roma 15 17 maggio 2014 - geriatria – rivista novembre... · e pubblicità fotocomposizione ......

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Direttore Responsabile

Segreteria Scientifica

Editore

Ufficio amministrativoe Pubblicità

Fotocomposizione

Stampa

Progetto di copertina: Gaia Zuccaro

ANTONIO PRIMAVERA

Via Cremona, 19 - 00161 RomaTel. 06.44.290.783

C.E.S.I. - Via Cremona, 1900161 Roma - Tel. 06.44.290.783www.cesiedizioni.com E.mail: [email protected]

Via Cremona, 19 - 00161 RomaTel. 06.44.290.783 - Fax 06.44.241.598

C.E.S.I.

Litografica IRIDE - Via della Bufalotta, 224Roma • Finito di stampare per conto della C.E.S.I. nel mese di Marzo 2014 .

Paolo Chioatto (Vicenza)Antonio De Giovanni (Pavia)Vincenzo Fiore (Tivoli)Gianfranco Fonte (Torino)Andrea Galanti (Tivoli)Matteo Grezzana (Verona)

Rosa Maria Mereu (Cagliari)Salvatore Raffa (Roma)Barbara Rosso (Torino)Domenico Sabatini (S. Benedetto del T.)Rosanna Termini (Palermo)

Gianfranco Conati (Belluno)Silvio Costantini (Rimini)Carlo D’Angelo (Pescara)Francesco De Filippi (Sondrio)Alberto Ferrari (Reggio Emilia)Filippo Luca Fimognari (Cosenza)Massimo Fini (Roma)Fabrizio Franchi (PiacenzaLuigi Giuseppe Grezzana (Verona)Biagio Antonio Ierardi (Potenza)

Enzo Laguzzi (Alessandria)Antonio Nieddu (Sassari)Michele Pagano (Palermo)Lorenzo Palleschi (Roma)Massimo Palleschi (Roma)Demetrio Postacchini (Fermo)Manuela Rebellato (Torino)Bernardo Salani (Firenze)Stefano Maria Zuccaro (Roma)

COMITATO SCIENTIFICO

COMITATO DI REDAZIONE

GERIATRIARIVISTA BIMESTRALE - ANNO XXV n.6 Novembre/Dicembre 2013 – Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N. 46) Art. 1 Comma 1 - DCB Roma

ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETà ITALIANA DI GERIATRIA OSPEDALE E TERRITORIO (S.I.G.O.T.)

DIRETTORE

LUIGI DI CIOCCIO

DIRETTORE ESECUTIVO

PIERLUIGI DAL SANTO

REDATTORE CAPO

MASSIMO MARCI

Condizioni di abbonamento per il 2013: E 30,00 (Enti: E 52,00) da versare sul C/C N. 52202009 intestato a CESI - Estero E 70 •Un fascicolo singolo: E 20,00 - Estero E 40. Arretrato: E 25,00 • L'abbonamento non disdetto prima del 31 dicembre si intenderinnovato • Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 201/89 del 18/04/1989.

ISSN: 1122-5807

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SOCIETÀ ITALIANA DI GERIATRIA OSPEDALE E TERRITORIO

ROMA 15-17 MAGGIO 2014

ANNUNCIOPRIM

O

Segreteria OrganizzativaCONGRESS LINE

Via Cremona, 19 – 00161 Roma

Tel. 06.44.29.07.83 - 06.44.241.343 Fax 06.44.24.15.98

E-mail: [email protected]

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Ai lettori – Palleschi M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255

Luci ed ombre nel crepuscolo degli anniGrazzana LG. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 259

Ipertensione arteriosa dell’anzianoBaldassarre G. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263

Correlazioni dell’attività fisica con il declino cognitivo senile - Implicazioni riabilitativePalleschi G., Palleschi L., Palleschi M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 267

Idrocefalo normoteso idiopaticoAcqui M., Caroli E., Trillò G., Marci M., Raco A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 277

Il bisogno assistenziale e il Comprehensive Geriatric Assessment (CGA):le risposte umane dei malati anziani complessiMarcelli S., Mari L., Rocchi R., Bacaloni S., Fiorani C., Di Tuccio S.,Postacchini D., Giuli C., Santarelli A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283

RUBRICHE

Geriatria nel MondoZanatta A, Galanti A., Fidenti D. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291

Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 6 Novembre/Dicembre 251

SOMMARIO

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per ordini spedire a c.e.S.I. - Via cremona, 19 • 00161 roma anche via fax

Volume rilegato, Edizione 2007210 pagine circa E 20,00

Cognome ....................................…….......... Nome ……………………… Tel. ………………………………………………

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■ Anticipato a mezzo Assegno Bancario (non trasfer.) allegato intestato a CESI ■ A mezzo vers. C/C N. 52181005 intestato a CESI ■ American Express (c/c N. ………………… Validità ……………… Firma ………………………………………………)

Per ordini telefonici 06.44.290.783 - 06.44.241.343 Fax 06.44.241.598 Via Cremona, 19 - 00161 Roma

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RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. PLAUNAC 10 mg compresse rivestitecon film. PLAUNAC 20 mg compresse rivestite con film. PLAUNAC 40 mg com-presse rivestite con film. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA.Olmesartan medoxomil. Ogni compressa rivestita con film contiene olmesartanmedoxomil 10 mg. Ogni compressa rivestita con film contiene olmesartan me-doxomil 20 mg. Ogni compressa rivestita con film contiene olmesartan medo-xomil 40 mg. Eccipienti con effetti noti: Plaunac 10 mg compresse rivestite confilm: ogni compressa rivestita con film contiene lattosio monoidrato 61,6 mg;Plaunac 20 mg compresse rivestite con film: ogni compressa rivestita con filmcontiene lattosio monoidrato 123,2 mg; Plaunac 40 mg compresse rivestite confilm: ogni compressa rivestita con film contiene lattosio monoidrato 246,4 mg.Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMA-CEUTICA. Compressa rivestita con film. PLAUNAC 10 mg e 20 mg: compresserivestite con film, di colore bianco, di forma rotonda con impressa su di un lato,rispettivamente, la sigla C13 e C14. PLAUNAC 40 mg: compresse rivestite confilm, di colore bianco, di forma ovale con impressa su di un lato la sigla C15. 4.INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni terapeutiche. Trattamento dell’iper-tensione arteriosa essenziale. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. Po-sologia: Adulti. La dose iniziale raccomandata di olmesartan medoxomil è di 10mg una volta al giorno. Nei pazienti per i quali questo dosaggio non garantiscaun adeguato controllo pressorio, la dose di olmesartan medoxomil può essereaumentata a 20 mg una volta al giorno come dose ottimale. Se è richiesta un’ul-teriore riduzione dei valori pressori, la dose di olmesartan medoxomil può essereulteriormente aumentata fino a un massimo di 40 mg al giorno o può essere as-sociata terapia con idroclorotiazide. L’effetto antiipertensivo di olmesartan me-doxomil è sostanzialmente raggiunto entro 2 settimane dall’inizio della terapia eraggiunge il livello massimo entro circa 8 settimane dall’inizio del trattamento.Questi dati devono essere tenuti in considerazione nel pianificare un aggiusta-mento posologico per qualsiasi paziente. Persone anziane (65 anni o più). Nonsono generalmente necessari aggiustamenti posologici nelle persone anziane(vedere sotto per le raccomandazioni posologiche nei pazienti con alterata fun-zionalità renale). Se fosse necessaria la somministrazione della dose massimadi 40 mg al dì, la pressione arteriosa deve essere attentamente monitorata. Alte-rata funzionalità renale. Il dosaggio massimo nei pazienti con compromissionerenale lieve o moderata (clearance della creatinina compresa tra 20 e 60 ml/min)è di 20 mg di olmesartan medoxomil una volta al giorno, a causa della limitataesperienza clinica con dosaggi maggiori in questo gruppo di pazienti. L’uso diolmesartan medoxomil in pazienti con grave compromissione della funzionalitàrenale (clearance della creatinina inferiore a 20 ml/min) non è raccomandato, acausa della limitata esperienza clinica in questo gruppo di pazienti (vedere para-grafi 4.4 e 5.2). Alterata funzionalità epatica. Non sono necessari aggiustamentiposologici per i pazienti con compromissione epatica lieve. Nei pazienti con com-promissione epatica moderata, la dose iniziale raccomandata di olmesartan me-doxomil è di 10 mg una volta al giorno e la dose massima non deve superare i20 mg una volta al giorno. Nei pazienti con compromissione epatica che assu-mono diuretici e/o altri farmaci antiipertensivi si consiglia un attento monitoraggiodella pressione arteriosa e della funzionalità renale. Non vi è esperienza dell’usodi olmesartan medoxomil in pazienti con grave compromissione della funzionalitàepatica, pertanto l’uso in questo gruppo di pazienti non è raccomandato (vedereparagrafi 4.4 e 5.2). Olmesartan medoxomil non deve essere utilizzato in pazienticon ostruzione biliare (vedere paragrafo 4.3). Popolazione pediatrica. La sicu-rezza e l’efficacia di Plaunac nei bambini e negli adolescenti al di sotto dei 18 annidi età non sono state stabilite. Non ci sono dati disponibili. Modo di sommini-strazione: Per una migliore compliance, si raccomanda di assumere le com-presse di Plaunac ogni giorno approssimativamente alla stessa ora,indifferentemente a digiuno o a stomaco pieno, ad esempio a colazione. Le com-presse devono essere deglutite con una sufficiente quantità di liquido (per esem-pio un bicchiere d’acqua). Le compresse non devono essere masticate. 4.3Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli ec-cipienti elencati nel paragrafo 6.1. Secondo e terzo trimestre di gravidanza (vedereparagrafi 4.4 e 4.6). Ostruzione biliare (vedere paragrafo 5.2). 4.4 Avvertenzespeciali e precauzioni di impiego. Deplezione del volume intravascolare: Neipazienti con ipovolemia e/o deplezione di sodio causate da dosi elevate di diure-

tici, ridotto apporto sodico con la dieta, diarrea o vomito, può verificarsi ipoten-sione sintomatica, specialmente dopo la prima dose. Tali condizioni devono es-sere corrette prima di iniziare il trattamento con olmesartan medoxomil. Altrecondizioni legate alla stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Nei pazienti il cui tono vascolare e la cui funzionalità renale dipen-dono principalmente dall’attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (adesempio, pazienti con grave insufficienza cardiaca congestizia o affetti da malattierenali, inclusa la stenosi dell’arteria renale), il trattamento con altri farmaci cheintervengono su questo sistema è stato associato a ipotensione acuta, iperazo-temia, oliguria o, in rari casi, insufficienza renale acuta. La possibilità di effetti si-mili non può essere esclusa con gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II.Ipertensione renovascolare: Nei pazienti con stenosi bilaterale dell’arteria renale,o stenosi dell’arteria afferente al singolo rene funzionante, trattati con farmaciche intervengono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, esiste un rischioaccentuato di grave ipotensione e insufficienza renale. Alterata funzionalità re-nale e trapianto renale: Se si somministra olmesartan medoxomil a pazienti concompromissione della funzionalità renale, si raccomanda il controllo periodicodei livelli sierici di potassio e di creatinina. L’uso di olmesartan medoxomil nonè raccomandato in pazienti con grave compromissione della funzionalità renale(clearance della creatinina inferiore a 20 ml/min) (vedere paragrafi 4.2, 5.2). Nonesiste esperienza di somministrazione di olmesartan medoxomil in pazienti sot-toposti di recente a trapianto renale o in pazienti con insufficienza renale allo sta-dio terminale (clearance della creatinina <12 ml/min). Alterata funzionalitàepatica: Non vi è esperienza in pazienti con compromissione grave della funzio-nalità epatica, e pertanto l’uso di olmesartan medoxomil non è raccomandato inquesto gruppo di pazienti (vedere paragrafo 4.2, per gli aggiustamenti posologiciin pazienti con compromissione lieve o moderata della funzionalità epatica). Iper-potassiemia: L’uso di farmaci che intervengono sul sistema renina-angioten-sina-aldosterone può determinare iperpotassiemia. Il rischio, che può esserefatale, è aumentato nelle persone anziane, nei pazienti con insufficienza renale,nei diabetici, nei pazienti che assumono in concomitanza altri farmaci in gradodi aumentare la potassemia e/o nei pazienti con eventi intercorrenti. Prima diprendere in considerazione l’uso concomitante di farmaci che intervengono sulsistema renina-angiotensina-aldosterone, si dovrebbe valutare il rapporto bene-ficio rischio e si dovrebbero considerare altre opzioni. I principali fattori di rischioda considerare per l’iperpotassiemia sono: - Diabete, compromissione della fun-zionalità renale, età (>70 anni), - Associazione con uno o più farmaci che inter-vengono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e/o integratori di potassio.Alcuni farmaci o classi terapeutiche di farmaci possono provocare iperpotassie-mia: sostituti del sale contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACEinibitori, antagonisti recettoriali dell’angiotensina II, antiinfiammatori non steroidei(inclusi gli inibitori selettivi della COX-2), eparina, immunosoppressori come ci-closporina o tacrolimus, trimetoprim, - Eventi intercorrenti, in particolare disi-dratazione, scompenso cardiaco acuto, acidosi metabolica, peggioramento dellafunzionalità renale, improvviso peggioramento delle condizioni renali (per esem-pio infezioni), lisi cellulare (per esempio ischemia acuta degli arti, rabdomiolisi,trauma esteso). Nei pazienti a rischio deve essere effettuato un attento monito-raggio dei livelli sierici di potassio (vedere paragrafo 4.5). Litio: Come con altriantagonisti dell’angiotensina II, non è raccomandata l’associazione di litio ed ol-mesartan medoxomil (vedere paragrafo 4.5). Stenosi della valvola aortica omitrale; miocardiopatia ipertrofica ostruttiva: Come con gli altri vasodilatatori,si raccomanda particolare cautela nei pazienti affetti da stenosi della valvola aor-tica o mitrale o da miocardiopatia ipertrofica ostruttiva. Aldosteronismo primario:I pazienti con aldosteronismo primario non rispondono generalmente ai farmaciantiipertensivi che agiscono mediante l’inibizione del sistema renina-angiotensina.Pertanto, l’uso di olmesartan medoxomil non è raccomandato nel trattamento diquesti pazienti. Differenze etniche: Come con tutti gli altri antagonisti dell’an-giotensina II, l’effetto antiipertensivo di olmesartan medoxomil può essere infe-riore nei pazienti di colore, probabilmente a causa della maggiore prevalenza dibassi livelli di renina nella popolazione ipertesa di colore. Gravidanza: La terapiacon antagonisti del recettore dell’angiotensina II non deve essere iniziata durantela gravidanza. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ri-correre a trattamenti antipertensivi alternativi, con comprovato profilo di sicurezzaper l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il prosegui-mento della terapia con un antagonista del recettore dell’angiotensina II. Quandoviene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con antagonisti del recettoredell’angiotensina II deve essere interrotto immediatamente e, se appropriato,deve essere iniziata una terapia alternativa (vedere paragrafi 4.3 e 4.6). Altro:Come con ogni agente antiipertensivo, un’eccessiva diminuzione dei valori pres-sori in pazienti con cardiopatia ischemica o patologia cerebrovascolare ischemicapuò causare infarto miocardico o ictus. Questo farmaco contiene lattosio. I pa-zienti con rari problemi su base ereditaria di intolleranza al galattosio, deficit diLapp-lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio non devono assumerequesto farmaco. 4.5 Interazioni con altri farmaci ed altre forme di interazione.Sono stati effettuati studi di interazione solo negli adulti. Effetti di altri medicinalisu olmesartan medoxomil. Integratori di potassio e diuretici risparmiatori di

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potassio: L’esperienza clinica indica che l’uso di altri farmaci che agiscono sulsistema renina-angiotensina in associazione con diuretici risparmiatori di potas-sio, integratori di potassio, sostituti del sale contenenti potassio o altri farmaciin grado di determinare un aumento dei livelli del potassio sierico (ad esempiol’eparina) può causare un aumento del potassio sierico (vedere paragrafo 4.4).Tale uso concomitante non è pertanto raccomandato. Altri farmaci antiipertensivi:L’effetto ipotensivo causato da olmesartan medoxomil può essere potenziatodall’uso concomitante di altri farmaci antiipertensivi. Farmaci antiinfiammatorinon steroidei (FANS). I FANS (compresi l’acido acetilsalicilico a dosi > 3 g/die edi COX-2 inibitori) e gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II possono agirein modo sinergico riducendo la filtrazione glomerulare. Il rischio dell’uso conco-mitante di FANS ed antagonisti dell’angiotensina II consiste nell’insorgenza di in-sufficienza renale acuta. Si raccomanda di monitorare la funzionalità renaleall’inizio del trattamento e di idratare regolarmente il paziente. Inoltre, il tratta-mento concomitante può ridurre l’effetto antiipertensivo degli antagonisti del re-cettore dell’angiotensina II, portando ad una loro parziale perdita di efficacia. Altrifarmaci. Dopo trattamento con antiacidi (magnesio alluminio idrossido), è stataosservata una modesta riduzione della biodisponibilità di olmesartan. La som-ministrazione concomitante di warfarina e digossina non ha effetto sulla farma-cocinetica di olmesartan. Effetti di olmesartan medoxomil su altri medicinali.Litio: Aumenti reversibili delle concentrazioni sieriche di litio e della sua tossicitàsono stati riportati durante la somministrazione di litio in associazione con inibi-tori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e antagonisti dell’angiotensinaII. Pertanto l’uso di olmesartan medoxomil e di litio in associazione non è racco-mandato (vedere paragrafo 4.4). Se l’uso di tale associazione fosse ritenuto ne-cessario, si raccomanda un attento controllo dei livelli sierici di litio. Altri farmaci:Nel corso di studi clinici specifici condotti in volontari sani sono stati studiatiwarfarina, digossina, un antiacido (magnesio alluminio idrossido), idroclorotia-zide e pravastatina. Non sono state osservate interazioni cliniche rilevanti e, inparticolare, olmesartan medoxomil non ha presentato effetti significativi sulla far-macocinetica o la farmacodinamica della warfarina o sulla farmacocinetica delladigossina. Olmesartan non possiede effetti inibitori clinicamente rilevanti suglienzimi 1A1/2, 2A6, 2C8/9, 2C19, 2D6, 2E1 e 3A4 del citocromo P450 umano invitro, mentre gli effetti di induzione sul citocromo P450 del ratto sono minimi oassenti. Pertanto, non sono stati condotti studi di interazioni in vivo con gli ini-bitori e gli induttori enzimatici noti del citocromo P450, e non sono da attendersiinterazioni clinicamente rilevanti tra olmesartan e farmaci metabolizzati dai suc-citati enzimi del citocromo P450. 4.6 Fertilità, gravidanza e allattamento. Gra-vidanza. L’uso degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II non èraccomandato durante il primo trimestre di gravidanza (vedere paragrafo 4.4).L’uso degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II è controindicato duranteil secondo e il terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). L’evidenzaepidemiologica sul rischio di teratogenicità a seguito dell’esposizione ad ACE-inibitori durante il primo trimestre di gravidanza non ha dato risultati conclusivi;tuttavia, non può essere escluso un piccolo aumento del rischio. Sebbene nonsiano disponibili dati epidemiologici controllati sul rischio con antagonisti delrecettore dell’angiotensina II, un simile rischio può esistere anche per questaclasse di medicinali. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza sideve ricorrere a trattamenti antipertensivi alternativi, con comprovato profilo disicurezza per l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale ilproseguimento della terapia con antagonisti del recettore dell’angiotensina II.Quando venga diagnosticata una gravidanza, il trattamento con antagonisti delrecettore dell’angiotensina II deve essere immediatamente interrotto e, se appro-priato, si deve iniziare una terapia alternativa. È noto che nella donna l’esposizionea antagonisti del recettore dell’angiotensina II durante il secondo ed il terzo tri-mestre induce tossicità fetale (ridotta funzionalità renale, oligoidramnios, ritardonell’ossificazione del cranio) e tossicità neonatale (insufficienza renale, ipoten-sione, iperkaliemia). (vedere anche paragrafo 5.3 “Dati preclinici di sicurezza”).Se dovesse verificarsi un’ esposizione ad un antagonista del recettore dell’angio-tensina II dal secondo trimestre di gravidanza, si raccomanda un controllo eco-grafico della funzionalità renale e del cranio. I neonati le cui madri abbianoassunto antagonisti del recettore dell’angiotensina II devono essere attentamenteseguiti per quanto riguarda l’ipotensione (vedere anche paragrafi 4.3 e 4.4). Al-lattamento: Olmesartan è escreto nel latte materno dei ratti, ma non è noto se lostesso avvenga nel latte umano. Poiché non sono disponibili dati riguardanti l’usodi Plaunac durante l’allattamento, Plaunac non è raccomandato e sono da prefe-rire trattamenti alternativi con comprovato profilo di sicurezza per l’uso durantel’allattamento, specialmente in caso di allattamento a neonati o prematuri. 4.7Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Plaunac alteralievemente o moderatamente la capacità di guidare veicoli e l’uso di macchinari.Capogiri o sintomi di affaticamento, che possono compromettere la capacità direazione, possono manifestarsi occasionalmente in pazienti che seguono una te-rapia antiipertensiva. 4.8 Effetti indesiderati. Riassunto del profilo di sicurezza:Le reazioni avverse più comunemente segnalate durante il trattamento con Plau-nac sono la cefalea (7,7%), i sintomi simil-influenzali (4,0%) e i capogiri (3,7%).Negli studi sulla monoterapia controllati con placebo, la sola reazione avversa

inequivocabilmente correlata al trattamento era i capogiri (2,5% incidenza conolmesartan medoxomil e 0,9% con placebo). L’incidenza era anche in qualchemodo maggiore con olmesartan medoxomil in confronto al placebo per quantoriguarda l’ipertrigliceridemia (2,0% versus 1,1%) e per l’aumento della creatin-fosfochinasi (1,3% versus 0,7%). Elenco tabulato delle reazioni avverse: Nellaseguente tabella sono riassunte le reazioni avverse da Plaunac osservate neglistudi clinici, negli studi di sicurezza post-registrativi e riportate spontaneamente.È stata impiegata la seguente terminologia per classificare la frequenza delle rea-zioni avverse: molto comune ( 1/10); comune ( 1/100, <1/10); non comune(( 1/1.000, <1/100); rara ( 1/10.000, <1/1.000); molto rara (<1/10.000).

