sul rapporto analogico tra rito e laser
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… Il docente fece la seguente domanda: "Analogicamente parlando, sul piano psicologico umano, a cosa corrisponde il laser?". Io intuitivamente risposi: "Al rito". La risposta corretta, ma da dove veniva tale risposta e soprattutto perché proprio rito?…TRANSCRIPT
Gianni Battaglion
Il Rapporto Analogico tra Rito e luce Laser
Riflessioni sull’analogia
1
Sul Rapporto Analogico tra Rito e Laser
Sommario
Introduzione ..................................................................................................................................2
L’analogia, il simbolo e l’intuizione .............................................................................................3
Una parentesi ad ampio respiro ....................................................................................................5
Il rito: dal mondo animale alla dimensione umana .......................................................................6
Due antichi “riti di passaggio”: la fertilità e il superamento della paura. ..................................13
Un salto quantico: dal macrocosmo dei comportamenti animali e umani al microcosmo dei
comportamenti dell’energia luminosa. .......................................................................................16
LASER: energia ordinata ............................................................................................................22
Una breve sintesi: il laser a rubino. ...........................................................................................25
Applicazioni del laser .................................................................................................................28
Legami analogici tra rito e laser .................................................................................................30
Conclusioni parziali ....................................................................................................................32
2
Introduzione
Durante una lezione del corso di specializzazione,
sono state introdotte alcune riflessioni sulle ultime
scoperte in ambito della fisica moderna e della loro
ricaduta in termini di visione della realtà. Accennando al
Laser, il docente fece la seguente domanda:
“Analogicamente parlando, sul piano psicologico umano,
a cosa corrisponde il laser?”. Io intuitivamente risposi:
“Al rito”. La risposta era corretta, ma da dove veniva tale
risposta e soprattutto, perché proprio il rito? Su quali
rapporti analogici il mio inconscio aveva messo insieme il rito che ha le sue origini agli albori
dell’umanità, con un fenomeno luminoso scoperto applicando le leggi della fisica moderna
che si occupa di energie sottili? Scopo di questo lavoro è indagare il legame tra i due
fenomeni, cercando di descriverli con un linguaggio che ne evidenzi le profonde affinità.
Metteremo a confronto due realtà che sono distanti tra loro (il piano del comportamento nel
rituale umano con quello del comportamento luminoso nel laser) e cercheremo di trarne
alcune considerazioni ipotizzando sul piano formale delle regole comuni. In questa sede ci
poniamo solo questo specifico obiettivo, ma credo che tale lavoro possa aprire ad ulteriori
sviluppi in quanto le affinità, o le analogie, che andremo a descrivere potranno essere
ritrovate in altre situazioni, in altri processi, dove avviene una trasformazione di uno stato o
di una energia (psichica o fisica che sia).
Questo difficile interrogativo si è ripresentato sotto forma diversa anche in altri ambiti del
mio lavoro. Lavorando con la grave disabilità, dove era assente la capacità individuale di
simbolizzare verbalmente – o comunque era compromessa - e dove l’azione istintiva era la
norma, spesso mi sono posto la domanda di tipo metodologico su come “regolare”,
contenere, i comportamenti degli utenti creando dei contesti psico - relazionali (delle attività,
degli ambienti) che avessero un carattere rituale, con la funzione di “incanalare” gli impulsi
in comportamenti integrabili nella vita comunitaria.
Inoltre nelle esperienze di lavoro con i gruppi dove venivano utilizzate delle tecniche di tipo
bioenergetico e psicomotorio notavo come certe configurazioni di comportamenti, di azioni,
di esercizi potessero produrre degli effetti sull’individuo a livello psicologico: una
temporanea attivazione delle energie, una minor depressione, delle immagini significative;
effetti che se opportunamente integrati nella coscienza individuale sarebbero stati un inizio di
un possibile cambiamento soprattutto per coloro che si trovavano ad un livello di
3
consapevolezza personale poco sviluppato. Si tratta in ogni caso di passaggi da un livello più
o meno ordinato ad un altro che possiede un ordine più complesso.
Gli interrogativi posti sopra rimanderebbero quindi a delle domande di tipo tecnico.
Indagando i fenomeni luminosi, nello specifico della luce laser, possiamo ritrovare
informazioni utili a confermare e a comprendere un metodo di lavoro finalizzato allo
sviluppo, alla trasformazione e all’integrazione della coscienza individuale? E, in questo
determinato contesto, che funzione ha il corpo o l’aspetto materiale - concreto nello
svolgersi di tale processo? Le eventuali risposte rimandano ad un ulteriore sviluppo di questo
studio ma, come già accennato, qui ci occuperemo di svolgere la prima parte del percorso: la
ricerca delle possibili analogie.
Raccoglieremo informazioni sui rituali e le loro caratteristiche generali (toccando temi che
meriterebbero sicuramente maggiore attenzione), sul rapporto tra luce e coscienza, infine sui
principi di funzionamento del laser e sui dispositivi materiali che producono il fenomeno
della luce laser.
Per compiere questo percorso concettuale dobbiamo tuttavia munirci di alcuni strumenti
“visivi” indispensabili a cogliere inizialmente i legami tra le parti che andremo ad indagare.
L’analogia, il simbolo e l’intuizione
Se, per la nostra indagine, noi utilizzassimo solo una logica classica, aristotelica, dove
domina il principio di identità e di non contraddizione, una logica di tipo causalistico dove
una causa precede sempre un effetto, non potremmo comprendere la complessità del reale,
ovvero le relazioni che ne uniscono le parti. La nostra conoscenza sarebbe necessariamente
racchiusa entro i limiti che la logica lineare stessa si è data. Una logica circolare, invece, è
più aperta alla dimensione della complessità e si regge sulla figura semantica dell’analogia.
L’analogia esprime una identità di rapporti che uniscono a due a due i termini di due o più
coppie. Esiste cioè una proporzione: A sta a B come C sta a D. Le grandezze confrontate
analogicamente devono esser omologhe cioè nella corrispondenza delle coppie nel nostro
esempio, attraverso le qualità degli oggetti confrontati, le parti devono svolgere ruoli
equivalenti. Possiamo ad esempio, scorgere una analogia tra la funzione del polmone
deputato allo scambio di gas tra interno ed esterno del corpo umano e quella della tiroide che,
tra le altre funzioni, regola gli scambi intercellulari.
Si tratta quindi di apprendere a vedere le cose in un modo più aperto ai legami, sicuramente
meno preciso ma più adeguato alla costruzione di relazioni, che, si badi bene, andranno poi
descritte in una maniera più precisa nella dimostrazione dell’ipotesi iniziale. Tutte le nuove
4
scoperte fanno uso dell’analogia, ma, soprattutto in fisica, ne segue la dimostrazione
rigorosamente matematica.
L’analogia, nell’ambito della logica del pensiero, svolge tre funzioni: la funzione euristica
(invenzione di un’ipotesi); la funzione sintetica (che condensa una serie di possibilità tra loro
divergenti); la funzione evocativa (che sospendendo il giudizio razionale evoca la
manifestazione emotiva di meraviglia). Potremmo dire che gli aspetti emozionali, irrazionali,
fungono da motivazione alla ricerca. Cogliere dei legami prima impensabili evoca una
emozione di stupore e ciò spinge nuovamente a cercare, favorendo una creativa emergenza di
idee legate tra loro da affinità che portano ad una rappresentazione armonica del fenomeno su
cui si riflette. D’altro canto è ciò che accade in terapia quando il paziente coglie legami
all’interno della propria esperienza di vita, traendone un significato e una maggiore
comprensione di sé stesso.
La logica della vita, nello sviluppo filogenetico e ontogenetico, sembra procedere secondo
analogie vitali, ovvero proporzioni naturali insite nelle relazioni tra le parti, sia che si tratti di
relazioni microscopiche, sia che si tratti di relazioni macroscopiche.
Il “linguaggio analogico”, quindi, è il modo in cui si esprime l’inconscio ed è diverso dal
“linguaggio numerico” tipico del processo secondario descritto da Freud. Secondo D. Frigoli
“L’approccio ai fenomeni complessi comporta per la mente una continua oscillazione del
pensiero fra la dimensione analogica e quella logica – causalistica, con il risultato di una
descrizione non più frammentante la realtà”1. In altre parole, mentre la modalità analogica
permette una raccolta di informazione, le regole del pensiero logico causalistico servono
affinché tali informazioni siano in qualche modo “disposte” all’interno della coscienza
ordinaria che in tal modo muta e si amplifica.
Un altro strumento concettuale utile al nostro percorso è la figura semantica del “Simbolo”.
Come sappiamo, la parola simbolo rimanda nel suo significato a “legare – assieme” ed è
fondamentale nel lavoro di indagine dei fenomeni inconsci della psiche umana. Il simbolo
permette alla energie dell’inconscio e alle immagini corrispondenti di manifestarsi alla
coscienza senza che questa venga inflazionata dalle forze archetipiche dell’inconscio stesso.
Il simbolo non riguarda solo le immagini psichiche – approfondite soprattutto da Jung nella
sua opera, ma anche le forme concrete e i comportamenti. Così, ad esempio, in terapia un
paziente può portare dei sogni ricchi di immagini simboliche, ma altresì le forme concrete,
1 Frigoli, “Il corpo e l’anima. Itinerari del Simbolo” – ed. Sapere
5
fisiche, i sintomi del corpo che possono essere visti come dei simboli carichi di significati
psicologici aldilà della apparenza, aldilà dei processi fisiopatologici2.
L’intuizione, infine è una forma di conoscenza che Henri Bergson - riferendosi all’istinto
come capacità di utilizzare e costruire strumenti organici e all’intelligenza come facoltà di
fabbricare e impiegare strumenti inorganici cioè tecnologici - considera un’illuminazione
dello spirito, una folgorazione. Essa – l’intuizione - è l’istinto dell’intelligenza stessa. Dal
punto di vista fenomenologico è l’emergere istantaneo di una idea, di una soluzione che non
era stata prevista nel processo di pensiero.
Analogia, Simbolo e Intuizione, concetti tra loro strettamente correlati, ci danno la possibilità
di comprendere i fenomeni complessi che stiamo studiando (Rituali e Laser) e sui quali
stiamo indagando la natura del loro legame.
Una parentesi ad ampio respiro
Nella concezione Ecobiopsicologica, uno
dei modelli fondamentali proposti è quello
del continuum materia – psiche. L’archetipo
si trova ad agire manifestandosi attraverso
rappresentazioni simboliche sia nell’ambito
“infrarosso” che in quello “ultravioletto”3,
cioè nella materia e nella psiche.
