rivista internazionale di scienze giuridiche e tradizione...

32
INDICE STATISTICHE ENTRA © 2014 www.dirittoestoria.it Quaderno con il contributo di: Dipartimento di Giurisprudenza Reg. Trib. di Sassari N. 217 del 3-2-2004 ON LINE DAL 31 DICEMBRE 2014 IL QUADERNO N. 12 [2014] Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana Anno XIII - 2014 - Quaderno N. 12 - Nuova Serie - ISSN 1825-0300 DIRETTORE: Francesco Sini DIREZIONE: Omar Chessa - Maria Rosa Cimma - Michele Maria Comenale Pinto - Domenico D’Orsogna Gian Paolo Demuro - Giovanni Lobrano - Attilio Mastino - Pietro Pinna - Antonio Serra - Giovanni Maria Uda

Upload: lyliem

Post on 22-Feb-2019

217 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

INDICE

STATISTICHE

ENTRA

© 2014 www.dirittoestoria.it

Quaderno con il contributo di:

Dipartimento di Giurisprudenza

Reg. Trib. di Sassari N. 217 del 3-2-2004

ON LINE DAL 31 DICEMBRE 2014IL QUADERNO N. 12 [2014]

Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana

Anno XIII - 2014 - Quaderno N. 12 - Nuova Serie - ISSN 1825-0300

DIRETTORE: Francesco Sini

DIREZIONE: Omar Chessa - Maria Rosa Cimma - Michele Maria Comenale Pinto - Domenico D’Orsogna

Gian Paolo Demuro - Giovanni Lobrano - Attilio Mastino - Pietro Pinna - Antonio Serra - Giovanni Maria Uda

Memorie

Tradizione Romana

Contributi

D & Innovazione

Note & Rassegne

Monografie

Cronache

Notizie

Autori

Redazione

Archivio

Links

Search

Ivs Antiqvvm - Древнее право Seminario di Diritto Romano

REDAZIONE della NUOVA SERIE

[email protected]

Direttore responsabile: Francesco Sini

Comitato di direzione: Omar Chessa - Maria Rosa Cimma - Michele M. Comenale Pinto - Domenico

D'Orsogna - Gian Paolo Demuro - Giovanni Lobrano - Attilio Mastino - Pietro Pinna - Antonio Serra -

Giovanni Maria Uda

Corrispondenti stranieri: Ivan A. Biliarsky (Sofia) – Maria das Graças Pinto de Britto (Pelotas) – Ricardo

Combellas (Caracas) – Fei Anling (Pechino) – Leonid L. Kofanov (Mosca) – Ija L. Majak (Mosca) – Antun

Malenica (Novi Sad) – Marco Fábio Morsello (San Paolo) – Esperanza Osaba (Bilbao) – – Anton

D. Rudokvas (San Pietroburgo) – Teodor Sambrian (Craiova) – Bronislaw W. Sitek (Olsztyn) – Evgenji

A. Sukhanov (Mosca) – Xu Guodong (Xiamen)

Segreteria di redazione: Cristiana M.A. Rinolfi – Antonio Ibba (coordinamento) – Adriana Muroni

(informatica) – Stefania Fusco – Anam. Martin Garcia – Isabella Mastino

Diritto @ Storia si avvale di molteplici modalità e strumenti della comunicazione multimediale (ipertesti, video, audio

etc.); tali strumenti possono essere proposti ed usati dagli autori per i loro contributi e per le loro segnalazioni.

Continuando la "politica editoriale" di Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities, tutti i file pubblicati on-

line in Diritto @ Storia, siano essi ipertesti in formato html, o video o audio, saranno accessibili gratuitamente in

edizione integrale, senza alcuna restrizione, né registrazione preventiva.

Quaderno edito con il contributo di:

Dipartimento di Giurisprudenza

__________________________________________________________________________________________________________

Reg Trib. di Sassari N. 217 del 3-2-2004

http://www.dirittoestoria.it/12/redazione.htm

Memorie

Tradizione Romana

Contributi

D & Innovazione

Note & Rassegne

Monografie

Cronache

Notizie

Autori

Redazione

Archivio

Links

Search

Ivs Antiqvvm - Древнее право Seminario di Diritto Romano

TRADIZIONE ROMANA

Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind.

Ius publicum

BRONISŁAW SITEK – University of Social Sciences and HumanitiesWarsaw-Polend

The perspective of scientific research on the Roman public law

LAURENT HECKETSWEILER – Université Montpellier I

Le ius Publicum comme problème pour les juristes d'aujourd'hui

MACARENA GUERRERO – Universidad Pablo de Olavide de Sevilla

El praemium civitatis en la lex Acilia repetundarum: ¿incentivo para reprimir el abuso de poder?

ADRIANA MURONI – Università di Sassari

Cittadinanza romana in Sardegna durante la Res publica: concessioni tra politica e diritto

ANNA TARWACKA – Cardinal Stefan Wyszyński Uniwersity in WarsawFaculty of Law and Administration

The Roman Censors as Protectors of Public Places

FRANCESCO SINI – Università di Sassari

Qualificazione/riqualificazione religiosa del tempo nei documenti dei sacerdoti in Roma repubblicana

Homicidium

FABIO BOTTA – Università di Cagliari

Osservazioni in tema di criteri di imputazione soggettiva dell‘homicidium in diritto romano classico

Diritto@Storia n. 12 - Tradizione Romana

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione.htm

CESARE ALZATI – Università Cattolica di Milano

Beatus Constantinus nel ricordo di sant‘Ambrogio a Milano

Sacro & Diritto

LUIGI GAROFALO – Università di Padova

Il diritto e il sacro in Elémire Zolla

Giustizia / pace / ChiesaBasso Impero e Alto Medioevo

LUISA BUSSI – Università di Sassari

Giustizia e pace nella prassi della Chiesa fra Basso Impero e Alto Medioevo Divagazioni a proposito di uno studio di Antonio Era

Concessione / acque pubbliche

RENATA KAMIŃSKA – Università «Cardinale Stefan Wyszyński»Varsavia

Concessioni idriche nel diritto romano del periodo repubblicano

RENATA KAMIŃSKA – Uniwersytet Kardynała Stefana Wyszyńskiego w Warszawie

Koncesje wodne w prawie rzymskim w okresie republiki

Actio de effusis vel deiectis & responsabilità da illecito civilenella Repubblica Popolare Cinese

LI JUN – Università del Popolo della Cina, Pechino

L’actio de effusis vel deiectis nella vigente Legge sulla responsabilità da illecito civile della Repubblica Popolare Cinese

Diritto @ Storia si avvale di molteplici modalità e strumenti della comunicazione multimediale (ipertesti, video, audio etc.); tali strumenti possono essere proposti ed usati dagli autori per i loro contributi e per le loro segnalazioni. Continuando la "politica editoriale" di Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities, tutti i file pubblicati on-line in Diritto @ Storia, siano essi ipertesti in formato html, o video o audio, saranno accessibili gratuitamente in edizione integrale, senza alcuna restrizione, né registrazione preventiva.

Quaderno edito con il contributo di:

Dipartimento di Giurisprudenza__________________________________________________________________________________________________________

Reg Trib. di Sassari N. 217 del 3-2-2004

Diritto@Storia n. 12 - Tradizione Romana

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione.htm

Beatus Constantinus

LUIGI GAROFALOUniversità di Padova

Il diritto e il sacro in Elémire Zolla ABSTRACT: The paper is divided into two parts. The first one summarizesElémire Zolla's thought concerning the relation between law and sacred and

deals with the contents of an essay included in a book which, under the title Uscite dal mondo,was first published in 1992 and then reprinted in 2012.The second one represents a critical review of the ideas that the author put forward with regard tohomo sacer, nowadays a feature relevant also in the international philosophical debate.

1. – La ripubblicazione di Uscite dal mondo, un libro fascinoso di ElémireZolla[1], mi induce a parlare di uno dei capitoli in cui si articola, dedicato al diritto inrapporto al sacro[2], che ha le caratteristiche del saggio autonomo.

Alle sue pagine dense e allusive, per vero, avevo riservato una menzione in unodei miei scritti sulla figura dell’homo sacer[3]: ma fuggevole, poiché avevo presoconoscenza di esse quando il lavoro era già in bozze. Mi ero infatti limitato a ricordare,confinandolo in una nota[4], quanto l’autore osserva in merito all’uccisore dell’homosacer, senza dilungarmi sul contesto.

Prima di rimediare all’omissione, tengo a precisare che Zolla non era certo privodelle competenze necessarie per affrontare adeguatamente un tema che intreccia, conproiezione diacronica, il fenomeno giuridico e il mondo divino. Sebbene insegnasseLetteratura angloamericana e Filologia germanica, aveva conseguito la laurea inGiurisprudenza a Torino nel 1952. Ma soprattutto, come sottolinea Grazia Marchianò,fin da ragazzo gli era risultato chiaro che, avendo alle spalle una famiglia modesta esenza mezzi, disponeva di un’unica arma per affermarsi, incessantemente utilizzata:«apprendere, accumulare conoscenze a una velocità fulminea, fare della menteun’officina attiva ventiquattro ore al giorno, leggere di tutto, dalla letteratura allastoria, dalle teorie economiche al diritto, alla linguistica, alla filosofia, all’antropologia,padroneggiando questi saperi il meglio possibile»[5]. Per cui non sorprende che la suaproduzione copra materie disparate, sempre investigate con «padronanzaenciclopedica» e «lenti specialistiche»[6]; e che si estenda alle religioni e al diritto.

Nel campo giuridico, merita altresì rammentare, le prime incursioni di Zollarimontano addirittura al 1948. Nella primavera di quell’anno, e precisamente l’8maggio, racconta la stessa Marchianò[7], il Times Literary Supplement riportava unarticolo molto esteso del teorico del diritto H.C. Dowdall sul concetto di persona. Pocodopo il nostro giovane studente di Legge mandava al giornale, che non mancava direnderla nota, una lettera, nella quale, attraverso una ricognizione storica dellosviluppo dell’idea di persona, sosteneva che questo termine non identifica una realtàontologica, ma designa «a contingent practical construction: an institution». Colpito daltenore della missiva, Dowdall ne riprendeva il contenuto in una replica in cui esploravai nessi tra la nozione di persona nel diritto arcaico e il dramma greco-romano, dove gli

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

attori indossavano maschere. Pubblicata anch’essa sul solito giornale, in questoappariva altresì un intervento sull’argomento dello storico del diritto P.W. Duff. E di lì apoco tutti i quattro contributi erano raccolti in un autonomo libriccino, intitolato SpecialArticle and Correspondence on the Word ‘Person’ also Correspondence on the Words‘Community’ and ‘Society’.

2. – Venendo al saggio che qui interessa, occorre subito evidenziare che in esso

Zolla si propone di scavare nel passato, specie con riguardo agli ordinamenti delmondo indoeuropeo, alla ricerca dei «tratti primordiali che rinviano a un diritto sacrofondato su un rapporto con il divino», convinto che quest’opera di riesumazione,aiutando «a configurare l’archetipo», possa condurre verso le origini del diritto[8].

Fedele al suo obiettivo, l’autore si sofferma anzitutto sulla «certezza massima»che in epoche remote dominava incontrastata, secondo la quale esiste lo stato ottimodell’uomo, cioè lo stato in cui questi «si sente sostenuto da una sottile energia che locontiene e che nel contempo gli si diffonde tutt’attorno». L’uomo che versa in tale stato«coglie i segni dell’avvenire sentendoli come cenni delle forze, delle divinità stesse chelo misero al mondo, lo circondarono di certe cose, persone, occasioni, dandogli il suodestino, e che ora lo conducono con apparizioni, sogni, parole significative,ispirandolo».

Proprio alla condizione di integrità e pienezza in cui può trovarsi l’uomo, chediventa allora «simile a una pianta colma di linfe, in crescita, felice», probabilmente silegano, secondo Zolla, due radici indoeuropee: leudh-, «donde l’avestico ruoda-,‘crescita’, ‘statura’, il greco eleuthería e il latino libertas»; e aug-, «donde augmentum,auctoritas, augustus (e il greco augé, ‘splendore’)»[9].

Lo stato ottimo porta inoltre con sé ciò che è giusto, ovvero il bene. Non è quindiun caso, rileva l’autore, se le parole che designano il diritto spesso evocano quellostato, «che è la pietra di volta d’ogni ordine di giustizia». Ius, per esempio, provienedall’indoeuropeo yewos-, che ha la stessa radice (yew-) di iuventus e del sanscritoyawa, che rimanda al frumento, alla fonte di forza. E da yewos- deriva, in avestico,yaoz, ossia «la vita magicamente crescente, fluente, fertile-felice, quella che vivifica ilseme, il latte, il fuoco, l’anima». In vedico, ancora, il diritto è rtà, un termine cheindica «il corso naturale e pieno del destino, generato dalla sorgente della vitalitàmagica, la linfa inebriante del soma». In seguito il diritto sarà dharma, ossia la dirittavia, la direzione incrollabile e quello che rende «ogni essere ciò che è per essenza».Legge, infine, arriva da una radice (legh-) che nelle lingue germaniche risalenti generala parola ‘destino’ (gi-lagu in antico sassone)[10].

Ovviamente l’uomo può anche perdere lo stato ottimo (e, con esso, la via dellagiustizia come conformità al destino). Se ne esce, vuol dire che «sguardi o gesti oparole o suoni sinistri, opera di uomini o di esseri invisibili, hanno rapinato e legato,stregato, maledetto l’uomo che prima si muoveva libero nella sua gloria, baldobeniamino degli dei». E i primi esperti del diritto affermeranno che è stato vittima di unveneficio, che è l’avvelenamento, ma anche l’ammaliamento. Venenum è infatti sia ilfascino maligno sia la corruzione degli umori corporei.

Il veneficio va allora represso. E così nascono insieme la medicina e il diritto:dalla radice med- proviene il nome del giudice in osco, che è medíss. Medico e giudicepotevano risiedere nello stesso soggetto, come nel caso dello sciamano. Conoscitore diriti e di cure, capace di visioni che gli schiudevano ricette e responsi, era in grado diguarire e restaurare la giustizia.

Abdicare al proprio destino, per ammirare, amare e seguire accecati la volontà di

Pagina 6 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

altri, implica la caduta nella schiavitù. E colui che vi è precipitato non ha destino, nédiritto. Gli ordinamenti giuridici qualificano come proprietà sull’individuo questasventura, «che, nuclearmente, corrisponde allo stato interiore di chi è posseduto daaltri per malia»[11].