Sono stati riferiti casi singoli di rabdomiolisi in associazione temporale con l’as-sunzione di bloccanti dei recettori dell’angiotensina II. Informazioni addizionali supopolazioni speciali. Nelle persone anziane, la frequenza dell’ipotensione è lieve-mente aumentata da rara a non comune. Segnalazione delle reazioni avverse so-spette. La segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopol’autorizzazione del medicinale è importante, in quanto permette un monitoraggiocontinuo del rapporto beneficio/rischio del medicinale. Agli operatori sanitari è ri-chiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta al proprio Centro di Rife-rimento Territoriale per la Farmacovigilanza o tramite Agenzia Italiana del Farmaco,sito web http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/responsabili. 4.9 Sovradosaggio.Sono disponibili solo dati limitati riguardanti il sovradosaggio nell’uomo. L’effetto

Classificazione MedDRAper Organi e Sistemi

Patologie del sistemaemolinfopoietico

Disturbi del sistemaimmunitario

Disturbi del metabolismoe della nutrizione

Patologie del sistemanervoso

Patologie dell’orecchioe del labirintoPatologie cardiache

Patologie respiratorie,toraciche e mediastiniche

Patologie gastrointestinali

Patologie della cute edel tessuto sottocutaneo

Patologie del sistemamuscoloscheletricoe del tessuto connettivo

Patologie renalied urinarie

Patologie sistemichee condizioni relativealla sede di somministrazione

Esami diagnostici

Patologie vascolari

Reazioni avverse Frequenza

Trombocitopenia Non comune

Reazione anafilattica Non comune

Ipertrigliceridemia ComuneIperuricemia Comune Iperpotassiemia Rara Capogiri Comune Cefalea Comune Vertigini Non comune

Angina pectoris Non comuneIpotensione Rara Bronchite Comune Faringite Comune Tosse Comune Rinite Comune Gastroenterite Comune Diarrea Comune Dolore addominale Comune Nausea Comune Dispepsia Comune Vomito Non comune Esantema Non comune Dermatite allergica Non comune Orticaria Non comune Rash Non comune Prurito Non comune Angioedema Rara Artrite Comune Dolore dorsale Comune Dolore scheletrico Comune Mialgia Non comuneSpasmi muscolari Rara Ematuria Comune Infezioni delle vie urinarie Comune Insufficienza renale acuta Rara Insufficienza renale Rara Dolore Comune Dolore toracico Comune Edema periferico Comune Sintomi simil-influenzali Comune Affaticamento Comune Edema del viso Non comuneAstenia Non comuneMalessere Non comuneLetargia Rara Aumento degli enzimi epatici Comune Aumento dell’urea plasmatica Comune Aumento della creatin fosfochinasi Comune Aumento della creatininemia Rara

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più probabile causato da un sovradosaggio è l’ipotensione. In caso di sovrado-saggio, il paziente dovrà essere attentamente controllato e il trattamento dovràessere sintomatico e di supporto. Non sono disponibili dati sulla dializzabilità diolmesartan. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1 Proprietà farmacodinami-che. Categoria farmacoterapeutica: Antagonisti dell’angiotensina II, codice ATC:CO9CA08. Meccanismo d’azione/Effetti farmacodinamici. Olmesartan medoxomilè un potente antagonista selettivo del recettore dell’angiotensina II (tipo AT1) ef-ficace per via orale. Il suo effetto è di bloccare tutte le attività dell’angiotensina IImediate dal recettore AT1, indipendentemente dall’origine e dalla via di sintesidell’angiotensina II. L’antagonismo selettivo del recettore dell’angiotensina II(AT1) produce un aumento dei livelli plasmatici di renina e delle concentrazionidi angiotensina I e II e una diminuzione delle concentrazioni plasmatiche di al-dosterone. L’angiotensina II è il principale ormone vasoattivo del sistema renina-angiotensina-aldosterone e riveste un ruolo significativo nella fisiopatologiadell’ipertensione mediante il recettore di tipo 1 (AT1). Efficacia e sicurezza clinica.Nei casi di ipertensione, olmesartan medoxomil determina una riduzione a lungotermine, dose-dipendente, della pressione arteriosa. Non sono riportati casi diipotensione dopo la prima somministrazione, di tachifilassi nel corso di tratta-menti prolungati o di ipertensione da rebound all’interruzione della terapia. Lasomministrazione di olmesartan medoxomil una volta al giorno assicura un’effi-cace e costante riduzione della pressione arteriosa nelle 24 ore di intervallo trauna dose e quella successiva. A parità di dosaggio complessivo, la monosom-ministrazione giornaliera ha prodotto gli stessi risultati nella diminuzione dellapressione arteriosa rispetto alla somministrazione del farmaco due volte al giorno.Con un trattamento continuato, la riduzione massima della pressione arteriosaviene raggiunta entro le 8 settimane successive all’inizio della terapia, sebbeneuna sostanziale diminuzione della pressione arteriosa venga già osservata dopo2 settimane di trattamento. Se utilizzato in associazione con idroclorotiazide, siregistra un’ulteriore diminuzione della pressione arteriosa e la co-somministra-zione è ben tollerata. Non sono al momento noti gli effetti di olmesartan sullamortalità e sulla morbilità. 5.2 5.2 Proprietà farmacocinetiche. Assorbimentoe distribuzione. Olmesartan medoxomil è un pro-farmaco rapidamente conver-tito in un metabolita farmacologicamente attivo, olmesartan, dalle esterasi nellamucosa intestinale e nella circolazione portale durante l’assorbimento dal trattogastrointestinale. Non vi è traccia di olmesartan medoxomil intatto o della catenalaterale medoxomil intatta nel plasma o negli escreti. La biodisponibilità assolutamedia di olmesartan, nella formulazione in compresse, è stata del 25,6%. Il piccomedio di concentrazione plasmatica (Cmax) di olmesartan viene raggiunto inmedia entro circa 2 ore dalla somministrazione per via orale di olmesartan me-doxomil; le concentrazioni plasmatiche di olmesartan aumentano in modo ap-prossimativamente lineare all’aumentare della dose orale singola fino a circa 80mg. La somministrazione di cibo ha effetti minimi sulla biodisponibilità di olme-sartan e, pertanto, olmesartan medoxomil può essere somministrato a digiunoo a stomaco pieno. Non sono state osservate differenze clinicamente rilevantinella farmacocinetica di olmesartan dipendenti dal sesso del paziente. Olmesartansi lega fortemente alle proteine plasmatiche (99,7%), ma la possibilità di intera-zioni clinicamente significative da spiazzamento del legame proteico tra olme-sartan ed altri farmaci ad elevato legame cosomministrati è bassa (comeconfermato dall’assenza di un’interazione clinicamente significativa tra olmesar-tan medoxomil e warfarina). Il legame di olmesartan con le cellule ematiche ètrascurabile. Il volume di distribuzione medio dopo somministrazione endove-nosa è di limitata entità (16–29 l). Biotrasformazione ed eliminazione. La clea-rance plasmatica totale è risultata pari a 1,3 l/h (CV 19%), relativamente ridottase confrontata al flusso epatico (ca. 90 l/h). Dopo assunzione di una singola doseper via orale di olmesartan medoxomil marcato con 14C, il 10-16% della radioat-tività somministrata è stata eliminata con le urine (in gran parte entro le 24 oresuccessive alla somministrazione), mentre la restante radioattività è stata elimi-nata con le feci. In base a una biodisponibilità sistemica del 25,6%, si può cal-colare che l’olmesartan assorbito venga eliminato per escrezione renale (per circail 40%) e epatobiliare (per circa il 60%). Tutta la radioattività recuperata è stataidentificata come olmesartan. Nessun altro metabolita significativo è stato iden-tificato. Il circolo enteroepatico di olmesartan è minimo. Poiché una grande quan-tità di olmesartan è eliminata per via biliare, l’uso in pazienti con ostruzione biliareè controindicato (vedere paragrafo 4.3). L’emivita di eliminazione terminale diolmesartan varia tra le 10 e le 15 ore dopo somministrazioni ripetute per via orale.Lo stato di equilibrio è stato raggiunto dopo le prime somministrazioni e nessunulteriore accumulo è stato rilevato dopo 14 giorni di somministrazione ripetuta.La clearance renale è stata di circa 0,5–0,7 l/h ed è risultata indipendente dalladose. Farmacocinetica in gruppi speciali di pazienti. Persone anziane (65 annidi età o più): Nei pazienti ipertesi, l’AUC allo stato di equilibrio è risultata maggioredi circa il 35% nelle persone anziane (tra i 65 e i 75 anni) e di circa il 44% nellepersone molto anziane (³ 75 anni) rispetto a pazienti più giovani Ciò potrebbe es-sere dovuto, almeno in parte, ad una riduzione media della funzionalità renale inquesto gruppo di pazienti. Alterata funzionalità renale: Nei casi di compromis-sione renale, l’AUC allo stato di equilibrio è risultata maggiore del 62%, 82% e179% rispettivamente nei pazienti con compromissione renale lieve, moderata e

grave, rispetto a soggetti con funzionalità renale normale (vedere paragrafi 4.2,4.4). Alterata funzionalità epatica: Dopo somministrazione orale singola, i valoridi AUC di olmesartan sono risultati maggiori del 6% e del 65%, rispettivamente,in pazienti con compromissione epatica lieve e moderata rispetto a soggetti confunzionalità epatica normale. La frazione libera di olmesartan a due ore dalla som-ministrazione era 0,26% nei soggetti sani, 0,34% nei pazienti con alterata fun-zionalità epatica lieve e 0,41% in quelli con alterazione moderata della funzionalitàepatica. A seguito di somministrazioni ripetute in pazienti con alterazione mode-rata della funzionalità epatica, l’AUC media di olmesartan era ancora maggiore dicirca il 65% rispetto ai controlli sani. I valori medi di Cmax di olmesartan eranosimili nei pazienti con funzionalità epatica compromessa e nei soggetti sani. Ol-mesartan medoxomil non è stato studiato nei pazienti con grave alterazione dellafunzionalità epatica (vedere paragrafi 4.2, 4.4). 5.3 Dati preclinici di sicurezza.Negli studi di tossicità cronica condotti su ratti e cani, olmesartan medoxomil hamostrato effetti analoghi ad altri ACE-inibitori e antagonisti del recettore AT1: au-mento dell’azoto ureico (BUN) e della creatinina (per alterazioni funzionali delrene causate dal blocco del recettore AT1); riduzione ponderale del cuore; ridu-zione dei parametri eritocitrari (eritrociti, emoglobina, ematocrito); indicazioniistologiche di danno renale (lesioni rigenerative dell’epitelio renale, ispessimentodella membrana basale, dilatazione dei tubuli). Tali effetti avversi causati dal-l’azione farmacologica di olmesartan medoxomil si sono verificati anche durantei trial preclinici su altri ACE-inibitori e antagonisti del recettore AT1 e possonoessere ridotti dalla simultanea somministrazione di cloruro di sodio. In entrambele specie, sono stati osservati aumento dell’attività della renina plasmatica e iper-trofia/iperplasia delle cellule iuxtaglomerulari renali. Tali variazioni, che rappre-sentano un effetto tipico della classe degli ACE-inibitori e di altri antagonisti delrecettore AT1, non sembrano avere rilevanza clinica. Come altri antagonisti delrecettore AT1, olmesartan medoxomil determina un aumento dell’incidenza dellerotture cromosomiche in colture cellulari in vitro. Non sono stati osservati effettirilevanti in numerosi studi in vivo nei quali olmesartan medoxomil è stato som-ministrato a dosaggi orali molto elevati fino a 2000 mg/kg. I dati complessivi deitest di genotossicità suggeriscono che molto difficilmente olmesartan manifestieffetti genotossici nelle condizioni di impiego clinico. Olmesartan medoxomil nonè risultato carcinogeno, né nei ratti in studi di 2 anni, né in topi studiati in duestudi di carcinogenicità di 6 mesi che utilizzavano modelli transgenici. Negli studidi riproduzione sui ratti, olmesartan medoxomil non ha compromesso la fertilitàe non vi è stata indicazione di effetti teratogeni. Analogamente ad altri antagonistidell’angiotensina II, la sopravvivenza della prole è stata ridotta in seguito all’espo-sizione a olmesartan medoxomil ed è stata osservata una dilatazione della pelvirenale in seguito all’esposizione delle femmine durante le ultime fasi della gravi-danza e durante l’allattamento. Analogamente ad altri agenti antiipertensivi, ol-mesartan medoxomil ha mostrato un potenziale tossico maggiore nei conigli chenei ratti in stato di gravidanza. Tuttavia, non sono state riscontrate indicazioni dieffetti fetotossici. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1 Elenco degli ecci-pienti. Nucleo della compressa: Cellulosa microcristallina; Lattosio monoidrato;Idrossipropilcellulosa; Idrossipropilcellulosa a bassa sostituzione; Magnesio stea-rato. Rivestimento: Titanio diossido (E 171); Talco; Ipromellosa. 6.2 Incompati-bilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 3 anni. 6.4 Precauzioniparticolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condi-zione particolare di conservazione. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Bli-ster di poliamide laminata/alluminio/polivinil cloruro/alluminio. Le confezionicontengono 14, 28, 30, 56, 84, 90, 98 o 10X28 compresse rivestite con film. Leconfezioni con blister preintagliato per dose singola contengono 10, 50 o 500compresse rivestite con film. È possibile che non tutte le confezioni siano com-mercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istru-zione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE INCOMMERCIO. MENARINI INTERNATIONAL O.L. S.A. 1, Avenue de la Gare, L-1611 – Lussemburgo. su licenza Daiichi Sankyo Europe GmbH. Concessionarioper la vendita: Laboratori Guidotti S.p.A - PISA. 8. NUMERI DI AUTORIZZAZIONEALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. PLAUNAC 10 mg compresse rivestite confilm: 28 compresse AIC n. 036025017; 56 compresse AIC n. 036025029; 98compresse AIC n. 036025031; 28x10 compresse AIC n. 036025043; 50 com-presse AIC n. 036025056. PLAUNAC 20 mg compresse rivestite con film: 28compresse AIC n. 036025068; 56 compresse AIC n. 036025070; 98 compresseAIC n. 036025082; 28x10 compresse AIC n. 036025094; 50 compresse AIC n.036025106. PLAUNAC 40 mg compresse rivestite con film: 28 compresse AICn. 036025118; 56 compresse AIC n. 036025120; 98 compresse AIC n.036025132; 28x10 compresse AIC n. 036025144; 50 compresse AIC n.036025157. 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE /RINNOVO DELL’AUTO-RIZZAZIONE. Data di prima autorizzazione: 05/11/2004. Datadell’ultimo rinnovo: 13/08/2007. 10. DATA DI REVISIONE DELTESTO. Luglio 2013.CONFEZIONI E PREZZI.Plaunac 28 cpr da 10 mg 17,64 (Classe A);Plaunac 28 cpr da 20 mg 24,70 (Classe A);Plaunac 28 cpr da 40 mg 24,70 (Classe A).

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Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 6 Novembre/Dicembre 255

Se noi visitiamo una corsia ospedaliera e già ad una semplice ispezioneabbiamo elementi (ad esempio prevalenza di pazienti a letto con le spondedi “protezione”, ecc) per esprimere pesanti riserve sulla qualità dell’assi-stenza erogata ai malati anziani, possiamo chiederci quale insegnamentoabbiano avuto gli operatori (medici ed infermieri) di quel reparto.

L’esigenza di una “evangelizzazione geriatrica”, secondo la mia espres-sione, può avere il significato non di una battuta, ma quello di avere perso-nale fortemente motivato, oltreché adeguatamente istruito, soprattutto neiriguardi dell’assistenza del malato anziano compromesso funzionalmente.

Nei riguardi di quest’ultimo aspetto, vi è bisogno di una formazionecontinua, programmata, strutturale, istituzionale.

Vorrei iniziare a discutere con Voi tutti sul ruolo del geriatra ospedalie-ro nella formazione del personale infermieristico.

Si tratta di un aspetto che può avere evidenti ripercussioni sulla gestio-ne degli Ospedali.

Infatti ciò che differenzia essenzialmente la Geriatria dalla MedicinaInterna consiste proprio in una diversa metodologia assistenziale ai malatianziani, anche se la peculiarità assistenziale non si esaurisce nella praticainfermieristica, ma si caratterizza soprattutto per una peculiare impostazio-ne clinico assistenziale.

Una valida assistenza al malato anziano fragile ha comunque bisognoper la sua realizzazione di avvalersi dell’opera preziosa di personale infer-mieristico, che abbia ricevuto una formazione anche di tipo geriatrico.

Per motivi di ulteriore chiarezza, mi sia consentito di riferirmi anzituttoad un esempio specifico, quello dell’alzata dal letto del malato, che spiegamolto bene l’utilità della educazione medica continua da parte del Geriatrasul personale infermieristico.

Gli infermieri “scarsamente educati” fanno a volte resistenze ferociall’alzata dal letto dei malati gravi, in questo confortati dal fatto che quan-do i pazienti vengono alzati non raramente presentano malesseri di variaentità, dovuti ad una procedura inadeguata.

Infatti gli infermieri spesso ignorano (ma non raramente anche iMedici!) che una delle prime conseguenze della costrizione a letto del mala-to sia il disadattamento cardiovascolare e più in particolare la perdita dellacapacità di mantenere, ad opera del sistema renina-angiotensina-aldostero-ne, la pressione arteriosa entro limiti soddisfacenti al passaggio dalla posi-zione supina a quella assisa e poi ortostatica.

Gli inconvenienti si verificano perché gli infermieri non conoscono benequesta problematica, non preparano l’alzata del malato con una postura ade-guata in posizione semiassisa sul letto e solo successivamente in poltrona.

Se ad esempio dopo dieci giorni di letto, il paziente viene messo in pol-trona, presenterà disturbi tali che all’infermiere non consapevole dei mecca-nismi della sintomatologia sembreranno come la prova sicura che il pazien-te no sopporti la posizione assisa e che pertanto deve rimanere a letto.

Un altro aspetto molto importante nella gestione dei reparti ospedalieriè la collaborazione dei familiari dei malati. È un requisito utile in tutti ireparti ospedalieri, ma diventa indispensabile nei reparti di Geriatria, carat-terizzati da una lotta incessante, competente e solidale contro la perdita diautonomia.

Chi nella sua attività quotidiana di corsia si è adoperato al massimo pernon far incorrere i malati nella più grave tragedia esistenziale, la completa

Il ruolo dellaGeriatriaospedaliera nella didattica

Massimo Palleschi

AI LETTORI

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dipendenza, sa bene quanto questo obiettivo sia reso quasi impossibile dauna scarsa presenza e collaborazione dei familiari.

Perché dico tutto questo? Per la semplice ragione che è presente unaancestrale tendenza infermieristica (ma anche medica) a non volere “gliestranei” in corsia.

Molti anni fa nei reparti di Pediatria i familiari dei piccoli pazienti nonvenivano ammessi nelle corsie ospedaliere. Oggi un Pediatra che volesseperseguire un analogo orientamento verrebbe giudicato molto male per lasua scarsa sensibilità verso i problemi dell’infanzia.

Noi Geriatri non siamo riusciti a creare un clima altrettanto favorevo-le alla presenza dei familiari, nonostante il contributo di questi nell’azio-ne di contrasto verso la perdita di autonomia che non raramente si realiz-za durante la degenza ospedaliera.

L’insegnamento della Geriatria deve svolgersi sistematicamente attra-verso le lezioni della Scuola infermieri professionali, ma deve avere unapiù preziosa applicazione pratica nella quotidiana attività di corsia.

Purtroppo ancora oggi è molto frequente osservare negli Ospedalimetodologie assistenziali da parte di operatori sanitari, che suscitanoinquietanti interrogativi sulla loro formazione.

Un ulteriore esempio può essere fornito da quanto si osserva sul siste-ma di nutrizione e idratazione del malato anziano.

Non è del tutto eccezionale riscontrare qualche disfunzione in questoambito persino nei reparti specialistici di Geriatria.

Al di là di mezzi attuali sofisticati che consentono di valutare con pre-cisione l’eventuale pericolo di ingerire alimenti e liquidi, ad un infermie-re esperto di problemi assistenziali all’anziano non può, non deve sfuggi-re, al semplice esame ispettivo, che in determinati casi di compromissio-ne funzionale deve avere molta cautela ed adottare determinati accorgi-menti.

Le fleboclisi sono comunque un mezzo prezioso per l’idratazione e l’a-limentazione dei pazienti compromessi funzionalmente, ma non devonoessere utilizzate quando questo scopo può essere raggiunto senza perico-lo con il ricorso alle vie naturali.

Delle specifiche metodologie assistenziali (postura adeguata delpaziente, accertamento che lo stesso si trovi in lucida veglia, riduzionedella velocità di assunzione del cibo e dei liquidi, interruzione della som-ministrazione di liquidi, appena compare tosse, ecc…), se ne deve far cari-co il Medico, ma soprattutto il Geriatra che ha un ruolo rilevante nel ren-dere gli infermieri più preparati, sia da un punto di vista culturale, sia daun punto di vista pratico-clinico.

L’attività didattica del Geriatra ospedaliero non deve però limitarsiall’ambito infermieristico, ma riguardare i Medici ed in particolare glispecializzandi in Geriatria.

Nei riguardi del ruolo del Geriatra ospedaliero nella didattica deglispecializzandi, è auspicabile che vengano applicate diffusamente lenorme riguardanti i rapporti di collaborazione tra Geriatria accademica estrutture ospedaliere, sia per quanto concerne la formazione teorica, siasoprattutto per quanto riguarda la pratica clinica.

Sono molto pochi gli specializzandi in Geriatria che frequentano rego-larmente i reparti ospedalieri convenzionati con l’università.

Credo che una più ampia osservanza delle norme consentirebbe diavere specialisti in Geriatria maggiormente recettivi verso le peculiaritàproprie della metodologia geriatrica.

Molti anni fa, al tempo della mia Presidenza, furono compiuti con altreSocietà scientifiche ospedaliere (in particolare con quelle di Cardiologia edi Broncopneumologia) diversi tentativi per affrontare insieme questoproblema.

Ricordo che andai a Torino con il dott. Zuccaro ed il dott. Guala, ed inPuglia con il dott. Caione, in quest’ultimo caso in occasione di un

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Congresso Nazionale della Società Italiana Ospedaliera di Broncopne -umologia. Dopo alcuni segnali di grande consenso, trovammo delle diffi-coltà che non ci dettero la forza di proseguire questi tentativi, che andava-no invece perseguiti con maggiore determinazione e costanza.

L’insegnamento della nostra disciplina ha ovviamente la sua maggio-re esplicazione verso gli studenti della facoltà di Medicina, ma in questoambito il ruolo del Geriatra ospedaliero è inesistente.

Ricordo comunque incidentalmente che l’insegnamento dellaGeriatria aveva avuto un primo grande riconoscimento, quando era statoregolarmente previsto nel Corso della facoltà di Medicina con la istituzio-ne della tabella 18 (D:P:R: n.382/1986).

Successivamente numerose modifiche della didattica universitaria edella Tabella XVIII /Decreto 509 del 3/11/1999, ecc.) hanno portato a con-seguenze non molto vantaggiose per l’insegnamento della Geriatria nellafacoltà di Medicina.