Da sempre la cultura del tempo ha influenzato le diverse scoperte e le modalità interpretative
della realtà e dei fenomeni della natura. Questo vale soprattutto nella conoscenza della psiche
(soggetto e oggetto della ricerca); ad esempio, spesso viene sottolineato il fatto che la teoria
freudiana risente dei modelli teorici di fine ottocento e quindi delle teorie economiche e
idrauliche che a quel tempo erano state scoperte e utilizzate. È noto che il susseguirsi di
scoperte scientifiche in diverse discipline influenzano il modo di pensare dei ricercatori
stessi; nell’evoluzione della storia della scienza si verifica ciò che lo storico ed epistemologo
T. Kuhn ha definito “cambiamento di paradigma”. È così che nuovi aspetti della realtà
appaiono o mutano nella loro forma in un continuo di rimandi tra i diversi campi della
conoscenza. Per molto tempo la fisica e le scienze naturali – le scienze oggettive - sono state
2 Trombini G., Baldoni F. “Psicosomatica” – Ed. Il Mulino
3 Con l’espressione “infrarosso” e “ultravioletto” facciamo riferimento al modello simbolico utilizzato da Jung
nello studio sull’archetipo del fenomeno luminoso ed esteso nel modello Ecobiopsicologico fino a considerare
l’archetipo del Sé non solo come un fattore d’ordine sotteso alla dimensione psichica, ma anche dotato di una
valenza somatica.
6
il modello con cui confrontarsi anche per lo studio dell’uomo e dei suoi comportamenti. Il
merito della psicanalisi – con la scoperta dell’inconscio e la sistematizzazione di osservazioni
cliniche e di carattere introspettivo – è quello di aver sollevato una domanda, di aver aperto la
strada ad una indagine scientifica dove la coscienza non era più esterna e neutra rispetto ad
un oggetto di studio ma era implicata e partecipante essa stessa alla costruzione della realtà
osservata. Inoltre l’io non era più unico attore nella scena ma veniva influenzato da forze e
dinamiche inconscie. Iniziò la costruzione di una architettura interna della psiche individuale
e collettiva – approfondita questa in modo originale da C. G. Jung - dove conscio e inconscio
erano realtà articolate in un reciproco rapporto dinamico. Mentre si sviluppava nelle diverse
discipline sempre più specializzate e attente al particolare, la scienza ha prodotto quella
parcellizzazione di conoscenza che oggi necessita di una integrazione per non perdere il
carattere unitario della complessità dell’uomo e del mondo di cui fa parte.
Ciò che ci preme sottolineare è come le scoperte, in diversi ambiti delle scienze naturali (es.
in biologia, fisica), siano da sempre state motivo di ripensamento e confronto anche su se
stessi indirizzando la riflessione stessa. Basti pensare alla Teoria Eliocentrica di Galileo
Galilei dove la diversa concezione cosmologica metteva in crisi la coscienza stessa dell’uomo
e l’ordine politico religioso del tempo, agli studi sui riflessi condizionati di Ivan Pavlov che
ha dato inizio alla teorie del comportamento, alla Teoria della Relatività di Albert Einstein
che ha posto in crisi il nostro stesso modo di pensare al tempo e allo spazio, e alla Teoria
della Complessità di Edgar Morin (per citarne uno), che ci pone in rapporto alla complessità
del reale.
Come se l’uomo nel proprio cammino evolutivo e culturale, fosse spinto inevitabilmente a
confrontare tutto ciò che vede fuori con ciò che accade al suo interno. Ritirando le sue
proiezioni ne scopre la propria appartenenza e la propria partecipazione. Attraverso il
pensiero circolare, accennato sopra, si può cogliere la reciproca relazione tra mondo esterno e
mondo interno, come tra le parti e il tutto, e presumere l’azione di un archetipo ordinatore che
“fa apparire una nuova realtà” alla coscienza indagante laddove i presupposti siano maturi.
Il rito: dal mondo animale alla dimensione umana
Dopo questa doverosa parentesi tale da permettere una maggiore libertà e apertura
nell’affrontare il nostro tema, inoltriamoci nel mondo del rito a partire dalla biologia.
Secondo Adolf Portmann, nei comportamenti animali si possono rintracciare delle
similitudini con i rituali umani. Nei comportamenti rituali degli animali esistono alcuni
elementi caratteristici: la funzione di incanalare e contenere l’aggressività; alcuni
cambiamenti dell’aspetto esteriore strettamente legato al rapporto con l’ambiente esterno; il
7
rapporto con il territorio. Uno dei primi significati, in chiave biologica, è rappresentato dal
sostegno dato dal rituale animale ai processi di conservazione della specie attraverso la
sincronizzazione degli individui. Infatti l’elemento comunicativo presente nei comportamenti
rituali ha in sè la qualità della ridondanza informativa che svolge una funzione di
“sincronizzazione” tra due individui in funzione della riproduzione, ma non solo. Attraverso
la produzione di questi rituali nelle colonie si crea una sincronizzazione generalizzata che
influenza la vita di comunità incrementandone le funzioni vitali. L’organizzazione
archetipica della vita istintuale, con i suoi modelli di comportamento ereditari, è tesa ad
assicurare la convivenza dei membri della specie, attraverso la sincronizzazione degli umori
dei partner, e ad impedire, attraverso le regole di combattimento, l’eliminazione del rivale,
che sarebbe deleteria per la conservazione della specie. Negli animali superiori il rituale ha la
funzione di inserire l’individuo, con i suoi stati interiori e i suoi ruoli, nella vita
sovraindividuale della specie, e di indurlo a compiere determinate azioni che hanno un senso
unicamente in questo ambito.
Portmann afferma inoltre che “… per l’uomo il rito ha una funzione analoga, solo che la
forma sovraindividuale in cui si inserisce lo differenzia nettamente dal rito animale.
L’apertura al mondo tipica del nostro modo di vivere; l’estensione della nostra coscienza nel
passato e nel futuro; la percezione e la coscienza di quella totalità di cui ogni cosa vive e
della quale anche la nostra esistenza è solo una parte; la conoscenza, infine, così gravida di
conseguenze, della morte sono soltanto alcuni degli ampliamenti non previsti che, insieme ad
altre realtà sovraindividuali, caratterizzano l’esistenza umana e che il rito ha la funzione di
esprimere e di dominare”.4
L’uomo, nel corso dell’evoluzione, si rapporta al numinoso, al sacro. Il comportamento
rituale, quindi, come funzione che mette in rapporto alla dimensione sovraindividuale tipica
degli organismi superiori, è correlato ad una ricca vita interiore, ma il rito animale è fisso,
ereditario, mentre quello umano è variabile perché esiste cultura, insegnamento, tradizione e
soprattutto perché l’uomo possiede un livello più evoluto di coscienza. Bergson afferma che
“…l’istinto procede, per così dire, organicamente. mentre Se la coscienza in esso assopita si
risvegliasse, se l’istinto si interiorizzasse in conoscenza anziché esteriorizzarsi in azione, se
sapessimo interrogarlo e lui potesse rispondere, ci svelerebbe i segreti più intimi della vita.”5
L’analogia degli istinti pre-rituali con il rito umano consiste nel fatto che, in entrambi i casi,
“una realtà spirituale collettiva” impone la sua forza transpersonale alle azioni del singolo. “Il
fenomeno del rituale umano non solo contiene molte analogie con quello dell’istinto, ma 4 A. Portmann in “Il Rito –Quaderni di Eranos” – Red Edizioni, pag.76
5 Bergson Henri, “L’evoluzione creatrice”, Raffaello Cortina Editore - Pag. 138
8
addirittura vi affonda le sue radici e si edifica su di esso”.6 Quando, con il procedere
dell’evoluzione, il rituale si svolge a livello simbolico, quindi più vicino alla coscienza, esso
non risulta essere mai una azione cosciente, in quanto la sua base è sempre archetipica ed è
l’elemento predominante.
Il rito è un processo generativo e prima di tutto significa “percorso”; pensiamo, ad esempio,
ai luoghi sacri, ritrovati nelle caverne che gli uomini primitivi dovevano raggiungere per
svolgere le loro azioni rituali. I percorsi nel buio o nel mare erano sentieri che diventavano la
via verso gli strati profondi dell’inconscio sperimentata sul piano concreto.
In origine il rituale di gruppo era eseguito dalla collettività come una configurazione
inconscia ed era vissuta come una sorta di “invasione” di aspetti inconsci; il partecipante
eseguiva il rito impegnandovi tutto il corpo, infatti in origine compiere il rito significava
“danzare”. La danza era il modo in cui il corpo realizzava la figura archetipica che stava alla
base del rito: il cerchio, la spirale, il sentiero iniziatico, il labirinto, ecc. In questa danza nel
singolo e nel gruppo veniva riunita la sfera dell’esterno con l’interiorità in una sorta di
“partecipazione mistica” dove le parti erano riunite in un tutto vitale. La funzione di
attivazione del processo trasformativo era svolta con l’ausilio della “Maschera”, cioè dal
cambiamento della Persona, mediante tatuaggi o abiti da cerimonia. Il cambiamento esteriore
con disegni e vestiti ricorda i mutamenti nei comportamenti istintivi degli animali. Ma
nell’uomo si faceva ricorso al simbolo, e la capacità del singolo di compiere il rito era
assicurata da azioni preparatorie, da riti d’entrata, da purificazioni, da un periodo di
isolamento, (ne vedremo un esempio nel prossimo paragrafo).
La funzione del rito era la realizzazione della totalità del singolo attraverso l’evocazione
dell’istanza transpersonale del Sé corporeo, superiore all’io e trascendente la Coscienza
individuale. La danza dava una carica emotiva, ma venivano utilizzati anche altri mezzi
ausiliari come sostanze inebrianti e droghe che provocavano mutamenti degli stati di
coscienza.
Portmann afferma che “Il rito rappresenta pertanto lo sforzo del singolo, o del gruppo, di
rimanere in contatto con il numinoso. Infatti se si interrompesse la comunicazione con le
forze transpersonali, l’uomo non potrebbe continuare a esistere e tantomeno svilupparsi
creativamente”7. È per questo motivo che in tutte le culture antiche ritroviamo il culto dei
morti, degli antenati, un modo per evocare il transpersonale della propria specie dalla quale
trarre immagini primordiali e potenze superiori. Ad esempio, per la rinascita, perché il
vecchio si rinnovi, è necessario passare per la morte simbolica dell’io, ma un tempo si
6 E. Neumann in “Il rito – Quaderni di Eranos” - Red Edizioni – pag. 13
7 Ibidem – pag. 17
9
svolgevano veri e propri sacrifici umani atti ad evocare il rapporto con questa sfera numinosa
superiore.
Abbiamo detto che l’io attivo nel rituale si ricollega al Sé sovraindividuale e lo svolgimento
del rito non poteva essere eseguito da un individuo che non fosse stato integrato nel gruppo,
(o nell’inconscio). Così, come nell’istinto animale, un individuo reagisce alla sfera
sovraindividuale rappresentata dalla natura del mondo, nel rito umano un’entità
sovrapersonale (l’unità tra gruppo e Sé corporeo) reagisce a una situazione che
simbolicamente vi corrisponde nella natura. La funzione originaria del rito è, anche per
l’uomo, la reintegrazione del singolo nel gruppo e in seguito diventa l’integrazione del
gruppo nel mondo del numinoso; in altre parole la funzione del rito è di porlo in rapporto
con il mondo degli archetipi che governano la vita inconscia.
