiarazione d’amore in piena regola. Marco Luciani è un perso-
naggio che colpisce e tiene inchiodati alla pagina; che si fa voler bene
nonostante il – o forse proprio grazie al – suo carattere spigoloso.
Ne “L’enigma di Leonardo” è alla sua quarta indagine: dopo “la
lunga notte di Ventotene, la notte in cui un uomo affidato alla sua cu-
stodia aveva trovato una morte orribile” (la vicenda, che ruota intorno
al ritrovamento di una statua di Lisippo, è narrata ne “La cacciatrice di
teste”, Piemme – La Linea rossa, 2010), il commissario è di nuovo alle
prese con la scomparsa di un’opera d’arte d’inestimabile valore: il di-
segno a sanguigna di una testa di profilo d’uomo che potrebbe portare
la firma di Leonardo Da Vinci. Un ritratto bellissimo e assai particolare,
dal fascino misterioso: “Il quadretto raffigurava un uomo con la barba
ma era come se ritraesse in realtà chi lo guardava: quell’uomo era tutti
gli uomini, era la nostra parte più profonda, la nostra coscienza che ci
osserva dallo specchio e di fronte alla quale siamo nudi e senza dife-
se”. E’ preso di profilo, “e t’inganna; tu credi di poterlo guardare senza
essere visto, in realtà è lui che ti legge dentro”. Quel che è certo è che
chi lo tocca trova la morte, poiché la vera bellezza si lascia afferrare so-
lo da chi ne è degno, da chi ha il cuore puro. Dagli uomini d’onore, per
usare un’espressione un poco abusata.
Giallo raffinato e appassionante, “L’enigma di Leonardo” rivisi-
ta con gusto e una buona dose d’ironia gli elementi tipici del romanzo
poliziesco tradizionale regalandoci innanzitutto un buon romanzo. Chi
avesse già avuto la fortuna di immergersi nelle prime tre avventure –
professionali, ma anche personali e perfino intime – del commissario
Luciani ritroverà con piacere Donna Patrizia e la zia Rina, il tormentato
ispettore Calabrò (protagonista, qui, di una deliziosa indagine parallela
condotta nientemeno che dalla sua signora), il saggio e provvidenziale
agente scelto Iannece che ha un proverbio (opportunamente riveduto
e corretto) per ogni occasione. Non è necessario aver letto quelli che
potremmo definire i primi tre capitoli della saga lucianiana, tuttavia,
per godere appieno del romanzo in commento. Ogni romanzo fa storia
a sé e cominciare dalla fine non guasterà affatto il piacere di una lettu-
ra à rebours. Sul fronte
delle novità, “L’enigma di
Leonardo” propone un
Marco Luciani nelle insoli-
te vesti di padre single del
piccolo Alessandro: pochi
mesi di vita e una volontà
di ferro che sconvolge-
ranno, nel bene e nel ma-
le, la vita e le abitudini del
commissario.
Solo un paio di cenni in
merito all’ambientazione
per evitare, da ligure e
genovese D.O.C., il rischio
dell’eccessiva partigiane-
ria: la vicenda si svolge in-
fatti tra i carruggi di una
Genova carica di fascino e
profumi ed il quieto, ele-
gantissimo lungomare di
Camogli. Lo scenario per-
fetto anche laddove si consideri che il ritratto – ma dovremmo dire
piuttosto l’autoritratto – al centro dell’inchiesta esiste davvero ed è
conservato proprio nel caveau di una banca genovese (tutti i dettagli e
le informazioni sul sito www.leonardoritrovato.com).
Difficile stabilire se Claudio Paglieri sia “il miglior giallista italia-
no” (così lo ha definito il noto giornalista e scrittore Alzo Cazzullo): non
amo le classifiche e i giudizi dal sapore definitivo.
Quel che sento di poter affermare in assoluta tranquillità è che,
con il ciclo dedicato al commissario Luciani, Paglieri si è ritagliato un
posto di rilievo nel panorama letterario poliziesco e nel cuore di tanti
lettori. Compreso il mio.
Simona Tassara
http://unostudioingiallo.blogspot.it/
Le prime indagini del commissario Luciani:
www.edizionipiemme.it
www.claudiopaglieri.com
RECENSIONE: SAMUEL GIORGI – IL MANGIATESTE
Grazzeno è un normalissimo paese di
montagna, situato in Val d’Ossola. Qui la
vita va avanti come un tempo, a stretto
contatto con la natura. La gente del pos-
to è semplice, “fatta di legno e pietra”,
per usare le parole dell’autore.
Insomma, uno scenario se non idilliaco,
per lo meno tranquillo. Eppure in pochi
mesi ci sono stati ben tredici suicidi.
Sembra assurdo, eppure la Polizia non
ha dubbi: sono autentici suicidi. Nessun
omicidio mascherato. Del caso si occu-
peranno Bruno Widmann e la sua squa-
dra di esperti in casi irrisolti; in partico-
lare Luna Fontanasecca, giovane crimi-
nologa dall’aspetto un po’ “scolorito” e
dall’intuito molto sviluppato. C’entra
qualcosa la leggenda dell’Albatro? E il
Mangiateste, chi è? Ma soprattutto, cosa spinge gente mentalmente
sana a commettere un atto così pesante e definitivo come il suicidio?
Se dovessi descrivere questo romanzo con un solo aggettivo, userei il
termine: insolito. Guardando la (bellissima) copertina, leggendo la
quarta, ma soprattutto l’incipit, ci si convince di essere davanti a un
thriller molto cupo, inquietante. Insomma, un qualcosa di non
particolarmente originale, seppur ben fatto. E invece proseguendo con
la lettura ci si accorge di essersi sbagliati, poiché “Il Mangiateste” non
è un normale thriller. E’ un vero e proprio pastiche letterario, una
fusione tra thriller, giallo, gotico, un po’ di paranormale, un po’ di
fiabesco, un’abbondante spruzzata di ironia e una bella dose di
bizzarria. Come dicevo, un romanzo insolito; una storia che non siamo
abituati a leggere. Ciò può piacere o meno, ma costituisce senza
dubbio la nota di distinzione di questo romanzo. I personaggi non
sfuggono di certo all’originalità insita in questo titolo. Pur risultando
credibili e in qualche misura “ordinari”, ovvero simili alle persone reali,
sono tutti piuttosto particolari, dotati di un qualche tocco straor-
dinario o eccentrico che ha del fantastico, del fiabesco.
Samuel Giorgi ci racconta questa storia con uno stile scorrevole, des-
crittivo e tanto, tanto ironico. Non mi sarei aspettato tutta questa iro-
nia, questa voglia di stemperare la cupezza del tema, in un romanzo
thriller. Ma di certo non posso dire che mi sia dispiaciuta, anzi. Un po’
carente forse il ritmo, specialmente nella parte centrale. E’ un rischio
che si corre facilmente, con storie di una certa lunghezza (400 pagine).
Ma in questo caso, comunque, non si può parlare di una vera e propria
mancanza, di una lacuna grave.
Una lettura particolare, con-
sigliata soprattutto a chi è
stufo di leggere la solita sto-
ria “fatta con lo stampino”. I
puristi del thriller e dell’hor-
ror, invece, potrebbero es-
serne delusi.
Voto: 8
Aniello Troiano
RECENSIONE:
L’IRONIA DELLA SCIMMIA – LORIANO MACCHIAVELLI
Il problema più grande dei personaggi
seriali è quello di apparire ripetitivi, di
non sapersi adeguare ai tempi che cam-
biano, sintomo del fatto che nemmeno
l’autore ci sia riuscito. Macchiavelli in-
vece si conferma un autore versatile e
attento al mondo che lo circonda. Il
nuovo episodio di Sarti Antonio non
delude e non ripete, semplicemente
inanella un’altra avventura del ques-
turino bolognese.
Sarti Antonio è sfigato. Si ritrova come
amica una certa Rasputin, ladra di auto e
fidanzata del dottor Messini, elegantone
in stretti rapporti con l’ispettore capo
Raimondi Cesare. In poche parole il questurino le prende da tutte le
parti. Si ritroverà invischiato in un’indagine che lo condurrà a L’Aquila,
tra terroristi islamici, quadri raffiguranti scimmie sorridenti che
risultano scomparsi e intrighi troppo grandi per lui, dove il denaro e il
potere si mescolano e diventano cattivi.
Ritrovarsi tra le mani un nuovo romanzo con protagonista Sarti
Antonio è sempre un piacere. per me è come sentir di nuovo parlare di
un amico. Il tono tenuto da Macchiavelli è però molto critico, sia nei
confronti della sua Bologna che dell’Italia in generale. Non si sprecano
le staffilate, le freddure e le critiche aperte. In questo il romanzo si
rivela un noir davvero intenso, perché tratta un tema che (dopo il
solito tran tran dei primi mesi) appare come dimenticato: la
ricostruzione de L’Aquila post-terremoto. Macchiavelli la descrive
come una città scheletro, piena d’impalcature e ponteggi, senza più
anima né vita, destinata a morire d’inedia e a divenire un rudere
dimenticato.
Il nuovo romanzo di Sarti Antonio non risente né dell’età né del tempo
che passa, anche se il questurino non sa adeguarsi all’epoca dei
cellulari e dei computer portatili. Le tematiche sono forti anche se,
come sempre nei romanzi di Macchiavelli, vengono raccontate con
una forte componente di humour che rilassa il lettore e molte volte lo
fa sorridere. Unica pecca la lunghezza ma quella, si sa, è una mia fissa
personale.
Bentornato, questurino.
Perché leggerlo: Per l’umana singolarità di Antonio Sarti, sergente
Perché non leggerlo: Per la lunghezza, forse
Cos’ho pensato quando l’ho finito: E’ sempre un piacere ritrovarci,
caro Sarti Antonio
Omar Gatti
Recensione già pubblicata su Noir Italiano
http://noiritaliano.wordpress.com
RECENSIONE: IL GIARDINO DELLE BELVE
Come quarto ed ultimo appuntamento
con le opere di Jeffery Deaver, vorrei
parlare del suo romanzo thriller ad
ambientazione storica “Il giardino
delle belve”.
New York, 1936. L'America e il mondo
intero guardano con preoccupazione
all'inarrestabile ascesa di Hitler e al
pericoloso espansionismo della Ger-
mania nazista.
Paul Schumann, sicario d'origine te-
desca, è noto all'intelligence america-
na per il suo lavoro al soldo di svariate
famiglie criminali, ma non è un killer
come gli altri: egli infatti dice di correggere gli errori di Dio uccidendo
la peggior feccia che infesta la terra.
In cambio dell'immunità per ogni crimine commesso, i federali chie-
dono a Schumann un ultimo omicidio, forse il lavoro più importante e
rischioso della sua vita: perché il bersaglio è l'uomo di fiducia del
Führer, Reinhard Ernst, nonché il responsabile della corsa agli arma-
menti del Reich.
