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tesi di dottorato franco-italiana sulle trasformazioni di internet causate dalle leggi sul copyright.TRANSCRIPT
UNIVERSITÉ PARIS 13
DOTTORATO IN SCIENCES DE L’INFORMATION ET DE LA COMMUNICATION
In cotutela con il Dottorato in Scienze della Comunicazione di Sapienza – Università di Roma
Le mutazioni di internet tra regolazione giuridica e pratiche di file sharing
Dottoranda
Gabriella Giudici
Direttore Co-direttore
Prof. Roger Bautier Prof. Luciano Russi
Anno Accademico 2009 – 2010
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AAbbssttrraacctt
Questo lavoro studia il principale conflitto di internet e i cambiamenti generati dallo scontro tra le reti di file sharing e i detentori dei diritti di proprietà. I tentativi di contrasto del peer-to-peer sono infatti portatori di una radicale trasformazione della governance di internet, nella quale l’approccio normativo si è indebolito a vantaggio del controllo tecnologico. La ricerca si sviluppa come un’analisi dei dibattiti giuridici e tecnologici americani, finalizzata ad illustrare le linee di sviluppo sia della teoria critica che dell’apparato normativo costruito in risposta alle pratiche di condivisione. La prima parte è dunque dedicata alla definizione dell’eccezione digitale, ovvero alla nascita di internet come spazio di comunicazione non commerciale e alla fondazione della critica di internet, dopo la privatizzazione delle infrastrutture, coincidente con la nascita della cyberlaw. La seconda parte illustra l’evoluzione del dibattito critico, attraverso la legittimazione della svolta tecnologica del copyright e l’avvicinamento del cyberdiritto americano al discorso tecnologico sviluppatosi nei dibattiti ingegneristici dell’internet enhancement e del trusted system. La terza parte, infine, affronta la storia tecnologica e giudiziaria delle reti di file sharing, proponendo una definizione sociologica della pratica nel confronto con le interpretazioni economiche (disruptive tecnology) e antropologiche (hi-tech gift economy) prodotte dalla letteratura in argomento.
PPaarroollee cchhiiaavvee:: internet governance, copyright, legge tecnologica, peer-to-peer file sharing, Internet enhancement, trusted system, economia dell’informazione, disruptive technologies, hi-tech gift economy.
IInntteerrnneett mmuuttaattiioonnss bbeettwweeeenn jjuurriiddiiccaall rreegguullaattiioonn aanndd ffiillee sshhaarriinngg pprraaccttiicceess
This work is about the main Internet conflict and maine changes generated by the struggles between file sharing networks and copyright owners. Governance attemps to nullify peer-to-peer networks dramatically change regulation philosophy wherein legislative approach is weakened in favour of technological control.
This research is developped as an analysis of juridical and technological debates in U.S.A., with the goal of represent the developments of both critical theory and norms building as an answer of share practices. Its first part is dedicated to the definition of digital exception, that is Internet birth as a free and non commercial space, and to the foundation of Internet criticism after privatization of infrastructures, that coincide with cyberlaw emergence. Its second part represents critical debate evolution, across legitimation of technological turn of copyright law and incoming of American cyberlaw towards technological approach of «Internet enhancement» and «trusted system» debates. Finally, its third part deals with the judicial and technological history of file sharing networks, in the goal of suggesting a sociological definition of these practises, by compared
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economics (disruptive tecnology) and anthropological (hi-tech gift economy) interpretations produced by literature about this argument.
KKeeyywwoorrddss:: internet governance, copyright, technological turn, peer-to-peer file sharing, internet enhancement, trusted system, networked information economy, disruptive technologies, hi-tech gift economy.
École doctorale Érasme – Université Paris 13 UFR des Sciences de la communication 99 avenue Jean-Baptiste-Clément F 93430 Villetaneuse
Dottorato in Scienze della comunicazione – Sapienza Università di Roma V. Salaria, 113 05100 - Roma
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RRiinnggrraazziiaammeennttii
Questa tesi non sarebbe stata realizzata senza il sostegno e la fiducia dei proff. Roger Bautier dell’Università di Paris 13, Alberto Marinelli e Luciano Russi di Sapienza Università di Roma. Devo ad internet e alla politica di open publishing delle Università americane l’accesso alla maggior parte delle fonti bibliografiche e la possibilità stessa di condurre a termine questo lavoro di ricerca. Grazie, infine, ai miei figli e a mio marito per aver atteso pazientemente la conclusione di un lungo periodo di studi e averlo trascorso discutendo con me di internet e società dell’informazione.
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A Silvano
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Indice
Introduzione 4
I. Eccezione digitale e fondazione della critica 16
11.. CCyybbeerrssppaaccee,, eecccceezziioonnee ee nnoorrmmaalliizzzzaazziioonnee 1188 1.1 Habitus digitale e autonomia della rete 20
1.1.1 Le origini di internet 20 1.1.2 La copia 25 1.1.3 La riproduzione dell’habitus digitale 29
1.2 La svolta tecnologica: verso una nuova governance 33
1.2.1 Le misure tecno-giuridiche di controllo 35 1.2.2 File sharing: il principale oggetto delle misure 41 22.. CCyybbeerrllaaww,, llaa ffoonnddaazziioonnee ddeellllaa ccrriittiiccaa ddiiggiittaallee 4488
2.1 Dal catechismo digitale alla cyberlaw 50
2.1.1 Cultura hacker e informatica sociale 50 2.1.2 L’utopismo digitale 51 2.1.3 Lessig e la cyberlaw 55
2.2 Il dibattito americano sul copyright esteso 62
2.2.1 Le frizioni costituzionali: l’estensione dei termini 62 2.2.2 Le frizioni costituzionali: il controllo tecnologico 64 2.2.3 La crisi di legittimità del copyright 67
II. Il governo dell’eccezione e la nuova cyberlaw 76
33.. DDiirriittttoo ppeerrffoorrmmaattiivvoo ee iinnggeeggnneerriiaa ddeellllaa rreettee 7788
3.1 L’evoluzione delle politiche di controllo 80
3.1.1 La formazione del clima politico americano e la genesi delle misure tecnologiche 80
3.1.2 Il Broadcast Flag e gli argomenti della quality-of-service 89
2
3.2 Jonathan Zittrain: la legittimazione della svolta tecnologica 95
3.2.1 L’appello per l’internet generativa 95 3.2.2 La reinterpretazione dell’end-to-end 98 3.2.3 La legittimazione del trusted system 102 3.2.4 Le contraddizioni economiche del controllo 106
3.2.5 La crisi di complessità della governance dell’innovazione 109
3.3 Net security: l’ordine del discorso digitale 114
3.3.1 La costruzione del cybercrime 114 3.3.2 I «luoghi neutri» della sicurezza digitale 119 3.3.2.1 Il Berkman Centre 119 3.3.2.2 IEEE, IETF 129
44.. DDaall ggoovveerrnnoo ddeeii ccoonnfflliittttii aallllaa ggoovveerrnnaannccee ddeellllee pprroocceedduurree 113388
4.1 Lex informatica come lex mercatoria 140
4.1.1 Law and Borders: per una legge speciale di internet 140
4.1.2 La legge transnazionale dei mercanti 142 4.1.3 L’alternativa costituzionale: Gunther Teubner 146 4.1.4 Le applicazioni normative del fondamentalismo di
mercato 151
4.2 Lex informatica come stato d’eccezione 155
4.2.1 Governance tecnologica e crisi dell’ordinamento liberale 155
4.2.2 Lo stato d’eccezione come norma 162
III. Il file sharing e la logica dei network 166
55.. LLee rreettii ee llee aarrcchhiitteettttuurree ddii ccoonnddiivviissiioonnee 116688
5.1 Darknet, ovvero la robustezza delle reti sociali 170
5.2 Da Napster a BitTorrent: storia tecnologica e giudiziaria del peer-to-peer 174
5.2.1 Le origini: protocollo vs applicazione 175 5.2.2 Il peer-to-peer non commerciale 179
5.2.3 Il declino delle piattaforme proprietarie 181
3
5.2.4 Virtual Private Networks, darknets e sistemi di anonimizzazione 192
5.2.5 Lo streaming 196 5.2.6 Il trionfo tecnologico del P2P 197
5.3 File sharing e rinnovamento del mercato: la distruzione creatrice e l’economia dell’informazione 204
5.4 File sharing vs mercato: l’economia digitale del dono 213
5.4.1 Hi-Tech Gift Economy: la superiorità delle pratiche collaborative 213
5.4.2 Napster Gift System: la circolazione del dono nella comunità virtuale 222
66.. PPeerr uunn’’aannttrrooppoollooggiiaa ddeell ppeeeerr--ttoo--ppeeeerr 223300
6.1 Le critiche all’interpretazione del file sharing come sistema di dono 232
6.2 Se non è un dono, cos’altro? 235
6.2.1 Il file sharing come redistribuzione sociale di un bene pubblico 235
6.2.2 Il file sharing come possesso comune basato sulla partecipazione 242
6.2.3 Il file sharing come solidarietà tecnica 245
6.3 Le comunità di produzione di release: il caso di eMulelinks 251
6.4 Verso una teoria del peer-to-peer 260 Conclusioni 266
Bibliografia 274
4
IInnttrroodduuzziioonnee
5
Introduzione
6
Regulators would welcome and even encourage a PC/Internet grid that is less exceptional and more regulable.
J. Zittrain1
Questo lavoro perimetra il campo di ricerca costituito dal rapporto tra la
regolazione giuridica di internet e l’emersione del file sharing, una pratica
consistente nella condivisione online di copie e release di beni commerciali2 la
cui diffusione ha impresso un’accelerazione decisiva alla trasformazione della
governance della rete. Rispetto al modello non proprietario e non commerciale
di produzione e distribuzione dei beni che caratterizza le pratiche digitali3, il file
sharing infatti sottomette alla logica di internet gli stessi beni industriali,
generando una circolazione gratuita ed efficiente di musica, film, software,
videogiochi e trasmissioni televisive on demand, attraverso la quale i network
peer-to-peer rendono abbondante quanto è mantenuto scarso, aggredendo il
presupposto della distribuzione commerciale di questi beni.
La principale conseguenza di questo scontro è la nascita di una nuova
modalità di governo di internet che, come ha evidenziato Lawrence Lessig,
porta al collasso i meccanismi di regolazione tradizionali non solo dei sistemi
tecnici, ma delle società democratiche in generale, in quanto abbandona lo
strumento normativo e la deterrenza penale come mezzi di contrasto
dell’illegalità, sostituendoli con dispositivi tecnologici capaci di assicurare a priori
il rispetto delle prescrizioni normative. Il governo delle tecnologie passa così
sempre più decisamente per sistemi di controllo incorporati nell’hardware e nei
software dei computer e per modifiche radicali ai protocolli di comunicazione di
internet che esaltano il ruolo delle compagnie telefoniche quali regolatori del
traffico digitale e dettano nuove regole alla competizione economica on the Net.
Obiettivo della nostra ricerca è quindi di rappresentare estensivamente lo
spettro di queste tensioni e di fornire un contributo d’analisi all’interpretazione
socio-antropologica del file sharing. Il tema si presta infatti ad un’indagine
complessiva degli usi e delle trasformazioni dell’ambiente elettronico che la
1 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, Harvard Law Review, 119, 2006, p. 2002, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=847124. 2 Per release si intende la versione aggiornata di un file o di un software. Nel caso dei beni in circolazione nelle reti di file sharing, si tratta di copie di beni digitali confezionate con sistemi conservativi della qualità audio e video, talvolta corredate di servizi, quali recensioni, sottotitoli, trailer o fofotogrammi, assenti negli originali. 3 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, New Haven and London: Yale University, 2006, p. 3; http://www.benkler.org/Benkler_Wealth_Of_Networks.pdf.
Introduzione
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teoria sociale tarda ad affrontare, producendo studi ancora frammentari o
eccessivamente condizionati dalla prospettiva giuridica ed economica che,
proprio per la sua centralità, rappresenta il nostro punto di partenza ma anche il
punto di vista che si intende superare. I dibattiti giuridici e tecnologici americani
costituiscono, perciò, uno dei principali terreni d’analisi di questa indagine sul
peer-to-peer che cerca di includere nella teoria delle pratiche digitali una
mappatura delle pratiche teoriche a monte dei sistemi di classificazione e dei
dispositivi di produzione del discorso su internet. Nelle prime due sezioni della
tesi il file sharing è dunque guardato esclusivamente come «oggetto di misure»,
mentre lo studio del fenomeno come «soggetto di pratiche» è intrapreso
nell’ultima parte.
Nella prima e nella seconda parte della ricerca dedicate, rispettivamente,
alla fondazione e alla recente evoluzione del discorso regolativo, ci si sofferma
quindi sull’apporto della dottrina legale allo studio di internet che, con la
cyberlaw americana, ha espresso contributi ricchi e sofisticati, affermandosi sia
come un fattore essenziale della costruzione della governance digitale che
come la sua principale coscienza critica. Il cyberdiritto ha infatti il merito di aver
integrato e immesso anche nel dibattito non specialistico i risultati degli studi
costruttivisti sulla tecnica e contribuito a illuminare le trasformazioni della black
box architetturale di internet, collocando gli effetti del design tra le altre forme di
condizionamento sociale, dalla legge al mercato fino alle convenzioni sociali –
code, law, market and norms, secondo la lezione lessighiana4. Allo stesso
tempo, si deve alla stessa cyberlaw l’elaborazione delle principali ipotesi di
regolamentazione della vita digitale (si pensi, ad esempio, all’alternative
compensation system di William Fisherl)5, mentre alcuni dei suoi sviluppi più
recenti, svincolati dalla prima matrice costituzionalista, rappresentano la
principale fonte di legittimazione giuridica della discussa evoluzione della
governance di internet e della sua svolta tecnologica6. In questo modo, la
giurisprudenza cresciuta tra le Università di Harvard e Stanford e oggi tra le voci
più influenti nella formazione del discorso digitale, rappresenta anche un
importante indicatore di tendenza del policy making delle telecomunicazioni
4 L. LESSIG. Code and Other Laws of Cyberspace, New York: Basic Book, 1999. 5 W.W. III, FISHER. Promises to Keep. Technology, Law, and the Future of Entertainment, Stanford: Stanford University Press, 2004. 6 J. ZITTRAIN. “A History Of Online Gatekeeping”, Harvard Journal of Law & Technology, 19, 2, Spring 2006, (pp. 253-298); http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=905862.
Introduzione
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americane e il sensore più affidabile delle variazioni dell’approccio regolativo
statunitense all’ambiente informazionale. L’analisi di questo corpus teorico ci
permette quindi di seguire lo sviluppo di un dibattito che, pur articolandosi come
uno studio della produzione normativa americana, si impone all’interesse della
comunità internazionale sia in quanto polo avanzato della riflessione su internet,
sia in quanto osservatore privilegiato delle politiche di un paese che continua a
giocare un ruolo di primo piano nella determinazione della governance digitale.
Dopo aver presentato i temi fondamentali e le ragioni dell’affermazione
della cyberlaw nel dibattito sulle tecnologie, si dedica perciò particolare
attenzione ad alcuni segnali di declino dell’egemonia intellettuale di Lessig e
della sua critica al copyright, che si accompagnano alla fine della distanza
critica del diritto digitale dall’approccio tecnocratico delle élite ingegneristiche, il
cui lavoro teorico, applicato alla ricerca sui sistemi affidabili (trusted system) e
allo sviluppo degli standard di rete (Internet enhancement), rappresenta l’altro
fondamentale centro di elaborazione delle strategie regolative del cyberspazio.
Evidenziamo, in particolare, come con la legittimazione di Jonathan Zittrain delle
misure informatiche progettate in risposta all’infrazione del copyright nelle reti di
file sharing e alle nuove necessità commerciali delle telco e dei network
televisivi over the Net, il fronte critico della cyberlaw sembri aver perso
compattezza, insieme a una visione internet & society della rete che ha fatto
scuola. In questa svolta ricca di conseguenze, l’orientamento del giurista di
Harvard si presenta infatti totalmente svincolato dall’ortodossia costituzionalista
e dal retaggio dei classici studi sul First Amendment, mostrando di aver perso il
baricentro illuminista della dottrina lessighiana e di promuovere una visione
post-universalistica del Net, differenziato per attività, pubblici e significato
economico dei flussi di dati.
Le politiche di normalizzazione del cyberspazio sembrano quindi passare in
questo momento per la crisi del costituzionalismo e l’ascesa di un diritto ispirato
a principi di efficacia e performatività che lascia cadere la fondamentale tesi di
Lessig secondo la quale i cambiamenti di internet non sarebbero stati limitati
allo spazio cibernetico, ma avrebbero investito la società per intero, a causa
della tensione che lo stato d’eccezione istituito dai tentativi di regolazione di uno
spazio eccezionale, avrebbe immesso nel quadro dei principi ordinamentali.
Il significato politico del discorso lessighiano si precisa interamente alla luce
della centralità nel dibattito americano degli anni ’90 del tema dell’eccezionalità
Introduzione
9
di internet, su cui si è giocato il primo scontro teorico tra le utopie digitali e i
professori di legge. Con James Boyle, Lessig è infatti il fondatore di una teoria
del cyberspazio che oltre a rovesciare l’ipotesi della diversità ontologica e
dell’incontrollabilità di internet, ha anche indicato nelle politiche
dell’informazione il luogo di elaborazione di un nuovo modello di società che
passa per uno stretto controllo della rete telematica. Internet è infatti il contesto
in cui l’importanza crescente della proprietà intellettuale cozza con l’avanzata
obsolescenza dei suoi dispositivi legali, particolarmente evidente nelle difficoltà
di esecuzione dei diritti e nella circolazione informale delle copie nelle reti di file
sharing.
Molti dei protagonisti di questa prima fase del dibattito si sono interrogati
sulle cause della «powerful inertia»7 che l’architettura telematica oppone ai
tentativi di omologazione culturale e di stretta regolazione normativa e
commerciale, dando vita ad una letteratura fortemente debitrice dell’approccio
informatico e incline a giustificare la fenomenologia sociale di internet con il
funzionamento dei dispositivi tecnologici. La stessa cyberlaw oscilla
costantemente tra il riconoscimento della capacità degli oggetti tecnici di
incorporare valori e principi d’azione (code is law) e l’oblio della codifica sociale
che istituisce la legge attraverso le architetture tecnologiche8.
Nel primo capitolo affrontiamo dunque questo aspetto, esaminando le
particolari condizioni in cui nasce la rete internet e la frattura culturale che in
corrispondenza con tale evento porta a maturazione il passaggio dalla
concezione artistica della riproduzione a quella distributiva del codice. È in
questo contesto che, oltre a innescare il declino del riferimento all’originale e
delle estetiche del gesto creatore, le copie digitali diventano il supporto aperto di
continue manipolazioni e il veicolo di una diversa modalità di produzione
culturale. Si mostra, in proposito, come questi nuovi usi dell’informazione
prendano forma negli stili organizzativi dei gruppi di ricerca impegnati nella
stesura dei protocolli di rete, la cui logica collaborativa si sedimenta nel disegno
delle tecnologie, sostenendo la riproduzione, nelle mutate condizioni della rete
commerciale, dell’ordine sociale di queste prime organizzazioni di informatici.
Formuliamo perciò l’ipotesi che il conflitto sulla copia debba essere letto
77 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 1977. 8 L. LESSIG. Code and other laws of cyberspace, op. cit.
Introduzione
10
come un conflitto di legittimità, generato dallo scontro tra l’orizzonte normativo di
uno spazio sociale regolato dalle convenzioni della ricerca e il regime di verità
dello spazio economico entro cui l’internet viene inglobata dopo la dismissione
dell’infrastruttura pubblica del 1995. Questa parte dell’analisi si conclude con la
presentazione dei principali disegni di legge sulle telecomunicazioni attualmente
allo studio negli Stati Uniti, nei quali si evidenzia la tendenza a rimuovere le
condizioni di riproduzione di queste forme di relazione sociale, portando la
regolazione dei comportamenti illegali sul terreno della reingegnerizzazione di
internet in luogo del sanzionamento ex-post.
Il capitolo successivo è dedicato alla storia dei dibattiti giuridici e tecnologici
americani, il cui studio ci permette di ricostruire i termini dell’opposizione
fondamentale lungo cui si snoda la riflessione regolativa su internet. Si
ripercorre, in particolare, lo sviluppo di una visione politica delle tecnologie,
particolarmente recettiva al contributo delle scienze sociali allo studio dei
sistemi tecnici, quale quella della cyberlaw, e del percorso inverso tracciato dai
dibattiti tecnologici che, intorno agli anni ’80, maturano una concezione
strumentale e neutrale dei dispositivi tecnici. Come si osserva nel terzo capitolo
che introduce la sezione dedicata alla recente evoluzione del dibattito giuridico
americano, la diametrale distanza tra queste posizioni viene fortemente
ridimensionata dal giovane professore di Harvard Jonathan Zittrain, il quale
innesta nel corpus critico della cyberlaw le istanze di sicurezza provenienti dai
dibattiti ingegneristici, incaricandosi di moderarle quando incompatibili con la
salvaguardia dell’innovazione. Agli occhi di questo studioso, il diritto di internet
deve ormai farsi carico della domanda di controllo avanzata dal marketplace,
proprio per scongiurare il rischio che la massiccia introduzione di misure di
sicurezza abbatta il potenziale «generativo» della griglia digitale pc/internet.
Come si cerca di dimostrare, il suo intervento, contenuto in un articolo del
2006 e in un libro pubblicato due anni dopo9, rappresenta l’elaborazione più
matura di una nuova concezione della governance di internet che punta a
difendere la capacità di innovazione delle architetture digitali separandola
chirurgicamente dal suo côté sociale, il dark side della rete. Nella parte finale di
questo capitolo, l’analisi della battaglia zittrainiana per la riforma di internet e
9 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit.; The Future of the Internet and How to Stop It, New Haven: Yale University Press, 2008; http://www.jz.org.
Introduzione
11
della cyberlaw si fonde con l’esame delle formazioni discorsive generate dal
coordinamento, sul terreno della sicurezza digitale, di soggetti istituzionali, quasi
istituzionali e non istituzionali, le cui dinamiche di luoghi neutri illustrano la
formazione orizzontale delle politiche di controllo e la penetrazione nel senso
comune digitale della filosofia della Net security.
La sezione dedicata alla fondazione giuridica della nuova governance di
internet si completa con il quarto capitolo, incentrato sulle implicazioni politiche
e giuridiche della convergenza, nella legge informatica, tra filosofie di controllo
dell’informazione, superamento della legittimità formale del copyright e misure di
valorizzazione dell’ambiente telematico. Si osserva, in particolare, come, dopo il
2000, la crisi dell’ordinamento liberale all’intersezione con le politiche del
cyberspazio travalichi i confini del dibattitto su internet, entrando nella riflessione
di giuristi come Gunther Teubner e Giovanni Sartori, i quali evidenziano come la
svolta tecnologica del copyright introduca uno stato d’eccezione del diritto che
rischia di coincidere con le logiche del potere economico e con il controllo
autoritario dei flussi informativi. La circolazione illegale delle copie si rivela così
non solo come il principale conflitto per l’ordine legittimo del cyberspazio, ma
come una delle forme di resistenza dei network alla sospensione del diritto nelle
deleuziane società di controllo.
Questo punto d’arrivo dell’analisi ci porta ad osservare come parallelamente
al rafforzamento del copyright e alla proliferazione di misure in contrasto con i
principi organizzativi di internet (net neutrality), cresca anche la capacità dei
fenomeni più controversi, tra i quali il file sharing, di sottrarsi alla sorveglianza e
di creare contromisure generative al controllo informatico. Si prospetta così uno
scenario in cui, come preconizzato da Lyotard, l’impossibilità postmoderna di
fondare la giustizia sul discorso vero e sulle narrazioni emancipative trova in
forme minori di conflitto e nella divergenza strutturale delle reti la possibilità di
una legittimazione per paralogia e la via di fuga dalla chiusura totalizzante della
(luhmanniana) società amministrata.
Nel quinto capitolo, con cui si apre l’ultima parte dedicata all’interpretazione
del file sharing, prendiamo quindi in esame la storia tecnologica e giudiziaria dei
sistemi di condivisione, partendo da uno studio poco noto attraverso il quale un
gruppo di ricercatori Microsoft ha evidenziato la stretta derivazione del peer-to-
Introduzione
12
peer10 dalle reti fisiche di amici (sneakernet), alle quali la diffusione della
programmazione ha offerto una tecnologia in grado di distribuire beni digitali a
basso costo11. In questo intervento che evidenzia la natura di protocollo sociale,
prima ancora che tecnico, delle reti illegali (darknet), gli ingegneri sostengono
che le pratiche di file sharing non possono essere soppresse dal controllo
informatico e dalla repressione giudiziaria, i quali possono solo spingere i peer-
to-peer networks a rafforzare le loro tattiche di mascheramento o a rinunciare
all’interconnessione per sopravvivere come isole crittate nelle reti elettroniche -
senza peraltro perdere la loro efficienza distributiva. La possibilità di controllare
ogni aspetto della struttura tecnica del file sharing si infrange infatti sulla
robustezza delle reti sociali e sulla loro capacità di rispondere alle aggressioni
riarticolando la propria morfologia e riproducendosi a partire da pochi nodi.
A distanza di sette anni dalla conferenza tecnica in cui veniva presentata
questa ipotesi, l’evoluzione delle piattaforme di condivisione mostra di muoversi
effettivamente nella direzione indicata dai ricercatori e di saper rispondere alla
pressione tecno-giudiziaria con le sue stesse tecniche - la crittografia, la
steganografia e la riscrittura dei protocolli - sostenendo la crescita dei propri
volumi di traffico (da 1 a 10 terabyte dal 1999 ad oggi) e la penetrazione del file
sharing negli usi quotidiani della rete.
Sembra quindi non più rinviabile la costruzione di un piano teorico capace
di spiegare in modo persuasivo la vitalità e la popolarità di questa pratica,
superando i determinismi tecnologici e il punto di vista regolativo ancora
dominanti. Tra i tentativi mossi in questa direzione, segnaliamo due
interpretazioni, l’una economica, che riconosce nei sistemi di condivisione i tratti
di una disruptive technology capace di rivoluzionare i modelli d’affari delle
imprese e di imporsi in futuro come uno standard dell’economia digitale, l’altra,
socio-antropologica, che legge invece nel peer-to-peer la persistenza di un’hi-
tech gift economy strettamente legata alle origini non commerciali della rete, le
cui pratiche generative e collaborative si rivelano più efficienti del mercato ed
alternative ad esso.
10 Mentre con il termine di file sharing si fa riferimento alle pratiche di condivisione online, quello di peer-to-peer indica soprattutto la struttura organizzativa di queste piattaforme. Poiché il file sharing si basa su reti che permettono interazioni da pari a pari, i due concetti sono spesso usati come sinonimi. 11 P. BIDDLE, P. ENGLAND, M. PEINADO, B. WILLMAN. “The Darknet and the Future of Content Distribution”, November 2002; http://crypto.stanford.edu/DRM2002/darknet5.doc.
Introduzione
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Come si evidenzia al riguardo, l’identificazione del file sharing con un
processo di distruzione creatrice è un corollario della critica che gli economisti
vicini alla cyberlaw rivolgono ad un governo dell’innovazione sempre meno
incline ad affidare alla mano invisibile della concorrenza le sorti dell’industria, in
quanto orientato a soddisfare la domanda di controllo di una produzione di
audiovisivi che non intende modificare le proprie strategie di profitto. Si tratta
dunque di una visione che, malgrado l’indicazione della natura del peer-to-peer,
che si vuole economica, e il suggerimento che si tratti di un fenomeno più
complesso di quanto registrato dai teorici della old economy, rinuncia ad
indagare la sua logica sociale, non meno dell’interpretazione a cui si
contrappone che vede il file sharing come semplice distruzione di valore. Al
contrario, il dibattito sull’economia del dono ha il merito di contrastare il
riduzionismo interpretativo che affligge gli studi su questa pratica digitale,
portando la letteratura in argomento proprio sul piano dell’analisi sociale.
Oltre a presentarsi nei lavori sulla cultura convergente di Henry Jenkins, il
riferimento all’economia del dono è al centro di una serie di articoli di Richard
Barbrook e Markus Giesler, nei quali si evidenzia, da un lato, come le pratiche
di condivisione costituiscano la naturale conseguenza di relazioni sociali e
materiali connesse a un sistema di circolazione del sapere consapevolemente
basato sul superamento del copyright12 e, dall’altro, come lo scambio dei file
costituisca il collante sociale di comunità digitali aggregate intorno a questa
pratica13.
Ci chiediamo, dunque, anche alla luce delle critiche volte ad evidenziare le
differenze tra la condivisione online e i sistemi di reciprocità studiati dagli
antropologi, se questo schema interpretativo sia sostenibile ed eventualmente
sufficiente a spiegare il file sharing. L’ultimo capitolo affronta quindi soprattutto
le obiezioni mosse a questo approccio, le quali si concentrano sull’anonimità e
la volatilità degli scambi che non permettono la tessitura di legami di solidarietà
tra chi condivide i propri file e chi li copia, nonché sull’assenza nel file sharing
della componente agonistica del dono, basata sul prestigio e sul
riconoscimento, e di quella sacrificale, fondata sulla cessione di utilità sottratte
12 R. BARBROOK. “The Hi-Tech Gift Economy”, First Monday, October 1998; http://www.firstmonday.org/issues/issue3_12/barbrook/19991025index.html, 13 M. GIESLER. “Consumer Gift Systems”, Journal of Consumer Research, 33, September 2006; http://www.journals.uchicago.edu/doi/pdf/10.1086/506309.
Introduzione
14
al consumo e investite nella costruzione di alleanze e legami d’amicizia.
Abbiamo quindi analizzato la struttura dei sistemi peer-to-peer,
soffermandoci sull’organizzazione delle comunità di produzione di release – in
particolare, della comunità italiana di eMulelinks, su cui si è condotta una serie
di osservazioni - e sul legame tra questi collettivi e gli utenti delle reti globali di
condivisione, concludendo che le pratiche di file sharing non possono essere
comprese senza tener conto della loro articolazione, nella quale si evidenzia
come la capacità delle economie del dono di sfidare l’economia di scambio e di
riprodursi su internet si debba proprio alla sinergia tra dinamiche comunitarie,
precise condizioni tecnologiche e grandi sistemi anonimi.
15
16
II..
EECCCCEEZZIIOONNEE DDIIGGIITTAALLEE EE CCYYBBEERRLLAAWW
------------------------------------ Questa parte della tesi introduce i principali elementi di analisi del conflitto
sulla copia, dalle origini e dalla natura dello scontro tra i detentori di copyright e
le reti di file sharing fino ai progetti di legge americani ed europei che affiancano
i primi strumenti di controllo tecnologico alle misure normative. Nel momento in
cui internet si apre al commercio e al pubblico mondiale, il discorso americano
sulle tecnologie assume la fisionomia di un dibattito regolativo che parla la
lingua del diritto costituzionale e dell’informatica e in cui la cyberlaw mostra il
legame dei suoi principali autori con le battaglie per i diritti civili e la libertà di
parola.
17
18
1.
CCyybbeerrssppaaccee,, eecccceezziioonnee ee nnoorrmmaalliizzzzaazziioonnee
I. Eccezione digitale e cyberlaw
19
Questo capitolo prende in esame le condizioni «eccezionali» della nascita
di internet, avviando l’analisi delle pratiche di copia e distribuzione dei file – che
si conclude nella terza parte - ora al centro del principale conflitto digitale. In
proposito, si formula l’ipotesi che, in virtù delle sue origini, l’internet pre-
commerciale costituisca un campo autonomo, caratterizzato dalla
sperimentazione sociale delle possibilità dell’ambiente tecnologico e da un
corrispondente piano di legittimità che le convenzioni della ricerca e della
cultura hacker hanno esteso all’ambiente elettronico.
Lo scontro sulla circolazione delle copie, iniziato con i processi Napster e
Grokster, va dunque letto, in primo luogo, come un conflitto di legittimità, nel
quale l’orizzonte normativo del campo telematico entra in collisione con il
regime di verità dello spazio economico entro cui internet viene inglobata dopo il
1995. Nell’analisi di questo conflitto, ci si concentra particolarmente sulle
dinamiche di riproduzione della cultura digitale nelle mutate condizioni
dell’infrastruttura privatizzata, osservando come la potente inerzia della rete nei
confronti delle aggressioni regolative e commerciali, a lungo equivocata come
effetto delle proprietà sostantive dell’informazione (cap.2), vada messa in
relazione alla capacità delle tecnologie di riprodurre l’habitus delle prime
comunità informatiche incorporato nelle architetture.
Ciò spiega perché il sanzionamento della copia, al centro delle politiche di
regolazione di internet, si stia spostando sempre più decisamente dal contrasto
ai comportamenti illegali, alla rimozione delle condizioni tecnologiche entro cui
prendono forma tali comportamenti. Il tratto distintivo di queste politiche è,
infatti, l’abbandono della tradizionale via normativa al controllo delle azioni
individuali e la sua sostituzione con misure tecnologiche in grado di escludere a
priori le operazioni non conformi alle prescrizioni dei dispositivi legali. La
seconda parte del capitolo è perciò dedicata alle caratteristiche della nuova
governance dell’ambiente digitale, con particolare riferimento alla delega al
piano tecnologico degli imperativi comportamentali legati alla duplicazione e alla
distribuzione delle copie e ai progetti di reingegnerizzazione di internet.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
20
11..11 HHaabbiittuuss ddiiggiittaallee ee aauuttoonnoommiiaa ddeellllaa rreettee
11..11..11 LLee oorriiggiinnii ddii iinntteerrnneett Les machines sont sociale avant d’être techniques.
Ou plutôt, il y a une technologie humaine avant qu’il y ait une technologie matérielle.
G. Deleuze1
Tra le formulazioni più note dell’eccezionalità digitale, la definizione di
internet come «accidental [information] superhighway» coniata da Christopher
Anderson in un fortunato articolo del 19952, è stata spesso ripresa per la sua
efficacia iconica e per il legame stabilito dall’autore tra le circostanze peculiari
della nascita della rete e i suoi tratti durevoli di resistenza alla regolazione e alla
normalizzazione commerciale.
Nell’elenco di condizioni irripetibili che, secondo l’autore, giustificavano
l’esistenza di uno spazio telematico retto da logiche proprie, Anderson aveva
affiancato al particolare clima culturale che si accompagnava allo sviluppo delle
tecnologie di comunicazione, la sostanziale indifferenza delle grandi imprese
ICT per lo sviluppo dell’infrastruttura digitale. Questo aspetto, non
particolarmente frequentato negli studi sulle origini di internet, spicca, in effetti,
non soltanto dalle evidenze storiche relative agli anni di gestazione della rete,
ma forse ancora più nettamente dalla loro persistenza nel periodo
immediatamente successivo, nel quale la liberalizzazione delle attività
economiche nell’ambiente digitale era già in corso. Tra gli esempi più noti, si
ricorderà la sottovalutazione dell’importanza di internet da parte di Microsoft che
cominciò ad abbandonare la concezione di un sistema operativo pensato per
postazioni standing alone, solo dieci anni dopo l’inizio della liberalizzazione
delle attività economiche sull’ex infrastruttura accademica (1988), introducendo
in Windows 98 le prime funzionalità di rete3.
Riflettendo sul disinteresse della grande impresa e sugli altri elementi
indicati da Anderson nella genesi accidentale di internet, il giurista americano
1 G. DELEUZE. Foucault, Paris: Les Éditions de Minuit, 1986, p. 47. 2 C. ANDERSON. “Survey of the Internet: the accidental superhighway”, The Economist, july 1, 1995, http://www.temple.edu/lawschool/dpost/accidentalsuperhighway.htm. Parla di «rete accidentale» anche Rheingold: «[…] le componenti più importanti della rete, nacquero sulla base di tecnologie create per scopi completamente diversi. La rete è nata dall’immaginazione di poche persone guidate dall’ispirazione, non da un progetto commerciale». H. RHEINGOLD. The Virtual Community (1993), trad. cit., p. 79. 3 Per approfondimenti sulle caratteristiche di Windows 98 si rinvia a http://it.wikipedia.org/wiki/Windows_98.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
21
Paul David vi ha aggiunto il ruolo essenziale giocato nello sviluppo della rete dai
programmi pubblici americani di ricerca e sviluppo (R&D), non ancora
rigidamente istituzionalizzati e scarsamente condizionati da indicatori di
performance e protocolli di attività. Secondo David, le ragioni di fondo
dell’eccezionalità di internet sono, dunque, da cercare nella stabilità di queste
condizioni operative assicurate dalle agenzie federali alla ricerca per almeno
due decenni4.