Desidero sottolineare conclusivamente che il ruolo del Geriatra ospe-daliero nella didattica agli operatori sanitari ed in quella agli specializzan-di in Geriatria, andrebbe maggiormente estesa e valorizzata.

Al di là della didattica vera e propria, la Geriatria ospedaliera potrà edovrà avere una maggiore influenza sulla formazione e sulla prassi dimolti operatori della Sanità.

Carissimi, che cosa ne pensate, volete intervenire su questo problema?Con i più cordiali saluti.

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Per una vita, abbiamo cercato di capire che cosasi debba fare per bene invecchiare. E molto abbia-mo imparato dai nostri anziani.

Invecchiare non è un puro processo fisiologico.È un processo artistico, dove ciascuno è chiamatoa far la sua parte. Solo provando e riprovando,potremmo fare, della nostra vecchiaia, una cosabuona.

Dovremmo sempre essere curiosi, avere corag-gio, inseguire le idee strane, essere esploratori,vivere coinvolti.

Un pò come l’animale che esce dalla propriatana per rischiose avventure.

Per noi l’avventura, però, è sempre dentro lamente.

Senza apparire di parte, dovremmo impararedal motociclista che vive nella scena quando viag-gia, a differenza dell’automobilista che ha sempreuna barriera col mondo che lo circonda. Il motoci-clista sente gli odori, le variazioni di temperatura,i rumori. Non è mai isolato. Passare in un tunnelartificiale o in una galleria sotto il monte, per l’au-tomobilista è uguale. Per il motociclista la diffe-renza è abissale. Il tunnel artificiale è come unacamera a gas, la galleria sotto il monte trasmettevariazioni di temperatura e di umidita che altri-menti non si coglierebbero. Il motocilista disde-gna le autostrade e cerca le stradine secondarieche gli danno emozioni e conoscenza. Passa vici-no a un prato e sente l’odore dell’erba, verde o fal-ciata che sia. Sente le stagioni. Per il motocilistanon è mai importante la meta, ma il viaggio chesempre è stupore.

Dovremmo vivere tutti i giorni con la curiositadel viaggiatore e dell’esploratore.

Si deve rompere il binomio morte-vecchiaia efugare la routine che uccide. L’idea di vecchio èpresente in molti fenomeni che ammiriamo.Vecchia automobile, vecchie case, vecchie navi. Inquesti casi, l’aggettivo vecchio non rimanda aqualcosa che è avviato verso la morte, anzi, è vistocon ammirazione. Tanto che ci si adopera in tuttimodi per invecchiare un legno o un muro.

Un anziano, mio amico, mi ricorda che quandohanno ricostruito a Verona, dopo la guerra, ilponte di Castelvecchio e il ponte Pietra, per invec-chiare pietre e mattoni che mancavano per com-pletare la ricostruzione, usavano mattoni nuovi

che venivano sabbiati perché acquistassero lapatina del tempo. Nel campo della moda, è diattualita il vintage. Per invecchiare pelli e tessutiricorrono a mille strategie. Nelle cose, il vecchio èdifeso e preservato.

Sappiamo tutti che bisogna tenersi in forma, maquesto non significa soltanto stare in allenamento,fare moto, alimentarsi correttamente, non fumare,non eccedere con l’esposizione al sole, eccetera,quanto piuttosto, cercare di creare, di essere curio-si e ciascuno a modo suo, lo può essere.

Gli anziani devono pretendere il loro spazionella societa.

Non è facile, per l’anziano, stare al passo coldivenire travolgente del progresso.

L’idea di pensionamento, contribuisce all’e-marginazione perché esclude gli anziani dallosvolgere una funzione utile nella societa. Ildisprezzo per i valori associati alla vecchiaia comela saggezza, l’abilita, la competenza, la conoscen-za delle tradizioni, dei proverbi, persino la sem-plice lentezza, diminuisce il valore della personaanziana. Una mia amica di nome Rosetta, mi citaogni mattina qualche proverbio sempre nuovo.Ne sa moltissimi. Io, ammirato, le chiedo comefaccia a conoscerne tanti. Lei mi risponde chesono il sapere dei nostri vecchi.

La parola greca sophia significa saggezza efilosofia amore per la saggezza. Per questo i vec-chi sono saggi e filosofi. Sophia, in origine, indica-va la perizia nelle arti e nei mestieri, tipica,appunto, degli anziani.

La vecchiaia ha un grande significato, in cia-scuno di noi. Non a caso, se viene a mancare, siparla di vite stroncate. Una lapide che ricordi ungiovane, spesso, è posta su un tronco, una colon-na, un ceppo, appunto, stroncati.

Gli ultimi anni sono preziosi per ripassare lapropria vita e godere, per esempio, di immaginidella natura che prima, da giovani, distratti, nonsi erano colte.

Il problema dell’invecchiamento è diventatoavulso dalla realta. Si è cercato di capirlo nei labo-ratori e si è creduto di risolverlo con le vitamine,gli integratori alimentari e gli antiossidanti.

Qualche settimana fa, in occasione della IXConferenza Mondiale “The future of Science”,organizzata a Venezia, è uscita la notizia riportatadagli organi di stampa che la pillola della giovi-nezza è in cantiere, ma sara per la prossima gene-razione. Noi non ci crediamo.

Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 6 Novembre/Dicembre 259

LUCI ED OMbRE NEL CREPUSCOLO DEGLI ANNI

Luigi G. Grezzana

Direttore Scuola medica Ospedaliera, Corso Superiore di Geriatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona

Indirizzo per la corrispondenza:Prof. Luigi Giuseppe GrezzanaE-mail: [email protected]

EDITORIALE

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La longevità va intesa come un’estensionedella vita. Facendosi prossimi all’altro, si estendela nostra vita.

Mi riferisco soprattutto all’arte di ascoltare.Ascoltando l’altro, lo si invoglia ad aprirsi. Duevite che si incontrino e che si parlino si estendonooltre il proprio confine. Il carattere viene liberato.Più si riesce a spingersi non solo verso l’altro, maanche all’indietro coi ricordi, più la vita si estende.

La longevità diventa un’osmosi con vite passa-te, con cose passate, con luoghi del passato.Penetrando nella tradizione, allunghiamo la vitaalle nostre spalle. Ma possiamo anche estenderlain avanti, nei discendenti e nei giovani che ciascoltano. “Mi estendo negli altri”.

La longevità si libera dal limite del tempo. Lavita si allunga perché non c’è capolinea.

Abbiamo bisogno di una vecchiaia lunga. Lanostra natura è troppo complessa. Il viaggio dellavita è troppo denso di avvenimenti ed emozioni.Per sbrogliare i fili e trovare i bandoli ci vuoletempo.

Non c’è solo il “bird watching”, ma anche il“people watching”.

Più diventiamo vecchi, più a lungo ci fermia-mo a guardare e più ci viene voglia di guardare.Per questo, i vecchi si siedono volentieri fuoridella porta di casa. Perché guardano. Abituati aguardare, imparano, vanno diritti all’essenziale.Osservando come la gente si muove, come siveste, come gesticola, e quant’altro, si raccolgonoinformazioni che ci raccontano dell’altro. Spesso,l’organo più importante dei vecchi è l’occhio.

Renato Guttuso, in mezzo ad un gruppo diautorita opportunamente vestite, nella hall di unhotel, vede entrare un uomo abbigliato da motoci-clista. Lo guarda e chiede ad un vicino: “Chi èquello?”. Quasi scusandosi, per quanto questonuovo arrivato fosse fuori luogo, risponde: “È untipo un pò strano, è un medico” e Guttuso, dirimando: “Vedi, quell’uomo ha una faccia da cer-vello e ne sono sicuro perché il mio organo è l’oc-chio”.

Guardare ed ascoltare piuttosto che sommini-strare test per conoscere l’altro.

Per valutare l’anima, sarebbe meglio affidarsiall’occhio allenato di un vecchio.

L’occhio del vecchio mi sembra una benedizio-ne. La mia mamma mi salutava sempre dicendomi:“Che Dio ti benedica”. Vorrei la benedizione deivecchi. Vorrei fossero tollerate e benedette le eccen-tricita del carattere, così difficili da sopportare.

Dai tempi di Cristoforo Colombo, la cultura siè identificata col Nuovo. Nel suo confronto, il vec-chio perde sempre. Questo, però, è un errore chepesa sul Nuovo Mondo. Per liberarsene è oppor-tuno recuperare tutto ciò che è vecchio: vecchieidee, vecchi significati, vecchie facce.

Vecchio è avventura.

I vecchi portano il fardello della saggezza.Sanno come va il mondo proprio perché sono vec-chi.

Grande come il mondo. Vecchio come il mondo. Vecchio e mondo hanno lo stesso valore.Il tempo non distrugge soltanto, ma anche tem-

pra. Quindi, vecchio non solo perché invecchiato,ma anche per il valore che ha la vecchiezza.

È giusto studiare la biologia dell’invecchia-mento, ma ancor di più sarebbe opportuno incen-tivare tutte le cose che fanno bene ai vecchi: l’abi-tudine ad ascoltare, la compagnia, la libertà, learti, la natura, il silenzio, la lettura, la gratuità, lasemplicità, la sicurezza.

Nel tentativo di durare cerchiamo di estenderela vita.

Altrettanto importante è estendere la com-prensione della vita.

La vita arricchita, sostenuta dall’intelligenza,la vita come scuola.

Il bambino impara a parlare, a camminare, ascegliere, a padroneggiare il mondo. Il bambino siapre al mondo, si dispiega. L’anziano contempla,si ripiega. Il ripiegamento è essenziale per lanostra uscita. Uscita, ma non dalla vita. Noi nonlasciamo la vita, finché essa non ci lascia. La vitacontinua sino all’ultimo respiro. È un erroremadornale leggere i fenomeni della vecchiaiacome indizi di morte, invece che come iniziazioniad una vita semplicemente diversa. È un adatta-mento a una nuova dimensione di vita. Non unarinuncia.

Si dice sempre e, a ragione, che i vecchi sonoripetitivi.

Ma è proprio così grave? E poi i bambini non vogliono che tu gli raccon-

ti le stesse storie con le stesse parole? La mia nipo-tina mi riprende se non uso la stessa intonazionee gli stessi aggettivi raccontando la medesimafavola.

Qualcuno dice che la ripetizione serve a nega-re il trascorrere del tempo. I capolavori dell’arte,l’efficacia della preghiera, la bellezza del rito,dipendono da ripetizioni. Forse, il mio giudizio èinficiato dal fatto che tendo a idealizzare i vecchi.

I vecchi, di notte, dormono poco. Spesso,rimangono svegli e si appisolano di giorno. Dinotte, succedono tante cose: affiorano le paure, iricordi, gli errori, le preoccupazioni, l’autocritica,l’angoscia, il rimorso. Incombono i silenzi.

Le emozioni ci assalgono nostro malgrado.Però non dobbiamo pretendere di dominarle, masolo di gestirle. In fondo, non provengono né dalnostro cervello né dalla nostra personalita. È lanotte che ne facilita la comparsa.

La notte ci rimanda al regno delle ombre. Lemaschere degli antenati, spesso, diventano angeli

La medicina greca sosteneva che, con l’età, si

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diventa fragili e stagionati, mentre da giovani si èmolli ed acerbi. Da vecchi si diventa “secchi” e siteme il freddo. La medicina popolare ha sostenu-to per secoli queste idee. I vecchi hanno bisognodi tutto quello che è in grado di neutralizzare il“rinsecchimento”, quindi, bagni di vapore e cibiricchi di umori come il brodo, gli stufati e i semo-lini.

Mio nonno è arrivato quasi a cent’anni ciban-dosi, negli ultimi decenni, prevalentemente dibrodo e mia mamma, stessa età, col caffelatte.

Un altro aspetto che caratterizza gli anziani èla confusione. La confusione non fa soffrire l’an-ziano, ma chi gli sta vicino. Quante volte abbiamonotato che la confusione fa male e sconvolge ifamiliari. Spesso gli anziani sovvertono il tempo.Confondono padri e figli, vecchi e giovani, primae ora. Le differenze individuali si perdono mentrele caratteristiche comuni prevalgono.

La turbolenza della giovinezza se n’è andata. Èrimasta la pura ossatura. Le cose del passato,spesso, vengono ricondotte a fatti aridi. Sono vistecon saggezza e prudenza. La saggezza, sovente,inizia con la paura. I vecchi si sono liberati delsentimentalismo, fissano lontano. Per vedere chia-ramente le cose bisogna tenerle a distanza, nonesserne coinvolti.

Da vecchi, si vede il mondo in modo oggettivo. Si usa dire che per l’anziano il passato è tutto e

il futuro è niente. Avendo poco da guardare inavanti, si tende a guardare indietro. La memoriaprevale sui progetti. La memoria sottopone allanostra riflessione tutta una serie di scene e di figu-re che erano state dimenticate o che non eranomai accadute.

Quindi memoria come rassegna di immaginitrascorse.

È una rassegna della vita, una riscrittura dellanostra vita sotto forma di storia. Senza storia nonc’è trama, non c’è comprensione. Gli avvenimentiche scorrono davanti agli occhi di un osservatorenon attento, non dicono nulla. Sono un inutilebagaglio di esperienze. Sono soltanto abitudini.Sono vite che nessuno legge, mentre una storiache coinvolga può raggiungere l’emozione del-l’arte.

E una storia se non si racconta muore.(Leonardo Sciascia).

Ancora mi ricordo i racconti di mio nonno chemi narrava dell’orrore delle trincee. Non si parlamai, mi diceva mio nonno, della puzza nelle trin-cee. L’odore fetido di feci, di urina, di morti, chelui, dopo settant’anni, ancora sentiva.

Oppure, mio padre che, prigioniero in Siberia,si cibava di ghiande e si scaldava col cadavere deisuoi compagni. Era devoto di sant’Antonio.Teneva sempre in tasca una statuina del santo. Ungiorno, i suoi aguzzini gliel’hanno trovata e lovolevano punire (e le loro punizioni non erano di

poco conto) perché erano convinti che rappresen-tasse Mussolini. Mio papa, nel timore che glielaportassero via, non ha esitato ad ingoiarla. Poi,l’ha recuperata. Quando è tornato dalla Siberia,con la tradotta, in stazione a Pescantina, un paesedella provincia di Verona, suonavano “Va’ pensie-ro”. Mio papa era stoico. Non piangeva mai. Però,se sentiva “Va’ pensiero” le lacrime erano inevita-bili. Ha vissuto una vita con le angosce di unreduce.

Dopo la guerra, è nata mia sorella e l’ha chia-mata Antonietta per quanto sant’Antonio l’avevaaiutato durante la prigionia.

Io stesso ricordo, malgrado avessi appena treanni, quando è tornato. Era gonfio come un pallo-ne. Col tempo, ho capito che l’anasarca era dovu-to all’iponchia plasmatica, dovuta al fatto chemangiava solo ghiande.

Lo chiamavo “quell’uomo la”. Sono andatoavanti così per quattro, cinque anni. E lui soffriva.

Il vecchio ha bisogno di raccontare. Il proble-ma nasce quando nessuno lo ascolta. Quando lasua vita è un inutile bagaglio di esperienze.

Mentre il giovane “trangugia” la vita, il vec-chio la sorseggia. Se la fa durare il più possibile.Infatti, come mi dice un anziano a me molto caro,ad una certa età la Pasqua e il Natale si rincorro-no ad una velocita impressionante.

Da giovani si vive la vita in modo superficiale.La conoscenza viene più tardi. Quando a unragazzino si chiede di svolgere un tema sulla suaesperienza e di trarne la morale, si va oltre il pos-sibile. Non può esserne capace. Non ne ha lamaturita.

Con gli anni, si incontrano anche i dolori.Quando si patisce un grande dolore e nessuno,invecchiando, ne è esente, tutto si ridimensiona.Le immagini del passato diventano più amabili.Le lotte più dure, le rivalità più accanite, persino itradimenti ci tornano alla mente con una valenzanuova. La lunga malattia, il matrimonio fallito, lasfortuna degli eventi, perdono il loro impeto.

Qualcuno ha ipotizzato che le cose imperdona-bili non saranno mai perdonate semplicementeperché nella vecchiaia non ce n’è bisogno: sonostate dimenticate. Si è imparato a girar pagina.L’oblio potrebbe essere la più autentica forma diperdono: potrebbe essere una benedizione.

Gli anziani, per un verso, sopportano i piccolifastidi. Per un altro, basta un niente a far perdereloro le staffe. Una banale irritazione produce unoscoppio di collera. Nella vecchiaia, la collera è unfenomeno ricorrente. Temono sempre di non con-tare. Nell’anziano, pazienza e impazienza, spesso,convivono. L’età fa emergere un’infinità di con-traddizioni della natura umana. Si diventa “i settenani”, tutti insieme. Saggi, come Dotto, brontolo-ni come Brontolo, bambini come Cucciolo, timidie paurosi come Mammolo, esuberanti come

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Gongolo, pigri e facili al sonno come Pisolo, impe-tuosi e collerici come Eolo.

Nell’anziano convivono il virile e il femmineo,il bambino e l’uomo barbuto, l’aspetto selvaggio equello malinconico, la commedia e la tragedia.

Parimenti, quando la disabilità s’impossessadel corpo, spesso, emerge un’inattesa fonte divitalità intellettiva. Gli anziani, obbligati su unacarrozzella, è come fossero seduti in cattedra.Insegnano la vita. E quante volte, malgrado tutto,sono sereni! Con cattiva coscienza, invece, siamoportati a distogliere lo sguardo dalla faccia dell’in-fermo sulla carrozzella, quasi ci facesse paura.

Uno degli aspetti che, dell’anziano, viene cela-to o, peggio ancora, deriso, è quello della sessua-lità.

Si tende a confondere la genitalità con la ses-sualità. Di fatto, la sessualità ha un ambito moltopiù vasto. Jeanne Moreau ebbe a dire: “Quando siparla di sessualità, la gente di solito, intende ilsesso fisico, mentre la sessualità parte dalla mentecon l’immaginazione”. Entrano in gioco l’ambien-te culturale, l’istruzione, la religione, la famiglia,le condizioni economiche, i tabù.

Proprio perché la capacità di prestazioni ses-suali, nell’anziano, è limitata, il desiderio nondeve essere censurato. Un’immaginazione privadi desiderio sessuale potrebbe rappresentare unsegnale ben più allarmante del declino della vita-lita.

Picasso, a 87 anni, in pochi mesi eseguì 347incisioni a soggetto erotico.

Si suole ripetere che, negli anni, i nostri sensiperdono la loro acuita. Di fatto, ciò che avvienenel corpo è sempre imprigionato dall’idea che lamente ha del corpo.

Quando si è avanti negli anni, si è portati a tor-nare, per lo meno con l’immaginazione, al paesenatale, al primo amore, ai vecchi insegnanti.

Il corpo subisce il tempo, l’anima si vorrebbeliberare del tempo.

Plotino, filosofo neoplatonico, sosteneva che ilmovimento dei corpi è rettilineo, mentre il movi-mento dell’anima è circolare. L’anima ritorna. Ilricordo ritorna. I ricordi ritornano, spesso, coninfinita insistenza.

Come l’onda sulla spiaggia.Hanno la nostalgia di casa.

Bisogna evitare che il corpo parta per la tan-gente. Servono continui aggiustamenti per mante-nere in contatto corpo e anima. Come il marinaioche, con la mano sul timone, incessantemente cor-regge la rotta, ora da questa, ora da quella parte.Saper correggere la rotta è l’inizio della saggezza.

In fondo, è l’insegnamento che emerge forte daIl ritratto di Dorian Gray, di Oscar Wilde dove sidissocia l’anima dal corpo arrivando, alla fine, aduna rottura drammatica. Il corpo rimaneva sem-pre giovane, mentre l’anima invecchiava. Sonosempre indispensabili, come insegnava Plotino,aggiustamenti di rotta.

Una volta, Anna Magnani ebbe a dire al suotruccatore: “Non mi togliere nemmeno una ruga.Le ho pagate tutte care”.

Eppure, l’American Academy of CosmeticSurgeons riferisce che il 72% delle persone che sirivolgono al chirurgo plastico, lo consultano perinterventi facciali.

La chirurgia estetica non tiene conto che l’esu-beranza della muscolatura facciale serve per l’e-spressione delle emozioni e che, spesso, interve-nendo col bisturi, vengono alterate le espressioni,soprattutto quelle più sottili. Il carattere trapelaanche dalle rughe.

In vecchiaia, faccia e carattere si sposano.L’apporto che i vecchi possono dare alla socie-

ta è grande: possono prestare aiuto, dare, istruire.Devono avere il coraggio di esporsi alla vista, dimanifestare la loro faccia senza riserve e senzapaura. Non riesco nemmeno ad immaginare unacitta, un paese, i cui abitanti siano solo giovani,ove siano bandite le rughe e i capelli bianchi. Lafaccia dei vecchi è un bene della società. È undovere del cittadino rendere pubblica la propriafaccia.

Almeno un merito, mi sembra vada ricono-sciuto ai geriatri. Con lo studio e la tenacia hannodato dignità ad una disciplina che nessuno,ormai, misconosce. Questo ha un risvolto non sol-tanto clinico, per cui il geriatra è il medico dellacomplessità, ma anche e soprattutto, sociale per-ché i vecchi, con la nascita della Geriatria, hannoavuto un ruolo ben diverso. Gli anziani non sonopiù dei superstiti. E non è poco.

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INTRODUZIONEL’ipertensione arteriosa è una patologia molto

frequente e di grande rilievo nelle persone anzia-ne dei Paesi occidentali. Lungi dal rappresentareuna condizione fisiologica ed innocua, essa è unimportante fattore di rischio modificabile perictus cerebrale, infarto miocardico, scompensocardiaco, arteriopatia periferica, insufficienzarenale terminale e morte per cause cardio e cere-brovascolari (1).

Per contrasto, la consapevolezza, il trattamen-to e il controllo efficace dell’ipertensione arteriosadiminuiscono significativamente con l’età. Infatti,in soggetti ultrasettantacinquenni tale patologia ècontrollata in modo adeguato dalla terapia inmeno del 45% dei casi (2). Ciò comporta una ridu-zione del rischio cardio e cerebrovascolare netta-

mente inferiore rispetto a quella che ci si potrebbeteoricamente attendere. Probabilmente i pericoliderivanti dall’ipertensione arteriosa sono a tortosottostimati nella popolazione anziana. Vi è, inol-tre, spesso un problema di adesione alla terapiaprescritta dal medico, intesa come “compliance”(assunzione dei farmaci alle dosi e con la frequen-za prescritte) e persistenza (assunzione continua-tiva per il tempo consigliato). Molti pazienti nonsi attengono alle norme comportamentali consi-gliate, non assumono i farmaci prescritti o non liprendono tutti e alle dosi opportune. La mancataaderenza alla terapia prescritta è dovuta a fattorilegati al paziente anziano (ad es. deficit cognitivi,disturbi depressivi, deficit sensoriali visivi e/ouditivi, scarsa convinzione dell’utilità della tera-pia), a problemi inerenti la terapia (ad es. costo deifarmaci, numero dei farmaci, effetti collaterali) e aad aspetti correlati al rapporto medico-pazienteanziano (ad es. mancata comprensione delle istru-zioni, confusione fra istruzioni fornite da medicidiversi) e risente dell’eventuale assenza di uncaregiver (3).