Schumann è l'uomo perfetto per svolgere questo lavoro, sia per le sue
indubbie doti che per la sua conoscenza del tedesco; perciò viene
inviato in Germania sotto mentite spoglie (dirà d'essere un cronista
sportivo che accompagna la squadra olimpica americana a Berlino in
occasione delle Olimpiadi) ed avrà soltanto quarantotto ore per
eliminare il proprio bersaglio senza farsi catturare.
Allo stesso tempo, il detective Willy Khol, da non considerarsi un fana-
tico nazista ma soltanto un uomo di legge, dovrà seguire la scia di san-
gue tra le strade di Berlino, sulle tracce di Schumann e dei corpi che la
sua caccia all'uomo si è lasciata alle spalle.
Mi sembra inutile continuare ad elogiare Deaver da un punto di vista
stilistico, ormai credo di aver ribadito abbastanza il concetto.
Il libro è molto scorrevole soprattutto grazie al numero ridotto di pagi-
ne che compongono ogni capitolo e allo stile narrativo utilizzato, lieve-
mente diverso da quello utilizzato per le altre opere. Bastano le prime
due righe a far annusare al lettore l'aria della malavita e dei delitti de-
gli anni '30 in una cornice dalle tinte seppia.
Alcuni hanno giudicato il libro piuttosto inesatto dal punto di vista sto-
rico, ma la bellezza e l'accuratezza del racconto in sé dovrebbero far
passare certe minuzie in secondo piano. Soprattutto se si considera
che si tratta pur sempre di un romanzo e non di un saggio storico.
Questo è uno dei libri che consiglierei a tutti di avere in libreria; chi
cerca una spy-story o un buon thriller vecchio stile ha trovato il libro
adatto.
Voto complessivo 4 su 5.
Titolo: Il giardino delle belve
Autore: Jeffery Deaver
Editore: BUR
Data di pubblicazione: 2008
Pagine: 485
Prezzo di Copertina: 10,90€
Jeffery Deaver è uno scrittore, giornalista ed avvocato americano, nato
nello stato dell'Illinois nel 1950. Vincitore di numerosi premi letterari,
è stato più volte finalista all'Edgar Award. Noto per la sua saga su
Lincoln Rhyme, Jeffery Deaver ha dato il suo contributo nella stesura di
un nuovo capitolo dell'agente 007.
Christine Amberpit
RECENSIONE: DI SETA E DI SANGUE, QIU XIAOLONG
A tavola con l'ispettore...
Quarto giallo che ha per pro-
tagonista l'ispettore capo
Chen Cao della polizia di Shan-
gai. Questa volta, l'indagine è
ambientata nel 2000 e riguar-
da l'omicidio di alcune giovani
donne, i cui corpi vengono ab-
bandonati in luoghi pubblici
della città e rivestiti, per l'oc-
casione, con eleganti abiti de-
modé di foggia mandarina (i
"qipao”).
Come nei gialli precedenti di
Xiaolong, la storia è l'occasio-
ne per raccontare la Cina mo-
derna, profondamente divisa
tra quel che resta dell'egualitarismo moralista e forzato dal Maoismo,
ormai ridotto a puro simulacro formale, e la liberazione degli "spiriti
selvaggi" del capitalismo, entrambi governati dal Partito. La radice dei
delitti è nel periodo oscuro e terribile della Rivoluzione Culturale,
promossa da Mao negli anni '60: quando l'odio e la violenza furono il
motore principale della macchina per costruire la società fatta di cloni
perfetti dell'"Uomo nuovo" voluto dal Partito. Un tentativo annegato
nel sangue e nell'orrore. In quegli orrori passati, Chen Cao entrerà fino
in fondo, senza sconti, mantenendosi nel precario equilibrio tra il
dovere di poliziotto e la fedeltà al Partito.
L’ispettore capo è un “poliziotto per caso”: si è laureato quando non si
poteva autodeterminare il proprio destino, che al contrario veniva
scelto dal Partito, di cui è anche dirigente. E’ inoltre poeta e tradut-
tore di libri stranieri - il che gli procura una certa diffidenza da parte
della nomenclatura.
Tra i luoghi dell'indagine, spiccano le sedi dei comitati di quartiere, un
tempo ferrei esecutori della moralità del Partito e ancora oggi impor-
tanti luoghi di raccolta di informazioni sugli affari altrui, ben prima di
Facebook... In buona parte, gli eventi significativi della vicenda si svol-
gono a tavola. Il cibo, per Chen Cao, come per altri poliziotti a noi più
vicini, è elemento fondante e centrale dell’esistenza; sia esso consu-
mato nei piccoli chioschi dei quartieri popolari o in lussuosi ristoranti
da arricchiti, dove una sola portata può costare quanto basta per nu-
trire un contadino cinese per un anno intero.
Un gioco simpatico che vi invito a fare a questo proposito, leggendo il
libro, è quello di individuare quali e quanti piatti vengono citati (e ser-
viti) nel romanzo. Attenzione, però: tra di esse vi sono molte "pietanze
crudeli", e ci vuole un discreto stomaco anche soltanto a citarle...
Voto complessivo: 8.
Marco Zanette
La versione originale di questa recensione è stata già pubblicata sul
blog Books from the wood.
http://luposelvaticolibri.blogspot.it/2012/06/di-seta-e-di-sangue-
qiu-xiaolong.html
INTERVISTA A STEFANO PIEDIMONTE
AT: Ciao Stefano, benvenuto su Fralerighe.
SP: Ciao.
1) AT: Partiamo dal principio. Era un giorno come tanti, ma
all’improvviso al nostro eroe venne l’idea per scrivere un romanzo.
Come gli venne, questa idea?
SP: Era un’idea che gli frullava per la
testa fin da ragazzino. I primi
esperimenti, racconti scritti quando
avevo tredici o quattordici anni, furono
disastrosi. L’idea, però, non m’è mai
passata. Ho fatto il giornalista per una
decina di anni scrivendo di cronaca, e
soprattutto di cronaca nera. E’ stata
un’ottima palestra, ho imparato molte
cose sulla criminalità organizzata e su
certi ambienti borderline. Poi ho deciso
che dovevo mettermi in gioco, ci ho
provato. Ho detto “se mi va male, ho
comunque una vita intera per leggere i
romanzi degli altri”. Mi è andata bene. E
ho comunque una vita intera per
leggere romanzi.
2) AT: Sei laureato in lingue e letterature straniere e lavori come
giornalista presso il Corriere del Mezzogiorno: che peso ha avuto la
tua formazione nella stesura di questo romanzo?
SP: Non lavoro come giornalista al Corriere del Mezzogiorno. Ho
lavorato lì fino al 2012. Scrivere di cronaca nera mi ha permesso di
visitare le case confiscate ai boss, di conoscere le loro facce, le loro
storie, le loro bizzarrie. Ho allestito un vero e proprio museo delle
cere, poi l’ho riversato nel mio primo romanzo.
3) AT: “Nel nome dello Zio” è soprattutto un romanzo divertente.
Raccontaci un aneddoto simpatico legato a questo libro.
SP: Beh, provate ad andare su YouTube e a cercare “ragazzo
frizzantino”.
4) AT: Se dovessi riscrivere questo
romanzo, cambieresti qualcosa? E
perché?
SP: Cambierei molte cose, ma non
perché non mi piaccia il libro che ho
scritto. Sono orgoglioso di ciò che ho
scritto. Solo che il tempo ti cambia. Se
fai lo scrittore, ti cambia ancora più
rapidamente. Il giorno dopo sei una
persona diversa, e il tuo modo di
scrivere è diverso. Per te, almeno.
Magari chi ti legge vede sempre la
stessa persona. E’ una cosa total-
mente soggettiva, riguarda la perce-
zione soggettiva di se stessi, i libri che
hai letto, quelli che ti hanno più
colpito, le cose che ti sono accadute.
5) AT: Lo Zio. Ce lo descriveresti fisicamente?
SP: E’ un uomo sotto i cinquanta, capelli scuri, di una certa presenza.
Io so com’è lo Zio, ma lo descrivo in modo che il lettore possa
disegnarlo a sua volta. Mi piace che ci sia una certa interazione
(cooperazione?) fra chi scrive e chi legge. Il tentativo di esplorarsi a
vicenda.
6) AT: Anthony è sia un delinquentello che un ingenuo. Una combi-
nazione che a qualcuno potrebbe sembrare incoerente. Quanto c’è di
verosimile in Anthony e quanto di fittizio?
SP: Sinceramente, di gente come Anthony ne ho conosciuta parecchia,
e il suo tipo mi sembra tutt’altro che incoerente. Anzi. I giovanotti di
quel tipo lì, spesso sono di un’idiozia e di un’ingenuità allarmanti. Non
è un personaggio reale, ma allo stesso tempo in lui non c’è nulla di
fittizio. Basta farsi un giro nei Quartieri Spagnoli di Napoli.
7) AT: L’atteggiamento
camorristico che trovi più
grottesco.
SP: Quello di chi ammazza
la gente e poi va in chiesa
la domenica. Quelli che si
fanno disegnare la Madon-
na sull’impugnatura della
pistola.
8) AT: L’atteggiamento
delle forze dell’ordine che
trovi più grottesco.
SP: I poliziotti corrotti (così come i carabinieri, i finanzieri e i vigili
urbani), per pochi che siano, sono uno dei più grossi esempi di
mediocrità nella nostra democrazia.
9) AT: L’atteggiamento di Stefano Piedimonte che trovi più grottesco.
SP: Sono capace di grande bontà, ma anche di grande cattiveria.
10) AT: Ci riscriveresti uno stralcio del tuo romanzo in stile Roberto
Saviano?
SP: Roberto è Roberto. Non saprei imitarlo. I suoi libri mi hanno dato
tanto. Quando è Roberto a scrivere, tutto diventa mani, piedi, ossa,
sangue, terra. E’ capace di dare una fisicità, un corpo e un odore a
certi concetti che in mano ad altri sono impalpabili, se non
insignificanti.
11) AT: Libri di denuncia. Libri per protestare. Libri per cambiare le
cose. Perché i libri non possono essere semplici libri?
SP: Assolutamente sì. I romanzi, per come la vedo io, devono essere
romanzi e basta. La pedagogia è un’altra cosa. L’etica è un’altra cosa.
La morale è un’altra cosa.
12) AT: Ci parleresti di un qualcosa a piacere legato al tuo libro di cui
non abbiamo ancora trattato?
SP: L’editing del testo è stato veramente minimo. E’ uscito
praticamente così come l’avevo scritto. Eppure ci sono stati dei
consigli, delle dritte, da parte della editor di agenzia, Serena Di
Battista, e di quella di Guanda, Laura Bosio, senza le quali il romanzo
non avrebbe avuto la stessa fortuna. Sono due persone in gamba, e
non è un caso che siano entrambe donne.
13) AT: Mo basta con lo Zio. Parliamo
del libro nuovo. Che ci dici al riguardo?
SP: Si intitola “Voglio solo ammazzarti”.