Le argomentazioni dei due studiosi evidenziano, dunque, come il côté
istituzionale del peculiare complesso di fattori da cui sono emerse le tecnologie
di comunicazione, si sia distinto per la duplice causa negativa della non
interferenza e non direttività del mercato e del settore pubblico nello sviluppo di
internet. Sia le imprese che gli uffici federali della difesa coinvolti nei progetti di
sviluppo della rete, non furono infatti mai egemoni nella conduzione dei lavori.
Se ne trova conferma in Inventing The Internet, nel quale la storica Janet
Abbate osserva come la nomina di ex-ricercatori a posizioni direttive delle
équipe di sviluppatori, abbia impresso alle attività del Network Working Group5 -
e ancora prima a quelle del DARPA (il Dipartimento della difesa preposto allo
sviluppo di ARPANET) - i principi autoorganizzativi della pratica scientifica6.
Esaminando gli scritti di Lawrence Roberts, l’accademico del MIT che fu il primo
direttore del progetto ARPA, ci si accorge, inoltre, di come tale scelta operativa
fosse consapevole e finalizzata agli obiettivi dell’istituzione. Roberts, infatti,
vedeva la rete informatica come un mezzo per migliorare la cooperazione tra
tecnologici e aveva illustrato il programma scientifico del progetto ARPA
osservando come, in particolari campi disciplinari, creare le condizioni in cui
persone geograficamente distanti avrebbero potuto lavorare insieme, avrebbe
permesso di raggiungere una massa critica di talenti7. Nel NWG operavano,
infatti, diversi gruppi di ricercatori e studenti selezionati per competenza,
4 P. A. DAVID. “The Evolving Accidental Information Super-highway. An Evolutionary Perspective on the Internet’s Architecture”, Oxford Review of Economic Policy, Special Issue: ‘The Economics of the Internet, (Discussion Paper by the Stanford Institute For Economic Policy Research), 17, 2, Fall 2001, p. 3; http://siepr.stanford.edu/papers/pdf/01-04.pdf. 5 Il NTW nasce nel 1972 con lo scopo di sviluppare gli standard di internet, dopo la presentazione all’International Conference on Computer Communication del prototipo di ARPANET e delle prime esperienze di intelligenza artificiale (Washinghton DC, ottobre 1972). 6 J. E. ABBATE. Inventing the Internet, Cambridge: The MIT Press, 1999, pp. 73-74. 7 L. ROBERTS. Multiple Computer Networks and Intercomputer Communication. Proceedings of ACM Symposium on Operating System Principles, Gatlimburg: 1992, p. 2. (Tratto da P. HIMANEN. L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, trad. cit., p. 156).
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
22
appartenenti a programmi di lavoro differenti e distribuiti in istituzioni
universitarie e parauniversitarie distanti, per i quali lo sviluppo dei sistemi di
interconnessione rappresentava, al tempo stesso, l’oggetto di studio e uno
strumento di lavoro - all’epoca, infatti, prima ancora delle conoscenze
informatiche, era essenziale condividere soprattutto, i computer. Una costante
di queste reti di ricerca era, dunque, la diversità di provenienza, di formazione
scientifica e delle dotazioni tecnologiche a disposizione dei ricercatori8, il cui
elemento di coesione risiedeva nella comune etica professionale e nell’adesione
personale degli studiosi ai progetti di innovazione che interessavano i sistemi di
telecomunicazione.
Nel clima culturale degli anni ’60 e ’70, le comunità informatiche che si
occupavano di computazione remota (time-shared computers) e linguaggi di
programmazione, condividevano la convinzione di partecipare ad un’impresa
pionieristica che avrebbe liberato i processi informazionali dai limiti delle
architetture tecnologiche conosciute, governate da dispositivi di controllo
centralizzati9. Il 1 gennaio 1973 ARPANET passava quindi dal protocollo NCP al
TCP-IP, cioè da un modello chiuso regolato da un controllo centrale, ad un
modello aperto, progettualmente disponibile a nuove aggiunte, pensato per
sostenere l’innovazione e la diversità. Gli ingegneri mutuavano l’idea di un
autogoverno delle reti dalla cibernetica di Wiener e dalla teoria dell’informazione
di Von Neumann che permetteva loro di applicare le nozioni di informazione e di
retroazione ad una concezione antiautoritaria delle reti di comunicazione - che
solo successivamente, particolarmente negli ambienti vicini a Wired, avrebbe
assunto una connotazione spiccatamente anti-storica, incentrata sulle qualità
ontologiche dell’informazione e sulla loro presunta capacità di ostacolare
spontaneamente il controllo e la censura10.
In virtù di questo spirito collettivo, il contesto di ricerca sulle reti era
permeato da un alto grado di collaborazione, di informalità e di responsabilità
sociale che gli informatici trasmettevano ai principi di funzionamento delle
tecnologie e alle modalità di lavoro degli ambienti interconnessi nei quali
maturava il nuovo paradigma tecnologico. I primi luoghi di incontro virtuale
8 T. BERNERS-LEE. Weaving the Web. The Original Design and Ultimate Destiny of the World Wide Web by Its Inventor (1999), trad. it. L’architettura del nuovo Web, Milano: Feltrinelli, 2001. 9 L. A. NORBERG, J. E. O´NEILL. Transforming Computer Technology. Information Processing for the Pentagon, 1962-1986, Baltimore: The Johns Hopkins University Press. 1996. 10 Per una presentazione critica di questa concezione si rinvia al prossimo capitolo.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
23
erano rappresentati dai sistemi di conferenza via mailing list, dei quali il più noto
è USENET, un forum nato come luogo di scambio per utenti UNIX, poi evolutosi
in una multipiattaforma di newsgroup di studenti universitari, attivisti politici e
hacker11, nel quale l’habitus professionale dei tecnologi si intrecciava con la
cultura libertaria delle università. Si generava, in questo modo, la caratteristica
cultura epistemica degli sviluppatori della rete, di cui testimoniano gli artefatti
tecnici che diffusero «in modo semi-consapevole nella cultura materiale delle
nostre società lo spirito libertario [dei] movimenti degli anni Sessanta»12.
È noto come lo scopo che muoveva questi gruppi di scienziati informatici,
fosse la ricerca della piena interoperabilità delle applicazioni che veniva
promossa attraverso la standardizzazione di specificazioni di rete in grado di far
dialogare computer e sistemi operativi differenti e di assicurare la libertà degli
utenti di modificare l’hardware e il software per necessità e curiosità scientifica,
secondo lo spirito dell’hacking13. Guardando alla capacità di espansione della
rete, i tecnici modellavano così gli standard sulla capacità di dialogare con le
tecnologie a venire, facendo della compatibilità con ogni forma di eterogeneità
la chiave di volta del sistema14. Su queste basi si definì l’architettura aperta della
futura internet (TCP-IP) e del celebre principio end-to-end, in virtù del quale ogni
decisione rispetto all’uso e alla circolazione dei pacchetti di dati è assunta dai
nodi terminali, nei quali risiede l’intelligenza operativa assente nel cuore della
rete – da cui la definizione di stupid network15.
Questa strategia organizzativa, spesso attribuita dagli storici al disegno
militare della rete distribuita e della commutazione di pacchetto, era di fatto già
applicata nelle pratiche di ricerca negoziata degli standard (requests for
comments), alle quali era affidato il compito di assicurare la discussione e la
diffusione delle specificazioni tecniche dei protocolli di ARPANET tra i ricercatori
11 M. HAUBEN, R. HAUBEN, Netizens. On the History and Impact of Usenet and the Internet, Los Alamitos: IEEE Computer Society Press, 1997. 12 M. CASTELLS. The Rise of the Network Society, 1996, trad. it. La nascita della società in rete, Milano: Bocconi, 2002, p. 6. 13 P. HIMANEN. L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, trad. cit.. 14 L’appropriatezza della scelta è scandita nell’osservazione di Bateson che «tutti i sistemi innovativi e creativi sono divergenti, e viceversa, le sequenze di eventi che sono prevedibili sono, ipso facto, convergenti». G. BATESON. Mind and Nature: A necessary Unity (1980), trad. it. Mente e natura, Milano: Adelphi, 1984, p. 174. 15 D. ISENBERG. “Rise of the Stupid Network”, Computer Telephony, August 1997; http://www.rageboy.com/stupidnet.html.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
24
disseminati nella rete16. D’altra parte, come ha osservato Castells,
ARPANET non è stata una tecnologia realmente militare, anche se le sue componenti chiave […] sono state sviluppate da Paul Baran alla Rand Corporation per costruire un sistema di comunicazione che fosse in grado di sopravvivere alla guerra nucleare. [Infatti] la proposta non venne mai approvata e gli scienziati del Dipartimento della Difesa che stavano progettando ARPANET seppero del lavoro di Baran solo dopo aver già messo a punto la rete17.
La prassi delle RFCs, avviata nel 1968 con il coordinamento di Steve
Crocker dell’Università della California (UCLA), portò a termine in un anno la
stesura dei principi di comunicazione di ARPANET, secondo le caratteristiche
modalità organizzative riassunte da David nel modo seguente:
Proposals that seemed interesting were likely to be taken up and tested by someone, and implementations that were found useful soon were copied to similar systems on the network. Everyone who had access to the ARPANET could participate in this process, for although the networks specifications were regarded as military standards (“milspec”), they were not “classified” and therefore remained open and available free of charge. Eventually, as the File Transfer Protocol (FTP) came into use, the RFCs were prepared as on-line files that could by accessed via FTP […]18.
Dopo lo sviluppo del protocollo di rete (NCP) la comunità ARPANET
continuò a crescere grazie all’elaborazione di strumenti di comunicazione e di
applicazioni per l’ambiente digitale come il sistema di posta elettronica
REDMAIL, sviluppato da Ray Tomlinson nel 1972 da una delle facility della
comunicazione telematica, e chiave di volta del passaggio di internet da sistema
di trasmissione di dati a medium di comunicazione. Insieme all’e-mail e alle altre
applicazioni internet entrate nel quotidiano degli utenti, come il web e il peer-to-
peer19, la pubblicazione in formato aperto, la sperimentazione in rete delle
soluzioni, la copia e la diffusione delle proposte ritenute migliori, rappresentano
gli aspetti emergenti di un modo di lavorare che si è replicato anche in seguito,
nelle mutate condizioni dell’internet post 1995.
La pubblicazione dei contributi in un contesto di mutuo riconoscimento e di
16 J. E. ABBATE. Inventing the Internet, op. cit., pp. 73-74. 17 M. CASTELLS. Epilogo. L’informazionalismo e la network society, in P. HIMANEN. L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, trad. cit., pp. 129-130. 18 P. A. DAVID. “The Evolving Accidental Information Super-highway. An Evolutionary Perspective on the Internet’s Architecture”, cit., p. 11. 19 Si veda il grafico CacheLogic riprodotto a p. 191.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
25
valorizzazione della competenza continuano, infatti, a convertirsi ancora oggi
nel capitale sociale e simbolico della reputazione e dell’attenzione del pubblico,
o si cumulano in un’attività anonima che trova senso nell’accrescimento di un
patrimonio pubblico di conoscenze e utilità in stretta continuità con la
consapevolezza dei primi costumi comunitari. Allo stesso modo, la pratica della
copia, che tradisce la fissazione tecnologica delle origini open source degli
artefatti informatici, ha conosciuto un’espansione formidabile con le nuove
dimensioni di massa di internet.
11..11..22 LLaa ccooppiiaa Someone knows what I want to know. Someone has the information I want.
If I can find her, I can learn it from her. She will share it with me..
J. Litman20
In questo caso, è evidente come le circostanze in cui le tecnologie
informatiche furono sviluppate, nei laboratori del Darpa e nei garage più
frequentemente che nelle imprese commerciali, si siano depositate negli
artefatti tecnici, cristallizzandovi l’indifferenza dei ruoli di produttore e
consumatore che erano incarnati alternativamente dagli ingegneri nella rete. La
distinzione tra produzione e consumo tendeva, inoltre, a perdere significato in
un ambiente che rendeva palpabile la dinamica cumulativa della costruzione del
sapere ed evidente la natura derivata di ogni contributo, facendo risaltare
l’arbitrarietà della scissione formale di elementi isolati in fenomeni di natura
processuale. In questo modo, la configurazione sociale della prima internet si è
legata stabilmente alle proprietà ricombinanti dell’informazione, esplorate
costantemente attraverso la sperimentazione sociale e tecnologica della copia.
Un duplicato digitale, infatti, non è solo fisicamente identico all’originale, ma
può arricchirsi di nuova informazione, piuttosto che disperderla, grazie
all’elaborazione ricorsiva degli utenti. Tale aspetto, spesso lasciato in secondo
piano da interpreti interessati prevalentemente alla novità tecnica della qualità
della copia, più che alle peculiarità degli usi digitali21 è, invece, almeno
altrettanto importante del precedente nell’analisi delle pratiche di rete. Solo
20 J. LITMAN. “Sharing and Stealing”, Hastings Communications and Entertainment Law Journal, 27, 2004, p. 5; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract _id=472141. 21 P. SAMUELSON, R. M. DAVID. “The Digital Dilemma: A Perspective on Intellectual Property in the Information Age“,28th Annual Telecommunications Policy Research Conference, 2000, (pp. 1-31), pp. 4-5; http://www.ischool.berkeley.edu/~pam/papers/digdilsyn.pdf.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
26
considerando unitamente questi due aspetti è, infatti, possibile comprendere la
logica di base di internet, nella quale lo sfruttamento della capacità
dell’informazione di memorizzare più strati di integrazioni e contributi si è
rivelato come il nucleo comune di tutte le attività telematiche di prima e seconda
generazione, dallo sviluppo dei primi protocolli, al social networking, al file
sharing22.
Ad un livello profondo, la stabilizzazione di questa modalità d’uso
dell’informazione è da porre in relazione con la frattura culturale che, in
corrispondenza dell’avvento di internet, porta a maturazione il passaggio dalla
concezione artistica della riproduzione a quella distributiva del codice. Tra le
molte riflessioni dedicate a questo aspetto, spicca un breve saggio di Douglas
Thomas con il quale l’autore ha fatto notare come, perdendo il riferimento
all’originale che ha caratterizzato l’idea dell’arte dal Sofista platonico a Walter
Benjamin, la copia digitale «removes the relevance of difference in the
determination of the jugement», sostituendole un riferimento, necessariamente
estrinseco, all’autorità, ovvero alla legittimità di estrarre copie23. Ne segue che
nella fase digitale dell’era della riproducibilità tecnica il giudizio sull’opera si
sposti dall’oggetto riprodotto all’attività di riprodurlo e al diritto di farlo:
That activity is defined as the movement of information (bits) from one place to another, whether it is from a disk to the computer’s memory or from one computer to another. In short, reproduction, as a function of movement, has become synonymous with distribution. As a result, piracy and ownership in the digital age, from software to emerging forms of new media, are more about the right to distribute than the right to reproduce information24.
Nel momento in cui il problema della copia diviene tutt’uno con quello della
sua circolazione e il riferimento alla matrice originale diviene insignificante o
addirittura fuorviante, a causa del riconoscimento della natura multipla della
fonte, un’etica inedita sorge a suggellare il trapasso del vecchio regime di
visibilità della creazione, nel cui dominio «issues of content distribution have a
22 Per social networking si intende il complesso di attività collaborative e di produzione di contenuti divenuto un fenomeno diffuso su internet dopo il 2000. Il file sharing è invece la condivisione da parte degli utenti dei file contenuti nei loro dischi fissi, tramite specifici software. Il termine ha numerosi sinonimi, connotati semanticamente, quali quello di “pirateria” che ne enfatizza le caratteristiche di sottrazione e furto, e download” e “downloader” che sottolinea l’appropriazione dei file da parte degli utenti, senza indicare l’attività di condivisione. 23 D. THOMAS. “Innovation, Piracy and the Ethos of New Media”, in D. HARRIS (ed.). The New Media Book, London: British Film Institute, 2002, p. 85. 24 Ibidem.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
27
radically different history»25. In questo ambito, insiste Thomas, ciò che rileva
maggiormente della nascita delle piattaforme di condivisione da Napster in poi,
è la diffusione dell’ethos delle comunità hacker nella platea molto più vasta degli
appassionati di musica, nella quale «if something can be shared […] it should
be shared»26.
Mettendo l’accento sulla rivoluzione simbolica che si accompagna ai nuovi
usi tecnologici, l’autore conclude che occorre leggere il conflitto in corso sulla
condivisione delle copie come una battaglia culturale che oppone la logica del
codice adottata dagli utenti alla logica dell’industria che sta ancora combattendo
una battaglia nella prospettiva dell’arte27. In questo modo, il discorso dominante
si scontra con una diversa poetica: l’«ordine stabilito» dell’industria, per dirla
con de Certeau, «viene qui giocato da un’arte», cioè da «un style d’échanges
sociaux, un style d’inventions techniques, un style de résistance morale – c’est-
à-dire une économie du don [….] une esthétique des coups […] et une éthique
de la ténacité»28 - che trasgredisce l’autorità dei produttori, opponendole le
tattiche di aggiramento della circolazione informale della copia.
Risalendo al livello di superficie di questo conflitto per l’ordine legittimo del
cyberspazio, si può notare come questo scontro sia alimentato da aspetti più
facilmente percepibili e in contrasto con il senso comune digitale. Infatti, la
pratica della copia, divenuta controversa dopo l’e-commerce, si giustifica in
internet non solo in virtù della natura non rivale dell’informazione, che consente
di utilizzarla senza distruggerla e di farne, dunque, un uso condiviso e non
esclusivo29, ma anche dell’origine pubblica e aperta della maggior parte delle
soluzioni tecnologiche e dei beni informazionali in uso. La genesi open source
del cyberspazio è apprezzabile ovunque: non soltanto l’infrastruttura di rete ha
avuto origini non commerciali, ma anche i principali sistemi operativi, browser,
software applicativi e molti giochi per consolle o per pc, sono stati creazioni free
25 Ivi, p. 86. 26 Ivi, p. 90. 27 Ivi, p. 87. 28 M. DE CERTEAU. L’invention du quotidien. I Arts de faire, Paris: Union Générale d’Editions, 1980, p. 71. 29 Y. BENKLER. “An Unhurried View of Private Ordering in Information Transactions”, Vanderbilt Law Review, 53, 2000, p. 2065, http://www.benkler.org/UnhurriedView.pdf: («[…] information is a true public good. It is non rival, as well as nonexcludable. A perfect private market will be inefficiently produce a good – like information – that is truly a public good in economic sense»), e “Coase’s Penguin, or Linux and the nature of the firm”, Yale Law Journal, June 4, 2002, http://www.benkler.org/CoasesPenguin.pdf.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
28
software, prima di essere appropriate o sviluppate da etichette commerciali. È il
caso della distribuzione di Microsoft del Basic che era sempre circolato
gratuitamente tra gli appassionati dell’Homebrew Computer Club30, di Space
War (il primo videogioco per pc creato nel 1962 da S. Russell, un hacker del
MIT) o delle origini MUD’s (Multi User Domains) dei videogiochi MMOG’s
(Massive-Multiplayers Online Games)31. In un ambiente che ha tra i propri miti
fondativi la metafora jeffersoniana del fuoco inappropriabile della conoscenza, la
prosaica realtà del commercio elettronico non potrebbe, perciò, cozzare in
modo più forte32.
Ciò ci porta, per concludere l’analisi dei fattori organizzativi di internet
elencati da David, all’ultimo aspetto indicato dal giurista, relativo al nesso tra
gratuità, diffusione delle soluzioni e innovazione. Anche in questo caso si può
osservare come la sperimentazione del legame tra gratuità e disseminazione
delle innovazioni all’epoca di ARPANET, mostri come la particolare circostanza
che impose ai pezzi di codice lo statuto di “standard militari non classificati”, sia
stata un ulteriore effetto di campo della trascurabile presenza del commercio
nello sviluppo di internet, oltre che una politica esplicita di promozione della
tecnologia perseguita dal sistema pubblico. Trasferito nell’internet post-1995,
questo aspetto, variamente interpretato dagli economisti, ma di cui è evidente la
disfunzionalità per l’attuale configurazione del copyright33, rappresenta, insieme
alle caratteristiche osservate in precedenza, una sedimentazione tecnologica e
una costante culturale dell’eredità sociale delle prime comunità di internet.
Questa fase generativa, catturata nel design, si chiuse, com’è noto, con
l’apertura al commercio iniziata alla fine degli anni ’80 con il declino degli
30 Descrivendo le attività dell’Hombrew Computer Club, nato nel 1975 tra un gruppo di hacker al fine di condividere informazioni e strategie e pezzi di hardware per la costruzione del primo personal computer, E. Guarnieri ha sottolineato il ruolo dell’organizzazione delle riunioni che prevedevano una fase di mapping, in cui ogni membro descriveva il progetto che stava seguendo, ed una di accesso casuale nella quale chiunque poteva porre domande o proporre soluzioni per i problemi aperti dei progetti. Durante il mapping si veniva a conoscenza di segreti industriali e l’informazione veniva condivisa. Questa la ragione per cui la decisione di Gates di sviluppare il sistema operativo per l’Altair in versione proprietaria fece scandalo. E. GUARNIERI. Senza chiedere permesso 2 – la vendetta, in AA.VV. La carne e il metallo, Milano: Editrice Il Castoro, 1999, p. 60. Tratto da A. DI CORINTO, T. TOZZI, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, op. cit., p. 194). 31 S. COLEMAN, N. DYER-WHITEFORD. “Playing on the digital commons: collectivities, capital and contestation in videogame culture”, Media, Culture, Society, 29, 2007, p. 943; http://mcs.sagepub.com/cgi/content/abstract/29/6/934. 32 T. JEFFERSON. “To Isaac McPherson”, 13 agosto 1813; http://www.red-bean.com/kfogel/jefferson-macpherson-letter.html. 33 Si veda su questo aspetto il paragrafo 5.3 File sharing e rinnovamento del mercato: la distruzione creatrice e l’economia dell’informazione.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
29
investimenti statali e la successiva privatizzazione del backbone universitario
della National Science Foundation34. La dismissione della partecipazione
pubblica fu completata tra l’aprile 1995 e l’agosto del 1996, con la migrazione di
tutte le reti regionali verso le infrastrutture dei provider commerciali, che era
iniziata alla fine del 1988 con l’attenuazione della proscrizione degli usi
commerciali e di tutti gli usi non accademici della rete35.
11..11..33 LLaa rriipprroodduuzziioonnee ddeellll’’hhaabbiittuuss ddiiggiittaallee
Ciò che è significativo, è che dopo la privatizzazione e il radicale
cambiamento della base sociale dell’infrastruttura telematica, le pratiche comuni
alle prime comunità informatiche hanno continuato a dominare gli stili di
comunicazione della rete, evolvendo in modo diverso da quanto previsto
dall’interpretazione più accreditata fino al crack delle dot com che li vedeva
rapidamente riassorbiti nelle forme convenzionali di consumo culturale, secondo
il modello broadcast dei media commerciali. Su questa visione, smentita della
storia successiva di internet, è intervenuto polemicamente Geert Lovink:
Gli artisti, gli accademici e altri intellettuali che si sono sentiti minacciati dal potere di questo medium nascente hanno cercato di dimostrare che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Vogliono far credere al loro pubblico che il destino di internet sarà lo stesso della radio e della televisione: essere addomesticata dai legislatori nazionali e dal mercato36.
Diversamente dalle attese, i modelli di comportamento di ARPANET si sono
replicati, in forma più o meno stilizzata, nel cosiddetto Web 2.0 e nelle pratiche
di social networking, ibridandosi con la cultura mediale di una platea divenuta
globale, ma mantenendo quella morfologia «networked in technology, peer-to-
peer in organization and collaborative in principle» che ne segnala la
discendenza diretta dalle prime pratiche tecno-sociali37. Sembra dunque che le
prassi che David descrive come un esercizio consapevole dell’ethos
34 A sua volta, il Dipartimento della Difesa aveva trasferito il backbone del DARPA al NSF nel 1988. 35 J. P. KESAN, R. C. SHAH. “Fool Use Once, Shame on You – Fool Us Twice, Shame on Us: What we Can Learn from the Privatization of the Internet Backbone Network and the Domain Name System”, Washington University Law Quarterly, 79, 2001; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=260834. 36 G. LOVINK. Internet non è il paradiso, trad. cit., p. 8. 37 W. URICCHIO. “Cultural Citizenship in the Age of P2P Network”, in I. BONDEBJERG, P. GOLDING (eds). European Culture and the Media, Bristol: Intellect, 2004, (pp.139-163).
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
30
tecnologico e un insieme di comportamenti coerenti con i suoi presupposti
cognitivi e valutativi, ritornino nella svolta partecipativa della cultura popolare
contemporanea38 come un effetto dell’habitus incorporato nelle architetture che
tende a replicare l’ordine sociale delle prime comunità di tecnologi.
Si può osservare, in proposito, come la capacità di riprodurre effetti sia, in
certa misura, implicita nella definizione stessa di tecnologia, intesa come «un
uso della conoscenza scientifica volta a conseguire un certo risultato
(performance) in una forma riproducibile»39. Nei termini della teoria sociale,
però, e, particolarmente, quando riferita a tecnologie ed ambienti tecnologici di
comunicazione, l’attitudine a riprodurre prassi e schemi di comportamento, si
specifica nella capacità degli artefatti tecnici di fissare particolari significati e
modi di fare le cose che rinviano al ruolo degli oggetti nella vita quotidiana e alla
loro mediazione nelle relazioni umane. Come tali, ha osservato Jonathan
Sterne, gli oggetti tecnici «should be considered not as exceptional or special
phenomena […], but rather as very much like other kinds of social practices that
recur over time»40.
Per il sociologo americano, la tendenza delle tecnologie a incorporare
significati culturali e relazioni sociali non differisce, infatti, dalla dinamica
dell’habitus nella quale Bourdieu ha visto il meccanismo di interiorizzazione
della posizione degli agenti nel campo sociale, e Mauss ed Elias il centro di
aggregazione delle disposizioni sviluppate dai soggetti in relazione alla loro
esperienza del mondo41. Considerare le tecnologie come sottoinsiemi di
habitus42, come Sterne propone, permette quindi di comprendere quella
«double relation obscure» tra i «systèmes de relations objectives qui sont le
produit de l’institution du social dans les choses»43 e i «systèmes durables et
transposables de schèmes de perception, d’appreciacion et d’action»44 che
giustifica la persistenza delle logiche di campo nelle pratiche umane e la loro
capacità di riprodursi negli ambienti tecnologici. Teoreticamente non
38 H. JENKINS, Convergence culture. Where Old and New Media Collide (2006), trad. it. Cultura convergente, Roma: Apogeo, 2007. 39 M. CASTELLS. Epilogo. L’informazionalismo e la network society, in P. HIMANEN. L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, trad. cit., p. 117. 40 J. STERNE. “Bourdieu, Technique and Technology”, Cultural Studies, 17, 3-4, 2003, p. 367; http://www.tandf.co.uk/journals. 41 Ivi, p. 370. 42 Ibidem. 43 P. BOURDIEU. Réponses: pour une anthropologie réflexive, op. cit., p. 102. 44 Ibidem.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
31
eccezionali, gli artefatti tecnici possono perciò essere visti come modalità
specifiche d’azione in cui si organizzano le pratiche sociali, cioè come eredità
strutturate e strutturanti del campo che le istituisce e che tendono a replicare.
L’esplorazione della logica della pratica nei contesti tecnologici fornisce,
secondo Sterne, altre indicazioni preziose sulle modalità con cui le tecnologie
definiscono il loro ruolo sociale nei contesti che le adottano. Come osserva il
sociologo, il modo in cui Bourdieu aveva affrontato il tema della diffusione della
fotografia tra le fasce di consumo popolare, mostrando come essa non
soddisfacesse un bisogno per sé, ma fosse legata alla bassa soglia di abilità
necessaria e all’accessibilità economica della macchina fotografica, ci permette
di comprendere che
technology is not simply a ‘thing’ that ‘fills’ a predetermined social purpose. Technologies are socially shaped along with their meanings, functions, and domains and use. Thus, they cannot come into existence simply to fill a pre-existing role, since the role itself is co-created with the technology by its makers and users45.
Mettendo in luce le difficoltà che il determinismo tecnologico e le concezioni
funzionaliste trovano nello spiegare lo sviluppo della tecnica, la lettura
bourdieuiana della fotografia fornisce quindi gli strumenti concettuali atti a
chiarire come i significati che si depositano negli artefatti non siano soltanto
conseguenze di scelte o di configurazioni immaginate dai progettisti per
rispondere a particolari fini, ma anche il risultato dell’affinamento pratico delle
potenzialità contenute nel design e della selezione di specifiche utilità che si
produce negli usi quotidiani e nelle sperimentazioni dei loro utilizzatori. Queste
conclusioni, a cui Bourdieu era pervenuto confutando il finalismo dei teorici della
scelta razionale, si trovano in armonia con i contributi migliori del costruttivismo
americano, dove si è evidenziato come, al pari di altre istituzioni, gli artefatti
tecnici abbiano successo dove trovano il sostegno dell’ambiente sociale46. In
questo modo, se gli interessi e la visione del mondo dei progettisti si esprimono
nelle tecnologie che contribuiscono a concepire, è l’adattamento di un prodotto
a una domanda socialmente riconosciuta che si verifica negli usi, ad avviare il
45 J. STERNE. “Bourdieu, Technique and Technology", cit., p. 373. 46 T. PINCH, W. BIJKER. “The Social Construction of Facts and Artefacts”, in W. BIJKER, T. HUGHES, T. PINCH (eds.), The Social Construction of of Tecnological Systems, Cambridge: Mit Press, 1987.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
32
processo di chiusura degli artefatti e a fissarne la definizione47.
Nella genesi delle tecnologie digitali, questa dinamica presenta un
andamento ricorsivo in virtù della coincidenza storica e funzionale della figura
dell’ingegnere con quella dell’utente48. Come si è visto, infatti, la comunità
relativamente circoscritta degli ideatori di internet esperiva già al suo interno la
coincidenza di una precisa visione progettuale con i bisogni di comunicazione
funzionali allo sviluppo delle applicazioni mentre, a rinforzo dell’architettura
centrata sugli usi che i tecnologi stavano sviluppando, la domanda sociale di
accessibilità dei codici e dei contenuti proveniente dalla ricerca tecnologica e
dall’università, fissava definitivamente il profilo open source della rete. Vale la
pena osservare, in proposito, come questa logica tecno-sociale non si sarebbe
probabilmente consolidata senza l’impulso della concezione spiccatamente
politica delle tecnologie che ha dominato il discorso digitale fino agli inizi degli
anni ’80, e che avrebbe spinto lo sviluppo dell’ambiente digitale verso la
semplificazione degli artefatti e la loro diffusione tra il pubblico non esperto49. È
in questa articolazione sociale dell’evoluzione tecnologica che si situa, dunque,
a nostro avviso, il nucleo originario della logica divergente di internet, descritto
da Benkler come un «radically distributed, nonmarket mechanisms that do not
depend on proprietary strategies»50.
Ciò permette di rispondere alle questioni aperte in premessa, ovvero perché
e con quali esiti le architetture e l’habitus digitale sviluppatisi nel campo
telematico si presentino come il trait d’union tra la cultura tecnologica degli anni
‘60 e ’70 e la postura contemporanea degli utenti e, in secondo luogo, in che
modo e a quali condizioni questo binomio dia conto dell’autonomia delle
pratiche digitali in rapporto alla normatività del sistema economico. Dopo la
privatizzazione, internet si presenta, infatti, come un accidente storico in uno
spazio brulicante di affari e transazioni che si lega ad un modo specifico di
organizzare l’azione sociale intorno all’informazione e che, alla luce della
47 A. FEENBERG. Questioning Technology (1999), trad. it. Tecnologia in discussione, Milano: Etas, 2002, p. 13. 48 Nei termini di Alain Feenberg si tratterebbe di una «progettazione tecnica riflessiva», anche se con questo termine, il filosofo si è riferito alla progettazione sensibile agli usi, più che alla coincidenza funzionale delle figure di progettista e utente. 49 L’argomento è approfondito nel prossimo capitolo al paragrafo 2.1 Dal catechismo digitale alla cyberlaw. 50 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., p. 3.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
33
struttura acquisita dopo il 1995, appare come l’elaborazione conflittuale operata
da un polo autonomo delle condizioni di eteronomia dello spazio digitale. In
questo modo, ciò che in ARPANET emergeva come la differenziazione di un
campo contraddistinto da un modo specifico di trattare l’informazione e di
aggregare rapporti sociali intorno ad esso, si esprime nell’internet commerciale,
sia come una resistenza adattiva delle tecnologie alle nuove condizioni
ambientali, sia come una riaffermazione della domanda sociale di accesso
all’informazione tenuta aperta dalle prime architetture.
Ciò spiega perché il sanzionamento della copia, al centro delle politiche di
regolazione di internet, dal Digital Millennium Copyright Act (DMCA), alle
direttive europee sulla proprietà intellettuale, ai recenti disegni di legge francese
e italiano contro la pirateria51, si stia spostando sempre più decisamente dal
contrasto ai comportamenti illegali, alla rimozione delle condizioni abilitanti di tali
comportamenti. Il tratto distintivo delle attuali politiche su internet è, infatti,
l’abbandono della tradizionale via normativa al controllo delle azioni individuali e
la sua sostituzione con misure tecnologiche in grado di escludere a priori le
operazioni non conformi ai dettati dei dispositivi legali.
Prima di occuparci del ruolo della teoria giuridica nella costruzione di questa
nuova governance, esaminiamo allora l’attualità dei conflitti legali ed economici
di internet e delle misure allo studio che affidano la loro efficacia ad un disegno
di reingegnerizzazione dei protocolli di comunicazione, capace di sostenere un
progetto di riforma dei rapporti sociali cristallizzati nelle tecnologie, la cui
ristrutturazione si mostra sempre più decisamente come la condizione
essenziale della rimozione dell’anomalia digitale.
11..22 LLaa ssvvoollttaa tteeccnnoollooggiiccaa:: vveerrssoo uunnaa nnuuoovvaa ggoovveerrnnaannccee
Con la banda larga e lo sviluppo di nuovi servizi audio e video (trasmissioni
televisive in real time, giochi online, VOIP) pensati per questo tipo di
connettività, la problematica del copyright è entrata nella sua fase più critica.
L’aumentata disponibilità di banda e il perfezionamento delle tecnologie di
compressione ha fornito, infatti, le condizioni di sviluppo sia della distribuzione
51 Questi provvedimenti normativi sono discussi più estesamente nel capitolo 4. Dal governo dei conflitti alla governance delle procedure.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
34
commerciale che di quella informale degli audiovisivi. Con la comparsa del file
sharing, le vecchie problematiche legate alla duplicazione fisica dei beni digitali
(i CD) che avevano dominato la produzione di norme fino al Digital Millennium
Act (DMCA, 1999) e alle leggi affini dei paesi del WTO, sono state
enormemente amplificate dalle nuove possibilità di distribuzione di copie
smaterializzate nei formati audio Mp3 (Mpeg – 1 Audio Layer 3) e, più tardi, nei
diversi formati di compressione video. Allo stesso tempo, sul fronte
commerciale, la diffusione via internet di eventi televisivi in real time ha esposto
anche il circuito televisivo, dopo quello musicale e cinematografico, all’insidia
dell’elusione delle protezioni e della circolazione gratuita dei contenuti
proprietari.
A partire da questo momento che cade, peraltro, tra la crisi della new
economy e l’adozione del Patriot Act negli Stati Uniti dopo l’attentato alle Twin
Towers, la governance dello spazio digitale si distinguerà per l’integrazione
crescente degli obiettivi di sicurezza con quelli di protezione commerciale e per
la scelta di perseguirli attraverso misure tecnologiche di controllo
dell’informazione52. Questo nuovo corso regolativo è stato, puntualmente,
registrato dagli studi su internet che hanno esteso il dibattito sul copyright e
sulla governance della rete al tema della sorveglianza, e recepito la crescente
attenzione internazionale verso le politiche americane delle telecomunicazioni53.
In virtù dell’aumentata interdipendenza tra le problematiche economiche e le
questioni di sicurezza, gli studi giuridici più recenti sul controllo dell’informazione
tendono, infatti, a spostarsi dalle politiche dei regimi autoritari sull’accesso ad
internet, alle politiche commerciali e a quelle dei governi occidentali contro
terrorismo, pornografia illegale e censura, facendo risaltare l’allarme dei
commentatori per i segnali di ibridazione delle politiche dell’informazione dei
paesi liberali con quelle adottate in contesti di severo controllo delle
telecomunicazioni54:
52 Come si vedrà nella seconda parte, queste misure sono state precedute da un intenso dibattito tecnologico iniziato nei primi anni ’90. 53 Entrambi gli aspetti sono presenti anche nell’agenda dei lavori dell’ultimo Forum ONU sull’internet governance (Hyderabad, 3-6 dicembre 2008). Http://www.intgovforum.org/cms/. Interessante, in proposito, è anche il messaggio del Consiglio d’Europa al meeting, accessibile all’indirizzo http://www.coe.int/t/dc/files/events/internet/default_EN.asp. 54 L. B. SOLUM, M. CHUNG. "The Layers Principle: Internet Architecture and the Law", University San Diego Public Law Research, 55, 2003, (pp. 1-114), http://ssrn.com/abstract=416263 (si vedano particolarmente le pp. 54-89) ; J. G. PALFREY. “Reluctant Gatekeepers: Corporate Ethics
I. Eccezione digitale e cyberlaw
35
Internet regulation takes many forms—not just technical, not just legal—and that regulation takes place not just in developing economies but in some of the world’s most prosperous regimes as well. Vagueness as to what content is banned exists not just in China, Vietnam, and Iran, but also in France and Germany, where the requirement to limit Internet access to certain materials includes a ban on ‘‘propaganda against the democratic constitutional order55.
