sulla legittimitÀ della cosiddetta isagoge ...mitano non solo i tetracordi, ma anche i pentacordi;...

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88 PAOLO AMELIO Altri aspetti caratteristici SI possono trovare ai paragrafi 20, 27 e 33, dove il nostro autore ci presenta il TTVKVOV anche nei tetracordi diatonici; o al paragrafo 35, nel quale si afferma che i suoni fissi deli- mitano non solo i tetracordi, ma anche i pentacordi; oppure, infine, al paragrafo 96, in cui non è prevista la possibilità di unire una sillaba lunga ad una breve. Nella parte dell' Isagoge che si occupa dell'armo- nica, infine, manca un esplicito riferimento alla melopea; nella parte dedicata alla metrica è addirittura assente una definizione di piede. Sono poche le convinzioni che restano a conclusione di un com- mento all' Isagoge di Bacchio: terminiamo dunque ribadendo sem- plicemente l'estrema frammentarietà di questo testo, il quale trae spunti da ogni parte, ora per unirli tra di loro, ora per suddividerli ulteriormente. Viene da pensare, insomma, che le «fonti» che Bac- chio «raccolse» non siano state in realtà più di semplici appunti; o, forse, siano state esse stesse già' troppo lacunose per essere piena- mente comprese. ENRICO PESCE SULLA LEGITTIMITÀ DELLA COSIDDETTA 'NOTAZIONE MODALE' COMMENTO CRITICO ALLA «GRAMMATICA DELLA NOTAZIONE DI NOTRE-DAME» DI LUIGI LERA È comparso qualche tempo fa su «Acta Musicologica» un ambizio- so di Luigi Lera, l col quale l'autore dichiaratamente intende una nuova chiave di lettura della notazione di Notre-Dame non più basata sui principi ritmici dalla cosiddetta teoria modale, ma fondata sulle argomentazioni dei gregorianisti - soprattutto sul con- cetto di «articolazione del neuma» che, a suo dire, permetterebbe non solo di rendere completa ragione di tutte le difficoltà della notazione, ma anche di spiegare in modo finalmente soddisfacente 1'origine del ritmo polifonico. Per tutto ciò egli pensa sia necessario procedere in I LUIGI LERA, Grammatica della notazione di Notre·Dame, «Acta Musicologica», LXII2 1989, pp. 150-74; ci riferiremo ad esso, d'ora in avanti, semplicemente dando in nota il riferimento al numero di pagina. Useremo inoltre le seguenti abbreviazioni e sigle: APEL WILLl APEL, The Notation oJ Polyphonic Music 900-1600, The Medieval Academy of America, Cambridge (Mass.) 1942; trad. ampliata: Die Notation der polyphonen Musik, Breitkopf und Hartel, Leipzig 1970; trad. ita!. (dal tedesco): La 'lOtazione della musica polifonica dal X al XVII secolo, a c. di Piero Neonato, Sansoni, Firenze 1984 (Ler. si riferisce sempre alla traduzione tedesca; noi, per comodità, rimanderemo sempre al- l'edizione italiana). B Brevis, Breves. Calixtinus Codex Calixtinus, Archivio della Biblioteca di Santiago de Compostela, senza segnatur •. F Ms. Firenze, Biblioteca Mediceo Laurenziana, Pluteo 29, 1. Har Ms. London, British Library, Harleian 978. L Longa, Longae. Lw FRIEDRICH LUDWIG, Repertorium organorum et motetorum vetustissimi stili, voI. I, pt. I, Halle 1910; rist. anast. Olms, Hildesheim 1964. Ma Madrid, Biblioteca Nacional, MS 20686 [olim Hh 167]. P 15139 Ms. Paris, Bibliotèque Nationale, Lat. [olim St. Vietar 813]. W, Ms. Wolfenbiittel, Herzog-August-Bibliothek, Cod. Helmstedt 677 [olim 628]. W, Ms. Wolfenbiittel, Herzog-August-Bibliothek, Cod. Helmstedt 1026 [olim 1099].

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88 PAOLO AMELIO

Altri aspetti caratteristici SI possono trovare ai paragrafi 20, 27 e 33, dove il nostro autore ci presenta il TTVKVOV anche nei tetracordi diatonici; o al paragrafo 35, nel quale si afferma che i suoni fissi deli­mitano non solo i tetracordi, ma anche i pentacordi; oppure, infine, al paragrafo 96, in cui non è prevista la possibilità di unire una sillaba lunga ad una breve. Nella parte dell' Isagoge che si occupa dell'armo­nica, infine, manca un esplicito riferimento alla melopea; nella parte dedicata alla metrica è addirittura assente una definizione di piede.

Sono poche le convinzioni che restano a conclusione di un com­mento all' Isagoge di Bacchio: terminiamo dunque ribadendo sem­plicemente l'estrema frammentarietà di questo testo, il quale trae spunti da ogni parte, ora per unirli tra di loro, ora per suddividerli ulteriormente. Viene da pensare, insomma, che le «fonti» che Bac­chio «raccolse» non siano state in realtà più di semplici appunti; o, forse, siano state esse stesse già' troppo lacunose per essere piena­mente comprese.

ENRICO PESCE

SULLA LEGITTIMITÀ DELLA COSIDDETTA

'NOTAZIONE MODALE'

COMMENTO CRITICO ALLA

«GRAMMATICA DELLA NOTAZIONE DI NOTRE-DAME» DI LUIGI LERA

È comparso qualche tempo fa su «Acta Musicologica» un ambizio­so s~gio di Luigi Lera, l col quale l'autore dichiaratamente intende pro~orre una nuova chiave di lettura della notazione di Notre-Dame non più basata sui principi ritmici dalla cosiddetta teoria modale, ma fondata sulle argomentazioni dei gregorianisti - soprattutto sul con­cetto di «articolazione del neuma» che, a suo dire, permetterebbe non solo di rendere completa ragione di tutte le difficoltà della notazione, ma anche di spiegare in modo finalmente soddisfacente 1'origine del ritmo polifonico. Per tutto ciò egli pensa sia necessario procedere in

I LUIGI LERA, Grammatica della notazione di Notre·Dame, «Acta Musicologica», LXII2 1989, pp. 150-74; ci riferiremo ad esso, d'ora in avanti, semplicemente dando in nota il riferimento al numero di pagina. Useremo inoltre le seguenti abbreviazioni e sigle: APEL WILLl APEL, The Notation oJ Polyphonic Music 900-1600, The Medieval Academy of

America, Cambridge (Mass.) 1942; trad. ampliata: Die Notation der polyphonen Musik, Breitkopf und Hartel, Leipzig 1970; trad. ita!. (dal tedesco): La 'lOtazione della musica polifonica dal X al XVII secolo, a c. di Piero Neonato, Sansoni, Firenze 1984 (Ler. si riferisce sempre alla traduzione tedesca; noi, per comodità, rimanderemo sempre al­l'edizione italiana).

B Brevis, Breves. Calixtinus Codex Calixtinus, Archivio della Biblioteca di Santiago de Compostela, senza segnatur •. F Ms. Firenze, Biblioteca Mediceo Laurenziana, Pluteo 29, 1. Har Ms. London, British Library, Harleian 978. L Longa, Longae. Lw FRIEDRICH LUDWIG, Repertorium organorum et motetorum vetustissimi stili, voI. I, pt. I,

Halle 1910; rist. anast. Olms, Hildesheim 1964. Ma Madrid, Biblioteca Nacional, MS 20686 [olim Hh 167]. P 15139 Ms. Paris, Bibliotèque Nationale, Lat. [olim St. Vietar 813]. W, Ms. Wolfenbiittel, Herzog-August-Bibliothek, Cod. Helmstedt 677 [olim 628]. W, Ms. Wolfenbiittel, Herzog-August-Bibliothek, Cod. Helmstedt 1026 [olim 1099].