Comincia da dove finisce il primo, ma
non mi piace vederlo come un sequel. E’
una storia a se stante, chiusa e com-
pleta, perfettamente comprensibile an-
che per chi non ha letto “Nel nome dello
Zio”.
14) AT: I personaggi de “Nel nome dello
Zio” torneranno?
SP: Sì. Ci sarà lo Zio, sua moglie Gessica,
e un altro paio di vecchie conoscenze.
15) AT: Ma Stefano Piedimonte che pensa della situazione letteraria
italiana?
SP: Permettimi di parlare bene, una volta tanto, della mia città. Napoli
sta dando tantissimo alla letteratura italiana. E’ una città che sforna un
talento dopo l’altro. Gli scrittori napoletani pubblicano tutti con editori
del massimo prestigio, sono geniali, forti, carnali, innovativi. Sono
arrabbiati. E’ come se il sangue gli ribollisse nelle vene. Qualcuno parla
di una “scuola campana”. Non so se esista una scuola campana o no.
Sta di fatto che Napoli, e in generale la Campania, dal punto di vista
letterario è una miniera di diamanti.
AT: L’intervista è finita. Salutaci in stile frizzantino.
SP: Un abbraccio circolare a tutta la fascia d’ascolto. Zio vi benedica.
Stefano Piedimonte e Aniello Troiano
INTERVISTA A SAMUEL GIORGI
AT: Ciao Samuel. Per una volta farai la parte dell’intervistato e non
quella del redattore. Allora, come ci si sente? Spero bene.
SG: Parafrasando un famoso film francese, diciamo: “Fin qui, tutto bene!”. 1) AT: Let’s go. Com’è nata l’idea per il Mangiateste?
SG: L'idea è nata dall'incontro tra una mia ossessione personale e un fatto di cronaca. Mi riferisco al tema del 'suicidio'. Alla fine della mia adole-scenza l'idea che qualcuno di molto vicino a me potesse togliersi la vita, diventa improvvisamente un fatto reale: due miei amici si tolgono la vita in modo estremamente drammatico e violento. Da allora il ricordo dei loro ultimi istanti abita in me, tornando regolarmente a ricordarmi come la nostra esistenza sia regolata da un fragile equilibrio tra follia e normalità. Il fatto di cronaca, invece, è uno di quegli eventi che ti investono mentre stai attraversando distratto un incrocio, un impatto che non riesci a evitare perché sei paralizzato dalla paura, e i cui segni li porterai sulla tua pelle per il resto della vita. Per me lo è stato la triste vicenda di Bridgend County. Dal 2007 al 2009 in una cittadina nel sud del Galles sono avvenuti ben settantanove suicidi, in gran parte adolescenti dai tredici ai diciassette anni. Fino a oggi nessuno è riuscito a scoprire le ragioni di tale tragedia.
2) AT: Perché hai scelto di ambientare la storia a Grazzeno, in Val
d’Ossola? Perché il Piemonte e non la Lombardia, che è la tua
regione?
SG: L'idea era appunto di ricostruire quella vicenda in Italia, cercando una località che si avvicinasse il più possibile alla Death Town inglese (come la stampa ha ribattezzato Bridgend County). Avevo ben in testa come dovesse essere il paese, e confrontandomi con amici ho scoperto che la collocazione ideale era proprio la Val d'Ossola. Lì ho trovato le atmosfere e le tradizioni adatte a tessere la mia trama di orrore e desolazione. 3) AT: Quali letture ti hanno influenzato maggiormente? E quali hai
odiato? (Ammettilo: anche tu come tutti noi a volte detesti dei libri…)
SG: Ah, saperlo! È difficile dire quali fantasmi hanno la voce più alta nel dettarmi le visioni e gli incubi che decido di trasferire sulla carta. Il mio
immaginario, grazie al cielo, sta evolvendo continuamente, ogni libro che leggo, ogni storia che ascolto e faccio mia, così come la vita di tutti i giorni, le biografie di coloro che incontro tutti i giorni, diventano materiale che volente o nolente tornerà in superficie in tutte le storie alle quali saprò dar vita. Faccio fatica a metterle in ordine di importanza. Per farti comunque felice, ti dirò che negli ultimi anni mi sono dedicato soprattutto ai grandi del thriller americano e ancora più recentemente sto scoprendo le voci del brivido nostrane. Per la seconda domanda, ammetto che anche io ho dei libri che ho amato meno, ma che tuttavia non mi hanno procurato particolare sofferenza: se non riesco a leggerli fino in fondo li mollo dove sono
arrivato. Nessuno ci obbliga a leggere per intero un libro che non ci piace. Nelle grosse città è pieno di bancarelle di libri usati.
4) AT: Hai iniziato a scrivere da pochi anni. Cosa ne dicono amici e
parenti?
SG: Grande sorpresa all'inizio, soprattutto per il genere di storie che scrivo che non trova riscontro nel tipo di persona che loro conoscono. Ma noi due, mio caro Aniello, sappiamo assai bene che il male e l'orrore adorano camuffarsi sotto l'ordinario e il quotidiano. La normalità (anche un volto solare e sorridente come il mio) spesso è il rifugio preferito per le ombre fitte e i demoni sanguinari.
5) AT: Il Mangiateste ha una certa componente horror. Ci racconti un
aneddoto spaventoso legato a questo romanzo? O, se non ne hai,
anche un aneddoto spaventoso e basta. Ma che sia vero.
SG: Potrà sembrare strano o costruito, ma da quando è uscito il romanzo stanno ac-cadendo fatti e coincidenze talvolta inquietanti. Alcune estremamente drammatiche. Senza entrare troppo nei det-tagli, sappi che qualche giorno dopo la pubblicazione, i miei due vicini di casa sono stati trovati morti nel loro appartamento: il marito ha ucciso la moglie strangolan-dola sul divano e poi si è im-piccato alla trave del soffitto. Non sto scherzando. Amici e lettori, poi, mi riportano testimonianze di misteriose coincidenze tra episodi narrati nel mio romanzo e fatti reali. Per farti un esempio, una ragazza originaria delle valli ossolane mi ha rivelato che dalle sue parti
c'è ancora l'usanza di ascoltare i racconti dei vecchi di montagna la sera con il camino acceso, alla luce di piccole candele. Si raccontavano storie di basilischi, contrabbandieri, piccoli nani e caproni, dove i caproni altri non sono che i defunti che decidono di prendere le anime dei vivi. Ecco, nel Mangiateste uno dei personaggi, prima di suicidarsi, è visitato proprio da due figure molto simili a un nano e un caprone. Credimi se ti dico che di queste storie ossolane, non avevo mai sentito parlare in vita mia.
6) AT: Il Mangiateste, però, è anche un romanzo piuttosto ironico. Ci
racconti un aneddoto divertente legato a questo libro?
SG: L'unica cosa che mi viene in mente è legata proprio al titolo. Come sai ho due figli. Mi è sempre risultato difficile raccontargli le classiche fiabe della buonanotte. È stato così che per loro ho inven-tato le avventure dei Mangia-Mangia, una simpatica collezione di mostri dotati di voci e accenti molto differenti tra di loro, ma ugualmente inquietanti. C'è, tanto per fare qualche nome, oltre al Mangiateste, anche il Mangia-pancia, il Mangiaorecchie, il Man-giapiedi e via di questo passo. I bambini si divertivano un mondo,
un po' meno la loro mamma, ma almeno non facevano troppi capricci per addormentarsi.
7) AT: E Luna Fontanasecca, da dove spunta?
SG: Bella domanda. Forse rappresenta il mio lato femminile, tutti ne abbiamo uno. Il mio un giorno è uscito così: strambo, con la testa
sempre persa a leggere i pensieri della gente, ma poco incline a dare confidenza agli sconosciuti.
8) AT: Quanto tempo ci hai messo per scrivere la prima stesura?
SG: Più o meno un anno.
9) AT: Quale aspetto della scrittura ti ha dato più filo da torcere?
SG: Sicuramente è stato complicato trovare uno stile narrativo personale, il lavoro per dar vita a una forma narrativa costruita dall'intreccio di registri molto differenti tra di loro. Ma anche, se non soprattutto, dare al mio testo una fluidità di lettura alla quale sono arrivato a costo di terribili limature e rinunce. Togliere, semplificare, riscrivere. Una, due, dieci, mille volte. Un lavoro estenuante e spesso noioso. Ma preziosissimo.
10) AT: Pubblicare un romanzo con una grande casa editrice ti ha
cambiato la vita in qualche
modo? O ti ha reso solo un
“Vip”?
SG: La mia vita è stata cambiata non tanto dalla pubblicazione, quanto dalla scrittura stessa. Ha portato ritmi e manie che prima di allora non avrei mai sospet-tato potessero far parte del mio mondo. La pubblicazio-ne in sé non ha portato gros-se novità, tranne quella di aver incontrato nuove perso-ne, di sapere che ce ne sono molte che mi leggono e che poi desiderano comunicarmi tramite internet quello che
hanno provato. Ogni volta è una gioia immensa.
11) AT: Hai mai pensato di scrivere un romanzo comico, una
commedia?
SG: In verità, mai, neppure un istante. Non credo si possa decidere di cosa scrivere. Per me, almeno, non lo è stato. Quello che hai dentro, nel profondo, se decide di uscire all'aria aperta lo fa nella forma e nello stile narrativo che la magia e il mistero dell'ispirazione decidono per te. A quel punto, tu sei solo un mezzo. O almeno mi piace pensarla così. 12) AT: Ci parleresti di un qualcosa a piacere legato al tuo libro di cui
non abbiamo ancora trattato?
SG: C'è una cosa di cui parlo poco, il modo in cui scrivo, nel senso dei luoghi e dei tempi che facilitano la mia scrittura. Non so se è una cosa particolare, condivisa da altri (a dirti la verità, conosco ben pochi scrittori), ma la prima stesura la riesco a realizzare solo in luoghi
particolarmente affollati. I vagoni della metropolitana nelle ore di punta, i bar, i centri commerciali. Nel silenzio del mio studio faccio molta più fatica a sviluppare le idee, a lasciar fluire la storia, lì mi dedico ad altro, all'editing, alla trascrizione dei manoscritti, alle ricerche. Ah sì, dimenticavo, mi piace anche scrivere a penna e solo dopo a trasformare il tutto in pixel. Di solito cerco luoghi dove difficilmente rischio di incontrare persone conosciute. Se ne intravedo qualcuna, scendo e cambio vagone, o comunque mi allontano infastidito dal luogo in cui mi trovo. Se non ne ho la
possibilità, faccio finta di non averli visti, senza alzare gli occhi dalle pagine e stringendo ancora più forte la penna nera tra le dita paonazze. Il ritmo lo prendo dalle voci di sottofondo della folla. Talvolta pesco addirittura parole e mezze frasi e le inserisco all'interno del testo, ma succede di rado, solo se mi blocco e ho bisogno di guardare in un'altra direzione per 'svegliare' la storia. Adoro farmi ispirare dalle associazioni casuali, setacciare dal flusso di pensieri e parole che mi circondano, che siano scritte pubblicitarie, titoli di giornali, slogan stampati sulle magliette dei ragazzi o graffiti colorati sulle pareti dei palazzi. Nulla, forse, avviene per caso, oppure è proprio il caso che regola il nulla al quale tentiamo ogni giorno di dare un significato.