Esistono i riti della natura che fanno riferimento a realtà sovrapersonali come le stagioni o le
fasi della vita; nell’uomo si differenziano da quelli degli animali perché esiste la possibilità di
una interpretazione e quindi di una auto-comprensione cosciente. L’istinto, che è sempre
presente, perviene alla eliminazione di rischi di caos eventuale programmato dalla psiche che
diventa via via sempre più autocosciente. Il ruolo dell’istinto è quello di armonizzatore con la
ragione e l’ordine naturale. Ma, man mano che l’umanità evolve, quando l’unione inconscia
con la natura e il conseguente modo di vivere si interrompono, l’uomo comincia ad
interrogarsi su quale sia il nuovo ordine valido. A questo interrogativo la psiche risponde
“mettendo in campo gli archetipi”, che costituiscono la risposta transpersonale e
generalmente valida per l’umanità e che regolano la vita allo stesso modo dell’istinto, ma non
più tramite esso. Cioè, in questo momento, la vita rituale viene ordinata da simboli e si
riferisce ad un ordine interiore, basato sulla struttura archetipica della psiche. Quindi la sede
degli accadimenti del rito diventa il mondo interiore di chi vi partecipa.
Il gruppo integrato rimane la condizione primaria affinché si evochino le potenze numinose;
la premessa di ogni rituale rimane che il singolo sia integrato nel gruppo. Ma dal momento in
cui l’individuo entra nella storia, cioè si individualizza, si separa dal gruppo, il rito diventa
“rituale del destino”, quindi il numinoso viene riferito a se stesso e invocato per superare una
crisi di natura imprevedibile. L’invocazione è parte essenziale di ogni rito, allo stesso tempo
essa è appello e difesa; ad essere invocata è la manifestazione dell’archetipo, la cui
“apparizione” richiamerà un immagine sull’orizzonte della coscienza. Questa immagine può
essere una rappresentazione o un cambiamento di stato.
Nello svolgimento del rito ogni interferenza è pericolosa ed esso deve essere svolto con il
massimo ordine. “La meticolosità con cui la sacra azione del rituale viene eseguita, si basa
10
soprattutto sul fatto che il rapporto con l’archetipo è ritenuto, a ragione, altamente pericoloso.
Controllando strettamente il rituale “si controlla” anche l’archetipo, e il fatto di ammetterlo
solo all’interno di un assetto formale molto rigido e preordinato consente all’uomo di
difendersi dai pericoli che esso rappresenta”8.
La funzione del rito quindi non è solo quella di trasformare una energia (funzione del
simbolo sul piano psichico) ma anche quella di proteggere la coscienza debole, in quanto
esso agisce come un sistema di dighe contro le tendenze straripanti dell’archetipo. Possiamo
inoltre rintracciare, nel corso dell’evoluzione, l’apparizione del “vettore coscienziale del
rito” cioè del significato che assume per la coscienza e che è strettamente collegato alla
minuziosa osservanza di ogni singolo particolare. Il rito e il simbolismo ad esso collegato
diventano comprensibili dopo innumerevoli ripetizioni nel corso di molti anni, e la
spiegazione del loro significato inconscio potrà emergere solo quando ogni particolare, anche
se incomprensibilmente, sarà stato rispettato con la massima accuratezza e serietà e
tramandato ed eseguito fedelmente per un periodo di tempo molto lungo.
Secondo Neumann nel percorso evolutivo della coscienza umana, il rito entra in crisi e “ciò
che era corpo diventa rappresentazione psichica simbolica verbalizzabile”. L’efficacia e la
ripetitività del rito entrano in crisi perché l’uomo sempre più individualizzato ha perso il
contatto con le origini inconsce del rito stesso e non può recuperare direttamente con la
coscienza il contatto con l’archetipo che ne sta alla base; la coscienza, come già osservato, ne
rimarrebbe inflazionata. “Il processo istintivo inconscio può ripetersi all’infinito, senza
perdere di efficacia, perché non entra mai a far parte della coscienza individuale. Ma quando
l’evento emerge a livello della coscienza personale e investe l’io, questo processo inconscio
diretto si interrompe. Per ricreare la situazione nella sua costellazione archetipica originaria
bisogna ora ripercorrere coscientemente tutto l’itinerario, appunto sottoforma di rito”9.
Abbiamo visto come il rituale di gruppo costituisca il gradino più elementare di realizzazione
del mondo archetipico; già con l’arricchimento simbolico e l’intensificata rappresentazione a
livello cosciente, il carattere elementare del compimento del rito si attenua e viene sostituito
in parte dal processo di interiorizzazione, un modo diverso di definire la presa di coscienza
rispetto all’azione. Nel riti primitivi, infatti, le immagini non sono ancora nate come tali ma
vengono “narrate dall’esperienza rituale e sensoriale”. In seguito, il progressivo incremento
della coscienza sposta l’accento sempre più dall’azione corporea alla visione, e di qui ad una
cosciente “introiezione” in un processo che, al suo termine, rende superfluo, o addirittura
elimina, ogni azione esterna. Se, in reazione a una situazione reale oppure spontaneamente,
8 Ibidem – pag,. 24
9 Ibidem – pag,. 25
11
ad attivarsi è soltanto l’inconscio, siamo in presenza di un processo psichico che stimola la
personalità in modo istintivo; al contrario, se si attiva solo la sfera cosciente, senza che vi
corrisponda un movimento inconscio, avremo una azione rituale incapace di attivare la
personalità globale e quindi del tutto inefficace sotto il profilo psicologico.
Nello studio dello sviluppo del rituale vanno distinte diverse fasi. All’inizio, più vicino al
pre-rituale degli animali, sta il rituale dei gruppi primitivi. Ad esso seguono i rituali che
acquistano una ricchezza di rappresentazione simbolica sempre più grande, ricca di simboli e
miti che favoriscono una presa di coscienza sempre più ampia. Il mito diventa
l’interpretazione dell’evento rituale. Il collegamento tra rito e mito – tra rappresentazione
psichica e azione - è l’elemento portante dello sviluppo della coscienza, presente in ogni
simbolo che riemerge dall’inconscio. Lentamente predomina l’individuo sul gruppo. Azione
rituale, simbolo che si autorappresenta e interpretazione mitica formano insieme l’unità
religiosa in cui l’uomo prende coscienza del complesso degli effetti archetipici del rituale.
Inoltre nella rappresentazione simbolica dell’azione, egli giunge a confrontarsi con se stesso,
in un atteggiamento tipico di chi ha raggiunto ormai la piena coscienza.
L’affermazione della coscienza segna la fine del rito collettivo originario. Nasce il rito
fondato sul singolo come rappresentante e mediatore del gruppo: il sacerdote.
Oggi possiamo incontrare il fenomeno del rituale in tre casi: nel processo creativo, nella
malattia psichica (pensiamo al disturbo ossessivo - compulsivo) e nel processo di
individuazione. In questa sede porremo l’attenzione su quest’ultimo caso.
Nel processo di individuazione occorre distinguere due livelli di azione rituale: uno è vicino
alla realtà primaria, quando l’uomo agisce in quanto totalità (dipingendo mandala, creando
opere plastiche, danzando il ballo rituale) e l’altro è sul piano dell’immaginazione attiva, nel
corso della quale esegue un rituale di danza o di visita di un luogo sacro sul piano puramente
fantastico.
Il rito individuale, per la persona coinvolta, ha sempre un grado di realtà maggiore di quello
del rituale esterno e la ragione di ciò è che il rituale si svolge in uno spazio psichico interiore.
Proviamo ad immaginare la differenza per un bambino tra il vedere alla televisione la
rappresentazione di una favola con i suoi personaggi, e il sentirla raccontare dal genitore
prima di andare a letto. Nel primo caso la rappresentazione è data (il lupo o la principessa
sono quelli visti in televisione), nel secondo caso la costruzione immaginifica del racconto
che il bambino si fa internamente avviene attingendo alla propria esperienza interiore, ai
propri affetti, ai propri vissuti (il lupo sarà “personalizzato”).
12
L’io che agisce nel rito, il numen che vi compare e il luogo sacrale dell’evento, non possono
più essere compresi con le consuete categorie che separano l’interno dall’esterno, il soggetto
dall’oggetto. Infatti nel rito individuale, viene di nuovo assicurata quella unità psichica tra chi
compie il rito, il numen e l’evento archetipico. Tale unità psichica, sempre presente nel
rituale originario, nel corso dell’evoluzione era diventata dapprima problematica e poi
scomparsa del tutto. Ora però l’evento non si compie più all’esterno, tra il singolo e la
collettività, ma all’interno della psiche, dove l’individuo è rappresentato dall’io e la
collettività dallo strato profondo dell’inconscio, presente anch’esso nella psiche. L’unità di
queste parti è data naturalmente dallo spazio psichico interiore e la participation mystique al
mondo archetipico di chi compie il rito è assicurata dalla compattezza unitaria della psiche.
In altre parole, nel rituale primitivo esisteva una proiezione nel mondo esterno, causata dallo
stato inconscio degli stessi partecipanti. In questa forma – nel processo di individuazione -
l’uomo diventa nuovamente capace di compiere il rito, dove il gruppo diventa parte di se
stesso, una parte di uno strato profondo; il sé transpersonale diventa il proprio sé; l’individuo
diventa un luogo sacrale. La genuinità del rito individuale è data dalla sua comparsa
spontanea, diversamente dal rito di gruppo. Esiste ancora il fattore coscienziale, sottoforma di
una comprensione di significato che se fosse assente farebbe apparire il tutto un’assurda
follia. “Il vettore coscienziale, che compare anche nel rito individuale, si fonda sul carattere
spirituale ordinatore degli archetipi di cui ogni rituale vive”.10
Dal momento che una
coscienza sufficientemente forte è in grado di ricevere e accettare il vettore coscienziale del
rito, cioè l’impulso spirituale dell’inconscio, lo sviluppo del rito individuale produce non
soltanto una continua autorivelazione del mondo archetipico, ma anche un progressivo
ampliamento della coscienza stessa. Infine, la capacità di un individuo di eseguire un rituale
dipende dalla sua capacità di porsi in rapporto con la trascendenza e il percorso di
individuazione presuppone proprio un rapporto con il proprio Sé.
In questa breve riflessione sul rito dai comportamenti animali ai primi rituali umani, abbiamo
sottolineato il passaggio da azioni istintive a comportamenti che assumevano valore
simbolico, intravedendo da un lato una emancipazione dell’individuo dal gruppo e dalle forze
inconsce della natura, dall’altro l’emergenza di una coscienza sempre più capace di
rappresentazione simbolica e sempre più ordinata. Come sappiamo, in tutte le grandi religioni
del mondo esiste un legame simbolico tra luce e coscienza. La luce fa vedere, definisce,
permette la rappresentazione. Potremmo forse dire che anche nel rito esiste una “dimensione
di luce”, una dimensione di coscienza che si autorappresenta mediante la sua stessa azione.