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due tappe, una prima «semplice introduzione alla scrittura di Notre­Dame», 2 la seconda concentrata invece sull' «analisi dei raggruppa­menti di ligature», nell'intento di non «considerare ogni singola liga­tura come un organismo a sé stante» bensì di «mettere in luce i rap­porti che uniscono tra loro le ligature stesse».3

Simili affermazioni e la grandiosità dell'intento meritano un pun­tuale commento, e soprattutto una verifica in ordine al loro grado di fondatezza e di produttività scientifica: un' operazione che ha trovato il suo luogo naturale nella «Bibliografia ragionata» della letteratura critica fino ad oggI accumulatasi in materia, compresa nella mia tesi di laurea,4 e al termine della quale il saggio di Lera si è svelato piutto­sto costellato di punti deboli, di una lunga serie di contraddizioni che ne compromettono, quando non ne vanificano totalmente, le 'rivo­luzionarie' proposte, in non pochi casi, purtroppo, tanto perentorie quanto carenti di adeguata documentazione. 5

• 1.1. Una delle contraddizioni che più stupisce, in un saggio che

vorrebbe sostituire i principi della teoria modale con una non meglio definita regola dell'articolazione del neuma, è data proprio dai conti­nui riferimenti agli stessi modi ritmici: e se in alcune circostanze essi sono certamente da considerarsi semplici rimandi a ciò che si vuoI superare, in altre sono invece la chiara dimostrazione di come quelle stesse regole informino, nonostante tutto, il pensiero di Lera, e con­tinuino perciò, più o meno inconsapevolmente, ad essere utilizzate nelle trascrizioni.

Ad esempio Lera, trattando delle ligature binarie, fa precedere agli esempi una regola generale espressa in questi termini: «L'ultima nota è accentata; la prima toglie un terzo all'accento precedente»,6 che, evidentemente, ha significato soltanto presupponendo una scanSlOne

2 P. 169. 'P. 169. 4 Cfr. ENRICO PESCE, Le Clausolae a due voci del «Magnus liber organi» in Wl MLO, Wolfenbimel,

Herzog-August-Bibliothek 1206 (olim Helmst. 1099), Università di Pavia, Scuola di Paleografia e Filologia Musicale di Cremona, reL prof. Maria Teresa Rosa Barezzani, a.a. 1991-92. La tesi, secondo quanto richiamerò anche in seguito (cfr. nota 29), è una nuova trascrizione critico-com­mentata di questa parte del repertorio che tiene presente anche tutte le trascrizioni che lo hanno finora affrontato.

5 N el corso del suo lavoro, per esempio, Lera afferma che F «(è il più antico tra i codici di Notre-Dame) (p. 162), senza però minimamente preoccuparsi di fornire una spiegazione di tale convinzione, contraddetta dalla maggior parte dei musicologi moderni.

6 p. 157, par. 2.1.

SULLA LEGITTIMITÀ DELLA 'NOTAZIONE MODALE' 91

articolata secondo le caratteristiche modali: non si vede, altrimenti, perché ci si debba riferire ad «un terzo» del valore. 7 Prova ne sia che gli esempi sono poi trascritti nel fedele rispetto dei principi della no­tazione modale: le ligature binarie appaiono nella loro tradizionale alternanza di B e L ed anche la ligatura ternaria che apre il secondo esempio è trascritta regolarmente LBL, ossia nel più tradizionale de­gli andamenti ritmici riferibili al primo modo .. Uguale discorso per la extensio modi effettuata in corrispondenza della seconda nota delle ul­time ligature binarie.

-. Ma non sono questi gli unici esempi di uso pi-ù o meno consa­pevole dei principi modali. Così, la regola seguente risulta del tutto ovvia per qualunque trascrittore avvezzo anche alle sole necessità gra­fiche della notazione modale: «quando due o più note isolate sono poste sulla stessa altezza, esse possono comportarsi esattamente co-me ùn gruppo di note di numero corrispondente».8 Una ovvietà alla qual,' si possono ben ricondurre anche osservazioni di pretesa origi­nalifà come la seguente: «Secondo la teoria dei modi ritmici, que­st'ultima figurazione 3222 ... è l'unica che esprime legittimamente il Primo modo; in realtà anche l'esempio precedente [ ... ] rientra con pari diritto nella stessa categoria»,9 che sembrano invece dimostrare tutt'al più proprio una scarsa familiarità con la contestata notazione modale: nell'esempio in questione (Benedicamus), infatti, si ha all'ini­zio una nota singola (re) seguita da ligatura binaria (re-mi): è assolu­tamente ovvio quindi che la scrittura sia solo materialmente diversa a causa del parigrado, e che la sostanza si riferisca alla più regolare delle ligature ternarie. E si potrebbe continuare: a proposito della clausola Go, ordo 6, Lera scrive: «la plica mantiene lo schema ritmico nell'am­bito del primo modo (3222222)).10

Infine, il trattamento delle ligature binarie presenti negli esempi ri­portati a pagina 157, così come quello relativo al brano strumentale con­tenuto nel manoscritto Rarll rappresentano casi la cui trascrizione 'mo­dale' non presenta difficoltà ed anzi coincide con quella ottenuta da Lera applicando i propri metodi: a dimostrare come, coscientemente

7 Occorre anche rilevare l'incongruenza con la quale vknc riportato il termine «accento» il quale assume, in questo ed altri casi, un improprio significato ritmico, di 'dur<lt<l delle note'.

8 P. 164, par. 2.6.1. 'P. 157, par. 2.1. IO P. 167, par. 4.1. II P. 161.

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92 ENRICO PESCE

o no, i principi della teoria modale SIano operanti anche nel suo modo di procedere.

1.2. La critica ai modi usuali di interpretazione della polifonia di Notre-Dame non diviene più produttiva neppure quando entra in gioco il concetto di «articolazione del/i neuma/i» che appunto, se­condo Lera, sarebbe «in grado di supportare da solo tutto l'edificio della notazione di Notre-Dame».12 A questo concetto cardine, tutta­via, Lera sempre allude senza mai offrirne una definizione precisa: addirittura ammette di non essere «in grado di dire in che cosa consi­stesse esattamente questa articolazione attorno alla metà del secolo XII, e quanto essa si fosse discostata dal valore originale che era legit­timo nell' estetica gregoriana»; 13 afferma «che la frequente e regolare ripetizione di questa articolazione, qualunque fosse il suo significato, non ha potuto far altro che facilitare la sua trasformazione in accento rit­mico»,14 e prosegue sottolineando che la «condizione indispensabile al compiersi di questo rivoluzionario mutamento è stata proprio la progressiva frammentazione delle ligature, ossia il processo che ha fi­nito per collocare ciascun neuma nell'ambito di un solo accento».15 Non si può fare a meno di domandarsi, di fronte ad affermazioni del genere, quanto sia sensato fondare una teoria che si vuole rivoluzio­naria su qualcosa di cui non si è in grado di precisare il significato. 16

Tanto più sorprendente, perciò, suona la perentoria regola genera­le conclusiva': «La nota finale di ogni ligatura è accentata; le note precedenti si devono considerare tutte in levare, e sottraggono agli accenti precedenti una parte, o eventualmente la totalità, del loro valore»,17 della quale non si sa se

12 P. 174. 13 P. 156. 14 P. 156. Corsivo nostro. 15 p. 156. 16 È da notare che anche per il canto gregoriano gli studiosi moderni non hanno ancora defi­

nito univocamente il concettO. Ad esempio, nel lavoro di ALBERTO TURCO, Il canto gregoriano,Torre d'Orfeo, Roma 1991' (1987 1), considerato dagli addetti ai lavori di questi ultimi tempi uno dei principali punti di riferimento (sebbene alcuni principi in esso espressi, come le questioni relati­ve alla modalità discusse nel voI. II, risultino tutt'altro che definitivamente convincenti) il concet­to di 'articolazione' non riceve davvero una trattazione molto ampia (cfr. voI. I Corso fondamentale, «Raggruppamento del neuma», pp. 253-62: in particolare pp. 258-60), e comunque tale da non permetterne nessun utilizzo al di fuori degli stretti confini della semiologia gregoriana. Uguale discorso per il volume di FULVIO RAMPI - MASSIMO LATTANZI, Marluale di canto gregoriano, EIMA,

Milano 1991, le cui informazioni a proposito dell'articolazione del neuma, pur se più lungamente distese (vedi pp. 323-51), non soccorrono in nulla le Ilostre necessità.

17 p. 156, fine (corsivo in Lera).

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sottolineare di più l'arbitrio o l'incongruenza, sia a livello terminolo­gico che di senso. Non si capisce infatti, innanzitutto, cosa si debba intendere con il termine «accento»: a rigor di termini, infatti, ad un accento è impossibile sottrarre valore; la seconda parte della regola, poi, è semplicemente incomprensibile: com' è possibile sottrarre ad un suono «la totalità del suo valore»? In generale, insomma, si profila un proce­dere che, al minimo, appare carente di ogni seria dignità scientifica.