263

IPERTENSIONE ARTERIOSA E ANZIANO

Baldassarre G.

Unità Operativa Complessa Geriatria, Ospedale Generale Regionale “Miulli”, Acquaviva delle Fonti

Riassunto: L’ipertensione arteriosa, anche nella forma dell’ipertensione sistolica isolata, è uno dei più frequenti erilevanti problemi di salute dei pazienti anziani. Diversi studi e metanalisi hanno dimostrato l’efficacia della tera-pia antiipertensiva nel ridurre la morbilità e la mortalità cardiovascolare e cerebrovascolare, persino negli ultraot-tantenni. Tutte le più comuni classi di farmaci, comprendenti ACE inibitori, inibitori dei recettori per l’angiotensi-na, beta-bloccanti, calcio-antagonisti e diuretici, sembrano essere equivalenti in termini di efficacia clinica. In molticasi la monoterapia non è sufficiente e si rende necessaria la terapia di combinazione. Le associazioni pre-costitui-te di farmaci possono favorire l’aderenza del paziente alla terapia prescritta. Sono state passate in rassegna le lineeguida più recenti per valutare quando iniziare il trattamento e a quali obiettivi pressori puntare. Poiché i valoripressori sono controllati adeguatamente in meno del 45% degli anziani, maggiori sforzi devono essere esercitatiper ottenere l’effettiva aderenza del paziente alla terapia e pervenire a migliori risultati clinici.

Parole chiave: ipertensione arteriosa, anziano, terapia antiipertensiva.

Hypertension and the elderly

Summary: Hypertension, also in the form of isolated systolic hypertension, is one of the most frequent health problems in elderlypatients. Several trials and metanalysis demonstrated the efficacy of antihypertensive therapy in reducing cardiovascular andcerebrovascular morbidity and mortality, even in octogenarians. All the most commonly used classes of drugs, including ACEinhibitors, angiotensin receptor antagonists, beta-blockers, calcium antagonists and diuretics, seem to be equivalent in terms ofclinical efficacy. In many cases monotherapy is not sufficient and drug combination is necessary. Pre-established drug associa-tions may increase patient compliance. Most recent guidelines have been reviewed in order to evaluate when to start a treatmentand which targets of pressure values try to reach. As in less than 45% of elderly hypertensives pressure values are adequatelycontrolled, further efforts must be promoted to obtain patient compliance and better clinical outcomes.

Key words: hypertension, elderly, antihypertensive treatment.

Indirizzo per la corrispondenza:Dott. Giuseppe BaldassarreU.O.C. GeriatriaOspedale Generale Regionale “Miulli”Via per Santeramo, Km 4,50070021 Acquaviva delle Fontie-mail: [email protected]

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Migliorare la comunicazione del medico edegli altri operatori sanitari col paziente anzianoiperteso e con l’eventuale caregiver, semplificareil trattamento e dedicare più tempo e attenzionealla verifica della sua corretta comprensione egestione e alla comparsa di eventuali problemi ditollerabilità o di difficoltà di assunzione rappre-sentano la via maestra per ottenere un più effica-ce controllo di questo temibile fattore di rischio.

DIMENSIONI DEL FENOMENONegli USA l’ipertensione arteriosa colpisce il

60% degli uomini e il 70% delle donne ultrases-santacinquenni, raggiungendo una prevalenzadel 75% nei soggetti di età superiore a 75 anni (4).In una popolazione italiana di anziani di età com-presa fra 65 e 84 anni, viventi al proprio domicilio,la prevalenza di ipertensione arteriosa era del61% (56% negli uomini e 66% nelle donne) (5).

Con l’aumentare dell’età diviene sempre piùfrequente l’ipertensione sistolica isolata, definitacome una pressione arteriosa sistolica uguale osuperiore a 140 mmHg, in presenza di valori nor-mali di pressione diastolica. L’ipertensione sistoli-ca isolata, che interessa fino al 45% degli ipertesianziani, è favorita dal progressivo incrementodella rigidità aortica e comporta un aumento dellavelocità di trasmissione dell’onda sfigmica, unincremento della pressione differenziale e un’i-perpulsatilità della parete arteriosa (6). D’altraparte, dopo i 50 anni di età, rispetto alla pressionediastolica, la pressione sistolica sembra esseremeglio in grado di predire gli eventi cardiovasco-lari e nelle persone anziane la pressione differen-ziale essere dotata di un ulteriore significato pro-gnostico (7-8).

QUANDO E COME TRATTARELa scelta di intraprendere un trattamento anti-

ipertensivo dipende nell’anziano dalle seguentivariabili, che ne riflettono il profilo di rischio car-diovascolare globale e le condizioni di salute:

* i valori di pressione arteriosa;* la presenza di altri fattori di rischio cardiova-

scolare;* la presenza di danno d’organo;* la presenza di diabete o di patologie associa

te che incrementano il rischio cardiovascolare;* la presenza di altre malattie non di tipo car-

diovascolare;* la presenza di ipotensione ortostatica;* la presenza di una condizione di fragilità;* la condizione psico-sociale.

Per esempio, una possibile eccezione all’in-dubbio beneficio della terapia antiipertensiva puòessere rappresentata dalla concomitanza di gravipatologie associate (ad es. neoplasie), capaci diinfluenzare la prognosi molto più dell’ipertensio-ne stessa, abbreviando la spettanza di vita. In talicasi i benefici della terapia antiipertensiva si pro-spettano scarsi, a meno che i valori di pressionearteriosa siano così elevati da rappresentare unrischio assoluto per il verificarsi di eventi acuti. E’stato, inoltre, recentemente confermato che in sog-getti ultraottantaquattrenni, specie se con unapreesistente disabilità, valori più elevati di pres-sione arteriosa sistolica e di pressione differenzia-le rappresentano un fattore protettivo nei con-fronti del declino fisico e cognitivo (9).

Ciò premesso, va detto che le opportune modi-fiche dello stile di vita costituiscono il cardinedella prevenzione primaria dell’ipertensione arte-riosa, nonché un elemento importante del tratta-mento, da sole nelle forme meno gravi o inaggiunta alla terapia farmacologica negli altri casi(10) (Tab. 1). L’adozione delle suddette misurenon farmacologiche, quando non è sufficiente afar rientrare la pressione arteriosa entro i limitiauspicati, consente però di ridurre il numero e/ole dosi dei farmaci antiipertensivi e di limitare ilrischio cardiovascolare.

Numerosi studi clinici controllati e randomiz-zati e ricerche di metanalisi hanno confermato chei benefici della terapia antiipertensiva riguardanoanche i pazienti ipertesi anziani, affetti da iperten-sione sisto-diastolica o sistolica isolata, in terminidi riduzione del rischio di ictus, scompenso car-diaco ed eventi cardiovascolari fatali e non fatali,

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Tab. 1 - MODIFICHE DELLO STILE DI VITA PER LA PREVENZIONE E LA TERAPIA DELL’IPERTENSIONERaccomandazioni di livello IA(linee guida ESH/ESC 2013)

- limitare l’introito di sodio a 5-6 g/die;

- aumentare il consumo di verdura, frutta e derivati del latte a basso contenuto di grassi

- ridurre l’apporto calorico sino a raggiungere un BMI di 25 e una circonferenza della vita < 102 cm negli uomini e < 88 cm nelle donne

- limitare l’introito di alcol a 20-30 g/die negli uomini e a 10-20g/die nelle donne

- incrementare l’attività fisica di tipo aerobico (almeno 30 minuti di passeggiata a passo veloce 5-7 volte la settimana).

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in assenza di un incremento della mortalità percause non cardiovascolari (11-12).

I risultati positivi del trattamento antiiperten-sivo nei confronti del rischio di ictus, di scom-penso cardiaco e di eventi cardiovascolari ingenerale sono stati confermati anche negliultraottantenni (13). Nello studio HYVET(HYpertension Very Elderly Treatment), il cuiprotocollo prevedeva l’arruolamento di soliultraottantenni, si è persino osservata una ridu-zione della mortalità globale del 21% (14). Taletrial è stato però criticato per il breve periodo difollow-up (1.8 anni), dovuto alla prematurainterruzione della ricerca a causa dell’eccessivadifferenza nell’andamento dei due gruppi diconfronto, e per aver coinvolto soggetti relativa-mente sani, in buone condizioni fisiche e menta-li, senza ipotensione ortostatica e con un profilodi rischio cardiovascolare decisamente favorevo-le, che li rendeva non rappresentativi della popo-lazione ultraottantenne nella realtà clinica.

Sebbene diverse linee guida raccomandino ditrattare l’ipertensione di primo grado indipen-dentemente dall’età, bisogna tenere presente chetutti gli studi che hanno dimostrato i vantaggidella terapia antiipertensiva nel paziente anzianosono stati condotti in pazienti con valori di pres-sione sistolica uguali o superiori a 160 mmHg(10). Tuttavia, la decisione di iniziare a trattareanziani con ipertensione di grado I, specie inpazienti ad alto rischio cardiovascolare globale,può essere presa in considerazione in caso dibuone condizioni generali, particolarmente insoggetti di età inferiore a 80 anni (10).

I dati attualmente disponibili non mostranodifferenze di efficacia delle varie classi di farma-ci antiipertensivi fra anziani e pazienti più gio-vani (15). La scelta fra ACE-inibitori, antagonistidei recettori dell’angiotensina, beta-bloccanti,calcioantagonisti e diuretici deve tenere contodella tollerabilità, della presenza di altri fattoridi rischio, di segni di danno d’organo e di even-tuali patologie associate con le relative terapiegià in corso.

La somministrazione di un solo farmaco antii-pertensivo è in grado di ottenere un calo adegua-to dei valori pressori solo nel 30% dei soggettitrattati; pertanto, è spesso necessario passare aduna terapia di combinazione con due o più farma-ci dotati di meccanismi di azione differenti e coneffetti complementari (16). Le linee guidaESH/ESC 2013 riconfermano il consiglio di inizia-re direttamente con una terapia combinata inpazienti ad alto rischio cardiovascolare e convalori pressori molto alti (PAS > 160 mmHg ePAD > 100 mmHG) (10).

Il ricorso ad associazioni precostituite, rispetto aquelle estemporanee, può consentire di ottenereuna migliore aderenza del paziente alla terapia (17).

OBIETTIVO DELLA TERAPIAAlla luce delle evidenze scientifiche attual-

mente disponibili, salvo casi particolari, la terapiaantiipertensiva si propone nell’anziano, con valo-ri iniziali di pressione sistolica uguali o superioria 160 mmHg, il raggiungimento graduale di livel-li compresi fra 140 e 150 mmHg. Una terapia antii-pertensiva già in corso, se ben tollerata, può esse-re continuata quando gli anziani ipertesi raggiun-gono e superano gli 80 anni.

In anziani in buone condizioni generali di etàinferiore a 80 anni e con valori iniziali di pressio-ne sistolica compresi fra 140 e 159 mmHg, la tera-pia, se ben tollerata, può proporsi l’obiettivo diportare la sistolica al di sotto dei 140 mmHg (10).

Particolare cautela e gradualità è richiestanegli ipertesi ultraottantenni; nel caso di anzianifragili sarà il medico curante a valutare l’opportu-nità o meno di iniziare o di continuare la terapiaantiipertensiva, soppesandone i potenziali benefi-ci e rischi.

Nei pazienti diabetici, ove possibile, è consi-gliabile portare gradualmente i valori pressori aldi sotto di 140/85 mmHg (10). Non è ancora chia-ro fino a che punto sia possibile ridurre la pressio-ne diastolica nell’anziano, specie in caso di iper-tensione sistolica isolata. Mentre il rischio di ictusdiminuisce in modo lineare con il ridursi dellapressione diastolica, quello di infarto miocardicotende ad aumentare nei coronaropatici quando ladiastolica scende sotto i 70 mmHg (18).

BENEFICI DEL TRATTAMENTOCi si chiede naturalmente se la riduzione dei

valori di pressione arteriosa mediante un tratta-mento antiipertensivo comporti benefici significa-tivi anche nel soggetto anziano, oltre quanto è giàstato dimostrato nell’adulto.

La risposta è che numerosi studi clinici con-trollati e randomizzati hanno confermato che ivantaggi della terapia antiipertensiva riguardanoanche i pazienti anziani affetti da ipertensionesisto-diastolica o sistolica isolata, in termini diriduzione sia della morbilità e della mortalità perictus e per malattie cardiovascolari, nonché di unalieve diminuzione della mortalità globale.

Nei pazienti ultraottantenni gli eventi cardiova-scolari fatali e non fatali combinati, ma non la mor-talità globale, subiscono una riduzione per effettodella terapia antiipertensiva. Poiché in questafascia di pazienti i benefici sono più limitati, la tera-pia, quando veramente necessaria, deve esserecondotta con particolare cautela e gradualità.

CONCLUSIONIL’ipertensione arteriosa, sisto-diastolica e

sistolica isolata, è uno dei problemi di salute dimaggior rilievo nella popolazione anziana deiPaesi occidentali. Non si tratta di una condizione

Baldassarre G.- Ipertensione arteriosa e anziano 265

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benigna, ma del primo fattore di rischio modifica-bile per una serie di malattie gravi e talora morta-li, che colpiscono principalmente il sistema car-diovascolare e quello cerebrovascolare.

Il trattamento dell’ipertensione arteriosa, conmisure farmacologiche e non, se eseguito in modoappropriato e con le opportune cautele, consentedi prevenire una percentuale rilevante di talipatologie e di ridurre la mortalità globale, oltre aquella legata ad eventi cardio e cerebrovascolari.

Nell’anziano, specie se diabetico o parkinso-niano, la misurazione pressoria deve essere effet-tuata anche in ortostatismo perché l’ipotensioneortostatica rappresenta un indice prognosticonegativo; i pazienti con ipotensione posturalemarcata vanno esclusi dalla terapia farmacologicaantiipertensiva o, comunque, trattati con grandecautela. L’opportunità e le modalità dell’interven-to terapeutico devono essere ben ponderate parti-colarmente nei pazienti fragili. Nei pazientiultraottantenni la terapia deve essere condottacon particolare prudenza e gradualità, se vera-mente necessaria.

In molti anziani ipertesi, per ottenere un ade-guato controllo pressorio si rende necessarioimpiegare due o più farmaci. Di solito è consiglia-

bile iniziare con un solo farmaco a basso dosaggioo con dosi ridotte di un’associazione di due medi-camenti. Ove necessario, si possono aumentareprogressivamente, ma in modo graduale, le dosidei farmaci antiipertensivi.

È preferibile l’assunzione della terapia duran-te le ore diurne e non la sera, poiché cali eccessividella pressione arteriosa durante le ore notturnepotrebbero favorire cadute quando il paziente sialza, solitamente per andare in bagno. Bisognaavvertire l’anziano iperteso di non saltare mai laterapia e di non modificarla autonomamente,senza aver consultato il medico. Particolareimportanza riveste il monitoraggio nel tempodegli effetti del trattamento, che va adeguato inconcomitanza di eventi clinici intercorrenti (infe-zioni, squilibri idro-elettrolitici, emorragie, ecc.) odell’assunzione di altri medicamenti ad azionepotenzialmente ipotensivante.

Poiché solo una quota relativamente modestadi anziani è trattata in modo da ottenere una ridu-zione sostanziale del rischio derivante dagli ele-vati valori pressori, è necessario rafforzare l’impe-gno nel sensibilizzare utenti ed operatori sanitariper la gestione ottimale di questa condizionepatologica.

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BIBLIOGRAFIA

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“Se fossimo in grado di fornire a ciascun indivi-duo la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisi-co, né in difetto, né in eccesso, avremmo trovato lavia più sicura per la salute”.Ippocrate di Cos (460-377 a.C.).

INTRODUZIONEFin dai tempi antichi era stata sostenuta una

relazione tra salute del corpo e salute mentale, sin-tetizzata dal famoso aforisma “mens sana in corpo-re sano”.

Prima di affrontare il problema dell’influenzadell’attività fisica sulle prestazioni cognitive delsoggetto anziano, è opportuno preliminarmentechiarire due aspetti che possono svolgere un ruolosignificativo in un idoneo svolgimento dell’argo-mento che stiamo sviluppando:

• La distinzione tra alterazioni fisiologicheregressive senili, comprendenti anche quelle cogni-tive, e alterazioni più propriamente patologiche.

• Gli effetti dell’attività fisica sulla salutedell’uomo ed in particolare il suo ruolo positivonella prevenzione e nella cura di numerose malat-tie.

MODIFICAZIONI REGRESSIVE SENILI EDALTERAZIONI PATOLOGICHE

La Geriatria è una disciplina molto impegnati-va e difficile, anche perché i rilievi clinici che siriscontrano sono il frutto di un complesso moltointricato di alterazioni provenienti dalle modifica-zioni regressive dovute al processo biologico dellasenescenza, di un complesso di alterazioni dovu-te agli esiti di diverse malattie verificatesi nell’ar-co dell’intera esistenza ed anche di modificazionimorfo-funzionali provocate dall’inattività delsoggetto anziano.

In Geriatria è fondamentale non confondere lemodificazioni fisiologiche del vecchio “sano”dalle alterazioni più specificamente dovute allemalattie.

Così ad esempio l’osteopenia del vecchio nonva assimilata alla malattia osteoporotica, le modi-ficazioni senili della parete arteriosa sono eventimolto diversi dall’ateroma, la ridotta elasticitàpolmonare di un “vecchio sano” ottantenne nonva confusa con l’enfisema polmonare vero e pro-prio, i tempi ritardati di reazione (tipici dell’invec-chiamento) sono fenomeni molto diversi dai segnipeculiari dell’indementimento.

Questa precisazione a volte presenta notevolidifficoltà, ma la distinzione è assolutamentenecessaria e va eseguita con scrupolo e competen-za, non solo per ragioni teorico-speculative, ma

267

CORRELAZIONI DELL’ATTIVITA’ FISICA CON IL DECLINOCOGNITIVO SENILE – IMPLICAZIONI RIAbILITATIVE

Palleschi G.*, Palleschi L.**, Palleschi M.***

*Fisioterapista IRCCS San Raffaele Pisana**Dirigente Responsabilie UOSD di Geriatria, AO San Giovanni Addolorata***Primario f.r. di Geriatria

Riassunto: Gli autori analizzano i rapporti tra performance cognitive e attività fisica. Vengono esaminati anche i vari stili di vita nel ruolo di fattori di rischio o protettivi per lo sviluppo di demenza.Sono presi in considerazione diversi programmi di attività fisica per prevenire il declino cognitivo senile.Gli autori sottolineano anche il ruolo dell’attività psicomotoria nel rallentare o prevenire l’evoluzione della demen-za di Alzheimer.

Parole chiave: Attività fisica, Demenza, Malattia di Alzheimer, Deterioramento cognitivo, Riabilitazione cogniti-va.

Correlations of physical activity with age-related cognitive decline - rehabilitative implications

Summary: The authors analyze the relationship between cognitive performances and physical activity. The different types of lifestyle are examined for their possible role as risk-protective factors for the development of dementia. Some physical training programs are taken in account for the prevention of age-related cognitive decline.The Authors addressed the role of physical-cognitive activity to slow and/or prevent the development of Alzheimer's dementia.

Keywords: Physical Activity, Dementia, Alzheimer's disease, Cognitive Impairment, Cognitive Rehabilitation.

Indirizzo per la corrispondenza:Dott. Giacomo PalleschiE-mail: [email protected]

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per fini clinico-pratici.Infatti mentre le modificazioni fisiologiche

regressive della senescenza non vanno “curate” esono comunque scarsamente suscettibili agliinterventi sanitari (anche se si possono adottaremisure di prevenzione e di riattivazione per un“buon invecchiamento”), di fronte a fenomenipatologici è doveroso formulare una diagnosi piùprecisa possibile e di conseguenza instaurare laterapia più idonea.

Allo scopo è possibile affermare che la tipolo-gia del cammino di un ottantenne è diversa daquella di un ventenne, ma se la diversità si limitaad una lieve riduzione della lunghezza e dellavelocità del passo, non richiede alcuna misuracorrettiva.

Invece se riscontriamo altre anomalie delladeambulazione, da mettere in relazione ad unainstabilità posturale, dovremo ricorrere a tutte levalutazioni in grado di escludere ad esempio lapresenza di un’ iniziale malattia di Parkinson.

Un approccio analogo, come vedremo inseguito, dovremo adottare in presenza di un lievedeclino mnesico che dovrà comunque essere iden-tificato nella sua natura, come vedremo in detta-glio più avanti.

IL RUOLO DELL’ATTIVITÀ FISICA SULLASALUTE DELL’UOMO

Un regime di vita attivo, come parte integran-te del mantenimento della salute, è raccomandatoda molte fonti.

Alcune osservazioni sono di antica data.Leonardo da Vinci affermava: “Ciò che dal moto ènato, nel moto vive e si perfeziona”.

Da un punto di vista dell’attività, gli uomini epiù in generale gli organismi viventi sono statiparagonati alle macchine artificiali, ma con unaprofonda differenza. Infatti mentre per questeultime l’attività, il funzionamento comporta neltempo la loro usura, per le macchine viventi, mag-giori sono le richieste funzionali, entro determina-ti limiti, e più versatile si fa la loro struttura.

Numerosi studi hanno documentato che l’e-sercizio fisico abituale, non stressante, costituisceuno strumento di protezione per l’organismoumano.

Una riduzione dell’attività fisica ha importan-ti effetti negativi sulla salute e sull’efficienza dellapersona, soprattutto anziana, in quanto i danni siassociano alle modificazioni involutive dellasenescenza e alle conseguenze delle malattie cro-niche.

Per quanto concerne le influenze negative del-l’inattività sulla salute, vi è da dire che sono stateosservate notevoli affinità tra le alterazioni che siverificano dopo un periodo di protratta inattivitàfisica e le modificazioni biologiche età-relate.Questa correlazione ha fatto ipotizzare che alcune

alterazioni regressive attribuite al processo dellasenescenza siano, almeno parzialmente, dovutealla ridotta attività fisica e non al fenomeno del-l’invecchiamento di per sé. Infatti molti parametrifisiologici che vanno incontro a modificazioni conl’età, subiscono un declino meno pronunciato neisoggetti attivi rispetto a quelli più sedentari.

Nell’ambito dei fattori in grado di compromet-tere l’attività fisica nell’anziano, un ruolo impor-tante può svolgere la sarcopenia, definita comeun’accentuata e progressiva riduzione dellamassa muscolare, tipica dell’invecchiamento e cheoggi viene ritenuta come un elemento patogeneti-co rilevante di quell’evento biologico e di quellasindrome clinica indicati con il termine fragilità.