10
Ibidem – pag,. 41
13
Come all’alba sorge il sole che con la sua luce lentamente illumina il mondo, così all’inizio
nasce l’uomo che con il farsi della sua coscienza individuale lentamente vede se stesso.
Queste considerazioni preliminari ci condurranno ad affrontare l’altra parte del nostro
discorso (il particolare fenomeno della luce laser) passando attraverso alcune riflessioni
sull’analogia tra luce e coscienza. Ma prima evidenziamo, riassumendoli, gli elementi
essenziali che descrivono la struttura del rito e descriviamo due rituali che vengono svolti
ancora oggi in alcune parti del mondo.
Sintesi: ogni rito affronta aspetti specifici, temi specifici: fertilità, morte, passaggi, ecc..
La funzione e gli effetti del rito sono:
1. Esperire con il corpo il rapporto con il Sé
2. Reintegrare il singolo nel gruppo e il gruppo nel mondo del numinoso
mediante una participation mystique
3. Una trasformazione;
4. Dominio, controllo
Ogni rito è caratterizzato da:
5. L’esistenza di una relazione con il mondo archetipico sovraindividuale
(l’individuo con il gruppo, il gruppo con il mondo del sacro);
6. Una Fase preliminare di Attivazione del processo trasformativo (attraverso
azioni preparatorie, da riti d’entrata, da purificazioni, da periodo di
isolamento).
7. Una trasformazione di energia da uno stato ad un altro di ordine superiore
(esempio si sposta l’accento sempre più dall’azione corporea alla visione);
8. Espressività, l’uso di maschere, simboli, danze;
9. Ripetitività, il rito ci propone un tempo ciclico;
10. Ridondanza informativa;
11. Sincronizzazione delle parti (individui o parti di sè);
12. Ordine - Assetto formale molto rigido e preordinato;
13. Invocazione, parte essenziale di ogni rito rituale;
14. Coscienza direzionata (“vettore coscienziale del rito”)
Due antichi “riti di passaggio”: la fertilità e il superamento della paura. 11
In Nigeria, nella regione chiamata Ocrica, si svolge un antico rituale per avere una maternità
felice. Giovani e vecchi credono agli spiriti dell’acqua come misteriosa sorgente di vita,
11
Tratto dal documentario televisivo “Riti e rituali sacri” – Rai Sat Nettuno
14
anche se il loro è un villaggio moderno dove le ragazze ricevono una educazione superiore.
Sono anche consapevoli della parità tra uomo e donna nel mondo occidentale. Eppure alcune
ragazze si offrono volontarie per prendere parte ad un antico rito della fertilità chiamato
“Iria” che è pesante sia fisicamente che psicologicamente. Il primo giorno del rito le ragazze
devono esporsi a seno nudo nella pubblica piazza e, pur provando una certa ansia, trovano il
coraggio per iniziare il rito perché le donne più anziane della comunità, conoscendone il
motivo, le incoraggiano (il legame con il gruppo) e, inoltre, perché sono dipinte e
trasformate. Potremmo dire che i loro corpi vengono “spiritualizzati” (anche attraverso l’uso
della maschera). Il rito, ai nostri giorni, viene finanziato dalla maggior parte dei genitori
anche se è costoso, perché portare a termine un Iria, significa diventare una donna vergine e
fertile, capace di donare molti figli sani al futuro marito.
Degli anelli di ottone, solitamente tramandati da generazioni, vengono applicati dalla coscia
alla caviglia. Durante le successive tre settimane di totale isolamento se le ragazze provassero
a scappare, l’intero villaggio le sentirebbe. Durante l’isolamento, chiamato “andare nella
casa dell’ingrasso”, le ragazze devono mangiare di continuo. Il significato è che l’essere
nutrite rimanda al futuro, quando saranno loro a nutrire la futura generazione. Un corpo
florido è molto apprezzato in Africa. Il sensuale rito dell’Iria è decisamente precedente
all’arrivo dei primi missionari nel diciannovesimo secolo. La sua origine si perde nella notte
dei tempi. Man mano che ci si avvicina alla fine del rituale le ragazze vengono adornate da
ventuno strati di tela avvolti alla vita e ai fianchi per accentuare le loro attrattive di
riproduttrici. Quando escono dall’isolamento e danzano nella piazza, i loro corpi sono belli.
Ora hanno una coscienza diversa da quella che avevano in quei primi momenti di imbarazzo
nella pubblica piazza. Sono felici. La corsa dalla riva del fiume fino al villaggio è un
momento estremamente importante. Perché lasciano il mondo degli spiriti dell’acqua e
corrono verso il villaggio dove cominceranno a vivere una vita reale. In questa corsa si può
vedere un giovane uomo con in mano la sua bacchetta; egli rappresenta “il fondatore” e deve
colpire ogni ragazza per conferirle fertilità. Le ragazze che portano a termine la cerimonia
dell’Iria, ricevono la definizione sociale più importante della femminilità. I loro corpi sono
diventati spirituali oltre che materiali e questo nessuno potrà mai toglierlo. Grazie al rituale
ora prendono parte alla vita di comunità come donne coraggiose.
Ma esistono anche riti violenti e dolorosi.
Uno dei rituali più drammatici e fisicamente impegnativi che si sono tramandati nei secoli è
quello che celebra il passaggio per il maschio dalla condizione di adolescente a quella di
adulto all’interno della comunità. In molte tribù indigene americane i giovani coraggiosi si
15
offrivano per una cerimonia terribilmente dolorosa. Comportava essere appesi per i capezzoli
o per la pelle della schiena. Il rituale considerato primitivo ed inumano dal governo
americano fu abolito quando le tribù vennero confinate nelle riserve. Molti considerano
questo fatto una intrusione nella cultura del gruppo etnico e che ciò abbia portato assieme ad
altri fattori alla morte del rituale.
Mentre in occidente disprezziamo i rituali che comportano mutilazioni corporali, altre culture
le incoraggiano. Nel sud pacifico un rito tradizionale di passaggio, violento quanto quello
praticato una volta dagli indiani d’America, continua ad esistere da secoli. Lungo il fiume
Sepik in Nuova Guinea il coccodrillo è di casa e, per gli abitanti del villaggio di Kraimit,
simboleggia il male; è per questo che da lui deriva un rituale per liberarsi dalla paura. Per
entrare nell’età adulta i ragazzi devono farsi fregiare con segni simili agli occhi e alle scaglie
di un coccodrillo. In un rituale a cui assiste l’intera comunità il ragazzo viene simbolicamente
allontanato dalla sua famiglia. In seguito vengono praticate con delle lamette delle incisioni
cutanee; l’esperienza è certo cruenta ma, secondo la cultura del villaggio, è anche necessaria
per “far scorrere via il sangue materno” dall’adolescente. In seguito potrà entrare nell’età
adulta come una figura orgogliosa, forte, indipendente. Il rispetto della tribù sarà conseguente
al suo comportamento. Per lenire il dolore le ferite vengono bagnate con acqua fredda; l’olio
applicato con penne d’uccello e il fango aiutano la cicatrizzazione. Tutto il percorso viene
accompagnato da danze e ritmi di tamburi. Quando il giovane ha compiuto questo rito viene
accolto nella comunità in modo nuovo e potrà cacciare il coccodrillo con gli altri uomini
senza paura.
Sottolineiamo in questi due riti il possibile cambiamento dello stato di coscienza degli
individui all’interno del gruppo di appartenenza: da adolescente ad una nuova dimensione
della femminilità e da adolescente maschio ad uomo coraggioso capace di affrontare la paura.
16
“Un salto quantico”: dal macrocosmo dei comportamenti animali e umani al
microcosmo dei comportamenti dell’energia luminosa.
In seguito riporto una sintesi del materiale presentato, dal Dott. Diego Frigoli, nel seminario
svolto ad Asolo nel 2006 sul tema “La luce e il cosmo”. La parte che ci interessa è quella
relativa al rapporto analogico tra il fenomeno luminoso e la coscienza, legame che rimanda
ad una sorta di “ottica metafisica della conoscenza del Sé”. A partire dal pensiero di Frigoli
utilizzeremo le analogie individuate tra luce in un sistema ottico e coscienza in un “sistema
psicosomatico” avvicinandoci all’argomento che stiamo approfondendo. Noteremo infatti
che, in un laser, il processo di organizzazione delle onde elettromagnetiche luminose (da
onde caotiche a onde coerenti) avverrà con modalità analoghe al processo di organizzazione
della coscienza individuale e gruppale nello svolgimento del rito che, come abbiamo visto
porta ad una sincronizzazione e integrazione del singolo nel gruppo o dell’io nel Sé; in altri
termini porta allo sviluppo di una coscienza integrata, ordinata, la quale possiede una propria
direzione, un proprio senso personale. E non solo, la creazione di luce ordinata dal
dispositivo laser può stimolare delle riflessioni che rimandano alla ricerca di quella “forma di
coscienza ordinata” a cui aspirano certe forme di meditazione o a cui fa riferimento la tecnica
ideata da Roberto Assagioli e da lui chiamata “Psicosintesi”12
. Infine, come vedremo, per
comprendere il funzionamento di un laser, oltre a nozioni di base di fisica quantistica sono
necessarie alcune nozioni di ottica geometrica che riporteremo in questo paragrafo,
conoscenze utili per alcune considerazioni sui processi dinamici relativi al tema della
coscienza.
Iniziamo, dunque, con il distinguere le differenze per quanto concerne l’oggetto specifico di
studio nella Scienza Fisica e nell’Ecobiopsicologia cercando di stabilire delle semplici
analogie di concetti. L’oggetto dell’ottica in fisica è lo studio dei fenomeni luminosi, mentre
in Ecobiopsicologia lo studio “dell’ottica” è legato alla coscienza. In fisica per fenomeno
luminoso si intende la causa delle sensazioni luminose percepite dal nostro occhio attraverso
la stimolazione delle cellule retiniche (coni e bastoncelli); alla causa di queste sensazioni in
fisica si dà il nome di luce. In Ecobiopsicologia per fenomeno luminoso si intende la causa
delle sensazioni interne di coscienza, cioè le sensazioni percepite dalla mente quando essa
riflette su di sè.
In fisica il calore è una forma di energia che può essere misurata; anche la luce è una forma
di energia. In ecobiopsicologia, la sensazione interna di stati di coscienza è legata ad una
forma di energia che sul piano della psiche condensa in sé tanto l’energia vitale del corpo,
12
Assagioli R. “Psicosintesi” - Astrolabio
17
quanto gli aspetti emergenti dell’organizzazione psichica e i suoi dinamismi (pensieri, idee,
relazioni tra di essi e vissuti affettivi). Cioè la riflessione interna non è solo psichica ma in
essa è “condensato” tutto quanto accade anche sul piano biologico concreto. Gli stati psichici
sono le facoltà emergenti del funzionamento del corpo. Anche Luis Chiozza afferma che ogni
organo possiede delle “fantasie specifiche inconscie”13
In fisica si parla di sorgenti luminose che emettono luce propria o di corpi illuminati che
possono solo rinviare la luce ricevuta da sorgenti primarie. I corpi illuminati si dividono in
corpi opachi che non si lasciano attraversare dalla luce, e corpi trasparenti.