13) AT: Progetti per il futuro?
SG: Come tutti quelli che si lasciano sedurre dal dolce tormento che è lo scrivere, il mio progetto è avere la possibilità di continuare a pubblicare le mie storie, e magari che un giorno questa diventi la mia unica, splendida, occupazione.
14) AT: I personaggi de “Il Mangiateste” torneranno?
SG: Per quanto riguarda la squadra di indagine legata a Bruno Widmann e Luna Fontanasecca, direi proprio di sì. Almeno per il fatto che sto lavorando alla loro terza storia. Se ti riferisci, invece, a tutti gli altri personaggi che si incontrano nel Mangiateste, a questo purtroppo, non posso ancora dare risposta. Dovrai attendere un po'. 15) AT: Ma Samuel Giorgi che pensa della situazione letteraria
italiana?
SG: Tutto il bene possibile, in termini di autori, di ricchezza e varietà di voci e generi. Meno positiva forse è la situazione sul fronte dell'editoria, soprattutto nei confronti degli esordienti, per i quali la mancanza di risorse e la scarsa abitudine alla lettura dei nostri compaesani, spesso determinano carriere e fortune assai brevi. Anche quando, come nel mio caso, si ha la grazia di passare dalle grandi case.
AT: L’intervista è finita. Salutaci alla maniera del Mangiateste.
SG: il Mangiateste non saluta mai le sue vittime: non avrebbe senso sprecare fiato per dei cadaveri! Un abbraccio a tutti!
Samuel Giorgi e Aniello Troiano
ARTICOLO: COPPIE GIALLE
Da sempre, nelle storie, l'eroe protagonista ha bisogno di un contral-tare per risultare il più coraggioso, il più forte, il più straordinario ed elevarsi al di sopra della gente comune. Anche nel giallo è così: tanto più l'assassino è astuto, senza scrupoli e abile nel celare le tracce della propria colpevolezza, tanto più l'investigatore sarà in gamba quando riuscirà a metterlo con le spalle al muro e lo consegnerà alla giustizia. È sempre la dicotomia che getta le luci radenti su un lato e l'altro della medaglia, facendole contrastare e quindi mettendole in mostra. Spesso però, nelle detective stories, c'è un altro contraltare che gioca un ruolo primario nella costruzione di una narrazione avvincente.
Elementare, Sherlock Sherlock Holmes è un individuo dalla mente brillante, pronta ai collegamenti e al saper cogliere i dettagli, anche quelli più minuti che a un occhio meno smaliziato sfuggirebbero. Per contro, è indisponente, sarcastico fino all'essere caustico, annoiato dal mondo e dalle creature che lo abitano. Se Holmes fosse stato l'unico protagonista dei romanzi a lui intitolati, avrebbe avuto non poche difficoltà. La presenza al suo fianco di John Watson risulta indispensabile: il dottore è una creatura posata, educata e affabile, più lenta nel corpo e nello spirito rispetto al compagno in corsa costante. Attraverso la presenza di Watson scopriamo Holmes: John non è stupido, non è turlupinabile né inferiore a nessuno, nel tessuto sociale in cui la storia prende piede. Non più di quanto sia sciocco il lettore medio. Eppure è stupido rispetto a Holmes; è raggirabile quando Sherlock non lo è affatto, è scialbo quanto il suo compagno è eccentrico e sopra le righe. Nessuno, tuttavia, leggendo pensa che Watson sia uno sciocco, cogliendo bene lo spirito del personaggio attraverso la narrazione in prima persona. Si evince perfettamente, invece, quanto sia brillante Holmes, quanto sia intelligente, quanto sia tutto quello che un essere umano comune normalmente non è. Ecco qual è il vero ruolo del querulo Watson: far risaltare l'apocalittico compagno d'avventura. Un meccanismo elementare, ma quanto mai efficace.
Il mio signore e il mio “donno” Questa è l'espressione che Archie Goodwin si diverte a usare per riferirsi al suo eccentrico, misogino, mastodontico datore di lavoro (per quanto “donno” sia un arcaismo derivato dal latino “domine”, cioè padrone, il doppio senso che ne deriva è comunque gustosis-simo). Anche per Nero Wolfe e Archie Goodwin vale quanto si è detto per Holmes e Watson: diversissimi, i due componenti della coppia si completano l'un altro. Wolfe è grasso, pignolo, amante delle orchidee e dei piaceri della tavola. Considera il lavoro un fastidio bello e buono a cui dedicarsi il minimo sindacale – e con la sua abile mente, per fortuna non gli è difficile – in modo da mantenere il tenore di vita a cui è abituato. Archie Goodwin invece deve per forza considerarlo a tempo pieno, dal momento che oltre alle normali occupazioni che competono il suo lavoro di segretario, è costretto a far fronte a ogni più piccola richiesta del dispotico detective. Tanto più quanto Wolfe è immobile e inamovibile dalla sua scrivania e dalle sue orchidee, tanto più l'atletico Archie deve correre da una parte all'altra della città per verificare indizi, prove e pedinare sospetti. Quello che risulta evidente e talmente gradevole da diventare uno dei punti forti dei racconti e dei romanzi di questo genere, è la tensione che si viene a creare tra i due compagni di lavoro. Due caratteri tanto diversi finiscono per entrare in collisione, scontrarsi su differenti punti di vista e spesso mettere in dubbio le convinzioni dell'altro. Non mancano scontri dialettici, nascono sfide verbali e volano frecciatine volte a stuzzicare ora il geniale detective, ora lo stanco aiutante. L'interazione, frizzante e fresca, risulta una delle caratteristiche più ricercate dai lettori negli episodi seriali, portandoli ad affezionarsi alla coppia e a seguirla nei battibecchi tanto quanto nelle ricostruzioni delle indagini, ritrovando il proprio affetto per i personaggi nell'affetto reciproco che essi stessi portano l'un altro.
Dalla stessa parte Spesso il lato geniale della coppia si trova in difficoltà, troppo impantanato nel livello di congetture e di teorie che hanno stratificato le indagini e non riesce più a vedere la situazione obiettivamente. Se non ci riesce la mente abile, a mettere il colpevole con le spalle al muro, che speranza ha la povera spalla? Invece, quello che accade, è che proprio l'aiutante fornisce senza rendersene conto gli spunti decisivi per il rush finale. Il lavoro in coppia allora non diventa solo divertente, ma anche necessario: davanti a un antagonista troppo grosso, il delitto che si cela nel mistero, gli eroi si stringono l'un l'altro per diventare più forti ancora.
Scilla Bonfiglioli
ARTICOLO: MISTERO - PERCHÉ SI LEGGE POCO?
Che in Italia si legga poco e niente è cosa risaputa. Ma se si mettono
da parte i dati e le percentuali, e si sposta la lente d’ingrandimento sui
motivi per cui il popolo di Dante non legge, la questione si fa molto
meno chiara. In questo articolo, cercherò di risalire alle radici del
problema procedendo per logica. Un’indagine: di chi è la colpa se
nessuno o quasi legge? Fa anche un po’ giallo, se vogliamo.
Procediamo con l’esame dell’alibi dei vari sospettati.
Numero 1: la mancanza di tempo.
Quante volte avete sentito dire
cose del tipo: “Vorrei tanto
leggere un bel romanzo, ma non
ho proprio tempo!”. Io tante,
troppe per riuscire ancora a sop-
portare una scusa così debole.
Perché se uno non vuole leggere
non legga, nessuno lo obbliga, ci
va a perdere solo lui; ma almeno
bisogna avere l’onestà di pren-
dere posizione, di non nascon-
dersi dietro un ridicolo “vorrei
ma non posso”. Sì, perché com’è
che noi lettori il tempo lo tro-
viamo? Siamo tutti disoccupati? Non direi. Abbiamo accesso alla
stanza dello spirito e del tempo di Dragon Ball? Magari…
Semplicemente, se ti piace fare qualcosa il tempo per farla lo trovi.
Com’è che il tempo per cazzeggiare su Facebook o per guardare Real
Time lo trovate?
Numero 2: il costo.
“L’altro giorno sono andato in libreria, ho visto un bel romanzo, però
che diamine, 18 euro!” Altra frase ricorrente. Ok, che alcuni libri
costino un po’ troppo è vero. Specialmente per chi non lavora.
Però:
- ci sono le collane economiche. Non ditemi che non potete
permettervi un libro da 10, 9, 8, 7, o anche 5 euro una volta al mese, o
ogni due mesi, ogni tre…
- comprando sugli store online ci sono sconti anche notevoli.
- si possono comprare libri usati.
- ci sono le biblioteche,
che ci permettono di
leggere gratis.
Insomma, magari non vi
va di spendere 18-20
euro per un romanzo. Lo
capisco, capita anche a
me. Però, perché non
comprare un altro ro-
manzo a 9? Perché l’au-
tore non è famosissi-
mo? E se volete per forza quel libro, perché non comprarlo appena lo
fanno in economica? Perché a quel punto sarà passato di moda?
Numero 3: lo studio.
“Eh, già leggo i libri dell’università, ci manca solo che mi metto a
leggere pure i romanzi…”
Secondo questa teoria bril-
lante, un manuale di fisica,
di legge, di medicina, di
ingegneria, di quelchevo-
letelogia è uguale a un
romanzo. Non credo ci sia
bisogno di argomentare.
C’è poi il caso degli studenti di Lettere (la mia facoltà) che si nascon-
dono dietro l’alibi del “Eh, ma già leggo i classici per l’università…”.
Leggi i classici? Bene. Ma sai, si presuppone che a te, studente di
lettere, leggere piaccia tantissimo. Non mi dire che una decina di
classici all’anno ti bastano…
Numero 4: mi annoia.
“Ci ho provato a leggere, ma mi
annoia…” Frase all’apparenza
logica, corretta. Uno prova a
leggere, si scoccia e amen.
Eppure, anche questa scusa in
realtà regge poco. Leggere ti
annoia. Leggere. Non leggere i
Promessi Sposi, hai detto pro-
prio leggere. Quindi hai già letto
tanti romanzi diversi, hai pro-
vato con vari generi, vari stili,
diversi approcci alla scrittura.
Hai letto praticamente tutto, per poter dare un giudizio così… totale.
Cosa vuoi che ti dica, a una persona colta come te non si può
controbattere.
Siamo arrivati al classico punto delle storie gialle in cui gli investigatori
hanno abbastanza dati su cui riflettere. Quindi prendiamoci una pausa
dagli interrogatori e analizziamo i punti in comune tra i casi su citati.
- qualcuno lamenta la mancanza di tempo, ma chi ama la lettura il
tempo lo trova.
