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Dipartimento di Scienze Economiche, Matematiche e Statistiche
Università degli Studi di Foggia
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COMMERCIO INTERNAZIONALE E AMBIENTE: UN’ANALISI A LIVELLO
PROVINCIALE
Myriam Anna Scaringelli
Quaderno n. 06/2011
“Esemplare fuori commercio per il deposito legale agli effetti della legge 15 aprile 2004 n. 106” Quaderno riprodotto dal Dipartimento di Scienze Economiche, Matematiche e Statistiche
nel mese di ottobre 2011 e depositato ai sensi di legge.
Authors only are responsible for the content of this reprint.
_______________________________________________________________________________ Dipartimento di Scienze Economiche, Matematiche e Statistiche, Largo Papa Giovanni Paolo II, 1,
71121 Foggia (Italy), Phone +39 0881-75.37.30, Fax +39 0881-77.56.16
COMMERCIO INTERNAZIONALE E AMBIENTE: UN’ANALISI A LIVELLO PROVINCIALE
Myriam, Anna Scaringelli1
Facoltà di Economia, Università di Foggia Largo Papa Giovanni Paolo II n°1
71100 Foggia, Italia
ABSTRACT By using Italian provincial level data, this paper aims to examine the effects of environmental regulation on international trade flows. The empirical analysis has been organized into two steps. Firstly, we have classified the manufacturing sectors in “clean” and “dirty” according to their air emissions. Secondly we have identified the kind of productive specialization in these sectors of each province. The econometric analysis - executed by using data panel technique - has highlighted that a stricter environmental regulation determines a loss of competitiveness in the production of the pollution intensive goods and, as consequence, an increase of imports from foreign countries. In this way we support the evidence of “pollution haven hypothesis” at decentralized level. Keywords: Environmental Regulation, Trade, Comparative Advantage, Pollution Haven Hypothesis
JEL Classification: F18, L51, L60, Q53, Q56
1 Dipartimento di Scienze Economiche, Matematiche e Statistiche, Università degli Studi di Foggia. Si ringraziano vivamente Filippo Reganati (Università di Roma «La Sapienza») e Rosanna Pittiglio (Seconda Università degli Studi di Napoli) per i preziosi consigli e suggerimenti. email: [email protected]
2
1 Introduzione
La considerevole espansione dei flussi commerciali verificatasi negli ultimi anni e, contestualmente,
l’aumento del degrado ambientale, ha suscitato un notevole interesse da parte dei policymakers sulla
relazione tra commercio e ambiente e, in particolare, sul ruolo della regolamentazione ambientale nella
determinazione della specializzazione produttiva dei paesi che si aprono agli scambi internazionali.
Il crescente interesse per questo tema deriva dall’osservazione di alcuni fatti stilizzati. Nel periodo
1990-2007, le esportazioni mondiali sono cresciute del 296 per cento, e solo nei paesi OCSE, la
variazione è stata di più 237 pp., mentre le importazioni sono aumentate del 287 per cento a livello
globale e del 245 per cento nell’area OCSE. Contestualmente, anche il livello dell’inquinamento e il
consumo di energia sono aumentati notevolmente: nello stesso periodo, le emissioni di anidride
carbonica e il consumo di energia sono aumentati del 36 per cento a livello globale mentre nell’area
OCSE le stesse grandezze sono aumentate del 15 e del 23 per cento2 (World Bank, 2010).
Sebbene in Italia si sia verificato, come per il resto del mondo, un aumento dei flussi commerciali, – le
esportazioni e le importazioni nazionali hanno mostrato un incremento di 179 e di 183 pp. (World
Bank, 2010) – nello stesso periodo (1990-2007) si è registrato un miglioramento della qualità
ambientale, riconducibile principalmente all’introduzione di un sistema regolatore più rigido
conseguente all’adesione alle più importanti convenzioni ambientali su scala internazionale3: le
emissioni di ossidi di zolfo (SOX) e del monossido di carbonio (CO) si sono ridotte rispettivamente
dell’81 e del 71 per cento mentre gli ossidi di azoto (NOX), i composti organici non metanici
(COVNM) e l’ammoniaca (NH3) sono diminuiti rispettivamente del 4, del 38 e del 10 per cento
(ISTAT, 2009).
Se da una parte, la maggiore preoccupazione riguarda il conseguente aumento del degrado ambientale
determinato dall’incremento sproporzionato dei flussi commerciali, dall’altra parte, non trascurabili
saranno anche gli effetti dei numerosi accordi in tema ambientale in termini di competitività per i paesi
specializzati nella produzione di beni inquinanti.
In un quadro così complesso, la relazione tra commercio e ambiente è stata analizzata sotto due punti
di vista: il primo riguarda gli effetti che il commercio internazionale esercita sull’ambiente, studiati in
letteratura principalmente attraverso la curva di Kuznet ambientale e l’effetto di composizione (Shafik,
1994; Grossman e Krueger, 1993 e 1995; Hilton e Levinson, 1998; Dean, 2002; Copeland e Taylor,
2 La IEA (International Energy Agency) e l’OECD (Organization for Economic Co-operation and Development), dichiarano che le emissioni di tutti i gas serra sono all’incirca raddoppiate dai primi anni settanta al 2005 e che, solo le emissioni di anidride carbonica, sono incrementate dell’ottanta per centro tra il 1970 e il 2004. 3 L’Italia, come altri paesi industrializzati, ha aderito ad importanti accordi per la tutela ambientale come la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (1992), il Protocollo di Kyoto (1997), il Protocollo di Aarhus (1998), il Protocollo di Goteborg (1999) e la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti (2001).
3
2003; Frankel, 2003; Cole, 2004; Costantini, 2006b; Brajer et al., 2008)4. Il secondo punto di vista
riguarda invece la relazione tra regolamentazione ambientale e vantaggi comparati e la stretta
dipendenza degli effetti del commercio sull’ambiente dal modello di specializzazione di ciascun paese
e dalle sue determinanti (Pethig, 1976; Siebert et al. 1980; McGuire 1982; Xu, 1999, 2000a, 2000b;
Cole e Elliott, 2003; Ederington e Minier, 2003; Kahn, 2003; Copeland e Taylor 1994, 2003; Grether e
de Melo, 2004; Busse, 2004; Mulatu et al., 2004; Cole et al., 2005b; Levinson e Taylor, 2008).
A riguardo, l’analisi sul ruolo della regolamentazione ambientale e della dotazione fattoriale nella
determinazione dei vantaggi comparati ha dato origine alla formulazione di due ipotesi contrastanti: la
Pollution Haven Hypothesis (PHH) (Pethig, 1976; Siebert et al. 1980; McGuire 1982; Copeland e
Taylor 1994, 1995, 2003) e la Factor Endowments Theory (FET) (Markusen, 1997; Cole e Elliott,
2005; Chao e Yu, 2004; Kellemberg, 2008) 5. Le due ipotesi identificano, rispettivamente, il livello
relativo della regolamentazione ambientale e la dotazione fattoriale di capitale e lavoro quali
determinanti dei vantaggi comparati; di conseguenza conducono a previsioni contrastanti su quale
paese, si specializza nella produzione intensiva di inquinamento.
Questo lavoro si propone di esaminare in che modo la regolamentazione ambientale impatta sulla
distribuzione dei vantaggi comparati. L’analisi, eseguita per il caso Italia, è stata effettuata a livello di
provincia per l’industria manifatturiera6, relativamente al periodo 1995-2000-2005. A riguardo, i
settori dell’industria manifatturiera sono stati suddivisi in dirty e clean - step indispensabile per
analizzare la PHH attraverso i modelli standard del commercio internazionale - con riferimento alle
emissioni di sostanze inquinanti all'origine di alcuni dei problemi ambientali relativi all’atmosfera,
considerati prioritari ormai in tutte le sedi nazionali e internazionali: il cambiamento climatico, il
4 Il commercio internazionale influisce sull’ambiente principalmente attraverso l’effetto di scala, l’effetto tecnologico e l’effetto di composizione. Quest’ultimo, il più importante, si riferisce alla presenza di vantaggi comparati di un paese rispetto ai suoi concorrenti. Una prima forma di vantaggi comparati si evidenzia in caso di diversa dotazione di capitale e lavoro. Poiché le industrie pericolose sono di solito capital intensive, i paesi con un’alta dotazione relativa di capitale rispetto alla forza lavoro si specializzeranno tendenzialmente verso produzioni più inquinanti, mentre i Paesi con un rapporto capitale/lavoro basso si specializzeranno nelle produzioni più pulite (tipicamente considerate meno capital-intensive). Tale teoria è stata definita da Copeland e Taylor (2004) la factor endowments theory (FET). Una seconda forma di vantaggi comparati invece dipende dalla diversa dotazione di risorse naturali. Paesi con un’elevata dotazione relativa di risorse naturali si specializzeranno nello sfruttamento di tali risorse per l’esportazione di risorse primarie o per la produzione di beni ad alto contenuto di tali risorse. In questo caso, l’assegnazione di diritti di proprietà certi, rendendo meno remunerativo lo sfruttamento delle risorse, assume un ruolo fondamentale per una maggiore conservazione nel futuro. Al riguardo, esistono diversi approcci in letteratura per analizzare le interazioni tra commercio internazionale e gestione delle risorse naturali (Chichilnisky, 1994; Brander e Taylor, 1997 e 1998; Hotte e al., 2000; Karp e al., 2001; Ferreira, 2007; Jinji, 2007). Un’ultima forma di vantaggi comparati deriva da una differente regolamentazione ambientale. In tal caso, l’effetto della liberalizzazione commerciale sul livello di degrado ambientale dipende strettamente dai vantaggi comparati (che i paesi godono nella produzione di beni inquinanti), che sono legati alla presenza o meno delle istituzioni che impongono una regolamentazione ambientale alle imprese. In quest’ultimo caso, il ruolo della regolamentazione ambientale nella determinazione del modello di specializzazione diventa critico nel determinare le conseguenze ambientali di una maggiore liberalizzazione commerciale. 5 La factor endowments theory (FET) è conosciuta anche come la capital-labour hypothesis (KLH). 6 Il manifatturiero è, infatti, il primo settore tra le attività produttive che, maggiormente, contribuiscono alle emissioni d’inquinanti: in Italia, nel 2006, solo l’industria manifatturiera ha generato il 27,1 per cento delle emissioni complessive di gas ad effetto serra, il 18,6 per cento del totale, nel caso dell’acidificazione e il 23,8 per cento per il fenomeno della formazione dell’ozono troposferico (ISTAT, 2009).
4
fenomeno dell’acidificazione, la formazione dell’ozono troposferico e il fenomeno di
bioaccumulazione da metalli pesanti7. Il contributo principale del lavoro è quello di analizzare l’effetto
che la regolamentazione ambientale ha sui flussi commerciali per le province italiane, per cui, a mia
conoscenza, non è stata condotta alcuna analisi simile in precedenza8. Attraverso un’analisi
disaggregata a livello provinciale, si vuole dimostrare che, sebbene gli standard ambientali siano
uniformi a livello nazionale, le condizioni locali ne influenzano il monitoraggio e l’imposizione, e, di
conseguenza, l’effettivo “costo ambientale” per ciascun’area.
Il lavoro è organizzato come segue. Dopo una breve rassegna della letteratura teorica ed empirica sulla
relazione tra politica ambientale e modello di specializzazione, riportata nel secondo paragrafo, la
terza sezione fornisce la classificazione dell’industria manifatturiera e una breve descrizione del
campione analizzato. Il modello econometrico sarà l’oggetto del quarto paragrafo. Infine, l’ultimo
paragrafo conclude.
2 Rassegna della letteratura teorica ed empirica
Dagli anni settanta in poi, si è sviluppato un consistente numero di modelli teorici (Pethig, 1976;
Siebert et al., 1980; McGuire, 1982; Rauscher, 1997; Copeland e Taylor, 1994, 2003 e 2004) in linea
con le teorie standard del commercio internazionale che hanno analizzato l’impatto della politica
ambientale nazionale sulla struttura commerciale e il fenomeno di pollution haven 9. Il primo modello
è quello di Pethig (1976) il quale, assumendo il framework proposto da Ricardo e includendovi la
variabile ambientale, mostra come i vantaggi comparati siano determinati solo dalla diversa
regolamentazione ambientale. In accordo con Pethig (1976), sono i lavori di Siebert et al. (1980) e
McGuire (1982) che, sebbene adottino il modello di H-O, concludono che se due paesi sono
perfettamente identici, tranne che per le imposte ambientali, il paese dotato di una regolamentazione
ambientale più debole, si specializza nella produzione di beni ad alto inquinamento, sfruttando i
vantaggi comparati che derivano dai minori costi legati ad una meno rigida (o assente)
regolamentazione ambientale; viceversa, il paese che ha una regolamentazione ambientale più severa,
avrà un vantaggio comparato nei beni a minore impatto ambientale.
7 Per i riferimenti normativi attuati dall’Italia per ciascun tema ambientale, si veda la Tabella A5 in Appendice. 8 Mongelli et al. (2006) è l’unico lavoro per l’Italia che analizza la relazione tra commercio e ambiente a livello settoriale, con risultati controversi. Gli autori hanno osservato, attraverso un’analisi di tipo input-output, il trend delle esportazioni nette nel periodo 1991-2001 tra l’Italia e i paesi in via di sviluppo per i settori a più alta intensità di energia e di carbone. 9 Pethig (1976) utilizza il modello Ricardiano in cui i paesi differiscono solo per le intensità esogene di emissione e mostra che i paesi con una politica più debole esporteranno i beni inquinanti; McGuire (1982), Copeland e Taylor (1994, 2003 e 2004) introducono un fattore regolatore di produzione, quale l’ambiente, nel modello di H-O.