Nelle fonti primarie, sorgenti che emettono una luce propria, si distinguono le fonti per
incandescenza e quelle per luminescenza che emettono luce propria a temperatura
relativamente bassa (ad esempio una lucciola).
Secondo il dott. Frigoli, dal punto di vista ecobiopsicologico le analoghe fonti primarie per
incandescenza, sul piano psicologico, saranno le emozioni, la sessualità, l’ira, i fatti eroici;
sul piano della spiritualità potremmo parlare di stati di incandescenza – cioè alto livello del
calore – riferendoci, ad esempio, a quei fenomeni di cui fanno esperienza gli sciamani del
Tibet che calati in uno stato di profonda meditazione, seduti in mezzo alla neve, producono
un calore interno “per incandescenza” portando allo scioglimento della neve che li circonda.
Infine le fonti che emettono luce per luminescenza rinviano analogicamente al tema
dell’intuizione. L’intuizione è un lampo di luce a bassa temperatura, e per ora ci basti
considerare che ciò che può attivare l’intuizione sono i simboli. Analogicamente parlando, i
corpi illuminati corrispondono nella psiche ai concetti che ricevono la luce psichica della
mente e cosi facendo diventano patrimonio del nostro pensiero cosciente e della ragione.
Allora potremo dire che attraverso un lampo di intuizione possiamo portare alla luce concetti
che prima “stavano in ombra”. I corpi opachi sono i concetti mentali che non permettono la
comprensione alla mente perché non sono stati resi ancora permeabili alla comprensione;
mentre i corpi trasparenti o analogicamente i concetti trasparenti, hanno già passato una
verifica dall’esperienza mentale e sono diventati per la coscienza consuetudinari. I corpi
opachi sono i concetti astratti ancora incomprensibili alla coscienza del meditante, mentre i
corpi trasparenti sono gli stati spirituali sperimentati dal soggetto come aderenti ad un
progetto evolutivo. Quindi, quando noi ci apriamo ad una domanda circolare di tipo evolutivo
che abbiamo in parte conosciuto attraverso l’applicazione delle logiche analogiche,
inevitabilmente diventiamo trasparenti a qualcosa e il concetto non è più incomprensibile; ciò
avviene anche nel normale apprendimento. In termini psicologici e spirituali, la distinzione
13
Trombini G., Baldoni F. “Psicosomatica” Il Mulino, pag. 45
18
tra opaco e trasparente non è data solo dalla natura dei concetti in esame ma anche dal loro
spessore mentale. Un concetto incomprensibile può essere reso trasparente quando lo si
riduce in minimi termini esemplificativi e per fare questo usiamo la metafora. Quindi con
essa noi possiamo rendere trasparente un concetto opaco. Consegue che attraverso la
metafora (emisfero di destra) possiamo rendere trasparente un concetto che all’emisfero di
sinistra appare come opaco.
Un idea importante, per il nostro studio, è che dalla sensorialità fisica è possibile arrivare a
qualcosa di più allargato, cioè attraverso fonti luminose per incandescenza o per
luminescenza (analogicamente a partire da stati emotivi, pulsioni o intuizioni) è possibile
accedere ad uno stato di coscienza più allargato. Questo concetto ci fa intravedere qualche
elemento che – come abbiamo visto - caratterizza lo svolgimento del rito. Anche gli studi
dello psicanalista W. R. Bion, sullo sviluppo del pensiero, sottolineano l’importanza delle
sensazioni e delle esperienze emotive come base di tale sviluppo14
.
A partire da alcune nozioni di ottica geometrica riportiamo alcune considerazioni applicando
analogicamente le sue leggi al funzionamento della coscienza. L'ottica geometrica è
governata da quattro leggi fondamentali: propagazione rettilinea della luce; indipendenza dei
raggi luminosi; riflessione della luce su una superficie speculare; rifrazione della luce sulla
superficie di separazione fra due mezzi trasparenti ad esempio aria e acqua. Le
considerazioni riguarderanno due di queste leggi: la propagazione rettilinea della luce e la
riflessione.
In un sistema ottico, l’aspetto centrale è il tema del “fuoco”. Mettere a fuoco qualcosa
significa vederne l’immagine più nitida. Ci chiediamo quale possa essere l’aspetto
psicosomatico di una facoltà mentale che sul piano psicologico svolge un ruolo omologo a
quello svolto da uno specchio concavo, in un sistema ottico, tale da permette ai raggi
luminosi di concentrarsi in un fuoco. Dove sarà il punto interno relativo al “fuoco”, alla
messa a fuoco di un immagine? Cioè, dove sarà quel punto affinché quella energia – la luce
psichica - di cui si accennava sopra possa dar origine ai concetti chiari e definiti, ai “corpi
illuminati”? Secondo il dott. D. Frigoli, il sistema ottico interno è dato da un criterio di
attenzione e di volontà, e se si vuole attivare una esperienza spirituale, il luogo
psicosomatico del fuoco è il cuore.
Posta l’attenzione nel fuoco del cuore l’energia psichica rifletterà qualcosa di molto preciso.
Ovviamente tale esercizio non è di natura semplice. Se la psiche si pone come specchio delle
sensazioni interne, e se pensiamo che queste sensazioni interne siano l’espressività somatica
14
W.R. Bion “Apprendere dall’esperienza”, Armando Editore – cap. 21 esimo.
19
di cellule, tali cellule, rispetto alla psiche, sono esattamente poste all’infinito e mandano
stimoli alla psiche. Se così stanno le cose, possiamo concentrare questi aspetti interni – le
sensazioni interne di coscienza - in due sedi: la prima è appunto il cuore, la seconda sede è
l’ombelico. Abbiamo aggiunto l’ombellico perché è dall’ombelico che si forma il corpo e
quindi è dall’ombellico che vediamo dipanarsi il corpo e il suo divenire. D’altra parte un
fuoco sta nel cuore, perché nel cuore noi abbiamo il centro psicosomatico dell’adulto, la sua
capacità di amare.
Quando siamo in grado di trasformare l’aspetto psichico della mente come uno specchio
concavo e usiamo le informazioni, le sensazioni che provengono dall’interno del corpo e le
concentriamo nel cuore noi proviamo un emozione, una sensazione di calore, appunto di
fuoco. La tecnica qui accennata – di cui gli orientali sono maestri, pensiamo alle varie forme
di meditazione – attiva la capacità di evocare in modo consapevole l’intuizione.
Frigoli afferma che l’intuizione non accade più come qualcosa di spontaneo ma diventa la
conseguenza di una precisa messa in atto di una tecnica. Variando “la curvatura della nostra
psiche”, quando il fuoco entrerà nel cuore, emergerà, si attiverà, la componete calore della
parte che avremo intuito e avremo la lettura mentale dell’esperienza intuita; questo processo
si condenserà come esperienza individuale di conoscenza. Quindi tutta la tecnica meditativa è
la capacità per esperienza – a furia di tentativi ed errori in quanto non conosciamo a priori
come deve essere la curvatura – di poter a colpo sicuro dare alla psiche il corretto tipo di
curvatura per far si che inevitabilmente le sensazioni interne arrivino nel cuore e si verifichi
l’intuizione. Non possiamo non intravedere in questo ragionamento una analogia con quanto
ci insegna la teoria della relatività, dove si parla di curvatura dello spazio-tempo, e delle altre
dimensioni della realtà. Potremmo dire che curvare la psiche è come entrare in un’altra
dimensione interiore.
È la conseguente emergenza dell’intuizione che porta il mistico ad aprirsi alla conoscenza
dell’universo in questo modo, ed è una vera e propria tecnica, come imparare a nuotare per il
corpo. Per apprendere questa tecnica è necessaria guida che ne conosca le modalità, a cui noi
riferiamo le nostre esperienze e che ci orienti su come guidare la componete della psiche
affinché accada l’esperienza nel cuore e quando l’avremo sperimentata una volta la sapremo
ritrovare sempre.
Nell’ambito della psicoterapia possiamo paragonare questa esperienza di intuizione
all’aspetto empatico col paziente; ad esempio a ciò che accade nel transfert e nel
controtransfert, fenomeni che impariamo veramente a conoscere man mano che li
sperimentiamo direttamente. Al terapeuta può capitare di provare sensazioni, stati d’animo ed
20
emozioni che intuisce “non appartenergli o non appartenere alle dinamiche attuali della
relazione terapeutica” e in questo modo riconosce il fenomeno transferale (tanto quanto ha
elaborato le proprie tematiche personali), e quello controtransferale che monitorerà con
costante vigilanza.
La difficoltà più grande riguarda la capacità di rendere maggiormente plastica la mente. Per
“plastica” si intende imparare a curvare la mente cioè a ragionare in termini circolari, come è
stato sottolineato all’inizio di questo lavoro parlando di analogia. Di fronte ad una domanda,
si curva la mente in modo aperto e sostenibile. Innanzitutto ci deve essere un interesse e un
investimento emozionale, pensiamo all’interesse dei bambini e alla loro partecipazione
emozionale nella fase dei “perché?”, una sorta di fame epistemologica. Quando la curvatura è
orientata nel cuore si ha contemporaneamente la componente emotiva e la chiarezza.
L’interesse per la cosa ci tira dentro, orienta la mente, non sulla cosa che già conosciamo
(altrimenti entreremo in una logica di pensiero lineare), ma grazie alla componete emotiva,
passionale, ci si apre all’ignoto; ad una apertura senza che vi sia già una risposta. E da lì
abbiamo l’intuizione diretta della cosa, una sorta di “emergenza da”. Nel prossimo paragrafo
noteremo come il sistema ottico che fa parte del laser sia costituito da due specchi concavi
che possiedono una propria specifica curvatura tale da concentrare il fascio di luce lungo
l’asse tra i due fuochi. Sembrerà quasi di rincontrare i due “fuochi” individuati da Frigoli,
quello del cuore e quello dell’ombellico. Seguendo una libera associazione, saremmo quasi
tentati di parlare di una sorta di “plesso solare” e di entrare nel mondo della meditazione
Yoga, dove noteremmo che le parti della coscienza relative allo specifico chakra sono quelle
concernenti il potere, il controllo e la libertà, l’agio con cui una persona è capace di essere se
stessa. Ma, al momento, ritorniamo a percorrere la nostra strada.
Affrontando il tema della riflessione possiamo dire che i raggi incidenti della luce -
coscienza, sono il nostro interesse sulla cosa, se mancano questi raggi incidenti non si ottiene
nulla, “non si incide”. Ma la passione, lo sottolineiamo, passa per il cuore, nasce da dentro.