- qualcuno si appiglia al costo, ma ci sono le biblioteche, le collane
economiche, l’usato; e poi qui si parla di non leggere proprio, di non
spendere nemmeno 10, 20 euro l’anno in libri. Insomma, cifre alla
portata di tutti. Chi ama la lettura, però, i soldi li trova.
- qualcuno dice che leggendo libri per l’università non ha bisogno
anche dei romanzi. Chi ama la lettura, però, al testo universitario di
biochimica affianca un romanzo con piacere.
- qualcuno dice che leggere lo annoia.
Non serve essere Sherlock Holmes per capire che il punto in comune
tra i quattro alibi è la mancanza di amore per la lettura. Che non
dipende né dalla mancanza di tempo, né dalla mancanza di soldi, né
dallo studio.
Ma quindi, da cosa dipende?
Riagganciamoci alle parole dette dall’indiziato numero 3:
“Eh, già leggo i libri dell’università, ci manca solo che mi metto a
leggere pure i romanzi…”
E ora alla domanda posta al numero 1:
“Com’è che il tempo per cazzeggiare su Facebook o per guardare Real
Time lo trovate?”
Il movente non può che essere questo: la lettura non viene vista come
qualcosa di divertente, piacevole, ma come un qualcosa legato allo
studio, un’attività utile ma pallosa.
Cos’ha causato questo trauma nella mente del nostro serial killer, che
ogni anno ammazza libri su libri facendoli riempire di polvere e
mandandoli al macero, ma soprattutto ammazza la possibilità di
divertirsi in un modo unico?
Ecco qualche ipotesi:
- a casa non ha avuto esempi positivi: se vedi papà appassionarsi al
calcio e non leggere mai un libro, molto probabilmente ti appassio-
nerai al calcio e non leggerai nessun libro per piacere personale.
Piccolo inciso: non ce l’ho con il calcio. Potete sostituire al pallone
qualsiasi altra forma di intrattenimento amata dal grande pubblico.
- a scuola gli hanno proposto sempre libri pesanti e poco adatti alla sua
età. “I Promessi Sposi” a quindici anni non potrà mai coinvolgerti. E
studiarlo serve a poco: solo a creare delle menti piene di nozioni,
spesso incapaci di esprimersi in italiano correttamente.
Già da questo punto in poi il nostro si è allontanato abbastanza dai
libri da sviluppare il germe del serial killer letterario, inconsapevole
assassino di romanzi. Però, nel corso della sua vita, il nostro assassino
ha qualche momento di pentimento. Va in libreria, o comunque si
avvicina a un libro e prova a leggerlo. Si trova davanti delle storie
mediocri e lontane dal mondo reale scritte con un linguaggio molto
lontano dal parlato, perché lo scrittore deve far vedere che lui sa
scrivere bene, se no mica diventava scrittore.
E allora il nostro serial killer sapete che fa: legge un paio di pagine al
massimo e si dice “avevo ragione”. E torna ad ammazzare più fiero e
ostinato di prima.
Ah, della serie: siamo propositivi. Lo psicologo criminale consiglia agli
scrittori di sforzarsi il più possibile per avvicinarsi alla vita vera, sia nei
contenuti che nello stile; dato che per quanto riguarda genitori e
istruzione non possiamo fare nulla. Questo non vuol dire, sempre a
detta del dottore, che non si possa scrivere roba diversa o fantastica, o
che non si possa rimodellare la realtà di tutti i giorni. Conta come lo si
fa, come si racconta.
Magari una buona idea potrebbe essere evitare frasi come:
«Era il calco psichico di un languore immemorabile che nessuna azione
avrebbe potuto riscuotere dal suo sonno comatoso», frase riportata da
un romanzo vero, “Il rumore sordo della battaglia” di Antonio Scurati,
citata anche nel saggio “L’importo della ferita e altre storie” di Pippo
Russo.
E ancora, tanto per dirne una: avete notato qual è la caratteristica in
comune tra tanti autori (non già famosi per cose che non c’entrano
con la scrittura) che vendono abbastanza? Provate a indovinare…
Uno stile colloquiale, esatto. Scrivi come parli, insomma. Certo, questo
tipo di approccio non basta per scrivere un buon libro, ma direi, anzi,
lo psicologo criminale dice, che è un buon inizio.
Aniello Troiano
ARTICOLO: GLI UCCELLI
Mai giudicare un libro dal film che ne è stato tratto, ammoniva J. W.
Egan: un ottimo consiglio (nove volte su dieci, ammettiamolo, la visio-
ne del film ci strappa di bocca il classico "certo che il libro è un'altra
cosa", e tanto peggio per chi, non resistendo al fascino delle immagini,
finisce per guastarsi la lettura)... che ci prendiamo il lusso di non segui-
re! Perché può capitare che una trasposizione cinematografica non
soltanto regga il confronto ma finanche superi in qualità ed eleganza la
sua pur pregevole fonte letteraria.
E' il caso di “The Birds”, capolavoro hitchcockiano ispirato all'omonimo
racconto della scrittrice britannica Daphne Du Maurier.
Di quest'ultimo, il film cult diretto dal
Maestro del Brivido (che ha recente-
mente festeggiato il suo primo mezzo
secolo di vita e di successi: la pellicola
uscì infatti nelle sale americane il 28
marzo 1963) non conserva che l'ossatu-
ra, il motivo conduttore: l'inspiegabile,
feroce rivolta di una moltitudine di uc-
celli delle specie più varie, e quindi della
natura tutta, contro l'uomo. "Nat pre-
stò ascolto al rumore del legno che ve-
niva ridotto in schegge" leggiamo nella
parte conclusiva del racconto "e si do-
mandò quanti milioni di anni di memo-
ria fossero rinchiusi in quei cervellini,
dietro quei becchi appuntiti, quegli oc-
chi penetranti, e che ora alimentavano
l'istinto di distruggere l'umanità con l'abile precisione delle macchine".
Ecco la suggestione, l'interrogativo che muove la narrazione e corre
sotto la pelle del thriller movie più inquietante di Sir Alfred Hitchcock:
perché gli uccelli attaccano l'uomo?
Domanda che è destinata a rima-
nere senza risposta e che costitui-
sce, come si è accennato, l'unico ve-
ro punto di contatto fra due opere
che più diverse non si potrebbe.
Se da una parte, infatti, il racconto
della Du Maurier, ambientato in una
non meglio precisata campagna in-
glese frustata dai primi freddi del-
l'inverno, è incentrato sul personag-
gio di Nat Hocken, invalido di guerra
e fattore a mezzo servizio impegna-
to a salvare se stesso e la propria
famiglia da un poderoso assedio ala-
to, l'azione del film si svolge quasi
interamente nell'incantevole scena-
rio di Bodega Bay, piccolo porto sul
Pacifico a poche decine di miglia da
San Francisco. Quando Melania Da-
niels, ricca e alquanto viziata "figlia di papà", giunge alla baia con una
coppia di lovebirds (i pappagallini verdi cosiddetti "inseparabili") den-
tro una gabbia dorata, cominciano a verificarsi strani e inquietanti epi-
sodi: corvi e gabbiani, quasi fossero mossi da una diabolica forza so-
vrannaturale, si avventano sulla popolazione del luogo e sulla stessa
Melania in un crescendo di morte e distruzione.
Una tragedia dell'inspiegabile narrata in maniera a dir poco super-
ba... e non poteva essere altrimenti visto e considerato che al genio
visionario del Maestro si affianca il talento narrativo di Evan Hunter –
vero nome di un certo Ed McBain, scusate se è poco! – , autore di una
sceneggiatura che colpisce, emoziona e non si dimentica.
Simona Tassara
--- articolo originariamente pubblicato sul blog di Uno Studio In Giallo:
http://unostudioingiallo.blogspot.it
ARTICOLO: IL DELITTO PERFETTO
Una buona sceneggiatura è tutto.
Se si dovesse poi disporre di un'ottima sceneggiatura – un eccellente
testo teatrale, poniamo il caso, firmato da quell'autentico genio della
drammaturgia che è stato Frederick Knott – si correrebbe perfino il ri-
schio di mettere in scena la miglior commedia gialla che si sia mai vista
sul grande schermo. Certo bisognerebbe cavar fuori dal cilindro una
coppia d'attori del calibro di Ray Milland e Grace Kelly, e una regia sa-
piente, misurata, fedele al testo e al contempo velata di originalità.
Pochi - ma indispensabili - ingredienti, in fin dei conti, e “Il delitto per-
fetto” è servito.
Alfred Hitchcock realizzò la trasposizione
cinematografica dell'omonimo dramma
di Frederick Knott (il bel titolo origina-
le, “Dial M for Murder”, allude al quar-
tiere londinese di Maida Vale in cui si
svolge la vicenda) nel 1953, a poco più di
un anno dalla fortunata première bri-
tannica; la pellicola, girata pressoché in-
teramente nel salotto "bene" di casa
Wendice – mobili Chippendale, statuet-
te Wedgwood e stampe di Rosa Bon-
heur, tanto per gradire! – nel rispetto
delle regole aristoteliche di unità di luo-
go, tempo e azione e dell'origine teatra-
le dello script, ottenne subito un folgo-
rante successo di cui non è difficile
comprendere le ragioni.
In primo luogo l'estrema raffinatezza e ingegnosità dell'intreccio. "Dial
M for Murder" coniuga gli elementi del giallo tradizionale – delitto, ca-
stigo e un'indagine che tiene col fiato sospeso pur essendo nota sin
dall'inizio l'identità del colpevole... perché vi è pur sempre una falla,
una crepa da individuare: l'errore che rende qualsiasi crimine, nella
realtà o sulla carta, inevitabilmente imperfetto – con le cadenze della
commedia brillante mettendo in scena un
rompicapo che avvince e coinvolge lo spetta-
tore dalle prime battute all'impagabile sorpre-
sa finale. In secondo luogo, come si è accen-
nato, il cast attoriale: se da un lato la futura
Princesse Grace è a dir poco superba negli e-
legantissimi panni di Margot Wendice, vittima
designata del diabolico marito ma soprattutto
delle proprie debolezze, Ray Milland rasenta -
e a tratti prepotentemente raggiunge - la per-
fezione nel prestare volto, voce e movenze a
un villain coi controfiocchi, tra i più untuosi e
convincenti che siano mai scaturiti dalla pen-
na di un giallista. Ultimo ma non ultimo John
Williams, attore caro a Sir Alfred (esordì nel
1947 ne "Il caso Paradine" e lo ritroveremo, nel 1955, in Caccia al la-
dro) che qui offre una caratterizzazione magistrale dell'ispettore capo
Hubbard conferendo al pur riuscitissimo deus ex machina delineato da
Knott un sovrappiù di ironica, sorniona autorevolezza: nel momento
stesso in cui entra in scena abbiamo la certezza che, in un modo o nel-
l'altro, la faccenda verrà risolta e l'ordine ristabilito.