3. – Detto dello stato ottimo dell’uomo, Zolla aggiunge che esso è assicurato dal«giusto contatto» che si mantenga con il sacro, fattore di attrazione e di sgomento inpari tempo, fonte della pienezza e simultaneamente dell’assenza di vita. Capace di quelcontatto è anzitutto chi vive in una condizione di santità ed è perciò in grado dimettere in comunicazione il comune e il sacro: come il faraone egizio, il quale mediafra l’uno e l’altro dal suo trono, il cui zoccolo è rappresentato dalla giustizia omaat[12].

Di rilievo, al proposito, è che una radice generante vocaboli che rimandano alsacro sia keil, che in gallico dà coel, in norreno heil, in antico alto tedesco hael, terminiche significano ‘presagio’ ovvero la manifestazione del sacro nel quotidiano. Innorreno, d’altro canto, heilsa vuol dire ‘salutare’: che è la proiezione della vitalitàmagica (quale si vede anche nel tedesco Heil!). Da quella radice, inoltre, provengono leparole inglesi della salute, dell’integrità e della santità: hale, whole, holy; e le paroletedesche della guarigione e della santità: Heilung e Heiligkeit.

Poiché il sacro produce la vita e la morte, chiunque voglia la prima deveattingervi, senza però dimenticare di prevenirne l’influsso letale: in particolare,consacrandogli o sacrificandogli un qualcosa di sé o di suo, che diventa così sacro eavvicina al sacro. E stare accanto al sacro comporta la santificazione. Ma quando alsacro si dona un qualcosa, questo deve essere escluso dalla realtà visibile e speditonell’altro mondo, al di là della soglia della vita: deve cioè diventare un’ostia, rispettoalla quale si possa dire missa est.

Sacrificando, a ben vedere, si riconosce di non avere niente che non sia, inultimo, del sacro: come a dire che di quanto abbiamo siamo solo i possessori, gravatida un «obbligo di restituzione al vero Signore». Non ne siamo dunque proprietari veri,ma quasi concessionari precari: tanto che la tradizione ebraica registra il principiosecondo cui l’uomo che mangia senza ringraziare Dio è un ladro.

La catarsi che si prova quando si partecipa a un sacrificio rappresenta la rispostadel sacro e attesta la presenza degli dei. Chi lo officia è il sacerdote, che si espone alcontatto con il sacro, «compiendo l’azione per eccellenza: ac-tio da ag-, ‘spingere’,donde agon, ‘sacerdote’, agonium, ‘sacrificio’ e ‘agonia’». Egli spinge (mittit) nell’aldilà.Il suo è un atto orrendo: ma invece di contaminare, come dovrebbe, grazie alla forzadell’intenzione si ribalta nel contrario e procura santità e giustizia a coloro che viassistono. «Macte! si gridava al sacrificatore romano. E significò: ‘Magnificato!Accresciuto! Ammazzato!’». ‘Magnificare’, del resto, proviene dalla stessa radice di‘magia’ e in norreno magan vuol dire infondere forza magica, ossia megin. E magha inavestico indica la condizione di vigoria magica, lo stato ottimo dell’uomo.

Per assimilare la sostanza santificante della vittima sacra, si beveva il suosangue, dopo essersi aspersi del medesimo, e si mangiava la sua carne. Si prendevacosì un rischio, perché, se impuri, si restava dannati. Emergeva perciò «il primitivoprocesso alle più intime intenzioni: giuramento, scommessa, prova d’innocenza».Coloro che spartivano il rischio erano coimplicati in una vicenda della massimaimportanza, accomunati in un accadimento di grande momento: per cui non stupisceche in finnico per indicare la comunità si usi il termine kansa, dalla radice indoeuropeache in norreno e in gotico dà la parola che designa il sacrificio: hunsl (donde l’inglese

Pagina 7 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

to housel, ‘prendere l’eucarestia’, ‘comunicarsi’)[13].Proprio nell’azione sacrificale Zolla vede l’origine di ogni atto giuridicamente

rilevante: «ogni pena, processo, patto», egli sostiene, «ne derivano e se ne vennerovia via staccando a mano a mano che il ciclo storico perdette contatto con la suaorigine e il suo senso. Ecco perché, nelle parole di Valerio Massimo (2.5.2), ius civileper multa saecula inter sacra cerimoniasque deorum immortalium abditum»[14].

4. – L’uomo che diventa sacro, sostiene Zolla, va incontro al sacrificio. Lodimostrano i re africani adorati e quindi periodicamente immolati ovvero, per rimanereall’arcaica società romana, l’individuo che, in quanto compie certi atti vietati o èidentificato da segni degli dei, passa nelle mani di questi e non sfugge alla mortevoluta da loro.

Criminale, d’altro canto, è proprio colui che attraverso un delitto «convoca glidei, ad essi consegnandosi». E tale può certo considerarsi l’homo sacer.

Essendo costui «appropriato da un dio», è istintivo per chiunque offrirlo al diostesso, spingerne la testa sull’ara. Come ricorda Macrobio, quidquid destinatum est diissacrum vocatur. Et hominem sacrum ius fuit occidi. Colui che si accinge a spegnere lavita di un homo sacer sente una spinta arcana. Agisce su istigazione o incarico del dio,che vuole estinto l’essere che gli è consacrato. Con parole diverse, «per immolarel’homo sacer si aveva senz’altro un mandato divino». Vi è, per giunta, che l’homo sacerinquietava, contaminava quanto un cadavere, essendo per gli dei già morto;ammorbava quanto il sangue mestruale. Soltanto spedendo l’uomo sacro agli dei che loesigevano, il parricida a Zeus, il distruttore di messi a Cerere, si torna in pace, ci sipurifica. Sono dunque gli dei a infondere la furia nel petto degli uomini, guidando lamano che impugna la spada o annoda il capestro[15].

5. – Secondo Zolla, le modalità del sacrificio in cui incorreva chi entrava nel

sacro erano molteplici e variavano in relazione al «tipo di sacralità, di forza magica damagnificare e placare». Quando fossero «offesi-convocati» gli dei del cielo supremo edel sacerdozio, si optava per la precipitazione da una rupe, per l’impiccagione o perl’abbruciamento; quando fossero vulnerati gli dei dell’atmosfera e della milizia, siuccideva con la spada; quando fossero colpiti gli dei terrestri, si procedeva con lasepoltura del vivo o con l’affogamento in una palude o dentro un tino.

Il sacrificio restaura per lo più un equilibrio violato: per cui richiama l’idea di unaproporzione tra offesa e riparazione, che il diritto acquisirà per sempre.

Ma non sempre la sacralità comportava la morte. A volte, per uscirne, bastavaun esorcismo, che poteva consistere nella recita di maledizioni o scongiuri,nell’astensione dal cibo, nell’assoggettarsi a percosse e nell’isolamento entro unospazio sacro. E al proposito è significativo che il ‘carcere’ sia all’inizio una cerchiatemplare e provenga da una radice che in norreno dà horgr, ovvero ‘recinto sacro’.

La consacrazione arcaica e il conseguente sacrificio, nota inoltre lo studioso,vengono malamente reinterpretati, in epoche poco propense alla chiarezza, comeprevenzione sociale, esemplarità politica, soddisfazione dei danneggiati. «Delitti e penecessano di mirare a uno scopo razionalmente confessabile a millenni dal pleromareligioso in cui nacquero. Ma nelle parole ancora echeggia il pleroma. Destino, parteassegnata da Zeus, pena e onore in greco si dicono con un’unica parola: timé. ‘Pena’ e‘onorare’ (poiné e tíein) provengono dalla stessa radice indoeuropea». E pure il danno,l’offerta agli dei, la vivanda mangiata con giubilo al pasto sacrificale derivano daun’unica radice (dam-num<dap-num<dap-es)[16].

Pagina 8 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

Il veneficio, continua lo studioso, «è ancora la categoria che spiega oggi i reaticontro l’onore, la verecondia, la fama, che sono specie di maledizioni non liquidabili conun mero calcolo economico di danneggiamenti (e tuttora implicano oltre al risarcimentouna pena). Ogni Stato protegge i suoi simboli dalle fatture: da vilipendi. E certispettacoli sono sempre ritenuti troppo sacri, provocano la repressione. Anche se sitorna oggi alla licenza della Roma pagana quanto all’erotismo, la sacralità politicapermane come allora, e talvolta più forte, nella tutela del diritto scritto o non scritto».Del resto, le religioni si avvantaggiano delle persecuzioni, che rappresentano unevidente e oggettivo riconoscimento della loro sacralità.

6. – Tracce della rilevanza del sacro si ritrovano, a seguire Zolla, in vari rapporti

praticati nell’antichità, non privi di implicazioni sul piano giuridico.Un esempio è dato dall’ospitalità. Hospes viene da hosti-pet-s, in cui pet vale

‘padrone’ (donde posse, compos) e hostis ha a che fare con hostia (la cui radice èghos-, ‘divorare’) e con hostire: ossia, con la vittima sacra e con il pareggiamento.Ebbene, nel Mediterraneo l’ospitante accoglie il possibile nemico, hostis, dandogli lamano, che è il simbolo della fede e della protezione; quindi, dopo averlo fatto incederenel cerchio della magia ospitale con la pompé, elargisce a costui doni. L’ospitepartecipa anche al pasto come rappresentante degli invitati solitamente invisibili, cioèdegli dei, ai quali è da ascrivere il fatto che l’ospite sia capitato sulla soglia sacra dellacasa. Il sacrificio agli dei si basa sul presupposto che l’ospite, la cui apparizione vi hadato occasione, sia un loro messo.

Altro caso è rappresentato dal regime di fede, fedeltà e fiducia che potevainstaurarsi fra diseguali. Ne derivava, per entrambe le parti, un impulso al dono. Lecorti dei guerrieri nordici sono i luoghi in cui i fedeli seguaci offrono al re il loro tributo,segno di fede, ricevendo, quale segno di favore, anelli. Si ha così una circolazione diforza magica, prima ancora che di ricchezza.

Anche il dono vale a creare una relazione che evoca il sacro. Esso è infatti«magicamente pericoloso», perché il donatario riceve qualcosa che lo vincola, loastringe al donante mediante un nodo, la riconoscenza, che suscita l’istinto delcontraccambio. Conferendo al donatario beni propri, il donante corre il rischio che su diessi si compiano sortilegi: e in certa misura replica il rischio di chi si consacra a unadivinità alla condizione che quanto da lui affermato non sia vero. Con l’andar deltempo, si formeranno comunque i tecnici dello scambio di doni, gli stimatori e imercanti, con un loro diritto commerciale.

Il dono, inoltre, può essere oggetto di una gara: chi è più generoso nell’elargirloè più simile al Signore e dunque più prossimo al sacro. «Tale è la posta nelle feste deidonativi, in cui il trionfatore acquista prestigio nella misura in cui ha sdegnato ogniavarizia, per lo stesso postulato magico per cui il sacrificio magnifica, l’ingiustasofferenza santifica».

Più sfumato è quanto lascia intravedere il rapporto di clientela: la radice kli- dàl’idea sia del piegarsi o dell’inclinare – e quindi del giaciglio o triclinium – sia dellaclientela, che comporta la subalternità di un individuo rispetto a un altro, variamentegradata e indefettibilmente connotata dal dovere del tributo.

Proprio nell’incontro con l’altro si registravano gesti che rimandano al sacro:come il piegare se stessi inginocchiandosi o inchinandosi. Dalla radice plek-, ‘piegare’,vengono infatti ‘supplica’ e ‘supplizio’. E dalla radice bheidh- vengono in tedesco Bett eBitte, il ‘letto’, originariamente il ‘cuscino’ o l’‘inginocchiatoio’, e la ‘preghiera’ ol’‘istanza’, ma anche Gebot, il ‘comando’; in inglese bed e bid; in greco peíthomai,

Pagina 9 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

‘obbedire’, e pístis, ‘fede’.Dall’avvicinamento all’altro, come da quello all’uno o all’altro dio, può derivare

un beneficio, un accrescimento di forza magica in virtù della propria partecipazione: segli si dona il cuore, si avranno in cambio beni preziosi, come pax, maiestas, clementia,hilaritas, divenuti gli attributi dei Cesari[17].

7. – Naturalmente anche la famiglia risente, e molto, della presenza del sacro.

Spiega Zolla che essa, vero e proprio microcosmo, rappresenta il primo cerchio magicoidoneo a scongiurare le forze sconosciute che vagano tentando di ghermire e legare. Ilpadre e la madre corrispondono al sole e alla luna, pur potendo talora valere l’inverso,incarnano il principio di consanguineità e quello di affinità, tra loro simmetrici, mentre ilprimogenito e la primogenita «possono essere i due aspetti della stella mattutina».

La famiglia sacra, regale o fuori casta, non può riflettere la diade ed ècondannata all’endogamia, in ragione dell’unicità del sacro. In molti ordinamenti i capisposano le sorelle.

All’interno della famiglia si distingue sempre fra autorità e potere. La primaspetta sovente all’avunculus o zio materno (zio è theîos, ‘divino’: nel senso che insegnale cose divine) o all’avo o all’ava (il libro sacro norreno s’intitola Edda, cioè ‘Nonna’); ilpotere è del padre e marito, a somiglianza del potere cosmico di cui gode JupiterDiespiter genitor. Tenuto conto che la produzione compete essenzialmente ai figli, sirende percepibile la triade cosmica di cielo (autorità), atmosfera (potere) e terra(produzione, fertilità).

La casa della famiglia rispecchia il cosmo: ogni mobile, dalla mensa-altare altalamo, ha una funzione e tutto ruota intorno al focolare, che identifica il punto fral’essere e il non essere, fra il visibile e il non visibile. Per giunta, domus sacratae suntdiis. Nella casa, poi, vi è l’ara degli antenati, invocabili durante il pasto versandoqualche goccia di una bevanda sul suolo.

In quell’ara si celebra il primo dei quattro sacrifici quotidiani. Il secondo, che sicompie attraverso l’accensione e l’alimentazione del focolare, è a Vesta, mentre ilquarto si attua nel talamo e condurrà a una nascita. Il terzo si realizza invececonsumando insieme il cibo alla mensa sacra, dove ciascuno occupa il posto giusto,come le stelle in cielo, e riceve la propria porzione, come le stelle la ricevono di luce.Chi distribuisce è assimilabile al dio che dà a ciascuno il suo destino (da bhaj-,‘distribuire’, deriva il sanscrito bhacti, ‘devozione’ e ‘amore di dio’, nonché lo slavo Bog,Dio). Per il popolo romano, se nasce una lamentela fra parenti, apud sacra mensae ethilaritatem animorum, fautoribus concordiae adhibitis, tolleretur: «fatti avanti i fautoridella concordia fra le sacralità della mensa, nell’ilarità generale, si estingua». Non èinfatti ammissibile la disarmonia dove ciascuno interpreti, al suo posto e ricevendo ciòche deve da chi deve, il ruolo che il suo omologo stellare sta giocando nel cieloimpeccabile.