5
A differenza degli originari modelli di pollution haven presentati, Copeland e Taylor (1994), invece,
sviluppano un primo modello con politica ambientale endogena, in cui l’ambiente è considerato un
bene di lusso e i governi implementano una regolamentazione ambientale più stringente nel Nord
rispetto al Sud. L’adozione di differenti politiche ambientali crea le basi per il commercio (una
regolamentazione ambientale più o meno flessibile può attribuire vantaggi o svantaggi comparati in
beni intensivi di inquinamento). L’ipotesi alla base del modello di Copeland e Taylor (1994) è la
divisione del mondo in due sole regioni: il Nord che comprende i paesi ad alto reddito e con una
regolamentazione ambientale più rigida, si specializza nella produzione ed esportazione di beni a
minor impatto ambientale, e il Sud, che rappresenta i paesi a basso reddito e con regolamentazione
ambientale più debole, che si specializza nella produzione ed esportazione di beni inquinanti.
Attraverso questo semplice modello statico Nord-Sud, gli autori esaminano la relazione tra reddito
nazionale, inquinamento e commercio internazionale, nel caso di paesi piccoli che si aprono al
commercio internazionale. Il loro maggiore contributo è stato quello di introdurre, tra i fattori che
spiegano il processo di formazione della politica ambientale, la domanda interna di beni ambientali,
strettamente dipendente dal livello di reddito pro-capite (in tal caso si suppone che siano i Paesi poveri
a implementare una regolamentazione ambientale più debole e a specializzarsi nella produzione di
beni inquinanti10). Se due paesi differiscono solo per il loro reddito pro capite, i paesi più ricchi
avranno degli standard ambientali più rigidi11. In tal caso, l’apertura al commercio internazionale
potrebbe creare una situazione di pollution haven nel paese più povero. Nonostante quella di Copeland
e Taylor (1994) sia una delle prime indagini teoriche riguardo agli effetti della liberalizzazione
commerciale sull’ambiente, il loro modello ignora completamente l’effetto della politica ambientale
sulle ragioni di scambio, cioè non considera il caso in cui la politica ambientale sia utilizzata come uno
strumento di politica commerciale12. La maggior parte della letteratura sulla relazione tra commercio e
ambiente, si è interrogata sulle premesse fatte nell’analisi originale di Copeland e Taylor (1994)
fornendo nuovi sviluppi alla teoria della PHH13. Questi studi possono essere convogliati in due filoni.
10La disuguaglianza di reddito è una determinante della domanda interna di beni ambientali e quindi dell’adozione di diverse politiche ambientali. Si ritiene che ad un più alto livello di reddito, i problemi ambientali, per di più lontani nello spazio e nel tempo, diventano eventualmente rilevanti, ma tipicamente ciò accade solo dopo un certo avanzamento nello stadio di sviluppo economico. Il grado di elasticità della “domanda di qualità ambientale” rispetto al reddito è fondamentale anche per spiegare il ruolo della pressione dell’opinione pubblica riguardo agli interventi di politica volti a ridurre l’inquinamento e quindi il processo di determinazione della politica ambientale. 11 Xu (2000a e 2000b) mostra empiricamente che la relazione tra reddito pro capite e rigidità ambientale è positiva e molto significativa. Attraverso l’analisi dei coefficienti di correlazione di Spearman tra l’indice di rigidità ambientale e indicatori di reddito pro capite, l’autore suggerisce che i paesi ad alto reddito tendono ad implementare una politica ambientale più rigida. 12 Copeland e Taylor (1994) giustificano questo limite attraverso l’assunzione del “paese piccolo”, cioè attraverso l’esistenza di un elevato numero di paesi, tutti troppo piccoli perché possano manipolare le ragioni di scambio attraverso l’utilizzo della politica ambientale. 13 Michida e Nishikimi (2007) individuano alcune ragioni per le quali il modello proposto da Copeland e Taylor (1994) non è direttamente applicabile. Gli autori definiscono il modello criticato il “common pollutant model” ossia il modello in tutte le industrie emettono gli stessi inquinanti. Tale ipotesi non permette di considerare il caso in cui le imprese emettano inquinanti caratteristici di un settore e poiché la regolamentazione ambientale
6
Il primo filone, riguarda quei lavori che si sono sviluppati intorno al ruolo svolto dalle differenze di
reddito nella determinazione del modello di commercio e che contribuisce alla spiegazione
dell’andamento ad U rovesciata della curva di Kuznets ambientale (EKC)14 (Shafik, 1994; Grossman e
Krueger, 1993 e 1995; Hilton e Levinson, 1998; Dean, 2002; Copeland e Taylor, 2003; Frankel, 2003;
Cole, 2004; Costantini, 2006b; Brajer et al., 2008).
Il secondo filone di letteratura (Barrett, 1994; Rauscher, 1994; Ulph, 1996; Ludema e Wooton, 1997;
Bigano, 1997; Tanguay, 2001; Abrego et al., 2001; Huang e Labys, 2001; Haupt, 2006; Straume,
2006; Yanase, 2007) analizza invece il rapporto tra commercio internazionale e politica ambientale
attraverso lo studio del comportamento strategico dei governi e delle imprese, sviluppando modelli di
teoria dei giochi sia cooperativi sia non cooperativi15.
L’assunzione alla base dei risultati del modello di Copeland e Taylor (1994), oggetto di altre critiche, è
che i vantaggi comparati sono determinati solamente dagli standard ambientali. Un approccio
alternativo, adottato dagli stessi autori quasi un decennio più tardi (Copeland e Taylor, 2003), è quello
di includere le differenze della dotazione fattoriale come fattore determinante del vantaggio
comparato, assumendo che tali effetti possano facilmente dominare le differenze indotte dalla politica
ambientale. Il modello congiunto della PHH e della FET di Copeland e Taylor (2003), che include le
differenze sia delle dotazioni fattoriali sia della regolamentazione ambientale (dipendente dalla
disuguaglianza del reddito), contiene due casi limiti: il modello canonico di commercio internazionale
può essere destinata a specifici settori, il “common pollutant model” non spiega come tale regolamentazione influenzi la produzione industriale e le emissioni. 14 Gli effetti del reddito sono rilevanti nell’analisi degli effetti del commercio sull’ambiente. Il commercio, come la crescita, contribuisce ad incrementare il reddito reale dei paesi ma crea anche un effetto di composizione che è critico per la determinazione degli effetti sull’ambiente. La relazione tra politiche ambientali e commercio è spesso analizzata includendo anche la crescita economica, proprio per evidenziare il ruolo esercitato dal reddito sulla domanda di qualità ambientale e quindi sugli interventi dei governi. La curva di Kuznets ambientale (EKC) descrive proprio la relazione tra crescita economica e degrado ambientale. La sua letteratura è importante perché il commercio e la crescita potrebbero contribuire a migliorare l’ambiente. Se la qualità ambientale è un bene normale, l’aumento di reddito, determinato sia dal commercio sia dalla crescita, determinerebbe un aumento della domanda di qualità ambientale e un miglioramento della capacità dei governi di effettuare maggiori investimenti in protezione ambientale. Il modello della curva di Kuznets ambientale (EKC) mostra come il grado d’inquinamento tenda solitamente ad aumentare in corrispondenza di bassi livelli di reddito, fino a raggiungere un punto di massimo, oltre il quale si ha un’inversione di tendenza e una riduzione del degrado in corrispondenza di redditi elevati (Costantini, 2006a). 15Nella letteratura sull’utilizzo strategico della politica ambientale, sono stati utilizzati diversi approcci. Oltre alla distinzione tra giochi cooperativi e non cooperativi, altri modelli si sono invece sviluppati determinando la politica commerciale e ambientale attraverso giochi simultanei (Maestad, 1998; Abrego et al., 2001; Duval e Hamilton, 2002), o quelli sequenziali (Haupt, 2006; Barcena-Ruiz, 2006; Yanase, 2007); altri (Kayalica e Lahiri, 2005) analizzano il livello di equilibrio degli standard di emissioni inquinanti quando i governi agiscono in presenza di investimenti diretti esteri. Un’altra differenza che solitamente è considerata in letteratura è la presenza (Tanguay, 2001; Duval e Hamilton, 2002; Yanase, 2007; Lai e Hu, 2008) o assenza (Walz e Wellish, 1997; Haupt 2006) di esternalità ambientale a livello internazionale, ossia quando il danno ambientale prodotto in un paese si trasferisce in altri paesi o è limitato all’interno del paese stesso. Un altro aspetto importante riguarda la distinzione tra le esternalità derivanti dalla produzione dei beni (Haupt, 2006) e quelle derivanti invece dal consumo (Ludema Wooton, 1994; Haupt, 2000; Yanase, 2007; Lai e Hu, 2008). Infine, un comportamento strategico può essere adottando non solo dai governi, ma anche dai produttori. Ad esempio, Ulph (1996) estende la letteratura sulla politica ambientale strategica, ammettendo un comportamento strategico non solo dei governi ma anche dei produttori, attraverso gli investimenti in R&S.
di Heckscher-Ohlin-Samuelson (HOS) che si verifica quando le intensità di emissioni sono esogene e
identiche tra i paesi, e il semplice modello di
cui i paesi sono identici tranne che per la regolame
Figura 1: I “Pollution Haven Models”
La Fig.1 sintetizza la letteratura teorica sviluppatasi intorno alla PHH, evidenziando i casi in cui può
emergere la situazione di pollution haven.
La letteratura empirica sulle interazioni tra regolamentazione ambientale e commercio internazionale,
invece, può essere convogliata in tre filoni. Un primo filone comprende le analisi condotte a livello di
paese (Wilson et al., 2001; Harris
studi che hanno riguardato i paesi dell’area OCSE
country (Harris et al., 2002; Cole
livello di settore, per gli Stati Uniti, (Cole
altri paesi (Mulatu et al., 2004; Levinson e Taylor, 2008; Cole e Elliott, 2005).
include le analisi sia a livello di settore
principalmente gli Stati Uniti
de Melo, 2004), ma anche altre aree integrate, quale
Blomquist, 2008) o gruppi di paesi quali
Dal punto di vista metodologico, invece, la letteratura ha adottato principalmente due approcci. Un
primo approccio ha utilizzato equazioni di tipo gravitazionale, caratterizzando quei lavori definiti
Introduzione della variabile ambientale nel modello di
REGOLAMENTAZIONE
AMBIENTALE
=
VARIABILE ESOGENA
(Versione statica del modello di commercio)
(Pethig, 1976; Sieberte al., 1980; McGuire, 1982)
LIVELLI di REDDITO (
ENVIRONMENTAL KUZNETS CURVE
(Grossman&KruegerCopeland&Taylor
7
Samuelson (HOS) che si verifica quando le intensità di emissioni sono esogene e
identiche tra i paesi, e il semplice modello di pollution haven di Copeland e Taylor (1994), nel caso in
cui i paesi sono identici tranne che per la regolamentazione ambientale.
“Pollution Haven Models”
La Fig.1 sintetizza la letteratura teorica sviluppatasi intorno alla PHH, evidenziando i casi in cui può
pollution haven.
La letteratura empirica sulle interazioni tra regolamentazione ambientale e commercio internazionale,
invece, può essere convogliata in tre filoni. Un primo filone comprende le analisi condotte a livello di
, 2001; Harris et al., 2002; Cole et al., 2005b). All’interno di questi, individuiamo
i paesi dell’area OCSE, o gruppi di paesi quali i developed
, 2002; Cole et al., 2006). In un secondo filone, sono convogliate le anali
gli Stati Uniti, (Cole et al., 2005b; Ederington e Minier, 2003; Kahn, 2003), o per
, 2004; Levinson e Taylor, 2008; Cole e Elliott, 2005).
analisi sia a livello di settore sia a livello di paese. Tali studi hanno riguardato
principalmente gli Stati Uniti (Tobey, 1990; Xu, 1999, 2000a, 2000b; Cole e Elliott, 2003; Grether e
), ma anche altre aree integrate, quale l’Unione Europea (Jug e Mirza, 2005; Cave e
ist, 2008) o gruppi di paesi quali i developed e/o developing country (Busse, 2004)
Dal punto di vista metodologico, invece, la letteratura ha adottato principalmente due approcci. Un
primo approccio ha utilizzato equazioni di tipo gravitazionale, caratterizzando quei lavori definiti
POLLUTION HAVEN HYPOTHESISIntroduzione della variabile ambientale nel modello di Heckscher-Ohlin
REGOLAMENTAZIONE AMBIENTALE =
VARIABILE ENDOGENA(fattori che spiegano il processo di formazione della politica ambientale)
(Copeland&Taylor, 1994)
DIFFERENZE NEI LIVELLI di REDDITO Copeland&Taylor, 1994)
ENVIRONMENTAL KUZNETS CURVE
Grossman&Krueger, 1993&1995; Copeland&Taylor, 2003; Dean, 2002;
Brajer&al., 2008)
POLITICA AMBIENTALE E
COMPORTAMENTI STRATEGICI
(Barrett, 1994; Ulph, 1996;
Ludema&Wooton, 1997;
Tanguay, 2001;
Huang&Labys, 2001;
Haupt, 2006; Yanase,2007)
Samuelson (HOS) che si verifica quando le intensità di emissioni sono esogene e
di Copeland e Taylor (1994), nel caso in
La Fig.1 sintetizza la letteratura teorica sviluppatasi intorno alla PHH, evidenziando i casi in cui può
La letteratura empirica sulle interazioni tra regolamentazione ambientale e commercio internazionale,
invece, può essere convogliata in tre filoni. Un primo filone comprende le analisi condotte a livello di
, 2005b). All’interno di questi, individuiamo
developed e/o developing
, 2006). In un secondo filone, sono convogliate le analisi a
, 2005b; Ederington e Minier, 2003; Kahn, 2003), o per
, 2004; Levinson e Taylor, 2008; Cole e Elliott, 2005). Un ultimo filone
sia a livello di paese. Tali studi hanno riguardato
(Tobey, 1990; Xu, 1999, 2000a, 2000b; Cole e Elliott, 2003; Grether e
l’Unione Europea (Jug e Mirza, 2005; Cave e
(Busse, 2004).