Quando noi esaminiamo un concetto che ci è “opaco” questo concetto rimanda il raggio del
nostro interesse mentale secondo un criterio diretto. Se il concetto è incomprensibile, per
esempio una formula matematica ignota o una parola in una lingua straniera sconosciuta, il
raggio riflesso tornerà alla nostra coscienza, informando del fatto che non abbiamo capito
quella cosa. Ma se il raggio incidente del nostro interesse, tocca in termini concettuali un
simbolo, il processo cambia: accade qualcosa di diverso. Questo fatto, a mio avviso, è di
enorme importanza per la comprensione della dinamica del rito e del suo carattere ripetitivo.
Infatti, il simbolo per sua natura, anche se all’apparenza incomprensibile, investirà la psiche
21
di un significato accessorio contenuto in esso. Tale significato sarà avvertito dalla psiche
come una sorta di emozione sconosciuta che accompagna il dato cognitivo ignoto. È quel
emozione che rimetterà in gioco l’intero processo sollecitando ulteriormente l’interesse del
soggetto che indaga. Come a dire che l’emozione “sveglia la mente, la sollecita” e il simbolo
ha in sé tale potenzialità, anche se anche non si è capito cosa significhi. In altre parole la
componete che ci ritorna indietro non è il fatto cognitivo, è un fatto emotivo che alimenta
l’interesse, fino a che di interesse in interesse, di emozione in emozione si crea un vortice
dove ad un certo punto il simbolo può esplodere nel suo significato. E a quel punto abbiamo
l’informazione.
Sebbene, in questo lavoro, Frigoli si riferisca specificamente ad un processo interno
all’individuo, ad una coscienza che s’informa per mezzo di una messa in atto di una tecnica,
possiamo ritenere che un analogo processo accada anche nel rito originario che nella sua
evoluzione giunge fino ai riti individuali. Se nei riti originari l’uomo primitivo per sua natura
partecipava a queste trasformazioni aderendovi totalmente, oggi, riferendoci all’esperienza
dal punto di vista psichico (della coscienza orientata a lasciar parlare il simbolo “in un rito
individuale”), esiste un ostacolo. Conclude infatti Frigoli: “Mentre viviamo questa esperienza
dal punto di vista psichico, noi possiamo non crederci e quindi siamo noi che interrompiamo
il contatto, asserendo che è inutile. Diventa una nostra scelta, un libero arbitrio che è legato
alla nostra volontà. Tuttavia se noi manteniamo il contatto con il simbolo e rimaniamo
all’interno di questo processo, possono succedere delle cose incredibili, nei sogni, negli stati
di coscienza. Tutto ciò che nella mente è simbolico diventa fisico attraverso un rapporto
costante di conoscenza e meditazione sull’oggetto di interesse”.
Abbiamo osservato come l’utilizzo di alcuni concetti di ottica e la considerazione di un
semplice sistema ottico, delle sue componenti basilari, ci abbia permesso, utilizzando il
pensiero analogico, di aprirci alla conoscenza o quanto meno di ipotizzare un modo di
funzionamento della psiche profonda, tanto da poterne intravedere una applicazione tecnica e
la comprensione dei fenomeni di meditazione. Come dire, qualcosa di esterno – un sistema
ottico - ci aiuta a comprendere un processo interiore, ma succede anche il contrario: un
accadimento interiore ci porta a conoscere maggiormente il mondo esterno. Tutte le teorie
scientifiche che spiegano la natura e l’universo, sono nate da simili processi intuitivi.
Riassumendo, potremmo dire sinteticamente e in generale, che in una coscienza che si
sviluppa ampliando la conoscenza del mondo e di se stessa, siano presenti specifiche qualità:
22
un atteggiamento mentale di apertura verso l’ignoto mosso dal desiderio,
dall’interesse; forse una apertura selettiva che dipende dal grado di sviluppo della
coscienza.
una personale capacità di focalizzare l’interesse in termini di volontà e attenzione,
estendendo la coscienza in dimensioni del reale prima ignote.
una capacità di rapporto con le componenti emotive, affettive, pulsionali – le energie
che provengono dall’inconscio, dal corpo e per estensione, dalle forze della natura;
LASER: energia ordinata15
Nel paragrafo precedente – nell’ambito di una visione olistica e utilizzando un metodo di
osservazione preciso - è stata comparata l’ottica fisica con “l’ottica metafisica” della
coscienza al fine di cogliere alcune dinamiche e regole dei processi sottostanti. Il legame tra i
due ambiti è dato dal tema della “luce – coscienza”, rapporto analogico che ritroveremo
anche tra laser e rito come “luce – coscienza che si ordina”. Approfondiamo quindi il
fenomeno della luce laser. Iniziamo raccogliendo alcune informazioni, tralasciando però le
dimostrazioni logico matematiche su cui si fonda il metodo scientifico della fisica. Questi
dati ci permetteranno di vedere alcune caratteristiche di funzionamento e alcune qualità che
proveremo a comparare analogicamente con quelle intraviste nel fenomeno del rito.
La parola "L.A.S.E.R." è l'acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of
Radiation, cioè amplificazione della luce mediante il fenomeno dell'emissione stimolata di
radiazione.
Per comprendere il funzionamento di un laser è necessario quindi dare qualche accenno al
fenomeno dell'interazione tra radiazione e materia, da cui l'effetto di amplificazione trae
origine.
Nel 1917 Albert Einstein ipotizzò che l'emissione di un raggio di luce ad alta energia da un
atomo potesse essere stimolata da un raggio di luce di una certa frequenza ad esso incidente.
Dobbiamo immaginare un sistema di atomi in equilibrio dove i livelli del sistema ad energia
maggiore siano meno occupati di quelli ad energia minore. Questa situazione fa si che
nell'interazione radiazione-materia l'effetto complessivo sia un assorbimento di parte della
radiazione da parte del sistema di atomi (una eccitazione del sistema).
15
Il materiale di questo paragrafo è stato tratto dalla lezione di Fisica Generale II svolta dal Prof. Paolo Allia
del Politecnico di Torino e trasmessa su RAI Nettuno SAT – Lezione n. 30 – “Introduzione al laser”, e da siti
internet attraverso i quali è stato approfondito l’argomento.
23
Se riuscissimo a "invertire" il rapporto tra le popolazioni relative di due livelli diversi sarebbe
possibile rendere predominante il processo dell'emissione stimolata su quello
dell'assorbimento. Tale effetto sarebbe una vera e propria amplificazione, in quanto il
processo di assorbimento è un processo "coerente", nel senso che il suo effetto è solo quello
di ridurre l'ampiezza di un treno di onde sinusoidali, senza alterarne la coerenza di fase. Tale
coerenza può essere compresa se si immagina l'interazione radiazione-materia come lo
scambio di energia tra due oscillatori armonici risonanti. Questa coerenza deve essere
confrontata con la mancanza di coerenza di fase associata ai processi di emissione spontanea.
Per le sorgenti di luce incoerente, infatti, la radiazione emessa è l'insieme di un gran numero
di onde indipendenti ed il fronte d'onda che ne risulta varia da punto a punto e da istante a
istante. Tale ultimo fenomeno non si verifica in sistemi, come il laser in cui si fa uso del
meccanismo di emissione stimolata, in quanto i fotoni prodotti tramite questo meccanismo,
essendo generati in condizioni di "risonanza" tra campo elettromagnetico e distanza in
energia tra i livelli atomici, sono automaticamente monocromatici. Tuttavia la coerenza di
fase esiste solo nel meccanismo di emissione stimolata, e questo produce un grossissimo
effetto sull'intensità dell’energia elettromagnetica. In altre parole la coerenza della luce laser
può essere compresa con la seguente metafora. Tutte le onde luminose che compongono il
fascio oscillano in fase, come schiere di soldati in marcia con la stessa cadenza. La luce
ordinaria può invece essere paragonata ad una folla di persone che camminano in modo
disordinato in direzioni diverse con passo diverso, fermandosi e riprendendo a camminare in
momenti diversi. È possibile intuire, a parità di energia spesa, la diversa efficacia degli effetti
nei due casi. Immaginiamo che la folla e i soldati camminino su di un ponte. Mentre il
camminare disordinato della folla ha un effetto mediamente nullo sulla struttura del ponte, il
marciare dei soldati in sincronismo produce un effetto uguale alla somma dei singoli effetti e,
se la cadenza di marcia si avvicina ad una delle frequenze naturali del ponte, essa può mettere
in risonanza la struttura col rischio di distruggere il ponte. Per questo quando i soldati stanno
per attraversare un ponte interrompono la marcia e si mettono a camminare o a correre
normalmente.
Un componente importante di un laser è il cosiddetto "risonatore ottico" o "cavità
risonante". Questo è in genere composto da una coppia di specchi contrapposti, nel cui
interno viene collocato il cosiddetto "mezzo attivo", cioè il materiale (gas, liquido o solido) i
cui atomi sono utilizzati per il processo di emissione stimolata. In tale modo la radiazione
generata viene riflessa avanti ed indietro tra i due specchi e ad ogni passaggio attraverso il
mezzo attivo viene amplificata. In generale uno dei due specchi è completamente riflettente,
24
mentre l'altro, detto specchio di uscita, è solo parzialmente riflettente. Questo permette di
"estrarre" una parte della radiazione che si accumula nella cavità risonante.
Un esempio di più facile comprensione può essere il risonatore acustico. Immaginiamo di
tendere un elastico tra due pareti e di sollecitare una sua estremità. L'impulso generato si
propaga riflettendosi e capovolgendosi (invertendo la propria fase) ogni volta che incontra
una parete, rimanendo così imprigionato. Se sollecitiamo nuovamente la stessa estremità
generiamo altri impulsi che rimangono confinati tra le due pareti. In generale questi impulsi
interferiscono distruttivamente tra loro; l'interferenza sarà costruttiva solo se il tempo che
passa tra una sollecitazione e l'altra è un multiplo del tempo impiegato dall'impulso per
percorrere l'elastico nei due sensi. Le onde interne alle pareti sono quindi stazionarie. Quanto
abbiamo visto finora è caratteristico di tutte le onde e non solo di quelle meccaniche. Le
stesse considerazioni continuano quindi a valere per un'onda acustica "intrappolata" tra due
pareti. In questo caso è necessario far propagare l'onda in un tubo in modo da evitare che il
suono si disperda. Per sollecitare un' "estremità" dobbiamo inoltre sostituire una delle due
pareti con un altoparlante. In questo modo abbiamo realizzato un risonatore acustico. In un
oggetto così costruito risuonano (vengono amplificate) solo note di una particolare frequenza;
tutte le altre note non possono essere sentite al suo interno.