Come mostrano queste ricerche, il controllo della comunicazione relativa ai
materiali e strumenti usati dai pirati digitali, è un sottoinsieme del regime di
sorveglianza delle reti segrete, nome collettivo per organizzazioni dai fini più
diversi dall’attivismo politico nei paesi autoritari al P2P e ai narcos56. Quanto
all’attivismo normativo degli Stati Uniti in materia di telecomunicazioni57, negli
ultimi tempi l’attenzione internazionale si è concentrata soprattutto su progetti di
riforma che hanno affrontato anche nodi strutturali, impegnando il governo
federale in un’ipotesi di modifica dei protocolli di comunicazione di internet.
11..22..11 LLee mmiissuurree tteeccnnoo--ggiiuurriiddiicchhee ddii ccoonnttrroolllloo
Di fatto, mentre l’immagine di un universo cibernetico senza limiti e senza
controllo continua ad essere rilanciata dal mainstream media e dalla letteratura
non specializzata, la struttura di internet evolve verso una morfologia sempre
più regolabile grazie alle innovazioni normative e tecnologiche che hanno
accompagnato la sua pur breve storia di medium globale. L’introduzione dei
on a Filtered Internet”, Global Information Technology Report, World Economic Forum, 2006-2007 (pp. 69-78); http://ssrn.com/abstract=978507; G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, XXIII Congresso nazionale della Società Italiana di filosofia giuridica e politica, Macerata, 2-5 ottobre 2002; http://www.osservatoriotecnologico.it/internet/diritto_rete_globale/introduzione.htm#alto. Sartori ha osservato in proposito che «big brother» e «big browsers» potrebbero trovare affinità nell’uso degli stessi mezzi. Tra le fonti giornalistiche, il Sunday Times del 4 gennaio 2009 ha riferito di perquisizioni virtuali negli hard disk dei cittadini sospetti in corso da anni nel Regno Unito. D. LEPPARD. “Police set to step up hacking of home PCs”, Sunday Times, January 4, 2009. 55 J. ZITTRAIN, J. PALFREY. “Internet Filtering: The Politics and Mechanisms of Control”, in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKY, J. ZITTRAIN (eds). Access Denied. The Practice and Policy of Global Internet Filtering, op. cit., p. 33. 56 R. DEIBERT, R. ROHOZINSKY. “Good for Liberty, Bad for Security? Global Civil Society and the Securitization of the Internet”, in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKY, J. ZITTRAIN (eds). Access Denied. The Practice and Policy of Global Internet Filtering, op. cit., pp. 135; 143. 57 «Hundreds of bills have been introduced in recent sessions of the U.S. Congress and at the state level addressing privacy, spam, cybersecurity, the alleged ‘‘digital divide,’’ Internet taxation, business method patents, various digital copyright issues, children’s privacy, a safe children’s domain, domain names, broadband subsidies, mandatory telephone and cable network access, and online gambling, just to name some of the more prominent policy battles». C. W. CREWS JR., A. THIERER. Introduction a C. W. CREWS JR., A. THIERER (eds). Who Rules the Net?, Washington DC : Cato Institute, 2003, (pp. 500), p. XVIII.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
36
dispositivi tecnologici nelle merci digitali (Digital Right Management - DRM)58 è,
forse, il più visibile di tali cambiamenti59, ma trasformazioni non meno
significative si verificano al livello logico, dove applicativi sempre più potenti
sgretolano l’universalità degli standard dando vita a walled garden, spazi
internet cinti da confini virtuali, in cui si vivono esperienze omologate e separate
dal resto della rete60, mentre revisioni ancora più radicali dei protocolli di
comunicazione e degli standard di trasmissione dei dati sono oggetto di
discussione presso i livelli decisionali delle istituzioni americane, authorities di
fatto delle telecomunicazioni globali61.
La svolta tecnologica del copyright, con l’introduzione dei sistemi di DRM a
protezione della proprietà intellettuale, affonda le sue radici negli studi
preparatori del TRIPS agreement, l’accordo internazionale del 1994 che ha
previsto questa tipologia di tutela e avviato l’integrazione delle legislazioni dei
paesi aderenti alla World Trade Organization – una trasformazione, peraltro
ancora in corso, sia sul piano normativo e su quello dell’implementazione dei
dispositivi tecnologici nei sistemi digitali, che nell’elaborazione delle politiche di
governance di internet.
Nello spazio europeo, l’ultima tappa dell’evoluzione normativa è segnata
dalla seconda direttiva sulla protezione della proprietà intellettuale (IPRED2),
approvata nell’aprile 2007. Questa rappresenta un ulteriore progresso verso
l’unificazione della penalità per le violazioni del diritto d’autore e dei brevetti,
dopo la più nota e discussa European Union Copyright Directive (EUCD) del
2001 che aveva recepito il nuovo orientamento tecnologico in materia di tutele.
La IPRED2 allinea, quindi, la normativa europea agli sviluppi della regolazione
globale di internet, prevedendo, tra le novità più controverse, la creazione di
«team comuni di indagine» organizzati a livello transnazionale, nei quali i titolari
dei diritti potranno affiancare la polizia nelle indagini giudiziarie. Strumento
58 In letteratura sono impiegati con significato analogo i termini Copyright Management System, Electronic Copyright Management System. Le definizioni di Content Management System, Content/Copy Protection for Removable Media implicano, invece operazioni includibili in questi sistemi di controllo. 59 Si veda il terzo capitolo al paragrafo 3.1 Il dibattito americano sul copyright esteso. 60 Il più noto e citato esempio di gated community, una comunità chiusa in un mondo separato, è quello degli utenti che accedono ad internet attraverso il portale AOL (fornitore di accesso e di contenuti, dopo la fusione con Time Warner) usufruendo dei suoi numerosi e apprezzati servizi premium. 61 Si veda il paragrafo 2.3 Net neutrality e banda larga: la reingegnerizzazione delle architetture digitali.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
37
qualificante della direttiva, benché definito nel testo in modo ambiguo, è il nuovo
ruolo dei service provider, ai quali è attribuita una generica responsabilità per le
violazioni commesse dagli utenti sulla rete. Nei paesi in cui la legge di
recepimento lo riterrà ammissibile sarà, così, possibile coinvolgere gli ISP nelle
indagini e reperire nelle loro banche dati le prove dei reati commessi online62.
In questa evoluzione delle tutele, l’uniformazione delle norme e l’adozione
dei sistemi tecnici di protezione della proprietà sollevano resistenze e difficoltà
attuative63 che si esprimono, in ambito giuridico, come problemi di legittimità e
di armonizzazione delle nuove disposizioni con gli ordinamenti nazionali, mentre
si traducono, in quello commerciale, nella differenziazione strategica dei modelli
di distribuzione e nella diversificazione delle politiche di protezione delle merci
digitali da parte dei produttori. In questo quadro, mentre si conferma la tendenza
al rafforzamento delle tutele - riaccendendo la storica tensione tra le opposte
funzioni di protezione/esclusione e di disseminazione/competizione del
copyright64 - il fronte commerciale si frammenta pragmaticamente sull’inclusione
dei dispositivi tecnologici nelle merci digitali in funzione dell’identità del marchio
(Apple)65 e delle politiche commerciali considerate più efficaci nel peculiare
contesto dei consumi digitali. Dopo un’iniziale identità di giudizio sulla necessità
di adozione dei dispositivi anticopia, la tendenza alla diversificazione degli
approcci ha, infatti, iniziato a manifestarsi, spinta da alcuni insuccessi
commerciali attribuiti ai DRM66, tra la fine del 2006 e l’inizio 2007, quando alcuni
discografici (EMI) e distributori (Apple iTunes Music Store, Virgin Mega, Yahoo
Music e Fnac) hanno cominciato a includere la distribuzione priva di DRM tra i
servizi di qualità delle loro proposte commerciali.
Le inquietudini dei mercati e la mutevolezza delle politiche commerciali non
62 IPRED2, art. 7 bis: «Gli Stati membri hanno la facoltà di decidere che le prove siano messe a disposizione del titolare dei diritti con riserva di determinati requisiti in materia di accesso ragionevole, sicurezza o d'altro tipo, onde garantire l'integrità delle prove stesse ed evitare di compromettere l'eventuale azione penale che ne può scaturire». 63 L. BURK, J. E. COHEN. “Copyright, DRM Technologies, and Consumer Protection”, University of California at Berkeley, Boalt Hall School of Law, March 9 & 10, 2007, www.law.berkeley.edu/institutes/bclt/copyright/bclt_2006_Symposium.pdf. 64 C. MAY, S. SELL. Intellectual Property Rights. A Critical History, London: Lynne Rienner Publishers, 2006, p. 25. 65 http://www.macworld.com/article/137946/2009/01/iTunestore.html. 66 Si veda il caso di Movielink, piattaforma di vendita di video online fondata da cinque case cinematografiche statunitensi e tra gli esperimenti commerciali fallimentari del 2006.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
38
hanno, però, inciso in modo significativo sulla visione ultraprotezionista67 della
proprietà intellettuale, cristallizzatasi in un decennio di provvedimenti coerenti
con la svolta del 1994. Inoltre, se la vendita di contenuti audio e video ha
mostrato di risentire della presenza dei DRM, rallentandone l’adozione, è
soprattutto dalla convergenza di interessi dei network televisivi e delle
compagnie telefoniche che giungono le maggiori novità e le richieste di soluzioni
tecno-normative in grado di sostenere gli investimenti e proteggere i contenuti
dagli usi non consentiti68. Ciò mostra come, nell’orientamento delle politiche
regolative, le preoccupazioni per la vendita di musica e film comincino a
passare in secondo piano di fronte all’urgenza di controllare la distribuzione dei
contenuti televisivi e di sostenere i nuovi business delle compagnie telefoniche.
Attualmente, infatti, mentre i network televisivi si preparano ad affiancare i
detentori dei diritti nella richiesta di politiche di controllo sulle telecomunicazioni,
le compagnie telefoniche stanno aggiornando i loro modelli commerciali sulla
base della discriminazione del traffico dati su internet. Lo scenario di
governance della rete si arricchisce, in questo modo, di nuove figure che
complicano il quadro dei conflitti in corso con le strategie dei nuovi agenti nel
campo.
Il terreno su cui si gioca attualmente questo scontro, è sintetizzato negli
obiettivi di due importanti provvedimenti in discussione negli Stati Uniti: la
Broadcast Flag Provision, concernente una protezione anticopia per contenuti
televisivi che si lega alla standardizzazione del controllo su tutti i dispositivi
digitali, e la riforma delle telecomunicazioni, nel contesto della quale si guarda
ad una revisione dei protocolli di comunicazione di internet in grado di rendere
l’ambiente maggiormente compatibile con l’enforcing del copyright. Entrambe le
misure hanno avuto un iter decisionale eccezionalmente contrastato che ha
impedito, fino a questo momento, l’approvazione di regole con forza di legge.
Nel primo caso, nel novembre 2003 la Federal Communications Commission ha
approvato, su mandato del Congresso, il provvedimento istitutivo della
broadcast flag, i cui effetti sono stati però bloccati, due anni dopo, dalla
sentenza di una Corte d’appello del distretto della Columbia, chiamata a
67 L. LESSIG. “Sees Public Domain Sinking in a Sea of Overregulation”, Conference at UCLA Law School, April, 22, 2004, http://www.international.ucla.edu/article.asp?parentid=10831. 68 Ci si riferisce soprattutto al dibattito americano sulla broadcast flag e a quello sull’internet enhancement, approfonditi, oltre che nelle pagine seguenti, nel paragrafo 3.1 L’evoluzione delle tecnologie di controllo.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
39
decidere sulla causa intentata dall’American Library Association contro la
FCC69.
Quanto alla riforma delle telecomunicazioni, il momento più critico del
processo decisionale si è toccato nel giugno 2006 quando, dopo un dibattito
dall’esito incerto, il senato federale ha infine bocciato gli emendamenti che
avrebbero aperto la strada alla legalizzazione delle modifiche di internet,
spingendo il presidente Bush a rinviare ogni decisione in argomento al termine
dei lavori di una commissione di esperti. I due provvedimenti, considerati
unitamente, rappresentano la tappa più avanzata di una ridefinizione
complessiva delle tecnologie digitali, orientata a limitare la possibilità di
manipolazione dei contenuti e a sottoporre ad un severo controllo ogni aspetto
del loro uso quotidiano70. La riforma dei protocolli di comunicazione, in
particolare, potrebbe trasformare l’attuale indifferenza della rete verso le diverse
tipologie di traffico, nota come neutralità del net, in una circolazione differenziata
dei pacchetti di dati secondo una gerarchia di priorità stabilita in rapporto
all’importanza o alla natura gratuita o pagante delle informazioni. L’anonimità e
l’eguaglianza formale del traffico di fronte ai criteri di trasmissione verrebbero,
così, aboliti.
Questa ipotesi, elaborata nei programmi di ricerca dell’internet
enhancement71, rappresenta un progetto di revisione radicale dell’architettura di
internet e della logica sociale incorporata nel suo design72. Aggredendo i principi
cardinali dell’infrastruttura telematica, la misura allo studio mira infatti a
soddisfare obiettivi immediati, ma esprime un potenziale di trasformazione che
tocca ogni ambito della sfera digitale, dai meccanismi generativi profondi della
socialità del network, alle regole della concorrenza commerciale.
Finalità esplicite della misura sono gli obiettivi di sicurezza, individuati nella
69 United States Court of Appeals for the District of Columbia Circuit. American Library Association Et Al., v. Federal Communication Commission and United States of America, May 6, 2005, no. 04-1037; http://www.policybandwidth.com/doc/JBand-ALAvsFCC.pdf. 70 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, The Annals of the American Academy of Political and Social Science, 597, January, 2005, p. 122; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=713022. 71 Il trusted system è un approccio integrato alle misure di sicurezza dell’informazione, mentre l’internet enhancement e il quality of service debate sono dibattiti tecnologici finalizzati al miglioramento dei protocolli di comunicazione. L’illustrazione di questi dibattiti è affontata nel 3° capitolo. 72 L. LESSIG. ““The Internet Under Siege”, Foreign Policy, November-December, 2001; http://lessig.org/content/columns/foreignpolicy1.pdf#search%22lessig%20the%20internet%20under%20siege%22.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
40
lotta al peer-to-peer e, in via residuale, nel contrasto all’uso della rete da parte
di organizzazioni illegali, e obiettivi di sviluppo economico di internet, tra i quali
la difesa tecnologica del copyright e la creazione di nuove opportunità d’affari
per i soggetti emergenti del mercato elettronico73. Un esito indiretto, ma
fortemente dibattuto dai commentatori americani, è l’alterazione delle condizioni
di concorrenza commerciale sul Net, così che l’abolizione della parità di
condizioni verso il traffico viene letta soprattutto come una misura di politica
economica contraria ai principi dell’antitrust, a vantaggio delle posizioni
commerciali dominanti74. La riscrittura delle regole telematiche renderebbe,
infatti, lo spazio digitale più simile a quello convenzionale, spostando la
competizione economica dal piano del prodotto a quello del superamento di una
barriera di ingresso al mercato, quale diverrebbe il possesso o meno di corridoi
preferenziali per i propri servizi75.
Questo progetto di ottimizzazione della rete va dunque compreso
nell’inclinazione ventennale del copyright verso la concentrazione della
proprietà e il rafforzamento delle gerarchie di mercato, contro l’alternativa della
proliferazione produttiva e della disseminazione dell’innovazione affidata al
principio formale della limitazione dei monopoli, alla base della sua genesi
storica. L’abolizione della neutralità di internet, informalmente già in corso, è,
dunque, uno sviluppo della tendenza di lungo periodo che integra una politica
economica a favore della grande impresa con il governo dei fattori di disordine e
di dispersione economica rappresentati da certi usi sociali dell’informazione,
confermando una convergenza non occasionale tra filosofie di controllo
dell’informazione, superamento della legittimità formale dei dispositivi normativi
e misure di valorizzazione dell’ambiente telematico.
Le tecniche di riconoscimento e di autenticazione del traffico che
potrebbero essere impiegate per canalizzare il flusso dei dati, sono infatti state
73 C. S. YOO. “Network Neutrality and the Economics of Congestion”, The Georgetown Law Review, 94, 2006, (pp. 1847-1908); http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=825669. 74 C. S. YOO. “What Can Antitrust Contribute to the Network Neutrality Debate?, International Journal of Communication, 1, 2007, (pp. 493-530); http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=992837&rec=1&srcabs=912304. Questo aspetto è approfondito nel capitolo 2. La costruzione del discorso su internet. 75 M. A. LEMLEY, L. LESSIG, “The End of End-to-End: Preserving the Architecture of the Internet in the Broadband Era”, Working Paper 207; UC Berkeley Public Law Research Paper 37, 2001, (pp. 1-63), http://papers.ssrn.com/paper.taf?abstract_id=247737. Si veda anche la polemica sollevata dal Wall Street Journal sul’ipotesi di supercache di Google. J. V. KUMAR, C. RHOADS. “Google Wants Its Fast Track on the Web”, Wall Street Journal, December 15, 2008; http://online.wsj.com/article/SB122929270127905065.html.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
41
pensate, a suo tempo, per il blocco anticopia e per i sistemi di Digital Right
Management, la cui azione tende ora ad essere trasferita dalla copia statica alla
circolazione dei beni digitali, con un’estensione del focus regolativo dal livello
dei contenuti (o delle merci finali), a quello delle applicazioni e dello strato logico
di internet, dai programmi ai sistemi operativi fino agli standard di
comunicazione.
11..22..22 FFiillee sshhaarriinngg:: iill pprriinncciippaallee ooggggeettttoo ddeellllee mmiissuurree
Two wars rage today: one to control scarce ‘pre-industrial’ fossil fuels; the other to control non-scarce ‘post-industrial’ informational goods […]. Managing scarcity in that which is naturally scarce and in making scarce that which is not becomes paramount.
‘Corporate power is threatened by scarcity on the one hand and the potential loss of scarcity on the other’. That every networked computer can share all the digital
information in the world challenges one of these domains of control. In such conditions sharing has been legislated against with a new intensity.
M. David76
Questo spostamento dell’azione di controllo verso gli strati più profondi e
meno visibili dell’architettura digitale, segue l’evoluzione di alcuni usi popolari
delle tecnologie, passati negli ultimi vent’anni dalla registrazione di audio e
video su supporti magnetici, alla copia dei CD, fino all’attuale peer-to-peer file
sharing77. È soprattutto questa pratica, consistente nella condivisione in rete dei
file contenuti nei dischi fissi, ad aver raggiunto in poco meno di dieci anni,
dimensioni e complessità tecnologica tali da non poter più essere considerata
un fenomeno residuale e parassitario dell’economia informazionale, quanto il
suo vero nodo da sciogliere.
Incluso da alcuni teorici nella fenomenologia di un’economia informale del
dono digitale (dal free software a Wikipedia) significativamente più efficiente
della distribuzione commerciale78, il file sharing rappresenta, secondo le ultime
rilevazioni, oltre un terzo del traffico dati diurno e il 95% di quello notturno,
mentre alcuni server impegnati dal download di video raggiungono da soli, in
76 M. DAVID. Peer-to-peer and Music Industry. The Criminalization of Sharing, London: Sage Publication Ltd., 2009 (forthcoming), p. 1. 77 W. FISHER III, J. PALFREY, J. ZITTRAIN. “Brief of Amici Curiae Internet Law Faculty in Support of Respondent”, (Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc., et al., Petitioners, v. Grokster, Ltd., et al., Respondents)”, Counsel for Amici Curiae, March 1, 2005, (pp. 1-39), p. 14, http://cyber.law.harvard.edu/briefs/groksteramicus.pdf. 78 R. BARBROOK. “Giving is receiving”, trad. cit..
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
42
alcune regioni, il 5% del traffico complessivo della rete79. Campagne
pedagogiche, sanzioni eccezionali e pubblica esecrazione non hanno impedito
che questa pratica di accesso all’informazione continuasse a crescere insieme
alla produzione di milioni di pagine e risorse gratuite disponibili in rete. Come ha
osservato recentemente il giurista tedesco Volker Grassmuk:
The numbers are far from conclusive but it's safe to assume mass-usage of P2P. By the current rules of law much of that file-sharing activity is illegal and creatives are not receiving any remuneration for it, but factually it has become part of everyday media practice of a significant portion of the population. Popular practice and the law are out of sync. The tension can be resolved by either stronger enforcement to make reality conform to the law or by changing the law in order to adapt it to reality. Repression has not shown any tangible effect80.
Gli effetti più rilevanti del file sharing hanno riguardato soprattutto la
circolazione di musica e film, seguiti da software, videogiochi e, recentemente,
dalle trasmissioni televisive crittate, in un gigantesco meccanismo che estrae
materiali protetti dai circuiti commerciali, li elabora e li riversa nel dominio
pubblico. Sembra dunque che ciò che determina la ferma opposizione del
commercio al file sharing sia, prima ancora dell’enforcing del copyright, il suo
collegamento con l’estensione, sanzionata legalmente o meno, della
disponibilità di informazione in dominio pubblico. La violenza dello scontro sulla
conoscenza circolante non si comprende, infatti, se non guardando al tentativo
di controllare l’attenzione del pubblico per opere non monetizzabili o sottratte al
circuito commerciale, cioè al problema di una platea sempre più vasta di
individui che nelle loro pratiche quotidiane non soddisfano esigenze di consumo
economicamente apprezzabili o le cui pratiche di consumo, esposte a usi
alternativi degli stessi beni, diventano impredicibili e aleatorie. Come ha
osservato Lessig, questa tendenza monopolistica – che si estende perfino
79 Analisi del traffico mondiale 2008 eseguita dal provider tedesco Ipoque. Ars Technica, 30 settembre 2008, http://arstechnica.com/news.ars/post/20080930-p2p-growth-slowing-as-infringement-goes-deeper-undercover.html. In Francia, il 37% degli utenti occasionali e il 47% degli utenti che usano quotidianamente internet ha dichiarato di scaricare file dalla rete. I contenuti scaricati più frequentemente sono: musica (57% nella fascia d’età18-24), film (42%), serie televisive (22%) e video giochi (21%). TNS-SOFRES, LOGICA. "Le français et le téléchargement illégal sur Internet", marzo 2009, pp. 9 ; 12 ; http://www.tns-sofres.com/_assets/files/2009.03.08-telechargement-illegal.pdf. 80 V. GRASSMUCK. “The World is Going Flat(-Rate) A Study Showing Copyright Exception for Legalising File-Sharing Feasible, as a Cease-Fire in the "War on Copying" Emerges”, Intellectual Property Watch, 11 May 2009, p. 4; http://www.ip-watch.org/weblog/2009/05/11/the-world-is-going-flat-rate/.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
43
all’attenzione del pubblico - spiega anche la resistenza, altrimenti
incomprensibile, del fronte favorevole al copyright alla modifica di meccanismi
che impediscono la liberalizzazione automatica delle opere non più protette da
copyright e ritirate dal commercio81.
Ed è proprio tale relazione che testimonia di uno scontro sulla risorsa
specifica del campo digitale, a costituire l’elemento chiave di una riflessione
critica su internet. Considerando questi aspetti, infatti, non si può non rilevare
come la concezione commerciale dell’informazione abbia assunto con la nascita
di internet una fisionomia particolarmente marcata di strumento di controllo
sociale e di coercizione dei comportamenti digitali. La pervasività del controllo
sulle merci digitali, dall’iperregolazione normativa ai dispositivi tecnologici, fino
al nuovo ruolo dei provider, investe, infatti, il piano microfisico del quotidiano di
internet82, nel quadro di un cambiamento di statuto della proprietà intellettuale
da strumento di politica industriale a dispositivo di governo dei comportamenti in
rete.
Tale esito è particolarmente visibile nella politica francese della cosiddetta
riposte graduée (o del three shots strike delle analoghe proposte di legge inglesi
e australiane), concernente il distacco della linea telefonica degli utenti sorpresi
più volte a scaricare file dalla rete83. Come è stato osservato, oltre a
formalizzare una gerarchia dei diritti di cittadinanza che subordina al diritto di
proprietà ogni altra libertà civile, in generale, l’impatto di politiche che tendono a
trasferire il controllo «dalle corti civili alle macchine stesse»84, è tale da
prefigurare un cambiamento radicale della civiltà giuridica, nella quale i concetti
di scelta, responsabilità e giudizio individuale potrebbero essere sostituiti dal
funzionamento di automatismi capaci di strutturare a priori l’orizzonte
81 Si veda la polemica sulla provocatoria proposta “Eldred Act” di Lessig, dopo la sentenza favorevole alla Disney della causa Eldred vs. Ashcroft. L. LESSIG. Free Culture, New York: The Penguin Press, 2004, pp. 248-256; http://www.free-culture.org. 82 P. SAMUELSON, R. DAVID. “The Digital Dilemma: A Perspective on Intellectual Property in the Information Age“, 28th Annual Telecommunications Policy Research Conference, 2000, p. 10; http://www.ischool.berkeley.edu/~pam/papers/digdilsyn.pdf. 83 Il governo italiano, in ritardo sui temi della rete, si accinge a varare una riforma analoga, al momento in discussione presso i livelli decisionali. 84 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit., p. 127. Va osservato, in ogni caso, che facendo leva sull’istituzione di un’autorità amministrativa, con il compito di somministrare le sanzioni per il download dei file protetti, il disegno di legge Hadopi rappresenta una misura tecnocratica ibrida. Per un approfondimento della questione si rinvia al terzo capitolo Dal governo dei conflitti alla governance delle procedure.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
44
d’esperienza degli utenti85. Proprio perché tali misure interessano le nervature
informative e organizzative delle società contemporanee, la delega della
moralità ai dispositivi tecnici che Bruno Latour chiama prescrizione - «il
comportamento imposto dai soggetti non-umani agli umani [o], dimensione etica
dei meccanismi» - rischia infatti di soppiantare le forme preesistenti di
normatività e costruzione dei valori86.
Sarebbe difficile comprendere evoluzioni di tale portata, senza guardare al
processo di destabilizzazione che investe il copyright e la proprietà intellettuale,
in generale, nel mondo digitale. La venatura autoritaria che caratterizza la
nuova governance di internet tenta, infatti, di rispondere alla contraddizione
generatasi con la privatizzazione della rete, nella quale si riflettono le difficoltà
incontrate dalle nuove regole del gioco all’intersezione della socialità e dei
conflitti di legittimità di un campo autonomo rispetto a quello commerciale. In
accordo con le sue origini accademiche, nell’ambiente telematico infatti «every
computer is a server. The browser is an editor. Information is a process.
Knowledge is for sharing»87. In un regime di verità nel quale l’informazione non
è né prodotta né consumata, il principio estraneo che ne subordina l’accesso al
possesso si scontra, così, inevitabilmente con i modi d’esistenza delle
tecnologie di rete e delle relazioni sociali che vi sono inscritte. In questo senso,
l’hi-tech gift economy è il ritorno del rimosso dell’economia digitale, stante che
«sharing information is exactly what the Net was invented for»88.
In questo contesto, la sperimentazione collettiva della non rivalità e non
escludibilità dell’informazione89 messa in atto dal file sharing, intrecciandosi con
le forme di plagio e remix dei contenuti commerciali alla base del panorama
tecnoculturale contemporaneo90, ha concretizzato i timori di un’obsolescenza
85 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, XXIII Congresso nazionale della Società Italiana di filosofia giuridica e politica, Macerata, 2-5 ottobre 2002; http://www.osservatoriotecnologico.it/internet/diritto_rete_globale/introduzione.htm#alto. 86 B. LATOUR. “Where Are the Missing Masses? The Sociology of a Few Mundane Artifacts”, in W. BIJKER, J. LAW (eds). Shaping Technology/Building Society: Studies in Sociotechnical Change, Cambridge: MIT Press, 1992, trad. it. “Dove sono le masse mancanti? Sociologia di alcuni oggetti di uso comune”, Intersezioni, 2, agosto 1993, pp. 232. Si torna su questo tema nel 4° capitolo. 87 R. BARBROOK. “Giving is receiving” (stralcio di “Cadeaux virtuels”), http://nettime.org trad. fr. “Cadeaux virtuels. L’économie du don sur Internet", Passages, 33, hiver 2002, http://www3.pro-helvetia.ch/download/pass/fr/pass33_fr.pdf. Si preferisce la versione inglese di questo passaggio e del successivo, incompleta nella pubblicazione francese. 88 Ibidem 89 Y. BENKLER. “An Unhurried View of Private Ordering in Information Transactions”, cit., p. 2065. 90 R. J. COOMB. The Cultural Life of Intellectual Properties. Authorship, Appropriation, and the Law, Durham and London: Duke University Press, 1998 e “Commodity Culture, Private
I. Eccezione digitale e cyberlaw
45
incontrollata della regolazione basata sul copyright, suscitando reazioni, oltre
che contro le aree di illegalità, contro le condizioni abilitanti di tali fenomeni e il
loro ecosistema informazionale. Internet è, infatti, un ambiente collaborativo il
cui modo di creare innovazione sovverte il vecchio modo di produrla91, così è
presto apparso chiaro che il modo in cui la rete crea è altrettanto destabilizzante
per la proprietà intellettuale del modo in cui condivide, stante l’integrazione,
strutturale nell’ambiente telematico, dei due momenti che il copyright consensus
vuole distinti92. Per questo la battaglia sul file sharing rappresenta il modello
paradigmatico di uno scontro che non oppone solo le culture giovanili e i
produttori di contenuti circa le modalità del consumo audiovisivo, ma rivela
one aspect of larger transformations underway, shifts which highlight the conflicting demands of civil society, where information and ideas should be freely exchanged, and an information economy, where cultural goods play an increasingly important role in the marketplace93.
Il mancato riconoscimento di questa dialettica di fondo è tuttavia dominante
negli studi sul peer-to-peer. Se si esaminano, ad esempio, i punti di vista di due
dei maggiori esperti americani di cultura digitale e diritto dell’informazione, quali
Siva Vaidhyanathan e Jonathan Zittrain, si osserva infatti che il sociologo
inquadra le pratiche di scambio nello scontro tra le istanze anarchiche della rete
e le oligarchie che le combattono94, focalizzandosi sui possibili esiti distruttivi di
tale conflitto, ma tralasciando completamente l’analisi del microcosmo sociale
che si esprime nella costruzione e nell’uso dei network informali. A sua volta, il
giurista colloca le pratiche di file sharing nel quadro dell’abuso dilagante tra i
comportamenti sociali in rete che aumenta proporzionalmente alla crescita degli
Censorship, Branded Environments, and Global Trade Politics: Intellectual Property as a Topic of Law and Society Research”, “ in A. SARAT (eds.). The Blackwell Companion to Law and Society, Malden: Basil Blackwell, 2004, (pp. 369-391), http://www.yorku.ca/rcoombe/publications/Coombe_Commodity_Culture.pdf. H. JENKINS. Convergence Culture: Where Old and New Media Collide (2006), trad. it. Cultura convergente Roma: Apogeo, 2007. 91 E. VON HIPPEL. Democratizing Innovation, Cambridge: MIT Press, 2005, p. XVIII, http//web.mit.edu/evhippel/www/democ.htm. 92 Sulla crisi di paradigma dell’idea di produzione culturale implicita nel copyright si veda J. E. COHEN. “Creativity and Culture in Copyright Theory”, UC Davis Law Theory, 40, 2007, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract\id=929527. 93 I. CONDRY. “Cultures of Music Piracy: An Ethnographic Comparison of the US and Japan”, International Journal of Cultural Studies, 7, 2004, p. 344. http://ics.sagepub.com/cgi/content/abstract/7/3/343. 94 S. VAIDHYANATHAN. The Anarchist in the Library. How the Clash Between Freedom and Control is Hacking the Real World and Crashing the System, New York: Basic Books, 2004. L’autore è attualmente direttore del programma di Communication Studies al Dipartimento di Cultura e Comunicazione dell’Università di New York.
1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione
46
utenti di internet, contribuendo in modo determinante alla sua attuale crisi di
sicurezza95.
Punti di vista così distanti trovano una matrice comune oltre che
nell’occultamento della genesi e del significato sociale delle prassi di
condivisione, nell’attenzione per gli effetti destabilizzanti prodotti dalla loro
comparsa, al di là della problematica industriale. Le due analisi concordano,
infatti, nell’evidenziare il nesso tra l’incremento della conflittualità nelle pratiche
digitali e l’aumento della pressione regolativa che tende a dissestare
l’infrastruttura tecnica di internet attraverso la ricerca di technological fix, in
alternativa a meccanismi istituzionali di disciplinamento dei comportamenti.
Stimolata dal problema dell’esecuzione dei diritti e resa urgente dalla
necessità di governare l’uso della banda, alle origini di questa «[new] vision of
affirmative technology policy»96 si colloca, dunque, l’affermazione di politiche di
sicurezza che rispondono ai conflitti della vita online con strumenti di
ottimizzazione del traffico internet e soluzioni tecnologiche di composizione
delle controversie digitali. Come si è visto, queste politiche che Yochai Benkler
ha interpretato come un tentativo di replicare «the twentieth-century model of
industrial information economy in the new technical-social context»97, fanno leva
soprattutto sull’introduzione di soluzioni tecnologiche anticirconvenzione e sulla
modifica di architetture e protocolli in grado di definire uno spazio di
comunicazione suscettibile di controllo e un ambiente economico governato
dalla scarsità98.
Prende forma una nuova governance dell’informazione, tesa a regolare
ogni aspetto della vita sociale sul Net. Sarà questo il campo di battaglia della
normalizzazione della rete: la direzione intrapresa dalle politiche di controllo
toglie ormai ogni ambiguità al senso di un’eccezione che gli utopisti avevano
legato alle proprietà dell’informazione digitale.
95 J. ZITTRAIN. “Saving the Internet”, Harvard Business Review, June 2007, http://harvardbusinessonline.hbsp.harvard.edu/hbsp/hbr/articles/article.jsp?ml_subscriber=true&ml_action=get-article&ml_issueid=BR0706&articleID=R0706B&pageNumber=1, p. 2. Zittrain è professore di Internet Governance and Regulation alle Università di Oxford ed Harvard e direttore del Berkman Center for Internet & Society di Harvard. 96 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 1980. 97 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., p. 385. 98 C. MAY. “Digital rights management and the breakdown of social norms”, First Monday, 8, 11, November 2003, (pp. 1- 34), p. 23; http://firstmonday.org/issues/issue8_11/may/index.html.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
47
48
2.
CCyybbeerrllaaww,, llaa ffoonnddaazziioonnee ddeellllaa ccrriittiiccaa ddiiggiittaallee
I. Eccezione digitale e cyberlaw
49
Il dibattito americano su internet ha influenzato profondamente sia la
determinazione delle politiche tecnologiche degli Stati Uniti, che la formazione di
una sensibilità pubblica internazionale sul tema del controllo dell’informazione.
L’analisi del discorso che si forma intorno ad internet, nelle università, nelle
comunità informatiche e nelle task force governative, è dunque fondamentale
per comprendere sia l’affermazione che le resistenze al nuovo modello di
controllo dello spazio digitale che comincia a delinearsi. Questo capitolo
ripercorre le tappe fondamentali del dibattito, dedicando particolare attenzione
all’evoluzione delle culture tecnologiche e al loro ruolo nella genesi delle
politiche tecnocratiche, e alla nascita della cyberlaw, il cui atto fondativo è
rintracciato nell’inquadramento dato da Lawrence Lessig alla tesi
dell’«eccezione digitale», con il quale il giurista inaugura una stagione di ricerca
caratterizzata dal rifiuto della concezione della rete come spazio separato dal
mondo analogico, e dalla focalizzazione sugli effetti destabilizzanti che la
governance tecnologica avrebbe introdotto nel quadro ordinamentale,
interessando non solo la rete, ma la società per intero.