L’ingresso nella famiglia, per esempio della sposa, è un rito d’iniziazione ecomporta una morte o sacrificio di sé, con successiva resurrezione entro il cerchiosanto nel nome di una nuova sacralità. Il matrimonio e l’adozione sono dunqueinvestiture. Il termine ‘nozze’, d’altro canto, ha la stessa radice di nebbia e nube; e lasposa ha il capo velato in segno di raccoglimento, spoliazione e morte. Diventerà uxor,che ha come radice wek, ‘imparare’. La cerimonia romana esige l’incontro dell’acquafemminea e del fuoco maschile, ovvero l’aspersione della sposa e l’accensione dellefiaccole; poi, l’introduzione della donna nella casa, senza che ella ne varchi la sogliapoggiando i piedi al suolo, e la sua collocazione accanto all’ara. Da questo momento su

Pagina 10 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

di lei graverà l’obbligo di rispettare la maestà del marito e sul marito il dovere direnderle il giusto onore. Il più solenne dei riti nuziali romani, la consacrazione a Giovecol pane o confarreatio, è nullo se un fulmine lo turba, in quanto simboleggia un’ordaliaoltre che un’iniziazione[18].

8. – Può accadere, continua Zolla, che i membri di una famiglia non sappiano

fronteggiare un pericolo che incombe su di essa o che aspirino a conoscenzeinattingibili al suo interno. È allora che già in epoca primordiale interviene un diversoconsorzio: «la confraternita sacra di chi ha superato quel medesimo pericolo o haacquisito quella speciale conoscenza».

In essa si praticano riti analoghi a quelli della famiglia, si celebra il culto di eroimorti dinanzi a un altare e si consuma, nel rispetto di una gerarchia di posti e porzioni,il pasto comune o charísta, al quale si presumeva che intervenissero gli dei (theônparousía).

Sappiamo di confraternite di giovani guerrieri protoiranici che si accostavano alpasto rituale dopo aver immolato un toro, bevevano haoma e si congiungevano con ledonne consacrate.

A contraddistinguere non poche delle confraternite erano il culto dell’angelofemminile, la nudità eroica, lo stendardo nero con la figura del drago, la prova delfuoco e altri tratti ancora, in parte sopravvissuti nelle comunità mitriache e nelleiuventutes europee, fino ai circoli trovadorici e stilnovistici. Una loro memoria èconservata nel diritto cavalleresco e militare[19].

9. – Nell’antichità classica, scrive ancora Zolla, sopra la famiglia si trovano, oltre

alle confraternite, la gens o génos, la curia o fratría e la tribù o phylé, terza parte delloStato (donde il ‘tribuno’ e il ‘tributo’), secondo una tripartizione che è della machinamundi e anche dell’uomo (come dice Servio in 4.654, tribus constamus: anima …corpore … umbra).

Quanto allo Stato, esso può essere dispotico, con un dominatore cherappresenta la divinità, ma anche a costituzione sacrale democratica e sacerdotale,come nel caso dell’ordinamento germanico: in questo vi sono infatti gli uomini libeririuniti in un’assemblea e i capi sacerdotali, chiamati in norreno godhi (dalla radiceindoeuropea gheu-, da cui sia cheîn, ‘versare’, perché essi versavano la libagione neisacrifici, sia, nelle lingue germaniche, il nome di Dio e del bene). A loro spettal’interpretazione degli oracoli e il ius coërcendi, secondo le informazioni cheprovengono da Tacito. E sempre a soggetti di rango sacerdotale compete la rivelazionedel diritto all’interno di un cerchio magico, segnato dal recinto del luogo sacro pereccellenza. Proprio i sacerdoti, del resto, erano chiamati in antico alto tedesco ēwart o‘custodi della legge’ e in anglosassone ēsago o ‘enunciatori della legge’ e anche, innorreno, thulr o ‘mormoratori’, poiché pronunciavano norme e sentenze in sussurritrasognati e oracolari.

Ma anche «il diritto sacro romano era essenzialmente ciò che gli dei dicevanoattraverso i loro portenti e oracoli: fas da fari, ‘parlare’, onde fata erano ea quae diiloquuntur». E significativamente dalla stessa radice proviene in slavo antico baliji,‘stregone’ e dunque interprete del sacro[20].

10. – Centro dello Stato, per Zolla, era il luogo in cui si superavano gli squilibri

mediante riti, in particolare con i sacrifici degli homines sacri e con l’esperimento dellelegis actiones. Le decisioni in materia, relative dunque al compimento o meno di quei

Pagina 11 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

sacrifici e all’esito di quelle azioni di legge, scendevano dall’alto e si ottenevano graziea divinazioni e ordalie, mentre il corpo dei cittadini osservava.

L’agire in giudizio addirittura si basa sulla «propria condizionata trasformazionein homo sacer». La rivendicazione di un diritto si compie con atti simbolici, in virtù deiquali prende inizio la causa o cosa trattata, vale a dire la res (in avestico rāyō sono ibeni), l’affare che va deciso con la contesa o prova (in gotico sakjo significa ‘lotta’, intedesco Sache è la ‘cosa’). E sovente occorre decidere chi sia da consacrare tra gliaccusati: al qual proposito merita ricordare che in greco ‘accusare’ è kategoréo, che inattico assume una forma che vale per ‘consacrare’.

Il duello è uno dei modi per interrogare la sorte, ma può essere anche uncombattimento in cui si fronteggiano formule magiche e quindi giuridiche. Altri modiper capire il destino vi erano: basti pensare alla prova del fuoco da attraversare intattio a quella dell’acqua su cui non galleggiare o al responso delle verghe[21].

11. – Anche il patto, nucleo di qualsiasi contratto, per Zolla attiene al sacro.

Esso, scrive lo studioso, inizialmente «è stretto con un dio, essendo un voto con cui cisi devolve giurando a un dio sotto condizione; soltanto di riflesso restano legati l’unoall’altro i contraenti, essendo entrambi vincolati, consacrati in vista d’uno stessoevento, a un medesimo dio».

Anzi, continua lo studioso, «ogni fattispecie giuridica è sempre in origine unpatto con la sfera divina; non si distingue fra diritti reali e obbligazioni, l’occupazione èun patto con gli dei della terra»[22].

Il patto comporta dunque un rischio: in un primo tempo, quello di esseredefinitivamente nelle mani di una divinità; dopo, quello del «legamento» ad altrosoggetto, destinato a dissolversi con il compimento di ciò che si è promesso. Del resto,ancor oggi, nota l’autore, la zingara, chiedendo l’elemosina, annoda una cordicella conle dita e dice a chi le sta davanti e ancora non le abbia elargito alcunché: «così ti legoe non ti potrai sciogliere». E fa perciò correre all’interlocutore un brivido per la schiena,generando in lui un malessere che è lo «stato nascente dell’obbligazione giuridica».

Pure la vendita, secondo Zolla, è intimamente connessa con il sacro: essasarebbe invero sorta come un’offerta a un dio di una merce, cui faceva seguito lacompera, concepita quale liberazione o svincolo della merce stessa dalla sfera dipertinenza di quel dio. Risultato che, a partire da una certa epoca, si otterrà pagandocon la moneta, la quale, nata presso i sacerdoti, rappresenta un mezzo di scambiorecante i simboli della divinità che presiede al negozio. Quindi «il denaro èmagicamente il segno del favore divino, di cui reca impresso l’emblema, ed esige dachi lo ambisce certi sacrifici, della cui entità è misura, nome e segno»[23].

12. – La persistenza nei diritti moderni di tratti arcaici, osserva a questo punto

Zolla, è prova, e non l’unica, della loro «ineludibile sacralità». Fra quei tratti, a suoavviso, vanno annoverati: «la necessità di cerimonie giuridiche per varcare la sogliasacra d’un domicilio, la misura di gioco nella procedura, per cui essa è pur sempreun’ordalia, un sorteggio».

Ma non è tutto, perché, secondo l’autore, «il diritto di non essere del tutto lealinella lotta procedurale, lo scatto dei termini perentori e le stesse prescrizioni dannoall’insieme il carattere d’una partita». Mentre, incalza lo studioso, «rimane unasemplice stravaganza la proposta che le parti debbano collaborare al processo in sestesso, essendo la pena una purificazione, una meta e un diritto cui il reo dovrebbetendere». Si tratterebbe infatti di idee «che non possono tradursi in norme o in

Pagina 12 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

massime, anche se sarebbero consone a una razionale, immaginaria moralità». Ed èproprio la sacralità da millenni connaturata al processo, per Zolla, a «far sì che ilprocesso stesso sia sempre ordalia e duello, che si lasci il suo esito al responso di ciòche oggi si chiama non fortuna o fato ma, per pudibonderia, meccanica processuale omargine d’imprevedibilità». Al qual proposito, continua ancora Zolla, è da evidenziareche il margine d’imprevedibilità appare mal invocato. «Come se un caso, proprioperché si propone in giudizio, non fosse essenzialmente e per forza del tuttoimprevedibile: nessuno s’inoltra in giudizio se il risultato è ovvio, le parti insistonoesclusivamente nella misura dell’azzardo; questo è uno degli argomenti che mostranola futilità di considerare il diritto come la sfera della certezza nei rapporti umani»[24].

La connessione del fenomeno giuridico con il sacro, aggiunge lo studioso, nonmanca di ulteriori evidenze. In ogni sua singola manifestazione è infatti percepibile«una funzione mitica e simbolica»: e così, «come il regime matrimoniale costringe auna certa sacra rappresentazione e recitazione della Diade, quello patrimoniale esigesempre un sacrificio più o meno ampio del proprietario allo Stato o viceversa,segnando quindi il grado rispettivo di sacralità dello Stato e del singolo, cioè la misuradella reputata funzione microcosmica o solare dell’uno e dell’altro»[25].

L’aggancio del diritto al sacro è così forte e resistente, spiega ulteriormente lostudioso, che non verrebbe meno neppure nel caso in cui prendessero corpo le «utopied’una creazione perpetua popolare del diritto, ubbia della Russia rivoluzionaria fino allarestaurazione di Vyšinskij, della Germania nazista, dove si volle imporre la spontaneitàlegiferante popolare, e in certa misura anche dello ‘scetticismo giuridico’ americano conil suo appello alle ‘premesse tacite’ del giudice». E invero, rileva Zolla, «anche se sisostituisse il quartiere o l’isolato o il posto di lavoro ai tribunali, si tornerebbe a unasacralità delle ventate di opinione che muovono tali assemblee, alla prova magica oordalia delle loro procedure. La magia delle induzioni psichiche vi si affermerebbe e la‘tecnica di gruppo’ le dirigerebbe come la scienza pontificale dei sacerdoti germanicidescritti da Tacito governava le assemblee arcaiche»[26].

13. – Affinché la critica del diritto abbia un senso, scrive Zolla in apertura delle

pagine conclusive del saggio, essa non deve indirizzarsi al diritto stesso, «che esprimesemplicemente la continuità in sé d’una vita sociale, bensì al bisogno di dirittonell’interiorità dell’uomo»: che è un bisogno legato al desiderio di «restaurare ogarantire l’equilibrio magico», compromesso – nel senso che avvertiamo un«mancamento di forza magica» – quando ci si sente afferrati «da una presenza piùforte di noi», attraverso «restaurazioni in integro, ripartizioni, vendette erivendicazioni». Perché questa è la sorgente interiore del diritto[27].

L’insegnamento di Gesù, osserva ancora l’autore, «fu di non lasciarsi dominare econtrollare da questo bisogno», di non ritenerlo intriso di sacralità. Secondo molti degliinterpreti dei Vangeli, invero, «il diritto sarebbe il segno di una presenza magica ed’una possessione assai più pericolosa di tutte quelle che con vendette e rivendicazionie riparazioni si vorrebbero eliminare». Cristo non critica dunque il diritto come forzasociale, ma «come impulso psichico e quale regime magico inferiore ed erratodell’interiorità». Per cui egli combatte il bisogno di sacrificare l’homo sacer e quindianche l’adultera evangelica che sacra era diventata in ragione della sua condotta, purnon mettendo in dubbio «la premessa mistica della monogomia più intransigente». Esuggerisce di perdonare le offese e di considerare il ruolo di creditore per quello che èveramente, ossia il ruolo gretto di chi deve riscuotere per mettere fine a un legamentomagico che stringe a sé il debitore e diventare così pienamente libero e godere della

Pagina 13 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

propria gloria, cui va contrapposto il ruolo di chi sa donare e incrementare attraverso lagenerosità la gloria personale.

Resta però nel fondo dell’uomo, anche a ottemperare ai dettami di Cristo, ilbisogno del sacrificio, quale modo per comunicare col sacro assolutamenteineliminabile. Si chiede allora Zolla come si possa entrare in contatto col divino «se siricusa il sacrificio dell’homo sacer e i sacrifici del diritto (i risarcimenti, le pene)». E larisposta che egli dà è attinta dal sacrificio «dello stesso Maestro come sostituto evicario d’ogni vittima e condannato». A suo avviso, è invero decisivo che «la massimasacralità accetta la pena – l’onore (timé) della croce. Questa rivelazione tragica dellanatura intollerabile del sacro, della profondità abissale celata nella richiesta di giustizia,questa immolazione del più perfetto perché oltremodo intollerabile, libera dalla bilanciadelle pene e dei diritti. Il sangue di una tale vittima, voluta dalla sentenzamassimamente ingiusta e massimamente necessaria, è il lavacro psichico e magico pereccellenza e scioglie dalla sudditanza al diritto»[28].

Memori di un tale evento, quello della crocifissione di Gesù, abbiamo il compitodi estirpare in noi la radice del diritto, il vincolo della sua necessità, continua l’autore. Ilnostro sforzo deve perciò orientarsi in questo senso: «la riscossione del dovuto, lapunizione del torto cessino di apparirci una medicina del nostro turbamento e, sel’ingiustizia chiama la magica riparazione e ci porta a giudicare con magichemormorazioni, si contempli la croce, somma ingiustizia e magia. Si guardino in faccia ibisogni e gli istinti giuridici: sono lacci che avvincono, uncini infilati nella nostra carne».

E non è questa, dice Zolla quasi al termine del suo contributo, una crociatacontro i tribunali o un carme contro chi vanti un credito, certo suscettibile diestinguersi attraverso l’adempimento del debitore anche se e quando il titolare dellapretesa riconosciuta dall’ordinamento si sentisse liberato dall’urgenza psichica diottenerne soddisfazione. Né si tratta di un’istigazione a censurare «coloro che nonpossono non giudicare, rivendicare, disputare del diritto e del torto»: tutti soggetti chevanno compassionati, mentre «il loro misero spettacolo ci aiuta a preservarci dalricadere noi stessi in quella prigione e volgare corte di supplizi»[29].