Ritornando al nostro caso (risonatore ottico) si può aggiungere inoltre che la cavità risonante
produce un effetto di "selezione" sulla lunghezza d'onda di emissione del laser. Il risonatore
ottico produce una selezione sulla direzione di propagazione della radiazione (i fotoni emessi
con un angolo troppo grande rispetto alla distanza e all’inclinazione degli specchi verranno
"persi" dopo poche riflessioni all'interno della cavità risonante). Macroscopicamente (cioè
per dimensioni molto maggiori della lunghezza d'onda), la luce segue le leggi
dell'elettromagnetismo classico: si comporta come un'onda. Quindi, come le onde acustiche,
la luce racchiusa in una cavità appropriata presenta dei modi normali di oscillazione.
Abbiamo detto che il risonatore ottico è una cavità a pareti riflettenti, cioè costituite da
specchi. I risonatori usati nei laser hanno una caratteristica fondamentale: la lunghezza del
risonatore, ovvero la distanza tra i due specchi, è molto maggiore della lunghezza d'onda. La
prima, infatti, è dell'ordine del centimetro, mentre la seconda di meno di un decimillesimo di
centimetro. Non è facile costruire una cavità di dimensioni dell'ordine della lunghezza d'onda
e inoltre essa non sarebbe molto utile: l'energia che si potrebbe immagazzinare in una cavità
così piccola sarebbe poca. Le caratteristiche del fascio luminoso in uscita dipendono dalle
trasformazioni avvenute all’interno dell’elemento ottico e uno degli scopi del risonatore
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ottico utilizzato nei sistemi laser è quello di selezionare alcuni raggi “speciali”, cioè
caratterizzati dal fatto di essere uguali a se stessi dopo un giro completo nel risonatore stesso.
Nel costruire le cavità, si utilizzano degli specchi concavi, che concentrano il fascio di luce
lungo l'asse tra i due fuochi. La concavità è definita dal raggio di curvatura. Come abbiamo
visto, almeno uno degli specchi non riflette completamente la luce ma si lascia in parte
attraversare da essa: lo specchio è detto semiriflettente. Circa l'1% della luce incidente viene
lasciata uscire. Se gli specchi fossero perfettamente riflettenti, la cavità sarebbe
completamente isolata dall'esterno e non servirebbe a nulla. Questo fatto è fondamentale,
poiché permette di estrarre una parte della radiazione che si accumula nella cavità risonante.
L'ultimo componente di un laser, ma non per questo meno importante, è il sistema di
pompaggio: che è la fonte di energia necessaria per eccitare gli atomi del mezzo attivo in
modo da permettere di ottenere emissione coerente nel processo di dis-eccitazione. La
condizione di oscillazione deve essere mantenuta precisamente costante nel tempo per
permettere l'emissione laser. Si tratta di un sistema di pompaggio molto selettivo (eccita solo
la transizione desiderata). Il tipo di luce che si può utilizzare è una comune lampada che
riversa nella cavità energia luminosa a getto continuo (non pulsata).
Una breve sintesi: il laser a rubino.
Il primo laser fu un laser a rubino realizzato nel 1960 da T. H. Mainan, ricercatore presso i
laboratori Huyghens, in California.Il Laser a Rubino è costituito da:
una barretta di rubino (materiale attivo solido) limitata alle estremità da una superficie
riflettente e da un'altra semitrasparente e semiriflettente. Le superfici riflettenti
consentono ai fotoni di percorrere la barretta più volte
una lampada di "pompaggio ottico" allo xeno, al tungsteno e cripto o ai vapori di
mercurio ad alta pressione, intensamente luminosa avvolta a spirale intorno alla
barretta di rubino (vedi figura sottostante).
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Riassumendo, il concetto base della struttura laser è il seguente. Radiazioni disordinate di
luce comune vengono "pompate" in un materiale otticamente attivo che ne assorbe l'energia
restituendola sotto forma di luce ordinata (coerente) e di un solo colore (monocromatica). Le
caratteristiche ottiche e geometriche del sistema in cui è inserita la luce comune consentono
di creare onde stazionarie in grado di sincronizzare il rilascio di energia luminosa accumulata
nel materiale attivo.
La luce entrante è costituita da onde caotiche, mentre la luce uscente si tramuta in onde
coerenti. La lampada emette un'intensa radiazione all'interno della struttura riflettente,
eccitando gli atomi del rubino. I fotoni della radiazione luminosa vengono assorbiti e un certo
numero di elettroni atomici cambia il proprio livello energetico raggiungendo un livello
superiore.
Gli atomi colpiti da una radiazione di frequenza correlata con il loro stato di eccitazione
generano una condizione di risonanza ottica per cui i fotoni incidenti non solo non vengono
assorbiti, ma addirittura ne generano dei nuovi.
Nel rubino l'alluminio e l'ossigeno sono materiali otticamente inerti, mentre gli ioni di cromo
sono i centri otticamente attivi. Irraggiando il cristallo di rubino con luce bianca, gli ioni
cromo la assorbono e molti elettroni vengono eccitati spostandosi su livelli energetici
superiori. Alcuni elettroni, infatti, ritornano allo stato fondamentale, mentre altri vanno in
livelli metastabili con una transizione che cede energia vibrazionale al cristallo. L'emissione
di luce rossa avviene quando l'atomo si dis-eccita. Grazie alla sua naturale forma cilindrica il
rubino viene usato sia come mezzo attivo che come risonatore: le due basi del cilindro sono
infatti piane e parallele, e lavorandole otticamente, rivestendole con un strato riflettente,
funzionano come i due specchi di un risonatore ottico.
Le caratteristiche della luce laser sono, quindi: monocromaticità; coerenza spaziale (estrema
direzionalità); coerenza temporale (onde della stessa frequenza e fase). La luce laser non si
irradiata in tutte le direzioni ma raggiunge grandi distanze con estrema direzionalità.
Trasferire energia ordinata ha un effetto diverso dal trasferimento di energia disordinata e lo
vedremo, in seguito, considerando alcune applicazioni del laser. Per "ordinare" l'energia nel
laser si dosa l'energia introdotta in modo tale da ottenere un'onda stazionaria che stimola le
ricadute degli elettroni sincronizzandole. L'energia viene così assorbita in modo ordinato e
l'onda luminosa continua ad aumentare d'intensità. Al fine di evitare la distruzione del tubo
che ne deriverebbe, uno dei due specchi non è completamente riflettente e lascia passare
parte della luce.
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Le onde laser hanno la stessa frequenza e la stessa fase dando origine ad un treno di luce che
può essere spinto ad elevata intensità e ad elevata potenza (coerenza temporale). L'elevata
intensità e potenza del laser derivano dal treno di luce ottenuto dalla stessa frequenza e fase
delle onde che lo costituiscono. Vediamone alcune applicazioni.
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Applicazioni del laser
A causa delle sue prestazioni molto specifiche, il laser ha avuto in passato ed ha tuttora
innumerevoli applicazioni in molti campi della tecnica, della medicina, delle scienze. In
medicina il bisturi laser che sostituisce il normale bisturi metallico, ha il vantaggio della
estrema sottigliezza del taglio e di cicatrizzare mentre taglia, impedendo quindi la perdita di
sangue. Nelle operazioni sulla retina dell'occhio, per la sua saldatura, oltre che per la
sagomatura della cornea e quindi correzione definitiva dei difetti visivi, ed in particolari
applicazioni di microchirurgia interna ed artroscopia. In campo militare vi sono le bombe a
guida laser, le armi da fuoco a puntamento laser, usate sia per i cannoni, che per le pistole o i
fucili. Nell'industria con il laser si tagliano i metalli o le tavole in legno per esempio per il
modellismo con pilotaggio computerizzato da consolle. In astronomia il laser è stato usato
per mandare un raggio sulla luna e farlo ritornare misurandone la distanza con un errore di
pochi centimetri, utilizzando uno specchio, rivolto verso la terra, lasciato dagli astronauti
dell'Apollo11 il 21 luglio del 1969; è stato a seguito della altissima precisione di questa
misura che si è potuto rilevare, che la Luna si va lentamente allontanando dalla Terra. Nel
campo scientifico, poi, gli impieghi sono certamente innumerevoli, specialmente nei campi
della ricerca e sperimentazione di ogni tipo.
Forse, per il nostro discorso, la più interessante applicazione della luce laser è quella che ha
portato la scienza a sviluppare nuove concezioni sulla natura del universo. Una luce ordinata
che apre a nuove conoscenze. Ci riferiamo alla creazione degli ologrammi, cioè di immagini
tridimensionali. Il fisico Alain Aspect ed il suo team scoprirono che, sottoponendo a
determinate condizioni delle particelle subatomiche come gli elettroni, esse sono capaci di
comunicare istantaneamente una con l'altra indipendentemente dalla distanza che le separa,
sia che si tratti di 10 metri o di 10 miliardi di chilometri. Come se ogni singola particella
sapesse esattamente cosa stanno facendo tutte le altre.
La maggior parte dei fisici nega la possibilità di fenomeni che oltrepassino la velocità della
luce, ma l'esperimento di Aspect ha rivoluzionato questo postulato, provando che il legame
tra le particelle subatomiche è effettivamente di tipo non-locale. David Bohm, celebre fisico
dell'Università di Londra recentemente scomparso, sosteneva che le scoperte di Aspect
implicassero la non-esistenza della realtà oggettiva. Vale a dire che, nonostante la sua
apparente solidità, l'Universo fosse in realtà un “fantasma”, un ologramma gigantesco e
splendidamente dettagliato. Anzi poiché l’universo è in continuo mutamento Bohm ha
definisce questo moto un “Olomovimento” dove sono fuse tutte le forme dell’universo in
divenire.
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Per capire la sbalorditiva affermazione di Bohm gettiamo uno sguardo alla natura degli
ologrammi. Un ologramma è una fotografia tridimensionale prodotta con l'aiuto di un laser:
l'oggetto da fotografare viene prima immerso nella luce di un raggio laser, poi un secondo
raggio laser viene fatto rimbalzare sulla luce riflessa del primo e lo schema risultante dalla
zona di interferenza dove i due raggi si incontrano viene impresso sulla pellicola fotografica.
Quando la pellicola viene sviluppata risulta visibile solo un intrico di linee chiare e scure ma,
illuminata da un altro raggio laser, ecco apparire il soggetto originale. La tridimensionalità
non è l'unica caratteristica interessante degli ologrammi: se l'ologramma di un oggetto viene
tagliato a metà e poi illuminato da un laser, si scopre che ciascuna metà contiene ancora
l'intera immagine dello stesso oggetto iniziale. Anche continuando a dividere le due metà,
vedremo che ogni minuscolo frammento di pellicola conterrà sempre una versione più
piccola, ma intatta, della stessa immagine. Diversamente dalle normali fotografie, ogni parte
di un ologramma contiene quasi tutte le informazioni possedute dall'ologramma integro.
Viene confermata così una nuova possibilità di comprensione dei concetti di organizzazione e
di ordine, sia a livello microcosmico che macrocosmico o, su un altro livello di complessità,
sia al livello del singolo individuo che a livello collettivo. Come se dietro alla forma
manifesta dell’universo esistesse “…un ordine “implicato” sottoforma di onde
elettromagnetiche, onde sonore, fasci di elettroni e altre forme di movimento”.16
Le stesse
forze archetipiche che in biologia sono legate agli istinti e a cui gli uomini primitivi si
rapportavano inconsciamente mediante i propri riti.