Dal punto di vista metodologico, invece, la letteratura ha adottato principalmente due approcci. Un
primo approccio ha utilizzato equazioni di tipo gravitazionale, caratterizzando quei lavori definiti
Ohlin
REGOLAMENTAZIONE AMBIENTALE
(fattori che spiegano il processo di formazione della politica ambientale)
;
,2007)
MODELLI CONGIUNTI FET e PHH
(dotazione fattoriale e regolamentazione
ambientale)
(Antweiler&al., 2001; Copeland&Taylor, 2003 e 2004)
8
“gravity studies” (Van Beers e Van den Bergh, 1997; Xu, 1999 e 2000; Harris et al. 2002; Grether e de
Melo, 2004; Jug e Mirza, 2005; Cave e Blomquist, 2008), nei quali i flussi commerciali dipendono
dall’offerta del paese esportatore, dalla domanda del paese importatore (entrambe misurate dal PIL o
dalla popolazione), dalla rigidità della regolamentazione ambientale dei paesi e da alcune misure “di
attrito” al commercio come la distanza tra i paesi. La maggior parte dei risultati ottenuti dai gravity
studies non supporta la PHH (Van Beers e van den Bergh, 1997; Xu, 1999, 2000a; 2000b; Harris et
al., 2002; Kahn, 2003; Levinson e Taylor, 2008). Ad esempio, Van Beers e van den Bergh (1997)
analizzano l’impatto della regolamentazione ambientale (misurata attraverso una combinazione di più
indicatori basati sulla performance ambientale) sui flussi di commercio bilaterale di beni inquinanti
per una cross-section di 21 paesi dell’OCSE nel 1992, rigettando l’ipotesi di un effetto positivo sulle
importazioni ed un effetto negativo sulle esportazioni. Anche Harris et al. (2002) analizzano il
possibile impatto della regolamentazione relativa alla domanda e al consumo di energia sui flussi
bilaterali di commercio estero attraverso un modello gravitazionale. Il loro modello stima un panel di
24 paesi dell’OCSE nel periodo tra il 1990 al 1996. Gli autori dimostrano come le misure della rigidità
ambientale non sembrano rilevanti per il modello di commercio. Xu (1999 e 2000) analizza la struttura
commerciale di beni ambientali nel settore manifatturiero di 20 paesi industrializzati che hanno
adottato una maggiore tutela ambientale negli anni ‘70 e ‘80 relativamente all’aria, all’acqua, al suolo
e allo sfruttamento delle risorse naturali. I risultati ottenuti rilevano che non ci sono stati effetti
rilevanti sui flussi commerciali. Mani e Wheeler (1997) e Cave e Blomquist (2008) giungono, invece,
a conclusioni non univoche. Il primo lavoro, quello di Mani e Wheeler (1997), analizza l’impatto della
regolamentazione ambientale - per l’aria, l’acqua e per le sostanze tossiche - sui flussi commerciali di
tre gruppi di paesi dell’Asia, relativamente a tre decenni, dagli anni settanta agli anni novanta16. Il
secondo studio, quello di Cave e Blomquist (2008), osserva l’impatto dell’intensità di energia e di
sostanze tossiche dell’industria manifatturiera sulle importazioni nell’Unione Europea, nel periodo
1970-1999.
Un secondo approccio nasce, dall’introduzione delle differenze della regolamentazione ambientale al
tradizionale modello di commercio internazionale di Heckscher-Ohlin (Tobey, 1990; Ederington e
Minier, 2003; Mulatu et al., 2004; Busse, 2004; Levinson e Taylor, 2008)17. In particolare, con questa
metodologia un indicatore di attività economica18 (quali flussi commerciali o movimenti di capitale)
viene regredito su un certo numero di variabili, rappresentati principalmente dalla dotazione fattoriale
16 I tre gruppi di paesi sono così definiti: il primo, Newly Industrialising Economies (NIE), comprende Hong Kong, Singapore, Corea, Taiwan; il secondo, Developing East Asia (DEA), include Malaysia, Indonesia, Tailandia, Filippine e Cina; infine, il South Asia (SA), comprende India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka. 17 Alcuni autori, come Tobey (1990), hanno utilizzato il modello di Hecksher-Ohlin-Vanek (HOV). 18 Gli studi che hanno adottato questa metodologia possono essere convogliati in due filoni, secondo l’indicatore dell’attività economica utilizzato. Mentre il primo filone di studi ha utilizzato principalmente indicatori basati sui flussi commerciali (Van Beers e van den Bergh, 1997; Harris et al., 2002; Ederington e Minier, 2003; Kahn, 2003; Cole e Elliott, 2003; Cole et al.,2005; Cole et al.,2010), il secondo ha adottato come misure di attività economica, gli investimenti diretti esteri (Xing e Kolstad, 2002; Wagner e Timmins, 2009; MacDermott, 2009; Keller e Levinson, 2002; Eskeland e Harrison, 1997; List e Co, 2000; Smarzynska e Wei, 2001; Cole e Elliott, 2005; Waldkirch e Gophinat, 2008).
9
del paese o del settore considerato (misurate attraverso l’intensità di capitale e di lavoro), dalla rigidità
della regolamentazione ambientale, dalla presenza di barriere commerciali e da altri regressori atti a
catturare la componente tecnologica quali le spese di ricerca e sviluppo.
Tabella 1: Lavori empirici sulla Pollution Haven Hypothesis Autori Paesi e Anni Settori economici Variabile
dipendente Variabile indipendente
principale (regolamentazione
ambientale)
Metodologia
Nessuna evidenza per l’esistenza della Pollution Haven Hypothesis Van Beers e van den Bergh (1997)
21 paesi OCSE (1975; 1992)
Totali e dirty Flussi di commercio bilaterali
Combinazione di più indicatori output-
oriented
Modello gravitazionale
Harris, Kónya e Mátyás (2002)
24 paesi OCSE (1990-1996)
N/A Importazioni totali bilaterali e
importazioni di dirty industries
sei misure di rigidità ambientale basate sulla domanda e consumo di
energia
Modello gravitazionale
Cole e Elliott (2003)
60 paesi developed e
developing (1995)
Ferro e Acciaio, chimica, carta e pasta da carta, metalli non
ferrosi
Esportazioni nette totali
Due misure di rigidità ambientali basate
sull’intensità di energia
Modello tradizionale di H-O con variabile
ambientale
Grether e de Melo (2004)
52 paesi (1981-1998)
3-digit SIC industrie classificate come
dirty o clean
Vantaggi comparati rivelati,
commercio bilaterale
Indice di emissione per unità di output
Modello tradizionale di H-O con variabile
ambientale
Cole, Elliott e Shimamoto (2005)
USA (1978-1994)
96 tre-digit SIC industrie
manifatturiere
Vantaggi comparati rivelati, esportazioni nette, indice di Michaely
Costi operativi di protezione ambientale
per unità di valore aggiunto
Modello tradizionale di H-O con variabile
ambientale
Costantini e Crespi (2008)
148 paesi (inclusi i paesi OCSE) (1996-2005)
Tecnologie per le energie rinnovabili e risparmio energetico
(HS 1996)
Esportazioni bilaterali
Quattro misure di rigidità ambientale
Modello gravitazionale
Kahn (2003) USA (1958 -1994)
4-digit SIC industrie manifatturiere
classificate come dirty o clean
Importazioni nette bilaterali
Indice di consumo energetico e l’indice
Toxic Release Inventory (TRI)
Modello gravitazionale
Xu (2000) 1960s;1970s; 1980s; 1990s
Environmentally sensitive goods
Esportazioni bilaterali
Indicatori ambientali della World Bank
Modello gravitazionale
Evidenza per l’esistenza della Pollution Haven Hypothesis Ederington e Minier (2003)
USA (1978-1992)
4-digit SIC industrie manifatturiere
Importazioni nette totali
Costi di abbattimento e spese di protezione
ambientale
Modello tradizionale di H-O con variabile
ambientale
Mulatu, Florax e Withagen (2004)
Germania (1975-1992), Olanda (1972-1992) e
USA (1973-1991)
9 due-digit SIC industrie classificate come dirty o clean
Esportazioni nette totali
Capitale investito per la protezione e il controllo
ambientale
Modello tradizionale di H-O con variabile
ambientale
Jug e Mirza (2005)
EU 15 e Europa Centrale e Orientale
(1996-1999)
9 due-digit SIC industrie classificate come dirty o clean
Importazioni e importazioni
relative bilaterali
Spese ambientali correnti come percentuale della
produzione
Modello gravitazionale
Cole, Elliott e Okubo (2010)
Giappone 1989–2003
41 industrie manifatturiere
Importazioni nette Costi per lo smaltimento dei rifiuti
Misura della presenza di regolamentazione ambientale
a livello settoriale
Modello tradizionale di H-O con variabile
ambientale
Risultati misti Mani e Wheeler (1997)
Asia (1970-1995) industria manifatturiera
Rapporto tra importazioni ed
esportazioni
Regolamentazione relativa all’aria, all’acqua e alle sostanze tossiche
Analisi descrittiva
Cave e Blomquist (2008)
Unione Europea (1970-1999)
2-digit industria manifatturiera
Importazioni bilaterali
Indice di consumo energetico e l’indice
Toxic Release Inventory
Modello gravitazionale
Tra i lavori a sostegno della PHH troviamo quello di Ederington e Minier (2003), che analizzano la
correlazione tra indicatori di rigidità ambientale e flussi commerciali relativi alle industrie
10
manifatturiere presenti negli USA dal 1978 al 1992, rivelando la tendenza ad implementare una
regolamentazione più rigorosa sulle imprese importatrici e una più debole sulle imprese esportatrici.
A sostegno della PHH c’è anche lo studio condotto da Mulatu et al. (2004), che, invece, analizza i dati
dell’industria manifatturiera durante il periodo 1977-1992, oltre che per gli Stati Uniti, anche per la
Germania e l’Olanda e mostra come i modelli di commercio di beni ad alto impatto ambientale siano
determinati congiuntamente dalle relative dotazioni fattoriali e dalla differenza nella rigidità della
regolamentazione ambientale. Levinson e Taylor (2008) qualche anno dopo analizzano i flussi
commerciali tra USA, Canada, Messico per 130 industrie manifatturiere dal 1977 al 1986, trovando
come le industrie subiscono un incremento delle importazioni nette, a seguito dei maggiori dei costi di
abbattimento. Anche il più recente Cole et al. (2010) rileva come, nel periodo 1989-2003, la presenza
della regolamentazione ambientale a livello settoriale (e quella relativa allo smaltimento dei rifiuti) sia
statisticamente significativa sulle importazioni nette del Giappone dal Resto del Mondo, dai paesi non-
OCSE e dalla Cina ed evidenziando come sia maggiore l’impatto della protezione ambientale se i
flussi commerciali riguardano paesi in via di sviluppo.
Diversamente dai precedenti lavori, Grether e de Melo (2004) non rilevano alcun effetto della
regolamentazione ambientale (misurato attraverso le emissioni per unità di output) sui flussi
commerciali osservati tra 22 paesi ad alto reddito e 30 paesi a medio-basso reddito, nel periodo 1981–
1998. Anche Cole e Elliott (2003), che, analizzando la relazione tra il consumo di energia e i flussi di
commercio intra-industriale tra paesi industrializzati nel periodo 1980-1995, non accertano la validità
della PHH.
La Tabella 1 riassume i principali lavori empirici, classificandoli in base ai risultati ottenuti e
mostrando i paesi oggetto di analisi, le metodologie impiegate e le principali variabili utilizzate. Come
si può notare, nonostante le differenti metodologie adottate, la maggior parte della letteratura empirica
(Van Beers e van den Bergh, 1997; Xu, 1999, 2000a, 2000b; Harris et al., 2002; Kahn, 2003; Cole e
Elliott, 2003; Grether e de Melo, 2004; Cole et al.,2005; Costantini e Crespi, 2008) non ha fornito un
valido supporto alla PHH19. Una delle principali cause di fallimento dell’evidenza empirica della PHH
riguarda la quantificazione della rigidità della regolamentazione ambientale: la mancanza e la
disponibilità di dati, soprattutto per paesi diversi dagli Stati Uniti, ha rappresentato una delle maggiori
difficoltà incontrate dall’analisi empirica. Inoltre, poiché i paesi differiscono per tante altre
caratteristiche, oltre alla politica ambientale, sarebbe altrettanto difficile individuare quali siano le
esatte determinanti dei vantaggi comparati20. I modelli di commercio, infatti, sono in parte determinati
19 L’incapacità di fornire un supporto convincente alla PHH, si è manifestata, oltre che per i flussi commerciali, anche quando l’analisi è stata condotta sulla scelta di localizzazione degli investimenti diretti esteri. 20 Un altro filone di letteratura, sviluppatosi intorno all’ipotesi formulata da Michael Porter e Claas van der Linde (1995), considera i fallimenti della PHH, validi per l’evidenza di un’altra ipotesi contraria: la Porter Hypotesis (Albrecht, 1998; Mulatu et al., 2001; Costantini e Crespi, 2008). Tale ipotesi si concentra sulle innovazioni tecnologiche che, stimolate da una politica ambientale più rigida, possono conferire nuovi vantaggi competitivi. Di conseguenza, gli investimenti in nuove tecnologie innovative potrebbero aumentare la produttività e perciò apportare vantaggi alle imprese dei paesi o regioni in cui tale regolamentazione è implementata (Porter e van der Linde, 1995; Simpson e Brandford, 1996; Ulph, 1996; Costantini e Crespi, 2008).