La sublime indicazione che proviene dall’esperienza cristiana è peraltroparagonabile a quella offerta dall’arte marziale giapponese nota come «via del respiroarmonioso». In ossequio ai suoi dettami, l’alunno picchia un ceppo con un bastone, poicon questo colpisce un ceppo immaginario, quindi procederà come se avesse in manoun bastone che invece non ha. Ciò rivela che «buona parte delle mosse che sicompiono per aiutarsi a eseguire certi atti possono poggiare sulla fantasia, comequando per levarsi in piedi ci si afferri a un sostegno. Imparando a sostituire ilsostegno con la sua immagine mentale, si può imparare, ulteriormente, quanta forzanascosta si abbia e da quanti bisogni immaginari ci si lasci incantare». Ed ecco allorache, al pari del bastone, si può fare a meno «delle categorie del diritto e del torto»,rimpiazzandole con la nuda fede nel significato del nostro destino ovvero nellaprovvidenza. Anche se questo, riconosce nelle ultime righe del contributo lo studioso,non è da tutti. Come da tutti non è far proprio l’ammaestramento che promana dalla«via del respiro armonioso». Impermeabile al suggerimento delineato è comunque ognimente che, invece di meditare intorno al medesimo, «corra a domandarsi se possasussistere una società senza diritto», fraintendendo così completamente il temaaffidato al suo vaglio[30].

14. – Condurrebbe troppo lontano ricercare ed esplicitare il molto che è

nascosto nella scrittura fortemente ellittica di Zolla e poi, portato così a compiutezza il

Pagina 14 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

suo discorso – che, come si è constatato, va ben oltre l’ordinamento romano –,analizzarlo criticamente. Sicché, tenuto conto che una delle figure ricorrenti nel saggioè quella dell’homo sacer, oggi importante anche nel dibattito filosofico internazionale –e ben lo mostrano alcune pagine di Emanuele Stolfi[31] e Isabell Lorey[32] –, milimiterò a vagliare il pensiero dell’autore in merito alla stessa, dando per letto quantoho già scritto al suo riguardo e la dottrina con la quale mi sono progressivamenteconfrontato, richiamata qui in minuscola parte, solo là dove il suo ausilio appaiaessenziale[33].

Ebbene, concordo senz’altro con lo studioso quando asserisce che chis’incaricava della morte dell’homo sacer sentiva di agire per impulso della divinitàoffesa dalla condotta di costui, alla stregua di un mandatario che porta a esecuzione lavolontà omicida del mandante.

E invero, tenendo uno dei comportamenti che l’arcaico sistema giuridico-religioso – attraverso norme che la tradizione riporta a leggi approvate dal comiziocuriato su iniziativa di vari re[34] – sanzionava con l’automatica acquisizione dellostatus di sacer da parte del loro autore in vista dell’immediato ripristino della paxdeorum che ne era risultata infranta[35], il soggetto, appunto perché sacer, si trovavain questa condizione peculiare, senza bisogno di una preventiva pronuncia dicolpevolezza: di estromissione dalla comunità in cui era nato e cresciuto, ovvero diprivazione della qualifica di liber che denotava proprio l’inserimento nel gruppo sociale,e di appartenenza al dio che aveva osato ingiuriare[36]. A tacere di altre fonti,rilevante è quanto, rispetto al sacro in generale, aveva teorizzato Trebazio Testa,giurista amico di Cicerone, nel libro primo del trattato De religionibus, opera chedoveva lasciarsi apprezzare per il suo spessore sistematico: sacrum est quidquid estquod deorum habetur[37]; e anche ciò che, seppure meno incisivamente[38], avrebbedetto il ben più tardo Macrobio, ossia che quidquid destinatum est dis sacrumvocatur[39].

Ma se l’homo sacer era nel dominio di un dio, è giocoforza che questo potessedisporne a piacimento. E decidere pertanto di segnare in negativo il suo destino, vistoche, per quanto si apprende da Tac. ann. 1.73.4, … deorum iniurias diis curae[40]: peresempio, ingenerando in lui, a livello corporale o mentale, una qualche malattia più omeno grave oppure istigandolo con successo al suicidio, come sostiene FerdinandoZuccotti[41], o anche troncandogli la vita. Peraltro, poiché nessun dio si sporcava delsangue di un individuo – numquam deos ipsos admovere nocentibus manus, si legge inLiv. 5.11.16 –, pure quello nella cui signoria fluttuava il suo oltraggiatore si sarebbeservito di un uomo per l’attuazione del proposito cruento maturato, potendo ricorrere alui perché le regole del tempo, che sappiamo estese ai rapporti con gli esserisoprannaturali, ciò ammettevano. E il prescelto, anzi, quello che avvertiva, così cometutti i consociati avvertivano, di essere stato individuato dal dio, che percepiva in primapersona la «spinta arcana» all’atto letale di cui parla Zolla, coerentemente non avrebberisposto penalmente dell’omicidio perpetrato e sarebbe così scampato alla sanzionecapitale, dal momento che esulava dalla fattispecie incriminatrice contemplata nellalegislazione numana in materia – formulata con esclusivo riferimento a colui chemettesse a morte dolo sciens un homo liber, secondo Paul.-Fest. voce ‘Parrici<di>quaestores’ (Lindsay 247)[42] – l’uccisione intenzionale dell’homo non liber, qual eral’homo sacer[43].

Né egli, altrettanto coerentemente, sarebbe diventato sacer o avrebbecomunque subito un peggioramento del suo status a causa del fatto commesso,integrante, in mancanza della giustificazione insita nella sua veste di esecutore di una

Pagina 15 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

risoluzione divina, una grave intromissione in un rapporto, quello intercorrente fra ildio e chi gli aveva arrecato vituperio, al quale ogni terzo doveva rimanere estraneo. Losi desume chiaramente da Dion. Hal. 2.74.3, dove, con riguardo alla statuizione, purenumana, che qualificava come sacer il violatore delle pietre di confine tra fondi, siosserva che in base a essa chiunque aveva facoltà di ucciderlo impunemente,conservando per giunta il proprio stato di purezza.

E a voler immaginare che l’assassino dell’homo sacer fosse accusato perl’omicidio deliberatamente consumato, è presumibile che si sarebbe esonerato daresponsabilità provando la situazione in cui versava la sua vittima, forse oggetto di unaqualche forma di pubblicità in seno alla civitas, come preciserò nel seguito.

15. – Risulta già nitido, per quanto detto, il mio dissenso rispetto a un’idea chepervade il saggio di Zolla: che l’homo sacer fosse inesorabilmente destinato alla morteper mano d’altri e che in questa si vedesse un sacrificio addirittura reclamato dalladivinità offesa, idoneo a restaurare l’armonia tra la collettività e il sovrasensibile.

Pensare all’eliminazione fisica dell’homo sacer quale esito scontato conseguenteal suo stato, e scontato sul piano normativo prima ancora che fattuale, è ostacolatodalle fonti, che orientano ben diversamente: ossia nel senso che ai singoli consociatiera riconosciuta la facoltà, e non certo l’obbligo, di sopprimere quell’homo[44].Limitando lo sguardo, come ho fatto finora e ancora per un tratto farò, al periodomonarchico, basterà qui richiamare Dionigi di Alicarnasso e Macrobio. Il primomenziona l’uso risalente dei romani di rendere sacre a una qualunque delle divinità,soprattutto sotterranee, le persone che essi avessero voluto impunemente uccidere(2.10.3); ricorda inoltre, trattando della disciplina romulea del rapporto tra patrono ecliente, che la trasgressione dei divieti contemplati dalla stessa (accusarsi a vicenda oarrecare testimonianze e votazioni avverse o essere annoverato tra i rispettivi nemici)comportava la sacertà del reo[45], la cui uccisione da parte di chicchessia era perciòlecita (ancora 2.10.3); narra infine, come già abbiamo appurato, che il soggettodivenuto sacro per aver tolto o spostato le pietre di confine tra fondi in spregio a unalegge di Numa[46] poteva essere impunemente ucciso da tutti (2.74.3). Quanto aMacrobio, in Sat. 3.7.5 egli scrive che vi erano alcuni ai quali appariva sorprendenteche per l’addietro fosse esistito il ius di uccidere l’homo sacer, considerato che dasempre era contrario al fas violare cetera sacra, ossia le altre entità sacre.

Che l’uccisione dell’homo sacer fosse normativamente prevista come eventuale,d’altro canto, era imposto dal fatto che, a livello ordinamentale, si percepiva comeeventuale la decisione di interrompere la sua esistenza dall’esterno (o anchedall’interno, attraverso il suicidio) da parte del dio in balia del quale il nostro homo sitrovava. Vincolare ogni membro della civitas o qualche suo organo alla messa a mortedi costui sarebbe invero equivalso a non riconoscere al dio che ne era divenuto ilpadrone il potere di determinarsi discrezionalmente, come ogni dominus, rispetto a unproprio bene. Viceversa, lasciare alla libera valutazione di ogni individuo la decisionecirca la sorte effettiva dell’homo sacer significava, nell’immaginario della Roma deiprimordi, rispettare pienamente le prerogative acquisite da un dio attraverso unmeccanismo, qual era quello della sacertà, d’indole giuridico-religiosa e dunque daglieffetti inderogabili. E implicava quindi sfuggire al pericolo che il dio reagissemalamente nei confronti della comunità nel caso in cui sentisse prevaricata la suavolontà, avendo qualcuno ucciso in adempimento di un dovere un homo sacer che eglivoleva lasciar sopravvivere o tormentare diversamente, nell’uno o nell’altro dei modi inprecedenza indicati.

Pagina 16 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

Ancora in Dion. Hal. 2.10.3 troviamo una preziosa, per quanto parziale,conferma di questo quadro ricostruttivo. Vi si afferma infatti che sarebbe stato lecito, achi lo avesse voluto, porre a morte il soggetto, patrono o cliente, caduto in potere diZeus infero – in quanto divenuto sacer al medesimo –, quale vittima decisa da questadivinità.

Di contro a Zolla, come anticipato, nemmeno credo che nella morte inflitta, eripeto per me non obbligatoriamente, all’homo sacer da parte di un terzo qualsiasi siravvisasse un sacrificio. Questo, secondo John Scheid, constava di una sequenzaprocedurale complessa, nella quale trovava posto l’immolazione, una fase a sua voltascomponibile in tre gesti provenienti dall’officiante, il quale cospargeva la vittima con lafarina salata chiamata mola, versava del vino sopra quella e tracciava con il coltellouna linea immaginaria tra la sua fronte e la sua coda. Orbene, stando sempre aScheid, in dipendenza del loro compimento e presumibilmente già per effetto delsecondo, si aveva il trasferimento della vittima «dalla proprietà degli umani a quelladegli immortali», la sua introduzione nella proprietà divina[47]: il che, più di recente,ha sostenuto pure Gianluca De Sanctis[48]. Ma se così è, non rimane spazio peripotizzare con un qualche fondamento che l’homo sacer, il quale già si trovava nellaproprietà divina, potesse o peggio dovesse esservi reimmesso con un atto, l’uccisionedel medesimo a guisa di sacrificio, che avrebbe implicitamente disconosciuto laprecedente sua attribuzione alla sfera divina ed esposto la comunità che risultava nonaverlo espulso e trasferito in mani soprannaturali al pericolo conseguente a un’ulteriorerottura della pax deorum o comunque, ragionando diversamente, avrebbe dato luogo aun’intollerabile interferenza in un già costituito legame dominicale e causato perciò,come nella precedente ipotesi, una nuova violazione della pax deorum.

Un testo famoso, Fest. voce ‘Sacer mons’ (Lindsay 424), sul quale tornerò oltre,corrobora quanto appena sostenuto. Lì, a proposito dell’homo sacer, si dice: neque fasest eum immolari, sed, qui occidit, parricidi non damnatur. Dunque, l’immolazionedell’homo sacer era vietata da una norma del fas, l’arcaico diritto concernente irapporti tra uomini e dei, in quanto provocava – è da credere – una lesione della paxdeorum. Solo ne era ammessa, da una norma certo molto risalente, l’uccisioneirrituale, in nessun modo riconducibile a un sacrificio, che non comportavaresponsabilità per l’omicidio volontario commesso.

Vero è, peraltro, che Macrobio, in continuità rispetto all’osservazione formulatain Sat. 3.7.5 e dianzi valorizzata, intreccia una riflessione, che si snoda in 3.7.6-7, dacui sembra trapelare che l’uccisione dell’homo sacer avesse, per i singoli consociati, unche di doverosità. Occorre dunque soffermarsi sul brano e verificare se esso mini allabase la ricostruzione che sono venuto prospettando.

Nell’intento di chiarire a coloro che non riuscivano ad afferrare perché un tempofosse lecito mettere a morte l’homo sacer quando era nefas violare i cetera sacra,l’autore, dopo aver ricordato che i veteres non tolleravano che un animale sacro siaggirasse nelle loro terre, per cui lo costringevano ad andarsene in quelle delle divinitàalle quali era sacro, afferma che le anime degli uomini sacri gli stessi veteres leritenevano dis debitae: espressione che potrebbe indicare che queste anime gli antichile consideravano vincolate (conformemente a uno dei significati del verbo debere),ovvero già in mano, agli dei. A motivo di ciò, continua Macrobio, ancora i veteres,come non esitavano ad allontanare da sé ciò che era sacro e non potevano tuttaviainviare direttamente agli dei, così, reputando che le anime sacre potessero esseremandate in cielo (presso gli dei cui appartenevano e sul fondamento della loro volontà,ci saremmo aspettati), volevano che esse, liberate dal corpo, vi andassero al più

Pagina 17 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

presto[49].Generalmente ritenuto contorto e in qualche punto oscuro, il discorso di

Macrobio rivela un’insospettata coerenza interna se lo si legge alla luce della motivatae convincente ridefinizione dell’animal sacrum che vi compare proposta da CarloPelloso. Esso viene infatti a conquistare piena autonomia rispetto alla victima fugienspresa in considerazione da Serv. Verg. Aen. 2.104 (... sacrorum est ut fugiens victima,ubicumque inventa sit, occidatur, ne piaculum committatur), con la quale è invecefatto coincidere da buona parte della dottrina, a cominciare da BernardoSantalucia[50], ma a torto: il primo, semplice animale idoneo a un sacrificio nellaprospettiva di Pelloso, quando vagasse al di fuori dei fines deorum, doveva inveroesservi ricondotto vivo, per quanto scrive Macrobio; la seconda, sfuggita a un sacrificiogià iniziato, passata o meno che fosse nella proprietà divina per effetto dell’immolatio ocomunque di uno dei gesti ricompresi in questa fase, doveva invece essere uccisa dachi vi si imbattesse – e non volesse incorrere in un’omissione contaminante (piaculum)–, in quanto si era mostrata platealmente sgradita dal dio che ne stava per acquisire ildominio o rifiutata da quello nella cui sfera di appartenenza era appena entrata, comeattesta Servio[51].