La programmazione di un regime di vita nonsedentario ed il ricorso a forme strutturate e ripe-tute di attività fisica è in grado di inibire eventisfavorevoli per la salute e di contribuire al benes-sere della persona anziana.

In effetti è stato documentato che l’esercizio siassocia ad un miglioramento della performancefisica negli anziani. Al riguardo evidenze rilevan-ti sono derivate da un trial clinico randomizzato,lo studio LIFE (1).

Questo studio pilota ha dimostrato comeun’attività fisica moderata sia in grado di deter-minare un significativo miglioramento dellaperformance fisica, misurata mediante una batte-ria di test, che misura la forza degli arti inferiori el’equilibrio (Short Physical Performance Battery),fortemente indicativa del rischio di disabilità, isti-tuzionalizzazione e morte.

Il trial ha inoltre fornito promettenti evidenzenei riguardi dell’efficacia dell’esercizio fisico nellaprevenzione della disabilità nel cammino (2).

Uno stile di vita sedentario viceversa è associatoad un incremento della mortalità generale, ad unapeggiore qualità della vita e ad un maggiore rischiodi andare incontro a diverse malattie (diabete, iper-tensione arteriosa, cardiopatia ischemica) (3).

Uno studio di coorte su oltre 416.000 soggettiche ha avuto una grande risonanza mediatica hadimostrato una significativa correlazione traaspettativa di vita e attività fisica. Più esattamen-te 90 minuti di attività fisica alla settimana hannoportato ad un incremento medio di tre anni delladurata della vita ed ogni ulteriore aumento di 15minuti di attività fisica al giorno ha aggiunto un4% di speranza di vita (4).

L’inattività comporta iporessia con conseguen-te ridotto apporto di nutrienti e peggioramentodello stato nutrizionale. L’esercizio fisico ha dimo-strato una maggiore efficacia nella correzione diqueste alterazioni rispetto alla sola integrazionenutrizionale (5).

L’inattività è riconosciuta come un fattore asso-ciato alla riduzione della sensibilità all’insulina,insieme all’invecchiamento. Le condizioni morbo-

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se che possono beneficiare dell’attività fisica sononumerose, come appare evidente nella tab. 1.

In sintesi possiamo affermare che vi sonomolte buone ragioni perché una persona anzianasegua un regime di vita attiva.

Va sottolineato che i maggiori benefici deriva-no più da un adeguato stile di vita che da un altolivello di forma fisica.

Prima di prescrivere un programma è fonda-mentale conoscere le condizioni di salute dell’an-ziano, il suo livello abituale di attività fisica, latipologia delle attività svolte.

Il ruolo dell’attività fisica va preso in conside-razione non solo nell’ambito dello stile di vita, manelle più diverse condizioni comprendenti anchel’ospedalizzazione.

È veramente disdicevole osservare come neicorridoi delle corsie ospedaliere non si vedanomai o quasi mai malati passeggiare, né tantomeno farlo sotto la stimolazione di medici edinfermieri.

È stato calcolato che i pazienti ricoverati inOspedale trascorrono l’83% dell’intera giornata didegenza a letto, mentre solo il 4% del loro tempoviene speso stando in piedi o camminando (6).

Eppure i vantaggi della deambulazione sononoti e non mancano contributi riguardanti ilpaziente anziano fragile.

Dal recente lavoro di Fischer e coll. (6), appenacitato, si apprende che la precoce mobilizzazionemediante cammino per un periodo di almenododici minuti al giorno, è in grado di produrre neipazienti anziani ospedalizzati una significativariduzione della degenza, rispetto ad un analogogruppo di controllo.

Murphy (7) commentando i dati del lavoro diFischer (6) e riconsiderando tutto il problema dellacarenza di mobilità dei pazienti anziani ospedaliz-zati, invoca che nelle Linee Guida venga racco-mandata specificamente la deambulazione, ingrado di prevenire cadute ed ulcere da decubito,

due motivi crescenti di grave spesa ospedaliera.IL DECLINO COGNITIVO SENILE (TRANORMALITÀ E PATOLOGIA)

Il deterioramento mentale rappresenta unagrande sfida per la ricerca medica che si trovaoggi particolarmente impegnata sia alla identifi-cazione dei fattori causali e di rischio, sia a forni-re al medico le metodologie e gli strumenti che gliconsentano di individuare i soggetti che si trova-no allo stadio iniziale della malattia, meglio se inquello preclinico, quando maggiori sono le proba-bilità che l’intervento terapeutico, qualunque essosia, possa esercitare il massimo della sua efficacia.

È questo un obiettivo che, per quanto irrinun-ciabile, si presenta estremamente difficile da rag-giungere perché nessun’altra funzione del nostroorganismo come quella cognitiva subisce l’invec-chiamento in maniera così originale. Ne è confer-ma il fatto che a tutt’oggi, in un anziano chelamenta perdita di memoria, essere in grado ditracciare con precisione la linea di confine tra ciòche rappresenta la sua normalità e ciò che inveceè espressione di una iniziale patologia è il piùdelle volte impossibile.

Riferendoci adesso alle modificazioni regressi-ve patomorfologiche puramente fisiologiche,menzioniamo alcuni dati significativi. Dal puntodi vista macroscopico numerosi studi autopticihanno dimostrato che tra i 20 e i 60 anni il cervel-lo va incontro a una modesta riduzione di peso, dicirca 0.1% l’anno che diventa più marcata e velo-ce, di circa 2-3g/anno, dopo i 60 anni (8), ed inmisura maggiore nel sesso femminile (9).

Alla riduzione del peso corrisponde una dimi-nuzione del volume sia della sostanza bianca (10)che di quella grigia, maggiore, secondo molti auto-ri nell’ippocampo e nell’amigdala (11). In partico-lare, per quanto riguarda l’ippocampo, strutturacerebrale fortemente associata alle funzioni mnesi-che, la perdita di volume subisce una fase di acce-lerazione dopo i 65 anni (12), coinvolgendone pre-valentemente la testa e il subiculum (13).

La perdita neuronale interessa il cervello nonin modo omogeneo, dal momento che alcunestrutture cerebrali subiscono questo processo inmodo sensibile, mentre altre risultano modesta-mente colpite; di circa l’1%/anno nel giro fronta-le, del 2.5% per decade le cellule del Purkinje, del43% quelle del subiculum (14). Nonostante la rela-tiva precocità di comparsa delle alterazioni strut-turali età-relate, le manifestazioni cliniche insor-gono di solito tardivamente, essendo il cervello ingrado di compensare per lungo tempo gli effettidel depauperamento neuronale. Vi sono infattidue meccanismi di compenso:

• La plasticità, cioè la capacità di incremen-tare, dopo opportuna stimolazione, l’arborizza-zione dendritica riuscendo in questo modo amantenere attivi i circuiti neuronali.

Palleschi G., Palleschi L., Palleschi M. - Correlazioni dell’attività fisica con il declino cognitivo senile... 269

Tab. 1 - Condizioni morbose che possono beneficiare dell’attività fisica

• Fragilità• Sarcopenia• Iporessia• Resistenza all’insulina e diabete mellito tipo II• Obesità• Broncopneumopatia cronica ostruttiva• Ipertensione arteriosa• Malattia arteriosclerotica (cardiopatia ischemica)• Dislipidemia• Artrosi• Osteoporosi• Cadute• Disturbi depressivi e cognitivi

M. Palleschi et Al. Linee guida al trattamento e alla gestione delle malattiegeriatriche, IV Ed. CESI, Roma, 2008, pag. 9

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• La ridondanza, ossia la disponibilità dicircuiti neuronali accessori in grado di supplirequello principale se gravemente alterato.

È su queste basi biologiche che si fonda il con-cetto di “brain reserve” (riserva cerebrale), cheesprime la capacità del cervello senile di garantireprestazioni non sostanzialmente diverse da quelledel cervello giovane in quanto in grado di com-pensare le perdite strutturali con l’attivazione diun maggior numero di circuiti neuronali graziealla plasticità e alla ridondanza del sistema. Sonogli studi in vivo nell’uomo effettuati con PET ocon risonanza magnetica funzionale ad averlodimostrato (15-18).

Un ulteriore elemento che può conferire plasti-cità al cervello è la probabile presenza di cellulestaminali in grado di compensare la perdita cellu-lare.

Fino a circa un decennio fa si riteneva chenascessimo con l’intera dotazione di cellule cere-brali, dotazione a disposizione nell’arco della vitae che andava costantemente consumandosidurante l’età adulta e senile.

Anche se con l’invecchiamento andiamoincontro ad una perdita neuronale corrispondentea circa 30.000 neuroni al giorno e ad un impoveri-mento di connessioni sinaptiche, è stato dimostra-to però che il cervello adulto continua a crearenuovi neuroni.

Studi effettuati su primati, successivamenteconfermati nell’uomo, hanno infatti dimostratoche alcune aree cerebrali mantengono, se oppor-tunamente stimolate, la capacità di moltiplicarsi edi differenziarsi verso la linea neuronale o quellaastrocito-microgliale (19).

Questa capacità rigenerativa è stata osservataprincipalmente nella regione ippocampale, fisio-logicamente deputata alla capacità di apprendi-mento.

Al di là delle alterazioni regressive senili, pura-mente fisiologiche, che coinvolgono il sistema ner-voso centrale ed in particolare il cervello, e che nonsvolgono alcuna azione significativamente negati-va sulle attività della vita quotidiana (ADL, IADL)e sulla vita sociale, esiste una compromissionedelle capacità cognitive, MCI, il cui significato èstato oggetto di numerose controversie.

Si tratta di uno degli aspetti più affascinanti ericco di prospettive nello studio delle alterazionicognitive della senescenza: l’obiettivo è quello diidentificare le caratteristiche del soggetto che ha lemaggiori probabilità di andare incontro allademenza vera e propria, allo stesso tempo deli-neando una sorta di spartiacque tra perfetta nor-malità, alterazioni parafisiologiche e demenza.

Il complesso delle condizioni non gravi dideclino cognitivo riscontrabili in età senile, nonassimilabili pertanto al gruppo delle demenze, haavuto nel tempo varie denominazioni. In detta-

glio le numerose entità cliniche che sono andatevia via affollando l’ampia area grigia compresatra normalità e patologia sono le seguenti:

• Amnesia senile benigna• Demenza senile semplice (SSD)• Minimal dementia• Age associated memory impair-ment

(AAMI)• Deterioramento senile compensato• Mild cognitive disorder• Aged related cognitive decline (ARCD)• Aging associated cognitive decline

(AACD)• Cognitive impairment no dementia

(CIND)• Mild Cognitive Impairment Quest’ultimo è il termine di gran lunga più

impiegato.È una condizione per così dire intermedia tra

invecchiamento cerebrale e demenza, studiatasoprattutto negli USA ad opera di Petersen e coll.(20-22).

Le caratteristiche cliniche sono riassunte nellaTab. 2.

Il declino cognitivo senile, meglio configurabi-le nell’entità più rappresentata e maggiormentestudiata il MCI, è associato non solo ad unaumentato rischio di demenza, con un tasso diconversione di circa il 10% annuo, ma a numerosialtri eventi avversi come la perdita di autonomia,l’istituzionalizzazione, l’ictus cerebrale ed unincremento della mortalità (23).

LA DEMENZA: LA SUA INFLUENZA SU ALCUNEFUNZIONI ORGANICHE, SULL’ATTIVITÀFISICA, SULLA DEAMBULAZIONE

La demenza svolge rilevanti influenze negati-ve non solo sulle attività mentali ed in particolaresulle performances cognitive e mnesiche, ma sumolte altre funzioni del sistema nervoso centrale eattraverso quest’ultime su aspetti funzionali i piùdisparati, coinvolti addirittura nella stessa capa-cità di sopravvivenza (vedi ad esempio la capacità

270 Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 6 Novembre/Dicembre

Tab. 2 - Clinica del MCI (Peterson et al).

• Il soggetto lamenta un deficit di memoriaconfermato da un osservatore esterno (es. familiare)

• Le altre funzioni cognitive sono normali

• Il soggetto è autosufficiente nello svolgimento delle attività della vita quotidiana

• Il declino della memoria va valutato in relazione all’età del soggetto e al suo livello di istruzione

• Il soggetto non deve essere demente

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di alimentarsi). È opportuno qui ricordare che le persone con

demenza presentano, a parità di altre condizioni,un’età media di vita di 7-8 anni in meno rispettoai gruppi di controllo. Nell’ambito dei complessimeccanismi attraverso i quali nella demenza visono multiformi implicazioni sulle funzioni orga-niche (la demenza veniva denominata in passatosindrome psico-organica), non si può non fareriferimento a quanto si può desumere da unadisciplina relativamente nuova, la psiconeuroen-docrinoimmunologia.

Numerosi studi concernenti le relazioni traprocessi neuroendocrini, comportamento e feno-meni immunitari hanno evidenziato la presenzadi un flusso bidirezionale di informazioni trasistema neuro-endocrino e sistema immunitario.La minore resistenza alle infezioni ha avuto unapossibile spiegazione in questa ottica.

Non sono del tutto delucidati i motivi dellaminore sopravvivenza dei dementi rispetto aigruppi di controllo, a parità delle altre condizioni,anche se non sembra che possano essere attribuitiesclusivamente alle alterazioni insite nella disabi-lità e nella compromessa vita di relazione.

Per quanto concerne più specificamente lealterazioni che la demenza comporta nei riguar-di dell’attività fisica, giova soffermarsi su unpunto cruciale della clinica geriatrica: la deam-bulazione.

I meccanismi patogenetici responsabili dialterazioni dell’equilibrio posturale e della mar-cia differiscono in relazione alle diverse formedi demenza, che hanno in comune la perditadella memoria e di diverse abilità intellettive,ma non le manifestazioni relative alla compo-nente somatica.

Nella demenza multi-infartuale, il quadro cli-nico ricalca quello osservabile nei postumi dell’ic-tus cerebrale. Nella malattia di Alzheimer le alte-razioni neurologiche sono invece piuttosto tardi-ve, tanto è vero che, a fronte di una perdita avan-zata delle capacità intellettive, il paziente può pre-sentare il ben noto quadro del “wandering”, cioèdel vagare senza meta.

Nella demenza a corpi di Lewy, i sintomi extra-piramidali si manifestano fin dall’esordio e dannouna loro specifica impronta al quadro clinico cheraggiunge la sua massima espressione nel morbodi Parkinson. Il paziente appare rigido, con la testaed il tronco inclinati in avanti e le ginocchia semi-flesse. Manifesta evidenti difficoltà nel cammino:impiega molto tempo ad alzarsi dalla sedia, proce-de a piccoli passi, accelerando progressivamente,come se “inseguisse il suo centro di gravità”.L’equilibrio è precario ed il mantenimento dellastazione eretta problematico per la tendenza allaretropulsione, cioè a cadere all’indietro.

IL RUOLO DELL’ATTIVITÀ FISICA,DELL’ESERCIZIO FISICO, DELL’ESERCIZIOMENTALE, DELL’ESERCIZIO PSICOMOTORIONELLA PREVENZIONE, NELLA RIABILITAZIONE E NELLA RIATTIVAZIONENELLE DEMENZE

Sono facilmente intuibili i danni che una ridot-ta attività psico-fisica esercita sul patrimoniocognitivo della persona anziana.

Significativi al riguardo sono i quadri di depri-vazione sensoriale come si verifica nei pazientiabbandonati in letto, sottoposti all’azione di far-maci sedativi, costretti alla più o meno completaimmobilizzazione, senza alcun contatto con ifamiliari, senza che neppure arrivino al sistemanervoso centrale gli stimoli di una vescica ripiena,perché si è fatto ricorso ad uno sciagurato catete-rismo vescicale. Viceversa vi sono diversi studiche depongono in favore di un’azione “protetti-va” da parte di un grado culturale elevato e diuna spiccata attività mentale contro l’insorgenzadel declino cognitivo senile.

Queste osservazioni cliniche hanno una basescientifica, sperimentale, pato-morfologica. Infattile ricerche sulla plasticità del sistema nervoso cen-trale hanno messo in evidenza come il cervellopossa subire significative modificazioni in seguitoa stimoli di natura sia cognitiva, sia motoria (24).

In linea con queste acquisizioni è la frase “Useit or lose it” (“se non lo usi lo perdi”) (25) che dasempre permea la cultura geriatrica, e che oggitrova conferma nel fatto che rappresentano fattoriprotettivi nei confronti del deterioramento menta-le (compresa la malattia di Alzheimer):

• Il livello culturale e il lavoro intellettuale (26)

• Le attività del tempo libero e gli hobbies (27)

• Una ricca rete di rapporti sociali (28)• L’attività fisica (29) Garantire pertanto alla persona condizioni di

vita attiva, ricca sul piano psico-affettivo e dellerelazioni sociali, gratificante su quello professio-nale, stimolante dal punto di vista culturale, signi-fica metterlo nelle migliori condizioni per un“invecchiamento di successo” (30), quello cioè chelo vedrà, anche in età molto avanzata, in condizio-ni psico-mnemo-fisiche ottimali ed in piena auto-nomia di vita.

Diversi studi hanno indagato sulla correlazionetra attività fisica, funzione cognitiva e invecchia-mento. Nel complesso si può affermare che i sog-getti che avevano praticato un’attività fisica soste-nuta presentavano un minor rischio di andareincontro a demenza (31-34). Un’indagine ha dimo-strato con la RMN che gli anziani che praticavanoun programma di attività aerobica andavanoincontro ad un incremento di volume di diversearee cerebrali corticali e sottocorticali (35,36).

Palleschi G., Palleschi L., Palleschi M. - Correlazioni dell’attività fisica con il declino cognitivo senile... 271

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Un altro studio ha evidenziato che l’attivitàfisica protratta nel tempo, oltre a incrementare leperformances cognitive, è in grado di favorire unincremento di volume della corteccia prefrontale eparaippocampale (37). Nei riguardi dell’utilitàdell’esercizio fisico per contrastare il declinocognitivo, è risultato che l’allenamento aerobico equello di resistenza sono in grado di migliorare leprestazioni cognitive e la plasticità funzionale, sianei soggetti anziani sani, sia nei soggetti con lievedecadimento cognitivo (37).

Gli AA (37) hanno condotto uno studio di con-fronto sull’efficacia dei due tipi di intervento, sudi un gruppo di donne anziane con MCI. Più inparticolare sono state valutate le influenze dei duetipi di esercizio sulle funzioni cognitive esecutive(non compromesse nei soggetti con MCI, al con-trario di quelli con demenza), sulle prestazioni dimemoria associativa, sulle abilità di problem-sol-ving nella vita quotidiana, sulla plasticità funzio-nale regionale del cervello e su alcune funzionifisiche.

Lo studio condotto per 6 mesi e con esercizibisettimanali ha evidenziato che solo il program-ma di esercizi di resistenza ha prodotto unmiglioramento delle funzioni esecutive ed unincremento dell’attività metabolico-perfusionaledel giro linguale del lobo occipitale (rilevata confMRN), mentre il programma di esercizio aerobi-co ha migliorato la capacità fisica e le funzioni car-diovascolari (37).

Uno studio (38) ha preso in considerazione irapporti tra:

• Attività fisica aerobica;• Volume ippocampale;• Memoria spaziale.I risultati riguardanti un gruppo di 165 sogget-

ti anziani non dementi hanno evidenziato una tri-plice relazione (38):

1) Livelli più elevati di attività fisica aerobi-ca sono associati a maggiori volumi della regioneippocampale.

2) Livelli più elevati di attività fisica aerobi-ca si associano ad una migliore prestazione dellamemoria spaziale.

3) Maggiori volumi ippocampali si associa-no a migliori prestazioni della memoria spaziale.

La conclusione dei ricercatori postula che altilivelli di attività fisica aerobica sono associati adun aumento di volume ippocampale che si estrin-seca in una migliore funzione della memoria.

Per quanto concerne i meccanismi mediante iquali l’esercizio fisico svolge i suoi effetti beneficisulle performances cognitive e nel contrasto deldeclino cognitivo, sono state prese in considera-zione diverse possibilità.

L’esercizio fisico migliora la perfusione cere-brale. È noto che nei malati di Alzheimer le varia-zioni della perfusione cerebrale precedono le

manifestazioni della demenza ed inoltre che studiepidemiologici evidenziano la rilevanza dellepatologie vascolari (39).

È stato osservato che l’esercizio fisico si asso-cia ad un incremento di fattori neurotrofici impor-tanti per la crescita e la sopravvivenza dei neuro-ni, quali il Brain Derived Neurotrophin Factor(BDNF), la serotonina el’Insulin-like Grow Factor-1(IG) (40-44). Questi effetti sono particolarmentesignificativi a carico dell’ippocampo, una struttu-ra cerebrale che svolge un ruolo fondamentale neiprocessi di apprendimento e nella memoria e cheviene colpita elettivamente nella malattia diAlzheimer.

Un altro meccanismo con cui l’esercizio fisicosvolge il suo effetto positivo sul declino cognitivoè quello di indurre una riduzione della produzio-ne di sostanza amiloide.

Tra i vari studi citiamo quello di Head e coll.(45) che hanno evidenziato una minore deposizio-ne di amiloide corticale in soggetti cognitivamen-te normali, rispetto ad un analogo gruppo di per-sone sedentarie.

Inoltre studi trasversali hanno dimostrato unpiù alto livello di prestazioni cognitive, riguar-danti soprattutto la memoria, in soggetti attivifisicamente, rispetto ad un analogo gruppo disedentari (46).

Infine una possibile influenza dell’eserciziofisico sulle performance cognitive è rappresentatodalla possibilità che esso interferisca sullo stressossidativo.

Sempre nei riguardi dei rapporti tra attivitàfisica e performance cognitive, una dimostrazioneindiretta dei danni di una carenza di attività fisicasulle capacità cognitive, ci viene offerto da quan-to si verifica nella sindrome da immobilizzazione.Infatti i meccanismi attraverso i quali si instaurala sindrome da immobilizzazione sono tre:

1. L’assenza di movimento.2. La prolungata posizione clinostatica.3. La deprivazione sensoriale.Le afferenze (visive, uditive) che arrivano al

sistema nervoso centrale si riducono vistosamen-te nei soggetti confinati a letto. Si può assistere inqueste condizioni ad un’accentuazione del deca-dimento cognitivo, oltreché ad un clima didepressione, di indifferenza e di ostilità versol’ambiente.

Si può sovrapporre uno stato confusionaleacuto (delirium) che può innescare un circolovizioso il quale, attraverso l’impiego della conten-zione fisica o farmacologica, può condurre ilmalato ad un’ulteriore immobilità.

Al contrario una mobilizzazione in poltrona,con parziale ripresa anche dei contatti sociali, puòinfluenzare positivamente lo stato cognitivo-com-portamentale.