11
da fattori e tecnologie non direttamente osservabili che richiedono una complessa analisi statistica: il
fatto che i paesi industrializzati siano, comunque, i maggiori esportatori di beni inquinanti, suggerisce
che le differenze delle attività economiche non sono causate solo dalla politica ambientale.
Un’altra possibile causa può essere ricondotta al fatto che la letteratura empirica (Tabella 1) si è
occupata di analizzare la PHH principalmente a livello di paese e\o di settore, trascurando l’influenza
delle condizioni locali sull’imposizione e sul monitoraggio della politica ambientale.
Prendendo spunto da tale limite, con il presente lavoro si vuole proporre un’analisi disaggregata
usando informazioni a livello provinciale per rilevare gli effetti della regolamentazione ambientale
nella determinazione dei vantaggi comparati.
3 Metodologie di analisi
3.1 Classificazione delle dirty industries
La classificazione delle industrie in dirty e clean rappresenta uno step indispensabile per analizzare la
PHH attraverso il modello di teoria standard del commercio di H-O21. Seguendo Cole et al. (2005a),
calcoliamo l’intensità di emissioni (o d’inquinamento) dell’industria manifatturiera come il rapporto
tra le emissioni di alcuni inquinanti e il valore aggiunto22. In particolare, si è calcolata l’intensità
media di emissione per il solo settore manifatturiero, relativamente al periodo 1995-2006,
raggruppando 17 inquinanti per i seguenti quattro temi ambientali: Cambiamento climatico,
Acidificazione (o Piogge acide), Ozono troposferico e Bioaccumulazione da metalli pesanti. Per il
Cambiamento climatico si sono utilizzate le emissioni dei cosiddetti “gas ad effetto serra”, ossia
l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O).
Wagner (2003) fornisce una rassegna della letteratura sui modelli teorici e test empirici sulla Porter Hypothesis. Per alcuni modelli teorici si vedano i lavori di Ulph (1996), Simpson e Brandford (1996), Xepapadeas e de Zeeuw (1999), Mohr (2002), Ambec e Barla (2002), Alpay (2005), Andrè et al. (2009). Alcuni lavori empirici sono quelli di Albrecht (1998a e 1998b), Mulatu et al. (2001), Jaffe e Palmer, (1997); per studi empirici più recenti si veda Hamamoto (2006), Popp (2006a, 2006b), Costantini e Crespi (2008) e Lo´pez-Gamero et al. (2009). 21 Nella letteratura empirica sono stati utilizzati principalmente due approcci per la definizione delle dirty industries (o pollution intensive industries). Il primo approccio, più convenzionale, è quello che identifica le dirty industries con quei settori che hanno i costi di abbattimento dell’inquinamento più elevati (Tobey, 1990; Low e Yeats, 1992; Levinson, 1996; Grossman e Krueger, 1993; Xu, 1999; Smarzynska e Wei, 2001; Mulatu et al., 2004; Cole et al., 2005; Lu e Huang, 2008). Il secondo approccio, il più diretto, classifica i settori in base all’intensità delle loro emissioni (Hettige et al., 1995; Mani e Wheeler, 1997; Cole et al., 2005; Copeland e Taylor, 2004), rilasci tossici (Bommer e Schulze, 1999), o consumo di energia (Eskeland e Harrison, 1997; Xing e Kolstad, 2002; Kahn, 2003; Cave e Blomquist, 2008). 22 Cole et al. (2005a) calcolano l’intensità di emissioni (o d’inquinamento) dell’industria manifatturiera inglese come il rapporto tra l’emissione di alcuni inquinanti (SO2, NOX, Acid, CO, pm10 e CO2) e il valore aggiunto. Poiché l’intensità d’inquinamento potrebbe variare sia tra i settori sia tra gli inquinanti, una misura appropriata è quella che considera un numero maggiore di sostanze per i diversi fenomeni ambientali.
12
Tra i maggiori responsabili del fenomeno dell’Acidificazione, sono stati rilevati gli ossidi di azoto
(NOX), gli ossidi di zolfo (SOX) e l’ammoniaca (NH3). Per la formazione di Ozono troposferico si sono
sommate le emissioni del metano (CH4), degli ossidi di azoto (NOX), dei composti organici volatili
non metanici (COVNM) e del monossido di carbonio (CO).
Tabella 2: Intensità di emissioni e percentuale del valore aggiunto sul totale manifatturiero. Valori medi, 1995-2006.
Attività economiche
Intensità di emissione (1) Valore
Aggiunto Clima Piogge
Acide Ozono Metalli
Pesanti (2) 15-37 ATTIVITA' MANIFATTURIERE 100,0 674,5 2,6 6,0 5,3
15 Industrie alimentari e delle bevande 7,2 278,2 0,9 3,2 0,2
16 Industria del tabacco 0,4 82,8 0,3 0,2 0,0
17 Industrie tessili 5,4 792,1 2,2 2,2 0,5
18 Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura di pellicce
4,3 115,6 0,5 1,0 0,2
20 Industria del legno e dei prodotti in legno 2,6 207,2 0,9 6,6 0,2
19 Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti di cuoio, pelle e simili
3,1 163,0 0,7 8,7 0,2
21 Fabbricazione della pasta-carta, della carta e dei prodotti di carta
2,2 1024,1 0,6 1,1 0,1
22 Editoria, stampa e riproduzione di supporti registrati
4,0 151,4 0,4 3,1 0,1
23 Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei carburanti nucleari
1,9 5634,7 44,8 31,8 2,7
24 Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali
7,4 1040,5 3,6 6,1 0,9
25 Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche
4,4 281,4 0,8 2,3 0,6
26 Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi
5,6 3623,7 13,2 13,7 13,5
27 Produzione di metalli e loro leghe 3,6 2828,1 6,4 54,8 120,4
28 Fabbricazione e lavorazione dei prodotti di metallo, escluse macchine e impianti
12,5 53,9 0,3 2,9 0,1
29 Fabbricazione di macchine ad apparecchi meccanici, compresi l'installazione
12,8 134,2 0,4 1,6 0,2
30 Fabbricazione di macchine per ufficio, di elaboratori e sistemi informatici
0,4 48,8 0,1 0,8 0,1
31 Macchine ed apparecchi elettrici 3,1 92,8 0,4 1,6 0,4
32 Apparecchi radiotelevisivi e apparecchiature per le comunicazioni
2,0 57,3 0,1 0,7 0,1
33 Fabbricazione di apparecchi medicali, di apparecchi di precisione, di strumenti ottici
2,4 56,3 0,2 1,2 0,1
34 Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi
3,7 333,9 0,5 2,4 0,1
35 Fabbricazione di altri mezzi di trasporto 1,9 143,4 0,4 2,7 0,1
36 Fabbricazione di mobili 3,4 88,4 0,4 3,4 0,2
37 Recupero e riciclaggio 0,4 66,5 0,6 1,5 0,4
(1) L’intensità di emissione è misurata in tonnellate per milioni di euro di valore aggiunto per “Clima”, “Ozono” e “Piogge Acide”. (2) Le emissioni dei “Metalli Pesanti” sono misurate in chilogrammi. Fonte: ns. elaborazione dati ISTAT
Infine tra i metalli pesanti, propulsori della Bioaccumulazione, figurano l’arsenico (As), il cadmio
(Cd), il cromo (Cr), il mercurio (Hg), il nichel (Ni), il piombo (Pb), il rame (Cu), il selenio (Se) e lo
zinco (Zn). Inoltre, abbiamo distinto i settori in due categorie: dirty e clean. Osservando i valori medi
nel periodo 1995-2006 dell’intensità di emissione, le industrie che hanno riportato un’intensità di
emissione superiore alla media della distribuzione, sono state classificate come dirty; quelle con
un’intensità di emissione inferiore alla media, sono state identificate come clean.
13
La Tabella 2 presenta i risultati ottenuti per l’industria manifatturiera italiana; la classificazione
adottata per le attività economiche è la NACE Rev. 1.
Tabella 3: Ranking delle industrie manifatturiere italiane per intensità di emissioni (valore medio 1995-2006).
GAS SERRA ACIDIFICAZIONE OZONO TROPOSFERICO METALLI PESANTI
23 Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei carburanti nucleari
23 Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei carburanti nucleari
27 Produzione di metalli e loro leghe
27 Produzione di metalli e loro leghe
26 Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi
26 Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi
23 Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei carburanti nucleari
26 Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi
27 Produzione di metalli e loro leghe 27 Produzione di metalli e loro leghe 26 Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi
23 Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei carburanti nucleari
24 Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali
24 Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali
19 Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti di cuoio, pelle e simili
24 Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali
21 Fabbricazione della pasta-carta, della carta e dei prodotti di carta
17 Industrie tessili 20 Industria del legno e dei prodotti in legno
25 Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche
17 Industrie tessili 20 Industria del legno e dei prodotti in legno
24 Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali
17 Industrie tessili
34 Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi
15 Industrie alimentari e delle bevande
36 Fabbricazione di mobili 37 Recupero e riciclaggio
25 Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche
25 Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche
15 Industrie alimentari e delle bevande
31 Macchine ed apparecchi elettrici
15 Industrie alimentari e delle bevande 19 Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti di cuoio, pelle e simili
22 Editoria, stampa e riproduzione di supporti registrati
19 Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti di cuoio, pelle e simili
20 Industria del legno e dei prodotti in legno
37 Recupero e riciclaggio 28 Fabbricazione e lavorazione dei prodotti di metallo, escluse macchine e impianti
20 Industria del legno e dei prodotti in legno
19 Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti di cuoio, pelle e simili
21 Fabbricazione della pasta-carta, della carta e dei prodotti di carta
35 Fabbricazione di altri mezzi di trasporto
15 Industrie alimentari e delle bevande
22 Editoria, stampa e riproduzione di supporti registrati
18 Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura di pellicce
34 Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi
36 Fabbricazione di mobili
35 Fabbricazione di altri mezzi di trasporto 34 Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi
25 Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche
29 Fabbricazione di macchine ad apparecchi meccanici, compresi l'installazione, il montaggio, la riparazione e la manutenzione
29 Fabbricazione di macchine ad apparecchi meccanici, compresi l'installazione, il montaggio, la riparazione e la manutenzione
29 Fabbricazione di macchine ad apparecchi meccanici, compresi l'installazione, il montaggio, la riparazione e la manutenzione
17 Industrie tessili 18 Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura di pellicce
18 Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura di pellicce
36 Fabbricazione di mobili 31 Macchine ed apparecchi elettrici 28 Fabbricazione e lavorazione dei prodotti di metallo, escluse macchine e impianti
31 Macchine ed apparecchi elettrici 22 Editoria, stampa e riproduzione di supporti registrati
29 Fabbricazione di macchine ad apparecchi meccanici, compresi l'installazione, il montaggio, la riparazione e la manutenzione
34 Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi
36 Fabbricazione di mobili 35 Fabbricazione di altri mezzi di trasporto
37 Recupero e riciclaggio 33 Fabbricazione di apparecchi medicali, di apparecchi di precisione, di strumenti ottici e di orologi
16 Industria del tabacco 31 Macchine ed apparecchi elettrici 33 Fabbricazione di apparecchi medicali, di apparecchi di precisione, di strumenti ottici e di orologi
35 Fabbricazione di altri mezzi di trasporto
37 Recupero e riciclaggio 28 Fabbricazione e lavorazione dei prodotti di metallo, escluse macchine e impianti
21 Fabbricazione della pasta-carta, della carta e dei prodotti di carta
22 Editoria, stampa e riproduzione di supporti registrati
32 Apparecchi radiotelevisivi e apparecchiature per le comunicazioni
16 Industria del tabacco 18 Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura di pellicce
21 Fabbricazione della pasta-carta, della carta e dei prodotti di carta
33 Fabbricazione di apparecchi medicali, di apparecchi di precisione, di strumenti ottici e di orologi
33 Fabbricazione di apparecchi medicali, di apparecchi di precisione, di strumenti ottici e di orologi
30 Fabbricazione di macchine per ufficio, di elaboratori e sistemi informatici
30 Fabbricazione di macchine per ufficio, di elaboratori e sistemi informatici
28 Fabbricazione e lavorazione dei prodotti di metallo, escluse macchine e impianti
32 Apparecchi radiotelevisivi e apparecchiature per le comunicazioni
32 Apparecchi radiotelevisivi e apparecchiature per le comunicazioni
32 Apparecchi radiotelevisivi e apparecchiature per le comunicazioni
30 Fabbricazione di macchine per ufficio, di elaboratori e sistemi informatici
30 Fabbricazione di macchine per ufficio, di elaboratori e sistemi informatici
16 Industria del tabacco 16 Industria del tabacco
Fonte: ns. elaborazioni dati ISTAT
Nella prima colonna è riportato il valore aggiunto, in termini percentuali, di ciascun settore sul totale
manifatturiero; nelle altre sono riportate le intensità di emissione per i quattro temi ambientali. Per
ogni colonna, i sei valori più alti sono stati evidenziati in grassetto. Si può notare che l’industria più
inquinante è la Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei carburanti nucleari (23)
14
con un’intensità di emissione pari a 5634,7 tonnellate per milioni di valore aggiunto per il
Cambiamento Climatico.
La Tabella 3 riporta i settori del manifatturiero, ordinati in base all’intensità media di emissioni, per
ciascun tema ambientale. Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei carburanti
nucleari (23), Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (26), Produzione
di metalli e loro leghe (27) sono tra i sei settori più inquinanti per tutti i temi ambientali. Anche la
Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali (24), e le Industrie tessili (17)
compaiono tra i sei settori più inquinanti, eccetto che per la formazione dell’ozono troposferico. Altri
settori inquinanti sono la Fabbricazione della pasta-carta, della carta e dei prodotti di carta (21) per i
cambiamenti climatici; le Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti di cuoio, pelle e simili (19) e
l’ Industria del legno e dei prodotti in legno (20) per i propulsori dell’ozono troposferico; la
Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche (25) per le emissioni di metalli pesanti.