Con l’attenzione dei costituzionalisti per le tensioni introdotte nel sistema
giuridico dal prolungamento del copyright e dall’introduzione delle misure di
controllo nelle merci e lungo le dorsali elettroniche della distribuzione
commerciale, si afferma un punto di vista che include la difesa dell’architettura
originaria di internet nella salvaguardia dei principi fondamentali dello stato
federale, evidenziandone la stretta connessione con l’esercizio della libertà
d’espressione e la difesa della capacità di innovazione della rete. Questo
approccio, destinato a dominare per un decennio il discorso accademico e
pubblico sulle tecnologie, e a contenere le politiche digitali più aggressive dei
livelli decisionali americani, inizia a declinare - come si vedrà nella seconda
parte della tesi – all’interno della stessa cyberlaw, sulla spinta delle istanze
tecnocratiche del trusted system e dell’internet enhancement e della
legittimazione giuridica di soluzioni ingegneristiche volte a preservare il
potenziale innovativo della rete, separandolo chirurgicamente dal suo côté
sociale, il dark side di internet.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
50
22..11 DDaall ccaatteecchhiissmmoo ddiiggiittaallee aallllaa ccyybbeerrllaaww Quando Lessig ed altri cybergiuristi iniziarono a pubblicare i loro interventi
sulle riviste universitarie, l’esperienza intellettuale della creazione di internet si
era saldata con le utopie californiane, nelle quali la cultura libertaria degli anni
’60 e ‘70 aveva incontrato i movimenti comunitaristi e le avanguardie artistiche
New Age. In questo sincretico ambiente culturale, nel quale la sperimentazione
di nuovi linguaggi creativi e del potere della mente si era intrecciata con gli stili
di vita alternativi ispirati all’ecologismo e all’ideologia del ritorno alla terra, la
credenza nel potere liberatorio delle tecnologie rappresentava il punto di
contatto con le realtà dell’elettronica e delle reti di computer1.
Fino all’ascesa della cyberlaw, i protagonisti del dibattito digitale erano stati
gli stessi animatori di riviste e associazioni che valorizzavano il ruolo delle
comunità nella vita dei singoli e il progetto di un’informatica al loro servizio in
funzione antiburocratica e antiautoritaria. È, dunque, nell’attività di queste
associazioni che si può osservare la trasformazione della cultura tecnologica
nella quale, all’ingresso sulla scena dei professori di legge, le concezioni dei
primi ingegneri informatici circolavano in un nuovo frame ideale. Negli anni ’90,
la visione progettuale delle tecnologie della prima esperienza hacker si era,
infatti, naturalizzata in un credo ottimistico nel potere dei computer che aveva
sostituito la visione conflittuale dei pionieri2.
22..11..11 CCuullttuurraa hhaacckkeerr ee iinnffoorrmmaattiiccaa ssoocciiaallee
Presentando il clima intellettuale delle università americane negli anni in cui
prende avvio il progetto ARPANET, si è fatto cenno alla consapevolezza delle
culture tecnologiche del ruolo politico dell’informatica e dell’importanza
strategica che il controllo dell’informazione avrebbe avuto nello sviluppo
democratico delle società avanzate. Se si guarda agli scritti di Bob Albrecht,
Leon Felstein e di molti altri protagonisti dell’epopea informatica, è evidente
come gran parte di questi tecnologi perseguisse esplicitamente l’obiettivo di
avvicinare l’informatica ai non esperti, così da sviluppare un controllo pubblico
sulle tecnologie e fare dei calcolatori degli strumenti di espressione nelle mani
1 H. RHEINGOLD. Comunità virtuali, trad. cit., p. 56. A. DI CORINTO, T. TOZZI. Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Roma: Manifestolibri, 2002, p. 181. 2 R. BARBROOK, A. CAMERON. “Californian Ideology”, cit.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
51
degli utenti. Avviando l’attività della Peoples Computer Company (1972), Bob
Albrecht, ad esempio, scriveva:
i computer perlopiù vengono usati contro le persone, invece che in loro favore. Usati per controllare, invece che per liberare. È il momento di cambiare tutto ciò: abbiamo bisogno di una Peoples Computer Company3.
Oltre ad Albrech, faceva parte di questa associazione Leon Felstein, uno
studente dell’Università della California, attivo nel Free Speech Movement di
Berkley, secondo il quale l’uso dei computer avrebbe diffuso l’etica hacker
all’intera società4. Coerentemente con questa convinzione, il principale obiettivo
di Felstein era la fabbricazione del personal computer il cui prototipo, il Sol,
completato poco dopo il più noto Altair, consisteva, appunto, in un terminale
intelligente concepito per l’uso domestico5. Su impulso di questi tecnologi, la
progettazione informatica si sviluppava in quegli anni nella duplice direzione
della semplificazione delle tecnologie e della creazione di risorse da condividere
tra gli utenti. Felstein era, perciò, anche tra i membri del Resource One di S.
Francisco, l’organizzazione che nel 1971 aveva avviato il Community Memory
Projet,
il primo progetto di telematica sociale del mondo che consisteva nel mettere a disposizione nelle strade e nei luoghi ad alta frequentazione giovanile dei terminali di computer collegati in rete a un grosso sistema, regalato dall’università perché obsoleto6.
La cultura della condivisione aveva quindi in queste figure di sperimentatori
un alto grado di consapevolezza che si esprimeva nei progetti e negli obiettivi
che si prefiggevano, trasferendosi al design degli artefatti tecnologici che
iniziavano a diffondersi al di fuori degli ambienti informatici.
22..11..22 LL’’uuttooppiissmmoo ddiiggiittaallee
Un’altra figura di animatore di comunità informatiche è quella di Steward
Brand il quale aveva lanciato, negli anni ’60, la Point Foundation,
3 S. LEVY. Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica, (1984), trad. it. Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica, Milano: Shake Edizioni Underground, 1996, p. 172. 4 Ivi, p. 185. 5 A. DI CORINTO, T. TOZZI. Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, op. cit., p. 190-193. 6 E. GUARNERI, Senza chiedere permesso 2 – la vendetta, in AA.VV. La carne e il metallo, Milano: Il Castoro, 1999, p. 61. Citato da A. DI CORINTO, T. TOZZI. Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, op. cit., p. 192.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
52
un’associazione dalla cui esperienza sarebbero nati il Whole Earth Catalog
(1968), il CoEvolution Quarterly (1974) il Whole Earth Software Catalog (1984)
ed, infine, The Well (1985)7, la comunità elettronica resa celebre da The Virtual
Community di Howard Rheingold8. Anche i Catalog di Brand sperimentavano le
reti telematiche come strutture di collegamento tra pool di risorse sociali e
culturali accessibili agli utenti. Il Whole Earth, in particolare, era un vasto
contenitore, oltre che di articoli e di scritti ecologisti, di manuali e di utilità per
realizzare strumenti e oggetti ecosostenibili che faceva di questo elenco
elettronico un punto di riferimento dello stile di vita hippy della Bay Area9.
Quanto alla Well, si trattava di una comunità che, con i suoi oltre diecimila
iscritti, riuniva un pubblico, per l’epoca, vasto, di hacker, studenti e semplici
appassionati di tecnologie, ciò che ne faceva un importante luogo di incontro
delle nuove tendenze della cultura digitale con le esperienze underground e con
l’attivismo dei movimenti per il Free Speech. È in virtù della sua natura di
crocevia delle culture digitali che, quando nasce l’Electronic Frontier Foundation
(EFF), la community viene dichiarata sede e nodo organizzativo
dell’associazione.
Era membro della Well anche Kevin Kelly, editore di Wired, la rivista che, a
partire dal 1993, avrebbe dato notorietà all’ideologia californiana che vedeva
nelle reti di computer degli strumenti di liberazione individuale e (dunque)
collettiva – secondo la tipica causalità New Age. Le opinioni divulgate nei libri e
negli interventi pubblici di Steward Brand, avevano una profonda affinità con le
tesi di Kelly: questi teorici, infatti, riconoscevano all’informazione un potere
trascendente, capace di rendere migliori gli individui, avvicinandoli alla natura
computazionale dell’universo (Kelly) e fornendo loro gli strumenti di pensiero per
prendersi cura dell’ambiente e della terra e imparare a gestirne la complessità
(Brand). Come Kelly, anche Brand era un editore. Abbonarsi ai servizi del
Whole Earth Catalog costava, infatti, come ricorda Rheingold, tre dollari l’ora10.
Un altro tratto accomunante di queste figure di tecnologi degli anni ’90 è,
dunque, la compiuta integrazione tra l’attività culturale e l’esercizio
dell’imprenditoria informatica, in quella formula che avrebbe fatto del distretto
7 S. LEVY. Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica, trad. cit., p. 172. 8 H. RHEINGOLD. The Virtual Community (1993), trad. it. Comunità virtuali. Parlare, incontrare, vivere nel ciberspazio, Milano: Sperling & Kupfer, 1994. 9 H. RHEINGOLD. Comunità virtuali. Parlare, incontrare, vivere nel ciberspazio, trad. cit., pp. 47-48. 10 Ibidem
I. Eccezione digitale e cyberlaw
53
industriale della Silicon Valley l’area di massima concentrazione mondiale
dell’industria hi-tech. Non sorprende, perciò, che sia stato proprio Brand a
segnalare la difficoltà della valorizzazione economica dell’informazione che,
come disse alla prima Hackers’ Conference del 1984, stava diventando il bene
più prezioso ma, allo stesso tempo, voleva essere libera:
On the one hand information wants to be expensive, because it's so valuable. The right information in the right place just changes your life. On the other hand, information wants to be free, because the cost of getting it out is getting lower and lower all the time. So you have these two fighting against each other11.
Secondo il tecnologo, l’informazione esigeva ormai il proprio prezzo, ma la
sua attribuzione era difficile in un contesto distributivo che diminuiva
progressivamente i suoi costi di produzione. Poiché c’era valore, osservava
Brand, doveva esserci mercato, ma la dinamica aperta e cumulativa che
generava il valore informazionale, era in conflitto con le leggi dell’economia.
La questione posta da Brand verteva, dunque, sul futuro economico delle
reti e su quello di un’informazione largamente accessibile, alla quale diventava
via via più difficile imporre legittimamente la leva del prezzo. Questo argomento
che, sia pure in modo problematico, teneva insieme libertà e prezzo
dell’informazione, avrebbe conosciuto molte declinazioni, tra le quali la celebre
distinzione tra «free as ‘free speech’» e «free as a free beer» a cui Stallman ha
affidato la definizione del free software, quale «matter of liberty, not price»12.
Soprattutto, però, avrebbe rappresentato un elemento della fondamentale
divergenza tra la concezione che affidava al mercato la promozione delle libertà
digitali, e il punto di vista di chi vedeva nel commercio la maggiore insidia per
quelle stesse libertà. Sarà questo, come si vedrà, il luogo polemico delle prime
schermaglie della cyberlaw di Boyle e Lessig con il digitalismo liberale.
Nel 1990, sull’onda dell’indignazione per l’operazione di polizia Sun Devil
contro gli hacker, John Perry Barlow, Mitch Kapor e John Gilmore fondano
l’Electronic Frontier Foundation per «proteggere le libertà civili fondamentali,
comprese la privacy e la libertà d’espressione nell’arena dei computer e di
11 S. BRAND. “Information Wants to Be Free”, estratto del discorso pronunciato alla prima Hackers’ Conference del 1984; http://en.wikipedia.org/wiki/ Information_wants_to_be_free. 12 R. STALLMAN. “The Free Software Definition”, Gnu Operating System; http://www.gnu.org/philosophy/free-sw.html.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
54
internet»13. Con la sua prima uscita pubblica, l’associazione lancia un
importante appello per la difesa dei diritti digitali e la salvaguardia della
Costituzione del cyberspazio contro le violazioni governative del First
Amendment nello spazio digitale. È il vasto movimento d’opinione aperto dalla
fondazione a diffondere le tesi di Barlow e Gillmore che rafforzavano la visione
utopica della rete telematica come spazio qualitativamente nuovo, retto da
regole specifiche, emananti dalle proprietà dell’informazione. Nel clima di
scontro creato dalla mobilitazione dell’EFF e del Free Speech Movement di
Berkley, la Suprema Corte dichiara anticostituzionale il Communications
Decency Act (1997), che istituiva un’autorità con compiti di controllo e censura
di internet, giudicandolo eccessivo rispetto allo scopo e in patente violazione del
First Amendment.
La Dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio, scritta in quell’occasione
da Barlow per ribadire l’alterità di internet e dichiararne la secessione, segna il
momento culminante del digitalismo liberale e, allo stesso tempo, l’inizio del suo
declino. L’utopia telematica non era mai stata più popolare, ma anche meno
convincente. Gli sviluppi di questa concezione puntavano, infatti, sempre più
decisamente, su una visione essenzialista delle tecnologie digitali che fondeva
in una sorta di gnosi moderna la cultura hacker e il culto dei network elettronici,
dei quali si esaltava la capacità autoimmune di sottrarsi al controllo e
all’aggressione governativa:
We are naturally independent of the tyrannies you seek to impose on us […]. Your legal concepts of property, expression, identity, movement, and context do not apply to us. They are based on matter. There is no matter here14.
Il testo di Barlow contiene scarse reminiscenze della visione conflittuale dei
pionieri, ma tutto lo sconcerto di un credo infranto dagli eventi. Quanto era
successo aveva incrinato la fiducia nel potere delle tecnologie e induceva,
ormai, a dubitare che internet avrebbe aggirato spontaneamente la censura,
espungendola come errore di sistema15.
Così, mentre le richieste di regolazione commerciale della rete
13 B. STERLING. “The Hacker Crackdown. Law and Disorder in the Electronic Frontier”, 1990, http://www.mit.edu/hacker/hacker.html. 14 J . P. BARLOW. “A Declaration of the Independence of the Cyberspace”, cit.. 15 Il motto «In Cyberspace the First Amendment is a local ordinance» è di Perry Barlow. A John Gilmore è invece attribuita l’altra celebre frase «The Net interprets censorship as damage and routes around it».
I. Eccezione digitale e cyberlaw
55
cominciavano a intrecciarsi con le politiche censorie16, le facoltà di legge
avevano iniziato a illustrare il funzionamento dei dispositivi legali e a dimostrare
la loro efficacia sulla vita digitale. Stava nascendo quel filone degli studi
cyberlaw, la cui importanza e celebrità internazionale avrebbe finito per far
coincidere il pensiero di Lessig, Boyle e Benkler17 e l’orientamento
dell’Università di Stanford18 con l’intero campo degli studi giuridici su internet.
22..11..33 LLeessssiigg ee llaa ccyybbeerrllaaww
Con i loro interventi pubblici e i brillanti articoli che circolavano in rete for
free19, i cybergiuristi prendevano le distanze da teorie popolarissime, con
l’intenzione esplicita di rinforzare l’apparato critico dei movimenti per le libertà
digitali ed affinarne gli strumenti di comprensione dei cambiamenti in corso.
L’intreccio tra lavoro intellettuale e impegno civile che valse a questi professori
di legge l’appellativo di copyfigthers, è suggellato dall’ingresso di Lessig nel
consiglio direttivo dell’EFF20 e dalla scelta di Pamela Samuelson, docente di
legge dell’Università della California, come avvocato dell’associazione.
Il coinvolgimento nelle stesse campagne per i diritti civili non impediva, in
ogni caso, ai cybergiuristi di muovere critiche radicali agli utopisti e di
denunciare non soltanto la debolezza del loro approccio, ma anche la
16 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, Boston College Review, 43, 2003, (pp. 1-36), http://papers.ssrn.com/abstract_id=388860. Questo aspetto è approfondito nel terzo capitolo. 17 Tra i principali studiosi di questa terza e più nota, ondata di studi cyberlaw sono, oltre a Lawrence Lessig (Stanford University, Direttore dello Stanford Center for Internet and Society, fondatore di Creative Commons), James Boyle (Duke University, cofondatore di Creative Commons) e Yochai Benkler (Harvard e Yale University), oltre a James Balkin (Yale), Julie Cohen (Georgetown University), William Fisher (Harvard, Direttore del Berkman Center for Internet & Society), Jessica Litman (University of Michigan) e Pamela Samuelson (Università della California, avvocato dell’Electronic Frontier Foundation). Della «seconda generazione» di cybergiuristi fanno parte Jonathan Zittrain (Harvard, cofondatore del Berkman Center for Internet & Society) e John Palfrey (Harvard, co-direttore del Berkman Center for Internet & Society). 18 L’home page dello Stanford Center for Internet & Society contiene la seguente autodescrizione: «In the heart of the Silicon Valley, legal doctrine is emerging that will determine the course of civil rights and technological innovation for decades to come. The Center for Internet and Society (CIS), housed at Stanford Law School and a part of the Law, Science and Technology Program, is at the apex of this evolving area of law»; http://cyberlaw.stanford.edu/about. 19 Vale la pena notare come la politica editoriale dei cybergiuristi e delle scuole di legge delle Università americane abbia assicurato una platea internazionale ai loro articoli attraverso la pratica della diffusione in rete dei discussion paper e, più spesso, della pubblicazione elettronica integrale e gratuita dei saggi. L’impulso dato da Lessig e Boyle, tra gli altri, alla pubblicazione open content dei contributi accademici, culminato nel progetto creative commons, ha fatto si che anche i libri dei cybergiuristi, oltre agli articoli e ai saggi brevi, siano tutti, con poche eccezioni, reperibili in rete. 20 Lessig collabora oltre che con l’EFF, con tutte le principali associazioni per le libertà digitali, Free Software Foundation, Public Library of Science, Public Knowledge.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
56
pericolosità della concezione che affidava ad un potere delle tecnologie, ritenuto
buono per essenza, il compito di regolare controversie e dirimere conflitti
nell’ambiente digitale21. Lessig sottolineava, in questo modo, che internet era un
ambiente controllabile, ma anche che la sua regolazione richiedeva un’attenta
valutazione dei rischi connessi alla semplificazione tecnologica della
complessità sociale.
L’impatto del punto di vista di Lessig sul dibattito degli anni ’90 fu fortissimo.
In ambito giuridico si trattava di dare dignità ad un campo di studi che aveva in
Easterbrook e Sommer i più fieri detrattori22. Nel contesto della cultura digitale,
occorreva, invece, contrastare la sterile visione digitalista di un cyberspazio
incontrollabile, separato dal mondo analogico. Dando alle stampe The Law of
the Horse e Code and Other Laws of Cyberspace Lessig conseguiva entrambi
gli obiettivi, fondendo i due ambienti intellettuali in una nuova cultura di internet
che confutava l’indipendentismo utopico e le obiezioni dell’accademia circa la
legittimità del diritto digitale23.
Sia del governo di internet che della sua critica Lessig aveva infatti una
visione alternativa che formulò volgendo contro gli utopisti l’ironica analogia
concepita dal giudice Easterbrook tra la legge del cavallo e l’istituzione di un
diritto speciale del cyberspazio - «there is no more a “law of Cyberspace” than
there is a Law of the Horse» -, tanto impropria quanto lo sarebbe stata la
richiesta di riconoscimento di un diritto equino in difesa di questa specie
animale24. Con il suo sarcasmo sul diritto equino, Easterbrook intendeva
dimostrare l’inesistenza di un dominio di studi e il dilettantismo di chi lo
praticava, sottolineando come in giurisprudenza ogni caso speciale potesse
21 J. BOYLE. “Foucault in Cyberspace. Surveillance, Sovereignty, and Hard-Wired Censors”, Duke Law Journal, 1997, http://www.law.duke.edu/boylesite/foucault.htm; L. LESSIG. In Code and Other Laws of Cyberspace, op. cit., pp. 176-182. 22 F. H. EASTERBROOK, “Cyberspace and the Law of the Horse”, University of Chicago Legal Forum, 207, 1996; http://docs.google.com/gview?a=v&q=cache:WC-JgLTMir8J:www.law.upenn.edu/fac/pwagner/law619/f2001/week15/easterbrook.pdf+Easterbrook+cyberspace+and+law+of+the+horse&hl=it&gl=it. J. H. SOMMER. “Against Cyberlaw”, Berkeley Technology Law Journal, 15, Fall 2000; http://www.law.berkeley.edu/journals/btlj/articles/vol15/sommer/sommer.html. 23 Una scelta che, come si vedrà, non mancherà di condizionare negativamente il pensiero del giurista, consentendogli di convertirsi solo molti anni dopo all’idea di costituzionalizzare il design di internet, estendendo il campo delle libertà civili al riconoscimento delle libertà digitali. Per l’approfondimento di questo aspetto di rinvia al capitolo 4. Dal governo dei conflitti alla governance delle procedure. 24 L. LESSIG. “The Law of the Horse: What Cyberlaw Might Teach”, cit., pp. 501-502.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
57
essere spiegato dai principi generali25. Fu il rovesciamento lessighiano di questa
concezione a fondare la cyberlaw. Il giurista infatti, faceva rilevare come, al
contrario, i principi generali dell’ordinamento siano specificati ogni volta
dall’evoluzione di casi speciali26. In questo modo, lo studioso avanzava la tesi
che avrebbe dominato il discorso digitale nel decennio successivo, facendo
rilevare come i cambiamenti di internet non sarebbero stati limitati allo spazio
cibernetico, ma avrebbero investito la società per intero, proprio a causa della
tensione che lo stato d’eccezione istituito dai tentativi di regolazione di uno
spazio eccezionale, avrebbe immesso nel quadro dei principi ordinamentali27. Il
significato di questa pagina storica della giurisprudenza digitale è concentrato in
questo brano di Jonathan Zittrain:
In the late 1990s, Professor Lessig and others argued that the debate was too narrow, pioneering yet a third strand of scholarship. Professor Lessig argued that a fundamental insight justifying cyberlaw as a distinct field is the way in which technology — as much as the law itself — can subtly but profoundly affect people’s behavior: “Code is law.” He maintained that the real projects of cyberlaw are both to correct the common misperception that the Internet is permanently unregulable and to reframe doctrinal debates as broader policy oriented ones, asking what level of regulability would be appropriate to build into digital architectures28.
Per Lessig, internet non era lo spazio separato che la Declaration aveva
descritto, il cyberspazio era, invece, sottoposto agli stessi vincoli e alle stesse
pressioni regolative del mondo analogico. Invocare un diritto speciale del mondo
digitale era perciò del tutto fuorviante, mentre era necessario pretendere il
rispetto delle libertà costituzionali anche in quell’ambiente, ancora ignoto ai più,
nel quale persino le violazioni più gravi avrebbero potuto essere sottovalutate,
se fosse perdurata l’incomprensione dell’interconnessione tra mondo virtuale e
realtà sociale.
Sotto lo sguardo critico dei cybergiuristi, non solo la strategia difensiva
dell’utopismo digitale mostrava tutti i suoi limiti, ma anche gli assunti del credo
tecnologico cominciavano a evidenziare il loro lato meno seducente29. Si
iniziava a comprendere, ad esempio, come il principio contenuto nel motto di
25 Ivi, p. 501. 26 Ibidem 27 Per l’approfondimento di questa tesi si rinvia al capitolo 4. Dal governo dei conflitti alla governance delle procedure. 28 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 1997. 29 Si rinvia alle pagine seguenti per l’approfondimento della loro critica.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
58
David Clark «we reject kings, presidents and voting. We believe in rough
consensus and running code»30, segnasse uno slittamento quasi impercettibile
da una concezione politica delle tecnologie, quale era stata quella degli hacker,
alla loro elevazione tecnocratica a terreno di soluzione delle problematiche
legali31. La parola passava, quindi, a questo gruppo di giuristi ed avvocati,
impegnato a portare sul terreno del diritto e del dibattito costituzionale il
discorso sulle tecnologie e a mostrare come internet fosse una costruzione
sociale instabile e suscettibile di modifiche potenzialmente antitetiche rispetto al
progetto di emancipazione dei suoi creatori. Come osservava Lessig, infatti,
there is no reason to believe that the foundation for liberty in cyberspace will simply emerge […] Left to itself, cyberspace will become a perfect tool of control32.
Il compito di trasferire il focus del dibattito dal potere delle tecnologie ai
poteri regolativi dello stato e del mercato e di portare i risultati di un discorso
accademico nell’arena pubblica riassume, essenzialmente, il senso
dell’impegno intellettuale e civile di autori come Lessig e Boyle. Se si esamina
Code v2, una delle ultime pubblicazioni di Lessig nella quale il giurista fa il punto
sulla governance di internet, si nota, infatti, la volontà dell’autore di
rappresentare non soltanto l’evoluzione del controllo tecnologico sull’ambiente
elettronico, ma anche il completo rinnovamento del discorso digitale nei sette
anni trascorsi dalla pubblicazione del primo volume.
Nella parte introduttiva del libro, Lessig si sofferma sulle differenze tra il
clima culturale che aveva fatto da sfondo alla pubblicazione di Code and Other
Laws of Cyberspace, nel 1999, e quello che ha accompagnato l’uscita del
secondo volume, nel 2006. È qui che Lessig osserva come di fronte al nuovo
paradigma di controllo delle tecnologie digitali, la nuova versione di Code non
abbia più bisogno di polemizzare con la fiducia nella naturale avversione
30 La sentenza, poi divenuta motto dell’IETF è stata pronunciata da David Clark al MIT nel 1992. Clark è uno degli ingegneri del MIT che ha collaborato alla specificazione dell’architettura end-to-end. Con Saltzer e Reed è autore dell’influente articolo (pubblicato nel 1984 sulla base del documento presentato nell’aprile 1981 alla Second International Conference on Distributed Computing Systems) sulla logica e l’architettura dell’end-to-end, a partire dal quale si comincerà appunto a parlare di end-to-end arguments. J. SALTZER, D. P. REED, D. D. CLARK. “End-to-End Arguments in System Design”, (1981), ACM Journal Transactions in Computer Systems 2, 4, November 1984, (pp. 277-288), http://web.mit.edu/Saltzer/www/publications/endtoend/endtoend.pdf. 31P. A. DAVID. “The Evolving Accidental Information Super-highway. An Evolutionary Perspective on the Internet’s Architecture”, cit., p. 11. 32 L. LESSIG. Code v2, New York: Basic Book, 2006, p. 4; http://codev2.cc.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
59
dell’informazione verso censura e regolazione, ritenuta dagli autori vicini a
Wired il principio di salvaguardia della libertà della rete. Nel 1999, le tesi di
Code intendevano contrastare soprattutto l’opinione di quell’élite tecnologica
che affidava alle proprietà taumaturgiche dell’informazione la capacità di creare
uno spazio di comunicazione separato e retto da regole proprie rispetto al
mondo analogico33. Il compito che Lessig si era assunto in quel contesto, e che
avrebbe poi caratterizzato un intero filone di studi giuridici su internet
consisteva, infatti, nell’indicare le conseguenze per il mondo digitale delle
decisioni assunte nello spazio politico-economico, nonché le ricadute dei
cambiamenti della sfera digitale sull’intero corpo sociale, cioè «even after the
modem is turned», come avrebbe poi detto in Free Culture34. L’indicazione
principale di Code mostrava che internet non era affatto una zona franca
rispetto ai fattori di dominio vigenti nello spazio sociale e che era, dunque,
tempo di abbandonare la visione digitalista, alla quale due anni prima James
Boyle si era riferito con lo sferzante appellativo di Net catechism35.
In quell’articolo del 1997, Boyle aveva evidenziato come i presupposti
ideologici del cyberlibertarianism costituissero un evidente ostacolo
epistemologico alla comprensione del rapporto tra rete, commercio e copyright.
Secondo il professore della Duke, quella concezione fondata sull’idea della
naturale incoercibilità dello spazio informatico36 e sul principio di non
contraddizione tra libertà di mercato e libertà civili era, infatti, costitutivamente
incapace di immaginare che la libertà d’espressione di internet potesse essere
colpita da entità diverse da quella statuale e governativa. Come sottolineava
Boyle, l’approccio dei cyberlibertari si mostrava eventualmente sensibile alla
sola dimensione della sovranità del potere di disposizione sulla rete, mentre
trascurava l’esercizio decentrato del potere di controllo e sorveglianza esercitato
dalla sfera privata37. Richiamandosi espressamente a Foucault, lo studioso
33 «The space seemed to promise a kind of society that real space would never allow—freedom without anarchy, control without government, consensus without power. In the words of a manifesto that defined this ideal: “We reject: kings, presidents and voting. We believe in: rough consensus and running code». L. LESSIG. Code v2, op. cit., p. 2. 34 L. LESSIG. Free Culture. How Big Media Uses Technology and the Law to Lock Down Culture and Control Creativity, New York: The Penguin Press, 2004, p. xiii; http://www.free-culture.org. 35 J. BOYLE. “Foucault in Cyberspace. Surveillance, Sovereignty, and Hard-Wired Censors”, cit., pp. 2-3. 36 «The internet] that it “cannot be governed”; that its “nature” is to resist regulation». L. LESSIG. Code v2, op. cit., p. 31. 37 L. LESSIG. Code v2, op. cit., p. 5.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
60
mostrava tutti i limiti di questo insieme di assunti politico-giuridici «blind towards
the effects of private power», in quanto fondato su
a set of political and legal assumptions that I call the jurisprudence of digital libertarianism, a separate but related set of beliefs about the state's supposed inability to regulate the Internet, and a preference for technological solutions to hard legal issues on-line38.
In questo modo, Boyle faceva rilevare come il tema della soluzione
tecnologica ai conflitti generati in rete emergesse già in associazione alle
supposte proprietà emancipative dell’informazione e, allo stesso tempo, come i
cyberliberali fossero incapaci di pensare non solo la governabilità di internet, ma
anche gli esiti controversi dell’impiego della tecnologia nella soluzione delle
problematiche giuridiche. In riferimento a questo aspetto, è stato soprattutto
Paul David in un suo articolo del 2001, a sottolineare come questa eredità
culturale dell’attuale tecnocrazia informatica sia una delle ragioni per cui
l’introduzione delle protezioni tecnologiche è stata così facilmente inclusa tra le
ipotesi di ottimizzazione del traffico dati in internet e concepita come la
modificazione adattiva di un ambiente, per definizione, capace di
autoorganizzazione,
quite the contrary, for, what is underway essentially is a decentralized, goal-seeking evolutionary dynamic driven by the interests of particular groups of Internet stakeholders. This process continues to draws support from the fusion of liberal individualism and technocracy in the philosophical-political ethos that has become quite pervasive among the community of Internet engineering specialists, and which is predisposed to reject social and legal modes of regulation in favor of finding purely technological mechanisms to address deficiencies in system performance39.
La regolabilità della rete e il ruolo non neutrale degli automatismi tecnologici
erano stati appunto i due aspetti che Boyle aveva tenuto insieme nella sua
critica a Wired, osservando che i dispositivi di controllo «are neither as neutral
nor as benign as they are currently perceived to be»40. Ciò che Boyle
intravedeva nella crittografia e nei meccanismi automatici di regolazione dei
comportamenti è, dunque, la dinamica di un controllo pervasivo e molecolare
38 Ivi, p. 1. 39 P. A. DAVID. “The Evolving Accidental Information Super-highway. An Evolutionary Perspective on the Internet’s Architecture”, cit., p. 16. 40 J. BOYLE. “Foucault in Cyberspace. Surveillance, Sovereignty, and Hard-Wired Censors”, cit., p. 1.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
61
che, secondo recenti studi di ispirazione foucaultiana, costituisce la modalità
specifica di assoggettamento della network society41.
Studi come quelli di Lessig e Boyle, sono stati, quindi, fondamentali per
osservare come il passaggio dalla sfera della produzione di norme a quella del
controllo tecnologico incidesse sul rapporto sociale con l’informazione e
costituisse un cambiamento fondamentale della visione regolativa di internet. È
a partire dai loro lavori, infatti, che il copyright viene indicato come il luogo
primario dell’elaborazione di una nuova governance della rete e il terreno
elettivo di definizione della legittimità dei comportamenti digitali. Boyle, in
particolare, nel pieno della copyright controversy degli anni ‘90, aveva fornito un
importante inquadramento alla riflessione, affermando che la proprietà
intellettuale non era solo lo strumento di distribuzione della ricchezza, del potere
e dell’accesso al sapere nella forma sociale contemporanea, ma la forma legale
per eccellenza - in terms of ideology and rhetorical structure, no less than
practical economic effect42 - di un’età dominata dall’informazione e, dunque, il
principale terreno di scontro per la definizione del modello di società43. La
proprietà intellettuale viene, così, identificata come il campo di battaglia su cui,
nel decennio successivo, si sarebbe giocato il conflitto per la normalizzazione
dell’eccezione digitale.
A dieci anni dalla pubblicazione di A Politics of Intellectual Property, l’avvio
di una governance tecnologica di internet e la convergenza delle principali
problematiche digitali - dalla sorveglianza alla libertà d’espressione – sul terreno
della proprietà intellettuale, hanno confermato la prognosi di Boyle
sull’evoluzione di questo dispositivo. Il copyright si è, infatti, rivelato molto più di
uno strumento di ripartizione della ricchezza nella società informazionale,
quanto il propulsore della grande trasformazione dello spazio digitale nella
quale si ridisegna non solo la nervatura elettronica della network society, ma la
relazione stessa degli individui con l’informazione.
41 I. MUNRO. “Non disciplinary Power and the Network Society”, Organization, 7, 4, 2000, (pp. 679–695), http://org.sagepub.com/cgi/content/abstract/7/4/679. Sulla ripresa delle tesi classiche sul potere nella letteratura sulla società dell’informazione, si sono recentemente soffermati Davide Calenda e David Lyon. D. CALENDA, D. LYON. “Culture e tecnologie del controllo: riflessioni sul potere nella società della rete”, Rassegna Italiana di Sociologia, XLVII, 4, ottobre-dicembre 2006, (pp. 583-584). 42 J. BOYLE. “A Politics of Intellectual Property: Environmentalism For the Net?”, Duke Law Journal, 47, 1996, (pp. 87-114), p. 90, www.law.duke.edu/boylesite/intprop.htm. 43 Ivi, p. 87.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
62
22..22 IIll ddiibbaattttiittoo aammeerriiccaannoo ssuull ccooppyyrriigghhtt eesstteessoo
22..22..11 LLee ffrriizziioonnii ccoossttiittuuzziioonnaallii:: llee eesstteennssiioonnii ddeeii tteerrmmiinnii
To promote the Progress of Science and useful Arts, by securing for limited Times to Authors and Inventors
the exclusive Right to their respective Writings and Discoveries.
Constitution des États-Unis, art. 1, Section 8, Clause 8
Nel sistema giuridico americano, la disciplina della proprietà intellettuale
riveste caratteri costituzionali in virtù dell’Intellectual Property Clause che fissa
nella carta dello stato federale il principio dell’incentivo alla creazione di opere e
invenzioni mediante monopoli temporanei di sfruttamento commerciale.
L’efficacia della dottrina è affidata all’equilibrio temporale delle fasi di chiusura e
di apertura del dispositivo, fondato sul doppio pilastro dello stimolo alla
creazione - assicurato dalla momentanea edificazione delle barriere
monopolistiche - e della diffusione delle innovazioni - garantita dall’estinzione
delle protezioni.