Nonostante la riacquisita linearità, il periodare di Macrobio continua però ainstillare il dubbio che l’homo sacer fosse inevitabilmente votato alla morte. Tanto cheSantalucia scrive, a commento dello stesso: «la religione … non ravvisa l’esigenza diplacare l’ira divina mediante il sacrificio rituale del colpevole e, pur ammettendo che laconsacrazione aveva come conseguenza ultima e normale la morte del consacrato, nonconsentiva la sua immolazione ad opera degli organi della comunità»[52]. Proprio daqueste parole si può tuttavia trarre ispirazione per sostenere che l’autore, mentre inSat. 3.7.5 guarda alle leggi relative all’homo sacer – già per lui, attivo fra il IV e il Vsecolo d.C., così lontane nel tempo –, potendo perciò parlare del ius che esseassicuravano a tutti di porlo a morte, in 3.7.6-7 allude al riflesso pratico di tali leggi,prefigurandosi – non sappiamo quanto attendibilmente – una remota realtà in cui queldiritto veniva costantemente esercitato. Il quadro che risulta non è allora di per séincompatibile con ciò che ho ipotizzato, ancorandolo essenzialmente e necessariamenteagli aspetti normativi e non fattuali della sacertà, perché è ai primi che le fontipervenuteci sono tendenzialmente attente.

Resta però incerto, come accennato, se Macrobio disponesse di unadocumentazione adeguata circa un’esperienza concreta tanto risalente. Né il suorichiamo a Trebazio Testa in Sat. 3.7.8 (disputat de hoc more etiam Trebatius‘Religionum’ libro nono; cuius exemplum, ne sim prolixus, omisi) è decisivo,considerato non solo che potrebbe non essersi giovato del suo apporto o averlofrainteso, come reputa un orientamento dottrinale, ma pure che il rinomato giuristapotrebbe aver circoscritto la propria indagine ai profili squisitamente normativi dellasacertà, peraltro, come notato, correttamente, ancorché ellitticamente, evocati in3.7.5. Se così è, rimane dunque aperta l’eventualità che il ius al centro di questo passonon sempre trovasse un soggetto incline a valersene.

Un appunto resta comunque da muovere a Macrobio. Egli ha infatti trascuratoche, secondo la genuina tradizione romana, l’homo sacer era attribuito nella propriainterezza alla divinità offesa dal suo comportamento. E invero, come ha rilevatoRoberto Fiori, nelle parole dell’autore, nelle quali risuona un mondo di ideenotevolmente diverso da quello che aveva concepito l’homo sacer, «l’anima … èopposta al corpus, e viene inviata in caelum perché quella è la sua sede; e di fronte aquest’anima così ‘incorporea’ è impossibile non sospettare al riguardo una

Pagina 18 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

interpretazione dello stesso Macrobio, influenzata da quelle dottrine neoplatonichedell’anima che altrove lo scrittore ha ampiamente sviluppato»[53].

Escluso che l’uccisione dell’homo sacer, solo eventuale almeno a livellodell’astratta regolamentazione giuridica, presentasse un risvolto sacrificale, giovaadesso indugiare sul perché nella medesima, contrariamente a quanto pensa Zolla,neppure possa vedersi il tramite necessario per la ricostituzione della pax deorum. Aprescindere dal rilievo che se davvero il suo ripristino fosse stato subordinato allamorte del nostro homo il quadro normativo avrebbe avuto una diversa parvenza,prevedendo l’obbligo generalizzato, e non l’omologo diritto, di sopprimerlo, è dasottolineare che il congegno della sacertà era strutturato in modo tale che l’amiciziacon gli dei venisse a riaccendersi per conseguenza stessa della caduta in sacertà di chi,con una condotta vietata, l’aveva compromessa: attraverso la sua separazione dalgruppo sociale di appartenenza, collegata in via immediata e diretta al compimentodell’illecito, l’ordinamento sottraeva quel gruppo alle possibili manifestazioni d’ira delladivinità alla quale il trasgressore aveva recato un’onta, così come mediante la suasimultanea consegna a tale divinità l’ordinamento convogliava in capo a costui leeventuali reazioni della medesima.

Trova così smentita un’ulteriore illazione di Zolla: che l’homo sacer fosseconsiderato dagli dei alla stregua di un morto. Se era sufficiente, ai fini del risorgeredell’essenziale pax deorum, il transito di colui che aveva perpetrato un torto ai danni diuna divinità nella sfera di appartenenza di questa, bisogna ammettere che egli fossevisto come un bene dotato dell’alto pregio di un uomo vivente e non invece come unqualcosa di valore addirittura negativo, qual era un uomo morto in mancanza dei ritifunerari prescritti dall’ordinamento, in quanto di per sé contaminante[54].

16. – Mi fermo ora su un passaggio del discorso di Zolla che pur dovrebbeapparire privo di peso a fronte delle considerazioni svolte: quello in cui egli addita,quale centro della Roma arcaica, il luogo in cui si procedeva al sacrificio dell’homosacer, una volta intervenuta la decisione circa il suo stato, promanante dall’alto e resapalese, davanti all’assemblea dei cittadini, attraverso una divinazione o un’ordalia.

Se la norma del fas ricordata da Festo e sopra richiamata precludeval’immolazione dell’homo sacer, di un sacrificio del medesimo non si può parlare, comegià osservato. E se l’homo sacer diventava tale per effetto automatico dell’illecitoperpetrato, per una pronuncia che costituisse il reo nella situazione di sacertà non viera il margine. Ma neppure di una sentenza meramente dichiarativa dello stato disacertà in cui taluno fosse precipitato si sentiva la necessità, tanto da potersi supporreche non vi si ricorresse. Non è improbabile, peraltro, che della caduta in sacertà di unodei suoi membri la comunità fosse anche ufficialmente informata. Forse il re,coadiuvato dai pontefici, di tanto in tanto – magari nei due giorni indicati dalla sigla‘Q.R.C.F.’ –, rendeva pubblicamente noto quali fossero gli homines sacri. Anzi, lacelebre e in parte ancora misteriosa detestatio sacrorum menzionata nelle fonti[55]poteva proprio indicare l’atto con cui si portava a conoscenza del popolo i nominativi ditutti coloro che erano inacappati nella sacertà[56]. Ma il controllo giudizialesull’effettiva situazione di sacertà del cittadino messo a morte in ragione della stessa,contemplato o meno che egli fosse nelle ipotetiche proclamazioni periodiche di cui hoappena detto, era comunque assicurato, come già accennato, in via posticipata,potendo l’uccisore essere assoggettato a un processo per omicidio volontario, all’esitodel quale sarebbe stato assolto dando prova della sacertà contratta dalla vittima,valorizzando eventualmente le risultanze delle forme di pubblicità immaginate allora in

Pagina 19 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

uso.Individuato nel rex e nei suoi ausiliari, i quaestores, gli organi legittimati a

condurre questo processo (in cui erano forse coinvolti i pontefici, per valutare sel’uomo messo a morte avesse realmente acquisito la qualifica di sacro a motivo delcontegno serbato[57]), e ancora nel rex e forse in altri collaboratori, tra i quali iduumviri perduellionis, quelli chiamati a sovrintendere ai giudizi per crimini diversidall’omicidio, come appunto la perduellio, sanzionati con la morte inflitta a titolo disacrificio espiatorio[58] (ovvero con quel deo necari in cui Zolla erroneamente vedel’esito immancabile della sacertà), non è affatto escluso che alla formazione delladecisione finale concorresse il popolo riunito nel comizio curiato, secondo modalitàvariamente ricostruite dalla dottrina che segue questa ipotesi, capeggiata daSantalucia[59].

Non sembra però avallare tutto ciò la voce di Festo ‘Sacer mons’ (Lindsay 424),in cui si afferma che homo sacer is est, quem populus iudicavit ob maleficium,precisandosi subito dopo, con un enunciato a noi ben noto, che neque fas est eumimmolari, sed, qui occidit, parricidi non damnatur. Prima di affrontare il problema postoda questo testo, conviene riportare anche il seguito del lemma: nam lege tribuniciaprima cavetur, ‘si quis eum, qui eo plebei scito sacer sit, occiderit, parricida ne sit’. Exquo quivis homo malus atque improbus sacer appellari solet.

Persa la qualifica di liber per effetto della colpa di cui si era macchiato, di per séidonea a trasferirlo nella sfera di dominio della divinità offesa e a reciderecontestualmente il suo legame con la comunità di appartenenza, l’homo sacer nonconservava nemmeno lo stato di civis. Per cui, come era fuori discussionel’applicazione della norma sull’omicidio doloso a carico del suo uccisore, essendol’eliminazione del sacer estranea alla fattispecie incriminatrice prevista prima nellalegge di Numa e poi nella legge decemvirale[60], così non potevano operare neiconfronti del sacer le garanzie introdotte da questa seconda legge a favore del civis.Dunque, anche sotto il suo impero l’homo sacer non godeva del diritto a unapreventiva pronuncia circa la propria condizione, nella quale seguitava a cadere pereffetto diretto e immediato dell’azione commessa, e chiunque aveva facoltà diinfliggergli la morte, che rimaneva orfana di contorni sacrificali. In altri termini, ildivieto ribadito nelle XII Tavole di porre a morte l’homo indemnatus evocato daSalviano[61] continuava a valere in relazione all’homo liber, in quanto civis, nonestendendosi all’homo sacer, che civis non era. E del pari il precetto delle XII Tavole, alquale in più luoghi accenna Cicerone[62], che riservava al comizio centuriato lacompetenza a decidere de capite civis, sottraendola al comizio curiato e negandola alconcilio plebeo che per l’addietro l’aveva talvolta arbitrariamente esercitata, nonriguardava l’homo sacer, poiché non liber e conseguentemente non civis[63].

Meglio si comprende l’accenno all’illegale attività giudiziale del concilio plebeo diepoca predecemvirale e il prosieguo del mio discorso se ora si rammenta che nel 494a.C. proprio il ceto plebeo aveva adottato una deliberazione, accompagnata da ungiuramento, con cui proclamava sacrosancti i suoi capi, i tribuni, con la conseguenzache l’offensore di questi sarebbe incorso all’istante, per il fatto solo dell’oltraggiorecato, nella condizione di homo sacer, risultando perciò impunemente uccidibile datutti[64]. Una nuova fattispecie generatrice di sacertà veniva così a imporsi nellarealtà, ancorché veicolata dal peso effettivo di una parte della comunità cittadina e noncerto dalle norme giuridico-religiose ascrivibili a questa. Talvolta, peraltro, i tribunipromuovevano davanti al concilio plebeo, ovviamente in via rivoluzionaria, processicontro coloro che li avessero lesi, destinati a concludersi con una pronuncia che

Pagina 20 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

dichiarava lo stato di sacertà del perseguito: in questo modo essi riuscivano adattribuire ampia risonanza alla violazione subita e a mostrare al patriziato la forza dellaclasse antagonista, pronta a proteggere quello dei suoi membri che si fosse incaricatodell’uccisione di chi era risultato sacer e venisse accusato di omicidio volontario[65].

Ecco allora che il codice decemvirale, non bandendo dall’ordinamento la sacertàdi matrice plebea, veniva implicitamente a riconoscerla a livello cittadino, pur nonconsentendo più l’instaurazione di processi volti al suo accertamento davantiall’assemblea della plebe e concentrando in testa al comizio centuriato la prerogativa digiudicare del crimine di omicidio doloso eventualmente contestato all’uccisoredell’homo presunto sacer. A convalidare espressamente quella sacertà di fronteall’intero popolo avrebbe poi provveduto la lex Valeria Horatia de tribunicia potestatedel 449 a.C., statuendo la sacertà a Giove a carico di chi recasse offesa ai tribuni dellaplebe, agli edili e ai giudici decemviri e stabilendo altresì che i suoi beni fossero venduticon devoluzione del ricavato a beneficio del tempio di Cerere, Libero e Libera[66].

A fronte di quanto detto, può trovare giustificazione l’affermazione di Festorelativa all’homo sacer, secondo la quale is est, quem populus iudicavit ob maleficium.La mia supposizione, che ritengo idonea a conferirle un congruo significato, fa leva sulprincipio di legalità, per utilizzare una moderna terminologia, che reggeva le fattispecieproduttive di sacertà. Per me, infatti, Festo voleva evidenziare che questa erarigorosamente prefigurata in leggi approvate dal popolo, quali erano, secondo latradizione, anche quelle regie, che la collegavano a specifiche ipotesi adeguatamentedescrittevi. Perciò egli può dire che l’homo sacer è quello, ed esclusivamente quello,secondo una sfumatura insita nelle sue parole, che il popolo, appunto in norme alla cuiformulazione aveva concorso, ha stimato ovvero, sulla scorta di una delle accezioni cheben può assumere il verbo iudicare, ha proclamato tale – nel senso che ha proclamatoche diventi tale – in ragione (della commissione) di un particolare misfatto,ovviamente, seppure ciò sia implicito, che accada in futuro.

E può poi asserire, lo stesso Festo, che per esempio (locuzione che rappresentauna resa corretta del nam che si legge nella voce, traducibile comunque anche con ‘einfatti’ o ‘e appunto’) con la prima lex tribunicia ovvero, se si preferisce – sulla scia diZuccotti[67] –, per la prima volta con la lex tribunicia, in ogni caso identificabile nellalex Valeria Horatia de tribunicia potestate del 449 a.C., si è disposto che non siaconsiderato reo di omicidio (parricida ne sit) chi abbia ucciso (quis … occiderit) ilsoggetto diventato sacer sulla base del plebiscito del 494 a.C. (eum, qui eo plebei scitosacer sit), il quale, come abbiamo poc’anzi appreso da altre fonti, era stato rafforzatoda un giuramento plebeo, che aveva munito i tribuni dello scudo della sacrosanctitas,così che il loro attentatore sarebbe incorso subito, e cioè all’atto stesso dell’offesacommessa, nella condizione di homo sacer.

Né confligge con il quadro informativo così ricostruito quanto emerge da Cic.Tull. 20.47 e Fest. voce ‘Sacrosanctum’ (Lindsay 422), fonti che potrebbero indurre apensare che alla sacertà posta a presidio dell’inviolabilità dei tribuni corrispondesse unobbligo generalizzato di sopprimere il colpevole e non la mera facoltà di tutti diprovvedervi. Quanto al primo testo, il verbo iubere che vi compare (… legem antiquamde legibus sacratis, quae iubeat impune occidi eum, qui tribunum plebis pulsaverit)sembra adoperato nel significato di autorizzare. E rispetto al secondo è da rimarcare,con un’autorevole dottrina[68], che l’espressione morte poenas pendere utilizzata lì(sacrosanctum dicitur, quod iure iurando interposito est institutum, si quis id violasset,ut morte poenas penderet. Cuius generis sunt tribuni plebis aedilesque eiusdemordinis; quod adfirmat M. Cato in ea, quam scripsit, aedilis plebis sacrosanctos esse)

Pagina 21 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

non rimanda a un’inesorabile applicazione della pena capitale, ma piuttosto,considerato anche il contesto, all’eventualità di pagare con la morte la propria colpa.