Tabella 4: Classificazione dei settori economici in dirty e clean per tema ambientale. Settore Economico Gas Serra
(valore medio = 783,3) Piogge Acide
(valore medio = 3,6) Ozono Troposferico (valore medio = 6,9)
Metalli Pesanti (valore medio = 6,4)
15 278,2 CLEAN 0,9 CLEAN 3,2 CLEAN 0,2 CLEAN
16 82,8 CLEAN 0,3 CLEAN 0,2 CLEAN 0,0 CLEAN
17 792,1 DIRTY 2,2 CLEAN 2,2 CLEAN 0,5 CLEAN
18 115,6 CLEAN 0,5 CLEAN 1,0 CLEAN 0,2 CLEAN
19 163,0 CLEAN 0,7 CLEAN 8,7 DIRTY 0,2 CLEAN
20 207,2 CLEAN 0,9 CLEAN 6,6 DIRTY 0,2 CLEAN
21 1024,1 DIRTY 0,6 CLEAN 1,1 CLEAN 0,1 CLEAN
22 151,4 CLEAN 0,4 CLEAN 3,1 CLEAN 0,1 CLEAN
23 5634,7 DIRTY 44,8 DIRTY 31,8 DIRTY 2,7 CLEAN
24 1040,5 DIRTY 3,6 DIRTY 6,1 DIRTY 0,9 CLEAN
25 281,4 CLEAN 0,8 CLEAN 2,3 DIRTY 0,6 CLEAN
26 3623,7 DIRTY 13,2 DIRTY 13,7 DIRTY 13,5 DIRTY
27 2828,1 DIRTY 6,4 DIRTY 54,8 DIRTY 120,4 DIRTY
28 53,9 CLEAN 0,3 CLEAN 2,9 CLEAN 0,1 CLEAN
29 134,2 CLEAN 0,4 CLEAN 1,6 CLEAN 0,2 CLEAN
30 48,8 CLEAN 0,1 CLEAN 0,8 CLEAN 0,1 CLEAN
31 92,8 CLEAN 0,4 CLEAN 1,6 CLEAN 0,4 CLEAN
32 57,3 CLEAN 0,1 CLEAN 0,7 CLEAN 0,1 CLEAN
33 56,3 CLEAN 0,2 CLEAN 1,2 CLEAN 0,1 CLEAN
34 333,9 CLEAN 0,5 CLEAN 2,4 CLEAN 0,1 CLEAN
35 143,4 CLEAN 0,4 CLEAN 2,7 CLEAN 0,1 CLEAN
36 88,4 CLEAN 0,4 CLEAN 3,4 CLEAN 0,2 CLEAN
37 66,5 CLEAN 0,6 CLEAN 1,5 CLEAN 0,4 CLEAN
Fonte: ns. elaborazioni dati ISTAT
15
Nella Tabella 4, invece, i diversi settori sono distinti in due categorie (clean e dirty) per ciascun tema
ambientale considerando i valori medi dell’intensità di emissione nel periodo 1995-2006. Più
precisamente, le industrie che hanno un’intensità di emissione superiore alla media della distribuzione,
sono classificate come dirty; quelle con un’intensità di emissione inferiore al valore medio, sono
identificate come clean.
3.2 Descrizione del campione
La maggior parte dei lavori (Tobey, 1990; Xu, 1999, 2000a, 2000b; Cole e Elliott, 2003 Mulatu et al.,
2004; Cole e Elliott, 2005; Levinson e Taylor, 2008; Cole et al., 2010) ha analizzato l’influenza della
regolamentazione ambientale sugli scambi commerciali tra paesi ad alto reddito e paesi a basso
reddito, concentrandosi solo sulle dirty industries (conducendo analisi a livello di paese o di settore)23.
Altri autori (Dion et al.,1997), invece, hanno dimostrato che, sebbene gli standard ambientali siano
uniformi a livello nazionale, le condizioni locali ne influenzano il monitoraggio e l’imposizione, e, di
conseguenza, l’effettivo “costo ambientale” per ciascuna area. L’Italia, infatti, ha registrato (e continua
a registrare) notevoli differenze territoriali dal punto di vista economico, storico, sociale e
istituzionale; ciò fa emergere la necessità di un’analisi disaggregata che tenga conto della diversità dei
sistemi locali per comprendere l’evoluzione dei flussi commerciali e della sensibilità delle imprese al
problema ambientale.
Già altri studi hanno analizzato la relazione commercio-ambiente a livello subnazionale, ma hanno
considerato paesi con estensioni considerevoli, quali gli Stati Uniti o la Cina (Dean, 2002; Chintrakarn
e Millimet, 2006). Al fine di costatare se la regolamentazione ambientale rappresenti la principale
fonte di svantaggi comparati per le province italiane, appare opportuno presentare una breve
descrizione del campione analizzato. La Tabella 5 fornisce un ranking delle 103 province italiane in
base alle importazioni nette, alla regolamentazione ambientale, all’intensità di capitale e al grado di
apertura. La prima colonna elenca le prime e le ultime 10 province a seconda delle importazioni nette,
le successive, invece, ordinano le province in base alla regolamentazione ambientale che è misurata
attraverso le emissioni di inquinanti per ciascun tema ambientale (come da paragrafo 3.2) e il consumo
di energia elettrica (colonne 2, 3, 4, 5 e 6). Come si può notare, c’è una cerca corrispondenza tra le
quattro misure di rigidità ambientale mentre non c’è alcuna correlazione tra le emissioni degli
inquinanti e il consumo di energia (colonna 6).
Inoltre, secondo le previsioni della PHH, le prime (ultime) dieci province sono le più (meno)
inquinanti, ossia le province in cui la regolamentazione ambientale è meno (più) rigida e le più (meno)
23 Nella misurazione quantitativa della regolamentazione ambientale uno dei problemi maggiormente riscontrati è la considerazione della composizione settoriale delle regioni. Keller e Levinson (2002) superano questa difficoltà costruendo un indice aggiustato, utilizzando la composizione settoriale di ciascuno stato (regione).
16
probabili a diventare delle pollution havens. Viceversa, per le prime dieci province più intensive di
capitale (colonna 7) il modello di specializzazione potrebbe essere determinato dalla dotazione di
capitale.
Tabella 5: Ranking delle 103 province italiane per importazioni nette, regolamentazione ambientale, intensità di capitale e grado di apertura
Rank NETIMP
(1) EMIGAS
(2) EMIACI
(3) EMIOZO
(4) EMIMET
(5) ENERGY
(6) KL (7)
OPEN (8)
TOP 10
1 Milano Isernia Isernia Isernia Isernia Cagliari Trieste Cagliari
2 Roma Pistoia Palermo Palermo Pistoia Taranto Gorizia Gorizia
3 Torino Palermo Pistoia Pistoia Palermo Siracusa Lodi Siracusa
4 Verona Cremona Cremona Cremona Varese Terni Massa Carrara Livorno
5 Livorno Varese Varese Varese Cremona Rimini Prato Milano
6 Latina Trieste Trieste Trieste Trieste Caltanissetta Biella Bolzano
7 Avellino Trento Trento Trento Brescia Livorno Lecco Arezzo
8 La Spezia Brescia Brescia Brescia La Spezia Trieste Sondrio Verona
9 Vercelli La Spezia La Spezia La Spezia Trento Sassari Livorno Rieti
10 Genova Campobasso Campobasso Campobasso Campobasso Brindisi Pistoia Trieste
BOTTOM 10
1 Ancona Arezzo Pescara Arezzo Arezzo Rovigo Caserta Reggio Calabria
2 Como Pescara Como Pescara Como Firenze Padova Ragusa
3 Firenze Cosenza Caserta Cosenza Sassari Palermo Bologna Vibo Valentia
4 Bologna Como Sassari Como Caserta Arezzo Trento Enna
5 Reggio Emilia Perugia Cosenza Perugia Perugia Pesaro Urbino Verona Catanzaro
6 Brescia Caserta Perugia Caserta Cosenza Bologna Bolzano Nuoro
7 Bergamo Caltanissetta Caltanissetta Caltanissetta Enna La Spezia Treviso Crotone
8 Vicenza Enna Enna Enna Caltanissetta Milano Napoli Agrigento
9 Treviso Verbania Verbania Verbania Verbania Roma Vicenza Cosenza
10 Modena Bergamo Bergamo Bergamo Bergamo Oristano Salerno Oristano
La Tabella 6, invece, riporta l’elenco delle sole province che presentano un indice di specializzazione
medio positivo per i maggiori settori inquinanti (tra cui il 23 e il 24, classificati inquinanti per i gas
serra, l’acidificazione e l’ozono troposferico, e i settori 26 e 27, inquinanti per tutti i temi ambientali).
Si può notare come tutte le province hanno un vantaggio comparato nel settore della Fabbricazione di
prodotti della lavorazione di minerali non metallifere (26); 85 sono le province specializzate nella
Produzione di metalli e loro leghe (27); 101 province hanno un indicatore maggiore di 1 nella
Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali (24); 66 nel settore della
Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei carburanti nucleari (23).
Infine, le Tabelle A3 e A4 in Appendice, riportano i valori medi negli anni 1995-2005 delle variabili
ambientali, mentre la Figure 1A mostra lo scatter tra le importazioni nette e le variabili di riferimento
per il verificarsi della PHH e della FET.
17
Tabella 6: Province con un indice di specializzazione medio positivo per i maggiori settori inquinanti e per tema ambientale (anni 1995-2000-2005)24.
Settori Specializzazione produttiva Clima Piogge acide Ozono Metalli 17 Tutte eccetto: Verbania, Bolzano, Padova,
Grosseto, Pesaro Urbino, Ascoli Piceno, Avellino, Foggia, Taranto, Lecce, Matera,
Cosenza, Reggio Calabria, Trapani, Caltanissetta, Nuoro, Cagliari
DIRTY CLEAN CLEAN CLEAN
19 Tutte eccetto: Asti, Como, Bergamo, Venezia, Padova, Forlì Cesena, Grosseto,
Perugia, Matera, Reggio Calabria, Catania, Nuoro, Oristano
CLEAN CLEAN DIRTY CLEAN
20 Palermo CLEAN CLEAN DIRTY CLEAN
21 Aosta, Genova, Pordenone, Pistoia, Pisa, Latina, Frosinone, Teramo, Caserta, Napoli, Avellino, Lecce, Cosenza, Trapani, Oristano
DIRTY CLEAN CLEAN CLEAN
23 Aosta, Varese, Como, Verona, Venezia, Padova, Parma, Bologna, Forlì Cesena, Pistoia, Terni, Pesaro Urbino, Viterbo, Teramo, Chieti, Campobasso, Isernia,
Caserta, Benevento, Salerno, Foggia, Bari, Taranto, Brindisi, Lecce, Potenza, Matera,
Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria, Crotone, Vibo Valentia, Trapani, Palermo,
Caltanissetta, Nuoro, Cagliari
DIRTY DIRTY DIRTY CLEAN
24 Tutte eccetto Cagliari ed Enna DIRTY DIRTY DIRTY CLEAN
25 Tutte CLEAN CLEAN DIRTY CLEAN
26 Tutte DIRTY DIRTY DIRTY DIRTY
27 Tutte eccetto: Aosta, Bergamo, Forlì Cesena, Perugia, Pesaro Urbino, Ascoli
Piceno, l’Aquila, Pescara, Caserta, Avellino, Bari, Matera, Cosenza, Crotone, Vibo
Valentia, Trapani, Sassari, Cagliari
DIRTY DIRTY DIRTY DIRTY
4 L’analisi econometrica
4.1 Il modello e le variabili
L’analisi diretta a testare la validità della PHH è stata eseguita introducendo la variabile ambientale al
tradizionale modello di commercio internazionale di H-O, come in letteratura (Ederington e Minier,
2003; Busse, 2004; Mulatu et al., 2004; Cole et al., 2005; Cole et al., 2010). In particolare, per testare
l’ipotesi secondo cui la regolamentazione ambientale sia fonte di svantaggi comparati, si propone una
variante del modello di Cole et al., (2010) che utilizza come indicatore dell’attività economica il
livello delle importazioni nette e lo esprime in funzione dell’intensità di capitale umano e fisico, della
regolamentazione ambientale e del grado di apertura internazionale: 24 Per quantificare il grado di specializzazione delle province italiane nell’industria manifatturiera, si è scelto di utilizzare, fra i numerosi indicatori di specializzazione produttiva disponibili, quello dei vantaggi comparati rivelati in termini di saldo commerciale normalizzato.
18
�������� = ������, �������� , ���� , ������ , �������� + ��� (1)
dove NETIMPit denota le importazioni nette nella provincia i e al tempo t (Harris et al.,2002;
Ederington e Minier, 2003; Kahn, 2003; Jug e Mirza, 2005; Cave e Blomquist, 2008), definita come le
importazioni meno le esportazioni (valori in euro, dati cumulati).
ENV è una proxy della rigidità della regolamentazione ambientale, la quale è calcolata utilizzando
indicatori del tipo output-oriented, ossia basati sul livello di emissioni di inquinanti (Van Beers e van
den Bergh, 1997; List, 2001; List et al., 2002; Xing e Kolstad, 2002; Grether e de Melo, 2004; Hanna,
2004; Millimet e List, 2004; MacDermott, 2006; MacDermott, 2009; Dean et al., 2009)25. Tale
metodologia consente di rilevare un aumento della protezione ambientale attraverso una riduzione
delle emissioni di sostanze inquinanti. In particolare, la regolamentazione ambientale a livello
provinciale, è misurata attraverso le emissioni dei 17 inquinanti derivanti da diverse fonti di emissioni,
riconducibili all’industria manifatturiera, ossia le emissioni le cui sorgenti sono rappresentare dai
macrosettori Combustione – Industria (03), Processi Produttivi (04), Estrazione, distribuzione
combustibili fossili/geotermico (05) e Uso di solventi (06) della classificazione SNAP 97. Una
relazione negativa tra il livello delle emissioni e le importazioni nette indica che le minori emissioni,
causate da una politica ambientale più rigida, influiscono positivamente sulla variabile economica,
ossia un aumento della protezione ambientale si traduce in una riduzione della produzione e in un
aumento delle importazioni. ENERGY indica l’intensità di energia per ciascuna provincia nel settore
manifatturiero. La variabile è misurata attraverso il consumo di energia elettrica sul valore aggiunto.