16
Frigoli D. “Il corpo e l’anima” – Ed. Sapere – pag. 108
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… “posso riassumere brevemente la mia spiegazione
appunto col linguaggio dei segni. Lei immagini un A,
che sia intimamente congiunto con un B, tanto che
molti espedienti e molte forze non riescono a
separarlo; immagini un C che si comporta allo
stesso modo rispetto ad un D; ora porti le due coppie
in contatto: A si getterà su D, C su B, senza che si
possa dire quale per primo abbia abbandonato
l’altro, quale per primo si sia di nuovo congiunto
con l’altro.”
Johann Wolfgang Goethe –
“Le affinità elettive”
Legami analogici tra rito e laser
L’analogia, come abbiamo visto, esprime una identità di rapporti. Comparare analogicamente
rito e laser significa riconoscerne i principi formali invarianti aldilà della loro specifica
manifestazione. Ecco allora che se da un lato la funzione generale del rito è di attivare una
trasformazione sperimentando con il corpo il rapporto con il Sé (quale archetipo ordinatore),
dall’altro il laser trasforma una energia luminosa che si disperde in tutte le direzioni in una
luce ordinata, direzionata. In entrambi i casi possiamo intravedere un processo trasformativo,
di una energia psichica gruppale o individuale nel rito e di una energia fisica luminosa nel
laser dove, in quest’ultima, è attiva una funzione di controllo derivante dalla struttura formale
del dispositivo stesso.
Le onde elettromagnetiche “psichiche” sono “le coscienze dei partecipanti al rito” che si
trasformano assimilando qualità specifiche diverse (un nuovo ordine, una integrazione, una
sincronia e una amplificazione). La trasformazione avviene all’interno di un sistema
complesso: un sistema ottico riflettente costituito da specchi speciali (il risonatore ottico) che
nel rito rimandano all’ambiente, alla collettività e all’insieme di persone “che fanno da
specchio” amplificativo attraverso la drammatizzazione e l’espressività simbolica che viene
messa in atto nel luogo sacro. Il tutto avviene all’interno di una sincronicità di eventi
significativi “che parlano”. Una sincronicità di riflessioni, di eventi significativi, che
possiamo ritrovare anche all’interno del rito individuale nel processo di individuazione.
Potremmo vedere nella fase preparatoria del rito quel processo di immissione di energia nel
mezzo attivo (gruppo o individuo) che, come abbiamo visto, nel laser si chiama pompaggio
ottico; è un attivazione della coscienza psicosomatica dove avviene un processo di
eccitazione e dis-eccitazione degli “atomi – individui”; è un modo per accendere le “fonti per
incandescenza” (le emozioni, le pulsioni sessuali) e permettere in seguito attraverso il sistema
di specchi, la riflessione della luce – coscienza e la sua amplificazione in un emergenza di
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forme ordinate. W. Reich definirebbe la prima parte di questo processo una esperienza di
carica – scarica di energia sessuale o di energia biologica definita “orgone”.17
Nell’esposizione del funzionamento del dispositivo laser, abbiamo parlato di risonanza ottica;
nello svolgimento di qualsiasi rito ritroviamo sempre una risonanza, meglio una ridondanza
informativa dovuta all’utilizzo di simboli, prima sottoforma di azioni, comportamenti,
mascheramenti, poi sottoforma di immagini simboliche che, caricate di emozioni, rimandano
ad ulteriori significati e permettono una circolarità informativa attorno al nucleo significativo
centrale, “oggetto” del rito stesso. Esiste quindi una selezione sulla direzione del svolgimento
del rituale, un rito di passaggio è altra cosa da un rito di fertilità e rinviano a costellazioni
simboliche differenti: è il tema del rito, la sua “monocromaticità”
Dal punto di vista ottico e geometrico, la precisione con cui viene costruito un dispositivo per
la produzione di luce laser si ritrova nella meticolosità dell’assetto formale - molto rigido e
preordinato – con cui si svolge il rituale, laddove, nei riti primitivi, ogni “interferenza”
poteva essere punita anche con la morte e il rito doveva essere ricominciato. La funzione
(anche se inconsapevole) del rituale primitivo di incanalare e contenere l’aggressività e le
forze inconsce aveva uno suo vettore coscienziale, un suo senso preciso; una estrema
direzionalità caratterizzante anche la luce laser che possiede una propria coerenza spaziale.
Essa è monocromatica in sé (stesso tema) ma chiaramente possiamo avere diversi laser che
emettono luce monocromatica di colore diverso, come a dire che ogni tema può essere
amplificato.
Infine la coerenza temporale (onde della stessa frequenza e fase, un ritmo che si ripete
sempre uguale), la sovrapponiamo per affinità alla ripetitività del rito in senso allargato ma
sopratutto alla sincronizzazione. Le radiazioni elettromagnetiche sono sincronizzate tra loro
così come esiste una sincronizzazione delle parti nel rito. Gli individui nel gruppo devono
seguire ognuno il proprio ruolo, la propria funzione nei tempi giusti, così pure nei riti
individuali successivi le varie parti di sé necessitano di essere integrate e sincronizzate per
accedere alla dimensione trasformativa del rituale. Ci sono dei passaggi, delle fasi
svolgimento, che vanno rispettati. La sincronizzazione armonica incrementa le funzioni vitali
del gruppo - lo abbiamo citato accennando ai rituali animali - ma incrementa anche le
funzioni vitali del singolo individuo umano che nell’armonia del proprio funzionamento, può
ritrovare il proprio ritmo, il proprio spazio, la propria dimensione creativa permeata da una
“luce coscienza ordinata” che ha le sue “ricadute pratiche” nell’uomo come nel laser.
17
Reich W. “Esperimenti bionici sull’origine della vita ” – Sugarco Edizioni
32
Conclusioni parziali
Una trasformazione della luce rinvia ad una trasformazione della coscienza che nel suo
divenire acquisisce sempre di più la qualità della riflessione e della comprensione, intesa
come “prendere con sé”. La luce illumina facendo emergere le forme dal buio, la coscienza
“illuminata” comprende una parte della realtà che prima le era ignota. Colui che ha coscienza
di qualcosa significa che lo riconosce, lo vede. E può esserci una luce - coscienza che con la
forza del proprio ordine interno e del proprio profondo significato può lasciare emergere
nuovi paesaggi di una vita in continuo mutamento. Forse la ricerca e il recupero, sempre
attuali, di una identità profonda deve passare per le sottili trasformazioni che avvengono solo
nel luogo del sacro, nel odierno tempio della nostra interiorità, troppo spesso inascoltata e
lasciata nel silenzio. Credo non sia un viaggio alla cieca, penso che l’umanità con le sue
esperienze e le sue moderne scoperte ci abbia lasciato delle indicazioni per compiere questo
percorso. Alla condizione, però, di aprirsi al nuovo, allo sconosciuto, superando la paura che
accompagna il senso di incertezza.
A mio parere, lo studio sulla comparazione tra rito e laser, in questo caso stimolato da una
personale e spontanea intuizione, può essere un occasione per accostarsi alla comprensione
dei fenomeni trasformativi proprio perché l’osservazione del funzionamento del laser è più
accessibile, più immediato alle esigenze e al modo di operare del pensiero occidentale che ci
pervade e che va comunque rispettato. Tra l’altro la creazione di un dispositivo laser è
l’esteriorizzazione di un processo interno come tutte le creazioni o scoperte fatte dall’uomo.
Ritengo che questo lavoro sia sicuramente parziale e possa essere ulteriormente approfondito,
magari seguendo quelle associazioni accennate nel mezzo del nostro percorso concettuale.
Forse uno sviluppo interessante potrebbe portarci ad accostare alle nostre parziali
considerazioni le discipline orientali così attente alla crescita interiore, allo sviluppo della
coscienza e ad una concezione unitaria del mondo e dell’umanità.
Oggi non si tratta più di ripetere i riti nella forma così come venivano svolti in passato, la
coscienza dell’uomo moderno è cambiata nelle proprie esigenze di comprensione; si è
staccata dal mondo dell’inconscio in un modo altrettanto pericoloso quanto l’esserne
inflazionata in origine. A volte vengono chiamati rituali, (secondo me a torto), quelle
manifestazioni di massa a cui manca l’elemento fondante del rito stesso: la dimensione del
sacro, la dimensione dell’interiorità dove si celebrano le manifestazioni più profonde
dell’essere umano. Si tratta invece di recuperare il significato archetipico, la forma invariante
del sacro, aderente al divino, costituita dal ciclo di morte e rinascita che tiene in moto il
divenire della vita. Si tratta di dare spazio alla totalità dell’essere umano, di valorizzare le
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esperienze in cui spirito e corpo, psiche e soma, onda e particella ritrovino la propria unità
nella reciproca relazione dinamica.
Lo sappiamo per esperienza che è inevitabile quando si parla di luce non indirizzare, prima o
poi, la propria attenzione alla spiritualità, all’apertura a ciò che ci trascende come esseri
umani e spesso la scienza concentrandosi sui propri oggetti di indagine si ritrova a doversi
fermare di fronte allo spazio infinito dei misteri della vita. Con lo stesso senso del limite
credo che ognuno possa diventare “scienziato” di sé stesso usando il metodo “esperienziale”
che la vita gli ha dato. E allora alcuni scelgono la via della responsabilità personale
intraprendendo attivamente un percorso di crescita: una terapia personale, di gruppo o
quant’altro possa loro a ritrovare un proprio ordine interno. Forse queste riflessioni sulle
analogie tra rito e laser possono servire a predisporre quel atteggiamento interiore, quel luogo
in cui si compiono le sacre trasformazioni della vita. Forse possiamo ritrovare anche nel
setting terapeutico il luogo sacro del rito in cui dare il giusto valore agli dei dai quali -
afferma James Hillman - la fuga è diventata vana18
.
Vorrei azzardare un ultima considerazione. Osservando sia il fenomeno della luce laser che
quello del rito ritroviamo un aspetto importante. Onda e corpuscolo sono inseparabili (come
lo sono psiche e corpo) e il loro stato dipende dalla forma rappresentativa che ne diamo; la
coscienza trascende e permea sia la psiche che il corpo, anche in questo caso lo stato di
psiche e quello di corpo sono legati alla forma di rappresentazione che ad essi viene attribuita
dalla coscienza indagante. Allora forse è ancora limitante concepire un individuo che compie
un rito come psiche e/o come corpo – come psicosoma. Poiché così come una luce laser
proiettata nel cielo può creare infinte forme in continuo mutamento, così allora, entrando
nella “dimensione sacra del rituale” possiamo ritrovare “semplicemente” una coscienza che si
“in-forma”, il nostro Sè che prende forma manifestandosi.
Anno 2006
18
Hillman James “La vana fuga degli Dei” – Adelphi Editore