Al di là degli effetti positivi sulle performances

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delle attività cognitive provocati dall’eserciziofisico (e mentale), vanno presi in considerazione irisultati di una riabilitazione cognitiva vera e pro-pria.

Quest’ultima si basa su alcune premesse fisio-patologiche, o meglio su tre rilevanti requisiti pos-seduti dal sistema nervoso centrale:

• La ridondanza.• La plasticità.• La multipotenzialità o equipollenza fun-

zionale.Dei tre requisiti, quello più studiato e che

viene più spesso invocato, è quello della plasticitàche rappresenta una sorta di ricollegamento di vienervose disconnesse, tramite la formazione dinuove sinapsi a partire dalle branche terminali epreterminali degli assoni rimasti indenni, proces-so che va sotto il nome di sinaptogenesi reattiva.

Ma vi è un altro possibile meccanismo con ilquale stimoli di varia natura, compresi quelliimpliciti nella riabilitazione cognitiva, possonoprovocare modificazioni strutturali: l’attivazionedi sinapsi latenti fino a quel momento non utiliz-zate. Attraverso queste implicazioni fisiopatologi-che, la riabilitazione cognitiva può interferirepositivamente sulle prestazioni cognitive ed inparticolare sul processo di memorizzazione. Levarie tecniche di riabilitazione cognitiva dovreb-bero incidere su tutti od alcuni degli elementi cherappresentano le tappe della memorizzazione:

• Attenzione• Codificazione• Archiviazione• Consolidamento• RievocazionePer quanto concerne più specificamente la docu-

mentazione dei risultati della riabilitazione cogniti-va, vi è da sottolineare che, accanto alla descrizionedi risultati positivi nelle singole osservazioni, non èstata dimostrata con sufficiente sicurezza l’efficaciadei vari tipi di intervento (47), ad eccezione dellavoro della Cochrane Library riguardante la ROT:Reality Orientation Therapy (48).

La ROT è una terapia riabilitativa, adattasoprattutto per i pazienti affetti da demenza inuna fase non avanzata. L’obiettivo che si proponeè quello di consolidare le informazioni di base delsoggetto nei riguardi dell’orientamento temporo-spaziale e della sua storia personale.

Può essere distinta in ROT formale ed in ROTinformale.

La prima si svolge mediante sedute di gruppo(4-5 persone) per 45 minuti al giorno, mentre laseconda ha luogo generalmente al domicilio delpaziente (o in altra residenza), spesso come prose-cuzione della prima, basandosi su facilitazioni estimolazioni continue da parte dei familiari (e/odel personale) e dell’ambiente durante le 24 ore.In maniera ancor più esplicita possiamo dire che

l’obiettivo di questo tipo di riabilitazione cogniti-va è rivolta alla memorizzazione di cose comunicome il giorno della settimana, il nome dei figli, lericorrenze importanti, ecc.

Un’altra metodologia consiste nell’utilizzazio-ne della cosiddetta Terapia delle 3 R (ROT, di cuiabbiamo appena detto, la Terapia dellaReminiscenza, la Terapia della Rimotivazione). LaTerapia della Reminiscenza si fonda sul presuppo-sto che nella persona anziana è piuttosto frequentela tendenza a rievocare il proprio passato.

Gli eventi remoti, rievocati attraverso fotogra-fie, oggetti, ecc, costituiscono la base per tentaredi stimolare la memoria e recuperare esperienzeemotivamente vissute in maniera positiva.

La Terapia della Rimotivazione si propone l’o-biettivo di incrementare gli interessi verso ilmondo esterno, stimolando il malato a prenderecontatti con le altre persone. Può essere utile, spe-cie se coesiste depressione.

La Terapia della Validazione (ValidationTherapy, Feil, 1967) viene prospettata per malatidi demenza piuttosto avanzata, senza avere unobiettivo vero e proprio di recupero delle capacitàcognitive e pertanto senza avere lo scopo di ricon-durre il paziente alla realtà attuale. Piuttostoviene perseguito il tentativo di conoscere meglio isentimenti e il mondo emotivo della persona,“validandoli” e creando un’atmosfera propiziaalla comunicazione.

Questa metodologia è stata utilizzata soprat-tutto nei pazienti dementi ospiti di residenze. Èstato ipotizzato che i potenziali vantaggi potesse-ro dipendere dalla maggiore attenzione dedicataal malato, anche se si tratta di un’eventualità pos-sibile in tutti i tipi di trattamento. Secondo laMemory Training (Rabin, 1996), l’esercizio dellamemoria può indurre un suo miglioramento, siapur modesto, riguardante soprattutto la memoriaprocedurale.

La stimolazione della memoria può avvalersidi varie facilitazioni, come la visualizzazione, l’as-sociazione, la ripetizione, la categorizzazione, ilmetodo delle iniziali.

I risultati positivi ottenuti sembrano esaurirsidopo le sedute di traning.

Sono descritti anche effetti collaterali, come unsenso di frustrazione sia per il paziente che per ifamiliari. Altre metodiche comprendono laTerapia comportamentale, la Terapia occupazio-nale, la Musicoterapia.

Su quest’ultima ci permettiamo di esprimerealcune brevi osservazioni del tutto personali.

È singolare come la musicoterapia abbia trova-to consensi così diffusi e non un altrettanto diffu-so scetticismo.

Ovviamente noi non abbiamo nulla contro lamusica e teniamo ben presente che nel demente èla comunicazione verbale ad essere principal-

Palleschi G., Palleschi L., Palleschi M. - Correlazioni dell’attività fisica con il declino cognitivo senile... 273

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mente compromessa ed inoltre che la musica puòcoinvolgere il mondo affettivo-emotivo anchedella persona con grave compromissione cogniti-va. Ma dobbiamo ammettere che se la valutazioneanalitica e comparativa dei risultati delle variemetodologie riabilitative sulla cognitività èindubbiamente complessa e difficile, tutto ciò èparticolarmente vero per la musicoterapia. Inoltrepuò destare meraviglia il confronto con il giudiziosugli esercizi psicomotori che anche se non posso-no avvalersi di prove fondate sull’evidenza, meri-terebbero forse di maggiore considerazione nellapratica geriatrica.

Gli esercizi psicomotori possono essere inqua-drati in quelli che alcuni definiscono interventiriabilitativi aspecifici (24). Noi preferiamo inqua-drarli nel concetto e nella pratica della riattivazio-ne geriatrica che ha un significato molto piùestensivo della riabilitazione cognitiva vera e pro-pria e che è rappresentato da un complesso artico-lato di misure, in grado di rendere meno vistosa lacompromissione dell’autosufficienza di questimalati e di impedire la comparsa di quadri ditotale sfacelo psico-fisico.

La riattivazione comprende il complesso degliesercizi e degli stimoli psico-cognitivi rivolti nonsolo a rieducare un singolo apparato od una sin-gola funzione, ma ad incentivare i residui interes-si e le restanti capacità e a contrastare il decadi-mento generale della persona.

Fa parte della riattivazione la valutazione e lapossibile correzione di tutti i fattori capaci di inci-dere negativamente sull’efficacia globale dellapersona. Infine un’ultima riflessione: quella sullafrequente, riprovevole rinuncia ad ogni tratta-

mento riabilitativo nei casi ritenuti non suscettibi-li di miglioramento. Si insiste molto da parte dichi rinuncia ad ogni azione di contenimento delladisabilità relativa ad una demenza conclamata,che i pazienti hanno gravi difficoltà nel controllodelle proprie azioni, deficit di attenzione e rile-vanti difficoltà ad esprimersi ed a comprendere,tutti fattori che entrano in gioco nei programmi direcupero.

Non solo, anche i ridotti livelli di motivazionie i disturbi comportamentali come l’ansia, l’irasci-bilità, l’aggressività sono spesso considerati comeostacoli insormontabili ad un trattamento riabili-tativo.

Questa impostazione rinunciataria è senz’altroerrata, non solo per ragioni solidaristiche, maanche sul piano della realtà clinica e scientifica.

Infatti non vi sono prove sufficienti per esclu-dere dalla riabilitazione e dalla riattivazione sog-getti con grave deterioramento cognitivo.

In una meta analisi (49) su trenta studi clinici èstato evidenziato che la riabilitazione motoria è ingrado di migliorare le prestazioni funzionali deisoggetti dementi a maggior rischio di immobiliz-zazione.

Molto recentemente uno studio compiuto su547 anziani afferenti ad un servizio diurno riabili-tativo, ha evidenziato risultati positivi anche nelgruppo dei malati con demenza di grado avanza-to (50).

I Geriatri ritengono molto disdicevole unnichilismo terapeutico, riabilitativo, assistenzialeanche per i pazienti con le più gravi forme didemenza, equivalendo tale tendenza ad una verae propria condanna senza possibilità di appello.

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Palleschi G., Palleschi L., Palleschi M. - Correlazioni dell’attività fisica con il declino cognitivo senile... 275

BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONEL’idrocefalo normoteso è una sindrome clinica

caratterizzata da disturbi dell’andatura, sfintericie psichici, sostenuta da una ventricolomegalia, inassenza di segni e sintomi di ipertensione endo-cranica.

La sue caratteristiche clinico-patologiche ven-nero descritte nella metà degli anni sessanta daHakim ed Adams (1, 2, 3, 4) e successivamente,con l’evoluzione tecnica della diagnostica perimmagini, sempre maggiormente verificate nellapopolazione al di sopra dei 65-70 anni (5, 6).

Da un punto di vista patogenetico, l’idrocefalonormoteso è considerabile un idrocefalo aresorp-tivo in cui è presente una riduzione del riassorbi-mento liquorale al livello delle granulazioni diPacchioni (7, 8, 9). Non essendo un idrocefaloostruttivo, esso è per definizione un idrocefalotetraventricolare. Tale situazione può esseresecondaria a pregressi sanguinamenti intracrani-ci, più spesso subaracnoidei, a pregressi traumicranici, a meningiti cerebro-spinali, ad infarci-menti emorragici, a neoplasie cerebrali, a pregres-si interventi neurochirurgici o a patologie dell’os-so cranico quali morbo di Paget o acondroplasia.In circa 1/3 dei casi (2, 10) non è verificabile alcu-

na causa apparente e (cosiddetto idrocefalo nor-moteso idiopatico); tale circostanza, quasi esclusi-vamente verificabile nella popolazione anziana(11, 12), sarà oggetto delle presente trattazione.

Nell’ambito della popolazione anziana istitu-zionalizzata, l’incidenza di tale sindrome è riporta-ta tra il 9 ed 14% (13) e, tra i pazienti con demenzanell’1,5-5,5% (13). Poiché un intervento di deriva-zione liquorale può notevolmente migliorare i sin-tomi nel 60-90% dei pazienti (5, 6, 14, 20, 15), è evi-dente come la corretta individuazione di tale grup-po di soggetti sia molto importante al fine poteridentificare i casi in cui una pur grave ed invalidan-te situazione clinica, può essere validamente tratta-ta. La triade clinica sopra citata tende però a peg-giorare con il tempo e ad essere meno responsiva altrattamento (21). Pertanto una precoce ed accuratadiagnosi è importante per ottenere un trattamentoottimale ed evitare che le manifestazioni clinichedivengano con il tempo irreversibili.

La triade clinica che caratterizza l’idrocefalonormoteso, definita come “triade di Hakim” consi-ste, come detto nella definizione della sindrome, indisturbi psichici, disturbi dell’andatura e disturbisfinterici. Anche se la classica triade completa è pre-sente in circa il 65% dei casi, la presenza di uno odue sintomi può essere presa in considerazione perla diagnosi (1, 4, 5). Nella diagnosi differenziale del-l’idrocefalo normoteso rientrano inoltre molte pato-logie del sistema nervoso centrale quali le degene-rative, le ischemiche, le neoplastiche e, più rara-mente infettive o postraumatiche. Tale diagnosi dif-

277

IDROCEFALO NORMOTESO IDIOPATICO

Acqui M.*, Caroli E.*, Trillò G.*, Marci M.°, Raco A.*

*Cattedra di Neurochirurgia Facoltà di Medicina e Psicologia “Sapienza” Università di Roma °UOC di Medicina Interna, Ospedale “S. Giovanni Evangelista” Tivoli - ASL RM G

Riassunto: In relazione alle opportunità terapeutiche attuabili, nell’ambito delle sindromi involutive senili, èimportante differenziare da un punto di vista clinico-radiologico l’idrocefalo normoteso che nell’anziano si presen-ta quasi essenzialmente come idrocefalo normoteso idiopatico. Alcune caratteristiche cliniche quali la presenzadella triade di Hakim ed una idonea risposta al “tap test”, e neuroradiologiche (riduzione dell’angolo calloso, tur-bolenza nell’acquedotto di Silvio) possono validamente orientare la diagnosi ed inviare al chirurgo un pazienteportatore di una sindrome demenziale potenzialmente curabile.

Parole chiave: idrocefalo normoteso, triade di Hakim, RMN, angolo calloso.

Titolo in inglese

Summary: Because actually it is possible to cure the normotensive hydrocephalus, it is mandatory to differentiate it from theothers elderly degenerative syndromes. In most of the cases in the elder patients hydrocephalus remains idiopathic. Clinical fea-tures, as the Hakim’s traid in association with a good response to the tap test, and radiological signs (collosal angle reduction,signal void in the Sylvian aqueduct) can orient the diagnosis and to treat patients affected by a dementia potentially curable.

Key words: normotensive hydrocephalus, Hakim’s triad, MRI, collosal angle.

Indirizzo per la corrispondenza:Dott. Michele Acqui E-mail: michele.acquiuniroma1.it

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ferenziale è pertanto molto complessa e frequente-mente viene confermata unicamente a posteriori,quando si assiste ad un miglioramento dei sintomidopo una derivazione liquorale (8, 22).

DISTURBI PSICHICII disturbi psichici sono, da un punto di vista

diagnostico-differenziale, i più complessi ad esse-re distinti, mostrando in circa il 75% dei casi carat-teristiche cliniche analoghe a quelle presenti nellamalattia di Alzheimer (8, 23). Essi possono esseredistinti in disturbi cognitivi e disturbi psichiatrici.

DISTURBI COGNITIVII disturbi cognitivi presenti nell’idrocefalo nor-

moteso sono suggestivi di una demenza sottocor-ticale e comprendono rallentamento ideativo,disturbi della capacità attentiva ed apatia con fre-quenti amnesie, soprattutto a breve termine (24).Disturbi fasici sono rari, benché turbe della fluen-za verbale possano essere secondari a disturbiprassici con disartria ed a problemi motivazionalicon sindromi depressive reattive. Non è ben preci-sato il meccanismo fisiopatologico che sottende atale fenomenologia, anche se sembra che essi sianosecondari ad uno stiramento delle fibre fronto-striatali che transitano nella corona radiata e nelcentro semiovale adiacente ai corni frontali ed allacella media dei ventricoli laterali dilatati (25).

La gravità della compromissione cognitiva puòessere molto variabile, comprendendo quadrimolto severi o sindromi solo sfumate. In quest’ulti-mo caso la diagnosi può essere particolarmente dif-ficoltosa poiché le manifestazioni cliniche inizialipossono essere comuni a più frequenti disordinineurodegenerativi quali la malattia di Alzheimer.Anche se, come detto precedentemente, alla pro-gressione del disturbo cognitivo si verifica una piùmarcata refrattarietà al trattamento, anche pazienticon sindrome demenziale piuttosto avanzatapotranno giovarsi di una derivazione liquorale (26)

DISTURBI PSICHIATRICISebbene i deficit cognitivi quali amnesia,

disturbi dell’attenzione, disturbi mnesici e bradi-frenia sono le maniferstazioni psichiche premi-nenti nell’idrocefalo normoteso, vengono riporta-te anche manifestazioni cliniche di ordine psichia-trico, quali disturbi del comportamento, depres-sione (27, 28) sindromi bipolari (26, 29) aggressi-vità (30, 31), disturbi ossessivo-compulsivi (32),psicosi con paranoia ed allucinazioni (21, 33, 34),disturbi del controllo delle pulsioni (35). Talidisturbi psichiatrici sono di solito resistenti alleterapie psichiatriche e rispondono bene al tratta-mento chirurgico di derivazione liquorale. Per talimotivi, anche se possono complicare la diagnosiclinica, è molto importante tenerli presenti nellostudio del paziente con idrocefalo normoteso.

DISTURBI MOTORIOjeman nel 1969 (22) fu tra i primi ad eviden-

ziare la precocità dei disturbi della deambulazio-ne nell’evoluzione clinica dell’idrocefalo normo-teso. Più tardi Fisher (36) documentava che, su 16pazienti trattati con successo con derivazioneliquorale, in 12 i sintomi motori precedevano cro-nologicamente l’esordio dei disturbi psichici.

Il pattern della deambulazione del pazienteportatore di idrocefalo normoteso è stato varia-mente descritto come “aprassico”, “bradicineti-co”, “con i piedi incollati”, “magnetico”, “parkin-soniano”, “a piccoli passi”, “strascicato”. Più fre-quentemente comunque l’andatura che si osservaè quella a basi allargate e piccoli passi con scarsosollevamento del piede durante il passo. A causadi tale ultimo aspetto, il paziente lamenta inizial-mente difficoltà a salire le scale. Si osserva a voltesollevamento dell’alluce durante l’esecuzione delpasso. Il paziente ha difficoltà soprattutto nell’e-sordio del movimento di deambulazione e nel sol-levarsi da una sedia. Un’ulteriore progressionedel disturbo motorio consiste in una difficoltànella torsione del collo e del busto con il pazientecostretto a girarsi “in blocco”.

La patogenesi dei disturbi dell’andatura nell’i-drocefalo normoteso non sono ben chiari.Un’ipotesi prevede che un allargamento dei ven-tricoli conduce ad uno stiramento delle fibre delprimo motoneurone mentre transita nella porzio-ne mediale della corona radiata. Tale ipotesi,anche se un coinvolgimento del tratto piramidalenon è supportato in pieno da studi con potenzialievocati motori (37), non può essere esclusa. Esamielettromiografici hanno evidenziato un incremen-to dell’attività dei muscoli antigravitari al livellodelle anche e delle ginocchia (38, 39), permetten-do di supporre un disordine del controllo sotto-corticale (extrapiramidale) del movimento, piut-tosto che una sofferenza del sistema piramidale.Del resto è presente frequentemente bradicinesiaagli arti superiori e un corteo sintomatologicofrancamente parkinsoniano viene riportato piut-tosto frequentemente (40). La verosimiglianza diuna associazione Parkinson-idrocefalo normotesoè supportata dalla creazione di modelli animali diidrocefalo che presentano un Parkinson, reversi-bile con la correzione dell’idrocefalo (41). La spie-gazione di tale associazione potrebbe risiedere inuna compromissione nigro-striatale dovuta aduna anormale pulsatilità del liquor con sofferenzadella sostanza nigra e/o dello striato con conse-guente disturbo del plannig motorio (42). Più tar-divamente nel decorso della malattia si evidenzia-no disturbi chiaramente piramidali quali iperre-flessia e positività del segno di Babinsky.

DISTURBI MINZIONALISebbene l’incontinenza urinaria sia uno dei

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sintomi originariamente descritti nell’idrocefalonormoteso, esso è quello meno caratterizzato daun punto di vista clinico e fisiopatologico. Nellefasi precoci della malattia può essere presente uni-camente pollachiuria ed urgenza minzionale consuccessiva evoluzione nell’incontinenza alla pro-gressione della malattia. Tale evoluzione non èperò costante e vi sono molti casi che presentanounicamente episodi isolati di incontinenza. Moltopiù rara l’incontinenza fecale.

Da un punto di vista fisiopatologico, si trattadi una vescica neurogena (41): è presente una ipe-rattività detrusoriale testimoniata da una rispostadetrusoriale aumentata all’infusione vescicale diuna scarsa quantità di liquido (43, 44). Un esameurodinamico può essere un utile complementodiagnostico per distinguere una vescica neuroge-na in corso di idrocefalo normoteso da frequenticomorbidità legate alla fascia d’età comune qualil’ipertrofia prostatica nei maschi, le cistiti recidi-vanti nelle femmine e la distonia/disautonomianell’anziano in entrambi i sessi (25).

DIAGNOSIPrima di formulare una corretta diagnosi di

idrocefalo normoteso occorre valutare la ventrico-lomegalia che sottende a tale sindrome clinica. Atale scopo attualmente gli esami di scelta sono laTC e la RMN. Un iniziale dato per valutare se unaventricolomegalia possa essere considerata un

vero idrocefalo è l’indice di Evans. Esso calcola ilrapporto tra il diametro dei corni frontali ed il dia-metro intracranico valutato sullo stesso pianoassiale. È patologico se il primo supera il valoredel 30% del secondo (Fig. 1). Tale indice, vista laottimale visualizzazione della teca cranica, è valu-tato meglio con la TC. Altri dati da considerare perla diagnosi di idrocefalo sono valutabili megliocon la RMN. Nei tagli sagittali di tale esame svan-no presi in considerazione l’ingrandimento del-l’ampiezza dei recessi anteriori del III ventricolo(recesso chiasmatico e recesso infundibolare),riduzione a meno di un centimetro della distanzamammillo-pontina, aumento fino a circa un centi-metro della distanza tra porzione posteriore delcorpo calloso e fornice e l’assottigliamento fino a

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Fig. 1 – Disegno schematico che indica l’indice diEvans: BF=diametro intracranico bifrontale; CF=diame-tro dei corni frontali. Il rapporto tra il diametro dei cornifrontali ed il diametro intracranico è patologico se ilprimo supera il valore del 30% del secondo. Si noti l’a-spetto tipo “Mickey Mouse face” del taglio assiale dovu-to all’incremento del diametro dei corni frontali e l’incre-mento volumetrico dei corni temporali (CF).

Fig. 2 – RMN sezione saggittale mediana con immaginepesata in T2: ingrandimento dell’ ampiezza dei recessianteriori (chiasmatico e infundibolare) del III ventricolo(asterisco nero), riduzione della distanza mammillo-pon-tina (linea nera corta), aumento della distanza tra porzio-ne posteriore del corpo calloso e fornice (linea neralunga), assottigliamento del corpo calloso che acquisi-sce una morfologia arcuata (asterisco bianco)

Fig. 3 – Stesso caso dopo derivazione liquorale: si notiil ripristino delle condizioni normali dei parametri anato-mo-patologici descritti nella figura 2.

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5-6 mm del corpo calloso che acquisisce unamorfologia arcuata (Fig. 2 e 3) (45). Con i tagliassiali, oltre all’indice di Evans, altri criteri per laformulazione della diagnosi di idrocefalo sonol’aumento di dimensione oltre i 3 mm dei cornitemporali dei ventricoli laterali, la morfologia sfe-roidale dei corni frontali dei ventricoli laterali(cosidetta “mikey mouse face”) (Fig.1), la riduzio-ne di ampiezza degli spazi subaracnoidei dellaconvessità, una ipointensità nelle immagini pesatein T2 a carico soprattutto dell’acquedeotto diSilvio per turbolenza del flusso liquorale in esso(46, 47) ed i segni di riassorbimento transependi-male del liquor cefalo-rachidiano (ipointensitàperiventricolare nelle immagini pesate in T1, ipe-rintensità in T2).