17. – Delle fattispecie al cui realizzarsi l’arcaico ordinamento ricollegava la

sacertà Zolla si limita a evocare quella del giuramento rivelatosi falso o, se relativo auna condotta futura e non alla verità di un fatto già accaduto, rimastoinadempiuto[69]. Se il primo caso viene in rilievo nell’ambito del primitivo processocivile, al quale lo studioso fa specifico riferimento, il secondo assume importanza nelcampo del patto, per come egli lo tratteggia.

L’uno e l’altro, peraltro, sono assai discussi in letteratura, anche in relazione allaloro idoneità a generare la sacertà[70]. Pur essendo vero che per un autore insigne,Bernardo Albanese, «il caso più generale e importante di sacertà» che può supporsi perun’epoca molto risalente è proprio quello della «sacratio che, accompagnando un iusiurandum, realizzava l’atto complesso denominato tecnicamente sacramentum», attoche svolgeva un ruolo essenziale nel processo condotto secondo la legis actiosacramenti. Sua opinione è infatti che «la soccombenza in quel processo implicasse, inetà remota, il venire in essere, a carico di colui il cui sacramentum risultava iniustum,dell’efficacia della sacratio congiunta al ius iurandum», ovvero il venire in essere «dellacondizione di homo sacer»[71].

Altre e più sicure ipotesi normativamente sanzionate con la sacertà già in epocaregia vi sono e meritano di essere qui ricordate, pur avendole in parte incontrate inprecedenza[72]: la violazione degli obblighi di reciproca fedeltà incombenti sul patronoe il cliente[73]; la rimozione e lo spostamento con l’aratro delle pietre di confine trafondi[74]; le percosse inferte dal figlio al padre e dalla nuora al suocero, purché nonmancasse il plorare della vittima[75]; l’azione, di difficile decifrazione, contemplatanella legge incisa sulla stele scoperta nel foro romano, sotto il lapis niger[76].

Quanto poi all’età repubblicana, agli inizi della stessa vengono introdotte nuovefattispecie punite con la sacertà. E tutte con leggi, in ossequio a quel principio dilegalità costantemente osservato in materia del quale ho dianzi parlato, fattonaturalmente salvo il caso della sacertà a carico di chi infrangesse l’intangibilità deitribuni, creato in via unilaterale dalla plebe mediante il plebiscito, rafforzato dagiuramento, del 494 a.C., di cui già sappiamo[77]. Al proposito si possono menzionare,in aggiunta alla già citata lex Valeria Horatia de tribunicia potestate del 449 a.C., cherecuperava, a livello dell’intera civitas, quanto statuito da quel plebiscito, due leggi:una lex Valeria del 509 a.C., che comminava la sacertà a colui che si fosse macchiatodel crimine di adfectatio regni[78], per cui, come si ricava da Plutarco, il suo eventualeuccisore non si sarebbe considerato responsabile di omicidio, pur a condizione chefornisse le prove della colpevolezza della vittima[79]; la lex Valeria Horatia deprovocatione del 449 a.C., che ripristinava la provocatio ad populum, inoperantementre erano al potere i decemviri, e vietava per il futuro la creazione di magistratiesenti da essa, decretando che il trasgressore, evidentemente perché consideratosacer[80], potesse venire lecitamente ucciso da chiunque[81].

Anche le XII Tavole, peraltro, contemplavano norme che irrogavano la sacertà:una, su cui ci siamo già imbattuti, la prevedeva per il patrono che clienti fraudemfecerit; due ulteriori, forse[82], per il falso testimone, tenuto a dire la verità sottogiuramento, passibile della deiectio e saxo Tarpeio (che costituiva uno dei mezziutilizzati per l’eliminazione fisica dell’homo sacer, attestato in particolare con riguardoal soggetto divenuto sacro per aver offeso i tribuni della plebe[83]), e per il iudex el’arbiter che «si lasciassero corrompere nella decisione di una causa», in spregio al

Pagina 22 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

giuramento che avevano prestato[84].

18. – Viene fatto ora di chiedersi, sollecitati dal saggio di Zolla, se la figuradell’homo sacer abbia lasciato qualche impronta nitidamente visibile sulla storiasuccessiva alla sua scomparsa.

La risposta dovrebbe essere senz’altro positiva, a leggere le tante pagine cheGiorgio Agamben ha dedicato alle repliche di quella figura registratesi nel tempo chesfuma nel presente. Autore di una serie rimarchevole di volumi che evocanoimmancabilmente nel titolo o nel sottotitolo l’homo sacer[85], egli scorge una delle suepiù impressionanti incarnazioni nell’ebreo sotto il nazismo, la cui eliminazione fisica,lungi dal ricollegarsi a una condanna capitale o dall’assurgere a sacrificio, lungi cioèdall’essere prevista dal diritto o dalla religione come conseguenza di uncomportamento tenuto, rappresentava nulla più che «l’attuazione di una merauccidibilità» inerente alla pura condizione di ebreo ovvero al solo essere tale,dipendente dal fatto che di questi il diritto si occupava solo per decretare che il dirittostesso non gli era applicabile[86]. Proprio come avveniva per l’homo sacer, a detta delfilosofo, posto che le norme giuridico-religiose della civitas arcaica che locontemplavano si limitavano a rendere inoperanti nei suoi confronti le regole d’identicanatura valevoli per gli altri consociati in tema di morte procurata da un terzodolosamente e di responsabilità personale per colpe sanzionate con il deo necari, percui risultava impunemente uccidibile da tutti e insuscettibile di un’esecuzione a titolo disacrificio[87]. Priva di un qualsivoglia valore o significato, la sua vita era dunque quellavita sacra che si vorrebbe oggi contrapporre al potere sovrano come oggetto di undiritto umano in ogni senso fondamentale: dimenticando così che essa, la vita sacra,esprimendo in origine proprio la soggezione della vita a un potere di morte[88], è alcentro di un dogma ipocrita consolidatosi all’interno della nostra cultura, che dicontinuo assiste al riemergere della figura dell’homo sacer, incorporata in tipologie diindividui che solo l’occhio capace di scrutare in profondità è in grado di ricondurre alparadigma offerto dall’ordinamento romano[89].

Ma anche a leggere un brano di Roberto Calasso relativo all’attacco alle torrigemelle, contenuto in un libro incentrato sul sapere degli uomini vedici calati nell’Indiadel nord più di tremila anni fa[90], la risposta all’interrogativo di esordio trova rispostaaffermativa. Vi si sostiene, infatti, che di fronte al tragico evento, anziché affaticarsinella ricerca di qualche parola con cui qualificare i colpevoli, «meglio sarebbe statoaprire Livio e constatare che gli assassini-suicidi islamici molto avevano a che fare conuna oscura istituzione sacrificale dell’antica Roma: la devotio». Essi, precisano le righesuccessive, ne «riprendono, con variazioni, il rito», testimoniato da Livio attraverso lavicenda di Decio Mure, «il console che nel 340, combattendo contro i Latini sotto ilVesuvio, dopo essersi votato agli dei inferi si gettò a cavallo fra le schiere nemiche e,trafitto più volte, cadde inter maximam hostium stragem», secondo il resocontoconservato in 8.10.10. Ora, poiché mediante la devotio il comandante militareimpegnato in una battaglia rendeva se stesso o un altro suo soldato, unitamenteall’esercito avversario, sacer, è chiaro che lo status che da essa derivava in capo aidestinatari dei suoi effetti era quello dell’homo sacer, fatta salva la peculiare disciplinavalevole per il devotus romano che sopravvivesse allo scontro, concepita perconsentirgli di tornare fra gli appartenenti alla civitas, reintegrato nella condizionegiuridica a lui propria prima del compimento del rito, sottraendosi così alla sfera didominio degli dei nella quale era venuto transitoriamente a trovarsi[91]. Trainato dainuovi devoti comparsi in un’importante città americana sul nascere del terzo millennio,

Pagina 23 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

quindi, l’homo sacer, inteso come portatore di un particolare statuto giuridico-religioso,si sarebbe da poco riaffacciato sulla terra.

Sulle tesi dei due autori – così come sulle idee di Robert Jacob in ordine allazona di anomia in cui l’ordinamento avrebbe dislocato l’homo sacer, assoggettandolo aun regime assimilabile a quello stabilito per la victima fugiens[92] –, ho peraltro giàavuto modo di esprimermi criticamente[93]: sicché non mi attarderò a illustrare ancorale molteplici ragioni per le quali mi appaiono inaccettabili[94].

Non per questo escludo però che l’homo sacer della risalente legislazioneromana, pur sepolto dalle macerie del tempo, abbia mandato ai posteri e continui ainviare a noi segnali di una sotterranea vitalità. Sebbene su questo punto abbia giàmanifestato le mie convinzioni, ritengo nondimeno utile riproporle qui.

Va allora preliminarmente ricordato che sacro, in antico, non era un uomonormativamente inviolabile, ma un uomo che l’ordinamento considerava violabileesclusivamente dal dio cui apparteneva – e proprio perché gli apparteneva –, il qualepoteva peraltro giovarsi dell’ausilio materiale di un uomo libero, che viceversaapparteneva al gruppo sociale, se avesse assunto la decisione di troncarne la vita.

Non è quindi un caso se nei secoli e anzi nei millenni che ci separano daltramonto della figura dell’homo sacer questo aggettivo, sacer, nel conio originale enelle sue filiazioni nelle lingue neolatine, quando riferito dal diritto a un uomo o anchea qualcosa di diverso, non riesca a trasmettere immediatamente e con sicurezzal’immagine di chi o di ciò che è giuridicamente inviolabile, mentre continuaininterrottamente a denotarne l’intenso legame che lo astringe al mondo divino ocomunque a un ordine laico superiore ai viventi: quasi che a livello di un’inconsciamemoria collettiva rimanga l’eco della violabilità, per volontà divina coadiuvata dallamano di un qualche individuo, dell’homo sacer.

Ed è appunto per superare questa atavica insufficienza semantica dell’aggettivoin questione che nelle disposizioni legislative in cui un uomo appare qualificato comesacro si aggiunge che egli è anche inviolabile. Eloquente, al riguardo, è l’enunciatodell’art. 4 dello Statuto Albertino del 1848, a tenore del quale «la persona del re èsacra e inviolabile»; o, per proporre un secondo esempio, il disposto dell’art. 8 dei PattiLateranensi del 1929, in cui si afferma, con parole che ricalcano il testo dell’art. 1 dellaLegge delle Guarentigie del 1871, che è «sacra e inviolabile la persona del SommoPontefice». Ed è all’identico fine di neutralizzare un risalente e pur nebuloso limite disignificato del nostro aggettivo che in alcune previsioni normative concernenti laproprietà questa è definita quale diritto non solo sacro, ma anche inviolabile: comeappunto nella più celebre tra esse, contenuta nell’art. 17 della Dichiarazione dei dirittidell’uomo e del cittadino del 1789.

Che al fondo dell’eredità culturale che si trasmette di generazione in generazionegiaccia un almeno vago e inconsapevole ricordo del modello dell’homo sacer risalenteall’arcaico sistema giuridico-religioso romano trova una conferma nella reazione checiascuno di noi prova di fronte a una figura ancora presente nella realtà e inoltre nellaletteratura e nella cinematografia: quella del giustiziere.

Al suo riguardo, Giovanni Cosi ha osservato: «il giustiziere è coraggioso, rapido,efficiente; è insieme giudice ed esecutore; interviene là dove la giustizia ordinaria(formalista) si è dimostrata pavida, lenta, incapace di punire – come l’ethosrichiederebbe – l’‘evidente’ colpevole. Di fronte alle sue gesta ci sentiamo intimamentedivisi. La ‘neocorteccia’ razionale-procedurale non può non condannarlo; come delresto spesso (ma non sempre, e tuttavia penosamente) avviene nella realtà o nellafinzione narrativa: con la sua azione, questa è la ‘massima’, egli si è reso ‘uguale’ alla

Pagina 24 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

sua vittima. L’archetipo sostanzialista invece approva, suscitando nell’immediato un piùo meno inconfessabile brivido di piacere»[95].

Per parte mia, escluderei invece che il giustiziere sia l’alfiere di una concezionesostanzialista della giustizia, che si contrappone a una visione formalista della stessa,che dà spazio – per riprendere le parole dello stesso Cosi – soltanto a «complessemetodiche procedurali-formali» volte al conseguimento della «cosiddetta ‘veritàprocessuale’, pallido riflesso – ma l’unico umanamente accessibile – dell’idea digiustizia»[96]. Sono infatti convinto che il giustiziere appaia ai nostri occhi non comeun uomo che si fa «giudice ed esecutore», ma, conformemente a una secondaaccezione del vocabolo, come un aggressore che agisce nel nome di un principio digiustizia, pur se in spregio alle norme del diritto.

Se così è, non è allora azzardato pensare che egli susciti in noi un sentimento disolidarietà in quanto, quasi replicando il gesto dell’uccisore dell’homo sacer, mette amorte chi, col proprio comportamento, ha infranto regole considerate basilari per lavita della comunità, così estraniandosi dalla stessa e consegnandosi a una sfera alta,quella della giustizia, che ne reclama l’eliminazione fisica da parte di uno qualsiasi deiconsociati. Poiché sappiamo però che a questa pur nobile chiamata il giustiziere,secondo le prescrizioni dell’ordinamento, avrebbe dovuto resistere, al suo cospettosviluppiamo altresì un parallelo sentimento di biasimo, dal quale erano immuni coloroche, già nella civitas degli albori, avevano di fronte il giustiziere dell’homo sacer, inragione della piena rispondenza al diritto del suo operare.

Portatore di un duplice valore, positivo e negativo, il giustiziere del nostro tempomostra così un’ambivalenza che evoca quella che caratterizzava l’homo sacer. Anchecostui esprimeva infatti un duplice valore di segno contrario: che era negativo, sel’homo sacer veniva guardato come autore di un fatto oltraggioso per una divinità[97],grave al punto da intaccare la pax deorum e tale quindi da giustificare la convinzioneche si era di fronte a un uomo malus atque improbus, cioè a un uomo che nellinguaggio atecnico si finirà proprio per indicare con il termine sacer, per quanto èdesumibile da Fest. voce ‘Sacer mons’ (Lindsay 424), là dove, conclusivamente, si diceche quivis homo malus atque improbus sacer appellari solet; ed era invece positivo sel’homo sacer veniva considerato come soggetto che, isolandosi dalla comunità ecadendo nel dominio della divinità offesa in esito alla colpa di cui si era macchiato,assicurava il rinsaldarsi della pax deorum, ossia il conseguimento di un risultato difondamentale importanza per il gruppo sociale, secondo quanto attesta ancheCicerone, là dove afferma che Roma non sarebbe mai potuta diventare quella che erastata ed era al suo tempo sine summa placatione deorum inmortalium[98].