È a partire da questo retroterra ordinamentale che, a metà degli anni ’90, i
professori di legge iniziano a studiare le ripetute estensioni in durata e dominio
di applicazione del copyright che da oltre un decennio avevano cominciato ad
incrinare la legittimità costituzionale del dispositivo. I luoghi polemici della critica
che si sviluppa in questo periodo si trovano efficacemente sintetizzati in un
studio di Pamela Samuelson che indica nella trasformazione della proprietà
intellettuale un preoccupante ritorno al regime premoderno di tutela, la cui
visione assolutista si riattualizza attraverso l’abolizione dei vincoli e delle
limitazioni alla base del copyright moderno44. Secondo la giurista, questa
involuzione si manifesta in una serie di caratteristiche distintive che mostrano
inequivocabilmente il superamento dei fondamenti classici della legge:
1. Consolidation in the copyright industries; 2. The decline of the author/the rise of the work; 3. A decline in the utilitarian and learning purposes of copyright/the rise of profit
maximization; 4. A predicted demise of fair use and other copyright limitations; 5. Perpetual copyrights;
44 P. SAMUELSON. “Copyright, Commodification, and Censorship: Past as Prologue—but to what Future?”, Conference on Commodification of Information, Haifa University, May 1999, ripubblicato in L. GUIBAULT, P.B. HUGENHOLTZ (eds). The Future of the Public Domain, Amsterdam, Kluwer Law International, 2006, (pp. 121–166), p. 5, http://www.ischool.berkeley.edu/~pam/papers/ haifa_priv_cens.pdf.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
63
6. The decline of originality as a meaningful constraint on publisher rights; 7. Excessive pricing; 8. Unclear origins of rights; 9. Private ordering/Private enforcement; 10. The rhetoric of “piracy” and “burglary”; 11. Increased criminal sanctions45
L’analisi del copyright esteso si intreccia, fin dagli inizi, con la critica alla
svolta tecnologica della legge che integrava le reiterate estensioni dei termini
con la previsione di protezioni da installare nelle merci digitali. Le prime ipotesi
di controllo tecnologico erano state avanzate in due simposi del 1993,
organizzati dalla World Information Property Organization (WIPO),
dall’Università di Harvard e dal M.I.T.46 e attraverso il Green Paper che,
circolando in migliaia di copie, le avrebbe portate a conoscenza di un pubblico
più vasto47. Questa fase del dibattito che sfocia, sul piano decisionale, negli
accordi internazionali del 1994 (TRIPs agreement) e nel più tardo recepimento
americano del Digital Millennium Copyright Act (1999)48, evidenzia la marcata
lontananza della riflessione regolativa dallo spirito della tutela classica del
copyright. Nel momento in cui internet diviene una rete commerciale, il rapporto
finale dell’Information Infrastructure Task Force affronta infatti il tema
dell’accesso all’informazione come una variabile della sicurezza del copyright,
strettamente dipendente dalla capacità del sistema di assicurarne l’enforcing
nell’ambiente telematico:
It is important to recognize that access needs of users [….] have to be considered in context with the needs of copyright owners to ensure that their rights in their works are recognized and protected. One important factor is the extent to which the marketplace will tolerate measures that restrict
45 Ivi, pp. 5-10. 46 “Technological Strategies for Protecting Intellectual Property in the Networked Multimedia Environment”, cosponsored by the Coalition for Networked Information, Harvard University, Interactive Multimedia Association, and the Massachusetts Institute of Technology, April 2-3, 1993; “Copyright and Technology: The Analog, the Digital, and the Analogy”, WIPO Worldwide Symposium on the Impact of Digital Technology on Copyright and Neighboring Rights, March 31 - April 2, 1993. 47 Il Green Paper è il documento aperto (discussion paper) elaborato dall’Information Infrastructure Task Force (IITF), istituita nel febbraio 1993 dall’amministrazione Clinton per approfondire i problemi legali di internet, con particolare riguardo alla la difesa della proprietà intellettuale nell’ambiente digitale. Per la critica della versione definitiva (libro bianco), si veda: P. SAMUELSON. “The Copyright Grab », Wired, January 1996 ; http://www.wired.com/wired/archive/4.01/white.paper_pr.html. 48 Come avverrà più tardi per la Brodcast Flag Provision, le forti resistenze dell’opinione pubblica americana all’introduzione delle protezioni tecnologiche, avevano convinto la WIPO a portare la costruzione delle politiche digitali sul piano internazionale, introducendole successivamente negli USA per effetto della rafica dell’accordo.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
64
access to or use of a copyrighted work. Conversely, without providing a secure environment where copyright owners can be assured that there will be some degree of control over who may access, retrieve and use a work, and, perhaps most importantly, how to effectuate limits on subsequent dissemination of that work without the copyright owner's consent, copyright owners will not make those works available through the [network]. Technology can provide the solutions for these needs. Technological solutions exist today and improved means are being developed to better protect digital works through varying combinations of hardware and software. Protection schemes can be implemented at the level of the copyrighted work or at more comprehensive levels such as the operating system, the network or both49.
22..22..22 LLee ffrriizziioonnii ccoossttiittuuzziioonnaallii:: iill ccoonnttrroolllloo tteeccnnoollooggiiccoo
L’ulteriore rafforzamento della proprietà intellettuale prefigurato
dall’introduzione del controllo tecnologico, solleva una forte opposizione tra i
cybergiuristi che lo interpretano come l’esito conclusivo della metamorfosi
incostituzionale del dispositivo, culminata nella sua formulazione propriamente
post-moderna. La perdita dell’equilibrio costituzionale degli interessi vedeva
infatti nelle misure annunciate un’improvvisa accelerazione che completava la
parabola regressiva dell’istituto giuridico.
Secondo la cyberlaw, l’avvento della tutela tecnologica era, dunque, sia uno
degli aspetti di declino della forma classica del copyright, sia l’elemento capace
di comprometterne definitivamente l’equilibrio di sistema, fondato storicamente
sul bilanciamento degli interessi pubblici e privati, nonché sulla limitazione in
durata e potestà dei monopoli proprietari. In quest’ottica, il Digital Rights
Management viene visto come la fase conclusiva di un’involuzione oscurantista
della proprietà intellettuale, caratterizzata dal passaggio da normative di tipo
pubblico, talvolta collegate a garanzie di rango supremo – come nel caso
americano -, a un sistema privatistico di protezioni basato sulla centralità del
contratto, sull'esecuzione tecnica dei diritti e sull'abbandono del regime delle
eccezioni.
Come osservava Samuelson, l’analogia con l’età feudale era meno ardita di
quanto potesse sembrare. Il copyright, infatti, dopo aver emancipato i creatori
dalla necessità del mecenatismo ed essere diventato in età moderna uno
strumento di protezione della libertà d’espressione, aveva ormai reciso i suoi
49 INFORMATION INFRASTRUCTURE TASK FORCE. “Intellectual Property and The National Information Infrastructure”, September 1995, p. 178; http://www.uspto.gov/go/com/doc/ipnii/ipnii.pdf.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
65
legami con la libertà di parola, tornando ad associarsi alla censura50. Lessig e
Julie Cohen evidenziavano come in questa metamorfosi radicale, la proprietà
intellettuale stesse perdendo ogni riferimento al diritto pubblico, per trasformarsi
in un sistema di regole private fondato sul contratto, nel quale i meccanismi
tecnologici vigilavano sull’esecuzione dei diritti in luogo della giurisdizione:
Trusted systems are one example of code displacing law. A second is the law of contracts. There has been a great deal of talk in cyberspace literature about how, in essence, cyberspace is a place where “contract” rather than “law” will govern people’s behavior51.
[This] economic vision […] is alive and well on the digital frontier. Its premises — the sanctity of private property and freedom of contract, the sharply delimited role of public policy in shaping private transactions, and the illegitimacy of laws that have redistributive effects — undergird a growing body of argument and scholarship concerning the relative superiority (as compared with copyright) of common law property and contract rules for protecting and disseminating digital works52.
Con l’approvazione del DMCA, la cyberlaw insorge contro l’improvvisa
cancellazione del regime secolare delle eccezioni e delle dottrine del fair use e
del first sale, superati di fatto da una legge che riconsegnava ai proprietari quei
poteri di disposizione assegnati dalle corti a particolari usi dei beni protetti. In
base a queste decisioni giurisprudenziali, dovevano essere considerati
eccezioni al copyright gli usi legati all’insegnamento e alla pubblica lettura, oltre
che, quelli connessi all’archiviazione, all’attività giudiziaria, di intelligence e per
altri fini governativi, alla decompilazione del software e alla ricerca sulla
crittografia.
Operando in regime di common law, la nuova normativa non cancellava
formalmente il diritto consuetudinario, lo rendeva semplicemente inesigibile. Il
50 P. SAMUELSON, “Copyright, Censorship and Commodification: past as prologue—but to what future?”, cit., pp. 10-11. 51 L. LESSIG. “The Law of the Horse: What Cyberlaw Might Teach”, cit., p. 528. Lessig polemizza, implicitamente, con una delle affermazioni della Declaration di Barlow: «We are forming our own Social Contract. This governance will arise according to the conditions of our world, not yours. Our world is different» (testo citato), e con la concezione esposta da Johnson e Post in “Law and Borders” (cit), esposta estesamente nel 4.1 Lex informatica come lex mercatoria. 52 J. E. COHEN. “Lochner in cyberspace: the new economic orthodoxy of "rights management", Michigan Law Review, 97, 1998, pp. 2-3; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=128230. Sul ruolo della nuova normativa americana sul contratto (UCITA) nella regolazione dei rapporti in rete si veda: E. T. MAYER. ” Information Inequality: UCITA, Public Policy and Information Access”, Center for Social Informatics SLIS, Indiana University, 2000, http://rkcsi.indiana.edu/archive/CSI/WP/wp00-06B.html.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
66
sistema giuridico permetteva, infatti, a chiunque venisse accusato di infrazione
al copyright e ritenesse di trovarsi in una delle fattispecie di eccezione, di
appellarsi ad una corte di giustizia per essere sollevato dall’imputazione. Poiché
le protezioni tecnologiche operano ex ante, la loro introduzione rendeva di fatto
impossibile questo tipo di tutela, eliminando uno dei principi di bilanciamento
fissati dalle garanzie costituzionali della legge. Chi avesse voluto avvalersi delle
eccezioni avrebbe dovuto, da quel momento in poi, chiederne il permesso.
Agli occhi dei cybergiuristi gli esiti del DMCA erano illogici, oltre che
eversivi, perché consegnavano all’America una cultura burocratizzata e
paralizzata da mille vincoli di accesso. Faceva scalpore, ad esempio, la notizia
che il lavoro accademico di Edward Felten, tra i più noti scienziati informatici
americani e docente all’Università di Princeton, era divenuto legalmente
controverso, dopo il divieto di decompilazione introdotto dalla norma53.
I professori americani e i giuristi europei che iniziavano a recepirne il
dibattito, formulano, dunque, un giudizio netto sulla svolta tecnologica del
copyright, sostenendo che i vincoli tecnologici sull’uso dei beni digitali e le
nuove modalità di esecuzione dei diritti inaugurano l’epoca di un diritto
privatizzato54 che non ha più a monte una visione complessiva della società da
regolare, quanto interessi privati da massimizzare55 anche attraverso forme di
autotutela generalizzata fin qui previste dal diritto come eccezione. Con un
volume dedicato agli errori della legge (copywrongs) il sociologo dei processi
culturali Siva Vaidhyanathan, tira le somme del dibattito giuridico, osservando
come, avendo cessato di difendere il pubblico interesse, il copyright americano,
abbia perso di vista l’obiettivo originario
to encourage creativity, science, and democracy. Instead, the law now protects the producers and taxes consumers. It rewards works already created and limits works yet to be created. The law has lost its mission and
53 J. E. COHEN. “The Place of User in Copyright Law”, Fordham Law Review, 74, 2005, p. 365; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=814664. 54 L. LESSIG. “The Law of the Horse: What Cyberlaw Might Teach”, Harvard Law Review, 113, 1999, (pp. 501-546), p. 528, http://cyber.law.harvard.edu/publications. 55 Dusollier, Poullet e Buydens hanno evidenziato come la nuova proprietà intellettuale sia passata dalla protezione della creatività e dell’innovazione alla difesa degli investimenti: S. DUSOLLIER, Y. POULLET, M. BUYDENS. “Droit d’auteur et accès à l’information dans l’environnement numérique”, Troisième Congrès international de l’UNESCO sur les défïts éthiques, juridiques et de société du cyberespace INFOéthique 2000, Paris, 17 juillet 2000, p. 6 ; http://unesdoc.unesco.org/images/0012/001214/121406f.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
67
the American people have lost control of it56.
Sul piano internazionale, la visione della cyberlaw della svolta tecnologica
trova accoglienza al congresso dell’Unesco del 2000, dedicato ai problemi etici,
giuridici e sociali del cyberspazio, nel cui contesto si pone l’accento
sull’affermazione di un nuovo regime di gestione dei diritti «protegé[s] par la loi
et par la technique et [où] la technique elle-même est protegée comme telle par
la loi»57. Si sottolinea, così, come il nuovo sistema di tutele tecno-giuridiche
intervenga in modo coercitivo sul rapporto degli utenti con l’informazione, dal
momento che l’effrazione stessa dei lucchetti digitali viene inclusa tra i
comportamenti illeciti. In Francia e in Italia, Michel Vivant e Roberto Caso
osservano come, in virtù di tale funzionamento, i sistemi di DRM rappresentino
un potente strumento di normalizzazione delle relazioni con l’informazione58 con
il quale i titolari dei diritti di proprietà «traducono direttamente in realtà» le
specifiche contrattuali contenute nelle licenze d’uso, così che i comportamenti
degli utenti, dalla copia alla visualizzazione, fino alla sanzione e alla revoca dei
permessi, coincidano perfettamente con le clausole del contratto d’acquisto59.
22..22..33 LLaa ccrriissii ddii lleeggiittttiimmiittàà ddeell ccooppyyrriigghhtt
Lo spirito polemico che anima i cybergiuristi si riflette nelle dichiarazioni di
Pamela Samuelson che, insistendo sulla dubbia legittimità delle protezioni
digitali, fa notare come queste tecnologie non riguardino tanto la gestione di
“diritti” propriamente intesi - termine che nel gergo giuridico allude alle
prerogative dei titolari – quanto l’autorizzazione selettiva verso certi tipi di uso
che punta a comprimere le facoltà degli utenti, così che l’acronimo DRM
dovrebbe essere letto più correttamente come Digital Restriction Management60.
Secondo questa concezione, il DRM è, infatti, uno strumento di contrasto delle
56 S. VAIDHYANATHAN. Copyrights and Copywrongs: The Rise of Intellectual Property and How it Threatens Creativity, New York, London: New York University Press, 2001, p. 4. 57 S. DUSOLLIER, Y. POULLET, M. BUYDENS. “Droit d’auteur et accès à l’information dans l’environnement numérique”, cit., p. 41. 58 M. VIVANT. “Les droits d'auteur et droits voisins dans la société de l'information”, Actes de colloque organisé par la Commission française pour l'Unesco, 28-29 novembre 2003, Bibliothèque Nationale de France, Paris, p.165. 59 R. CASO, Digital Rights Management. Il commercio delle informazioni digitali tra contratto e diritto d’autore, cit., p. 77. 60 P. SAMUELSON. “DRM {and, or, vs} the Law”, Communications of the ACM, April 2003, 46, 4, (pp. 41-45); http://www.ischool.berkeley.edu/~pam/papers/acm_v46_p41.pdf, p. 42.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
68
forme di elusione del copyright che colloca il controllo sul labile confine del
«play but not copy, transport but not distribute»61, accomunando nell’illegalità
una varietà di comportamenti digitali che va dall’uso personale dei contenuti (fair
use), all’impiego in contesti di studio e ricerca (exceptions), fino alla
condivisione dei file in rete (file sharing).
Proprio l’eterogeneità di tali comportamenti, legati al nuovo rapporto tra
creazione e usi sociali dell’informazione e tra produzione e consumo di
contenuti, permette di osservare come il fine del contenimento delle infrazioni al
copyright, abbia ricadute molto più profonde del disciplinamento di una sfera di
illegalità cibernetica. Se si osserva in quali contesti si produca il deficit di
efficienza delle garanzie patrimoniali che il DRM contesta alla tutela
tradizionale, lo si rintraccia infatti, non solo nel duplicato dei supporti (CD) o
nella copia distribuita (P2P) ma in un insieme di pratiche d’uso spesso lecite o
protette dal diritto consuetudinario. In questo modo, sembra riproporsi sul piano
tecnologico la tendenza del copyright ad estendere l’appropriazione su aree di
dominio pubblico che Boyle aveva paragonato alle enclosures britanniche a
danno dei pascoli comuni62. Ciò che le protezioni tecnologiche recintano è,
infatti la possibilità di qualunque utilizzazione eccedente la fattispecie
dell’accesso pagante ai contenuti63.
Secondo il giurista inglese Christopher May, questa estensione di fatto del
copyright che assorbe, insieme al fair use, la zona grigia delle utilizzazioni dei
beni digitali, configura un paradossale indebolimento della legge e un nuovo
elemento di crisi per la tenuta del suo piano discorsivo:
The collapse of the norms of social value, both at the global level, and at the national level where owners’ rights have been privileged through the legal protection of DRM technologies, has also led to the widening collapse of social acceptance of the normative value of the central justification
61 T. GILLESPIE. “Designed to ‘effectively frustrate’: copyright, technology and the agency of users”, cit., p. 651. 62 J. BOYLE. “The second enclosures movement and the construction of the public domain”, Law and Contemporary Problems, 33, winter/spring 2003, (pp. 33-74), http://law.duke.edu/journals/lcp/articles/lcp66dWinterSpring.htm. 63 Secondo Pamela Samuelson il più importante caso di soppressione del fair use del XXI secolo è il progetto di “libreria universale” a cui sta lavorando Google, con il quale l’azienda si propone di fornire accesso a pagamento a libri introvabili, fuori catalogo e non più protetti da copyright. P. SAMUELSON. “Legally Speaking: The Dead Souls of the Google Booksearch Settlement”, O’Really Radar, April 17, 2009; http://radar.oreilly.com/2009/04/legally-speaking-the-dead-soul.html.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
69
narratives which have supported IPRs for some centuries64.
Al declino delle narrazioni sulle quali si erano fondati il copyright e il diritto
d’autore, viene infatti a sommarsi la rimozione di un certo grado di elusione del
copyright, a favore di «a set of private interest that are not regarded as
legitimate»65. Il senso della riflessione di May si comprende guardando alla
comparsa di alcuni elementi di rottura che, nel contesto del copyright
anglosassone, si innestano soprattutto sulla scarsa capacità dell’attuale
dispositivo normativo di legarsi ai principi della protezione della cultura e della
promozione dei fini pubblici66. L’enunciazione di tali fini si scontra, infatti, con la
forza dei monopoli industriali e con il restringimento delle prerogative degli utenti
nell’uso delle merci informazionali che evidenzia la contraddizione tra le
promesse della digitalizzazione e l’approfondimento delle barriere d’accesso al
sapere. Scrive, infatti, il Free Expression Policy Projet:
We seem to be moving toward a "pay per view" society where the information, inspiration, and ideas contained in creative works of all kinds are becoming increasingly expensive and difficult to obtain — just at the time, ironically, that the Internet offers the promise of unprecedented global linkage and communication67.
A sua volta, il principio della tutela dell’autore su cui si fonda la tradizione
francese e continentale del «diritto d’autore» è sfidato sia dal declino delle
categorie estetiche e giuridiche della creatività intellettuale, che dalla condizione
del lavoro intellettuale nel contesto industriale68, particolarmente sfavorevole
64 C. MAY. “Digital rights management and the breakdown of social norms”, cit., p. 23. Burk e Gillespie hanno invece sostenuto che l’enforcing tecnologico dei diritti, toglie a quello legale la legittimità prodotta dalla scelta dei cittadini di aderire al dispositivo morale contenuto nella legge: «[…] every time this citizen chooses to obey the law, they offer that system a tiny bit of legitimacy, both in their own mind and on a societal level […] A preemptive restraint, such as DRM, evacuates this sense of agency». D. L. BURK, T. GILLESPIE. “Autonomy and Morality in DRM and Anti-Circumvention Law”, tripleC, 4, 2, (pp. 239-245), 2006, p. 242, http://tripleC.uti.at. 65 C. MAY. “Digital rights management and the breakdown of social norms”, cit., p. 23. 66 Circa le origini storiche di questa visione della proprietà intellettuale, Christopher May ha ripreso l’idea braudeliana secondo la quale «although as yet not a fully fledged public interest in innovation, a preliminary version of the central balance between public benefits of dissemination (as well as wide use) and the private rewards ‘required’ to encourage intellectual activity is evident (Braudel 1981, ed. ingl., pp. 433-434)». Secondo May, dunque, la prima espressione della limitazione dei diritti privati a fini pubblici va rintracciata nel Venetian Moment e non invece, come generalmente si sostiene, nel più tardo Statute of Anne (1710), la legge britannica di due secoli più tarda, nella quale tale concezione ha ricevuto una formulazione esplicita. C. MAY, S. SELL, Intellectual Property Rights. A Critical History, cit., p. 61. 67 FEPP. “The Progress of Science and Useful Arts. Why Copyright Today Threatens Intellectual Freedom. A Public Policy Report”, http://www.fepproject.org. 68 Sulla condizione contemporanea dell’autore e l’utilizzo strumentale di questa figura nel discorso pubblico sulla proprietà intellettuale si veda Florent LATRIVE. Du bon usage de la piratérie. Culture
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
70
all’autore nella dottrina americana del work-for-hire, in base alla quale la
paternità dell’opera è direttamente attribuita all’impresa che ha fornito i mezzi di
sostentamento al suo lavoro. Si evidenzia così come, nonostante l’integrazione
internazionale della proprietà intellettuale, la diversità dei fondamenti giuridici
delle tradizioni francese e anglosassone giustifichi ancora la speculare
debolezza dei diritti dell’autore nel sistema americano - focalizzato sulla difesa
dei fini pubblici - e della pubblica utilità nelle legislazioni fondate sul droit
d’auteur, sprovviste di garanzie costituzionali sulla limitazione dei monopoli. Il
recente confronto tra le due fondazioni giuridiche non sembra, però aver
sostenuto ipotesi innovative, visto che i giuristi americani che hanno difeso la
legittimità del copyright esteso e tecnologico, hanno cercato fuori
dell’ordinamento statunitense, nel retroterra europeo dell’individualismo
possessivo e nelle remote radici lockeane condivise dal copyright e dal diritto
d’autore, le ragioni della difficile difesa d’ufficio della loro legge69.
Va comunque, osservato, che la crisi di fondamento delle narrative della
proprietà intellettuale a cui May ha fatto riferimento, non sembra rappresentare
un elemento di fragilità della governance del copyright. La tendenza a spostare
la regolazione di internet dalla giurisdizione all’amministrazione, persegue infatti
l’efficacia in stato d’eccezione, al di là delle garanzie generali dell’ordinamento
democratico. Nella governance di internet, questo slittamento, connaturato alle
misure tecnocratiche, si appoggia alla dichiarazione di uno stato di conflitto che
indebolisce i diritti degli utenti, facendo leva sulle strutture retoriche della
sicurezza cibernetica. L’emergenza dichiarata in relazione al dilagare degli usi
illegali, sembra così richiamare l’antica previsione del diritto romano, nel quale
la dichiarazione dello stato di guerra (iustitium) annunciava la sospensione delle
garanzie giuridiche70. Ciò spiegherebbe la ragione per cui nel discorso del
libre, sciences ouvertes, Paris, Exil Editeur, 2004, (pp. 170), p. 98]. Sulla revisione dei concetti di originalità e titolarità dell’opera che fanno parlare d’«un droit d’auteur … qui échappe à l’auteur», si veda M. VIVANT. Les Créations immatérielles et le droit, Paris : Ellipses, 1997, p. 52 . Di crisi delle categorie giuridiche ed estetiche del droit d’auteur ha, invece, parlato Roger Chartier nel suo lavoro dedicato all’evoluzione del libro e in un’intervista a Le Monde. R. CHARTIER, Le livre en révolutions : entretiens avec Jean Lebrun, Paris, Textuel, 1997, e "Le droit d’auteur est-il une parenthèse dans l’histoire?" Le Monde, 18 décembre 2005. 69 D. MCGOWAN. “Copyright Nonconsequentialism”, Missouri Law Review, 69, 1, 2004; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=540243. 70 Il iustitium romano è, secondo Agamben la forma paradigmatica dello stato d’eccezione. «Il termine iustitium - costruito esattamente come solstitium – significa letteralmente ‘arresto, sospensione del diritto’: quando ius stat – spiegano etimologicamente i grammatici – sicut solstitium dicitur […]». G. AGAMBEN. Stato d’eccezione, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, p. 13.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
71
copyright l’elusione della legge è l’argomento con cui si giustifica la flessione del
diritto e la soppressione degli usi legittimi71.
Ci dedicheremo all’approfondimento di questi aspetti nella seconda parte,
per il momento facciamo osservare come proprio perché il fair use è
considerato uno degli elementi del bilanciamento costituzionale degli interessi, il
suo superamento tecnologico ha reso visibili ai commentatori americani altri
importanti risvolti delle politiche dell’emergenza applicate al cyberspazio72. Ciò
motiva infatti la focalizzazione su questo tema non solo del dibattito giuridico
degli anni ‘90, ma anche di quello tecnologico, nel cui contesto si è cercato di
fornire risposta alla polemica aperta dai professori di legge. Il gruppo di lavoro
che sviluppa gli standard tecnologici del DRM ha, infatti, replicato alle obiezioni
dei cybergiuristi che la problematica potrà essere affrontata attraverso la ricerca
di una maggiore espressività dei linguaggi che definiscono i diritti (Rights
Expression Language, REL)73.
Con questo auspicio, il Learning Technology Standards Committee – un
comitato tecnico operante all’interno dell’associazione americana degli
ingegneri (IEEE) – affida, dunque, al progresso tecnologico, il compito di recare
soluzione alle difficoltà determinate dallo spostamento sul piano tecnico di
problematiche di natura legale. Sembra, però, evidente che anche nel caso che
l’attuale intrattabilità delle eccezioni trovi risposta in una specificazione
informatica più accurata dei diritti, le questioni di fondo dell’accesso e dell’uso
dell’informazione restano fuori del campo di intervento tecnico. Non solo, infatti,
la descrizione informatica dei diritti tende a sopperire all’arretramento della loro
definizione giuridica, approfondendo la disparità di potere contrattuale tra
produttori e utenti ma, soprattutto, una visione riduzionista di tali questioni non
sembra strutturalmente in grado di offrire soluzioni all’impatto sociale del DRM,
poiché queste misure modificano l’ambiente digitale introducendovi esternalità
negative apprezzabili solo a partire dalla visione complessiva delle dinamiche
su cui incidono.
A questo argomento è legata l’analisi degli studiosi americani di Internet
71 Questo aspetto caratterizza, infatti, la legittimazione zittrainiana delle misure tecnologiche discussa nel paragrafo 3.2. 72 Si veda, alla pagina seguente, la riflessione degli studiosi di Internet governance Solum e Chung. 73 IEEE - Learning Technology Standards Committee Digital Rights Expression Language Study Group. “Towards a Digital Rights Expression Language Standard for Learning Technology”, http://xml.coverpages.org/DREL-standardDraft.doc.
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
72
governance Lawrence Solum e Minn Chung i quali, ponendosi da punto di vista
della public choice hanno, infatti, evidenziato come le politiche che si affidano a
misure tecnocratiche (incrementalism), offrano forse ai decisori le migliori
opportunità di valutazione di costi e benefici di ogni scelta, ma neghino loro il
controllo del quadro d’insieme:
In the context of Internet regulation, however, incrementalism is a poor institutional strategy for three reasons: 1. Incrementalism leads to a scope of decision problem—the tyranny of small decisions; 2. Incrementalism is ill suited to decisions in informational environments characterized by ignorance, that is in situations in which there is uncertainty that cannot be reduced to risk; 3. Incrementalism requires that low-level decision makers, legislators, judges, and administrators possess certain institutional capacities that they almost always lack74.
Portando alla luce le deficienze dell’approccio tecnocratico, i due studiosi
sottolineano così la necessità che la regolazione dello spazio digitale adotti
strategie adeguate alla sua complessità, abbandonando le politiche dettate
dall’urgenza e ispirate alla semplificazione tecnologica, effetto nefasto di
un’ignoranza delle condizioni che tende a leggere l’incertezza come rischio.
Con questo studio, Solum e Chung integrano le riflessioni della cyberlaw
applicando un modello di analisi scarsamente utilizzato in questo ambito75.
Negli anni in cui la produzione scientifica di questa scuola di legge è stata
dominata dal pensiero di Lessig76, la critica alla svolta tecnologica ha infatti
tradizionalmente preferito un approccio fondato sull’analisi costituzionale e sui
rilievi di illegittimità a provvedimenti difficilmente giustificabili col principio della
pubblica utilità. Lessig vede, infatti, l’introduzione dei sistemi di DRM come una
misura che va oltre il perseguimento dei fini dichiarati, in quanto implica una
significativa redistribuzione dei poteri dagli utenti ai detentori di diritti. Nella sua
prospettiva, l’iniquità della previsione è attestata dalle sue conseguenze, le
quali implicano il rimodellamento della fisionomia complessiva dei processi di
produzione e fruizione della cultura, trasformando una cultura dell’accesso,
quale era stata quella americana, in una cultura del permesso:
74 L. SOLUM, M. CHUNG. "The Layers Principle: Internet Architecture and the Law", cit., p. 34. 75 Tra le poche eccezioni si veda il saggio di J. E. COHEN. “Lochner in cyberspace: the new economic orthodoxy of ‘rights management’”, cit.. 76 Come si vedrà nel terzo capitolo, molti elementi attestano il declino del pensiero lessighiano nell’attuale panorama cyberlaw.
I. Eccezione digitale e cyberlaw
73
[…] what is important about fair use is not so much the value of fair use, or its relation to matters of public import. What is important is the right to use without permission. This is an autonomy conception. The right guaranteed is a right to use these resources without the approval of someone else77. The opposite of a free culture is a “permission culture”—a culture in which creators get to create only with the permission of the powerful, or of creators from the past78.
Le osservazioni di Tarleton Gillespie, docente del Dipartimento di
Comunicazione della Cornell University e collega di Lessig al Center for Internet
& Society di Stanford, aggiungono alla critica del giurista una sfumatura persino
più pessimistica. Lo studioso osserva, infatti, come filtri e sistemi di controllo
modifichino essenzialmente la postura dell’utente di fronte alla tecnologia,
trasformando la sua propensione ad interagire con gli strumenti tecnologici in
un consumo docile e passivo dei contenuti digitali:
Not only is the technology being designed to limit use, but to frustrate the agency of its users. It represents an effort to keep users outside of the technology, to urge them to be docile consumers who ‘use as directed’ rather than adopting a more active, inquisitive posture towards their tools. In other words, welding a car hood shut makes a difference not only for what users can and cannot do, but for the way in which they understand themselves as ‘users’ – whether having agency with that technology is even possible, even conceivable79.
Gli spunti polemici che nel lavoro lessighiano si appuntano sugli effetti
collaterali di un perseguimento eccessivo dell’interesse privato, si traducono
così nella denuncia di una politica che riduce le possibilità di interazione con la
tecnologia, come possibilità di indirizzamento dei consumi verso forme
tradizionali di fruizione dei media. Un’interpretazione che si ritrova nella critica
di Vaidhyanathan il quale, nel contesto del dibattito sulla Brodcast Flag, ha visto
nel provvedimento istitutivo l’avvento di un controllo remoto delle pratiche
culturali legate alla sfera digitale80, e in quella di Benkler, il quale ha evidenziato
che l’esito dello scontro per la ridefinizione delle regole del cyberspazio
preciserà le modalità future con le quali gli utenti produrranno e consumeranno
dati e informazioni, stimolandone l’attitudine ad interagire con i media o a
77 L. LESSIG. “The Law of the Horse: What Cyberlaw Might Teach”, cit., p. 527. 78 L. LESSIG. Free Culture, op. cit., p. XIV. 79 T. GILLESPIE. “Designed to ‘effectively frustrate’: copyright, technology and the agency of users”, cit., p. 653. 80 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit..
1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale
74
ricevere passivamente le proposte dei produttori di contenuti81.
Questo dibattito evidenzia, quindi, la capacità della fase classica della
cyberlaw di pensare in profondità l’evoluzione della proprietà intellettuale nella
società dell’informazione e di fornire alla critica dell’Internet governance i suoi
argomenti decisivi, mostrando come il copyright sia al tempo stesso il principale
terreno di scontro per la normalizzazione del cyberspazio e un tentativo di
governo dell’eccezione che non resta senza conseguenze sulla network society,
coinvolgendo oltre alle culture digitali, le modalità di produzione, accesso e
distribuzione della conoscenza del XXI secolo. Il diritto lessighiano giunge a
questi risultati grazie all’assimilazione della visione costruttivista della tecnica
che lo mette in grado di denunciare le implicazioni politiche di un uso delle
tecnologie che il dibattito tecnico degli anni ’90 dichiara invece neutrale e
improntato ai soli criteri di efficienza. Nella sezione seguente affrontiamo quindi
l’opposta evoluzione di questi due dibattiti che tornano a convergere solo di
recente nel lavoro teorico di Jonathan Zittrain, concludendo la stagione critica
della cyberlaw lessighiana.
81 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., p. 385.
II. Il governo dell’eccezione
75
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
76
II.
IL GOVERNO DELL’ECCEZIONE
------------------------------------ Questa sezione ripercorre le tappe della formazione delle politiche di
controllo tecnologico, con particolare riferimento all’evoluzione del dibattito
ingegneristico e alle trasformazioni della cyberlaw, la quale tende a sostituire
alla prima fase critica un orientamento tecnocratico che abbandona lo sguardo
costituzionale per un approccio performativo alla regolazione del file sharing. Le
conseguenze politico-giuridiche del governo dell’«eccezione», consistente
nell’adozione di misure in grado di fare di internet un ambiente sicuro per le
transazioni commerciali, sono esaminate attraverso la critica dei giuristi liberali
alla legge informatica e alle sue ricadute sull’organizzazione della vita sociale
nelle società tecnologicamente avanzate.
II. Il governo dell’eccezione
77
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
78
3.
DDiirriittttoo ppeerrffoorrmmaattiivvoo ee iinnggeeggnneerriiaa ddeellllaa rreettee
79
Le prime sperimentazioni della governance tecnologica prendono forma
con le misure varate in Pennsylvania per contrastare l’accesso minorile alla
pormografia e con alcune decisioni delle corti di giustizia in materia di
diffamazione commerciale il cui ricorso al controllo informatico si trasferisce
rapidamente sul terreno della difesa del copyright.
Mentre le politiche moralizzatrici di alcuni stati americani inaugurano le
pratiche di tracciamento e sorveglianza del traffico digitale e le condanne per
diffamazione irrobustiscono la difesa del marchio comprimendo la libertà di
parola, la ricerca informatica si differenzia nei due settori del trusted system e
dell’internet enhancement dando vita ad una nuova concezione del controllo
nella quale la difesa del copyright si fonde con i restanti problemi della sicurezza
informatica e si progettano le modifiche ai protocolli di comunicazione volte a
rimodellare lo spazio telematico in funzione delle esigenze di sviluppo
commerciale.
L’efficacia performativa delle soluzioni tecnologiche ai conflitti di internet
non resta senza influenza nell’evoluzione della cyberlaw, al cui interno si forma
una nuova generazione di studiosi che, distaccandosi dalla prospettiva
costituzionalista, legittima l’introduzione delle misure di controllo, innestando nel
corpus critico della tradizione lessighiana le istanze di sicurezza provenienti dai
dibatti ingegneristici, incaricandosi di moderarle quando incompatibili con la
salvaguardia dell’innovazione. Con l’avvicinamento dei professori di diritto alla
cultura tecnocratica contro la quale era sorta la dottrina di Lessig e Boyle, il
discorso digitale sembra così di fronte ad una nuova svolta, nella quale si
afferma una visione inedita di internet, della sua sicurezza e dei suoi pubblici, in
grado di dialogare con il peculiare approccio informatico alla soluzione delle
tensioni sociali in rete.
L’osservazione delle trasformazioni che il conflitto sulla distribuzione delle
copie immette nella governance di internet si svela così sempre più cruciale per
la comprensione dell’evoluzione delle società innervate tecnologicamente.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
80
33..11 LL’’eevvoolluuzziioonnee ddeellllee ppoolliittiicchhee ddii ccoonnttrroolllloo
33..11..11 LLaa ffoorrmmaazziioonnee ddeell cclliimmaa ppoolliittiiccoo aammeerriiccaannoo ee llaa ggeenneessii ddeellllee mmiissuurree tteeccnnoollooggiicchhee
Come si è visto nel capitolo precedente, negli anni immediatamente
precedenti l’apertura commerciale di internet era già iniziato il dibattito sulle
forme di protezione della proprietà intellettuale in un ambiente che rendeva
possibile la circolazione incontrollata delle copie. La discussione verteva in
particolare intorno al cosiddetto dilemma digitale, con il quale la teoria
economica esprimeva la difficoltà di valorizzazione dell’informazione in
presenza di costi minimi di duplicazione e di un ambiente telematico capace di
rendere virtualmente illimitata la distribuzione delle copie:
For publishers and authors, the question is: How many copies of the work will be sold (or licensed) if networks make possible planet-wide access to any electronic copy of a work? Their nightmare is that the number is one1.
Gli economisti descrivevano questa disfunzione come il problema del bene
quasi-pubblico, un modello teorico in cui l’efficienza distributiva generata dalla
virtuale assenza di costo della copia, entra in conflitto con l’incentivo alla
produzione della prima unità del bene2. In questa condizione, senza la
possibilità di generare scarsità ed esclusione dal consumo, il ciclo economico
entra in un’incapacità di produrre valore nota come fallimento del mercato3. Il
passaggio al digitale sembrava, dunque, inaugurare una stagione di crisi della
proprietà intellettuale, la cui sola possibilità di sopravvivenza era affidata alla
capacità della norma di riprodurre artificialmente le condizioni della distribuzione
commerciale, emulando il contesto di scarsità della realtà materiale4.
La questione del copyright aveva perciò una posizione di primo piano tra le
resistenze sollevate da internet, la cui rivoluzione del controllo prometteva di
1 P. SAMUELSON, R. M. DAVID. “The Digital Dilemma: A Perspective on Intellectual Property in the Information Age“, cit., p. 4. 2 J. BOYLE. Shamans, Software and Spleens: Law and The Construction of the Information Society, Cambridge: Harvard University Press, 1996, p. 31. 3 Y. BENKLER. “Intellectual Property and the Organization of Information Production”, cit., p. 83. 4 «The most important role that IPRs play generally, and specifically of importance in an ‘information society’, is the formal construction of scarcity (related to knowledge and information use) where none necessarily exists». C. MAY. “Between Commodification and ‘Openness’. The Information Society and the Ownership of Knowledge”, Electronic Law Journal, Issue 2 & 3, 2005, p. 3; http://www.geocities.com/salferrat/chaucsher.htm. Si veda anche “Openness, the knowledge commons and the critique of intellectual property”, 12, December 2006; http://www.re-public.gr/en/wp-print.php?p=88.