Non vi è nulla di scontato, tuttavia, in quest'opera che manderà
nel proverbiale brodo di giuggiole i fanatici del poliziesco all'inglese
senza scontentare chi non si muove con passo sicuro sul terreno
del whodunit. Pur riprendendo, come si è detto, gli elementi più tipici
del giallo deduttivo, il lavoro in commento ha il pregio di rielaborarli
con grazia e destrezza conservandone lo spirito e il messaggio. Quando
riesplode la luce in sala, o cala il sipario, riusciamo perfino a cullarci
nella - fuggevole, ahimé - convinzione che il crimine, dopotutto, non
paga. Un conforto che tanta letteratura d'oggi, con una discreta dose
di perfidia, ha scelto di negare ai propri lettori.
Simona Tassara
--- articolo originariamente pubblicato sul blog di Uno Studio In Giallo:
http://unostudioingiallo.blogspot.it
ARTICOLO: TROPPI CAFFÈ PER SARTI ANTONIO, parte I
Su Sarti Antonio e sul suo creatore, Loriano Macchiavelli, abbiamo già
scritto tanto che parlarne ancora ci sembra ripetitivo. Con questo
approfondimento vorremmo invece raccontare il “lato oscuro” di Sarti
Antonio. Il profilo di un personaggio seriale.
E’ appena uscito “L’ironia della scimmia“, il venticinquesimo romanzo
che ha come protagonista il sergente di Polizia che non riesce a
comportarsi da questurino. Questo lo rende il personaggio seriale più
longevo del noir italiano. Dal 1974 a oggi, un bel percorso. Forse non
tutti lo sanno ma Macchiavelli, il 3 Aprile del 1987, ha “ucciso” Sarti
Antonio. Ammazzato con un colpo di P38 in testa.
Perché?
L’autore (nella prefazione della raccolta di racconti “Un poliziotto, una
città”) racconta di averlo ucciso perché non lo sopportava più. Quale il
motivo di questo astio nei confronti di uno dei più importanti
personaggi del noir del nostro
paese? La risposta è semplice: la
critica era riuscito a farglielo
odiare.
La provocazione di Macchiavelli è
proprio questa: un personaggio
seriale, in Italia, non riesce ad
avere vita facile. La critica, dopo
averlo osannato per un paio di libri,
poi non si fa problema a definirlo
noioso, ripetitivo, privo di slancio. Il
commissario Maigret (circa un
centinaio i romanzi che lo vedono
protagonista) in Italia, non sarebbe
andato oltre il quarto romanzo. Ma
è davvero così?
La letteratura popolare si è sempre servita di protagonisti che, a volte
a distanza di appena una settimana, tornavano sotto gli occhi dei
lettori. Pensiamo alla letteratura dell’ottocento. Il romanzo giallo (o
noir), che è ritenuta la moderna letteratura popolare, è quello che più
ha utilizzato il personaggio ricorrente, in passato come oggi. Credo che
il motivo sia da ricercare nelle sue origini e nelle prerogative che gli
sono proprie e che lo distinguono da altri generi letterari: il mistero, il
delitto, l’indagine, un luogo ben definito
(meglio se reale), l’analisi sociale (in realtà
cosa spinga al delitto è uno dei misteri ancora
da svelare), l’introspezione …
Il romanzo d’indagine è nato così, con Auguste
Dupin, più volte utilizzato da Poe nei suoi
racconti, e così è stato apprezzato da milioni di
lettori che si sono affezionati al personaggio
ricorrente.
Ricordo che quando scrivevo il primo romanzo con Sarti Antonio,
sergente, mi venne istintivo pensare che, alla fine della storia, non
sarebbe sparito, che lo avrei ritrovato. Vogliamo dire che mi ci ero
affezionato?
Forse è accaduto lo stesso ai lettori.
Omar Gatti e Loriano Macchiavelli articolo già pubblicato su Noir Italiano
http://noiritaliano.wordpress.com
ARTICOLO: TROPPI CAFFÈ PER SARTI ANTONIO, parte II
Se ci fate caso, il noir in Italia è pieno di personaggi seriali, che incontriamo per parecchi romanzi di fila. Il primo della lista fu il poco apprezzato (perché inviso al regime fascista) commissario De Vincenzi, creato dall’autore Augusto De Angelis. Un commissario controcor-rente, che ascolta musica “ambigua e negroide” (questa la definizione del jazz durante il Ventennio). Moltissimi autori devono la propria fortuna letteraria alla creazione di un personaggio che faccia da “fil-rouge” tra i vari romanzi, al quale i lettori possano affezionarsi e identificarsi. Lo stesso Scerbanenco ha gettato le basi del noir in Italia utilizzando la figura di Duca Lamberti in quattro differenti romanzi, che avrebbero potuto essere sei (esistono solo le bozze di “Safari per un mostro” e de “Le sei assassine”, che si possono trovare nella raccolta “Il ritorno del Duca”).
Il personaggio ricorrente non nasce nel corso di un sol romanzo. Lo si costru-isce storia dopo storia: ri-cordo ai lettori come il per-sonaggio del maresciallo Benedetto Santovito (in-ventato assieme a Fran-cesco Guccini) abbia trova-to la sua completezza, cioè abbiamo saputo di lui, del suo passato e delle sue caratteristiche, al termine della serie di cinque libri. Noi stessi, come autori, lo andavamo scoprendo romanzo dopo romanzo. Mi piacerebbe dire che il personaggio si completa nonostante l’autore. Addirittura vive a dispetto dell’autore, com’è accaduto a me per Sarti Antonio, sergente. Sempre che sia un personaggio riuscito. E per riuscito intendo che entri nella fantasia dei lettori e ci resti anche dopo la fine del romanzo. Non accade sempre. Io sono stato fortunato: due dei miei tre personaggi continuano a vivere nella memoria di chi l’ha conosciuto. Direi addirittura che continua a vivere in una vita parallela a quella reale (ma quale è la vita reale?) che sembra esistere per i personaggi e i mondi letterari.
Se io tengo presente queste cose, “avere già un personaggio pronto” non può che aiutarmi. È come se ritrovassi un amico ogni volta che mi metto alla scrittura. A pensarci bene, così a memoria, i personaggi seriali nel noir italiano sono tantissimi. L’Alligatore di Massimo Carlotto, il commissario Soneri di Valerio Varesi, Giorgia Cantini di Verasani, il Gorilla di Sandrone Dazieri, la Guerrera di Marilù Oliva, la professoressa Baudino di Margherita Oggero, solo per citarne pochissimi. Questi personaggi hanno tutti in comune una particolarità: creano affetto tra i lettori, che si appassionano non solo alle trame poliziesche trattate nei vari romanzi ma anche alle vicende personali del protagonista.
Quindi creare un personaggio seriale è sinonimo di affezione del pubblico e quindi di maggiori possibilità di vendita?
Non sempre. Quanti sono i personaggi che, nelle speranze dell’autore, dovrebbero entrare nell’immaginario dei lettori e poi non accade? È successo anche a me con Poli Ugo, lo Zoppo, ma questa è un’atra storia, come direbbe l’amico Carlo. In verità (e vi prego di credermi), non ho mai pensato alle vendite. Quando ho ripreso Sarti Antonio, sergente, per il secondo romanzo, ancora non sapevo (e non m’importava) quanto avesse venduto il primo. Mio problema era: l’editore mi stamperà anche questo? Nella domanda era implicito il problema delle vendite, ma non me l’ero posto nei termini giusti.
Omar Gatti e Loriano Macchiavelli articolo già pubblicato su Noir Italiano
http://noiritaliano.wordpress.com
NOVITA’ EDITORIALI
Joël Dicker: La verità sul caso Harry Quebert Editore: Bompiani Collana: Letteraria Straniera Pagine: 784 ISBN: 45273285 Prezzo di copertina: 19,50 In libreria dal 29 maggio 2013 Estate 1975. Nola Kellergan, una ragazzina di 15 anni, scompare misteriosamente nel-la tranquilla cittadina di Aurora, New Hampshire. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sta vivendo uno dei ri-schi del suo mestiere: è bloccato, non riesce a scrivere una sola riga
del romanzo che da lì a poco dovrebbe consegnare al suo editore. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: il suo amico e professore universitario Harry Quebert, uno degli scrittori più stimati d’America, viene accusato di avere ucciso la giovane Nola Kellergan. Il cadavere della ragazza viene infatti ritrovato nel giardino della villa dello scritto-re, a Goose Cove, poco fuori Aurora, sulle rive dell’oceano. Convinto dell’innocenza di Harry Quebert, Marcus Goldman abbandona tutto e va nel New Hampshire per condurre la sua personale inchiesta. Marcus, dopo oltre trent’anni deve dare risposta a una domanda: chi ha ucciso Nola Kellergan? E, naturalmente, deve scrivere un romanzo di grande successo.
Emmanuel Carrère: L’Avversario
Editore: Adelphi Fabula Pagine: 169 ISBN: 9788845927867 Prezzo di copertina: 17,00 euro E-book: 9,99 euro In libreria dal 29 maggio 2013 Traduzione di Eliana Vicari Fabris Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Ro-mand ha ucciso la moglie, i figli e i genitori, poi ha tentato di suicidar-si, ma invano. L'inchiesta ha rivela-to che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più difficile da credere, che non era nient'altro. Da diciott'anni mentiva, e quella menzogna non nascondeva assolutamente nulla. Sul punto di
essere scoperto, ha preferito sopprimere le persone di cui non sareb-be riuscito a sopportare lo sguardo. È stato condannato all'ergastolo. Sono entrato in contatto con lui e ho assistito al processo. Ho cercato di raccontare con precisione, giorno per giorno, quella vita di solitudi-ne, di impostura e di assenza. Di immaginare che cosa passasse per la testa di quell'uomo durante le lunghe ore vuote, senza progetti e sen-za testimoni, che tutti presumevano trascorresse al lavoro, e che tra-scorreva invece nel parcheggio di un'autostrada o nei boschi del Giura. Di capire, infine, che cosa, in un'esperienza umana tanto estrema, mi abbia così profondamente turbato – e turbi, credo, ciascuno di noi».
Emmanuel Carrère
Claudia Piñeiro: La crepa
Editore: Feltrinelli Collana: I Narratori Pagine: 282 EAN 9788807030451 Prezzo di copertina: 14,00 euro E-book: 9,99 euro In libreria dal 29 maggio 2013 Traduzione di Pino Cacucci Nella vita da uomo qualunque dell’architetto Pablo Simó c’è una fessura inconfessabile, una crepa che gli tormenta la coscienza: Nel-son Jara. Forse era solo un piccolo truffato-re, una “canaglia”, ma anche Pa-blo Simó sa di essere una canaglia, nonostante l’apparenza di irre-prensibile professionista e buon
padre di famiglia. Come una crepa che si allunga e si allarga, tutte le piccole certezze quotidiane di Pablo si sgretolano: una giovane donna che sembra sa-pere chissà cosa su Jara scatena in lui un’attrazione dirompente, la famiglia va in frantumi, il lavoro diventa insopportabile, e passo dopo passo la tentazione di essere canaglia fino in fondo lo travolge.