Nuove indagini potrebbero peraltro svelare o rendere più visibili i fili cheannodano modi di pensare o di comportarsi ancora attuali ad alcune particolaritàprocedurali della devotio, che, come visto, dava luogo a una forma di sacertàdell’uomo. Ho in mente, al proposito, quanto scrive Grazia Maria Masselli riguardo alladiversa postura che assumevano le mani dell’officiante[99], segno di unacontrapposizione tra la destra e la sinistra che giunge a lambirci in termini di dialetticatra una parte del corpo buona e una cattiva, e rispetto al capo velato del devovensintento a recitare la preghiera prevista dal rito[100], cui è collegabile, in base a tramitiche andrebbero investigati anche sotto l’aspetto giuridico-antropologico, la testacoperta costantemente imposta da norme della religione cristiana in certe occasioni oquella della sposa, voluta da una tradizione di portata generale che non accenna aperdersi.

Ulteriori ricerche potrebbero inoltre mettere meglio a fuoco il concetto di

Pagina 25 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

appartenenza alla comunità cittadina e al dio offeso che regge la distinzione tra homoliber e homo sacer, per poi protendersi a chiarire perché ancor oggi taloraidentifichiamo la libertà, come attesta perfino una canzone famosa di Giorgio Gaber,con la partecipazione, intesa nel senso di partecipazione alla vita politica dellacollettività di cui si è membri, comportante l’esercizio dei diritti strumentali alla suacompiuta realizzazione. Questa coincidenza di significato a noi familiare non può infattinon destare curiosità, tenuto altresì conto che già all’interno dell’ordinamento romanosi era assistito a un riorientamento semantico della locuzione homo liber e a unosvuotamento di significato del sintagma homo sacer. E invero, con il riconoscimentogiuridico della pratica della schiavitù l’homo liber sarebbe diventato l’homo che non èservus e non appartiene dunque a un altro homo; e con il posteriore eclissarsi dellafigura dell’homo sacer questa locuzione avrebbe finito per designare un fossile didifficile decifrazione, come testimonia Macrobio, mentre l’aggettivo sacer avrebbepreso a indicare univocamente ciò che è affidato e dunque appartiene agli dei e nonpuò essere vulnerato dall’uomo, nemmeno in esecuzione di una presunta volontàultraterrestre, di contro a ciò che è profano[101]. Anche se quel fossile, e lo si è potutoconstatare, continuerà a sprigionare una forza sotterranea, che impedirà per sempre diassociare immediatamente e necessariamente a quanto giuridicamente definito comesacro il carattere dell’inviolabilità e suggerirà ai legislatori di esplicitarlo attraverso ilcorrispondente aggettivo.

Proprio queste considerazioni, d’altro canto, mostrano che un altro punto rimaneda approfondire nell’ambito di uno studio circoscritto al passato: quello relativo altempo in cui si è dissolta la figura dell’homo sacer e ai fattori che hanno determinato ilsuo disintegrarsi. Se alla letteratura di cui disponiamo possiamo proficuamenterivolgerci per conoscere i vari provvedimenti normativi che nel corso dei secoli avevanosanzionato con la caduta in sacertà il compimento delle diverse azioni che vi eranoindividuate, ciò che in essa stentiamo a trovare sono le informazioni utili per ricostruirequando e perché quei provvedimenti hanno perso efficacia, consegnando all’archiviodella storia l’homo sacer. È allora importante sviscerare il problema, aprendosi anchealla prospettiva dischiusa da Zolla in ordine al peso del magistero di Gesù relativo alsubstrato o, se si preferisce, al nucleo fondante del diritto, visto in una debolezzainteriore della persona compensata dalla sudditanza a forze spirituali imperiose, e allanecessità di emanciparsi dalla rete di prerogative assicurate dal tessuto giuridico dellasocietà, senza tuttavia rinnegarlo. Interrogarsi sui rapporti tra il sacro romano e ilsacro cristiano potrebbe in effetti rivelarsi fruttuoso, così come domandarsi se ilMessia, esortando a soffocare l’impulso omicida verso l’homo sacer e a perdonare chiera diventato tale, abbia concorso all’obsolescenza delle sue matrici legislative e allaconseguente irriconoscibilità, nel concreto dell’esperienza, di una persona uccidibileimpunemente.

19. – Torno, conclusivamente, sull’insegnamento di Gesù evocato da Zolla e dalui rilanciato con convinzione, specie là dove afferma che si può imparare a vivereaffrancati dalle categorie del diritto e del torto, senza per questo disconoscere l’orditogiuridico della società. Anziché avanzare qualche mia idea al riguardo, preferiscoricordare un racconto brevissimo di Franz Kafka del 1917, intitolato Il nuovoavvocato[102], nell’interpretazione che ne offre Walter Benjamin nel suo saggio sulcelebre scrittore[103].

Protagonista è Bucefalo, un tempo cavallo di Alessandro il Macedone e oraavvocato accettato con una certa benevolenza dal foro, il quale è sempre immerso nei

Pagina 26 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

codici: «libero, senza più sentire sui fianchi i lombi del cavaliere, sotto una quietalampada, lontano dal clamore della battaglia di Alessandro, egli legge e volta le paginedei nostri antichi libri».

Ebbene, osserva Benjamin, «come giurista Bucefalo rimane fedele alle sueorigini» e dunque, potremmo aggiungere, è continuamente alle prese con codici evecchi testi di diritto. Sembra però, annota ancora Benjamin, «che egli non eserciti laprofessione», avendo compreso, come Kafka lo aveva, che «il diritto che non è piùesercitato ed è solo studiato è la porta della giustizia».

Anche da Bucefalo, che da avvocato obbediente alla tradizione si dedicava allaconoscenza del diritto fino alle sue pieghe più nascoste, ma da avvocato capace di unanuova esperienza si asteneva dal reclamarne la concreta operatività, saremmo dunqueinvitati a deporre l’arma dell’applicazione della norma giuridica, per accedere allagiustizia o comunque a una giustizia più giusta di quella che essa ci assicura.

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di

peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind] [1] Apparso a Milano nel 1992, è stato nuovamente edito a Venezia nel 2012, arricchito

dell’Introduzione di G. MARCHIANÒ. [2] Nella ristampa del volume, alla quale farò rinvio anche nel seguito, è alle pp. 95 ss., sotto il

titolo Il diritto e il sacro. [3] Mi riferisco a ‘Homo liber’ e ‘homo sacer’: due archetipi dell’appartenenza, leggibile negli Studi

in onore di A. Metro, a cura di C. Russo Ruggeri, III, Milano, 2010, 17 ss. (nato da una conferenza che hotenuto il 27 marzo 2009 a Parigi, all’Institut de droit romain dell’Université Panthéon-Assas, il contributo,nella versione francese, si trova nella Revue historique de droit français et étranger, LXXXVII, 2009, 317ss.).

[4] La numero 50 di p. 27. [5] Cfr. G. MARCHIANÒ, Introduzione, cit., 12. [6] Cfr. G. MARCHIANÒ, Elémire Zolla. Il conoscitore di segreti. Una biografia intellettuale, Venezia,

2012, 29. [7] Cfr. G. MARCHIANÒ, Elémire Zolla, cit., 47 s. [8] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 95. [9] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 95 s. [10] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 96 s. [11] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 97 s. [12] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 98. [13] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 99 ss. [14] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 101. [15] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 101 ss.

Pagina 27 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

[16] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 104 ss. [17] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 106 s. [18] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 108 ss. [19] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 110 s. [20] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 111 s. [21] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 112. [22] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 112 s. [23] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 113. [24] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 114 s. [25] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 115. [26] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 115 s. [27] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, cit., 116. [28] Cfr. E. Zolla, Uscite dal mondo, cit., 116 s. [29] Cfr. E. Zolla, Uscite dal mondo, cit., 117. [30] Cfr. E. Zolla, Uscite dal mondo, cit., 118. [31] Cfr. E. STOLFI, Il diritto, la genealogia, la storia. Itinerari, Bologna, 2010, 93 ss. [32] Cfr. I. LOREY, Figuren des Immunen. Elemente einer politischen Theorie, Zürich, 2011, 7 ss. [33] Ecco il ragguaglio dei lavori più significativi che ho dedicato al tema, ulteriori rispetto a quello

già menzionato nel testo e alla nt. 3: Il processo edilizio. Contributo allo studio dei ‘iudicia populi’, Padova,1989, 24 ss. e 45 ss.; Studi sulla sacertà, Padova, 2005; Sul dogma della sacertà della vita, in Tradizioneromanistica e Costituzione, diretto da L. Labruna e a cura di M. P. Baccari e C. Cascione, I, Napoli, 2006,555 ss.; Piccoli scritti di diritto penale romano, Padova, 2008, 5 ss.; Biopolitica e diritto romano, Napoli,2009, 1 ss. e 143 ss.; Rubens e la ‘devotio’ di Decio Mure, Napoli, 2011, 5 ss.; Opinioni recenti in tema disacertà, in Sacertà e repressione criminale in Roma arcaica, a cura di L. Garofalo, Napoli, 2013, 1 ss.

[34] Cfr. R. LAURENDI, ‘Leges regiae’ e ‘ius papirianum’. Tradizione e storicità di un ‘corpus’

normativo, Roma, 2013, 9 ss. [35] Ancora proficua, sulla pax deorum, è la consultazione di P. VOCI, Diritto sacro romano in età

arcaica, in ID., Studi di diritto romano, I, Padova, 1985 (ma la prima pubblicazione del saggio rimonta al1953), 224 ss.

[36] Cfr. L. TER BEEK, Divine Law and the Penalty of ‘Sacer Esto’ in Early Rome, in Law and Religion

in the Roman Republic, a cura di O. Tellegen-Couperus, Leiden - Boston, 2012, 28. [37] La definizione è riportata da Macr. Sat. 3.3.2 (e si correla a quella, proveniente dallo stesso

Trebazio, di profanum, riferita in Macr. Sat. 3.3.4: eo accedit quod Trebatius profanum id proprie dici ait‘quod ex religioso vel sacro in hominum usum proprietatemque conversum est’). Essa va certamente lettanel senso che è sacro «tutto ciò che, a qualunque titolo, possa essere ritenuto appartenente agli dei»: cfr.C. SANTI, Alle radici del sacro. Lessico e formule di Roma antica, Roma, 2004, 87 s.

[38] Cfr. C. PELLOSO, Sacertà e garanzie processuali in età regia e proto-repubblicana, in Sacertà e

repressione criminale in Roma arcaica, a cura di L. Garofalo, Napoli, 2013, 66 ss. [39] Cfr. Macr. Sat. 3.7.3. V. anche Serv. Verg. Aen. 10.419: quidquid destinatum fuerit diis, id

Pagina 28 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

sacrum appellari. [40] Cfr. anche Cic. leg. 2.10.25: quod autem non iudex, sed deus ipse vindex constituitur,

praesentis poenae metu religio confirmari videtur. [41] Cfr. F. ZUCCOTTI, Dall’arcaica sacertà consuetudinaria alla sacertà politica protorepubblicana,

in Scritti in onore di G. Melillo, a cura di A. Palma, III, Napoli, 2010, 1562. [42] La portata della clausola paricidas esto, che nella lex Numae in questione seguiva l’ipotesi

delittuosa richiamata nel testo, è ancor oggi molto controversa. Secondo M. FALCON, ‘Paricidas esto’. Alleorigini della persecuzione dell’omicidio, in Sacertà e repressione criminale in Roma arcaica, a cura di L.Garofalo, cit., 224 ss., che riferisce le principali tesi elaborate sul punto, essa, a tenore magico-performativo, avrebbe indicato «lo status nel quale sarebbe ricaduto – come conseguenza dell’illecito –l’omicida dolo sciens, che si sarebbe trovato in balia dei soggetti offesi dall’illecito: con ogni probabilità … iparenti della vittima» (233 s.), sui quali gravava comunque «un vero e proprio obbligo» di porre a morte ilreo (255). Quale che sia il suo significato sul piano tecnico, sembra comunque assodato che la previsionecomportasse per il reo la perdita della vita.

[43] Cfr. C. BARRIO DE LA FUENTE, ‘Sacer esto’ y la pena de muerte en la Ley de las XII Tablas, in

Estudios humanísticos. Filología, XV, 1993, 55; M. FALCON, ‘Paricidas esto’, cit., 212 ss.; R. LAURENDI,‘Leges regiae’, cit., 141 ss.

[44] Cfr. L. GAGLIARDI, L’uomo sacro, in L’antichità. Roma, a cura di U. Eco, Milano, 2012, 295 s. [45] Ancora nel codice decemvirale, secondo Serv. in Verg. Aen. 6.609, si sarebbe letto un

versetto del seguente tenore: patronus si clienti fraudem fecerit, sacer esto (a favore dell’attendibilitàdella notizia depone Gell. noctes 20.1.40).

[46] Cfr. Paul.-Fest. voce ‘Termino’ (Lindsay 505): Termino sacra faciebant, quod in eius tutela

fines agrorum esse putabant. Denique Numa Pompilius statuit, eum, qui terminum exarasset, et ipsum etboves sacros esse.

[47] Cfr. J. SCHEID, Quando fare è credere. I riti sacrificali dei Romani, trad. it., Roma - Bari, 2011,

38 ss. (la citazione letterale è tratta da p. 41). [48] Cfr. G. DE SANCTIS, La religione a Roma, Roma, 2012, 80. [49] Cfr. Macr. Sat. 3.7.5-7: hoc loco non alienum videtur de condicione eorum hominum referre

quos leges sacros esse certis dis iubent, quia non ignoro quibusdam mirum videri quod, cum cetera sacraviolari nefas sit, hominem sacrum ius fuerit occidi. Cuius rei causa haec est. Veteres nullum animalsacrum in finibus suis esse patiebantur, sed abigebant ad fines deorum quibus sacrum esset; animas verosacratorum hominum, quos ‘zanas’ Graeci vocant, dis debitas aestimabant. Quem ad modum igitur, quodsacrum ad deos ipsos mitti non poterat, a se tamen dimittere non dubitabant, sic animas, quas sacras incaelum mitti posse arbitrati sunt, viduatas corpore quam primum illo ire voluerunt.