II. Il governo dell’eccezione
81
spostare drasticamente sul lato dell’utente le facoltà di costruzione, selezione e
uso dei contenuti informativi. La sovrapposizione del valore d’uso dei beni
digitali al loro valore di scambio era, infatti, una conseguenza dell’efficienza
distributiva della rete che rendeva accessibili i beni collocati presso qualsiasi
nodo, rendendo superflua l’autorizzazione dei titolari dei diritti5. L’obsolescenza
della proprietà intellettuale rappresentava quindi, a tutti gli effetti, un aspetto
della destabilizzazione provocata dalla generale disintermediazione dei processi
comunicativi legata ad internet6.
Secondo questa chiave di lettura, proposta da Benkler in Net Regulation:
Taking Stock and Looking Forward, lo zeitgeist regolativo degli anni ’90 può
essere compreso a partire dalla necessità di ristabilire il controllo sull’uso
dell’informazione, nel momento in cui le caratteristiche del nuovo medium
sembrano sovvertire i principi di base del consumo culturale, della
comunicazione pubblica e di quella interpersonale. In questo articolo del 1999,
Benkler si prefiggeva infatti di spiegare il disordine apparente dei provvedimenti
adottati in quegli anni dal legislatore americano, che spingeva l’analisi a
to identify a type of Internet regulation that cuts across many substantive legal areas. This type concerns instances in which the Internet has destabilized existing modes of controlling information7.
Piuttosto che dedurre dall’eterogeneità dell’azione regolativa un segnale di
difficoltà del governo del digitale, l’attenzione dello studioso cade sulla logica
che aveva selezionato le tipologie informazionali oggetto dei provvedimenti, per
concludere che la diffusione della pornografia, la diffamazione commerciale e il
controllo del copyright rappresentano i domini elettivi della sperimentazione di
«a new pattern of control over the information flows on the Net»8. L’apparente
caoticità dell’intervento regolativo, si spiegava perciò con l’applicazione di una
sorta di test generale, somministrato su larga scala per la selezione del miglior
5 Y. MOULIER BOUTANG. "Enjeu économique des nouvelles technologies dans la division cognitive du travail", (Communication au Séminaire de Brescia, 9-10 février 1999), in Postfordismo e nuova composizione sociale, Rapporto CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Brescia, 2000; http://www.tematice.fr/fichiers/t_article/40/article_doc_fr_Moulier_Boutang.pdf. 6 «Ten, even five, years ago, it was conventional to talk about the Internet as a tool for disintermediation […]. But, while we’ve seen a small but appreciable amount of direct distribution, there’s even more consumer-to-consumer distribution». J. LITMAN. “Sharing and stealing”, cit., pp. 6-7. 7 Y. BENKLER. “Net Regulation: Taking Stock and Looking Forward”, 1999, p. 50; http://ssrn.com/abstract=223248. 8 Ivi, p. 30.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
82
farmaco contro la crisi di sistema provocata dalle reti.
Tra le questioni che internet sollevava, il problema della diffusione di
materiali pornografici e della loro accessibilità ai minori si presentava come un
tema sensibile, capace di portare il dibattito regolativo sul piano dell’emotività e
dell’enunciazione dei valori. L’oscenità divenne, perciò, l’argomento capace di
mutare in sospetto le incertezze di giudizio e catalizzare il moral panic in
relazione ai nuovi comportamenti digitali.
La costruzione di un clima di inquietudine intorno al nuovo medium trova
conferma nella concentrazione dell’allarme mediatico sulla pornografia digitale9
e nella convinzione di alcuni studiosi che fosse proprio la circolazione di questo
tipo di materiali, insieme all’infrazione al copyright, a trainare lo sviluppo di
internet10. Nel 1995, ad esempio, viene diffusa una rilevazione del Computer
Emergency Reponse Team (CERT) che stimava nel 50% l’incidenza dei
contenuti pornografici sul totale dell’informazione circolante11. Analogamente, in
ambito giuridico, l’evidente sopravvalutazione del fenomeno, non impedisce a
Zittrain di sostenere, in un testo del 2003, che la pornografia è uno dei motori di
crescita di internet, sia come fenomeno di consumo, che in relazione alla
circolazione fraudolenta di materiale osceno protetto da copyright. In Internet
Points of control, il giurista cita infatti in nota i dati corretti della presenza in rete
del porno (1,5%), ma commenta:
Pornography is said to be among the earliest and most popular uses to which new media are put. The mainstream development of the global Internet carries on that tradition, augmented by the unauthorized swapping of proprietary material. Empirical data is difficult to acquire, but if a packet were randomly plucked and parsed from the data flowing through the Internet’s backbones, chances are good that it would be a piece of something prurient, pilfered, or both12.
Poiché imbattersi casualmente nel porno rappresenta un’esperienza
comune, la constatazione che questo materiale rappresenta una percentuale
trascurabile del traffico dati, passa così in secondo piano. Il giurista harvardiano
lascia a interpreti meno sofisticati l’identificazione di internet con la diffusione di
9 J. ROSEN. “The End of Obscenity”, The New Atlantis, summer 2004; http://www.thenewatlantis.com/archive/6/jrosenprint.htm. 10 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, Boston College Review, 43, 2003; http://papers.ssrn.com/abstract_id=388860. 11 S. LEMAN-LANGLOIS. "Le crime comme moyen de contrôle du cyberespace commercial”, Criminologie, 39, 1, 2006, p. 1; http://www.crime-reg.com/textes/cybercrime.pdf. 12 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, cit., p. 1.
II. Il governo dell’eccezione
83
comportamenti immorali, ma il suo giudizio corrobora il moral panic sull’oscenità
digitale e tende ad associare l’immagine della rete all’illegalità tout court. È in
questo clima di allarme che, alcuni anni prima, il congresso americano aveva
iniziato a fissare i parametri di controllo dei contenuti circolanti in internet,
portando l’iniziativa legislativa sul terreno dell’accesso minorile al porno. Come
commenta ironicamente Benkler, con il Communications Decency Act:
[…] we see heavy attention to protecting children from sexual assault, which for some reason is linked in the minds of legislators with computers, and therefore leads to enhanced penalties for child sexual abuse if a computer was used in perpetrating it13.
La legittimazione del nuovo pattern di controllo passava, infatti, per un
allarme sulle infrazioni al codice morale che individuava nella rete l’agente
principale della sua crisi. Jessica Litman ha osservato, al riguardo, come
l’argomento della difesa dei minori sia stato il principale strumento di
promozione dell’idea che internet dovesse essere controllata e, allo stesso
tempo, la tematica capace di occultare all’attenzione del pubblico le implicazioni
di politica generale del controllo dell’informazione:
While the public's attention on Internet-related issues was absorbed with smut control, and the media debated the pros and cons of censorship and hardcore porn, big business persuaded politicians of both political parties to transfer much of the basic architecture of the Internet into business's hands, the better to promote the transformation of as much of the Net as possible into a giant American shopping mall14.
Dello stesso avviso è anche Manuel Castells:
Nel tentativo di esercitare il controllo su internet il Congresso e il Dipartimento della Giustizia americani hanno utilizzato l’argomento che fa vibrare una corda in ognuno di noi: la protezione dei bambini dai pervertiti che vagano in Internet15.
Se ci si sposta dal piano della rappresentazione a quello dell’elaborazione
delle misure di controllo, si può osservare come, nei primi anni ’90, l’ingegneria
informatica inizi a differenziare due settori di ricerca, dedicati alla progettazione
dei sistemi affidabili (trusted system) e alla revisione dell’architettura di internet
(Internet enhancement). Su impulso dei consorzi commerciali e delle task force
13 Y. BENKLER. “Net Regulation: Taking Stock and Looking Forward”, cit., p. 12. 14 J. LITMAN. “Electronic Commerce and Free Speech”, 29 June 2000, p. 1; http://www-personal.umich.edu/~jdlitman/papers/freespeech.pdf. 15 M. CASTELLS. Internet Galaxy, 2001, trad. it. Galassia Internet, Milano: Feltrinelli, 2002, p. 162.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
84
federali, il programma operativo del trusted system si specializza così nella
ricerca di base del controllo informatico e nella definizione di metodi crittografici
per l’identificazione delle azioni da autorizzare o interdire nell’utilizzo dei
dispositivi elettronici. Nel contesto dell’Internet enhancement, gli ingegneri
informatici cominciano, invece, ad occuparsi delle modifiche al design e agli
standard di comunicazione, progettando le risposte, al livello dei sistema
telematico, sia alla domanda di sicurezza proveniente dagli attori commerciali e
regolativi, sia alla richiesta di condizioni idonee allo sviluppo di particolari servizi
(quality-of-service)16.
È in questi centri di ricerca che nasce una nuova concezione del controllo.
Nei laboratori della sicurezza tecnologica non si elaborano, infatti,
semplicemente gli strumenti informatici a supporto del sistema dato di norme e
garanzie, ma una nuova strategia regolativa che imprime modifiche sostanziali
all’insieme preesistente di regole. Nel momento in cui lo sguardo tecnologico si
applica alla soluzione delle problematiche giuridiche, queste tendono, infatti, a
cambiare statuto, perché dal punto di vista dei sistemi affidabili il controllo della
copia o quello dei virus non sono che aspetti del più generale problema della
sicurezza. Con le metodologie trusted, l’attivazione del controllo di sistema sulle
routine di base dei programmi informatici, abbatte i confini delle singole tutele,
fondendo il controllo del copyright con quello dei virus, delle intrusioni, e delle
restanti problematiche cibernetiche. I sistemi di gestione dei diritti consistono,
infatti, in tecnologie crittografiche che non attivano un controllo specifico sulla
duplicazione, ma la rendono impossibile attraverso una serie di operazioni che
identificano l’indirizzo IP degli utenti, certificano l’origine e l’autenticità dei
software, impediscono l’esecuzione dei programmi non riconosciuti, controllano
i flussi e l’immagazzinamento dei dati nella memoria dei sistemi informatici e
bloccano il funzionamento dei processi non autorizzati.
Il passaggio al digitale implica così la perdita di singolarità delle
problematiche giuridiche, di modo che l’introduzione dei DRM nella tutela del
copyright comporta non solo l’abolizione delle forme marginali di utilizzo dei beni
protetti, ma anche che questo tipo di illegalità venga inclusa in un corpus di
rischi cibernetici definito dalla strategia unitaria con cui lo si contrasta. Con la
16 Per quality-of-service si intende un insieme di accorgimenti tecnici pensati per supportare servizi avidi di banda, come il VOIP e lo streaming video. L’importanza di queste misure nella revisione del design è presentata nelle pagine seguenti.
II. Il governo dell’eccezione
85
filosofia trusted, proprietà, transazioni e siti istituzionali sono visti come obiettivi
sensibili di un’unica modalità di aggressione, modellata sull’intrusione hacker e
sull’aggiramento tecnologico delle protezioni. In questo modo, l’affinità tra le
problematiche generiche della sicurezza telematica e il rischio della proprietà
intellettuale entra con evidenza intuitiva nei modelli formali di analisi della
letteratura tecnica:
Since digital rights management problems in many ways resemble traditional information security issues, we posit that the formal threat model analysis of systems security is particularly useful in testing the robustness of a given system against a range of attacks. The efficacy of the flag is thus tested with a threat model analysis in the context of several digital rights management goals. We find that, while the flag would not successfully keep content off the Internet, it might offer content providers several other concrete benefits in controlling their content, including blocking heretofore popular consumer behaviors and shifting the balance of content control towards the copyright holder17.
Ciò evidenzia come il trusted system sia un potente aggregatore dei fattori
di instabilità digitale che cominciano ad essere pensati a partire dai sistemi di
protezione pensati per combatterli. È Zittrain a far notare, implicitamente, questo
aspetto, scrivendo una storia della regolazione tecnologica che sottolinea la
fungibilità dei sistemi di controllo nelle varie fattispecie d’applicazione18. Internet
Points of control prende, infatti, avvio dai provvedimenti contro la pornografia,
per mostrare come gli strumenti elaborati in questo contesto possano essere
impiegati anche nella prioritaria lotta alla pirateria, ed evidenziare la superiorità
del controllo tecnologico rispetto alla tradizionale via normativa al contrasto
dell’illegalità. In virtù di questo approccio, lo studio si disinteressa della natura e
delle condizioni di sviluppo della nuova concezione del controllo – fulcro della
riflessione di Lessig e della cyberlaw, in generale - per adottare un approccio
performativo che fa propria la visione dei sistemi affidabili, verificandone
l’efficacia nei diversi contesti di sperimentazione.
Il giurista si concentra, perciò, sull’aggiornamento delle strategie regolative
della pornografia dopo l’insuccesso del Decency Communications Act (DCA), il
17 A. FRIEDMAN, R. BALIGA, D. DASGUPTA, A. DREYER. “Underlying Motivations in the Broadcast Flag Debate”, Telecommunications Policy Research Conference, Washington DC, September 21, 2003, p. 1; http:// www.sccs.swarthmore.edu/users/02/allan/broadcast_flag_debate.pdf. 18 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, cit., p. 2; e ID. “A History Of Online Gatekeeping”, Harvard Journal of Law & Technology, 19, 2, Spring 2006, p. 254; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=905862.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
86
quale non solo si era rivelato debole sotto il profilo costituzionale ma,
soprattutto, si era limitato a criminalizzare l’accessibilità minorile ai contenuti
osceni, senza predisporre misure idonee per combatterla19. Poiché l’autore
tende a dare un respiro storico al suo lavoro di ricerca sulle filosofie di
regolazione, l’articolo propone un’accurata ricostruzione sia del fallimento del
primo tentativo di controllo digitale, giocato sul terreno della legge e della
moralizzazione della comunicazione da molti a molti, sia dell’elaborazione
dell’insuccesso del DCA nelle successive politiche regolative di internet.
Come indicato dal titolo, l’intervento pone l’accento sul primo episodio di
coinvolgimento degli Internet Service Provider nelle politiche di controllo, messo
in atto in Pennsylvania nel 2002 per disabilitare l’accesso ai siti porno degli
indirizzi IP localizzati nel paese20. Zittrain evidenzia, in proposito, come
l’iniziativa pennsylvana non possa dirsi del tutto immune dalle criticità
costituzionali del DCA, ma resti valida nell’approccio, poiché inaugura una
nuova forma di regolazione di internet in grado di minimizzare l’incidenza
dell’illegalità e proteggere la valorizzazione nelle reti digitali21. La sua efficacia
non sarà infatti più messa in discussione, così che è proprio a partire da questa
campagna antipornografia e dalle innovazioni giurisprudenziali introdotte in
alcuni casi di diffamazione commerciale, che viene riconosciuto il ruolo
strategico dei gatekeeping della rete nella costruzione delle politiche di
sicurezza.
Come spiega lo studioso, fino alla fine degli anni ’90, ai fornitori di
connettività era riconosciuta l’irresponsabilità nei confronti dell’informazione
circolante sulle reti, poiché si era estesa a queste figure di intermediari la
concezione regolativa del telefono, centrata sulla separazione delle
infrastrutture dai contenuti trasportati22. Questa banale analogia professionale si
era però rivelata inadatta a sostenere le crescenti esigenze di controllo di un
traffico anonimo e assai diverso da quello telefonico, spingendo legislatori e
19 Si veda, in questo caso, la più ampia esposizione di “A History Of Online Gatekeeping”, cit., p. 261. 20 Sul ruolo censorio degli intermediari nelle politiche della nuova regolazione di internet, si veda S. F. KREIMER. “Censorship by Proxy: the First Amendment, Internet Intermediaries, and the Problem of the Weakest Link”, University of Pennsylvania Law Review, 155, 2006; http://lsr.nellco.org/upenn/wps/papers/133. 21 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, cit., p. 19. 22 T. GILLESPIE. “Engineering a Principle: ‘End-to-End’ in the Design of the Internet”, Social Studies of Science, 36, 3, 2006, p. 18; http://dspace.library.cornell.edu/bitstream/1813/3472/1/Gillespie-+Engineering+a+ Principle+(pre-print).pdf.
II. Il governo dell’eccezione
87
giudici a considerare l’ipotesi di assimilare gli ISP agli editori, attribuendo loro lo
stesso statuto di responsabilità vigente per la stampa. Applicata ad internet, la
separazione del controllo sui contenuti da quello sull’infrastruttura non poteva,
infatti, che rafforzare il mito della rete anarchica, impossibile da controllare
perche, diversamente dal telefono, non aveva interruttori e «nessuno poteva
spegnerla»23.
Il vecchio paradigma regolativo comincia a sgretolarsi con il Digital
Millennium Copyright Act (1998) il quale, benché non contraddica ancora il
principio end-to-end dell’assenza di controllo nello strato logico della rete,
incrina il fondamento normativo della governance di internet, legalizzando le
misure tecnologiche al livello dei beni digitali. In altri termini,
through […] Digital Millennium Copyright Act (DMCA), information regulation is leaving the realm of human judgment and entering a technocratic regime instead24.
Rivoluzionario sotto questo aspetto, il DMCA nasce obsoleto rispetto alla
dislocazione del controllo, a causa della sua focalizzazione sul primo corno del
dilemma digitale, incentrato sulla duplicazione dei supporti e sull’effrazione dei
lucchetti e non sulla circolazione dei file25. Le forti resistenze che avevano
accompagnato l’evoluzione della governance di internet non avevano, infatti,
permesso al legislatore americano di considerare la responsabilizzazione dei
provider e introdurre le prime forme di controllo nel middle, individuando negli
ISP gli interruttori che la rete avrebbe potuto avere.
Questo ritardo appare ancora più vistoso se si osserva come i processi per
diffamazione del ‘95 e ‘96 contro gli operatori commerciali CompuService e
Prodigy guardassero già in questa direzione. Con l’elaborazione di questi casi,
la giurisprudenza americana cominciava, infatti, a ipotizzare l’inclusione del
tracciamento e dei filtri nelle strategie di governo di internet, contribuendo a
definire una nuova politica di coinvolgimento (commerciale) e
responsabilizzazione (penale) dei fornitori di connettività. In Europa, questo
approccio è stato recepito dalla IPRED2 che ha costituito la base normativa
della correità degli operatori telefonici nei processi al P2P, di cui uno dei primi
23 C. MCTAGGART. “A Layered Approach to Internet Legal Analysis”, McGill Law Journal, 48, 2003, p. 576; http://www.journal.law.mcgill.ca/abs/vol48/4mctag.pdf. 24 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit., p. 128. 25 T. GILLESPIE. “Engineering a Principle: ‘End-to-End’ in the Design of the Internet”, cit., p. 18.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
88
episodi è stata l’incriminazione dell’host Scarlett Extended al quale, nel 2007,
una corte di giustizia belga ha intimato l’adozione di filtri del traffico come
misura dissuasiva della condivisione dei file.
Come osservato da Litman e dallo stesso Zittrain, gli strumenti ispirati dai
processi per diffamazione, poi testati nella repressione del porno, dovevano
diventare l’asse portante delle politiche del copyright26 e del suo progetto di
riforma di internet. Nel momento in cui la comparsa di Napster sembra
concretizzare le peggiori previsioni del dilemma digitale, teorie e metodi della
sicurezza informatica sono, infatti, pronti per essere impiegati in un diverso
contesto, in attesa di trattamento giuridico e di test di efficienza sulle nuove
criticità. Con il cambio di millennio si apre, così, una nuova fase della guerra del
copyright che, dopo la battaglia sul fair use, affronta i nodi del funzionamento
delle architetture e della neutralità.
La decompilazione dei sistemi anticopia (DeCSS) e la circolazione degli
Mp3 nelle reti di file sharing dimostravano, infatti, che l’inasprimento delle
misure normative e l’introduzione dei dispositivi tecnologici nelle merci digitali
non erano sufficienti a contenere la circolazione illegale dei materiali protetti,
visto che i sistemi di controllo della copia continuavano ad essere neutralizzati
dalle stesse tecnologie concepite per proteggerla27. Sembrava quindi acclarato
che finché regolatori e utenti avessero posseduto gli stessi strumenti, il ciclo di
vita di ogni sistema di controllo si sarebbe mantenuto assai breve. Si ipotizza,
così, che la causa principale dell’aggiramento del controllo consista nel
potenziale innovativo delle tecnologie digitali, ovvero nella stessa capacità degli
strumenti di produrre algoritmi di soluzione ai problemi informatici. Attestata su
una visione marcatamente tecnologica delle dinamiche conflittuali di internet,
frutto dell’egemonia culturale esercitata dalle élite informatiche nel contesto
regolativo americano, la governance del digitale produce, così, una serie di
misure tecno-normative mirate alla reingegnerizzazione dei dispositivi
informatici, allo scopo di limitare la capacità delle macchine di riprodurre,
duplicare e immagazzinare opere protette.
26 J. LITMAN. “Electronic Commerce and Free Speech”, cit., p. 6. 27 Riferendosi alla diffusione del DeCSS, Ian CONDRY ha osservato che «the US recording industry spent years with the Secure Digital Music Initiative, hoping to find some way effectively to lock up digital music, but when the format was released, it took only weeks to identify fundamental weaknesses». I. CONDRY. “Cultures of Music Piracy: An Ethnographic Comparison of the US and Japan”, cit., p. 350.
II. Il governo dell’eccezione
89
33..11..22 IIll BBrrooaaddccaasstt FFllaagg ee ggllii aarrggoommeennttii ddeellllaa qquuaalliittyy--ooff sseerrvviiccee
Il primo passo in questa direzione è mosso, nel 2002, dalla Broadcast Flag
Provision28, la misura normativa che ha posto le condizioni per lo sviluppo
commerciale di uno standard di restrizione universale da applicare ai dispositivi
digitali. Con questa legge, varata tra accese contestazioni e bloccata due anni
dopo da un provvedimento giudiziario29, il legislatore americano si è prefisso di
contrastare la copia e la circolazione illegale dei contenuti televisivi a
pagamento, attraverso la limitazione delle funzioni di ogni strumento o
applicazione informatica che:
(A) reproduces copyrighted works in digital form; (B) converts copyrighted works in digital form into a form whereby the
images and sounds are visible or audible; or (C) retrieves or accesses copyrighted works in digital form and transfers or
makes available for transfer such works to hardware or software described in subparagraph B30.
Il provvedimento fissava i parametri della produzione di uno standard unico
di protezione, prevedendo, in caso di inadempienza dei produttori di tecnologia,
il subentro della Federal Communications Commission (FCC) nel lavoro di
specificazione informatica della misura. L’obiettivo della norma consisteva,
dunque, nel fornire il quadro dei bisogni a cui il futuro standard dovrà
rispondere, riassumibili nell’ibridazione per decreto delle funzionalità del
personal computer con quelle della televisione digitale e nell’interdizione di
qualunque software non riconosciuto sulla nuova piattaforma tecnologica.
La radicalità del provvedimento, unita alla novità rappresentata dal profilo
insolitamente direttivo del legislatore americano - che si sostituisce al mercato
nel guidare il progresso tecnologico - ha generato una strenua opposizione nel
mondo accademico. Tra i critici più intransigenti, Vaidhyanathan ha sostenuto
che la broadcast flag è il punto di arrivo di una electronic cultural policy dal
profilo marcatamente antidemocratico che
pushes the […] information ecosystem toward a condition of disequilibrium, igniting unpredictability where all yearn for stability and proprietary restrictions where many yearn for openness. Understandably, there is a
28 Il titolo integrale della norma è Consumer Broadband and Digital Television Promotion Act (CBDTPA). 29 I particolari della controversia legale sono stati forniti a p. 39. 30 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2024.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
90
creative and political backlash31.
Zittrain ha, invece, evidenziato il potenziale distruttivo della misura,
evocando un futuro tecnologico senza innovazione32. Lo studioso segnala,
infatti, che la messa a regime dei nuovi tag di restrizione avvierà la
trasformazione del computer in una macchina semplificata, abilitata
all’esecuzione di poche procedure predefinite sul modello dei comuni
videoregistratori digitali già in commercio (TiVo, Replay TV). Efficace dal punto
di vista della sicurezza, la fine del computer come macchina non specializzata
esita così nell’annichilimento del suo potenziale innovativo33. È perciò
necessario trovare l’elemento di equilibrio tra la difesa dell’innovazione e
l’efficacia regolativa assicurata dalle tecnologie di controllo34.
La particolare durezza del confronto sulla legge, ha rallentato
considerevolmente il suo percorso attuativo, spingendo la World Intellectual
Property Organization (WIPO) ad intraprendere nuovamente la strada del
negoziato internazionale per aggirare le resistenze del pubblico americano35. In
questo modo, mentre la norma veniva bloccata negli Stati Uniti, un nuovo
accordo ha riavviato il processo decisionale della protezione dei contenuti
televisivi, proponendo ai paesi aderenti all’organizzazione mondiale del
commercio la creazione di una proprietà intellettuale sui generis che permetterà
ai broadcaster, piuttosto che ai titolari di copyright, di controllare lo sfruttamento
dei diritti36. Oltre a non prevedere eccezioni per copie ad uso domestico, il testo
del trattato non distingue tra i contenuti protetti e quelli in pubblico dominio, così
31 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit., Ivi, p. 132. 32 Oltre a “The Generative Internet”, il provvedimento è discusso in The Future of the Internet and How to Stop It, (op. cit., pp. 108-110) e nelle interviste a Wired, January, 15, 2007; http://www.wired.com/wired/archive/15 .01/start.html?pg=15 e “How to Save the Internet (And Why It Needs Saving)”, Harvard Business Online, June 11, 2007; http://conversationstarter.hbsp.com/2007/06/can_the_internet_be_saved.html. 33 Si noterà che la riflessione su generatività e mancanza di specializzazione, riecheggia in qualche modo l’argomento della neotenia dell’antropologia filosofica di Arnold Gehlen. 34 Come si vedrà nel prossimo paragrafo, Zittrain osserva la focalizzazione dei regolatori sul fatto che «controls are structurally weak when implemented on generative PCs. So long as the user can run unrestricted software and can use an open network to obtain cracked copies of the lockeddown content, trusted systems provide thin protection», concludendo che, stante l’attuale orientamento della governance tecnologica, è impossibile salvare la generatività del personal computer e di internet, senza garantire la sicurezza nella rete. J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2024. 35 La stessa modalità d’azione è stata infatti adottata in occasione del DMCA (approvato negli USA tre anni dopo il TRIPs agreement) e, nel momento in cui si scrive, nelle fasi preliminari della definizione dell’ACTA, il nuovo accordo internazionale sulla proprietà intellettuale. 36 WIPO. “Consolidated Text for a Treaty on the protection of Broadcasting Organization”, Eleventh Session, Geneva, June 7-9, 2004, http://www.wipo.int/documents/en/meetings/2004/sccr/pdf/sccr\11\3.pdf.
II. Il governo dell’eccezione
91
che, una volta recepito nelle legislazioni nazionali, anche i materiali liberi da
copyright saranno riappropriati e ricondotti ad un regime di fruizione vincolato37.
Commentando questo esito, Vaidhyanathan ha evidenziato come, dopo i
diritti musicali, anche nel caso dei contenuti televisivi lo spettro della pirateria
digitale sia agitato per introdurre forme di controllo dimostratesi inefficaci contro
il P2P, ma estremamente invasive dei consumi culturali più comuni:
These radical changes have been hard on the legitimate users of copyrighted materials and irrelevant for those who flaunt laws and technological controls. Librarians worry while pirates flourish38.
Benché non perda il suo carattere retorico, l’appello «about preventing the
“Napsterization of digital television”»39 solleva, comunque, un problema
concreto. Il senso di queste misure si comprende, infatti, alla luce
dell’evoluzione che ha interessato la televisione a partire dalla fine degli anni
’80, dopo la differenziazione della piattaforma analogico-terrestre nelle modalità
di trasmissione via cavo, digitale terrestre e satellitare, e l’aggiornamento dei
modelli di business, passati dalla gratuità generalista assistita dalla pubblicità al
consumo pagante. Nel nuovo contesto è quindi divenuto prioritario assicurare il
controllo delle trasformazioni tecnologiche e dei network di condivisione che
rendono gratuita la distribuzione di contenuti televisivi protetti40.
Il file sharing si esprime, infatti, in questo ambito con piattaforme come
Sopcast, un peer-to-peer Tv player il cui software, liberamente scaricabile in
versione beta, permette la visione sincrona di materiale trasmesso in pay-per-
view, o come Mogulus e Joost, esperimenti di sharing e social networking, a cui
si ispira anche la nascente Net TV, che permettono di costruire e condividere
palinsesti televisivi sia con mirror di contenuti premium che con materiali
autoprodotti41. Questi software non proprietari, sostengono pratiche che
riproducono sul piano televisivo lo stesso caos distributivo provocato dalla
condivisione degli Mp3 dei primi network di condivisione. Il rilancio gratuito dei
37 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit., p. 129. 38 Ivi, p. 128. 39 J. HEALEY.” FCC Chairman Sets New Deadline for Digital Technology Media”, The Los Angeles Times, 2002, April 5, p. 1. «Chris Cookson from Warner Brothers described digital television as a “great risk” because the technology may enable technologically savvy viewers to retransmit TV content on the internet», citato da M. CASTAÑEDA. “The Complicated Transition to Broadcast Digital Television in the United States”, Television & New Media, May 2007, p. 102; http://tvn.sagepub.com/cgi/content/abstract/8/2/91. 40 Http://www.sopcast.com; http://www.mogulus.com; http://www.joost.com. 41 T. TESSAROLO. Net tv. Come internet cambierà la televisione per sempre, Roma: Apogeo, 2007.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
92
contenuti video bypassa, infatti, regolarmente, tanto le misure di controllo,
decrittando i programmi televisivi trasmessi in pay-per-view, che i presupposti
nazionali della distribuzione a pagamento, rendendo accessibili su internet i
programmi trasmessi in chiaro in stati diversi da quelli che esigono il pagamento
dei diritti. Particolarmente interessato da quest’ultima fattispecie è il calcio.
Sopcast, ad esempio, permette ai suoi utenti di seguire in streeming le partite di
Champions League e del campionato italiano di serie A, trasmesse in chiaro in
Cina. Rispetto alla rivoluzione dell’Mp3, l’estensione della condivisione alla
televisione si preannuncia, così, ancora più problematica di quella che ha
interessato l’industria musicale nei primi anni 2000, visto che la tv non è solo
una delle merci principali dell’economia globale, ma anche il contesto di
valorizzazione delle altre merci e il loro principale bacino pubblicitario.
Oltre al problema dei diritti, la trasmissione di video live compete con il P2P
anche per questioni di banda - il solo bene (ancora) genuinamente scarso nello
spazio digitale. La distribuzione illegale di audiovisivi rappresenta, infatti, uno
dei principali fattori di congestione dell’infrastruttura fisica di rete. Allo stesso
tempo, il video streaming e il telefono su internet hanno bisogno di contare su
un’ampia capacità di trasmissione e su precisi tempi di ricostituzione del flusso
dati, pena la compromissione del segnale e l’abbassamento della qualità del
servizio. La visione di un video live ad alta definizione necessita, infatti, di una
capacità di trasmissione di almeno 30 fermo immagine (frames) per secondo.
Questo tipo di servizi si sviluppa, perciò sia attraverso l’implementazione di
algoritmi di compressione del segnale42, che attraverso la ricerca di soluzioni
dinamiche (active network) in grado di facilitare l’accesso alla banda dei servizi
più esigenti in termini di spazio.
Per questa ragione, il campo di ricerca dell’active network o quality-of-
service (Internet enhancement) rappresenta il terreno di incontro delle politiche
di sviluppo dei nuovi servizi commerciali e delle azioni di contrasto al P2P. Ciò
in quanto la capacità della rete di riconoscere e identificare il traffico dati, è il
fattore indispensabile sia dell’accelerazione dello streaming, sia
dell’intercettazione del flusso informativo generato dal file sharing. La misura
proposta dagli ingegneri come soluzione ai due problemi, è l’immissione di
software intelligenti nel middle di internet, capaci di discriminare tra tipi di
42 Ivi, p. 90.
II. Il governo dell’eccezione
93
informazione circolanti in rete e di assegnare alle informazioni video o, in
generale, dotate di valore economico, la priorità di traffico sulle altre. Si
progetta, in altri termini, il superamento dell’indifferenza delle rete rispetto
all’informazione trasportata, ovvero l’abolizione della sua neutralità.
Attualmente, infatti, il sistema di trasmissione dei dati opera in regime di
best effort; si attesta, cioè, su un livello performativo di media efficienza,
facendo «meglio che può» per consegnare i dati, riassemblando i pacchetti
entro un tempo medio di latenza che, in particolari condizioni di traffico, può
risultare eccessivo per assicurare la continuità dell’ascolto della voce o la
visione di video ad alta definizione43. In un contesto commerciale, il fatto che il
best effort non garantisca né i tempi, né l’avvenuta consegna, contrasta, inoltre,
con l’esigenza contrattuale di specificare le caratteristiche del servizio per
poterne fissare il prezzo.
Per comprendere l’importanza della reingegnerizzazione di questo
principio, bisogna tener conto delle modalità di smistamento dell’informazione
del protocollo di trasmissione (TCP). Il TCP instrada, infatti, i pacchetti verso il
nodo più vicino (host-to-host) che, in una rete distribuita, non è il nodo
geograficamente meno distante, ma quello raggiungibile nel minore tempo
possibile in funzione delle condizioni locali di traffico dei possibili percorsi.
Poiché questo protocollo opera secondo criteri logico-temporali, piuttosto che
spaziali, il suo modo di funzionare si traduce nella casualità della direzione che i
pacchetti prendono per giungere a destinazione, la quale è, appunto, il risultato
di un’analisi del traffico dei percorsi possibili. Dal punto di vista del controllo, ne
segue che è impossibile prevedere il percorso dei dati, in quanto questo
dipende dalle decisioni ad hoc prese ad ogni istante dai router secondo le
condizioni locali di ogni nodo44.
Ciò ha importanti conseguenze sulle possibilità d’affari delle compagnie
telefoniche, perché sottrae loro la capacità di controllo sulle risorse del sistema
distribuito. Il quality of service debate sostiene, così, che l’esistenza di servizi
per la banda larga richiede nuove abilità da parte della rete, per conoscere quali
dati stiano transitando e le loro specifiche necessità di consegna, così da
43 L. SOLUM. M. CHUNG. The Layers Principle: Internet Architecture and the Law", cit., p. 107: «Under best-effort, the network guarantees nothing—it will do "the best it can" to deliver the data packets within the shortest possible time under a given network condition at a given time». 44 C. ANDERSON. “Survey of The Internet: The accidental superhighway”, The Economist, July 1, 1995.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
94
evitare problemi di congestione e di corruzione del segnale. Non troppo
diversamente, l’argomento invocato dalle telecom è che i provider hanno
bisogno di conoscere le esigenze dei clienti e il loro profilo di utilizzo della rete,
per personalizzare un’offerta di servizio che la scarsità di banda rende sempre
meno generalista e sempre più bisognosa di progettazione, sviluppo e
previsione d’utilizzo45.
Il tema dell’analisi del traffico e del controllo nel middle diviene, quindi,
prioritario per i fornitori di connettività, poiché l’installazione di applicazioni in
grado di filtrare il flusso di dati permette loro di distinguere tra le tipologie di
informazione trasportate e di applicare la leva del prezzo alla profilazione del
consumo. Allo stesso tempo, questa possibilità colloca gli intermediari della rete
in posizione centrale nel sistema di governance, un ruolo a cui, in sede di
dibattimento processuale, alcuni provider hanno tentato di sottrarsi per non
dover agire direttamente contro i loro clienti, ma che, una volta esteso all’intera
offerta commerciale, perde le implicazioni concorrenziali ed enfatizza la loro
funzione.
In questo contesto, l’apparente neutralità della richiesta delle telecom di
mezzi di conoscenza dell’uso del network, si rivela un importante strumento di
influenza della sua evoluzione. Per questo, lo sviluppo dei nuovi servizi per la
banda larga sembra rappresentare il momento più critico per la chiusura degli
artefatti tecnologici in senso commerciale46, coincidente con il tentativo di
ristrutturare un’invenzione informatica la cui evoluzione accidentale si è rivelata,
al tempo stesso, leva cruciale di sviluppo del terziario avanzato e limite costante
al governo dei suoi stessi processi economici. Questa contraddizione fa
emergere una filosofia di sicurezza, un insieme di misure attuative e una politica
di sviluppo economico delle reti, nelle quali si esprime una strategia immanente,
frutto della convergenza di differenti esigenze di regolazione, tese a governare
l’intero spettro delle piattaforme tecnologiche di comunicazione e di produzione
di contenuti nello spazio digitale.