': 1.3. Questa impressione è poi ulteriormente rafforzata dal modo in cui Lera sceglie gli esempi da citare nel suo testo. Apparentemente numerosi, essi derivano in realtà da un ristretto numero di composi­zioni (sedici per la precisione), per di più in buona parte contenute negli stessi fogli di un solo manoscritto: 18

Titolo del brano . /r tlausola Go Clausula Preciosus Organum Ath/eta Domini Clausula Do Benedicamus Domino Clausula Do (Domino nO 9, Lw 9) Clausula Do (Domino nO lO, Lw lO) Clausula Do (Domino nO Il, Lw Il) Alleluia Pascha nostrurn Organum Descendit de celis Mottetto Gaudeat devotio fide/ium Mottetto Ave Maria fans leticie Organum Viderunt omnes Brano strumentale MAG1STER ATO, Misit Herodes Scio cui credidi

Manoscritto

F, c. llv F, c. 32v F, c. 33 F, c. 87

Citato in Lera alla p.

159,164,167,172 158,165 159,171,173 162

F, cc. 87v-8 157, 159, 160, 164, 165 F, c. 88v 160,165,166 F, c. 88v 159, 173 F, c. 88v 159, 161, 164 F, e. 109 157,161, 163, 165, 168 W" cc. 7v-8 158, 160, 166, 167, 168, 171 W" c. 148,-v 157,168 W" c. 156,-v 168

W" c. 21 158 Har 161, 173 Calixtinus, c. 189v 166 P 15139, c. 285v 169

Sostenere tesi così violentemente critiche e avverse a tutta una con­solidata tradizione scientifica, come fa Lera, mi sembra avrebbe ri­chiesto il ricorso ad una più articolata esemplificazione, scelta tra un numero più elevato di composizioni, con trascrizioni più lunghe del­le solite due o tre battute e soprattutto realmente polifoniche, non li-

18 Molti dei quali, in aggiunta, già presenti nei facsimili di APEL: cfr. Clausola Co, faes. 46, p. 254; Clausola Do (F, c. 87), faes. 49, p. 271; Benedica",,,s DOI/I;'IO, ihidem; Organum Deseelldit dc celis, facs. 47, p. 255; Brano strumentale (Ha,), facs. 48, p. 263; Sfio (Ili ,,,,,!t'di, facs. 50a, p. 274.

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mitate a due voci - una delle quali, per di più, costituita quasi invaria­bilmente da una nota lunga che non aiuta per nulla a controllare la cor­rettezza della trascrizione proposta rispetto all' ordito contrappuntistico. 19

1.4. Un rilievo minore, infine, di fronte ad un'abitudine di Lera forse più innocua ma non per questo meno fastidiosa: perché nel ci­tare gli esempi si parla sempre di «righe»,20 e non di 'sistema', termine certamente più appropriato per segnalare la posizione della composi­zione all'interno di un folio del manoscritto? E, soprattutto, perché rendere così difficile al lettore la localizzazione degli esempi stessi, riferendosi agli ordines contati· dall'inizio della composizione anziché dall'inizio di ogni sistema? Perché scrivere, ad esempio, «Alleluia Pascha nostrum cit., Ordines 45-46»,21 quando sarebbe stato assai più preciso ed utile indicare «Alleluia Pascha nostrum, c. 109v, secondo sistema, ordines 3-4»? In questo caso illet~ore si sarebbe immediatamente reso conto, da un lato, che la carta in oggetto non è più la 109 ma la 109v, e, soprattutto, non sarebbe stato costretto ad un estenuante conteggio per giungere a rintracciare il quarantacinquesimo ordo.

2. Quanto alle singole affermazioni che si incontrano nella trattazio­ne di Lera, poi, molte mi sembrano contestabili da più punti di vista. Seguiamone pertanto lo svolgimento, commentando ove necessario.

Subito Lera, dubitando che «i valori musicali fossero organizzati in schemi seriali, rigidi e ripetuti con immutabile regolarità»22 afferma:

19 Occorre notare, tuttavia, che Lera, proprio in riferimento alle relazioni verticali tra le di­verse voci afferma che «(prima ancora della suddivisione di ciascun melisma in ordines [ ... ], la scuo­la di Notre-Dame impara a sfruttare il principio [ ... ] della divisione parallela delle ligature» (P: 152): un principio che, come è riportato in nota, era già stato intravisto da Apel, s~lla sc~rta .dl un'indicazione di Manfred Bukofzer. In realtà non si può attribuire a questo parallelIsmo dI scnt­tura un'importanza fondamentale e definitiva: secondo lo stesso Apet infatti, {(in composi~io~i con due (o tre) voci superiori si ha spesso una indicazione del giusto coordinamento da un pnnCl­pi"O che si potrebbe indicare come la "regola delle ligature concordi". [ ... ] Anche se la regola non è strettamente applicabile, essa si mostra spesso utile» (APEL, p. 260). Nella gIUsta prospettiva, dun­que, la 'regola' non è certo un dato di fatto inequivocabile" ma sol~anto ~n espedIente ~tlle In contesti di particolare difficoltà: una sorta di 'salvagente' per tI trascnttore, Insomma, e non certo una struttura metrica immanente al testo.

20 Si veda per esempio l'indicazione a p. 159. 21 P 168. 22 P 150, paro 1.2.

SULLA LEGITTIMITÀ DELLA 'NOTAZIONE MODALE'

L'idea che il ritmo di Notre-Dame fosse anche un ritmo modale non riesce a trovare conferme determinanti all'interno del repertorio polifonico medioevale: l'andamento metrico dei brani più vetusti è anzi irregolare e infarcito di apparenti eccezioni, renden­do così testimonianza di una tecnica contrappuntistica sicura, disinvolta e smaliziata; i musicisti di Notre-Dame non sembrano affatto bisognosi di ricorrere a schematizzazioni così elementari per garantire il normale scorrimento ritmico delle loro melodie23

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Mi pare tuttavia che con ciò il problema non sia centrato: il chia­mare in causa i brani più vetusti non è propriamente pertinente ad una critica dei principi modali, dal momento che molti studiosi oggi rlc:onoscono la necessità di trattamenti differenziati per gli or gana du­pia di Leonino e per le successive composizioni di Pero tino. 24 Meto­dologicamente, inoltre, non mi sembra molto corretto che ciò che si deve dimostrare (ossia che la notazione musicale di questi brani sia «assolutamente priva di qualsiasi connotato metrico»)25 venga aprio­.risticamente trasformato in premessa (<<la notazione musicale, asso­lutarente priva di qualsiasi connotato metrico" semb~a confermare qu~ta impresslOne»),26 In grazia soltanto di una prova come la non utilizzazione delle stanghette.27 Né Lera può invocare a proprio so­stegno, mi sembra, il fatto che «i trascrittori moderni che si ispirano alla teoria modale non riescono neppure a raggiungere risultati che sia­no concordemente accettabili dai loro colleghù>.28

Il fatto, innegabile,29 permette semmai di concludere per la diffi­coltà intrinseca della notazione modale, non per la sua inesistenza o illegittimità. Già Willi Apel aveva scritto:

23 P 151, par. 1.2. . 24 Senza contare che sostenere che «un ritmo modale non riesca a trovare conferme determI­

nanti all'interno del repertorio polifonico medievale» vuoI dire ignorare volutamente il repertorio mottettistico del XIII secolo.

25 P. 151. 26 P 15t. 27 «La notazione musicale [ .. ,] non utilizza neppure le stanghette, che pure erano a quei tempi

diffusamente impiegate in molti tipi di scrittura vocale.» (P 151.) 28 P 151. 29 Proprio per questo, e per le difficoltà intrinsech~ ~ questo tipo di n.otazio~e, mi sO,no con­

vinto che la sola 'trascrizione' dei monumenti musicalI In essa tramandatI non SIa suffiClente, ed occorra piuttosto una 'trascrizione commentata', una trascrizione cioè che per cia~clln punto con: troverso dia conto delle motivazioni che hanno portato il trascrittorc alla solUZIOne proposta, E questa la via che ho seguito nella mia citata tesi di laurea, nella llualc compa~() criticamente (ed in caso rinnovo) le trascrizioni delle clausulae contenute in Wl. F e W z complUte da: FRITZ RACEK,

Die Clauseln von Wl' Phil. Diss,. Musikwissenschaftlichcs [Ilstitllt dt.·r Ulliversitat WieJ~ 19~9; WILLIAM G. WAITE, The Rhythm of Twelfth-Century Polypho"y. it, n"",,,y a"d l'ractier,Yale Ul1lverstty Press New Haven 1954; NORMAN E. SMITH, The Clausular (!( Thc N"tre /)m,,(' SellO"l, a Repertorlal Stud;, PhD Diss.,Yale University 1964; REBECCA ANNE llAlTZUt, N"Wi"/I, Rhythm a/ld Style i" Tile Two- Voiee Notre-Dame Clausula, PhD Dlss., Boston UnivefSlty 1<)74.