[50] Cfr. B. SANTALUCIA, La giustizia penale in Roma antica, Bologna, 2013, 17, il quale introduce la

versione italiana di Sat. 3.7.5-7 con queste parole: «la sorte dell’homo sacer era in sostanza simile aquella delle vittime animali sfuggite al sacrificio», oggetto specifico di Serv. Verg. Aen. 2.104, «le qualipotevano essere uccise da chiunque, ovunque si trovavano, per evitare che fossero causa dicontaminazione».

[51] Cfr. C. PELLOSO, Sacertà e garanzie processuali, cit., 68 ss. [52] Cfr. B. SANTALUCIA, La giustizia penale, cit., 18. [53] Cfr. R. FIORI, ‘Homo sacer’. Dinamica politico-costituzionale di una sanzione giuridico-

religiosa, Napoli, 1996, 41. [54] Cfr. J. SCHEID, Quando fare è credere, cit., 140 ss.; F. PRESCENDI, Dai vivi ai morti, in

L’antichità. Roma, a cura di U. Eco, Milano, 2012, 529 ss. [55] Per le quali rimando ad A. MAIURI, ‘Sacra privata’. Rituali domestici e istituti giuridici in Roma

Pagina 29 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

antica, Roma, 2013, 123 ss. [56] Indicazioni a favore di questa congettura offrono gli autori richiamati nel mio Opinioni recenti,

cit., 11 s. [57] «Fondandosi sugli elementi raccolti dai quaestores», scrive R. FIORI, ‘Homo sacer’, cit., 493,

«probabilmente i pontifices esprimevano il loro parere attraverso responsa, che poi venivano fatti propridalla sentenza del rex, supremo sacerdote» (ovvero, aggiungo anticipando quanto sto per dire nel testo,del popolo). Quanto ai quaestores, è istruttivo Paul.-Fest. voce ‘Parrici<di> quaestores’ (Lindsay 247):parrici<di> quaestores appellabantur, qui solebant creari causa rerum capitalium quaerendarum. Namparricida non utique is, qui parentem occidisset, dicebatur, sed qualemcumque hominem indemnatum. Itafuisse indicat lex Numae Pompili regis his composita verbis: ‘si qui hominem liberum dolo sciens mortiduit, paricidas esto’. Dal testo si trae altresì che all’homo sacer, che liber non era più, nel corso del tempoera stato parificato, sul piano ermeneutico, l’homo liber damnatus.

[58] Come sottolinea B. SANTALUCIA, Diritto e processo penale nell’antica Roma2, Milano, 1998, 13

s. e nt. 27, la perduellio, ovvero «l’alto tradimento, la violazione del dovere di fedeltà verso lo Stato e lesue istituzioni», è un crimine diretto al tempo stesso contro gli dei protettori della civitas e contro lacompagine sociale, che le fonti ci mostrano colpito, a partire da Tullo Ostilio, con la suspensio delcolpevole a un albero sterile e la fustigazione del medesimo fino alla morte.

[59] Cfr. B. SANTALUCIA, Diritto e processo, cit., 21 ss. [60] Il mutamento che tale legge potrebbe aver segnato rispetto alla precedente, se si prescinde

dal versante processuale, concerneva soltanto la sanzione ai danni dell’omicida che avesse agito con dolo:ancora capitale, ma portata a esecuzione dagli organi della civitas e non invece, come per l’innanzi, dalgruppo familiare dell’ucciso, sia pure sotto il controllo dell’autorità pubblica. Sul punto cfr. B. SANTALUCIA,La giustizia penale, cit., 40.

[61] In gub. 8.5: interfici … indemnatum quemcunque hominem etiam duodecim tabularum

decreta vetuerunt. [62] In leg. 3.19.44: tum leges praeclarissimae de duodecim tabulis tralatae duae, quarum altera

… altera de capite civis rogari nisi maximo comitiatu vetat (cfr. anche 3.4.11: de capite civis nisi permaximum comitiatum … ne ferunto); Sest. 30.65: cum … XII tabulis sanctum esset ut ne … liceret, nevede capite nisi comitiis centuriatis rogari (cfr. inoltre 34.73); un accenno alla norma quae de capite civisRomani nisi comitiis centuriatis statui vetaret, e alla sua osservanza da parte del decemviro G. Giulio, èpure in rep. 2.36.61.

[63] Cfr. C. PELLOSO, Sacertà e garanzie processuali, cit., 121 ss. [64] Cfr. almeno Fest. voce ‘Sacrosanctum’ (Lindsay 422); Dion. Hal. 6.89.3; 10.35.2; Cic. Tull.

20.47. [65] Cfr. Dion. Hal. 10.39.4; 10.42.3-4, da leggersi insieme a 10.31.3-32.1, dove trova conferma

la regola per cui l’eventuale messa a morte del soggetto caduto in sacertà, per effetto automatico dell’attocompiuto in spregio a un tribuno, non era comunque subordinata a procedimento alcuno.

[66] Cfr. Liv. 3.55.6-7. Proprio la legge in parola avrebbe dato adito a un articolato dibattito

giurisprudenziale intorno alla sua portata, che ho cercato di mettere a fuoco in ‘Iuris interpretes’ einviolabilità magistratuale, in Studi sulla sacertà, cit., 55 ss., analizzando le non molte testimonianze –essenzialmente Liv. 3.55.8-12 e Fest. voce ‘Sacrosanctum’ (Lindsay 422) – che di esso recano traccia.

[67] Cfr. F. ZUCCOTTI, Dall’arcaica sacertà, cit., 1600 s. [68] Alludo a Bernardo Albanese e Pietro Cerami, menzionati nel mio ‘Iuris interpretes’, cit., 70,

nt. 77. [69] Cfr. F. ZUCCOTTI, Il giuramento nel mondo giuridico e religioso antico. Elementi per uno studio

comparatistico, Milano, 2000, 1 ss. [70] Cfr. A. CALORE, ‘Per Iovem lapidem’. Alle origini del giuramento. Sulla presenza del ‘sacro’

Pagina 30 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

nell’esperienza giuridica romana, Milano, 2000, 158 s., nt. 37. [71] Cfr. B. ALBANESE, ‘Sacer esto’, in BIDR, XCI, 1988 (ma pubblicato nel 1992), 159. [72] Sorvolerò, peraltro, sulla previsione, ascritta a Numa, di cui a Paul.-Fest. voce ‘Aliuta’

(Lindsay 5), secondo la quale ‘si quisquam aliuta faxit, ipsos Iovi sacer esto’, in quanto seguol’interpretazione che ne ha proposto R. LAURENDI, ‘Leges regiae’. «Ioui sacer esto» nelle ‘leges Numae’:nuova esegesi di Festo s.v. ‘Aliuta’, in Revisione ed integrazione dei ‘Fontes Iuris Romani Anteiustiniani’(FIRA). Studi preparatori, I, ‘Leges’, a cura di G. Purpura, Torino, 2012, in specie 33 s. A dettadell’autrice, la locuzione riportata può essere intesa «quale clausola sanzionatoria in senso tecnico, posta achiusura di una serie di precetti o di una sequenza di prescrizioni»: in particolare, «la prima parte – ‘siquisquam aliuta faxit’ – è una proposizione condizionale che ha senso se riferita a ‘tutte’ le fattispecie chenella sequenza dovevano essere previste; la seconda parte – ‘ipsos Iovi sacer esto’ – è la proposizioneprincipale espressa con l’imperativo futuro comminante la poena per l’ipotesi che il comportamento siastato diverso da una qualsiasi delle prescrizioni che precedevano».

[73] Cfr. Dion. Hal. 2.10.3. [74] Cfr. Paul.-Fest. voce ‘Termino’ (Lindsay 505); Dion. Hal. 2.74.3. [75] Cfr. Fest. voce ‘Plorare’ (Lindsay 260). [76] Cfr. CIL, I2, 367. [77] Un’altra ipotesi di sacertà di conio plebeo daterebbe al 492 a.C.: per quanto si trae da Dion.

Hal. 7.17.5, invero, un plebiscito di quell’anno, come scrive R. FIORI, ‘Homo sacer’, cit., 321, «prevedevala sacertà di chi avesse esposto parere contrario – a quello che il tribuno andava esprimendo al popolo – ointerrotto il discorso di un tribuno durante un’assemblea e non avesse dato garanti per il pagamento dellamulta conseguente alla violazione». Come ho sostenuto in Biopolitica, cit., 49 s., nt. 126, sulla scorta dialcuni brani ciceroniani lì indicati non è da escludere che la plebe, con deliberazioni soltanto proprieassunte in età predecemvirale, vietasse i privilegia e i giudizi de capite civis al cospetto di organi cittadinidiversi dall’assemblea centuriata – e dunque, in pratica, al cospetto del comizio curiato –, stabilendo lasacertà nei confronti degli inottemperanti.

[78] Cfr. Liv. 2.8.2. [79] Cfr. Plut. Publ. 12.1-2 [80] Cfr. R. FIORI, ‘Homo sacer’, cit., 476. [81] Cfr. Cic. rep. 2.31.54; Liv. 3.55.4-5. [82] Cfr. R. FIORI, ‘Homo sacer’, cit., 219 s., che si basa su Gell. noctes 20.1.53 e 20.1.7-8. [83] Cfr. E. CANTARELLA, I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Milano, 1991, 304 s. [84] Cfr. R. SCEVOLA, La responsabilità del ‘iudex privatus’, Milano, 2004, 21 ss. [85] Cfr. ‘Homo sacer’. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, 1995; Quel che resta di Auschwitz.

L’archivio e il testimone. ‘Homo sacer’, III, Torino, 1998; Stato di eccezione. ‘Homo sacer’, II.1, Torino,2003; Il regno e la gloria. Per una genealogia teologica dell’economia e del governo. ‘Homo sacer’, II.2,Vicenza, 2007 (poi Torino, 2009); Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento. ‘Homo sacer’,II.3, Roma - Bari, 2008; Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita. ‘Homo sacer’, IV.1,Vicenza, 2011; ‘Opus Dei’. Archeologia dell’ufficio. ‘Homo sacer’, II.5, Torino, 2012; L’uso dei corpi. ‘Homosacer’, IV.2, Vicenza, 2014.

[86] Cfr. G. AGAMBEN, ‘Homo sacer’, cit., 126 s. [87] Cfr. G. AGAMBEN, ‘Homo sacer’, cit., 90 ss. [88] Cfr. G. AGAMBEN, ‘Homo sacer’, cit., 93.

Pagina 31 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm

[89] Cfr. anche G. AGAMBEN, La comunità che viene, Torino, 2001, 68. [90] Alludo a L’ardore, pubblicato a Milano nel 2010. La triplice citazione letterale che segue

proviene da p. 438. [91] Cfr. L. GAROFALO, Rubens e la ‘devotio’, cit., 21 ss. [92] Cfr. R. JACOB, La question romaine du ‘sacer’. Ambivalence du sacré ou construction

symbolique de la sortie du droit, in Rev. historique, CCCVIII/3, 2006, 523 ss., e in particolare 561 ss. [93] Quanto ad Agamben, cfr. soprattutto Biopolitica, cit., 46 ss. e 143 ss.; quanto a Calasso, cfr.

Rubens e la ‘devotio’, cit., 52 s.; quanto a Jacob, cfr. ‘Homo liber’ e ‘homo sacer’, cit., 40 s. [94] Segnalo, peraltro, che ora anche C. CASCIONE, Recensione a E. STOLFI, Il diritto, cit., in Iura,

LXII, 2014, 474, evidenzia i limiti dell’indagine di Agamben e di altri fautori della biopolitica. «Ilproblema», rileva ottimamente lo studioso napoletano, «è che Agamben lavora sui concetti (e sulle parole,echi lontanissimi di una matrice heideggeriana), ma non sulla complessità dei testi antichi, che rileggesenza attenzione per la filologia e i contesti»: al punto che la sua ricerca, pur suggestiva e talvolta ancheappassionante, rimane «lontana dal fare storia». Basti pensare, prosegue Cascione, alla «visione del‘Lager’ del genocidio nazista, che sarebbe ‘il paradigma costitutivo, o quantomeno l’esito inevitabile,dell’intera parabola della modernità’ (parole di Roberto Esposito)». Dunque, «il campo di concentramento,come luogo dell’inveramento delle estreme conseguenze del rapporto tra potere sovrano e ‘nuda vita’,corrisponderebbe al meccanismo del diritto penale romano arcaico. Ma la sacertas è rispostaordinamentale che fa seguito al comportamento di un singolo, non perché è, ma perché ha commessoqualcosa. È conseguenza specifica dell’atto considerato illecito, non strumento politico».

[95] Cfr. G. COSI, Il Sacro e il Giusto. Itinerari di archetipologia giuridica, Milano, 1990, 10. [96] Cfr. G. COSI, Il Sacro e il Giusto, cit., 9. [97] Cfr. C. BARRIO DE LA FUENTE, El concepto de ‘sagrado’ en latin. El adjetivo ‘sacer’ en los diez

primeros libros de Tito Livio, in Estudios humanísticos. Filología, XIV, 1992, 64. [98] Cfr. Cic. nat. deor. 3.5. [99] Cfr. G.M. MASSELLI, La leggenda dei Decii: un percorso fra storia, religione e magia, in ID.,

Riflessi di magia. Virtù e virtuosismi della parola in Roma antica, Napoli, 2012, 26 ss. [100] Cfr. G.M. MASSELLI, La leggenda dei Decii, cit., 18 ss. [101] È peraltro da rilevare, con C. SANTI, Alle radici del sacro, cit., 96 s., che, «a Roma, ciò che è

profanum certamente non è sacrum, ma ciò che non è sacrum non necessariamente deve essereprofanum: può essere anche religiosum, sanctum» (sul punto cfr. pure G. PICCALUGA, Aspetti e problemidella religione romana, Firenze, 1974, 37 ss.). Ma ciò non toglie che la dicotomia che viene a imporsi alivello logico e linguistico sia quella tra sacrum e profanum. Una dicotomia che attraverserà i secoli perarrivare a noi, se ancora M. ELIADE, Il sacro e il profano, trad. it., Torino, 2006, 14, osserva: «la primadefinizione che si può dare del sacro è che esso si oppone al profano».

[102] Leggibile, nella traduzione italiana, in F. KAFKA, Racconti, Milano, 1970, 223 s. [103] Mi riferisco a Franz Kafka. Nel decennale della morte, in W. BENJAMIN, Opere complete, VI.

Scritti 1934-1937, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, edizione italiana messa a punto da E.Ganni con la collaborazione di H. Riediger, Torino, 2004, 128 ss.

Pagina 32 di 32

http://www.dirittoestoria.it/12/tradizione-romana/Garofalo-Diritto-sacro-Elemire-Zolla.htm