Ancora una volta Claudia Piñeiro ci narra i piccoli inferni di una variegata umanità, nella monumentale Buenos Aires invasa dal cemen-to delle speculazioni edilizie dove l’apparenza, più che mai, inganna.
Gianni Farinetti: Rebus di mezza estate Editore: Marsilio Collana: Farfalle / I GIALLI Pagine: 368 ISBN: 9788831715652 Prezzo di copertina: 18,00 euro In libreria dal 29 maggio 2013 Possibile che un pericoloso killer si aggiri indisturbato nelle impervie eppur dome-stiche Alte Langhe piemontesi? Parrebbe
di sì, dato che fra residenze di campagna,
calici di sauternes, bagnacauda e barbe-
ra, fastosi o scombinati matrimoni, av-
venenti – o meno, alcune parecchio me-
no – signore firmate, pattuglie della poli-
zia, castelli aviti, cascine crollate, lugubri
marchesi, giovani formaggiai, astuti pa-
taccari, vedove, cani, gatti, caprioli, cin-
ghiali, volpi, tassi e ghiri, boschi, pizzerie, barche in costruzione nel
porto dei Savona, scrittrici fasulle e giovinastri di paese, atavici odii fra
vicini e patrimoni trafugati (ma altri solidissimi), un assassino misterio-
so semina in una manciata di ore una serie di sanguinosi omicidi. Una
commedia nera, nerissima, e un inestricabile rompicapo di mezza esta-
te (giugno, tempo stupendo, nelle più grandiose e segrete colline del
nord Italia) risolto, com'è naturale, dal flemmatico maresciallo Giu-
seppe (Beppe) Buonanno comandante della stazione CC di Monesiglio
coadiuvato da Sebastiano Guarienti, noto - molto noto agli affezionati
lettori della saga farinettiana - sceneggiatore nato a Bra (Cn). Finale,
dunque, nella tradizione. Forse.
Un giallo pieno di verve e di suspense ambientato nelle Langhe,
in uno scenario apparentemente idilliaco sotto cui covano odi, invidie
e rancori.
Andrea Camilleri: Un covo di vipere
Sellerio Editore Palermo La memoria n. 929 Pagine: 272 EAN 9788838930539 10ª edizione Prezzo di copertina: 14 euro E-book: 9,99 euro In libreria dal 30 maggio 2013 «Il ragioniere Cosimo Barletta, sciupafemmine compulsivo e strozzino, è stato trovato morto: ucciso con modalità che a prima vista appaiono inesplicabili, e addirittura insensate. Montalbano indaga sui segreti impenetrabili di una famiglia e sui misteri di una comunità. Sui rapporti di sangue e quelli di affinità.
Entra nei recessi e nei meandri di tante vite private».
Sognando, Montalbano è entrato in un sogno dipinto da Rous-seau il Doganiere. Si è ritrovato, insieme alla fidanzata Livia, nel respiro di luce e nella convivenza innocente di un’edenica foresta. Gli intrusi riconoscono il luogo solo grazie a un cartello inciso a fuoco. Sono nudi. Ma portano addosso l’ipocrisia di foglie di fico posticce, fatte di plasti-ca. L’armonia dell’eden, la sua mancanza di volgarità e violenza, è una finzione pittorica. Non appartiene a nessun luogo reale. E neppure ai sogni. Ciononostante, anche nella cieca e brutale realtà può sopravvi-vere la delicatezza del canto discreto e cortese di un uccello del para-diso saltato giù dai rami dipinti o sognati.
Montalbano viene svegliato dal fischiettare di un garbato vaga-bondo che intona Il cielo in una stanza, con «alberi infiniti», imponen-
dosi sul fracasso di un temporale. La filologia congetturale del commis-
sario deve applicarsi al fondo torbido e malsano di esistenze nascoste e incarognite dal malamore, dagli abusi e dalle sopraffazioni, dalla cru-deltà e dalla sordidezza, dalle ritorsioni e dai ricatti, dalla gelosia e dal rancore: non meno che dall’interesse. Il ragioniere Cosimo Barletta, sciupafemmine compulsivo e strozzino, è stato trovato morto: ucciso con modalità che a prima vista appaiono inesplicabili, e addirittura in-sensate. Montalbano indaga sui segreti impenetrabili di una famiglia e sui misteri di una comunità. Sui rapporti di sangue e quelli di affinità. Entra nei recessi e nei meandri di tante vite private. Fa i conti con sen-sazioni equivoche, desolazioni, e disperate tenerezze. Incontra figuran-ti di sofisticata semplicità o di apatica frigidezza. Va alla ricerca di un testamento annunciato e paventato, ma che forse non c’è. Montalba-no ha davanti un muro di buio, dietro il quale avverte qualcosa di ter-ribile che lo spaventa. Si lascia risucchiare da un abisso, lungo una li-nea di faglia che gli dà le vertigini. Confinato nella sua solitudine, sente con trepidazione che il momento della verità si approssima. Aguzza l’ingegno. Ma il suo sguardo è tutt’altro che spietato. Compassionevo-le, il commissario raccoglie dalla divina foresta di Rousseau il Doganie-re l’eco ancora riascoltabile di una aerea nota. E, senza prurigini, ha ri-spetto per il vero pudore: per la nudità, alla fine, di chi non è innocen-te e non è del tutto colpevole. Chiude il caso tragico, pietosamente: con dolorosa malinconia. Non dà voti di condotta. Dal dramma Hedda
Gabler di Ibsen ha imparato a sondare le psicologie controverse. E dal film Il cattivo tenente di Abel Ferrara ha appreso la forza della com-prensione. Camilleri lascia che la sua scrittura pulsi di tutto un inventa-rio di inquietudini letterarie e cinematografiche, e di atavici spaventi. Scrive un romanzo di solido impianto, su colpe che raggelano quanto il terrore gorgonico in una tragedia greca.
Salvatore Silvano Nigro
Stephen King: Joyland
Editore: Sperling & Kupfer Collana: Pandora EAN: 978882005427 Pagine: 360 Prezzo di copertina: 19,90 euro In libreria dal 4 giugno 2013 Estate 1973, Heaven's Bay, Caro-lina del Nord. Devin Jones è uno studente uni-versitario squattrinato e con il cuore a pezzi, perchè la sua ra-gazza lo ha tradito. Per dimenti-care lei e guadagnare qualche dollaro, decide di accettare il la-voro in un luna park. Arrivato nel parco divertimenti, viene accolto da un colorito quanto bizzarro gruppo di perso-naggi: dalla stramba vedova Em-malina Shoplaw che gli affitta una
stanza ai due coetanei Tom ed Erin, studenti in bolletta come lui e ben presto inseparabili amici; dall'ultranovantenne proprietario del parco al burbero responsabile del Castello del Brivido. Ma Dev scopre anche che il luogo nasconde un terribile segreto: nel Castello, infatti, rimasto il fantasma di una ragazza uccisa macabra-mente quattro anni prima. E così, mentre si guadagna il magro stipendio intrattenendo i bambini con il suo costume da mascotte, Devin dovrà anche combattere il male che minaccia Heaven's Bay. E difendere la donna della quale nel frattempo si è innamorato.
Carlo Lucarelli: Il sogno di volare Editore: Einaudi Collana: Stile libero Big Pagine: 280 Prezzo di copertina: 18,00 euro ISBN: 9788806205546 In libreria dall’11 giugno 2013 16 anni dopo Almost blue la nuova inda-
gine dell'ispettore Grazia Negro.
In una Bologna che non è piú la stessa, un assassino fa giustizia da sé di fronte all'in-giustizia che vede. A combatterlo c'è solo lei. Grazia Negro. Anche lei non è piú la stessa. E di assassi-
ni seriali non vorrebbe piú sentir parlare.
Il romanzo della rabbia di oggi. Assoluta e senza rimedio.
Il romanzo dei sentimenti, delle solitudini, dell'incertezza di oggi. «E cosí forse potrei capirlo che scagliarmi con la bocca spalancata e le mani aperte, a strappare, colpire e stringere e mordere fino ad arriva-re al cuore non è la soluzione, che quelli con cui me la prendo non so-no le cause del male ma solo i sintomi e che qualche volta sono pure
innocenti.No. Non me ne posso accorgere, non posso trattenermi e
non posso cambiare.Perché mi sento sempre cosí, ansante, contratto e
febbrile, sempre, tutto il giorno e tutti i giorni. Perché quello che faccio
mi piace. E perché lo so che non serve e che è sbagliato. Io non cerco
una soluzione. Io voglio vendetta».
Elisabetta Bucciarelli: Dritto al cuore Editore: E/O Collana: Dal mondo Sottocollana: Noir Pagine: 192 Prezzo di copertina: 17,00 euro ISBN: 9788866323440 In libreria dal 12 giugno 2013 È difficile per l’ispettrice Maria Do-lores Vergani godersi le vacanze nel piccolo villaggio montano sull’Alta Via se c’è un cadavere di mezzo. Nel bosco viene ritrovato il corpo di una donna nascosta fra le rocce. Nel frattempo una mucca viene uc-cisa prima del più importante in-contro che decreterà la più forte e bella della valle. Nella piccola comunità a duemila metri di altitudine, l’ultimo villag-gio Walser, partono le indagini: sa-
rà proprio l’ispettrice Vergani con l’aiuto degli abitanti della comunità a dover fare luce su una catena di omicidi che dissemina cadaveri dai monti valdostani ai boschi lombardi. Un romanzo duro e spietato, destinato a colpire i lettori dritti al cuore.
Massimo Rainer: Limite ignoto Mezzotints Ebook Collana: Prisma Formato ebook (epub, mobi) Pagine: 90 ISBN epub: 9788898479061 ISBN mobi: 9788898479078 Prezzo di copertina: € 2,49 In libreria dal 24 giugno 2013 Un avvocato penalista si reca a far visita in carcere a un giovane detenu-to, accusato di un reato ignobile. Tutto molto normale. O forse no. Non c’è nul-la di scontato, quando si intraprende una discesa agli Inferi senza lanterna. Non c’è nulla di ovvio, in un non luogo, dove la coscienza e la redenzione non
hanno diritto di cittadinanza. Nessuna Giustizia, nessuna pietà. E nessuna identità, dove l’umanità è un’ipotesi. Chi è vittima? Chi è
carnefice? Chi è strumento? E quanto può essere profondo l’abisso?