Alcuni autori (Mani e Wheeler, 1997; van Beers e van den Bergh, 1997; Eskeland e Harrison, 2003;
Kahn, 2003; Cave e Blomquist, 2008) hanno utilizzato come proxy della regolamentazione ambientale
(relativamente all’aria) il consumo di energia, dimostrando come i settori più inquinanti siano anche i
più intensivi di energia. Se la PHH è valida, i paesi in cui la regolamentazione ambientale diventa più
rigorosa possono aumentare le importazioni di beni inquinanti dai paesi con una regolamentazione
ambientale più permissiva.
25Il maggiore problema riscontrato nella verifica empirica della PHH, riguarda la scelta della misura della regolamentazione ambientale, determinato principalmente dalla mancanza di disponibilità di dati per la rigidità ambientale, soprattutto nel confronto tra i settori economici. Van Beers e van den Bergh (1997) classificano i vari indicatori utilizzati in letteratura in due gruppi: gli indicatori input-oriented e gli indicatori output-oriented. Mentre i primi sono basati sugli interventi “in entrata o a monte” dediti alla protezione ambientale (come ad esempio le spese pubbliche di ricerca e sviluppo o le spese correnti e gli investimenti per l’abbattimento e il controllo dell’ inquinamento), i secondi, utilizzano le emissioni di una o più sostanze inquinanti, riflettendo i risultati concreti della regolamentazione ambientale. Questi ultimi possono essere considerati come la migliore proxy di rigidità ambientale (rispetto agli indicatori input-oriented), sotto l’assunzione che una migliore performance ambientale è il risultato di una più rigida regolamentazione ambientale. Altri lavori (Van Beers e van den Bergh, 1997; Smarzynska e Wei, 2001; Busse, 2004; Costantini e Crespi, 2008) hanno, invece, misurato la regolamentazione ambientale attraverso la combinazione di variabili non osservabili (come il numero di accordi multilaterali ambientali firmati e ratificati dai paesi analizzati, o le osservazioni dell’applicazione delle leggi nazionali ed internazionali) con variabili quantificabili ed osservabili (quali le emissioni o le spese di protezione ambientale).
19
KL è, invece, il rapporto tra il capitale fisico e quello umano, definito come lo stock di capitale per
lavoratore26. OPEN misura il grado di apertura internazionale dato dal rapporto tra l’interscambio
complessivo e il PIL, calcolato ai prezzi base. Un valore dell’indicatore vicino a 1, indica un aumento
dell’intensità dei flussi commerciali, con le dotazioni fattoriali, reddito e prezzi mondiali costanti. La
riduzione delle barriere commerciali si traduce in un aumento dell’intensità dei flussi commerciali. Ne
consegue che, se una provincia ha un vantaggio comparato nei beni ad alto impatto ambientale, la
maggiore apertura agli scambi commerciale si traduce in un aumento delle importazioni nette.
Seguendo alcuni lavori empirici (Mulatu et al., 2004; Van Beers e van den Bergh, 1997; Xu, 2000a e
2000b) è stata introdotta nel modello la caratteristica ambientale, con lo scopo di cogliere
l’eterogeneità tra i settori, in termini di vulnerabilità a fronte di un aumento o una riduzione della
rigidità della regolamentazione ambientale. Tale caratteristica ambientale è misurata attraverso la
dummy DIRTY che assume valore pari a uno se il settore è dirty, zero, se è clean. I settori sono stati
classificati per ciascun tema ambientale, così come definiti nella Tabella 5 del paragrafo 3.2.
La relazione (1) prevede la trasformazione logaritmica nel modo seguente:
�� �������� = �� + �� + ��������� + ������������ + � ���� + �!������ + �"������� + ��� (2)
Nella (2), γ e τ sono gli effetti specifici individuali e temporali, e ε è l’usuale termine di errore. Tale
modello, stimato per 103 unità spaziali e 12 industrie manifatturiere, permette di verificare se i
vantaggi comparati, delle province italiane, dipendono dalla regolamentazione ambientale o
dall’intensità fattoriale. Relativamente alle emissioni in atmosfera, la variabile ENV è stata
disaggregata per tema ambientale (Gas Serra, Acidificazione, Ozono Troposferico e Metalli Pesanti).
L’equazione è stata stimata sia attraverso gli OLS sia attraverso gli effetti fissi (FEM) e gli effetti
casuali (REM). La descrizione delle variabili, la fonte statistica e il segno atteso sono indicati in
26 Il Censimento dell'Industria e dei Servizi (ISTAT), non fornisce informazioni sugli stock di capitale né a livello provinciale, né a livello regionale, ma solo informazioni sugli investimenti fissi lordi a livello regionale. Di conseguenza, in mancanza dei dati territoriali, abbiamo seguito la metodologia di Busse (2004) per calcolare lo stock di capitale KPROV a livello provinciale: si è rapportato lo stock di capitale totale su base regionale KREG per l’estensione territoriale di ciascuna provincia (misurata in superficie per km2). Al fine della determinazione dello stock di capitale fisico su base regionale, si è fatto, invece, ricorso al metodo dell’inventario permanente (Mora, 2002; Benhabib e Spiegel, 1994) Il metodo dell’inventario permanente consente di determinare lo stock di capitale fisico attraverso la seguente espressione:
ID t=(1-δ)ID t-1+GID t-1 (1)
In particolare, lo stock di capitale nel primo periodo, sarà determinato come:
ID0=GID0/(I+ δ) (2)
dove δ è il tasso di deprezzamento mentre I è il tasso di crescita logaritmico medio annuo della variabile GID (Investimenti fissi per branca proprietaria in Milioni di euro correnti). Il calcolo è stato eseguito usando dati relativi alla variabile capitale disponibili a partire dal 1995 ed un tasso di deprezzamento del 10%.
20
appendice (Tabella A1, in Appendice). Tutte le variabili sono state deflazionate sulla base dell’indice
dei prezzi alla produzione dell’ISTAT.
La Tabella 7 presenta le statistiche descrittive27. La relazione nella (2) è stimata per le 103 province
italiane28, negli anni 1995-2000-2005.
Tabella 7: Statistiche descrittive delle variabili Variable Obs Mean Std. Dev. Min Max
NETIMP 9357 -64580,29 2984823 -44500000 55100000
EMIGAS 101925 44,72 125,30 0,19 1194,48
EMIACI 101925 21,52 64,44 0,07 629,00
EMIOZO 101925 64,26 182,39 0,26 1749,89
EMIMET 101925 65,62 206,87 0,21 1978,92
ENERGY 9181 93,97 247,83 3,67 3250,44
KL 9357 0,78 1,91 0,01 21,54
OPEN 9357 70606,76 219921,4 0,00 12200000
4.2 I risultati dell’analisi
La Tabella 8 fornisce i risultati ottenuti dalle stime con il modello ad effetti fissi29. Da essa si può
notare come i coefficienti della variabile ENV non risultano significativi se si misura la
regolamentazione ambientale attraverso le emissioni dei gas serra e degli acidificanti (colonna 1 e 2).
27 La correlazione tra le variabili è disponibile su richiesta all’autore. 28 Come è noto, la numerosità delle province italiane è cambiata dal 1990 al 2000, passando dalle iniziali 95 alle 103 nel 2005. I dati sulle emissioni utilizzano la classificazione a 95 province per gli anni 1990 e 1995, mentre nel 2000 e nel 2005 quella a 103. Nei casi in cui erano disponibili indicatori o proxy nella classificazione a 103 province relativi anche al 1995 e al 1990, essi sono stati semplicemente sommati sulle province originarie. Viceversa, nel caso in cui le distribuzioni erano disponibili nella classificazione a 95 province, si è dovuto procedere alla disaggregazione del dato secondo i criteri resi espliciti nell’ Inventario. Per i flussi commerciali e i brevetti, gli indicatori sono già disponibili a 103 province per tutti gli anni. 29 Come in letteratura (Levinson e Taylor, 2001; Ederington e Minier, 2003; Mulatu et al., 2004; Cole et al., 2005) per la relazione (2) si utilizzano i tre stimatori più comuni: lo stimatore dei minimi quadrati ordinari (OLS, ordinary least squares) e gli stimatori del modello a effetti fissi e del modello a effetti casuali (rispettivamente FEM e REM). Tutte le stime sono state eseguite con il Test di White per l’eteroschedasticità. Le assunzioni alla base di questi stimatori sono piuttosto restrittive. Per lo stimatore OLS si assume che gli errori siano a media nulla, omoschedastici e non correlati con i regressori, ossia che ������ = 0 per ogni i e per ogni t, �����
� � = $� per ogni i e per ogni t, � %����&'( = 0 per ogni ) ≠ + o per ogni , ≠ -. In presenza di effetti individuali correlati con le variabili esplicative, però, il modello pooled è scorretto e le stime OLS sono distorte e inconsistenti. Lo stimatore OLS ignora infatti l’eterogenità tra gli individui rispetto alle caratteristiche inosservabili: ciò potrebbe rendere lo stimatore OLS distorto. Il risultato ottenuto dal test di Breusch e Pagan, indica che l’ipotesi di omoschedasticità è rifiutata e, quindi, che lo stimatore OLS è inefficiente. Inoltre, la scelta di trattare gli effetti individuali come fissi o come casuali, è determinata dal test di Hausman. I test di specificazione mostrano che il modello ad effetti fissi è preferibile sia al pooled sia al modello ad effetti casuali per tutte le stime. Ne consegue che il commento è limitato ai fixed effects, mentre i risultati ottenuti dai modelli OLS e REM sono riportati nella Tabella A6 in Appendice.
21
Al contrario, la regolamentazione ambientale ha un effetto negativo e significativo sulle importazioni
nette, nel caso dell’ozono troposferico con un livello di significatività del 5 per cento (colonna 3) e nel
caso delle emissioni di metalli pesanti, con l’1 per cento di significatività (colonna 4).
Tabella 8: Le determinanti delle importazioni nette per tema ambientale.
Variabili GAS SERRA (1) PIOGGE ACIDE (2)
OZONO TROPOSFERICO
(3)
METALLI PESANTI (4)
ln_ENV -0,376 -0,271 -0,301** -0,226***
(-1,55) (-1,19) (-2,50) (-2,66)
ln_ENERGY -1,304*** -1,310*** -1,309*** -1,321***
(-8,20) (-8,22) (-8,19) (-8,27)
ln_KL -3,780*** -3,767*** -3,816*** -3,719***
(-2,79) (-2,78) (-2,81) (-2,75)
ln_OPEN 1,030*** 1,032*** 1,025*** 1,037***
(141,31) (142,80) (139,11) (140,90)
DIRTY 0,032 -0,047 0,201*** -0,253***
(0,56) (-0,75) (3,48) (-3,45)
costante 13,784*** 11,915*** 12,676*** 11,502***
(3,37) (3,25) (5,31) (6,70)
Time dummies Sì Sì Sì Sì
N. Osservazioni 4643 4643 4643 4643
R-within 0,804 0,804 0,805 0,805
R-between 0,375 0,390 0,385 0,400
R-overall 0,680 0,0136 0,385 0,690
B-P test 10636,14 [0,000]
10537,97 [0,000]
10555,80 [0,000]
10878,34 [0,000]
***significativi all’1%; ** significativi all’5%; * significativi all’10% t-statistic in parentesi tonda; p-value in parentesi quadra Questi ultimi risultati rilevano che un aumento della regolamentazione ambientale, misurata attraverso
la riduzione delle emissioni in atmosfera, determina un aumento della despecializzazione produttiva
che si manifesta attraverso un aumento del livello delle importazioni nette fornendo validità della PHH
per le province italiane, in conformità ai risultati attesi e di altri lavori (Ederington e Minier, 2003;
Mulatu et al., 2004; Jug e Mirza, 2005; Cole et al., 2010). Risultati simili si ottengono nel caso in cui
la regolamentazione ambientale è misurata attraverso l’intensità di energia: la variabile ENERGY ha
un impatto negativo e significativo sui flussi commerciali, indicando come una riduzione dell’ 1 per
cento del consumo di energia elettrica determini un aumento circa del 73 per cento delle importazioni
nette in tutte e quattro le specificazioni del modello. Tale risultato, consistente con le previsioni della
PHH, indica che una più rigida regolamentazione ambientale è fonte di svantaggi comparati, ed è
conforme a quello atteso e ad alcuni precedenti lavori (Cave e Blomquist, 2008).
Per quanto riguarda le variabili economiche, le stime mostrano come l’intensità di capitale influisce
negativamente e significativamente sulle importazioni nette per tutte le specificazioni del modello,
così come da Cole et al. (2010), dimostrando che l’intensità di capitale è una determinante
22
fondamentale per i vantaggi comparati e che i settori più intensivi di capitale sono anche i settori
maggiormente inquinanti. Il segno negativo indicherebbe quindi che le province italiane, utilizzando
più forza lavoro rispetto al capitale, sono despecializzate nella produzione di beni inquinanti le cui
importazioni aumenterebbero.
Infine, anche il grado di apertura internazionale (OPEN) risulta significativo e positivo per l’indicatore
di commercio, per tutte e quattro le specificazioni del modello, in conformità con i risultati attesi e
quelli della letteratura (Ederington e Minier, 2003; Cole et al., 2005; Cole et al., 2010).