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96 ENRICO PESCE

Allettare, al quale nella prima parte di questo libro vennero offerte Istruzioni e regole precise, le nostre spiegazioni sulla notazione modale, prolisse e cosÌ spes­so introdotte con riserva, sembreranno senza dubbio insoddisfacenti. Questa sen­sazione crescerà ancor più quando egli proverà a fare trascrizioni da solo e si im­batterà quindi in molte questioni ancora senza risposta. Purtroppo in questa situa­zione non c'è molto da cambiare, dato che una certa confusione e ambiguità sono essenzialmente proprie della notazione modale"JO

Un'ambiguità (per noi) che può essere dovuta a molte cause, non ultima, ad esempio, l'appartenenza di compositori ed esecutori ad un contesto di cultura musicale nella quale l'attualità della 'lingua' neu­tralizzava molte di quelle che a noi oggi paiono, appunto, «ambiguità».

Ciò detto, Lera passa ad esaminare le possibili ragioni del sorgere di un mensuralismo in polifonia. Egli, «perduta la speranza di aggan­ciare la ritmica, modale o no che fosse, a qualche contesto esterno»,31 accenna all'ipotesi secondo la quale «il ritmo non sarebbe allora nul­la di più che un semplice espeditnte, inevitabilmente adottato per il prosaico scopo di fare "andare assieme" le voci di fronte alla smisura­ta crescita dell'intreccio polifonico che caratterizza le composizioni di Leoninus e Perotinus»,32 citando al proposito un noto libretto di Ulrich Michels33 (il cui carattere divulgativo, in realtà, così come la genericità con la quale la polifonia di Notre-Dame è trattata, non meriterebbe tanta attenzione in un contributo scientifico). 34 L'ipotesi è però subito scartata da Lera, il quale ammette che «questa ricostru­zione è piuttosto inverosimile, [ ... ] poco pertinente all'armonico svi-

. 35 E r f luppo di cui la scuola di Notre-Dame è stata protagonIsta». g 1 a -ferma giustamente, infatti, che è «certamente più logico ipotizzare che la crescita nel numero delle parti e nella consapevolezza armonica sia andata di pari passo con la progressiva chiarificazione della conce­zione ritmica», alla ricerca di una «sincronia verticale» che, secondo lui, sarebbe stata però facilitata «prima ancora della suddivisione di ciascun melisma in ordines», dallo sfruttamento del «principio utilissi-

3D APEL, p. 267. 31 P. 152, par. 1.3. 32 P. 152, par. 1.3. . 33 Cfr. ULRICH MICHELS, Atlante di musica, Mondadori, Milano 1982, p. 223 (ed. ong. Atlas zur

Musik voI. l, DTV, Mlinchen 1977). 34 'Soprattutto perché, nella stessa nota, Lera nomina anche il citato studio di Waite, ìng~ne­

rando così nel lettore il sospetto che gli scritti dei due autori affrontino il tema al medeSImo livello di competenza e di peso.

3S p. 152, par. 1.3.

SULLA LEGITTIMITÀ DELLA 'NOTAZIONE MODALE' 97

mo tanto per il cantore quanto per il compositore, della disposizione parallela delle ligature»,36 il famoso principio delle «ligature concordi» al quale abbiamo già accennato. La genesi del ritmo polifonico andrà quindi cercata altrove: eliminata la possibilità «dell' elaborazione per­sonale di qualche sconosciuto innovatore [ ... ], di una elaborazione graduale e laboriosa da parte di un circolo ristretto di innovatori» e di «una genesi esterna del ritmo»,37 Lera afferma perciò che «proprio l'analisi della scrittura ci obbliga a riconoscere che esiste una conti­nuità tra le ultime famiglie neumatiche, la grafia delle prime forme pblifoniche, e la notazione della scuola di Notre-Dame»;38 e conclu­de trionfalmente rivelando che «la scrittura ritmica non è quindi altro che il naturale proseguimento delle grafie musicali precedentù>;39 la sua origine è quindi «da ricercare nei significati esecutivi che la nota­zione quadrata esprimeva attorno alla metà del secolo XII».40 • Una conclusione che, secondo Lera, «potrebbe sembrare perfino ovvi1».41 Forse è per questo che egli non si preoccupa di fornire al morhento pezze d'appoggio per una tale affermazione, né di chiari­re, ad esempio, la portata della «continuità» tra «le ultime famiglie neumatiche, la grafia delle prime forme polifoniche, e la notazione della scuola di Notre Dame» (continuità grafica? continuità in qual­che modo metrica? Un chiarimento al proposito sarebbe tutt'altro che inutile: una continuità soltanto grafica, infatti, s'impone con tale evidenza da non aver bisogno di essere rimarcata; se Lera intende l'al­tro caso, invece, ecco che di nuovo assume a premessa ciò che do­vrebbe essere il risultato di una dimostrazione), né di precisare il sen­so dei «significati esecutivi che la notazione quadrata esprimeva» (so­no forse essi indipendenti dalla, o in contrasto con la notazione stes­sa?). Egli stesso, del resto, è consapevole che «la teoria del canto gre­goriano non ha mai saputo offrire alcun appiglio utile a gettare qual­che luce sul processo che ha portato il canto monodico a sfociare nella polifonia ritmica».42 Eppure su tali premesse egli si appoggia per seguitare il discorso.

36 P. 152, par. 1.3. 37 P. 153, par. 1.3. 38 P. 153, par. 1.4. 39 P. 153, par. 1.4. 4D P. 153, par. 1.4. 41 P. 153, par. 1.5. 42 P. 153, par. 1.5.

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98 ENRICO PESCE

Ne risultano altre affermazioni a dir poco azzardate: il «bfusco scar­to» tra i modi ritmici e la teoria mensurale, ad esempio, che avrebbero tra di loro «punti di contatto [ ... ] estremamente labili»43 (Lera non sembra preoccuparsi molto, come abbiamo già notato, di tutta la tra­dizione mottettistica del secolo XIII, i cui rapporti anche metrici con le clausulae - per limitarci ad un esempio - mi sembrano tutt'altro che «labili»). «L'arte di Leoninus e Perotinus», insomma, sarebbe del tutto priva «sia di antenati sia di eredi nel contesto musicale medio­evale [ ... ] una specie di isola misteriosa, collocata tra due realtà, quel­la monodica e quella mensurale, estremamente differenti fra loro».44 L'unica possibilità per ricucire il preteso strappo è dunque, per Lera, «la completa revisione di una gran parte delle concezioni teoriche su cui si fonda la nostra conoscenza della musica del XII secolo. Il passag­gio dallo stile gregoriano a quello ritmico l?], e da questo a quello mensurale, deve essere immaginato come graduale e consequenziale; è indispensabile ricucire gli str~ppi che sembrano spezzare per due volte la prassi esecutiva medioevale». 45 A tal fine egli si spinge fino ad ipotizzare che «il ritmo di Notre-Dame potrebbe benissimo essere un prodotto secondario, forse neppure coscientemente ricercato [!]», e a postulare che esso «non contenesse affatto [ ... ] alcuna componente metrica», per concludere infine che «soltanto a queste condizioni è finalmente possibile pensare ad una derivazione dello stile polifonico dalla scrittura neumatica gregoriana» la cui «prima conseguenza» è ovviamente «il definitivo abbandono della teoria modale».46

Non si può fare a meno di chiedersi, a questo punto, se sia verosi­mile che, in una qualunque polifonia il ritmo possa essere ('prodotto secondario» ossia «non ricercato»; o se sia lecito, in questi tempi e queste notazioni, opporre un ordine ritmico ad un ordine metrico. L'idea indubbiamente affascinante di «tentare un inedito collegamen­to tra la monodia sacra e la polifonia ritmica, [ ... 1 cercare tra le con­clusioni dei gregorianisti una chiave di lettura che consenta non sol­tanto di spiegare l'origine del ritmo polifonico, ma anche di inter­pretarne agevolmente la scrittura»47 resta così sospesa su una serie di

4J P 154, par. 1.6. 44 P. 154, par. 1.6. 45 P. 155, l'ar. 1.7. "P. 155, par. 1.7. 47 P 156.