45 D. REED. “The End of the End-to-End Argument”, march 2000, http://reed.com/papers/endofendtoend.html. 46 T. PINCH, W. BIJKER. “The Social Construction of Facts and Artifacts: Or, How the Sociology of Science and the Sociology of Technology Might Benefit Each Other”, in W. BIJKER, T. P. HUGHES, T. PINCH (eds), The Social Construction of Technological Systems, Cambridge: MIT Press, 1987, (pp.17-50).
II. Il governo dell’eccezione
95
33..22 JJoonnaatthhaann ZZiittttrraaiinn:: llaa lleeggiittttiimmaazziioonnee ddeellllaa ssvvoollttaa tteeccnnoollooggiiccaa
33..22..11 LL’’aappppeelllloo ppeerr ll’’iinntteerrnneett ggeenneerraattiivvaa
À la différence de l’herméneutique littéraire ou philosophique, la pratique théorique d’interprétation des textes juridiques [est] directement orientée
vers des buts pratiques et propre à déterminer des effets pratiques.
P. Bourdieu47
Tra gli articoli più letti e commentati del 2006, The Generative Internet di
Jonathan Zittrain, è un saggio influente che aspira ad introdurre nel dibattito
digitale una nuova visione dei problemi del cyberspazio e della sua governance.
Il nodo centrale dell’argomentazione del giurista risiede nel ruolo assunto
dall’insicurezza nell’ambiente digitale, che spinge un marketplace concepito
come la sintesi degli interessi di produttori, legislatori e consumatori, a chiedere
l’introduzione di misure di controllo i cui effetti sono destinati a ricadere sulla
capacità di internet e del personal computer di produrre innovazione e
sostenere la creatività in rete.
Secondo Zittrain, la vulnerabilità dei sistemi aperti nei confronti di virus ed
intrusioni informatiche rappresenta il lato oscuro, fin qui sottovalutato, della loro
generatività, concepita come il risultato di architetture potenti e flessibili,
progettate per eseguire software sconosciuto (third party) e stimolare la
manipolazione del codice da parte degli utenti per usi non previsti. Lo studioso
osserva, infatti, come nell’internet odierna al problema dell’infrazione al
copyright si siano sommati disagi generalizzati, causati da virus, spam, ed altri
fattori di disturbo degli scambi informativi, deducendone la convergenza di
interessi tra la domanda di protezione del copyright proveniente dalle imprese e
quella di semplificazione e difesa dai virus informatici espressa dalla parte,
ormai maggioritaria, del pubblico di internet, le cui attività online, sbilanciate su
«nonexpressive tasks like shopping or selling», richiedono linearità e semplicità
di esecuzione48. Si delinea, così, un’idea del marketplace come «sum across
the technology and publishing industries, governments, and consumers»49 nella
quale gli interessi di produttori, consumatori e istituzioni tendono a convergere,
47 P. BOURDIEU. "La force du droit. Éléments pour une sociologie du champ juridique", Actes de la recherche en sciences sociales, 64, 1986, p. 7. 48 Ivi, p. 2003. L’osservazione di Zittrain è ispirata a quella di Clark che parla di «less sophisticated users». D. D. CLARK, M. BLUMENTHAL. “Rethinking the design of the internet: the end to end arguments vs. the brave new world”, cit., p. 4. 49 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2025.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
96
entrando in contraddizione con l’architettura dell’ambiente digitale di rete.
La constatazione di questa dinamica, unita alla presa d’atto della costitutiva
vulnerabilità delle architetture aperte, porta Zittrain a prefigurare l’avvento di una
postdiluvian Internet, caratterizzata dalla stretta associazione tra l’incremento
del controllo e la riduzione della capacità innovativa, ovvero di un ambiente di
rete plasmato dall’equazione «more regulability, less generativity»50. Il giurista
evidenzia, al riguardo, come la catastrofe annunciata sia più di un’ipotesi,
poiché un insieme complesso e diversificato di misure di controllo è già stato
installato nel middle di internet, o è in procinto di esserlo. Questa accelerazione
della governance tecnologica è, inoltre, non solo inesorabile ma, in qualche
misura, anche legittima, visto che risponde a necessità largamente
rappresentate in società. Opporsi all’allineamento degli interessi dei
consumatori con quelli delle imprese è, dunque, impossibile, oltre che erroneo,
benché sia evidente come il miope orientamento del marketplace a favore di
politiche di semplificazione e di sicurezza, costituisca un pericolo estremo per la
griglia generativa pc/internet:
Consumers deciding between security-flawed generative PCs and safer but more limited information appliances (or appliancized PCs) may consistently undervalue the benefits of future innovation (and therefore of generative PCs). The benefits of future innovation are difficult to perceive in present-value terms, and few consumers are likely to factor into their purchasing decisions the history of unexpected information technology innovation that promises so much more just around the corner51.
Come sottolinea il giurista, non solo la massa inesperta di consumatori è
oggi incapace di cogliere il valore di ciò che è a rischio, ma la sua propensione
a considerare tale aspetto si riduce quanto più aumenta il caos informazionale e
l’invadenza di pericoli che la maggioranza degli utenti è impreparata ad
affrontare. Intervenire su questo aspetto culturale è, d’altronde, impossibile,
poiché, a suo avviso, l’aumento dell’insicurezza e l’erosione della fiducia nelle
relazioni online si legano ormai, stabilmente, alla crescita di complessità delle
dinamiche del network, alimentata dall’incremento del numero di utenti, dalla
commercializzazione dell’ambiente di rete e dalla proliferazione di
comportamenti parassitari o dannosi52. L’aumento di un sentimento diffuso di
50 Ivi, p. 2021. 51 Ivi, p. 2006. 52 Ibidem
II. Il governo dell’eccezione
97
insicurezza è, dunque, una conseguenza necessaria dell’imponente
trasformazione della base sociale di internet che, come è stato osservato, non
consiste più in «a group of mutually trusting users attached to a transparent
network»53.
Ed è proprio riflettendo su questa crisi di fiducia del marketplace che
Zittrain confronta la diversità della gestione del rischio informatico nell’internet
arcaica, con la governance attuale dell’insicurezza cibernetica. Dopo aver
richiamato l’episodio dell’immissione nel traffico di rete (dalla Cornell University
al MIT) del worm di Robert Morris e del primo Net crash dell’ambiente
telematico (1988), lo studioso evidenzia, infatti, come di fronte all’inedito
problema di sicurezza gli ingegneri informatici avessero scientemente evitato
l’introduzione di tecnologie di controllo e di modifiche al codice, per promuovere,
invece, la computer ethics tra i nuovi utenti della rete54. I tecnologi erano, infatti,
consapevoli del valore delle architetture aperte e della stretta relazione tra la
libertà operativa assicurata dal design e la ricchezza di creatività e innovazione
espressa dalla comunità informatica. Nel contesto dell’internet universitaria degli
anni ’80, argomenta il giurista, il clima collaborativo tra i tecnici e i ricercatori che
lavoravano allo sviluppo della rete, favoriva la ricerca di soluzioni condivise per
un uso abilitante e non costrittivo delle tecnologie. Era stato, quindi, il clima di
fiducia e la consapevolezza delle proprietà generative della rete a frapporsi tra
l’incidente informatico e l’adozione di protezioni tecnologiche potenzialmente
lesive della sua capacità innovativa.
La responsabilità dei tecnologi e la risposta etica degli utenti sono, però,
diventate minoritarie con la commercializzazione di internet e la sua
trasformazione in medium globale, quando alla diversità dei pubblici e alla
proliferazione dell’abuso nei comportamenti digitali, hanno risposto le esigenze
di protezione del copyright e la domanda di una parte del sistema industriale di
migliori garanzie per i loro investimenti nel settore tecnologico55. Lo studioso
53 D. D. CLARK, M. BLUMENTHAL. “Rethinking the design of the internet: the end to end arguments vs. the brave new world”, Working Paper, MIT Lab for Computer Science, 2000, p. 20; http://www.tprc.org/abstracts00/rethinking.pdf. 54 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2006. 55 A tale proposito Zittrain ha sottolineato come la concreta adozione delle misure di regolazione di internet, previste nel 1998 dal DMCA, abbia avuto effettivo inizio solo dopo il crollo dei listini tecnologici, come tentativo di riprendere il controllo dello sviluppo economico di internet: «[The] lack of intervention has persisted even as the mainstream adoption of the Internet has increased the scale of interests that Internet uses threaten. Indeed, until 2001, the din of awe and celebration surrounding the Internet’s success, including the run-up in stock market valuations led
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
98
segnala, con ciò, un dato fortemente critico che, da un lato, dà atto
implicitamente della prima “produzione” dell’utente da parte dell’e-commerce -
un dressage che istituisce un consumatore telematico impegnato in attività di
vendita e acquisto online, con minori competenze informatiche e scarsa
consapevolezza della specificità dell’ambiente in cui si muove - mentre,
dall’altro, sottolinea il ruolo accomunante delle questioni di sicurezza che
emergono in rete tra virus e problematiche del copyright.
Polemizzando con l’orientamento dominante in cyberlaw, Zittrain evidenzia
come il dibattito digitale abbia gravemente sottovalutato i problemi di sicurezza,
denunciando le conseguenze dell’aumento del controllo senza rilevare come gli
interessi degli stakeholder si stessero aggregando intorno ad una posizione
pericolosa per la salvaguardia dell’internet generativa56. Con ciò il giurista
individua nel mancato riconoscimento «[of the] interests in tension with
generativity»57, il primo limite del cyberdiritto contemporaneo. È, allora, con
particolare durezza che il professore si rivolge al consenso lessighiano,
ammonendo che
those who have made the broad case for Internet freedom — who believe that nearly any form of control should be resisted — ought to be prepared to make concessions. Not only are many of the interests that greater control seeks to protect indeed legitimate, but an Internet and PCs entirely open to new and potentially dangerous applications at the click of a mouse are also simply not suited to widespread consumer use. If the inevitable reaction to such threats is to be stopped, its underlying policy concerns must in part be met58.
33..22..22 LLaa rreeiinntteerrpprreettaazziioonnee ddeellll’’eenndd--ttoo--eenndd
La volontà zittrainiana di colpire direttamente il caposcuola della cyberlaw,
diviene esplicita nel momento in cui il giurista denuncia l’errore fondamentale
del professore di Stanford e degli studiosi a lui vicini, sviati da un’eccessiva
focalizzazione sul tema dell’end-to-end che li ha resi sostanzialmente insensibili
alla chiusura tecnologica, non meno insidiosa, dei terminali intelligenti:
by dot-coms, drowned out many objections to and discussion about Internet use and reform — who would want to disturb a goose laying golden eggs?». Ivi, p. 2001. 56 Ivi, p. 2013. 57 Ivi, p. 2034. 58 Ibidem
II. Il governo dell’eccezione
99
Although these matters are of central importance to cyberlaw, they have generally remained out of focus in our field’s evolving literature, which has struggled to identify precisely what is so valuable about today’s Internet [that is the generativity]. Scholars such as Professors Yochai Benkler, Mark Lemley, and Lawrence Lessig have crystallized concern about keeping the Internet “open,” translating a decades-old technical end-to-end argument concerning simplicity in network protocol design into a claim that ISPs should refrain from discriminating against particular sources or types of data. There is much merit to an open Internet, but this argument is really a proxy for something deeper: a generative networked grid. Those who make paramount “network neutrality” derived from end-to-end theory confuse means and ends, focusing on “network” without regard to a particular network policy’s influence on the design of network endpoints such as PCs.59
Zittrain contesta, così, a Lessig non solo di non aver identificato
correttamente le cause della catastrofe postdiluviana, ma di non aver nemmeno
saputo catalogare l’intero spettro delle crisi in corso, fondando su un equivoco la
teoria giuridica del cyberspazio e mancando l’obiettivo di una critica avvertita
alla governance delle architetture generative. La polemica antilessighiana si
dispiega interamente nel passaggio in cui, facendo appello alla stessa
sensibilità cyberlaw, il giovane professore condanna la sterile difesa dello status
quo tecnologico contro la pressione del cambiamento, sottolineando la
necessità di riaprire il discorso sulle misure di controllo attraverso la ricerca
rigorosa di limiti ed eccezioni invalicabili. Lo studioso fa rilevare, infatti, come
l’ideale normativo di una comunicazione senza filtri che la cyberlaw giustifica
con l’argomento end-to-end, sia stato, nell’originaria esposizione degli ingegneri
Saltzer, Reed e Clark60, niente più di una buona eristica a conforto della
semplicità del design61. A suo avviso, dunque, la generatività del Net non
discende dalla sua neutralità, ciò che concilia la sua campagna in difesa delle
architetture con una visione estetizzante dell’end-to-end design e con la tesi che
«some limits are inevitable», a patto di «to point to ways in which these limits
might be most judiciously applied»62:
Precisely because the future is uncertain, those who care about openness and the innovation that today’s Internet and PC facilitate should not sacrifice
59 Ivi, p. 1978. 60 J. H. SALTZER, D. P. REED, D. D. CLARK. “End-to-End Arguments in System Design”, 1981, (reprint in) ACM Transactions in Computer Systems, 2, 4, November 1984, (pp. 277-288); http://web.mit.edu/Saltzer/www/publications/endtoend/endtoend.pdf. 61 Ivi, p. 2029. 62 Ivi, p. 2040.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
100
the good to the perfect — or the future to the present — by seeking simply to maintain a tenuous technological status quo in the face of inexorable pressure to change. Rather, we should establish the principles that will blunt the most unappealing features of a more locked-down technological future while acknowledging that unprecedented and, to many who work with information technology, genuinely unthinkable boundaries could likely become the rules from which we must negotiate exceptions63.
Incentrando la sua tesi sulla difesa della generatività e mettendola in
contraddizione con la neutralità del Net, Zittrain sferra il suo attacco al cuore
stesso del discorso cyberlaw e alla tesi cardinale che la tutela delle libertà
costituzionali non debba fare eccezione nel cyberspazio. Quello del First
Amendement è, infatti, sempre stato il terreno tradizionale dell’appello cyberlaw
in favore della neutralità. Benché la sua non sia l’unica voce favorevole alla
revisione complessiva di un dibattito decennale dominato dalla personalità di
Lessig, l’opinione del professore di Harvard spicca sulle altre voci critiche64,
proprio per la sua perfetta declinazione dei temi lessighiani e per la sua capacità
di volgerli contro l’ortodossia di Stanford. Non solo, infatti, lo studioso invoca la
primazia della cura per l’internet generativa, ma lo stesso artificio con il quale
sostiene la necessità di superare l’end-to-end arguments65 si presenta come un
allarme paradossale che fiancheggia per un tratto la denuncia lessighiana, per
dimostrare, infine, il suo contrario. In Zittrain, in effetti, è proprio perché
«restrizioni impensabili e senza precedenti stanno per diventare la regola» che
la dottrina giuridica dovrebbe affrettarsi a negoziarne le eccezioni. La sua logica
coincide, dunque, con l’intenzione di presentare come fatale, e persino legittimo,
lo scenario di crisi denunciato da Lessig, continuando ad applicare la sintassi
cyberlaw, ma astraendo dalle sue conclusioni, come i dibattiti tecnologici da cui
trae le sue proposte non saprebbero fare.
Per tale ragione, all’analisi della generatività segue una sezione dedicata al
modo meno invasivo di applicare restrizioni alle libertà digitali, attraverso la
quale l’autore si incarica di importare nel dibattito giuridico gli argomenti
sviluppati negli ultimi quindici anni dal trusted system e dall’internet
63 Ivi, p. 1977. 64 Si veda, ad esempio, C. MCTAGGART. "Was the Internet ever neutral?” 34th Research Conference on Communication, Information and Internet Policy, George Mason University School of Law, Arlington, September 30, 2006; http://web.si.umich.edu/tprc/papers/2006/593/mctaggart-tprc06rev.pdf, e Timothy Wu in C. S. Yoo, T. Wu. “Keeping The Internet Neutral?”, Legal Affair Debate Club, 2006, January 5; http://www.legalaffairs.org/webexclusive/debateclub_net-neutrality0506. 65 Ivi, p. 2029.
II. Il governo dell’eccezione
101
enhancement debate66. È così che Zittrain delinea la sua «terza via»,
ugualmente critica sia della visione ingegneristica che progetta una massiccia
iniezione di soluzioni informatiche nel middle di internet, sia dell’ortodossia
cyberlaw che si oppone all’introduzione di qualunque misura in contrasto con
l’end-to-end principle.
Nella parte finale del suo articolo, Zittrain avanza, perciò, due ipotesi di
soluzione alla postdiluvian Internet, con l’intenzione di dimostrare come si possa
rispondere al controllo generalizzato e antigenerativo di internet solo a patto di
sacrificare l’integrità della rete, o di accettare l’introduzione di misure trusted,
accuratamente calibrate sull’obiettivo della difesa dell’innovazione. Nel primo
scenario, internet sarebbe divisa in due sottoreti, delle quali la prima, in highly
generative mode, rimarrebbe riservata alla ricerca accademica e nuovamente
interdetta alle attività commerciali, mentre la restante parte, in “safe” mode,
sarebbe adattata permanentemente alle finalità e al tipo di attività immaginate
dagli attori commerciali, così da offrire ai diversi pubblici di internet «the best of
both worlds […] by creating both generativity and security within a single
device»67.
Zittrain contesta, in questo modo, l’orientamento prevalente nell’internet
enhancement debate, nel quale l’idea della divisione logica di internet è
concepita come una costruzione progressiva e non traumatica «into today's
Internet backbone [of] a new kind of network intelligence that optimizes e-
commerce transactions, video broadcast, and isochronous phone calls»68. È,
infatti, proprio in virtù di questa visione che, come evidenzia la tesi dell’internet
postdiluviana, un controllo indiscriminato e diffuso si sta installando nel core
dell’infrastruttura telematica. Ciò accade, poiché in assenza di una tutela
giuridica espressa del design, l’adozione delle misure tecnologiche non è
illegale, in via di principio, fatta salva l’ipotesi di infrazioni di altri interessi
giuridicamente protetti negli Stati Uniti, ad esempio, in materia di concorrenza e
antitrust. Che la frammentazione logica della rete non stia attendendo le
decisioni di Washington è, d’altra parte, anche l’argomento di cui si è servito lo
studioso canadese Craig McTaggart per sostenere che internet è già diversa da
66 Tali dibattiti sono approfonditi, oltre che nelle pagine seguenti, nell’ultimo paragrafo di questo capitolo. 67 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2021. 68 D. P. REED, “The End of the End to End Argument”, April, 2000, online post, 2000, http://www.reed.com/dprframeweb/dprframe.asp?section=paper&fn=endofendtoend.html.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
102
come si pretende che sia, e che non c’è, dunque, ragione di opporre un design
mitizzato e, forse, mai stato neutrale, alle ipotesi di miglioramento in
discussione:
The examples of non-neutrality […] preferential content arrangements, distributed computing, filtering and blocking to control network abuse, differential interconnection and interconnectivity, and the impact of resource-intensive applications and users, demonstrate that the Internet and its use are far from neutral or egalitarian69.
McTaggard e Zittrain osservano, dunque, come l’evoluzione della rete si
stia già orientando in direzione della parcellizzazione dell’ambiente digitale in
gated communities, benché sia ancora percepito dagli utenti come uno spazio
integro e unitario, privo di steccati. Entrambi gli autori ne deducono che,
piuttosto che mantenersi fedeli al principio, sistematicamente violato, della
neutralità, sia opportuno ratificare le divisioni già esistenti, con una tesi che, nel
caso del professore di Harvard, si giustifica con l’auspicio che almeno una parte
circoscritta di internet sia sottratta alla chiusura tecnologica.
33..22..33 LLaa lleeggiittttiimmaazziioonnee ddeell ttrruusstteedd ssyysstteemm
La “dual machine” solution non è, però, tra le soluzioni caldeggiate dal
giurista che insiste, invece, perché si cerchi la conciliazione delle legittime
esigenze di sicurezza del marketplace con la conservazione dell’integrità della
rete70. Zittrain, perciò, ribadisce come la sola alternativa allo smembramento
dell’ambiente cibernetico o alla sua riduzione a un walled garden (e del personal
computer ad un TiVo71), consista nell’accettazione di misure calibrate per la
protezione del copyright e la difesa dai virus, e nel parallelo rifiuto delle
modifiche lesive del funzionamento innovativo di queste piattaforme. Contrario
alle modifiche architetturali che ostacolano la disseminazione tecnologica e
minacciano la chiusura della piattaforma al software non riconosciuto, Zittrain
69 C. MCTAGGART. "Was the Internet ever neutral?”, cit., p. 571. 70 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2036. 71 TiVo è il PVR più diffuso negli USA. Si tratta di un nuovo dispositivo di registrazione e riproduzione di contenuti audiovisivi che consente di visionare nel luogo e nel momento desiderati dall’utente, frammenti di palinsesti televisivi precedentemente registrati. Il suo utilizzo, estremamente semplice, può essere paragonato a quello di un videoregistratore a cui aggiunge alcune utilità semplificate dell’ambiente digitale, tra le quali un motore di ricerca interno che facilita la ricerca di temi e soggetti per parola chiave, un collegamento ad internet per il download di file podcast e un dispositivo di copia per trasferire in DVD i programmi selezionati. Per ulteriori dettagli si vedano le Faq di What is TiVo?, http://www.tivo.com/1.0.asp.
II. Il governo dell’eccezione
103
sostiene, invece, l’introduzione della crittografia e la rinuncia al principio
dell’anonimità del traffico che garantirebbero alla legge, anche su internet, i
poteri di deterrenza e sanzionamento vigenti nel mondo offline. Oltre a questi
mezzi di controllo, l’autore difende l’utilità dell’etichettamento dei pacchetti di
dati – noto come labelling, deep inspection packet o, snooping - da parte degli
Internet Service Provider, nel middle di internet finora, in via di principio,
indifferente ai contenuti smistati.
Ed è proprio legittimando quest’ultima misura e incentrando la sua visione
regolativa sul ruolo dei gatekeeping in funzione di controllo72, che la potente
riflessione del giurista incontra le maggiori difficoltà argomentative. Più che nel
caso della dual machine solution, nel quale la tesi del giurista diverge su un
aspetto non marginale da quella tecnologica, è qui che il pacchetto di misure
proposto dallo studioso coincide perfettamente con la strategia degli ingegneri, i
quali sostengono che il labelling permetterebbe ai fornitori di connettività di
sapere quali informazioni stiano smistando senza ispezionarne il contenuto,
permettendo loro di bloccare l’informazione pericolosa senza ledere il principio
della segretezza delle comunicazioni personali e della libertà d’espressione.
Benché provviste di soluzioni contro le ricadute di maggiore impatto sulla
privacy degli utenti, queste tesi sono rigettate da un vasto fronte critico, nel
quale si evidenzia come la cautela nella scelta dello strumento, non renda meno
discutibile l’attribuzione di delicati poteri di ispezione della comunicazione di rete
alle compagnie telefoniche. Tra le numerose obiezioni mosse a questa ipotesi di
creazione di corporate back doors sulle telecomunicazioni, Lessig ha
evidenziato come le attività di controllo messe in campo dalle organizzazioni
private, siano generalmente molto meno vincolate al rispetto delle garanzie
pubbliche, particolarmente stringenti nel quadro costituzionale americano in cui
il Fourth Amendment vieta il controllo governativo generalizzato sulle
comunicazioni73. Paul David ha, poi, rinforzato la critica del professore di
Stanford, definendo i meccanismi interposti da terzi tra il mittente e il ricevente,
«the effect of balkanizing the Internet by creating enclaves over which
discretionary control of information flows can be exercised»74.
72 J. ZITTRAIN. “A History of online Gatekeeping”, cit. 73 L. LESSIG. Code v2, op. cit., p. 71. 74 P. A. DAVID. “The Evolving Accidental Information Super-highway. An Evolutionary Perspective on the Internet’s Architecture”, cit., p. 14.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
104
Anche Tim Berners-Lee ha espresso la sua contrarietà alla sorveglianza
generalizzata delle telecomunicazioni, osservando come i percorsi della
navigazione quotidiana degli utenti rivelino un’infinità di cose riguardo alla loro
vita e rappresentino informazioni estremamente sensibili75. In un’intervista
rilasciata in occasione del ventennale del Web, l’informatico è voluto entrare
nella polemica su Phorm - un progetto di cui è capofila British Telecom che ha
applicato l’ispezione di pacchetto ai flussi di dati dei propri clienti per ottenerne i
profili di consumo - dichiarando che gli scambi via internet dovrebbero godere
della stessa tutela assicurata alla corrispondenza e alla conversazione
telefonica. Il caso Phorm sta, infatti, suscitando accese contestazioni in
Inghilterra da quando è trapelata la notizia che trentamila consumatori sono stati
sottoposti a loro insaputa al controllo sistematico delle comunicazioni76. Dal
2005 la compagnia sviluppa un nuovo modello di business incentrato sulla
conoscenza particolareggiata degli stili di vita dei consumatori, ed è significativo
che gli argomenti con cui i suoi portavoce difendono il progetto, facciano leva
sulle stesse tesi avanzate da Zittrain. L’impresa ha, infatti, replicato alle accuse
di Berners-Lee – e del Trade Office britannico - sottolineando come la propria
piattaforma offra ai consumatori la sicurezza di una navigazione protetta dalle
truffe informatiche, oltre alla garanzia che l’attività ispettiva applicata dalla
compagnia salvaguarda la loro privacy, poiché i suoi risultati sono sempre
analizzati in forma aggregata. Queste spiegazioni non sono evidentemente
bastate al Commissario Europeo Viviane Reding che ha formalmente inviato la
Gran Bretagna a difendere la privacy dei cittadini77, né hanno convinto
l’Antispyware Coalition78 che ha classificato la tecnologia sviluppata da Phorm
nella categoria degli adware – software malevoli che introducono pubblicità
indesiderata nella navigazione degli utenti - e degli spyware – codici maligni
75 A. TRAVIS. "Web inventor warns against third-party internet snooping”, The Guardian, 11 march 2009; http://www.guardian.co.uk/technology/2009/mar/11/berners-lee-internet-data. 76 Intervento radiofonico di Berners-Lee in occasione del ventennale del web, riportato da ZDnet.uk: http://blogs.zdnet.com/BTL/?p=14387. 77 All’opinione espressa dalla commissaria UE alle comunicazioni, Viviane Reding, ha dato rilievo soprattutto la stampa economica. Si veda il sito di Easybourse: “EU Commission Wants UK Government To Probe Targeted Advertising”, 16 july 2008; http://www.easybourse.com/bourse-actualite/marches/eu-commission-wants-uk-government-to-probe-targeted-488767. 78 L’Antispyware Coalition è la più importante organizzazione internazionale finalizzata alla definizione del software malevolo. Riunisce imprese hi-tech, ricercatori universitari e associazioni dei consumatori (http://www.antispywarecoalition.org). L’articolo del Register del 25 aprile 2008 che riferisce della sua presa di posizione contro Phorm è reperibile all’indirizzo: http://www.theregister.co.uk/2008/04/25/apc_to_probe_behaviorial_ad_firms/.
II. Il governo dell’eccezione
105
come i cookies che tracciano la navigazione e raccolgono informazioni
recapitandole all’esterno di un sistema informatico79.
L’insieme di questi rilievi ha trovato, probabilmente, la trattazione più
organica in un recente articolo di Jack Balkin, nel quale il giurista ha sottolineato
come la rivoluzione del controllo - di cui il caso Phorm anticipa i primi conflitti - e
la susseguente trasformazione di internet comportino una revisione radicale
dell’intera tematica del free speech80. Riprendendo le tesi di Meiklejohn e
Barron, due autori ormai classici del diritto americano degli anni ’60, Balkin ha
evidenziato come i giuristi avessero formulato precoci obiezioni circa le garanzie
per la libertà d’espressione offerte da un mercato privato dei media, segnalando
come una regolazione dell’informazione governata dall’industria «became a
rationale for repressing competing ideas»81. È improbabile, sosteneva, infatti,
Barron nel ‘67,
that a free market would promote free speech, because mass media would refuse to carry information that did not serve their bottom line, and they would shy away from “unorthodox, unpopular, and new ideas”, preferring bland and mindless entertainment with commercial appeal82.
Attualmente, commenta Balkin,
the world of communication is a world of information conduits, most of which are in private hands. And just as in 1967, the practical freedom of speech is deeply tied to how these conduits work and what kinds of access and opportunities they offer to ordinary citizens83.
Sulla scorta di queste osservazioni, che tornano a radicare il discorso
cyberlaw sull’argomento boyliano del rischio del private power per la libertà di
parola, Balkin conclude che, nelle attuali condizioni, l’appello formale al First
Amendment e alla tutela delle corti di giustizia rischia di essere vano, se non si
affiancano a queste garanzie delle politiche ecologiche dei media che ne
assicurino concretamente il rispetto84.
79 W. CHRIS. "ISP data deal with former 'spyware' boss triggers privacy fears", The Register, 5 February 2008; http://www.theregister.co.uk/2008/02/25/phorm_isp_advertising. 80 Balkin è docente di dottrina costituzionale e First Amendment all’Università di Yale. 81 J.A. BARRON, “Access to the Press—A New First Amendment Right”, Harvard Law Review, 80, 1967. Tratto da J. BALKIN. “Media Access. A Question of Design”, George Washington Law Review, 76, 4, 2008, p. 103; http://www.ssrn.com/abstract=1161990. 82 J. BALKIN. “Media Access. A Question of Design”, cit., p. 103. 83 Ivi, p. 106. 84 Ivi, p. 107.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
106
33..22..44 LLee ccoonnttrraaddddiizziioonnii eeccoonnoommiicchhee ddeell ccoonnttrroolllloo
Proponendo di superare la neutralità e di collocare misure intelligenti presso
i Points of control del flusso informatico85, Zittrain guarda, evidentemente, in
direzione opposta a quella di Balkin. Fare dei provider i centri di controllo del
traffico dati in nome del contenimento dell’insicurezza nella rete fornirebbe,
infatti, ai soggetti commerciali oltre al potere di ispezionare i contenuti delle
comunicazioni, quello di discriminarne la circolazione secondo le migliori
opportunità economiche, come mostrano le diverse sperimentazioni del labelling
già in corso evidenziate, oltre che dal caso Phorm, da quello del provider
americano Comcast, attualmente sotto inchiesta per aver rallentato il traffico
VOIP e P2P dei propri utenti86. Su questo genere di critiche ha insistito
soprattutto Yochai Benkler, il quale in occasione della pubblicazione italiana di
Wealth of Networks ha dichiarato che
[i big delle telecomunicazioni] possono rappresentare un pericolo. Il loro attuale obiettivo è estrarre più valore dai loro network cercando di costruire reti più controllabili. Spesso la scusa è quella della sicurezza, più frequentemente parlano di garanzia della «qualità del servizio». La realtà è uno sforzo da parte dei provider per cambiare l'architettura della Rete, ispezionare i contenuti e trattarli in modo differente a seconda che siano a pagamento o meno. Se questo sforzo avesse successo, avremmo un'architettura che lascia molto meno spazio alla creatività umana espressa al di fuori delle logiche di mercato87.
Come si vede, per Benkler, il tipo di controllo che i provider telefonici
potrebbero essere chiamati ad esercitare, rappresenta in sé, indipendentemente
dalle implicazioni per le libertà civili, una perturbazione delle logiche tecno-
sociali specifiche del medium e un rischio concreto per la generatività
brillantemente studiata nei suoi fattori abilitanti da Zittrain. Le dinamiche
descritte in The Generative Internet si accordano, infatti, perfettamente con la
visione benkleriana di un’innovazione emergente dalle pratiche collaborative
d’uso e di scambio degli utenti (peer production) e dall’abbassamento della
85 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, cit.. 86 Nell’estate 2007, Comcast, il secondo per importanza tra i provider USA, è stato ammonito dalla FCC su richiesta delle associazioni Free Press e Public Knowledge per violazione delle norme generali che regolano il contratto di servizio tra i fornitori di connettività e gli utenti. Il seguito giudiziario imputa al provider di aver rallentato le connessioni a Vuze (BitTorrent) senza averlo comunicato agli utenti, limitandone, di fatto, la libertà di navigazione. http://www.publicknowledge.org/pdf/fp_pk_comcast_complaint.pdf. 87 Y. BENKLER.”La grande ricchezza delle reti”, Il Manifesto, 26 aprile 2007, p. 13.
II. Il governo dell’eccezione
107
soglia d’accesso al mercato (market entry), frutto della trasparenza e non
discriminazione della rete rispetto a dati e applicazioni. Ma se gli argomenti dei
due autori armonizzano con tanta evidenza, è proprio perché condividono la
stessa visione del rapporto tra innovazione e costi d’accesso ai contenuti e alle
tecnologie, così descritta da Lessig:
[Internet is] the most extraordinary innovation that we have seen. Not innovation in just the dotcom sense, but innovation in the ways humans interact, innovation in the ways that culture is spread, and most importantly, innovation in the ways in which culture gets built […]. Let the dotcom era flame out. It won't matter to this innovation one bit. The crucial feature of this new space is the low cost of digital creation, and the low costs of delivering what gets created88.
Secondo il professore di Stanford, il contenimento dei costi d’accesso alla
tecnologia è, dunque, una conseguenza del design. Sono, infatti, i fattori di
neutralità e trasparenza di internet a far sì che i soggetti economici debbano
limitare i loro investimenti al solo livello delle applicazioni, visto che la rete
ammette qualunque tipo di hardware e software e non ha bisogno di essere
adattata alle novità. Ciò vale anche dalla prospettiva dell’utente, perché
l’adozione di nuova tecnologia richiede il solo costo del reperimento delle utilità
e non è necessario riconfigurare il proprio sistema quando si istalla un nuovo
programma o si sostituisce l’hardware. L’imperativo tecnologico che incide
sull’abbattimento dei costi è, dunque, lo stesso che stabilisce l’incapacità della
rete di discriminare tra dati e applicazioni, la cui abilità è collocata, secondo il
principio end-to-end, presso l’utente, nello strato più superficiale del sistema:
The Internet was born a ‘neutral network’, but there are pressures that now threaten that neutrality. As network architects have been arguing since the early 1980s, its essential genius was a design that disables central control. ‘Intelligence’ in this network is all vested at the ‘end’ or ‘edge’ of the Internet. The protocols that enable the Internet itself are as simple as possible; innovation and creativity come from complexity added at the ends. This ‘end-to-end’ design made possible an extraordinary range of innovation89.
L’idea, propriamente lessighiana, che la produzione dell’innovazione in
internet sia un effetto del design, si fonda perciò essenzialmente sulla
88 L. LESSIG. “The Architecture of the Innovation” Duke Law Journal, 51, 2002, p. 182; www.lessig.org/content/archives/architectureofinnovation.pdf. 89 L. LESSIG. “A Threat to Innovation on the Web”, Financial Times, December 12, 2002, http://www.interesting-people.org/archives/interesting-people/200212/msg00053.html. L’argomento è sviluppato dall’autore in The Future of Ideas, cit., p. 34.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
108
descrizione della natura non intelligente della rete90, il cui strato logico è
sprovvisto del codice capace di associare i dati alle applicazioni, e nella quale
ogni livello della struttura, assemblata verticalmente, resta indipendente e
ignora quanto avviene ai livelli soprastanti, trasportando un flusso
informazionale di puri dati, frammentati in pacchetti91. Ciò determina la neutralità
della piattaforma rispetto alle applicazioni e la collocazione del controllo al livello
più alto possibile per ogni funzione informatica. Sono dunque la trasparenza e la
neutralità a fare dello stupid network quella piattaforma generativa incapace di
distinguere tra un file Mp3 e un’e-mail, ed è perciò impossibile insegnare alla
rete ad intercettare i file pirata senza attentare alle proprietà che Zittrain
vorrebbe difendere. Se l’immissione di soluzioni intelligenti nel centro (core) di
internet sovverte queste logiche, i suoi effetti non potranno rimanere limitati al
dark side, ma ricadranno necessariamente sulla generatività che, d’altra parte,
lo stesso giurista descrive come l’effetto virtuoso del disordine.
Sugli effetti generativi e sulle virtù economiche delle reti sono concentrate,
naturalmente, anche le attenzioni della teoria economica, i cui argomenti sono
riassunti nell’importante lavoro di Benkler, The Wealth of Networks, dedicato
alla forma di valorizzazione propria delle reti (network effect), non esclusiva di
internet, ma portata dal Net alla sua massima espressione92. È sulla base di
questo concetto che l’economista Eric Von Hippel ha osservato come tale
dinamica abbia fornito le condizioni ottimali per lo sviluppo di un’innovazione
guidata dall’utente (user driven innovation), non legata in modo univoco alle
tecnologie digitali, quanto piuttosto alla tessitura di reti di relazioni entro le quali
si affermano e si diffondono le migliori soluzioni al rapporto degli individui con la
tecnologia e con gli altri oggetti di uso quotidiano93. È questa creatività,
sostenuta da architetture aperte che spingono l’innovazione ai margini della rete
e non attribuiscono un ruolo dominante ai gestori del traffico, che il ritorno
all’integrazione verticale dei mercati e a strategie potenzialmente basate sulla
discriminazione del prezzo può, dunque, ostacolare.