5 Conclusioni
Questo lavoro ha analizzato gli effetti del commercio internazionale sull’inquinamento
atmosferico, attraverso un modello che integra la teoria standard della dotazione fattoriale (FET) con
la Pollution Haven Hypothesis (PHH). Il modello è stato testato su base provinciale per l’industria
manifatturiera italiana, negli anni 1995, 2000 e 2005, relativamente ai settori ad alto impatto
ambientale per i fenomeni relativi all’inquinamento atmosferico. La variabile ambientale, cui si è fatto
riferimento nell’analisi, è stata misurata, infatti, attraverso le emissioni in atmosfera di sostanze
inquinanti all'origine di alcuni problemi ambientali considerati prioritari ormai in tutte le sedi nazionali
e internazionali quali il cambiamento climatico, l’aumento dell’ozono troposferico, il fenomeno
dell’acidificazione e la bioaccumulazione da metalli pesanti.
Inoltre, a differenza di altri lavori, nel modello è stata inclusa un’altra misura della regolamentazione
ambientale relativa al consumo di energia elettrica.
I risultati, ottenuti con il modello ad effetti fissi (FEM), mostrano che la regolamentazione ambientale
(misurata sia attraverso il livello delle emissioni, sia attraverso l’intensità di energia) ha determinato
una despecializzazione produttiva nelle province italiane, che si manifesta con un aumento delle
importazioni nette, a supporto della PHH.
Il fenomeno di PHH si manifesta attraverso l’aumento delle importazioni nette (che indicano la
despecializzazione) nei settori ad alto impatto ambientale, e, con più evidenza, con il trasferimento
delle produzioni inquinanti in paesi meno regolamentati. Un possibile sviluppo al presente lavoro
potrebbe riguardare l’analisi degli effetti della regolamentazione ambientale dei paesi partner sui flussi
commerciali delle province italiane.
Inoltre, si propone di arricchire il presente lavoro conducendo delle analisi di robustezza sui risultati,
sia sostituendo il modello, sia analizzando settori diversi dal manifatturiero, altrettanto inquinanti,
come il settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca (che nel 2006 ha contribuito per più del 41 per
cento alle emissioni complessive acidificanti) o il settore dell’energia elettrica, gas e acqua (che ha
23
prodotto il 26 per cento delle emissioni complessive di gas ad effetto serra e il 9,8 per cento delle
sostanze acidificanti).
24
APPENDICE A
TAB. A1. Descrizione delle variabili, fonte dei dati e segni attesi
Variabili Descrizione Fonte Segno atteso
NETIMP indicatore dell’attività economica misurato dalle importazioni nette.
Coeweb (ISTAT)
ENV (EMIGAS, EMIACI, EMIOZO, EMIMET)
Emissioni di inquinanti utilizzate come proxy di rigidità della regolamentazione ambientale.
Inventario Provinciale delle Emissioni in Atmosfera (ISPRA)
-
ENERGY Intensità di energia misurata attraverso il consumo di energia elettrica sul valore aggiunto.
Ufficio Statistico Terna Spa -
KL Intensità fattoriale calcolata come rapporto tra il capitale fisico e quello umano.
Censimento dell'Industria e dei Servizi (ISTAT) -
OPEN Grado di apertura internazionale dato dal rapporto tra l’interscambio complessivo e il PIL, calcolato ai prezzi base.
Coeweb (ISTAT) +
DIRTY Variabile dummy che misura l’intensità d’inquinamento settoriale e che assume valore pari a uno se il settore è dirty, zero se è clean.
Aggregati NAMEA +/-
La Tabella A1 definisce le variabili utilizzate nelle stime. La definizione delle fonti ed ulteriori
dettagli sul calcolo e sui segni attesi delle variabili sono riportati in seguito.
COEWEB – ISTAT: Istituto Nazionale di Statistica - Le statistiche del commercio estero forniscono
un ricco patrimonio informativo sui flussi commerciali dell'Italia con il resto del mondo dal 1991 ad
oggi.
ISPRA: Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca: Inventario Provinciale delle Emissioni in
Atmosfera. Tale banca dati fornisce informazioni sulle emissioni su base provinciale degli inquinanti e
dei gas serra, relativi a quattro anni (1990 – 1995 – 2000 – 2005)30. I dati riportati nell’inventario
dell’ISPRA non sono riconducibili direttamente alle attività economiche poiché la nomenclatura
utilizzata è la EMEP-CORINAIR (a livello europeo) che classifica le attività secondo la SNAP
(Selected Nomenclature for Air Pollution). Tale classificazione si basa sulle attività di formazione di
emissioni e sulla ripartizione delle attività antropiche e naturali in una struttura fortemente gerarchica
che comprende, nella versione ’97 (detta appunto SNAP 97), 11 macrosettori, 56 settori e 360
categorie (o attività). Per realizzare l’accostamento dei dati sulle emissioni con i dati economici è stato
necessario effettuare, per i primi, un passaggio dalla originaria classificazione per processo ad una
classificazione per attività economica (basata sulla Nace Rev. 1), utilizzando la tabella di
corrispondenza dell’EUROSTAT. Il passaggio dalla classificazione per processo alla classificazione 30 Per indicazioni più dettagliate sulla disaggregazione a livello provinciale dell’inventario nazionale delle emissioni, e in particolare sui dati utilizzati, sulle metodologie adottate e sulle stime prodotte, si veda il Rapporto n. 92/2009 dell’ISPRA: “La disaggregazione a livello provinciale dell’inventario nazionale delle emissioni. Anni 1990-1995-2000-2005”.
25
per attività economica avviene in due fasi. In una prima fase, si è proceduto all’associazione
qualitativa tra ciascun processo della classificazione SNAP 97 e le attività NACE Rev. 1. Ha seguito
l’allocazione quantitativa delle emissioni di ciascun processo SNAP 97 alle attività in cui il processo
ha luogo, identificate nella fase precedente. La Tabella A2 riporta la corrispondenza tra il codice
SNAP’ 97 e la classificazione NACE Rev1 per il settore manifatturiero.
TERNA SPA: Trasmissioni Elettricità Rete Nazionale. L’Ufficio Statistico Terna Spa fornisce dati
statistici sull’energia elettrica in Italia, più precisamente, raccoglie le serie storiche analitiche dei
consumi di energia elettrica dal 1977 al 2005 a livello nazionale, provinciale e regionale, disaggregati
per le classi di attività economica coerenti - nelle prime due cifre - alla classificazione Istat Ateco 91.
ISTAT: Istituto Nazionale di Statistica: Conti Economici-Conti Territoriali - Occupazione e valore
aggiunto nelle province. I set utilizzati sono quelli dei dati provinciali che comprendono le serie 1995-
2003 e 2001-2006 degli occupati interni e delle unità di lavoro dipendenti, indipendenti e totali; il
valore aggiunto a prezzi base espresso in valori correnti; i valori medi del valore aggiunto per unità di
lavoro e per abitante. Le analisi di branca si spingono alla disaggregazione a sei della classificazione
europea delle attività economiche NACE-Rev.1.1.
NAMEA: National accounting matrix including environmental accounts dell’ ISTAT fornisce dati
sulle emissioni a livello settoriale relative all’Italia, i quali sono stati adottati per il calcolo
dell’intensità d’inquinamento. L’Istat rende disponibili gli aggregati Namea per l'Italia per gli anni
1990-2006. Il conto satellite NAMEA consente di confrontare, secondo la metodologia dell’Eurostat,
gli aggregati economici di produzione, valore aggiunto, occupazione e consumi finali delle famiglie
con i dati relativi ad alcune pressioni che le attività produttive e di consumo esercitano sull'ambiente
naturale, in particolare: le emissioni di diciotto inquinanti atmosferici - anidride carbonica (CO2),
protossido di azoto (N2O), metano (CH4), ossidi di azoto (NOx), ossidi di zolfo (SOx), ammoniaca
(NH3), composti organici volatili non metanici (COVNM), monossido di carbonio (CO), particolato
(PM10), arsenico (As), cadmio (Cd), cromo (Cr), rame (Cu), mercurio (Hg), nichel (Ni), piombo (Pb),
selenio (Se) e zinco (Zn) – e i prelievi diretti di quattro tipi di risorse naturali vergini - vapore
endogeno, combustibili fossili, minerali, biomasse. La particolarità della NAMEA è che tale
metodologia contabilizza tutte, e soltanto, le emissioni causate dalle attività antropiche, escludendo
tutte le emissioni causate da fenomeni naturali. Inoltre, nella NAMEA le emissioni sono coerenti con
le definizioni degli aggregati riportati nel modulo economico: ciò consente il confronto tra gli
aggregati economici (produzione, valore aggiunto, occupazione e consumi finali delle famiglie) e i
dati relativi ad alcune pressioni ambientali esercitate dalle attività produttive e di consumo31. Poiché
per il calcolo dell’intensità di emissioni dei settori economici si considerano solo le emissioni derivanti
dalle attività produttive, sono state escluse le emissioni derivanti dai mezzi di trasporto personali,
riscaldamento e altre attività attribuibili alle famiglie.
31Rif. Note Metodologiche “Le emissioni atmosferiche delle attività produttive e delle famiglie. Anni 1990-2006”, (ISTAT).
26
APPENDICE B
TAB. A2: corrispondenza tra la classificazione Nace Rev 1 e la Snap’97 15- Industrie alimentari e delle bevande 040605 Pane 04 0606 Vino 040607 Birra 040608 Alcolici 060404 Estrazione di grassi e di oli alimentari e non 17- Industrie tessili 060312 Finiture tessili 19- Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti di cuoio, pelle e simili 060313 Conciature pelli 20- Industria del legno e dei prodotti in legno 040601 Cartone grigio 21- Fabbricazione della pasta-carta, della carta e dei prodotti di carta 030321 Industria cartiera (processi di essiccazione) 040602 Pasta per la carta (processo al solfato) 040603 Pasta per la carta (processo al solfito) 040604 Pasta per la carta (processi semi-chimico al solfito neutro) 22- Editoria, stampa e riproduzione di supporti registrati 060403 Industria della stampa 23- Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei carburanti nucleari 040101 Lavorazione di prodotti petroliferi 040102 Cracking catalitico a letto fluido (FCC) – caldaia (CO) 040103 Impianti di recupero zolfo 040105 Altro 050401 Terminali marittimi (navi cisterna, stoccaggio e trasporto) 050501 Stazione di distribuzione delle raffinerie 050502 Trasporto e deposito (eccetto 050503) 24- Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali 040401 Acido solforico 040508 Cloruro di polivinile 040509 Polipropilene 040510 Stirene 040511 Polistirene 040512 Stirene-butadiene 040513 Lattice stirene-butadiene 040514 Gomma stirene-butadiene (SBR) 040515 Resine acrilonitrile butadiene stirene (ABS) 040516 Ossido di etilene 040517 Formaldeide 040518 Etilbenzene 040519 Anidride ftalica 040520 Acrilonitrile 040521 Acido adipico 040522 Immagazzinamento e trasporto di prodotti chimici organici 040523 Acido gliossilico 040525 Produzione di pesticidi 040526 Produzione di prodotti organici persistenti 040527 Altro (fitosanitari,..) 040619 Produzione e uso di polvere di soda 040801 Produzione di idrocarburi alogenati: emissioni di sottoprodotti 040802 Produzione di idrocarburi alogenati: emissioni diffuse 040803 Produzione di idrocarburi alogenati: altre emissioni 040804 Produzione di esafluoruro di zolfo: emissioni di sottoprodotti 040805 Produzione di esafluoruro di zolfo: emissioni diffuse 040806 Produzione di esafluoruro di zolfo: altre emissioni 060306 Sintesi di prodotti farmaceutici 060307 Produzione di vernici 060308 Produzione di inchiostri 060309 Produzione di colle 060311 Produzione di nastri adesivi, magneti, film e fotografie 09 02 04 Torce nell'industria chimica 060301 Lavorazione poliestere 060302 Lavorazione cloruro di polivinile 060303 Lavorazione di schiuma di poliuretano 060304 Lavorazione di schiuma polistirolica 060305 Lavorazione della gomma 030204 Forni per gesso 030311 Cemento 030314 Vetro piano 030315 Contenitori di vetro 030316 Lana di vetro (eccetto l’uso di solventi) 030317 Altro vetro 030318 Lana minerale (eccetto l’uso di solventi) 030319 Laterizi e piastrelle 030320 Materiale di ceramica fine
24- Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali 030325 Produzione di smalto 040613 Vetro (decarbonatazione) 040618 Uso di calce e dolomite 060401 Lana di vetro 060402 Lana di minerale 030203 Cowpers di altiforni 030301 Impianti di sinterizzazione e pellettizzazione 030302 Forni siderurgici di riscaldamento successivo 25- Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche 030303 Fonderie di ghisa e acciaio 030304 Produzione di piombo di prima fusione 030305 Produzione di zinco di prima fusione 030306 Produzione di rame di prima fusione 030307 Produzione di piombo di seconda fusione 26- Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi 030308 Produzione di zinco di seconda fusione 030309 Produzione di rame di seconda fusione 030310 Produzione di alluminio di seconda fusione 030322 Produzione allumina 030323 Produzione di magnesio (da dolomite) 030324 Produzione di nickel (trattamenti termici) 040202 Operazioni di carico degli altiforni 040203 Spillatura della ghisa di prima fusione 040204 Combustibili solidi senza fumi 040205 Acciaio (forno Martin-Siemens) 040206 Acciaio (forno basico ad ossigeno) 040207 Acciaio (forno elettrico) 040208 Laminatoi 040209 Impianti di sinterizzazione e pellettizzazione (eccetto 030301) 27- Produzione di metalli e loro leghe 030203 Cowpers di altiforni 030301 Impianti di sinterizzazione e pellettizzazione 030302 Forni siderurgici di riscaldamento successivo 030303 Fonderie di ghisa e acciaio 030304 Produzione di piombo di prima fusione 030305 Produzione di zinco di prima fusione 030306 Produzione di rame di prima fusione 030323 Produzione di magnesio (da dolomite) 030324 Produzione di nickel (trattamenti termici) 030307 Produzione di piombo di seconda fusione 030308 Produzione di zinco di seconda fusione 030309 Produzione di rame di seconda fusione 030310 Produzione di alluminio di seconda fusione 030322 Produzione allumina 040202 Operazioni di carico degli altiforni 040203 Spillatura della ghisa di prima fusione 040204 Combustibili solidi senza fumi 040205 Acciaio (forno Martin-Siemens) 040206 Acciaio (forno basico ad ossigeno) 040207 Acciaio (forno elettrico) 040208 Laminatoi 040209 Impianti di sinterizzazione e pellettizzazione (eccetto 030301) 040210 Altro 040301 Produzione di alluminio (elettrolisi) 040302 Ferroleghe 040303 Produzione silicio 040304 Produzione magnesio (eccetto 030223) 040305 Produzione di nickel (eccetto 030324) 040306 Leghe metalliche 040307 Galvanizzazione 040308 Placcatura elettrica 040309 Altro 28- Fabbricazione e lavorazione dei prodotti di metallo, escluse macchine e impianti 060105 Verniciatura: rivestimenti 31- Macchine ed apparecchi elettrici 040615 Produzione di batterie 32- Apparecchi radiotelevisivi e apparecchiature per le comunicazioni 060203 Componentistica elettronica 34- Fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi 060101 Verniciatura di autoveicoli 35- Fabbricazione di altri mezzi di trasporto 060106 Verniciatura: imbarcazioni
27
TAB. A3: Intensità di energia per provincia. Valori medi (1995-2000-2005)
PROVINCIA ENERGIA PROVINCIA ENERGIA PROVINCIA ENERG IA PROVINCIA ENERGIA PROVINCIA ENERGIA
Torino 47,6 Savona 78,2 Ferrara 86,9 Rieti 51,2 Matera 92,9 Vercelli 107,5 Genova 40,5 Ravenna 91,5 Roma 8,6 Cosenza 41,2 Novara 70,9 La Spezia 31,4 Forlì Cesena 36,4 Latina 49,9 Catanzaro 86,8 Cuneo 78,1 Bolzano 51,8 Rimini 204,2 Frosinone 93,4 Reggio Calabria 43,4 Asti 51,5 Trento 69,2 Massa Carrara 84,4 L'Aquila 101,9 Crotone 47,2 Alessandria 73,9 Verona 61,1 Lucca 106,6 Teramo 56,8 Vibo Valentia 66,5 Biella 78,4 Vicenza 50,6 Pistoia 45,4 Pescara 83,5 Trapani 51,2 Verbania 76,4 Belluno 42,2 Firenze 34,6 Chieti 60,9 Palermo 34,4 Aosta 110,6 Treviso 39,4 Livorno 189,9 Campobasso 82,9 Messina 105,5 Varese 50,8 Venezia 102,4 Pisa 38,4 Isernia 86,9 Agrigento 63,7 Como 53,4 Padova 51,1 Arezzo 34,1 Caserta 76,3 Caltanissetta 197,8 Sondrio 56,5 Rovigo 36,3 Siena 42,4 Benevento 53,2 Enna 38,5 Milano 29,0 Udine 118,7 Grosseto 56,2 Napoli 38,5 Catania 63,4 Bergamo 65,6 Gorizia 68,3 Prato 50,5 Avellino 63,6 Ragusa 123,3 Brescia 110,3 Trieste 150,9 Perugia 51,5 Salerno 62,2 Siracusa 268,5 Pavia 73,6 Pordenone 60,9 Terni 232,4 Foggia 65,8 Sassari 142,3 Cremona 79,3 Piacenza 44,4 Pesaro Urbino 34,0 Bari 43,1 Nuoro 113,6 Mantova 72,1 Parma 52,0 Ancona 53,9 Taranto 301,8 Cagliari 2948,0 Lecco 51,3 Reggio Emilia 44,1 Macerata 37,7 Brindisi 125,7 Oristano 5,0 Lodi 41,9 Modena 44,0 Ascoli Piceno 41,7 Lecce 38,2 Imperia 42,7 Bologna 33,0 Viterbo 37,1 Potenza 107,3
28
TAB. A4: Livello di emissioni in aria per tema ambientale e provincia. Valori medi (1995-2000-2005) PROVINCIA EMIGAS EMIACI EMIOZO EMIMET PROVINCIA EMI GAS EMIACI EMIOZO EMIMET
Torino 26,4 11,9 37,7 33,4 Arezzo 0,9 0,4 1,2 1,0 Vercelli 4,4 1,9 6,4 4,2 Siena 49,8 22,9 69,3 85,0 Novara 5,5 2,4 8,0 7,0 Grosseto 20,6 8,4 29,3 28,9 Cuneo 19,6 8,3 31,9 31,2 Prato 53,0 20,6 74,3 51,7 Asti 4,8 2,0 6,5 4,8 Perugia 0,6 0,2 0,9 0,6 Alessandria 2,8 1,1 4,4 3,1 Terni 12,6 6,0 17,8 41,1 Biella 1,5 0,6 2,1 3,8 Pesaro Urbino 12,3 4,9 17,0 12,6 Verbania 0,3 0,1 0,4 0,3 Ancona 8,8 3,4 12,5 8,9 Aosta 27,8 12,4 38,2 36,4 Macerata 2,6 1,1 3,7 12,3 Varese 126,3 63,2 179,2 215,1 Ascoli Piceno 1,4 0,5 1,9 1,3 Como 0,6 0,3 0,9 0,8 Viterbo 27,8 13,9 40,0 45,7 Sondrio 16,8 7,7 23,9 44,1 Rieti 3,9 1,6 5,5 3,7 Milano 66,7 28,5 94,3 69,4 Roma 42,5 19,4 60,3 42,7 Bergamo 0,2 0,1 0,3 0,2 Latina 20,7 8,6 28,9 20,7 Brescia 79,2 38,0 114,7 125,7 Frosinone 10,3 4,0 14,4 9,9 Pavia 42,4 19,7 60,3 82,4 L'Aquila 1,9 0,9 2,6 6,3 Cremona 162,7 78,0 233,9 207,4 Teramo 12,4 5,2 17,7 12,3 Mantova 17,0 7,1 24,1 15,7 Pescara 0,8 0,3 1,1 1,7 Lecco 8,6 3,4 12,5 11,7 Chieti 2,7 1,3 3,8 3,6 Lodi 8,0 3,0 11,4 8,4 Campobasso 68,8 32,6 99,2 95,8 Imperia 8,4 3,8 11,9 12,7 Isernia 1050,2 541,7 1514,6 1831,5 Savona 30,3 13,4 43,7 34,0 Caserta 0,6 0,3 0,9 0,8 Genova 55,4 25,0 78,0 75,9 Benevento 57,3 24,8 81,3 59,4 La Spezia 73,2 33,6 103,7 104,2 Napoli 17,9 6,9 25,0 18,6 Bolzano 24,1 10,2 33,2 25,1 Avellino 29,4 11,1 40,5 26,1 Trento 86,6 41,9 121,9 104,0 Salerno 35,8 15,3 50,2 29,4 Verona 25,3 11,8 36,0 35,5 Foggia 2,4 1,2 3,4 6,1 Vicenza 23,0 10,5 32,7 48,2 Bari 2,6 1,1 3,7 3,2 Belluno 11,1 4,5 16,0 11,9 Taranto 4,7 2,2 6,6 6,2 Treviso 23,4 9,9 32,8 26,9 Brindisi 48,6 22,7 68,0 58,1 Venezia 0,9 0,4 1,2 1,3 Lecce 9,3 4,3 13,4 10,8 Padova 63,3 29,2 87,6 79,6 Potenza 47,8 21,0 66,4 50,3 Rovigo 7,3 3,2 10,4 20,8 Matera 5,2 1,8 7,0 4,2 Udine 59,2 26,5 83,0 79,7 Cosenza 0,7 0,2 0,9 0,6 Gorizia 47,9 20,2 68,7 50,2 Catanzaro 23,4 10,6 32,3 33,0 Trieste 114,0 46,5 162,0 133,3 Reggio Calabria 3,8 1,4 5,1 8,0 Pordenone 23,9 10,9 33,5 28,6 Crotone 44,8 17,9 62,2 43,1 Piacenza 4,6 1,8 6,5 4,4 Vibo Valentia 3,0 1,3 4,2 4,8 Parma 11,1 4,9 15,7 12,6 Trapani 19,0 8,1 26,3 23,3 Reggio Emilia 2,3 1,1 3,2 4,6 Palermo 199,8 113,7 317,1 290,0 Modena 9,3 3,8 13,0 9,7 Messina 20,5 8,5 29,0 32,5 Bologna 1,4 0,7 2,0 2,1 Agrigento 49,4 19,9 69,3 42,7 Ferrara 26,5 11,1 36,9 26,1 Caltanissetta 0,6 0,2 0,8 0,5 Ravenna 1,1 0,5 1,6 1,3 Enna 0,5 0,2 0,7 0,6 Forlì Cesena 2,9 1,2 4,0 3,6 Catania 1,6 0,6 2,2 1,5 Rimini 2,6 1,1 3,7 3,2 Ragusa 3,2 1,1 4,5 3,3 Massa Carrara 0,9 0,4 1,3 1,4 Siracusa 18,9 9,1 26,3 25,1 Lucca 61,9 28,2 86,7 86,2 Sassari 0,9 0,3 1,3 0,8 Pistoia 213,2 106,6 299,4 364,3 Nuoro 2,2 1,0 3,1 2,7 Firenze 5,0 2,2 6,9 6,6 Cagliari 28,8 11,0 38,9 25,0 Livorno 55,4 23,3 77,2 54,1 Oristano 1,0 0,4 1,4 1,2 Pisa 31,5 13,7 44,1 40,8
29
FIG . A1: Scatter tra le importazioni nette e le principali variabili di riferimento.
-4.0
0e+0
7-2.
00e+
070
2.00
e+07
4.00
e+07
6.00
e+07
netim
p
0 5 10 15 20KL
-4.0
0e+0
7-2.
00e+
070
2.00
e+07
4.00
e+07
6.00
e+07
netim
p
0 2000 4000 6000 8000 10000energy
-4.0
0e+0
7-2.
00e+
070
2.00
e+07
4.00
e+07
6.00
e+07
netim
p
0 5.00e+08 1.00e+09 1.50e+09EMISSIONI_tot_Gas_serra
-4.0
0e+0
7-2.
00e+
070
2.00
e+07
4.00
e+07
6.00
e+07
netim
p
0 2.00e+08 4.00e+08 6.00e+08EMISSIONI_tot_Acidificazione
-4.0
0e+0
7-2.
00e+
070
2.00
e+07
4.00
e+07
6.00
e+07
netim
p
0 5.00e+08 1.00e+09 1.50e+09 2.00e+09EMISSIONI_tot_Ozono
-4.0
0e+0
7-2.
00e+
07
02.
00e+
074.
00e+
076.
00e+
07ne
timp
0 5.00e+08 1.00e+09 1.50e+09 2.00e+09EMISSIONI_tot_Metalli
30
TAB. A5: Riferimenti normativi per temi ambientali
Emissioni per temi ambientali Riferimenti Normativi Emissioni di gas serra (CO2, CH4, N2O, HFCs, PFCs, SF6):
Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (1992) ratificata con L 65 del 15/01/94
Protocollo di Kyoto (1997) ratificato con L 120 del 01/06/02 Delibera CIPE (19/12/02)
D.Lgs. 51/08 DM del 1/04/2008
Emissioni di sostanze acidificanti (SOX, NOX, NH3):
Protocollo di Goteborg (1999) Direttiva NEC (2001/81/CE)
D.Lgs. 171/04 Emissioni di precursori di ozono troposferico (NOX, COVNM e CO):
Protocollo di Goteborg (1999) Direttiva NEC (2001/81/CE)
D.Lgs. 171/04 Direttiva 97/68/CE Direttiva 98/77/CE DM del 12/07/90
D.Lgs. 372/99 (Direttiva 96/61) DM n.503 del 19/11/97
Emissioni di metalli pesanti (Cd, Hg, Pb, As, Cr, Cu, Ni, Se, Zn):
Protocollo di Aarhus (1998) Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti (2001)
Fonte: ISPRA
TAB. A6: Le determinanti delle importazioni nette per tema ambientale (modelli OLS e REM).
Variabili
GAS SERRA (a) PIOGGE ACIDE (b) OZONO
TROPOSFERICO (c) METALLI PESANTI (d)
OLS REM OLS REM OLS REM OLS REM
(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8)
ln_ENV 0,034* 0,011 0,033* 0,012 0,035** 0,005 0,026 -0,047
(1,93) (0,20) (1,93) (0,22) (2,05) (0,08) (1,50) (-0,92)
ln_ENERGY -0,356*** -0,811*** -0,356*** -0,815*** -0,355*** - 0,812*** -0,359*** -0,825***
(-11,51) (-8,93) (-11,48) (-8,96) (-11,49) (-8,90) (-11,74) (-8,97)
ln_KL -1,000*** -0,825*** -1,003*** -0,824*** -1,017*** - 0,831*** -0,994*** -0,797***
(-13,31) (-3,77) (-13,27) (-3,77) (-13,41) (-3,78) (-13,07) (-3,62)
ln_OPEN 1,071*** 1,033*** 1,071*** 1,035*** 1,066*** 1,028*** 1,076*** 1,039***
(146,17) (146,60) (149,02) (148,84) (143,01) (144,15) (145,39) (146,90)
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(6,24) (4,62) (7,00) (5,00) (6,03) (4,74) (6,86) (6,11)
Time dummies Sì Sì Sì Sì Sì Sì Sì Sì
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