SULLA LEGITTIMITÀ DELLA 'NOTAZIONE MODALE' 99

premesse tanto dubbie ed ipotetiche da comprometterne, in definiti­va, la credibilità generale. Le teorie che Lera propone non sono me­no ambigue di quelle che pretendono di sostituire, mentre una tale rivoluzione, abbiamo già detto, necessiterebbe di essere fondata su di un metodo privo di inconvenienti e con garanzia di sicura efficacia.

. Cre~iam? pert~nt~ ~he il tutto non sia 'economicamente' in grado dI SostitUIrSI al pnnClpl della ben più solida e collaudata teoria mo­dale, come cercheremo di dimostrare proprio commentando alcune ~elle p~ocedure di trascrizione proposte da Lera. Prima però affron­tIamo Il problema della cronologia delle fonti di Notre-Dame dal momento che anche a questo riguardo le sue convinzioni son~ in contrasto con la gran parte della letteratura musicologica.

3. Lera infatti, trattando delle ligature quinarie e della loro riso­luzione, s~rive: «questo processo è all'origine delle molte varianti gra­fic~~,che ~nt~rcorrono tra la notazione del manoscritto F, il più antico fra I ,,CodICI dI Notre-Dame, ed i due esemplari più recenti W e W ».48

Ora, come si è già accennato, una tale sicurezza nell'aff~rmar~ la priorità di F fra i codici di Notre-Dame, contro buona parte della letteratura, necessiterebbe di prove adeguate - o al minimo di solide re~erenze bibliografiche che, al solito, Lera si guarda bene dal fornire. Ne, f~rse, potrebbe, VIsto che la gran parte della musicologia moder­na SI e sempre trovata più o meno concorde nel ritenere invece W come il p~ù ,antico dei ~odici. Di questo era già convinto Ludwig, il quale ordmo cronologIcamente le fonti nella successione Wl - F­W2:49 una cronologia accolta sostanzialmente pure da Luther Dittmer so

da William G. Waite, 51 da Norman E. Smith52 ed anche da RaffaeIÌo Monte.r~sso,.n quale definisce F Come «il più ampio e, probabilmen­te, Il plU Vlcmo, per quantità di contenuto, all' originale [ ... ] una co­pIa [ ... ] della fine del sec. XIII o dell'inizio del XIV [ ... ] Più antico di cm~uant'a~~i è il cod. 677 di Wolfenbiittel [Wl]» mentre «il più tardo tesUmone e Il Ms. 1206 di Wolfenbiittel [W

2]».53

48 p 162. 49 Cfr. Lw.

50 Cfr. LU:HE~ DI~TME~, A CentraI Soune oj Notre-Dame P"fypIWt/y: Pacsimih' Recorlstruction, Catal~gue. Rarsonnf!. r:rscusslone attd Trascriptions, Instirute of Mt'di;]l'val MW'iic, Brooklyn 11)59 (Pu~;lcatlOns of Medlaeval Musical Manuscripts, 3)

" Cfr. WAITE, The Rhythm oj Tweifth·Century Po/yphony, p. 5. SJ Cfr. SMlTH, The Claus"lae ojThe Notre Dame School, p. J 9.

Cfr. RAFFAELLO MONTEROSSO, ,Ars antiqu~», in llEUMM-Lt·s.<;w, voI. I, I 'JH3, p. 1 H3.

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100 ENRICO PESCE

Qualche differenza di opinione si ha semmai a proposito della da­tazione dei singoli codici. Anselm Hughes, nel suo studio compreso in Musica medioevale fino al '3 00, ad esempio, critica la tendenza a cre­dere che «da una parte organa e conducti furono composti a Notre­Dame di Parigi dal 1170 circa, epoca di Léonin, fino alla mor~e ~el suo successore Pérotin nel 1235, dall'altra parte si debbano far nsahre a circa il 1300 e anche dopo 1 manoscnttl lO cui è conservata tale produzione»,54 e propone di conseguenza di «fare. ogni tent.ativo per diminuire, se non addirittura per colmare tale dIstanza», CItando la «affermazione polemica)) di Apel55 «per il quale la data del famoso co­dice Wolfenbiittel 677 dovrebbe essere fissata verso il 1250 e non nel quattordicesimo secolo come si fa talvolta». S6 Dal canto suo, ~ulla ba~ se di un'accurata ricerca, coadiuvata dalla collaborazlOne dI espertI paleografi, presenta poi una cronologia nella quale i manoscr~tti Wl e F sono assegnati allo stesso periodo (1250 cIrca), mentre Wz e ntenu­to più tardo di mezzo secolo (1300 circa). Apel, come ha ricordato lo stesso Hughes, criticò aspramente la tendenza a conside.rare Wlcom~ prodotto intorno al 1300 o ancora più tardi, appoggIandosI lO CIO all'autorità del professor Edward K. Rand dell'università di Harvard, il quale «indicò che le forme minuscole delle s finali come la ~orma più regolare della a richiamano per Wl come anche pe~ ~ la scr:ttu:~ minuscola carolina della metà del sec. XIlI, una data ClOe, che e plU tarda solo di poche decine d'anni del periodo che è rappresentato dal contenuto del manoscritto».57

Ma forse colei che più di tutti si è occupata di questi problemi è Rebecca Anne Baltzer. In un suo lavoro apparso nel 1972 ella riper­corre in un breve excursus storico lo stato degli studi relativi alla data­zione di F, che non sarà inutile riassumere per sommi capi anche in questa sede. 58 Dopo avere citato Léopold Delisle59 (il quale nel 1885

54 ANSELM HVGHES, La musica a ritmo fisso, in Storia della musica, voI. Il Musica medioevale fino. al '300, a c. di Anselm Hughes, Feltrinelli - Garzanti, Milano 1991 pp. 359-403: 360 (ed. ong. Music in Fixed Rhythm, in The New Oxford History of Music, voI. Il, Oxford UmvefSlty Press, Lon­don 1954).

55 Cfr. APEL, p. 216. 56 HUGHES, La musica a ritmo fisso, p. 360. 57 Cfr. APEL, p. 216, n. 1. . . . 58 Cfr. REBECCA ANNE BALTZER, Thirteenth· Century IIIumlnated MlnlOture, and the Date oJ the

Florence Manuscript, ,"ournal ofthe American MU5icoiogicai Society», xxviI 1972, PP: 1-18. 59 Cfr. LÉOPOLD DELISIE, L'anLiphonaire de Pierre de Médicis j ava en appendice les premle:: mats des

pièces contenues dans la seconde partie de cet antiphonairf' ('( le trxte de quelques-unes de ces pleces, «An­nuaire-Bulletin de la Société de l'Histoire de France», XXII 1885, pp. 100-6 e 109-39.