Esordio per la nuova collana Prisma di Mezzotints Ebook, diretta da
Alan D. Altieri e dedicata alla esplorazione ad ampio raggio del lato o-
scuro. Prisma come primo titolo presenta "Limite Ignoto" di Massimo
Rainer, un romanzo thriller inedito, torbido ed estremo, un viaggio ne-
gli inferi della giustizia che svela un vero e proprio regno del male, che
vive e si riproduce sotterraneamente, crimine dopo crimine. Rainer
riesce a creare un microcosmo originale e inaspettato tra i tessuti del
carcere, dei tribunali, delle attività delinquenziali, abitato da protago-
nisti che spaccano le pagine. Il sangue, la depravazione, la morte, la
maschera ambigua della giustizia conducono la spiazzante narrazione
verso un finale inaspettato, che lascia indubbiamente il segno. Il Limi-
te, stavolta, è davvero ignoto.
Maurizio De Giovanni: I Bastardi di Pizzofalcone Editore: Einaudi Collana: Stile libero Big Pagine: 328 Prezzo di copertina: 18,00 euro E-book: 9,99 euro ISBN: 9788806215736 In libreria dal 25 giugno 2013 Non hanno neanche il tempo di fare conoscenza, i nuovi investigatori del commissariato di Pizzofalcone. Mandati a sostituire altri poliziotti colpevoli di un grave reato, devono subito affrontare un delicato caso di omicidio nell'alta società. Le indagini vengono affidate all'uomo di punta della squadra, l'ispettore Giuseppe Lojacono, siciliano con un passato chiacchierato ma reduce dal succes-
so nella caccia a un misterioso assassino, il Coccodrillo, che per giorni ha precipitato Napoli nel terrore. E mentre Lojacono, assistito dal bizzarro agente scelto Aragona, si spo-sta tra gli appartamenti sul lungomare e i circoli nautici della città, squassata da una burrasca fuori stagione, i suoi colleghi Romano e Di Nardo cercano di scoprire come mai una giovane, bellissima ragazza non esca mai di casa, e il vecchio Pisanelli insegue la propria ossessio-ne per una serie di suicidi sospetti.
***
Sono poliziotti. Devono ricostruire l'immagine di un commissariato che ha una macchia difficile da cancellare. Li hanno scelti perché sono sicu-ri che falliranno.
Per tutti sono i "Bastardi di Pizzofalcone".
Luigi Palma, detto Gigi: commissario. Che vorrebbe crederci, e ci crede Giorgio Pisanelli, detto il Presidente: sostituto commissario. Che non crede a chi se ne vuole andare Giuseppe Lojacono, detto il Cinese: ispettore. Che cerca sé stesso in un altro posto Francesco Romano, detto Hulk: assistente capo. Che ha un altro sé stesso nella testa Ottavia Calabrese, detta Mammina: vicesovrintendente. Che sembra una, e invece no Alessandra Di Nardo, detta Alex: agente assistente. Che cammina su due strade
Marco Aragona, vorrebbe essere detto Serpico: agente scelto. Che sembra uno, e invece sí
Ognuno di loro ha qualcosa da nascondere.
O da farsi perdonare.
Remo Guerrini: L’estate nera
Editore: Newton Compton Pagine: 432 Prezzo di copertina: 9,90 euro E-book: 4,99 euro ISBN: 9788854153493 In libreria dall’11 luglio 2013 All'inizio sembrava solo un gioco. Un’estate come tante, un paesino come tanti. Un gruppo di ragazzini insolitamente crudele. Trent’anni dopo, nessuno di loro ha dimenticato quell’estate… Massimino, Eva, Attila, Saturnina e poi Canavesio, Federico, Santino e Giusi sono ancora dei bambini du-rante quella torrida estate del ’62. Il giorno scherzano e scorrazzano per le strade di Altavilla, un paesino
del Monferrato, e la sera dopo cena Carosello e a letto. Hanno solo dodici anni ma si sentono già grandi su quel muretto e perseguitare Beniamino il matto, per sentirlo imprecare e urlare, all’inizio è solo un gioco innocente e nessuno pensa davvero che finirà male durante quella maledetta domenica d’agosto, mentre imperversa un terribile temporale. Passano trent’anni e il macabro ritrovamento dei resti di Beniamino nel cimitero di Altavilla rimette in moto i ricordi. E quei ra-gazzi del 1962, che la vita ha disperso e allontanato, sono costretti a ritrovarsi nei luoghi della propria infanzia. Diventando i protagonisti di un’imprevista, improvvisa, orribile resa dei conti. «Una rivelazione italiana che va oltre le etichette».
Oreste del Buono
Vince Flynn: L’assassino americano
Editore: Time Crime Collana: Narrativa Pagine: 480 Prezzo di copertina: 9,68 euro ISBN: 9788866880820 In libreria dal 18 luglio 2013 Dopo decenni di spietata Guerra fredda, gli Stati Uniti si trovano in una posizione sem-pre più vulnerabile. Thomas Stansfield, veterano e capo della CIA, sa che l’identità del prossimo nemico è più sfuggente che mai. Per combatterlo con le sue stesse armi chiama la sua protetta, Irene Kennedy, e il suo vecchio collega, Stan Hurley, per for-
mare un nuovo gruppo di agenti sotto copertura. Ma quale uomo è disposto a uccidere per il proprio Paese senza indos-sare una divisa?
Irene lo troverà dopo l’attacco terroristico di Lockerbie: 270 vittime in
una fredda notte di dicembre e tutti i loro familiari colpiti da una tra-
gedia per cui non sembra esserci conforto. Uno di loro è Mitch Rapp,
che ha perso la donna che amava.
Ma non cerca conforto. Vuole i colpevoli. Sei mesi di intenso adde-
stramento e Rapp è pronto: dietro lo sguardo d’acciaio dell’ultimo e-
roe della nazione si nasconde un giovane uomo pronto a diventare un
assassino americano.
Azione al cardiopalma, ritmo serrato, realismo senza sconti per
un political thriller lucido e appassionante: la storia della prima mis-
sione di Mitch Rapp, quella che farà di lui l’agente incubo dei terroristi
e dei corrotti che ha conquistato migliaia di lettori americani.
Omar Gatti: Requiem per la Ligera
La Ponga Edizioni Pagine: 140 Prezzo di copertina: 9,90 euro E-book: 1,99 euro In libreria dal 27 luglio 2013 Milano 1952. Sul pavimento di un bar sono distesi quattro cadaveri. Un uomo, una donna e due bambini. Sono ciò che rimaneva della famiglia di Sci-resa, il vecchio capo della ligera. Qualcuno ha voluto sferrare il colpo di grazia alla malavita milanese. Toccherà a Cinghei, uomo di fiducia di Scire-sa, scoprire il mandante dell'esecuzione.
Tra rapinatori di banche, ruffiani marsigliesi, mafiosi siciliani e frasi in dialetto meneghino, Omar Gatti trasporta sui Navigli milanesi la scrit-tura rapida e rabbiosa della scuola hard-boiled di Hammett e Chan-dler, in un romanzo avvincente ed esplosivo come una scarica di mitra. Omar Gatti è tornato e questa volta picchia duro.
In una Milano violenta, la storia di un uomo che non accetta la fine di un'epoca.
Cinghei combatterà con tutte le sue forze per far capire, ai nuovi ma-lavitosi, che Milano è un territorio con delle regole. E vanno rispettate.
Linda Castillo: In un vicolo cieco
Editore: Time Crime Collana: Narrativa Pagine: 480 Prezzo di copertina: 9,68 euro ISBN: 9788866880844 In libreria dal 29 agosto 2013 Gli Slabaugh sono una famiglia pro-spera e laboriosa della comunità Amish. Ma un orribile incidente porta alla morte i genitori e lo zio, lasciando orfani i quattro ragazzi. Il capo della polizia Kate Burkholder, nata e cresciuta Amish, sa che per loro sarà ancora più duro perdere l’innocenza e affrontare il dolore. E quando scopre che una delle vit-
time ha subìto una ferita alla testa prima del decesso, si immerge con determinazione in un’indagine di omicidio, forse legato ai recenti casi di persecuzione della minoranza Amish. I superiori le affiancano John Tomasetti, collega, amante e amico, e davanti a una nuova missione insieme, Kate sarà costretta a rendersi conto di quanta profondità ci sia nel loro rapporto e dove potrebbe portarli. Ma non è la sola superficie oltre la quale dovrà andare. Kate dovrà scavare anche nel suo passato di Amish per trovare la forza di spezzare il silenzio di una comunità chiusa, protettiva, ostile a ogni intervento esterno, che nasconde molte verità insidiose.
Un thriller appassionante, in cui il pericolo e l’azione sono resi ancora più intensi dalle atmosfere rarefatte che circondano i protago-nisti.
PROMOZIONE EMERGENTI:
IL BRIGANTE E LA MONDINA – UMBERTO DE AGOSTINO
Titolo: IL BRIGANTE E LA MONDINA – Lomellina 1902
Autore: Umberto De Agostino
Editore: Fratelli Frilli Editori
Prezzo: € 9,90
Quarta di copertina:
Lomellina, maggio 1902. Pietro
Gusmani, fittabile della cascina
Confaloniera di Ferrera Erbo-
gnone, viene ucciso pochi se-
condi dopo aver accolto le
mondine dell'Oltrepò Pavese.
L'omicida, una donna dalla
folta chioma mora, riesce a
fuggire al di là del torrente
Agogna facendo perdere le sue
tracce. Le indagini sono con-
dotte dal brigadiere Angelo
Pesenti, che allo stesso tempo
dà la caccia al brigante mon-
ferrino Francesco De Michelis,
detto il Biundén. Intanto, le
campagne s'infiammano. I sin-
dacalisti della Federazione pro-
letaria lomellina, capitanati da
Piero Corti, affrontano i padro-
ni. Le mondine, locali e forestiere, sono guidate dalla pasionaria Gina
Provera. Proprio mentre la stagione della monda del riso giunge al
termine, il brigadiere risolverà il caso dell'omicidio del fittabile.
Federica Soprani / Vittoria Corella: La società degli spiriti
Editore: Lite Editions
Prezzo: 1,99 euro
Quarta di copertina: Jericho è un Medium dei
bei salotti. Jonas un investigatore che non
crede nel paranormale. Quando Lord Kyna-
ston viene trovato fatto a brandelli nel suo
studio chiuso dall’interno, il Medium che par-
la con i morti e il poliziotto più scet-tico di
Scotland Yard sono costretti a lavo-rare in-
sieme loro malgrado. Dai bordelli per ricchi
annoiati fino alla casa del vizio più pericolosa
del West End, una detective story vittoriana
oscura e sensuale.
Federica Soprani / Vittoria Corella:
La Lega dei Gentiluomini Rossi
Editore: Lite Editions
Prezzo: 1,99 euro
Quarta di copertina: Scompaiono, uno die-
tro l’altro. Tutti giovani, bellissimi e con una
caratteristica in comune. Se c’è una cosa
che Jonas detesta sono i casi irrisolti. Se c’è
una cosa che Jericho ama è aiutare Jonas a
risolvere questi casi, e il viaggio da incubo
parte dai quartieri bassi per salire su, fino a
sfiorare la Corona D’Inghilterra. Ci sono co-
se che nessuno deve sapere e gente che va
fatta tacere con le buone o con le cattive.
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