Alcuni dati neuroradiologici permettono didifferenziare l’idrocefalo normoteso da un idroce-falo “ex vacuo” legato ad atrofia cerebrale, pre-sente in diverse sindromi demenziali simili clini-camente all’idrocefalo normoteso (48, 49) ed apredire con buona attendibilità se il trattamentochirurgico della ventricolomegalia porterà ad unmiglioramento clinico. Tra questi riveste partico-lare importanza l’atrofia che si evidenzia a livellodelle strutture più mesiali dei lobi temporali: nellasindrome di Alzheimer, ad esempio, oltre ad uningrandimento dei corni temporali dei ventricolilaterali, presente anche nell’idrocefalo normoteso,si ha un allargamento del giro paraippocampaleed una riduzione di volume dell’ippocampo.Potrà essere pertanto evidente una densità di tipoliquorale tra la cisterna ambiens ed il corno tem-porale dilatato. Tale aspetto non è di solito presen-te nell’idrocefalo normoteso (50)

Un altro aspetto importante soprattutto nellapredizione di una buona risposta alla terapia chi-rurgica è la misurazione dell’angolo calloso (6).

Tale angolo, già descritto in era pre-TC (51) e suc-cessivamente da Ishii (52), identifica l’angolo chesi crea tra i margini mediali dei ventricoli lateralievidenziati con un taglio coronale effettuato orto-gonalmente al piano della linea bicommessuraleal livello della commissura posteriore del III ven-tricolo (Fig. 4). In un recente studio si è notatocome, alla riduzione di tale angolo, i pazienti sot-toposti ad intervento di derivazione liquoralehanno i migliori risultati. Il valore di 63° si è rive-lato essere a tal proposito un valido cut-off, consensitività e specificità rispettivamente del 67 e65% (6). Tale riduzione dell’angolo calloso èdovuto all’ostacolato ingrandimento verso l’altodei ventricoli laterali da parte del margine inferio-re della falce cerebrale che, in corrispondenzadella commissura posteriore, è quasi a contattodel corpo calloso; una dilatazione ventricolare atale livello provoca quindi un innalzamento deimargini mediali della cella media dei ventricolicon riduzione dell’angolo calloso (6, 51).

Anche se una diagnosi certa di idrocefalo nor-moteso può essere formulata unicamente se unasindrome clinico-radiologica che ne pone ilsospetto migliora nettamente con una derivazioneliquorale, è indispensabile per il clinico effettuareun test in grado di individuare quei pazienti che,portatori della triade clinica in presenza di unadilatazione ventricolare, possano realmente gio-varsi di una derivazione liquorale (53, 54). Il testattualmente più utilizzato è il cosiddetto tap test(55-58). Esso, ideato per la prima volta daWikkeslo (19, 59), consiste in un miglioramentoclinico della triade in rapporto alla sottrazioneliquorale mediante rachicentesi di 40-50 cc diliquor cefalo-rachidiano (5, 56, 59). Tale migliora-mento, anche se evidenziabile sull’intera triadeclinica, è maggiormente evidente sul disturbo

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Fig. 4 – Disegno illustrativo dell’ angolo calloso: angolo che si crea tra i margini mediali dei ventricoli laterali eviden-ziati con un taglio coronale effettuato ortogonalmente al piano della linea bicommessurale al livello della commissu-ra posteriore del III ventricolo.

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della deambulazione (53). I criteri e le modalitàdella sua effettuazione sono stati recentementerivisti da Virhammar et al (12). Si valuta il tempoimpiegato ed il numero di passi utilizzati percompiere una deambulazione di 10 metri. Lecaratteristiche della deambulazione sono esami-nate prima e dopo l’effettuazione della sottrazio-ne liquorale. L’eventuale miglioramento è inizial-mente valutato dopo 30-90 minuti dalla rachicen-tesi, ma può durare, ed anche maggiormente evi-densiarsi, a distanza di 12-24 ore e può essereripetuto durante tale arco di tempo. La specificitàdel test è molto elevata, intorno al 90-100% mentela sensibilità è molto minore, intorno al 50% (19,53, 57, 58, 60). La scarsa sensiblità del test puòessere spiegata da una ancora non ben standardiz-zata cronologia della valutazione clinica post-rachicentesi, con una falsa negatività del test lega-ta ad una troppo precoce valutazione clinica (19).

TRATTAMENTO CHIRURGICOÈ ben accertato che, una volta confermata la

diagnosi, esistono indicazioni chirurgiche, soprat-tutto in relazione al positivo impatto dell’inter-vento sulla storia naturale della patologia (61, 62).Attualmente esistono due principali opzioni tera-peutiche: lo shunt ventricolo peritoneale e laterzo-ventricolo-cisterno-stomia endoscopica (7).Mentre l’efficacia della derivazione ventricolo-peritoneale è legata alla risoluzione della ventri-comegalia tramite un riassorbimento liquoralenon più legato alle granulazioni del Pacchioni, ilmeccanismo terapeutico della terzo-ventricolo-cisterno-stomia endoscopica è meno chiaro. Infattitale atto terapeutico, molto utile negli idrocefaliostruttivi ad esempio da blocco nell’acquedotto diSilvio, non contempla una modificazione nel mec-

canismo di riassorbimento del liquor e quindi teo-ricamente non dovrebbe essere efficace nell’idro-cefalo normoteso, dove una modificazione di taleriassorbimento è uno dei meccanismi fisiopatolo-gici. È probabile che il miglioramento che si notain alcuni pazienti sia dovuto al fatto che durantela sistole, quando vi è un picco di pressione intra-cranica, la neostomia nel pavimento del III ventri-colo agisca come un meccanismo di fuga per l’e-nergia meccanica che si sviluppa a tale picco, con-ducendo i lobi frontali, i gangli della base ed italami a ricevere una minore intensità di pressio-ne di pulsazione (5, 63); questo meccanismopotrebbe condurre ad un miglioramento dellapressione di perfusione locale con miglioramentodella funzionalità neuronale e miglioramento deisintomi (5, 7, 61, 64, 65). La terzo-ventricolo-cister-no-stomia endoscopica ha il grande vantaggio dinon contemplare l’inserimento di un corpo estra-neo, ma il limite di una efficacia unicamente ingruppi selezionati di pazienti. (5, 66). Tale - selezione potrebbe essere effettuata su alcuni cri-teri clinici quali una storia clinica breve ed unaprevalenza dei disturbi dell’andatura con scarsa oassente demenza (67). La sua esecuzione comun-que non inficia l’attuazione di altre opzioni tera-peutiche. Lo shunt ventricolo peritoneale è la tera-pia chirurgica classica usata in tale patologia. Perridurre al minimo i rischi legati ad un eventualeiperdrenaggio liquorale con formazione di emato-mi sottodurali cronici e sintomi da ipotensioneintracranica, vengono usate valvole in cui la pres-sione di deflusso liquorale è programmabile (7,68, 69). La prognosi, allorché le indicazioni sonoposte correttamente, è buona con un marcatorecupero soprattutto dei sintomi motori e sfinteri-ci nel 60-90% dei casi.

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INTRODUZIONELa percentuale della popolazione ultrasessan-

tacinquenne è notevolmente aumentata, passan-do dall’1% del 1861 al 10% del 2010, con il conse-guente aumento della speranza di vita alla nasci-ta che attualmente è di 79,1 anni per gli uomini edi 84,3 per le donne (1). Il 20,3% della popolazio-ne italiana generale è costituito da ultra sessanta-cinquenni e si stima che la percentuale aumenteràfino al 2043 (2). Contemporaneamente, si è molti-plicato il numero di patologie croniche: un anzia-no italiano su 5 è definito un malato “complesso”,cioè affetto da varie patologie. Il concetto di com-plessità è legato ad indici di comorbilità e fragi-lità. Il 20% degli anziani fa i conti con almeno duemalattie croniche e ciò diviene tanto più frequen-te con l’avanzare dell’età. Un’alta percentuale dianziani, soprattutto tra quelli di età maggiore di

75 anni, è affetta da almeno due patologie (3). La fragilità, considerata una sindrome clinica

caratterizzata dalla diminuzione delle riservefisiologiche associata a un maggior rischio di pro-blemi sanitari, all’ospedalizzazione e alla morta-lità (4), è un concetto emergente nell’ambito dellecure primarie (5). Questa condizione è stata anchedescritta come una sindrome geriatrica derivanteda riduzioni cumulative, correlate all’età su piùsistemi fisiologici, con compromissione dellariserva omeostatica e una ridotta capacità dell’or-ganismo di resistere allo stress (6).

È stato dimostrato che i pazienti fragili sonoesposti ad un rischio maggiore di sviluppare neltempo un declino cognitivo rispetto alle personenon fragili, e il rischio di compromissione cogniti-va per i soggetti fragili è maggiore rispetto a quel-lo dei non fragili (7). La fragilità e l’ospedalizza-zione sono fortemente associate ad nuova insor-genza della dipendenza nelle attività di vita quo-tidiana (8). La malnutrizione, l’obesità, il fumo e isintomi depressivi, il rischio di cadute, sonoanche essi fattori fortemente correlati con lo svi-luppo di fragilità e rappresentano obiettivi impor-tanti per individuare strategie preventive (9).

283

IL bISOGNO ASSISTENZIALE E IL COMPREHENSIVEGERIATRIC ASSESSMENT (CGA): LE RISPOSTE UMANEDEI MALATI ANZIANI COMPLESSI

Marcelli S.1, Mari L.1, Rocchi R.1, Bacaloni S.1, Fiorani C.1, Di Tuccio S.1, Postacchini D.2,Giuli C.2, Santarelli A.3

1 Università Politecnica delle Marche, CdL Infermieristica Polo di Macerata;2 U.O.C. Geriatria INRCA POR di Fermo;3 Università Politecnica delle Marche, CdL Infermieristica Polo di Fermo;

Riassunto: L’allungamento della speranza di vita e la riduzione delle nascite mutano il quadro demografico italia-no e comportano una revisione della distribuzione delle risorse. In particolare, i soggetti appartenenti alle fasce dipopolazione cosiddette “fragili”, come la popolazione “anziana” (65-74 anni) e “molto anziana” (> 74 anni), soli-tamente presentano più di una patologia, venendo così definiti malati complessi. Considerando inoltre la gravesituazione economica, risulterà indispensabile trovare uno strumento in grado di gestire in modo efficace edappropriato pazienti con patologie gravi e spesso invalidanti. Un tale approccio trova il suo fondamento nello stru-mento Comprehensive Geriatric Assessment (CGA), che consente di ottenere un quadro completo delle condizio-ni di ogni paziente così da poter definire per ciascuno le priorità assistenziali su cui programmare ed erogare inmaniera individualizzata l’assistenza necessaria. Il fine è quello di promuovere la salute e di prevenire le comor-bilità, migliorando la qualità di vita e ottimizzando la gestione delle risorse.

Parole chiave: Comorbilità, Valutazione multidimensionale geriatrica, Fragilità, Disabilità, Anziani.

Use of Comprehensive Geriatric Assessment for frail elderly patients

Summary: The increase in life expectancy has led to growth in change of Italian demography, with important effects on wel-fare. Elderly are exposed to the risk of serious diseases. In this context, the promotion of healthy lifestyles and prevention ofcomorbidity represent a very important outcome. The use of multidisciplinary approach, such as the Comprehensive GeriatricAssessment is required. This instrument may be a useful tool in the management of elderly patients and for the identificationof some indicators for the continuity of care.

Key words: Comorbidity, Comprehensive Geriatric Assessment, Frailty, Disability, Elderly.

Indirizzo per la corrispondenza:Dott.ssa Cinzia Giuli Indirizzo: Unità Operativa di Geriatria - POR INRCA (Istituto Nazionale di Riposo e Cura Anziani), Sede di Fermo, C.da Mossa - 63900 Fermo (FM) E-mail: [email protected]

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Anche la comorbilità è spesso la causa che portaad una condizione di fragilità e ne consegue spes-so uno stato di disabilità (10) ed una riduzionedella qualità di vita (11). La coesistenza di malat-tie fisiche, per lo più croniche, con la patologiamentale rappresenta senza dubbio una condizio-ne ad alto impatto sul sistema sanitario (12). Inparticolare i pazienti affetti da malattie mentalisono più a rischio di sviluppare malattie cardiova-scolari, diabete, malattie respiratorie ed alcuni tipidi tumore rispetto alla popolazione generale (13).

Considerando che i servizi di assistenza sani-taria per gli anziani in Italia sono attualmenteinsufficienti per gestire la complessità dei pazien-ti geriatrici, occorre individuare strategie per unagestione il più possibile efficiente, così da ottimiz-zare le risorse a disposizione e ridurre al minimogli inutili sprechi (14). Prendendo in considerazio-ne le molteplici cause che portano allo stato di fra-gilità e la sua diretta correlazione all’età dei sog-getti, lo screening e la valutazione dovrà necessa-riamente fondarsi sul Comprehensive GeriatricAssessment (CGA). In base alle numerose eviden-ze scientifiche, si può ritenere questo strumento ilmetodo più idoneo per ottenere una veduta gene-rale sui bisogni assistenziali degli anziani com-plessi (15-17).

OBIETTIVI DELLO STUDIOLo studio in oggetto si pone lo scopo di valu-

tare i bisogni assistenziali in pazienti anziani dientrambi i sessi, mediante l'utilizzo di sistemivalidati dalla letteratura scientifica, nello specificolo strumento CGA di seguito descritto. Il fine èquello di valutare i soggetti definiti “fragili e com-plessi”, in modo da individuare per ogni singoloutente i bisogni assistenziali più adeguati. Unaltro obiettivo è quello di poter stabilire per cia-scun paziente le priorità assistenziali su cui defi-nire e formulare gli interventi per progettare unpiano di gestione completo e mirato alla preven-zione di possibili e probabili complicanze. In par-ticolare, lo studio si focalizza sui soggetti risultatia rischio e/o compromessi in base agli indicatoridi punteggio di ciascun dominio valutato.

MATERIALI E METODICampioneLo studio è stato condotto presso l’Unità

Operativa di Geriatria del Presidio OspedalieroMacerata (Area vasta numero 3) nel periodo traGennaio e Luglio 2013, attraverso una ricercadescrittiva, condotta in maniera randomizzatamediante interviste realizzate sulla base di unquestionario. Sono stati reclutati 201 pazienti dientrambi i sessi di età maggiore o uguale a 65 anniche, una volta spiegata la finalità e sottolineata lagaranzia dell’anonimato, hanno deciso volonta-riamente di partecipare allo studio e hanno firma-

to il consenso informato. Il campione è stato sud-diviso in due classi: soggetti di età 65-74 anni(gruppo “anziani”) e di età > 74 anni (gruppo“molto anziani”).

I colloqui hanno richiesto un tempo di circa 40minuti per illustrare il questionario da sottoporree per procedere alla sua somministrazione e com-pilazione. Sono stati esclusi dallo studio i soggetticon punteggio al test Mini Mental StateExamination (MMSE) minore di 14.

COMPREHENSIVE GERIATRICASSESSMENT (CGA)

Questo strumento è caratterizzato da una valu-tazione multidimensionale dello stato di salutegenerale, funzionale, cognitivo e dei parametrisociali e psicologici degli anziani (18). Lo strumen-to si basa sulla premessa che una valutazione siste-matica delle persone anziane da parte di un teammultidisciplinare permetta di identificare i proble-mi di salute e i bisogni assistenziali con dei risulta-ti migliori in ambito geriatrico (16). Rubenstein (19)è stato uno dei primi autori a dimostrare la validitàdello strumento, identificandolo come il metodopiù adeguato di approccio all’anziano in quantopermette di eseguire la valutazione qualitativa equantitativa degli aspetti psicologici, sociali e fun-zionali e la loro integrazione con gli aspetti cliniciche l’eventuale malattia presenta nel singolopaziente anziano. Questo strumento è la base perl’elaborazione di un programma di cura e di assi-stenza mirato a ridurre l’ospedalizzazione e a pre-servare l’indipendenza funzionale, riducendo l’i-stituzionalizzazione e il tasso di mortalità (20-21).Inoltre aiuta a predire la necessità di dimissione inuna struttura di cura (22).

Sotto gli auspici del comitato educativo dellaInternational Society of Geriatric Oncology(SIOG), è stata sviluppata una linea guida praticacon informazioni molto specifiche sugli strumentipiù utilizzati per la valutazione geriatrica (23). IlCGA analizza in particolare sei aree: lo statocognitivo, dell’umore, funzionale, nutritivo, lacomorbilità e il rischio di cadute.

VALUTAZIONE DELLO STATO COGNITIVOGLOBALE

È stato utilizzato il test MMSE (24), che serve aindividuare il deterioramento cognitivo e a valu-tarne la severità. In particolare valuta dominiquali l’orientamento spazio-temporale, la memo-ria, l’attenzione, il linguaggio e la capacità costrut-tiva. Il punteggio massimo ottenibile è di 30 (indi-cativo di assenza di deficit cognitivo). Un punteg-gio < 18 indica un declino severo, compreso tra 18e 24 un declino moderato e > 24 uno stato cogniti-vo normale.

284 Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 6 Novembre/Dicembre

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VALUTAZIONE DELLO STATO DELL’UMORE È stata utilizzata la Geriatric Depression Scale

(GDS), uno strumento di screening usato pervalutare lo stato depressivo nei soggetti anzianicognitivamente integri o comunque affetti dademenza di grado lieve-moderato (MMSE > 14).La scala presenta 30 domande a risposta dicoto-mica Sì/No. La somma dei punteggi relatividetermina il punteggio totale, che varia da 0(depressione completamente assente) a 30(depressione massima). Un punteggio minore di10 indica uno stato normale, compreso tra 10 e 20una depressione moderata e > 20 una depressionesevera (25).

VALUTAZIONE DELLO STATO FUNZIONALEÈ stata usata la scala Barthel Index of

Independence in Activities of Daily Living modi-ficato (ADL - Barthel Index), uno strumento chemisura l’indipendenza funzionale nelle attività dibase della vita quotidiana. Il punteggio ottenibileva da 0 a 100. Punteggi tra 99 e 91 indicano dipen-denza minima, quelli compresi tra 91 e 61 unadipendenza moderata, quelli tra 61 e 21 unadipendenza severa e un punteggio < 21 indicadipendenza totale (26).

VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIO-NALE

È stata utilizzata la scala Mini NutritionalAssessment (MNA), che serve a individuare ilrischio di malnutrizione. Il punteggio totale èottenuto dalla somma dei punteggi assegnati allerisposte delle 18 domande, e può essere suddivisoin quattro sezioni. Il punteggio massimo ottenibi-le è di 30 e indica una condizione nutrizionaleottimale; punteggi compresi tra 17 e 23.5 indicanola presenza di rischio di malnutrizione; punteggi< 17 indicano uno stato di malnutrizione (27).

VALUTAZIONE DELLA COMORBILITÀ È stata utilizzata la Cumulative Illness Rating

Scale for Geriatrics (CIRS- G), uno strumento cheserve per misurare lo stato di salute dell’anzianofragile. Valuta 14 categorie di patologie riguar-danti alcuni organi ed apparati (apparato cardio-vascolare, respiratorio, gastrointestinale, genito-urinario, muscolo-scheletrico e le malattie siste-miche). Ogni item viene valutato secondo unascala ordinale, da 1 (patologia assente) a 4 (pato-logia severa). La CIRS-G, oltre al punteggio totale,valuta l’Indice di Severità (IS), che si ottiene dallamedia dei punteggi delle prime 13 categorie, el’Indice di Comorbilità (IC) che corrisponde alnumero delle categorie con punteggio uguale osuperiore a 3 (28). Le categorie di punteggio otte-nute andavano da “Nessuna compromissione”(punteggio 0) a “Compromissione molto grave”(punteggio 4).

VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI CADUTA È stata utilizzata la scala Tinetti Performance

Oriented Mobility Assessment (POMA) (29).Questa scala serve per valutare l’equilibrio e l’an-datura nei soggetti anziani cognitivamente integrio affetti da demenza di grado lieve-moderato. Èun test che identifica i soggetti a rischio di cadutae si compone di due sezioni: una valuta l’equili-brio e una l’andatura. Il punteggio totale è otte-nuto sommando i punteggi parziali risultantidalla performance nelle sezioni “Equilibrio” (0-16) e “Andatura” (0-12). Il punteggio totale allascala di Tinetti classifica il soggetto nel seguentemodo: punteggi < 2 = soggetto non deambulante;2-19 = soggetto a rischio elevato di caduta; 20-24 =soggetto a rischio moderato di caduta; > 24 =assenza di rischio di caduta. Il punteggio massi-mo è di 28.

RISULTATICaratteristiche del campione Le caratteristiche del campione sono riportate

in Tab. 1. La popolazione in studio risultava esse-re composta in prevalenza da soggetti di sessofemminile e i soggetti “molto anziani” rappresen-tavano circa l’86% del campione. Quest’ultimafascia di età presentava anch’essa una prevalenzafemminile (54%), coerentemente col fatto che lasperanza di vita per le donne è maggiore di quel-

Marcelli S., Mari L.,Rocchi R. - Il bisogno assistenziale e il Comprehensive Geriatric Assessment (CGA)... 285

tab. 1 caratteristiche del campione (n=201)

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la per gli uomini. Più del 62% dei soggetti aveva un caregiver: di

questi circa l’82% era un “familiare”, mentre nel18% dei casi era una “assistente familiare”.Inoltre, è emerso che dei pazienti che usufruivanodel caregiver, più del 92% apparteneva alla fasciadi età dei “molto anziani”.

I soggetti in studio presentavano varie patolo-gie (Fig. 1): la maggior parte di esse (86%) si con-centrava sul gruppo dei “molto anziani”.Dall’indagine fatta sulla distribuzione delle pato-logie, risultava che oltre il 60% dei soggetti valu-tati aveva tra 2 e 3 comorbilità. Nello specifico,circa il 78% del totale poteva essere classificabilecome paziente “complesso”, ovvero che presenta-va più di una patologia. Dall’analisi descrittivacondotta, risultava che le 2 patologie maggior-mente frequenti erano la demenza senile e l’iper-tensione (Fig. 1).

ANALISI DEGLI STRUMENTI DEL CGA Dall’analisi dei risultati del MMSE, si eviden-

ziava che il 35,3% del campione studiato presen-tava uno stato cognitivo normale, il 36,3 % undeclino moderato, mentre il 28,4% un declinosevero (Tab. 2). Nella fascia di età > 74 anni, ildeclino severo raddoppiava rispetto alla fascia dietà 65-74 anni, passando dal 14,3% al 30,6%. Il91,2% dei soggetti affetti da un deterioramentocognitivo severo aveva un caregiver.