SULLA LEGITTIMITÀ DELLA 'NOTAZIONE MODALE' 101

studiò il manoscritto, accertandone indiscutibilmente le origini france­SI, ma fornendone una datazione decisamente troppo avanzata, com­presa tra il 1285 e il 1314) Baltzer esamina 1'articolo postumo di Lud­v:ig, che. conferm~ 1'origine francese di F,60 ed il testo di Apel sopra cItat~. RIcorda qU1l1di Jacques Handschin come uno dei pochi soste­n~ton della priorità di F su Wl61 e conclude fissando la compilazione di F 1I1torno alla metà del XIII secolo e quella di@z:.. leggermente postenor~,.1ntorno al 1260-75.62 -. ______ . __

--~N-~-j' ~~rp~~-~-~t;dlod1e-aéc_;;~pagna le trascrizioni dell'intero re­pertorio di clausole a due voci presenti in Wl> F e W

263 la Baltzer tor­

na ancora sull'argomento, aggiungendo pure interessanti notizie sui rapporti fra i tre codici. Secondo la studiosa americana, infatti, seb­bene i tre manoscritti presentino)n gran parte lo stesso repertorio _ e spesso anche nella identica versione - nessuno dipende diretta­ment~ dagli altri .. Per ciò che riguarda in particolare Wj, dopo aver nbaclito quanto dIchIarato nel suo precedente lavoro, prosegue scri­vend'o: «The Wl manuscript represents a more problematic situation of date ~nd provenance [ ... ]. The generaI state of the repertory in Wl IS styhstlcally earlier than that of F and W 2 and [ ... ] the manuscript was probably copied somewhere in the British Isles rather than on the Continent».64 Una datazione ed una provenienza confermate dal­le osservazioni di Heinrich Husmann il quale sostenne che 1'origine dI Wl fosse da ricercarsi nel sud dell'Inghilterra (Hyde Abbey) o nel-1'est Anglia (Ely) proprio grazie alla presenza in unicum dei responsori 0 35 e 0 36 dedicati a Sant'Andrea, in esso contenuti, facenti parte del repertorio liturgico di quei luoghi.65

Nella sua rapida rassegna Baltzer cita poi Rudolf FIotzinger, che propose di datare al 1265 il più tardo dei fascicoli di Wl (l'undicesi­mo), e di anticipare di poco, di conseguenza, la datazione del corpus

6~ Cfr. FRIED.RICH ~UDWIG, Uhe., d~.n En~stfhungsort der groSSf'l1 ((Notre Dame-HandJchrijten)), in Stu~'len zur MU5lkgeschlChte: Festschrift fur GUIdo Adler zum 75. Gehllrlstng, Wien 1930, p. 46.

Handschm, dopo aver nfiutato la datazione di Delisle (cfr. jACQUES HANDSCHIN, The Summer Canon and ItS. Background, Part l, «Musica Disciplina», III 1949, pp. 55-94: 73), propone di consi­derare Wl plU tardo di F di una generazione, ossia scritto probabillllt'llte verso la metà del XIII secolo (ID., The Summer Canon and itJ Background, parte Il «Musica Disciplina» v 1951 pp 65-113: 113). ", ',.

:: __ Cfr .. BALTZER, Thirteenth-Centur~ 1l!'"!!1lJ':1.a~~J/}fj!!i!!!!.u('s, p. 17. Cfr. BAtTZER, Notation, RhytIJm and Style, pp. 5-7. --

64 BALTZER, Notation, Rhythm and Style. p. 5.

65 Cfr .. ~EINRICH HUSMANN, Zur Frage der Herkunft fin NO!Yf·-J)oH/r-lIm/(Jsrhr!fi ~V" in MUJa­Men,·MuSlCl. 1m Gedenken an Walther Vetter, Wegener, Leipzig I <)(,'), pp .. 1.1-5.

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ENRICO PESCE 102

principale del manoscritto stesso,66 e ~ico.rda infine. Ernest Sanders, il quale, non condividendo le affermazlOlll dI Flotzlllger, propo~e fi­nalmente di collocare Wl nel secondo quarto del XIII secolo, III un periodo quindi di poco anteriore a F. 67 Una opinione .che Baltz.er fa propria, armonizzandosi essa perfettamente con tuttI glI altrI datI pa-

leografici, cronologici e stilistici. 68 . ' .' . . W dunque non solo è più antico degli altrI due manOSCrIttI prInCIpa-

l· al anche di tutte le fonti minori che ci sono pervenute. Una conclu-l,m . b sione che, nonostante l'ampio dibattito che lo sostIene, non sem ra c.on~ vincere molto Lera, il quale rimane solo con Handschin ad appogg~arsi alla priorità di F. Ed è con tali convinzioni che Lera passa a trattare SIste­maticamente dei principi della notazione di Notre-Dame.

4. Questa più delicata materia, come si ricorderà, è sostenuta i~ol­tre dal misterioso «principio d~ll' articolazione conclusiva dei neum!>}.69 Molte delle esemplificazioni addotte - è bene dire subito --:- non convincono per nulla; le rimanenti, poi, si lasciano facilmente lllter~ pretare - con soluzioni perfettamente analoghe ~ anche dalla plU ortodossa teoria modale. Vediamone qualche esemplO.

4.1. «Ligature binarie»

Per quanto riguarda le ligature binarie, 70 abbiamo già fatto cenno: alle chiare implicazioni modali della regola dI Lera e pertanto non. c~ ripetiamo. Sottolineamo soltanto l'assoluta mancanza dI omogeneIta nel trattamento di queste ligaturae, un trattamento dI fronte al quale la complessità delle 'regole modali' diventa ri?o~a~te ce~te~za, e. che Lera vuole invece radicato nel cosiddetto prlllClplO dell artICOlaZlOne

66 Cfr RUDOLF FLOTZINGER, Beobachtungen zur Notre-Dame-Handschrift W, und ihrem 11. Faszi­kel ,Mitt~ilungen der Kommission fUr Musikforschung, Anzeiger der philosophlsch-hlstonschel~ Kl~sse der Osterreichischen Akademie der Wissenschaft», cv/19 1968, pp. 245-62 (cfr. speCla

261)' ID Der Discantussatz im Magnus Liber und semer Nachfolge: mlt BCltragen zur Froge ;'~~:~e~annte~ N~tre-Dame Handschriften, Bohlaus Nachfolger, Wien 1969 (Wiener MUSlkwlS-

senschaftliche Beitrage, 8), pp. 232-3. 339 67 Cfr. ERNEST SANDERS, Notre-Dame-Probleme, ,Die Musikforschung», xxv 1972, p. . 68 BALTZER, Notation, Rhythm and Style, p. 7. 69 P 156 (corsivo in Lera). 70 p 157, par. 2.1.

SULLA LEGITTIMITÀ DELLA 'NOTAZIONE MODALE' 103

neumatica, per il quale, ad esempio, «La ligatura binaria isolata riceve un appoggio supplementare sulla nota iniziale».71

Ci troviamo di fronte, al solito, alla pericolosa identificazione di «ap­poggio» e allungamento che, a quanto ci consta, non è buona neppure per la semiologia gregoriana e che, quindi, non vale la pena commen­tare oltre. Piuttosto, vale riportare un'affermazione che dimostra come spesso i ragionamenti di Lera argomentino su basi assolutamente ipote­tiche ma pretendano poi di giungere a conclusioni certe:

[ ... ] tali formule [le ligature 223] sono spesso ingiustamente accostate al presunto Secondo modo: ecco il secondo modo nella sua veste classica e nella SUa trascri­zione esatta. Non è escluso che qualche particolare accentuazione esecutiva abbia potuto ispirare agli ascoltatori la sensazione di una successione giambica; questa ipotesi potrebbe forse collocare i discorsi attorno ai modi ritmici nel loro proba­bile contesto storico. Resta inteso che i teorici, elevando al rango di sistema orga­

nico quello che verosimilmente non era altro che un semplice modo di dire, han­n~ finito per mettere fuori strada i musicologi moderni»72

,i Già l'ipotesi mi sembra scarsamente verosimile, ma concediamola

appunto come ipotesi: è però quantomeno irritante che, soltanto in base ad essa, Lera scriva poi: «Resta inteso che i teorici, elevando al rango di sistema organico quello che verosimilmente non era altro che un semplice modo di dire, hanno finito per mettere fuori strada i musicologi moderni». No, in base ad una tale ipotesi non «resta inte­so» proprio nulla, meno che mai che l'essenza (non la denominazio­ne!) dei modi ritmici fosse stata e sia «un semplice modo di dire».

4.2. «Ligaturae ternarie»

Altre incongruenze si riscontrano del resto anche quando Lera af­fronta la trascrizione delle ligature di più di due suoni. Per le terna­rie, ad esempio (oltre al solito criptomodalismo della 'regola' «l'ulti­ma nota è accentata; le due precedenti sottraggono ciascuna un terzo all'accento precedente»),73 risulta difficile valutare la fondatezza con­cettuale delle trascrizioni offerte, dal momento che gli esempi addotti

71 P 158. n P 159. 73 P 160, par. 2.2.

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104 ENRICO PESCE

contengono quasi infallibilmente parigrado melodici con i quali Le­ra ha buon gioco a leggere serie di fractiones jl jl jl (dopodiché, tra parentesi, non si comprende come e perché la nota accentata differi­sca dalle altre).

In altri casi siamo semplicemente di fronte a trascrizioni aleatorie. Così nell' Alleluia Pascha nostrum, che dovrebbe esemplificare la 're­gola' «anche la ligatura ternaria posta isolatamente o all'inizio di un ordo riceve un'articolazione supplementare sulla prima nota»,74 dove troviamo tre interpretazioni differenti delle tre ligature ternarie.

Esempio l:Alleluia Pascha nostrum: F, c. 109, ordo 10.

)I!: ' ; ; p D In

I rl~~-'

DU J

, , J

Laddove invece vi è costanza di interpretazione (come. nella voce superiore dell'ultimo esempio della pagina 161),75 chiunque può con­statare che la trascrizione di Lera coincide in tutto e per tutto con le trascrizioni 'modali'. 76

4.3. «Ligature quaternarie»

Ugualmente in senso modale si lascia interpretare (formulazione a parte) la 'regola'77 a proposito delle ligature quaternarie: così che gli esempi, qui ed altrove, risultano di conseguenza.

74 P. 161. 75 Par. 2.3, con esempio tratto dal brano strumentale di Har. 76 Altrettanto si può dire a proposito dell'esempio riportato a p. 164, par. 2.6.1, e di quello

relativo all'ordo 26 di Pascha nostrum (p. 157). 77 P. 161, paro 2.3. ~(L'ultima nota è accentata; le altre tre occupano per intero il movimento

precedente): ossia, in termini modali: l'ultima nota della ligatura è una L (ternaria), mentre alle altre si applica una semplicissimafractio modi.

SULLA LEGITTIMITÀ DELLA 'NOTAZIONE MODALE' 105

4.4. «Ligature quinarie»

Dissentiamo invece di nuovo da Lera per ciò che egli afferma a proposito delle ligature quinarie: «L'ultima nota è accentata; quarta, terza e seconda occupano il movimento precedente; la prima nota occupa l'ultimo terzo del movimento ancora precedente, ma riceve spesso l'articolazione iniziale che la estende a tutta la sua durata».78 La regola, decisamente poco chiara, è seguita da due esempi che ci mo­strano due possibili interpretazioni della ligatura in oggetto: BBBBL ternaria e L ternaria BBBL ternaria (usiamo la terminologia 'moda­le' che Lera evita accuratamente nella forma quanto segue nella so­stanza). Gli esempi addotti, che dovrebbero condurre precisamente al­la constatazione dell'impossibilità dell' esistenza di una struttura ritmi­ca generale che informi le composizioni, non sono tuttavia probanti,

• come dimostra proprio la collazione dei manoscritti che Lera stesso ripcfrta. Si noti infatti come alla ligatura quinaria di F e Wl corri­sponda sempre, in Wl> una ligatura ternaria seguita da ligatura bina­ria: prova evidente che la clausola è in primo modo; la ligatura qui­naria ha quindi esattamente lo stesso significato. Lera sostiene invece che, a motivo dell' ordo 3, tale interpretazione non sia sostenibile: «l'or­da 3 [ ... ] non è trascrivibile nel cosiddetto Primo modo»:79 probabil­mente ritiene che ciò sia impedito dal rapporto di dissonanza che, tra­scrivendo 'modalmente', si viene a creare tra Duplum e Tenor. In realtà, in casi come questi, tutti gli studiosi ammettono la possibilità di trascu­rare momentaneamente il rapporto verticale tra le voci in favore di una organica coerenza ritmica delle linee orizzontali: così ApeI, per il quale la dissonanza su tempo forte è perfettamente possibile, purché essa ven­ga immediatamente risolta;80 così Waite, che nota come spesso, in un organum (ma, per conto mio, il ragionamento si può estendere anche alle clausulae) sia possibile sacrificare il principio della consonanza per non compromettere o interrompere un andamento melodico partico­larmente significativo della voce o delle voci superiori;81 e così anche la Baltzer che, pur non fornendo esplicite spiegazioni, legge sempre nel modo suindicato tali ligature quinarie. 82

7B P. 162, par. 2.4. 79 P. 162, par. 2.4. 80 Cfr. APEL, p. 269. 81 Cfr. WAITE, The Rhythm oJ Twelfth-Century Polyphony, p. 122. 82 Cfr. BALTZER, Notation, Rhythm and Style, pp. 1025-27.

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106 ENRICO PESCE

4.5. «Ligature con più di cinque suoni»

Con tali premesse, non stupisce quindi che anche il modo con il quale Lera definisce le ligature con più di cinque suoni sia un po' ap­prossimativo.83 Ma la trascrizione di queste più rare ligature, ad onor del vero, ha sempre creato problemi agli studiosi, molti dei quali ri­corrono ad un uso esteso dei comodi procedimenti di fractio, a sca­pito forse di più coerenti interpretazioni ritmiche. Lera, mi sembra, non fa eccezione alla serie.

4.6. «N ate isolate»

Un discorso simile si può fare anche per una delle regole stabilite per le successioni di note unisoniche: «Nello stile dell'organum più antico non mancano esempi di note isolate all'unisono da interpreta­re probabilmente come brevi».!J4 Anche in questo caso, infatti, a parer mio, le numerose fractiones risolvono troppo semplicisticamente il proble­ma. Se è vero che la forma grafica delle note non ha rapporto col valore delle note (come nota anche Lera) è anche vero che un'interpretazione modale delle stesse note ci permette di arrivare ad una soluzione più articolata. Ecco la versione di Lera di un passo del Benedicamus Domino:85

Esempio 2.

'""', '"",t, '""'" l''' ~ IDDPpJ'h , """" l''' 't r--,

La traSCrIZIOne mi sembra totalmente aleatoria: mi chiedo infatti perché le quattro note unisoniche dell' ordo 20 non siano state tra­scritte tutte Jl Jl Jl Jl piuttosto che Jl Jl Jl J in un modo cioè certamente più 'gregorianeggiante'. A meno che con ciò Lera non voglia mante­nere una isocronia della durata totale di ogni ordo, cadendo di nuovo in quella sorta di criptomodalismo che già abbiamo rilevato. In realtà, un aiuto alla trascrizione del passo può venire proprio dal confronto

83 P. 163, par. 2.5. M P. 164, par. 2.6.2. B5 P. 164, par. 2.6.2.

l

SULLA LEGITTIMITÀ DELLA 'NOTAZIONE MODALE' 107

tra le fonti, dal momento che la figurazione non è poi cosÌ rara. Com­pare infattI, per esempio, nel brano seguente, Docebit,86 presente in tutti e tre i manoscritti, e tutti i trascrittori87 la interpretano attri­buendo il valore di L perfetta alla prima nota, di B altera e B recta alle due note centrali, e, infine, nuovamente di L perfetta all'ultima:

Esempio 3

'""' " "", i" ""'" i" """" i"

.I /

Le,a

Mia proposta

W2

F

Wl

Passo paralle1

Wl

Tenor

\'

~

\' 1>-

\' , , "' ~

B~(Ur pp. 630--35, Smith p. 27

o \'

~

R!cekP' XXV

\'

r--l r;-, r--,

a) II modo ,.-, r--, r--,

b) I modo r--J r--, = I r

In un certo senso quindi la figurazione anticipa un tipico modo di procedere delle successive notazioni prefranconiana e franconiana, nelle quali appunto una tale successsione di valori sarà assolutamente tipica.

8. M 26, Docebit nO l (Lw l). 87 Cfr. BALTZER, Nototion, Rhythm and Style, pp. 630-5; SMITII, '/1". C/,1IImlne <>l tllC' Notre O,II11C

School, p. 27; RACEK, Die Clouseln von W" p. xxv.

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4.7. Conjuneturae

Per ciò che riguarda le conjuneturae, dopo l'ovvia constatazione che «la conjunctura ternaria è perfettamente equivalente alla ligatura ter­naria»88 (anche per esse valgono quindi le riserve che abbiamo espres­so in 4.2.), Lera discute soprattutto i casi di conjuneturae comprenden­ti un numero ragguardevole di note. Gli esempi forniti sono general­mente accettabili (anche perché coincidenti con una risoluzione 'mo­dale' degli stessi passi); solamente quello relativo all' ordo 39 dell' Alleluia Paseha nostrum non convince completamente, essendo la figurazione

~ ... trascritta con l'impiego di sole B, senza attribuire all'ultima nota della eonjunctura il valore di L perfetta. 89 Del tutto incomprensibile, inve­ce, l'affermazione seguente, che Lera dice «illuminante per la com­prensione dell'estetica di Notre-Dame»:9o «La conjunctura possiede» la caratteristica «di indicare esplicitamente l'articolazione finale col­locando una ligatura in fondo alla serie delle currentes»,91 analogamen­te a ciò che avviene (dice sempre Lera) con i neumi resupini gregoria­ni. Non sorprende quindi che gli esempi seguenti non offrano sem­pre una interpretazione coerente della figurazione, resa in modo piut­tosto irregolare e contraddittorio anche rispetto alle precedenti tra­scrizioni dell'autore.