La scala GDS ha messo in rilievo che il 33,3%del campione aveva una depressione severa, conuna netta prevalenza nel sesso femminile (Fig. 2).

I punteggi risultanti dall’analisi dell’ADL-Barthel hanno evidenziato che solo il 24,4% delcampione totale era autosufficiente. Tutti i pazien-ti totalmente dipendenti avevano un caregiver,ma la presenza diminuiva sulla base del gradodecrescente di dipendenza. Nella fascia di etàmaggiore di 74 anni, i casi di dipendenza totaledivenivano più del triplo rispetto alla classe infe-

riore. La scala MNA evidenziava che il 57,2% era a

rischio di malnutrizione e il 19,9% risultava mal-nutrito.

La media della scala CIRS – G, per la raccoltasistematica delle comorbilità, era di 12,90(Deviazione standard 4,99), l’Indice di Severità(CIRS-IS) era di 2,89 (± 0,62) e l’Indice diComorbilità (CIRS-IC) di 2,25 (± 1,52). Lo stato di

286 Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 6 Novembre/Dicembre

Fig. 1 – Patologie riscontrate nel campione

Fig. 2 – Valutazione GDS in base al sesso

tab. 2 risultati comprehensive geriatric

assessment (cga)

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co-morbilità risultava essere più grave nei pazien-ti appartenenti alla fascia “molto anziana”: infattivenivano osservati valori di 11,96 (± 5,08) neipazienti “anziani”, contro 13,05 (± 4,98) neipazienti “molto anziani”. Al contrario, gli indicidi severità e comorbilità diminuivano nella classedi età superiore (Fig. 3).

Dall’analisi dei dati relativi al POMA, emerge-va che il 25,9% era a rischio elevato di cadute (tab.2). Un 6,5% risultava essere allettato, con una

netta prevalenza di soggetti appartenenti allafascia di età > 74 anni. L’80% dei soggetti a rischiodi caduta elevato poteva contare sull’aiuto di uncaregiver.

Il confronto tra fasce di età riferito ai valorimedi dei punteggi ottenuti dalla somministrazionedegli strumenti utilizzati è riportato nella Fig. 4.

DISCUSSIONESebbene lo studio sia stato condotto su un

campione contenuto, i risultati ottenuti riflettono idati presenti in letteratura in relazione alle patolo-gie riscontrate nei pazienti anziani, in particolarein riferimento alla prevalenza delle demenze seni-li e dell’ipertensione (30). Per quanto concerne lapresenza di neoplasia, il dato che risulta dall’in-dagine è dubbio in quanto in molti casi, durante la

raccolta anamnestica con il paziente o il caregiver,è emersa una spiccata reticenza da parte di questefigure nel riferire e/o ammettere la presenza dellapatologia. Lo studio concorda con la letteraturascientifica anche per quanto riguarda la gran per-centuale dei malati complessi nella popolazioneanziana (31, 16), evidenziando che il 78% dei sog-getti esaminati presentava più di una patologia.Dallo studio è anche emerso che più del 60% delcampione aveva un caregiver, evidenziando ilbisogno di assistenza costante da parte di questipazienti. La percentuale aumentava con l’avanza-re dell’età. I soggetti con deterioramento cogniti-vo risultavano avere maggiore necessità di uncaregiver, in particolare sulla base del conseguen-te aumento della gravità del declino, conforme-mente alla letteratura scientifica (32). Nella fasciadi età dei “molto anziani”, emergeva che lo statodi declino cognitivo severo era doppio rispettoalla fascia degli “anziani”. Da ciò ne consegue cheil carico di assistenza necessario a questi pazientisubisce un notevole aumento, data la loro incapa-cità funzionale per le attività basiche e strumenta-li della vita quotidiana. La necessità di assistenzasi ripercuote su un livello di supervisione e sorve-glianza costante per prevenire i rischi e i potenzia-li pericoli. Infatti, dalla scala sulla dipendenzanelle attività quotidiane, è emerso che solo il 24%degli anziani era autosufficiente, mentre il restoaveva vari gradi di dipendenza, fino all’alletta-mento.

Questi dati di per sé ci fanno capire quanto siaimportante stimare il grado di dipendenza neipazienti così da poter creare un valido piano diinterventi di assistenza basato sui reali bisognidelle persone e concentrarsi sulle priorità assi-stenziali. I risultati infatti dimostrano come all’au-mentare del grado di dipendenza aumenti la per-centuale dei pazienti che ha un caregiver. Dal con-fronto di questi dati con l’età dei soggetti si è evi-denziato come nella fascia di età dei “molto anzia-ni” la “dipendenza totale” e la “dipendenza seve-ra” siano in misura nettamente superiore rispettoalle stesse nella classe degli “anziani”.

Di notevole rilievo è anche il dato che sottoli-neava che più del 33% del campione presentavauna “depressione severa”, con una netta preva-lenza nel sesso femminile. Il dato è in linea con irisultati di altri studi sull’argomento (33).

Un altro aspetto importante che emergevadallo studio era che circa il 60% del campione eraa “rischio malnutrizione” e quasi il 20% era mal-nutrito. Precedenti studi condotti su una popola-zione simile hanno evidenziato, in linea con irisultati ottenuti, un alto rischio di malnutrizionetra gli anziani ospedalizzati (34), in particolare traquelli con demenza. Questa evidenza deve asso-lutamente lanciare un allarme su come sia impre-scindibile un’attenta valutazione del paziente poi-

Marcelli S., Mari L.,Rocchi R. - Il bisogno assistenziale e il Comprehensive Geriatric Assessment (CGA)... 287

Fig. 3 – Valutazione CIRS in base all’età

Fig. 4 – Risultati dei valori medi degli strumenti utilizzati

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ché la malnutrizione accresce, tra gli altri, ilrischio di lesioni da decubito e rende meno immu-ni alle patologie, portando a una diminuzionedella forza muscolare con le relative conseguenzee un aggravamento generale delle condizioni (35).

Dall’analisi del POMA infine risultava cheun’alta percentuale di anziani era a rischio mode-rato o severo di cadute, con notevole aumento neipazienti “molto anziani” rispetto all’altra classe dietà. Il rischio di cadute negli anziani è dovuto anumerose cause e risulta associato a vari fattori,tra cui la comorbilità e la disabilità, provocandoserie conseguenze sui costi del Servizio SanitarioNazionale (36).

CONCLUSIONIGran parte del campione studiato presentava

un “declino cognitivo moderato”, una “depressio-ne moderata”, un “rischio di malnutrizione”, una“dipendenza moderata” e un elevato rischio dicaduta. Il lavoro svolto pertanto conferma la vali-dità dello strumento utilizzato, in particolare utilenella prevenzione di possibili eventi avversi chepotrebbero presentarsi nel corso della degenzaospedaliera. Lo strumento CGA ha dimostrato, inaccordo con le molteplici evidenze scientifichepresenti in letteratura, di essere efficace e appro-priato specialmente nell’approccio con le fasce dipopolazione cosiddette “fragili”, come la popola-zione “anziana” (65-74 anni) e “molto anziana” (>74 anni). In particolare quest’ultima fascia, com-posta quasi totalmente da malati complessi, trovagrande efficacia in tale valutazione, poiché con-

sente di ottenere un quadro completo delle condi-zioni generali e specifiche per ciascun paziente.Grazie a questo approccio è possibile definire lepriorità assistenziali su cui programmare ed ero-gare interventi mirati così da creare un piano assi-stenziale personalizzato, in grado di prevenire,educare e/o correggere situazioni a rischio o giàproblematiche. Lo studio condotto ha rilevatoinoltre come molte persone siano a rischio e comealtrettante già presentino complicanze che aggra-vano lo stato generale di salute. Quanto analizza-to è in accordo con il Piano Sanitario Nazionale2011-2013 che, tra l’altro, sostiene ed incentiva lapromozione di stili di vita salutari e la prevenzio-ne delle comorbilità e degli eventi avversi che sipotrebbero verificare in assenza di un’appropria-ta gestione dei bisogni assistenziali.

Ne discerne che lo studio risulta più che maiattuale e indispensabile, in linea con i bisognidella società e con il mutamento della composi-zione demografica della popolazione, anche allaluce del fatto che i servizi di assistenza sanitariasono attualmente insufficienti per gestire la com-plessità dei pazienti più anziani. Ne conseguequindi la necessità di agire in un contesto dovenon si possono permettere sprechi di risorse, ridu-cendo i costi e migliorando al contempo la qualitàdi vita della popolazione anziana e dei loro care-giver.

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BIBLIOGRAFIA

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DELLA LICEITÀ DELLE CURE MEDICHE

È stato recentemente pubblicato su JAMAIntern Med on line un articolo in merito allemodalità di acquisizione del consenso all’attomedico di pazienti anziani ultrasessantacinquen-ni ospedalizzati. In quasi la metà dei malati ( incui la salute era troppo compromessa per presen-za di patologie quali stato confusionale o demen-za in fase avanzata) le decisioni concernenti l’iterdiagnostico-terapeutico venivano prese dai fami-liari o altri aventi diritto. Nella stragrande mag-gioranza dei casi i decisori erano i figli o i coniu-gi; ciò significa che ogni anno un numero elevatis-simo di parenti più o meno prossimi prendonodecisioni al posto degli anziani ricoverati, peral-tro decisioni di grandissima importanza come ilproseguimento di una procedura rianimatoria, ilmodo di curare o intervenire chirurgicamente, seistituzionalizzare o meno il paziente.

Tale procedura urta contro alcuni presuppostinormativi fondamentali in quanto “il consensoinformato” costituisce un presupposto di liceità diqualsiasi atto medico, esso deve essere necessaria-mente libero, specifico, manifesto, revocabile,attuale e personale ossia solo espresso dal sogget-to interessato, senza possibilità di sostituzionedella sua volontà con quella, ad esempio, deiparenti, al di fuori dei casi di soggetti sprovvistidella capacità di agire e sottoposti, pertanto, airegimi della potestà genitoriale o della tutela ocomunque previsti dalla legge.

Nel nostro Paese non esiste ancora una disci-plina organica in materia di consenso informatoma esso compare molto chiaramente in alcunefonti che ne sanciscono l’obbligatorietà per alcuneattività sanitarie.

La sua valenza sia etica che giuridica è stataposta in luce dalla Consulta che ne ha determina-to la rilevanza costituzionale definendola come“espressione della consapevole adesione al trattamentosanitario proposto dal medico”, nonché “vero e propriodiritto della persona”. Esso trova fondamento neiprincipi espressi dall'articolo 2 della nostraCostituzione, che tutela e promuove i diritti fon-damentali della persona, e negli articoli 13 e 32sempre della Costituzione, i quali stabiliscono,rispettivamente, che “la libertà personale è inviolabi-le” e che “nessuno può essere obbligato ad un determi-nato trattamento sanitario se non per disposizione dilegge”, come gli accertamenti e trattamenti sanita-ri obbligatori, trattamento delle malattie infettive

e diffusive, ecc. In particolare l’articolo 32 della Costituzione

Italiana così recita: “La Repubblica tutela la salutecome fondamentale diritto dell’individuo e interessedella collettività, e garantisce cure gratuite agli indi-genti. Nessuno può essere obbligato a un determinatotrattamento sanitario se non per disposizione di legge.La legge non può in nessun caso violare i limiti impo-sti dal rispetto della persona umana”.

L'art. 33 del codice di deontologia dispone che“il medico deve fornire al paziente la più idonea infor-mazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospetti-ve e sulle eventuali alternative diagnostico terapeuti-che e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate”,mentre l'articolo 35 così dispone: “il medico nondeve intraprendere attività diagnostica e/o terapeuticasenza l'acquisizione del consenso esplicito ed informa-to del paziente. E infine, in ogni caso, in presenza didocumentato rifiuto di persona capace, il medico devedesistere dai conseguenti atti diagnostici e o curativi,non essendo consentito alcun trattamento medico con-tro la volontà della persona”.

Tale problematica va affrontata urgentementesia in ambito tecnico con medici e giuristi, sia alivello legislativo, proprio per evitare lesività per ipazienti e ripercussioni sugli operatori sanitari siain ambito civile che penale.

Alexia M. Torke, MD et al.: Scope and Outcomes ofSurrogate Decision Making Among HospitalizedOlder Adults JAMA Intern Med Pubblicato online il20 gennaio 2014.

NUOVI ANTICOAGULANTI ORALIIl panorama dei nuovi anticoagulanti orali si

amplia con una nuova molecola; presentato alCongresso dell’American Heart Association del2013 ( Studio ENGAGE AF-TIMI 48 - EffectiveAnticoagulation with Factor Xa Next Generationin Atrial Fibrillation ), l’edoxaban, inibitore diret-to del fattore Xa, si aggiunge al dabigatran, riva-roxaban ed apixaban.

È stato utilizzato in uno studio randomizzato,in doppio cieco, double-dummy condotto su21.105 pazienti in 1393 centri di 46 paesi e messoa confronto con il warfarin per verificarne la noninferiorità nella prevenzione dell’ictus cerebrale agenesi cardioembolica in soggetti affetti da fibril-lazione atriale, con un follow-up mediano di 2,8anni.

L’end point primario di efficacia era rappre-sentato dall’ictus o embolia sistemica, mentre

291

GERIATRIA NEL MONDO

a cura di:A. Zanatta, A. Galanti, D. Fidente

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l’end point di sicurezza era il sanguinamentomaggiore. Lo studio costituito da tre bracci di con-fronto: edoxaban a 30 e 60 mg/die e warfarin.

L’incidenza di ictus è stata 1,18 %/anno neipazienti trattati con 60 mg/die di edoxaban vs 1,5%/anno nel gruppo trattato con warfarin ( HR0,79; 97,5% CI 0,63-0,99, p<0,001 risultato signifi-cativo per la non inferiorità ) e 1.61% nel gruppoedoxaban a basso dosaggio ( 30 mg/die ) ( HR1,07; 97,5 CI 0,87-1,31, p=0,005 significativo per lanon inferiorità ma con meno evidenza statistica ).

Edoxaban ha inoltre dimostrato di ridurre leemorragie intracraniche in maniera statisticamen-te significativa ( p<0.001) del 46% quando sommi-nistrato a 60 mg e del 67% per il dosaggio di 30mg/die rispetto a warfarin. In conclusione i datipiù rilevanti dello studio ENGAGE AF-TIMI 48hanno dimostrato la non inferiorità dell’edoxabanrispetto al warfarin nella prevenzione dell’ictusnella fibrillazione atriale ad entrambe le dosi ( con60 mg/die l’edoxaban tende ad essere più efficacedel warfarin ). L’ictus emorragico e la mortalitàcardiovascolare sono stati entrambi significativa-mente inferiori per edoxaban rispetto a warfarincon entrambi i dosaggi con una riduzione dram-matica delle emorragie cerebrali.

Giuliani RP et al.: N Engl J Med 2013; 369: 2093-104.

IL RUOLO DELLA DETERMINAZIONE DEILIVELLI DEL pro – BNP E BNP NELLOSCOMPENSO CARDIACO DELL’ANZIANO

La sempre maggiore diffusione di test ematicidi facile esecuzione, in grado di diagnosticare,monitorare la progressione o guidare il trattamen-to di una patologia ha permesso al medico di cor-sia di valorizzare in questi anni il ruolo del dosag-gio del BNP nello scompenso cardiaco, compresala disfunzione diastolica. In particolare il valorepredittivo negativo dei livelli di BNP è risultatoparticolarmente utile per poter fare diagnosi diesclusione di scompenso cardiaco e ridurre i costidi gestione del paziente ricoverato nei reparti diGeriatria, consentendo di iniziare un trattamentoper diagnosi alternative, come BPCO e polmoniti.

Il BNP viene prevalentemente secreto a livellodei ventricoli cardiaci, in risposta ad un aumentodello stiramento o della tensione di parete delventricolo sinistro. Si tratta cioè di una sorta diormone di "riserva", che si attiva solo dopo unprolungato stress di parete dovuto a sovraccaricodi volume. In quel momento i miociti cardiaci ini-ziano a secernere il pro-BNP, un precursore delBNP.

Dopo essere stato secreto nei ventricoli , il pro-BNP viene trasformato in una porzione attiva eduna N-terminale (NT- pro BNP) inattiva. Un eco-cardiogramma permette di confermare il sospetto

di scompenso cardiaco sulla base della misurazio-ne della frazione di eiezione quale indicatore dellafunzione cardiaca. Tuttavia per chi opera neireparti di Geriatria, non va dimenticato che nelpaziente anziano e in particolare in quelli di sessofemminile, la funzione sistolica il più delle volte èpreservata e lo scompenso cardiaco è su base dia-stolica. Di seguito riportiamo sinteticamente leevidenze di utilità diagnostica riguardo al BNP.

I livelli di BNP aumentano indipendentemen-te o meno dalla presenza di una disfunzione sisto-lica. Una serie di studi indicano un maggiorlivello di accordo tra i livelli di BNP e le variabilidi valutazione dello scompenso cardiaco che com-prendono anche quello diastolico, rispetto ai casiin cui vengono utilizzati solo i valori di valutazio-ne di funzione sistolica, (naturalmente in quei casidove non vi fossero differenze di altro tipo tra glistudi). I dati ricavati indicano quindi che l'ecocar-diogramma dovrebbe essere eseguito in tutti ipazienti anziani per confermare la diagnosi discompenso cardiaco, tranne che in quelli con ilriscontro di bassi livelli di BNP e pro-BNP, alta-mente efficace nell'escludere la presenza di scom-penso cardiaco (CHF) in concentrazioni inferioririspettivamente di 100 e 400 pg/mL. (1). Inoltre èemerso che i livelli medi di BNP e di NT-pro BNPsono più elevati nelle donne rispetto agli uominied aumentano con l'età. Altro dato dimostrato inpazienti over-75 con scompenso cardiaco, è l'au-mento del rischio di morte o di eventi cardiova-scolari associato a elevati livelli di BNP (valorisuperiori a 100 pg/mL di BNP si correlano ad unaumento del 35% di rischio di morte). In partico-lare meglio predice mortalità a 1 anno e/o riospe-dalizzazione tra i pazienti anziani ospedalizzatiper insufficienza cardiaca (2). Mentre non è anco-ra chiaro il suo ruolo come predittore di autcomea lungo termine.

Per quanto concerne la monitorizzazione dellaterapia, il test è utile a breve termine (3); neglianziani con insufficienza cardiaca cronica, primache siano completati ulteriori studi randomizzatie controllati, appare al momento prematuro utiliz-zare il monitoraggio dei livelli di BNP per valuta-re l’efficacia del trattamento della malattia a lungotermine.

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292 Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 6 Novembre/Dicembre

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Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 6 Novembre/Dicembre 293

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Page 46: ROMA 15 17 MAGGIO 2014 - GERIATRIA – Rivista Novembre... · e Pubblicità Fotocomposizione ... Rosa Maria Mereu (Cagliari) Salvatore Raffa (Roma) Barbara Rosso (Torino) Domenico

294 Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 6 Novembre/Dicembre

interesse, presentare lo stato delle conoscenze sull’ar-gomento, analizzare le differenti opinioni sul problematrattato, essere aggiornato con gli ultimi dati della let-teratura. Sono ammesse 25 pagine di testo dattiloscrit-to e 100 citazioni bibliografiche.

caso clinico. Descrizioni di casi clinici di particolareinteresse. Sono ammesse 8 pagine di testo e 30 citazio-ni bibliografiche. L’articolo deve essere suddiviso nel -le sezioni: introduzione, caso clinico, discussione, con-clusioni.

preparazione dei lavoriI lavori inviati devono essere dattiloscritti con spaziodue, su una sola facciata (circa 28 righe per pagina) econ margini laterali di circa 3 cm. Gli Autori devonoinviare 3 copie complete del lavoro (un originale e duefotocopie) e conservare una copia dal momento che idattiloscritti non verranno restituiti. Le pagine vannonumerate progressivamente: la pagina 1 deve contene-re il titolo del lavoro; nome e cognome degli Autori;l’istituzione ove il lavoro è stato eseguito; nome, indi-rizzo completo di C.A.P. e telefono dell’Autore alquale dovrà essere inviata ogni corrispondenza.Nella pagina 2 e seguenti devono comparire un rias-sunto e le parole chiave in inglese; il riassunto deveessere al massimo di 150 parole.Nelle pagine successive il testo del manoscritto dovràessere così suddiviso:Introduzione, breve ma esauriente nel giustificare loscopo del lavoro.materiali e metodi di studio: qualora questi ultimirisultino nuovi o poco noti vanno descritti dettagliata-mente.risultati.discussione.conclusioni.Bibliografia: le voci bibliografiche vanno elencate enumerate nell’ordine in cui compaiono nel testo e com-pilate nel seguente modo: cognome e iniziali dei nomidegli Autori in maiuscolo, titolo completo del lavoro inlingua originale, nome abbreviato della Rivista comeriportato nell’Index Medicus, anno, numero del volu-

me, pagina iniziale e finale. Dei libri citati si deve indi-care cognome e iniziali del nome dell’Autore (o degliAu tori), titolo per esteso, nome e città dell’editore,anno, volume, pagina iniziale e finale.tabelle: vanno dattiloscritte su fogli separati e devonoessere contraddistinte da un numero arabo (con riferi-mento dello stesso nel testo), un titolo breve ed u nachiara e concisa didascalia.didascalie delle illustrazioni: devono essere prepara-te su fogli separati e numerate con numeri arabi corri-spondenti alle figure cui si riferiscono; devono conte-nere anche la spiegazione di eventuali simboli, frecce,numeri o lettere che identificano parti delle illustrazio-ni stesse.Illustrazioni: tutte le illustrazioni devono recar scrittosul retro, il numero arabo con cui vengono menzionatenel testo, il cognome del primo Autore ed una frecciaindicante la parte alta della figura. I disegni ed i grafici devono essere eseguiti in nero sufondo bianco o stampati su carta lucida ed avere unabase minima di 11 cm per un’altezza massima di 16cm.Le fotografie devono essere nitide e ben contrastate.Le illustrazioni non idonee alla pubblicazione sa rannorifatte a cura dell’Editore e le spese sostenute sa rannoa carico dell’Autore.I lavori accettati per la pubblicazione diventano di pro-prietà esclusiva della Casa editrice della Rivista e nonpotranno essere pubblicati altrove senza il permessoscritto dell’Editore.I lavori vengono accettati alla condizione che non sianostati precedentemente pubblicati.Gli Autori dovranno indicare sull’apposita scheda, chesarà loro inviata insieme alle bozze da correggere, ilnumero degli estratti che intendono ricevere e ciò avràvalore di contratto vincolante agli effetti di legge.Gli articoli pubblicati su gerIatrIa sono redattisotto la responsabilità degli Autori.

N.B.: I lavori possono essere inviati via e-maila [email protected] oppure perposta su cd o pen drive salvati in word.