4.8. Plica

L'esame degli elementi isolati della notazione di Notre-Dame si conclude con un discorso sulla plica e sulle note plicate; un discorso nel quale pure affermazioni ovvie si alternano ad altre di opinabile fondatezza. Se nessuno discute, ad esempio, la derivazione della plica dalla «liquescenza gregoriana»,92 o che «il contesto mensurale in cui la

88 P. 164, par. 3.1. 89 Cfr. p. 165. 90 P. 165, par. 3.2. 91 P. 165, par. 3.2. 92 P. 166, par. 4.

SULLA LEGITTIMITÀ DELLA 'NOTAZIONE MODALE' 109

plica trova la sua giustificazione è definitivamente diverso da quello monodico' medioevale»,93 o che «la plica di Notre-Dame non si lega più alle particolarità di pronuncia del testo letterario; è anzi frequen­tissima in contesti e passaggi totalmente melismatici»,94 mi sembra in­vece decisamente riduttivo il concetto in base al quale «la plica non è altro che una nota collocata in posizione anomala, cioè dopo l'artico­lazione che conclude la ligatura»,95 quasi inevitabile «nei contesti in cui è preferibile la maggior linearità possibile nella successione delle ligature», per evitare di «ripiegare su una scrittura decisamente meno chiara ed immediata, ricorrendo alla cosiddetta fraetio modi ed alter­nando disordinatamente ligature binarie e ternarie»:96 una necessità, naturalmente che può avvertire soltanto chi, come Lera, ritiene che la fraetio modi fosse considerata dai maestri di Notre-Dame come un .espediente eccezionale e usata «soltanto se un unisono o qualche par­ticolarità melodica [ ... ] rendevano impossibile il ricorso alla scrittura plic$ta».97 In realtà chiunque abbia un po' di pratica con la notazione di Notre-Dame sa per esperienza che lafraetio modi (come pure l'op­posta extensio) è un procedimento assolutamente normale in essa; lo stesso Lera, del resto, dimostra coi fatti l'evidenza di quanto stiamo dicendo, trovandosi perfettamente a proprio agio nell'utilizzare con frequenza fractiones lungo tutte le sue brevi trascrizioni.

Ma non è questa l'unica opinione che lascerà perplessi. Poco dopo, ad esempio, Lera prende in considerazione i «casi di plica collocata in posizione anomala»:98 ebbene in essi, egli ritiene, «il notatore non in­tende collocare una plica, ma si limita ad evidenziare particolari ar­ticolazioni con il segno della longa».99 «La scrittura di Notre-Dame preferisce inoltre sottolineare l'articolazione con il segno della longa in alcuni contesti tendenzialmente poco chiari [ ... ] salti melodici am­pi o [ ... ] unisoni ribattuti.»10o In tutti questi casi quindi Lera, contro l'opinione unanime di tutti gli altri trascrittori,101 ritiene di non do-

93 P. 166, par. 4. 94 P. 166, par. 4. 95 P. 167, par. 4.1. 96 P. 167, par. 4.1. 97 P. 167, par. 4.1. 98 P. 168, par. 4.2. 99 P. 168, par. 4.2.1. 100 P. 168, par. 4.2.2. 101 Cfr., per esempio, APEL, p. 257, che riporta e trascrive proprio il passo citato da Lcra.

Page 12: SULLA LEGITTIMITÀ DELLA COSIDDETTA Isagoge ...mitano non solo i tetracordi, ma anche i pentacordi; oppure, infine, al paragrafo 96, in cui non è prevista la possibilità di unire

110 ENRICO PESCE

ver interpretare il 'segno di plica' appunto come plica, ma di poterlo semplicemente ignorare. Un modo di procedere, mi sembra, di legit­timità assai dubbia, ma che Lera applica anche ad altri contesti: egli non trascrive la plica, ad esempio, sempre ritenendola un segno del­l' «articolazione che chiude l' ordo»102 quando essa compare sulla nota che conclude l' ordo stesso.

5. Con queste affermazioni Lera termina la parte più propriamen­te analitica del suo discorso, nel suo intento «una semplice introdu­zione alla scrittura di Notre-Dame)).103 Nelle quattro pagine seguen­ti egli si propone «l'analisi dei raggruppamenti di ligature)), convinto (giustamente) che «lo studio della notazione entra nel suo argomento più vivo ed importante solamente quando si cessa di considerare ogni singola ligatura come un organismo a sé stante e si incomincia a met­tere in luce i rapporti cRe uniscpno tra loro le ligature stesse)).104 Non riteniamo di doverlo seguire in questo nuovo passo: non condividen­do le premesse del suo discorso, non ne potremo certamente condivi­dere lo sviluppo.

A parer mio, infatti, le teorie di Lera a proposito della notazione di Notre-Dame sono palesemente errate, e tutte le sue affermazioni non bastano a provare l'illegittimità della tradizionale interpretazione mo­dale della stessa notazione. Nonostante le ambiguità e le difficoltà che indubbiamente vi si riscontrano, essa si dimostra infatti, allo stato at­tuale degli studi, ancora la teoria più economica per spiegare la natu­ra del ritmo delle composizioni di quella scuola: senz'altro più eco­nomica delle pretese norme grammaticali di Lera, che suscitano inve­ce maggiori difficoltà di quante ne risolvano.

A Lera, in definitiva, si potrebbe rivolgere lo stesso rimprovero che egli, all'inizio della propria trattazione, muove a quei teorici che a pochi anni di distanza dalla pratica musicale trasmisero i principi della teoria modale: con la sua pretesa rivoluzione, egli confonde i lettori più di quanto non li aiuti a capire, abbandonandosi, nella maggior parte dei casi, a semplici speculazioni prive di effettivo valore.

102 P. 169, par. 4.3. 103 P. 169, par. 5. 104 P. 169, par. 5.

DANIELE SABAINO

POSTILLE AD UNA NUOVA

«GRAMMATICA DEI MODI RITMICI»

Dopo la prima Grammatica del 1989,1 Luigi Lera, come i protago~ nisti di ogni racconto di suspence che si rispetti, torna a percorrere 1

sent(eri di una personalissima rilettura dei fondamenti della cosiddet­ta 'notazione modale', a suo dire inadeguati ed anzi in radice comple­tamente errati nei modi e nelle forme finora recepite da tutta la tradi­zione musicologica: e dopo aver affrontato nel primo articolo la mor­fologia semiografica del repertorio ed averne dettato nuove regole di trascrizione, minuziose e prescrittive quant'altre mai, si volge questa volta a discutere le testimonianze della teoria antica, di Giovanni di Garlandia e Walter Odington in particolare, nelle quali egli giudica risiedano i prodromi di quei fraintendimenti ermeneutici che si sono poi perpetuati nei secoli e fino ad oggi.2

Le pretese ed i risultati del primo saggio hanno una puntuale ed esauriente risposta, in questo stesso volume, nel contributo di Enrico Pesce,3 con argomentazioni che riteniamo estensibili anche alla se­conda Grammatica. Questa tuttavia, mentre rende forse ragione di al­cuni modi di procedere applicati ma non esplicitati nel saggio prece­dente, solleva anche alcuni nuovi problemi di metodo sui quali vale la

1 LUIGI LERA, Grammatica della notazione di Notre-Dame, ((Acta Musicological), LXI/2 1989, pp.

150-74. 2 LUIGI LERA, Grammatica dei modi ritmici: il periodo arcaico, «Rassegna Veneta di Studi Musicali),

V-VI 1992, pp. 5-41. .. 3 ENRICO PESCE, Sulla legittimità della cosiddetta InotaZiotll' moda/c'; romml'/If(l CrttlCO "Ila ((Gramma­

tica della notazione di NotTe-Dame/> di Luigi Lera, pp. H9-l1 O.