Sebbene focalizzato sulla salvaguardia della generatività minacciata dai
90 La definizione di stupid network è di David ISENBERG. “Rise of the Stupid Network”, Computer Telephony, August 1997, (pp. 16-26); http://www.rageboy.com/stupidnet.html. 91 Si tratta del principio dell’encapsulation dei dati incorporato nel protocollo TCP-IP. 92 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit.. 93 E. Von HIPPEL. Democratizing Innovation, cit., p. XVII.
II. Il governo dell’eccezione
109
progetti di reingegnerizzazione di internet, l’articolo di Zittrain sembra dunque
incapace di riconoscere gli esiti indesiderati di misure che alterano i principi di
funzionamento della rete e di individuare gli ambiti – ammesso che ciò sia
possibile - in cui interventi di tale natura potrebbero essere adottati senza danni
per il suo potenziale socio-tecnico. Ciò si deve, paradossalmente, oltre che ad
un approccio ideologico al tema della sicurezza, ad una visione ancora
lessighiana della generatività, sbilanciata sugli effetti del design e meno attenta
al ruolo giocato nella produzione delle innovazioni dalla socialità di internet.
Tali limiti del discorso zittrainiano si evidenziano soprattutto nella soluzione
dual machine, fondata sul presupposto che la generatività di una sottorete
specializzata - riedizione della rete accademica dei primordi - sia in grado di
eguagliare l’enorme capacità computazionale di internet e che la riduzione di
complessità a cui l’autore guarda in termini di sicurezza, non abbia
conseguenze sul dinamismo innovativo dell’ambiente digitale. Per queste
ragioni il suo tentativo di mediazione tra una pianificazione regolativa aperta a
soluzioni tecnologiche e la difesa delle piattaforme generative, non sembra
riuscito. Non a caso, infatti, le opzioni più decise per l’introduzione di misure in
contrasto con la net neutrality, vengono da studiosi che non interpretano
l’innovazione nei termini lessighiani di The Generative Internet ma, piuttosto, in
quelli tardoschumpeteriani di una dinamica stimolata dalla grande impresa, vista
come «l’arma più potente [del progresso economico] e dell’espansione a lungo
termine della produzione totale»94. È in quest’ottica che si sostiene che il
principio della neutralità, impedendo la diversificazione della rete e
l’introduzione della discriminante del prezzo nella differenziazione del traffico,
può ostacolare l’innovazione, scoraggiando l’introduzione di accorgimenti
quality-of-service (QOS) da parte degli ISP per ridurre l’instabilità delle
connessioni e incrementarne la sicurezza95.
33..22..55 LLaa ccrriissii ddii ccoommpplleessssiittàà ddeellllaa ggoovveerrnnaannccee ddeellll’’iinnnnoovvaazziioonnee
Come è noto, nel 2006, il dibattito sulla neutralità di internet è giunto ad
94 J. A. SCHUMPETER. Capitalism, Socialism and Democracy, 1954, trad. it. Capitalismo, socialismo e democrazia, Milano, Etas, 2001, p. 105. È noto che Schumpeter fondava il ruolo trainante dell’impresa sulla separazione, oggi declinante, tra l’invenzione scientifica e artistica e la loro valorizzazione economica su scala industriale. 95 C. S. YOO, T. WU. “Keeping The Internet Neutral?”, Legal Affair Debate Club, 2006, January 5, http://www.legalaffairs.org/webexclusive/debateclub_net-neutrality0506.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
110
interessare il livello decisionale USA che, dopo accese polemiche e persistendo
forti perplessità ha deciso di non prendere posizione al riguardo, lasciando al
mercato il compito di precisare il proprio orientamento in materia. Secondo
alcuni commentatori, sarebbe allora prevalso il principio di cautela che «places
regulators in a more restrained and humble position»96 di fronte alla complessità
intrattabile dell’evoluzione tecnologica. Come Zittrain ha, però, mostrato in
modo persuasivo, una decisione in tal senso appare tutt’altro che rassicurante,
proprio perché lascia liberi gli operatori commerciali di perseguire policies
aggressive, nella convinzione che il gioco della concorrenza riesca a contenere
le pratiche più sgradite al marketplace, quando, in effetti, è proprio sulla
violazione strutturale dell’antitrust e, dunque, sulla disattivazione del
meccanismo della concorrenza, che insiste la critica economica alla
soppressione della neutralità. Si lascerebbe, dunque alle corti di giustizia il
compito di decidere caso per caso, confidando in quel rule of law che, come ha
notato Balkin, non sembra più in grado di assicurare il rispetto della libertà del
Net.
È, perciò, non casuale che il professore di Harvard abbia dato alle stampe,
contemporaneamente a The Generative Internet, un altro saggio, dedicato
all’evoluzione della governance delle tecnologie, nel quale riflette sulla capacità
degli apparati di regolazione di farsi carico delle crisi e della complessità dello
sviluppo tecnologico. Lo studioso vi articola un’analisi capillare della situazione
attuale di internet, nella quale, da un lato, si evidenzia come il computer crime
sia divenuto insostenibile, spingendo regolatori, attori commerciali e utenti a
chiedere misure di controllo della rete e, dall’altro, come il sistema decisionale
sia incapace di rispondere adeguatamente a questo incremento di complessità.
A History of online Gatekeeping inizia, così, con la lode al principio di cautela
che ha caratterizzato l’old style governance di internet:
The brief but intense history of American judicial and legislative confrontation with problems caused by the online world has demonstrated a certain wisdom: a reluctance to intervene in ways that dramatically alter online architectures; a solicitude for the collateral damage that interventions might wreak upon innocent activity; and, in the balance, a refusal to allow unambiguously damaging activities to remain unchecked if there is a way to curtail them97.
96 C. YOO. “Network Neutrality and the Economics of Congestion”, cit., p. 1851. 97 J. ZITTRAIN. “A History of online Gatekeeping”, cit.
II. Il governo dell’eccezione
111
In questo passo, lo studioso concentra la sua visione dell’optimum
regolativo, facendo notare come i tre aspetti dell’efficacia del contrasto alle
attività illecite, della salvaguardia dell’architettura dell’ambiente digitale e della
tutela dell’innovazione, siano stati tradizionalmente assicurati dal legislatore
americano anche in presenza di controversie o dubbi sulla possibile dannosità
delle tecnologie. Il giurista sottolinea, in particolare, come la giurisprudenza
statunitense sia rimasta fedele a questo approccio anche nei momenti di crisi
innescati dal progresso tecnologico. Infatti, anche nelle fasi in cui la comparsa di
disruptive technologies metteva a rischio le sorti di specifici comparti industriali,
le autorità americane hanno sempre fatto prevalere politiche attente alla tutela
dell’innovazione, sulla tentazione di vietare la distribuzione della tecnologia.
Come Zittrain ricorda nel commento alla sentenza Metro Goldwin Mayer v.
Grokster, la più importante decisione di questo tipo è stata adottata nel 1984
dalla Suprema Corte chiamata a giudicare, in Sony vs Universal, se il
videoregistratore, abilitando usi dannosi per i produttori di contenuti, dovesse
avere o meno distribuzione commerciale negli states98. La decisione di non
ostacolare l’introduzione di una tecnologia capace di uso corretto, poi diventata
uno standard della giurisprudenza USA – come Sony Substantial Noninfringing
Use Doctrine - nelle controversie a sfondo tecnologico, è perciò giudicata dal
giurista parte integrante di una corretta impostazione del governo
dell’innovazione.
Come si è visto nell’analisi di The Generative Internet, è però, opinione
dello studioso che questo delicato equilibrio regolativo sia ormai compromesso,
a causa dell’insicurezza del marketplace e della straordinaria rilevanza dei
comportamenti predatori in rete. L’inefficacia delle politiche di contrasto
dell’illegalità rappresenta, dunque, per Zittrain, il principale fattore di fragilità
della light touch regulation, perché spinge il legislatore a rivedere la propria
filosofia di intervento e a sottovalutare le ricadute negative di azioni di controllo
più aggressive. Infatti, mentre i precedenti conflitti industriali intorno agli usi
dannosi delle nuove tecnologie potevano essere considerati crisi temporanee e
circoscritte, la digitalizzazione e le reti hanno reso endemica la problematica
dell’uso non autorizzato di beni e strumenti informatici, rendendo indifferibile
98 W.W. FISHER III, J. G. PALFREY jr., J. ZITTRAIN. “Brief of Amici Curiae Internet Law Faculty in Support of Respondents (Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc., et al., Petitioners, v. Grokster, Ltd., et al., Respondents)”, cit.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
112
l’adozione di misure di salvaguardia dell’equilibrio complessivo del sistema. È in
base a tale argomentazione che Zittrain formula una prognosi altrettanto
infausta di quella contenuta in The Generative Internet sugli esiti dello scontro
sull’illegalità digitale99.
Sono, però, soprattutto le differenze tra i due testi a fornire i maggiori spunti
di riflessione. Mettendoli a confronto si osserva, infatti, che mentre The
Generative Internet propone una riflessione critica della nuova governance,
incentrata sugli esiti dannosi del controllo tecnologico, The History of online
Gatekeeping si presenta, piuttosto, come una teodicea della seconda
generazione di azioni regolative di internet che chiama in causa i provider in
funzione di controllo. La tesi del giurista è sintetizzata nell’asserzione che «the
ability to regulate lightly while still curtailing the worst online harms that might
arise has sprung from the presence of gatekeepers»100.
Per molti aspetti, dunque, The History of Gatekeeping evidenzia meglio di
The Generative Internet l’ossatura teorica della filosofia regolativa del giurista e
la sua prospettiva di riduzione dell’insicurezza digitale a rischio specifico del
copyright – affiancato, in via accessoria, dal pericolo virale. È, infatti, soprattutto
in questo secondo articolo che si rende esplicito come in Zittrain il copyright sia
l’ipostasi di una riflessione sulla lotta ai «peer-to-peer networks, that has so far
failed to provoke a significant regulatory intrusion»101. A differenza della
cyberlaw lessighiana che ne ha fatto il tema centrale della sua analisi,
l’evoluzione della proprietà intellettuale non entra affatto nell’analisi del giurista.
Nel suo lavoro, il punto cieco in cui è collocato il copyright si accorda, perciò,
con la causalità paradossale di un discorso in cui l’infrazione generalizzata,
nella forma tecnologica della condivisione dei file, non è mai descritta come
male in sé (malum in se, o iniquità, secondo la terminologia giuridica latina) – e
99 Wired ha pubblicato un’intervista a Zittrain sui temi trattati in The Future of the Internet and how to stop it. L’intervistatore ha esordito con l’affermazione: W: «Your scenario is classic – in a backlash against the baddies, we give up our own freedom» Z: «My worry is that users will drift into gated communities defined by their hardware or their network. They’ll switch to information appliances that are great at what they do [email, music, games] because they’re so tightly controlled by their makers». W:«You really think the sky could be falling?» Z: «Yes. Though by the time it falls, it may seem perfectly normal. It’s entirely possible that the past 25 years will seem like an extended version of the infatuation we once had with CB radio, when we thought that it was the great new power to the people». http://www.wired.com/wired/archive/15.01/start.html?pg=15. 100 J. ZITTRAIN. “A History of online Gatekeeping”, cit., p. 253. 101 Ivi, p. 254.
II. Il governo dell’eccezione
113
forse nemmeno come malum prohibitum (o illegalità) se si guarda al file sharing
come ad una tecnologia suscettibile di uso corretto –102, ma come causa di un
male generato dall’attività istituzionale che lo persegue. Di qui, appunto, il
paradosso di contrastare l’illegalità con strumenti regolativi intrusivi, al solo fine
di scongiurare l’intrusione (degli strumenti regolativi).
Zittrain si imbatte in tale impasse teorica, anche a causa di una riflessione
che non esamina mai, né si occupa di definire, i conflitti a cui provvede
soluzione, benché la sua analisi degli stili di regolazione lo abbia più volte
messo di fronte alla necessità di specificare, sia in termini tecnici che legali, le
caratteristiche del peer-to-peer file sharing, senza limitarsi a presupporle. Il cono
d’ombra in cui sono posti il copyright e le sue forme di illegalità è, dunque,
espressione di quell’ignoranza delle condizioni che, giustamente, Lawrence
Solum e Minn Chung hanno posto tra gli errori di concetto delle politiche
tecnocratiche e di tutte le forme di intervento «in which there is uncertainty that
cannot be reduced to risk»103.
La riflessione zittrainiana si presenta, in conclusione, come un’importante
legittimazione giuridica della nuova governance di internet che non passa per
argomenti giuridici, ma per considerazioni extralegali di tipo emergenziale. Una
delle conseguenze di questo approccio è che al trusted system non si chiede
più il rispetto delle libertà civili e dei diritti costituzionali, ma di salvaguardare
l’ambiente generativo della rete, eventualmente riservandolo alle élite. In questo
modo, oltre al sacrificio di principi ordinamentali inviolabili agli occhi dei primi
studiosi di internet – ed in particolare dei costituzionalisti come Lessig –, l’ipotesi
regolativa di Zittrain riforma anche l’architettonica della rete e i suoi concetti
tecnologici primigeni, travolgendo la neutralità del net e la sua universalità.
Considerando questi aspetti, l’importanza di The Generative Internet risiede
non tanto nell’aver formulato un’analisi innovativa degli attuali problemi di
Internet governance, i cui temi erano già presenti, con le relative proposte di
soluzione, nel dibattito tecnologico degli anni ’90, ma nell’aver fuso in modo
originale un punto di vista favorevole all’incremento del controllo in internet con
102 Come si vedrà, le reti peer-to-peer non sono, infatti, soltanto il ricettacolo di copie pirata, ma anche archivi virtualmente completi di materiali rari o caduti nel pubblico dominio. Sul piano dell’innovazione tecnologica, inoltre, la superiore efficienza delle piattaforme distribuite fa si che ai problemi della scarsità di banda delle applicazioni commerciali della Tv e della telefonia su internet si risponda, attualmente, proprio con forme di peer technology. 103 L. SOLUM, M. CHUNG. "The Layers Principle: Internet Architecture and the Law", cit., p. 34. Il tsesto complete è citato a p. 73.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
114
il patrimonio critico della cyberlaw e la sua consapevolezza dell’effetto
generativo delle architetture aperte. Ai nostri fini, la riflessione svolta
complessivamente da Zittrain, ha fornito una panoramica di argomentazioni
esemplare di un governo dei conflitti cibernetici che traduce l’incertezza in fattori
di rischio, legittimando una riforma di internet fortemente controversa.
33..33 NNeett sseeccuurriittyy:: ll’’oorrddiinnee ddeell ddiissccoorrssoo
33..33..11 LLaa ccoossttrruuzziioonnee ddeell ccyybbeerrccrriimmee
Taken individually, each risk may have a rational aetiology and can be reasonable explained, anticipated and acted upon.
Taken as a cumulative and complex phenomenon, risk became apocalyptic.
J. Van Loon104
«Fear, Uncertainty and Doubt (FUD)», con questa espressione un quadro
IBM ha sintetizzato le tattiche di marketing della compagnia, volte a ridurre la
fiducia dei clienti nelle tecnologie concorrenti105. Secondo il criminologo
canadese Stéphane Leman-Langlois, la produzione dell’insicurezza cibernetica
nel discorso pubblico presenta forti affinità con questo modello agonistico
d’offerta commerciale. A suo avviso, infatti, il concetto di cybercrime106, con il
quale un network di attori istituzionali e non istituzionali produce l’incertezza
digitale, può essere equiparato al FUD IBM: un «puzzle formé de pièces
hétéroclites produisant une image distordue dans laquelle il est de plus en plus
difficile de différencier la réalité de la fiction»107. Leman-Langlois stigmatizza, in
questo modo, la povertà concettuale di una formula tecnologica e mediatica
che, con sempre maggiore frequenza, compare in ambito giuridico ad indicare i
comportamenti illegali posti in essere attraverso il computer108.
La critica del giurista è diretta, in particolare, al recepimento nel diritto
dell’omologazione informatica degli illeciti, nella quale la denominazione
sintetica di crimine digitale assimila una pluralità di fenomeni giuridicamente
104 J. VAN LOON. Risk and Technological Culture, London: Routledge, 2002, p. 2. 105 S. LEMAN-LANGLOIS. "Le crime comme moyen de contrôle du cyberespace commercial”, cit., p. 1. 106 Negli Stati Uniti si preferisce il termine computer crime. 107 Ibidem 108 Ibid.
II. Il governo dell’eccezione
115
eterogenei109. È chiaro, infatti, che se, in ambito tecnologico, il ricorso alla
nozione generale di “incidente informatico” si giustifica con l’eziologia unitaria di
questo genere di crisi e con l’omologia delle misure di contrasto - entrambe
legate al funzionamento del codice -, il loro impiego in ambito giuridico
comporta l’unificazione concettuale di fenomeni inconfrontabili, definiti da
intenzioni criminali differenti e da differenti potenzialità d’offesa.
Secondo lo studioso, un’eterogeneità di tale ampiezza, prodotta sia dalle
forme assunte dall’illecito informatico che dalla diversità dell’ambiente digitale
rispetto allo spazio convenzionale, rende la nozione di cybercrime un nonsenso
giuridico, funzionale alla generica individuazione del rischio digitale in sede
mediatica, quanto gravemente inadatta alla corretta costruzione dei profili
criminologici telematici, stante che «ni les motifs, ni les moyens employés, ni les
dommages, ni les cibles, ni les victimes sont comparables à ceux des délits
conventionnels [...]»110. Tale nozione appare, perciò, al giurista come una
categorizzazione che risponde ai bisogni specifici del discorso pubblico su
internet, cioè come un mitologema impossibile comprendere senza tener conto
degli imperativi commerciali e del timore sociale indotto da una cattiva
comprensione delle caratteristiche dell’informazione, mentre, dal punto di vista
scientifico, «il est fort probable qu’[…]elle se révélera à court ou à moyen terme
comme une impasse […] totale pour les criminologues»111.
Se il concetto di cybercrime non supera l’esame dello studioso, la
definizione giudica dei nuovi comportamenti digitali sembra esposta alle stesse
difficoltà. L’esempio paradigmatico di tali criticità è indicato da Leman-Langlois
proprio nel file sharing poiché, a suo avviso, se da un lato è impossibile
dimostrarne la dannosità sociale, dall’altro la sua criminalizzazione si presenta
esplicitamente, come un mezzo per «découper une identité de bon
consommateur maximisant son utilisation d’Internet payant»112 in un contesto
109 Un’elencazione, necessariamente incompleta, degli illeciti informatici include la diffusione di virus, lo spam (invio di posta indesiderata), il phishing (truffa informatica, particolarmente in ambito bancario), il defacement (cancellazione dei contenuti o deturpamento di una pagina web) l’attacco DOS ai server (azione informatica volta a bloccare il funzionamento di un server inondandolo di richieste di servizio, eventualmente grazie all’azione distribuita di più computer - DDOS), l’intrusione informatica (violazione dei divieti di accesso e perturbamento del funzionamento normale di un sito), il furto d’identità, l’ingiuria e la diffamazione elettroniche, l’apologia di reato via internet, la diffusione di materiale pedopornografico, lo spionaggio informatico, l’infrazione al copyright. 110 Ivi, p. 9. 111 Ivi, p. 12. 112 Ibidem
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
116
che rende quasi impercettibili le differenze tra le forme della disponibilità dei
beni, chiaramente distinguibili nello spazio fisico tra ciò che è in vendita, in
prestito, abbandonato o donato113. Includendo il file sharing tra i profili criminali,
si tenta, dunque, «de produire une cassure radicale entre l’usage encouragé et
l’usage possible qui, dans le cyberespace, n’existe tout simplement pas»114. Per
tale ragione, la fattispecie giuridica del furto in internet appare all’autore assai
debole, visto che in un ambiente in cui la nozione di proprietà si rapporta
esclusivamente all’informazione copiata, scambiata o modificata, «l’opportunité
criminelle n’est plus rien d’autre que le revers de l’opportunité commerciale»115.
Con ciò l’autore mostra come, trasferita sul piano digitale, la nozione di furto si
circondi d’ambiguità, ma anche come tale ambiguità sia il prodotto della
contraddizione in res tra una legge modellata su un’equivoca analogia con il
mondo materiale e le caratteristiche di una rete telematica costruita per
condividere, rendere disponibili e distribuire contenuti informativi.
Come l’autore osserva in Theft in the Information Age, la reciproca
implicazione tra accesso legittimo e accesso illegale ai beni digitali, stride
particolarmente con il profilo di reato costruito nel contesto americano, che
tende ad inquadrare il file sharing nella fattispecie dell’attività intrinsecamente
delittuosa (malum in se), piuttosto che in quella di un crimine che è tale in
quanto proibito (malum prohibitum)116. Attraverso tali considerazioni, Leman-
Langlois sottolinea, per contrasto, come la criminologia attraversi una fase di
rinnovamento del proprio paradigma che la spinge a rivedere alcuni dei propri
assunti autoevidenti, tra i quali quello che «a theft is a theft is a theft»117,
tautologia implicita nel principio formale che fa dell’illegalità la ragione per cui
un certo tipo di appropriazione è proibito118. Ed è proprio nel contesto di questo
113 Un esempio di confusione ingenerata dal mezzo elettronico è riportata da Luca Neri: « Una ventunenne newyorkese che studia a Londra, mi dice che lei scarica musica con Acquisition, un servizio che reputa legittimo, visto che il software le mostra di frequente una finestrella che le chiede di pagare una piccola cifra (lei si limita a chiudere la popup, cliccando sul bottone che dice "Ricordamelo in seguito") […] le spiego che Acquisition non è nient'altro che un'interfaccia per accedere al network p2p Gnutella, e che la richiesta di pagamento riguarda l'uso del software, e non certo l'acquisto della musica […] insomma le spiego che sta facendo pirateria […]. L. NERI, La baia dei pirati, Roma: Banda Larga, 2009, pp. 46-47. 114 Ibidem 115 Ibid. 116 S. LEMAN-LANGLOIS. “Theft in the Information Age. Technology, Crime and Claims-Making”, Knowledge, Technology and Policy, 17, 3-4, 2005, p. 162; http://www.crime-reg.com/textes/theftinformationage.pdf. 117 Ivi, p. 140. 118 Ibidem
II. Il governo dell’eccezione
117
ripensamento epistemico che si osserva, secondo lo studioso, come la potenza
evocativa di un concetto come quello di cybercrime agisca sull’evoluzione della
legge penale, invertendo il tradizionale rapporto tra cambiamento sociale e
mutamento normativo:
Ordinarily, criminal law moves slowly and tends to follow, rather than lead, moral panics and spectacular incidents; it is rarely at the vanguard of social transformation. In this case, it would seem that, at least in the US and to a somewhat lesser degree in Europe, the law has grossly outpaced the widespread opinion that file sharing and copyright infringement by individuals is a relatively innocuous activity. In Durkheim’s words, here criminal law attempts to transform the collective conscience instead of representing it119.
La riflessione di Leman-Langlois fa così rilevare come in un quadro di
significative divergenze tra la percezione sociale del file sharing e la sua
categorizzazione giuridica, la legge agisca come un elemento decisivo
dell’incriminazione di pratiche diffuse che non risponde a un allarme sociale ma
piuttosto lo generi, interpretando in modo estensivo la sua funzione di strumento
di governo in un contesto di transizione che incontra le esigenze della grande
industria.
Esaminando l’uso della nozione di computer crime in The Generative
Internet, un testo, a nostro avviso, cruciale per la comprensione dell’evoluzione
della cyberlaw e della nuova governance di internet, si può notare come
Leman-Langlois abbia colto un aspetto essenziale della costruzione del
dispositivo dell’insicurezza nell’ordine del discorso digitale. Lo scenario
postdiluviano con cui Zittrain descrive il declino dell’internet generativa
presuppone, infatti, che la catastrofe del controllo sia esito della reazione
regolativa a un’illegalità ingovernabile, situazione che il giurista dimostra proprio
illustrando dati relativi agli incidenti informatici120. L’articolo si presenta, in
questo modo, come un documento esemplare della categorizzazione
onnicomprensiva del rischio digitale stigmatizzata da Leman-Langlois, così
come della funzione assunta dal concetto di sicurezza informatica in un’ottica di
revisione dei fondamenti moderni del diritto.
Non è casuale, infatti, che l’intero impianto della teoria zittrainiana si
appoggi ai dati forniti dal Computer Emergency Response Team (CERT), un
istituto di ricerca della facoltà di ingegneria dell’Università di Carnegie Mellon, la
119 Ivi, p. 141. 120 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit, p. 2011.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
118
cui indagine aveva lo scopo di rilevare l’incidenza globale dell’insicurezza
cibernetica lungo l’arco di tempo 1988-2006. La simmetria tra l’argomento
zittrainiano dell’insostenibilità del computer crime e la rappresentazione grafica
del CERT appare evidente osservando come la curva dei dati corrispondenti al
periodo 2000-2004 si impenni verticalmente, tanto che il grafico si conclude con
i rilievi del 2004, dopo i quali gli incidenti diventano talmente «commonplace
and widespread as to be indistinguishable from one another»121.
Staremmo, dunque, attraversando una fase della storia di internet, nella
quale l’ampiezza del rischio informatico è divenuta irrappresentabile, né
l’evidenza è scalfita dal fatto che i dati raccolti mettono a confronto universi
statistici passati, dal 1988 al 2006, dalle decine di migliaia a quasi un miliardo di
unità122. Dovremo prendere atto che la fine del mondo è arrivata e non ce ne
siamo accorti, ha commentato Lessig, ma prima dovrebbe esserci spiegato
perché, se la situazione è tale, non abbiamo avuto notizia di milioni di hard disk
cancellati dai virus e del blocco mondiale delle telecomunicazioni123. Sorprende,
però, la fragilità di questo appello del giurista al principio di realtà, specie se
confrontata con la potenza retorica dell’argomentazione zittrainiana124. E
sarebbe, forse, altrettanto ingenuo vedere nel disinvolto approccio alla statistica
del professore di Harvard un errore scientifico o il caso isolato di un uso
ideologico dei dati. Come ha osservato Leman-Langlois, la semplificazione del
cybercrime e la stimolazione del moral panic sono elementi di un modello
epistemico sempre più frequentato dalla giurisprudenza e hanno, dunque,
ragioni più profonde125.
Ciò che l’atteggiamento intellettuale di Zittrain e di una nuova generazione
di cybergiuristi pone in rilievo, sono, infatti, le caratteristiche emergenti di un
modus operandi accademico in cui l’utilizzo trasversale delle fonti, l’assunzione
nel diritto della nozione di stabilità informatica e l’interiorizzazione dell’approccio
problem solving del commercio, rappresentano gli elementi di spicco di una
tendenza che ha già prodotto visibili effetti negli studi legali, come mostra la
121 Ibidem. 122 Il miliardo di computer connessi ad internet è stato, infatti, superato nel 2008. 123 L. Lessig. Codev2, cit., p. 91. Il paragrafo Z-theory è dedicato a The Generative Internet. 124 Ibidem. 125 Si rinvia per approfondimenti al paragrafo 4.2 Lex informatica come stato d’eccezione, interamente dedicato alla tematica.
II. Il governo dell’eccezione
119
fisionomia aggiornata della neonata computer forensics126. La crisi di
fondamento della legge e il sacrificio dell’approccio costituzionale alla vita
digitale consumati ad Harvard andrebbero, perciò, letti a partire dall’incontro del
diritto con le lyotardiane tecnoscienze, di cui il declino del metodo porta alla
luce le aberrazioni – nel senso propriamente evolutivo del termine. Infatti,
quando la pragmatica del sapere scientifico si sostituisce ai saperi tradizionali,
non si tratta più di provare la prova ma di amministrarla, spostando sul terreno
della performatività il problema della validità delle fonti o della fedeltà al dato di
realtà127. Come si legge ne La condition postmoderne,
[…] en augmentant la capacité d’administrer la preuve, augmente celle d’avoir raison : le critère technique introduit massivement dans le savoir scientifique ne reste pas sans influence sur le critère de vérité. On a pu en dire autant du rapport entre justice et performativité: les chances qu’un ordre soit considéré comme juste augmenteraient avec celles qu’il a d’être exécuté, et celles-ci avec la performativité du prescripteur128.
Se questa è la tendenza storica indicata dalla filosofia, la crisi del
cyberdiritto non potrebbe essere compresa senza l’analisi locale delle sinergie
in cui si produce la presa del discorso tecnocratico sulla realtà digitale. Infatti,
«ni science, ni fantasme, le discours dominant est une politique, c’est-à-dire un
discours puissant, non pas vrai, mais capable de se rendre vrai […]129. La
ragione per cui il lavoro di Zittrain appare, dunque, così innovativo ed influente
e, per contrasto, le repliche dell’ortodossia giuridica così poco incisive, è
perché, indipendentemente dalle sue falle argomentative, il gioco linguistico del
professore di Harvard si legittima «par la puissance [qui] n’est pas seulement la
bonne performativité, mais aussi la bonne vérification et le bon verdict»130.
33..33..22 II lluuoogghhii nneeuuttrrii ddeellllaa ssiiccuurreezzzzaa ddiiggiittaallee
33..33..22..11 IIll BBeerrkkmmaann CCeennttrree
C’est l’aboutissement de ce (long) cheminement que l’on a voulu présenter ici, en respectant […] la logique qui préside à la formation
126 Con questo termine si allude al sottodominio giuridico dedicato alle «nuove frontiere dell'investigazione, [ai] nuovi strumenti di indagine, [alle] figure interessate, [alle] vittime consapevoli e inconsapevoli, ma soprattutto [al]l'arte dell'indagine nello sconfinato universo binario»; http://www.cibercrime.it. 127 J.-F. LYOTARD. La condition postmoderne, Paris: Les Éditions du Minuit, 1979, p. 77. 128 Ivi, p. 76. 129 P. BOURDIEU, L. BOLTANSKI. La production de l’idéologie dominante, ed. cit., p. 94. 130 J.-F. LYOTARD. La condition postmoderne, op. cit., p. 77.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
120
des lieux neutres, ces laboratoires idéologiques où s’élabore, par un travail collectif, la philosophie sociale dominante.
P. Bourdieu, L. Boltanski131
La battaglia zittrainiana per la riforma del discorso sulle architetture, ci
invita, così, ad addentrarci in quella zona «à l’intersection du champ intellectuel
et du champ du pouvoir»132, nella quale le dispute teoriche per l’egemonia in un
campo del sapere intercettano le altre fonti di produzione della Net security,
dove una serie di soggetti pubblici e privati si coordina per elaborare i principi
comuni della difesa digitale.
Si tratta dei dibattiti tecnologici del trusted system e dell’internet
enhancement, a cui si è già accennato limitandoci ad osservarne l’influenza
sulla teorizzazione cyberlaw. Ridotti all’essenza, questi forum di coordinamento
tecnologico sono discussioni ingegneristiche che si sviluppano nei consorzi
industriali e nelle task force dell’Internet Architecture Board (IAB) – le cui
principali équipe di ricerca sono l’Internet Engineering Task Force (IETF) e
l’Internet Research Task Force (IRTF)133. Intese estensivamente, queste
formazioni discorsive hanno, una morfologia decisamente più articolata che
tocca tutti i livelli d’attività delle entità istituzionali, quasi-istituzionali e non
istituzionali che finanziano la ricerca, pianificano la sicurezza informatica,
raccolgono dati, amministrano sistemi informatici ed esercitano reciproca
influenza. Ciò di cui può dare un’idea la voce Coordinated Reponse del CERT
che sintetizza in poche battute la formazione orizzontale delle policies contro il
cybercrime:
When computer security incidents occur, organizations must respond quickly and effectively. CERT supports the development of an international response team community by helping organizations build incident response capability and by developing a commonly used infrastructure of policies, practices, and technologies to facilitate rapid identification and resolution of threats. CERT also improves the national cyber response and readiness capability and builds international computer security information exchange and collaborative analysis capabilities. CERT enhances the ability of organizations in government and industry to protect themselves from attack
131 P. BOURDIEU, L. BOLTANSKI. La production de l’idéologie dominante, ed. cit., p. 17. 132 Ivi, p. 12. 133 Come nota Paul David, lo stesso IETF è oggi articolato in più di 100 gruppi di lavoro che coprono 8 delle 10 aree funzionali della reingegnerizzazione di internet. P. A. DAVID. “The Beginnings and Prospective Ending of ‘End-to-End’: An Evolutionary Perspective On the Internet’s Architecture”, cit., p. 11.
II. Il governo dell’eccezione
121
and limit the damage and scope of attacks134.
Navigando tra i nodi di queste reti così eterogenee, si percepisce
nettamente come l’attivismo della sicurezza informatica innervi e attraversi per
intero la cultura digitale. Con le iniziative del Berkman Center e il lavoro del
laboratorio tecnologico del MIT o dello stesso CERT l’università americana
presidia, infatti, tutti gli obiettivi di un efficace politica di intervento contro il
disordine digitale, costruendo sapere, facendo campagna civile, mobilitando le
comunità e coordinando il mondo digitale contro il software malevolo e la
censura telematica. In questo modo, mentre gruppi di lavoro come l’IETF e il
CERT interloquiscono con le imprese, le amministrazioni e gli altri laboratori di
ricerca sviluppando le misure e le strategie operative del controllo telematico,
Harvard si profonde sia in attività di elaborazione teorica (OpenNet) che in
progetti divulgativi come Stop-Badware ed Herdict Web, pensati come
campagne di sensibilizzazione contro il codice maligno e la sorveglianza
digitale.
Analizzare queste due iniziative fornisce molti elementi di comprensione
dell’attenta costruzione del consenso di cui il Berkman Center circonda la
propria attività istituzionale. Ciò che contraddistingue l’attività di questo centro di
ricerca non è, infatti, soltanto una produzione scientifica fortemente
condizionata in senso ideologico, ma anche, e soprattutto, la sua propensione a
operare direttamente in termini di regolazione disciplinare della vita digitale,
attraverso una stimolazione del moral panic che si avvale della teorizzazione
giuridica quanto della produzione di messaggi mediatici diretti al grande
pubblico. La costruzione del consenso a cui si dedicano le iniziative di Harvard
si cala, in questo modo, nelle condizioni postmoderne di legittimazione del
sapere, dove il libero accordo delle intelligenze habermasiano
est manipulé par le système comme l’une de ses composantes en vue de maintenir et d’ameliorer ses performances [et] fait l’objet de procedures administratives, au sens de Luhmann. Il ne vaut alors que comme moyen pour la veritable fin, celle qui légitime le système, la puissance135.
Stop-badware si presenta, così, come un sito che promuove la conoscenza
134 Http://www.cert.org/work/coordinating_response.html. 135 J.-F. LYOTARD. La condition postemoderne, op. cit., p. 98.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
122
di ogni tipo di software intrusivo136, la cui presenza è giudicata da Zittrain così
diffusa e minacciosa da giustificare l’emergere negli utenti di una domanda di
sicurezza lesiva delle loro libertà. Scopo della campagna non è, però, di far
crescere la cultura informatica in quei less sophisticated users la cui
incompetenza figura tra i fattori di fragilità dell’internet generativa137, ma di
stimolarne la sensazione di insicurezza, mettendoli in guardia contro un pericolo
spesso sottovalutato e più dannoso di quanto comunemente percepito.
Applicando accuratamente la logica FUD, il sito segnala come siano gli utenti
più giovani e inesperti a correre i maggiori rischi di infezione informatica,
navigando su piattaforme come KaZaA o sui siti commerciali del download
gratuito che, «nelle attuali condizioni dell’architettura di rete», possono essere
sfruttati in combinazione con trojan ed altre minacce per lanciare attacchi mirati
alla sottrazione di dati personali138. La campagna sottolinea, quindi, come il
codice maligno rappresenti un rischio concreto per l’utente che va ben al di là di
un fastidioso intralcio all’attività quotidiana. Si tratta, infatti, di «software that
fundamentally disregards a user’s choice regarding how his or her computer will
be used»139, in rapporto al quale nessun sito, per quanto affidabile, può dirsi
invulnerabile. Per questo è imperativo essere prudenti nella navigazione e,
soprattuto, «be skeptical of offers that seem too good to be true»140.
È con questi rinvii a ciò su cui ognuno conviene che il sito dispone il lettore
ad accreditare le sue informazioni come corrette e complete, così che
difficilmente il visitatore riesce a cogliere la sottile ironia contenuta nel
messaggio che il malicious code attenta alla sua autonomia. Non solo, infatti, è
noto che i rischi segnalati da Stop-Badware sono in parte il risultato di pratiche
136 STOP-BADWARE, Berkman Center, Harvard, http://stopbadware.org/home/index. Il software intrusivo si distingue, generalmente, in spyware, adware (definizioni a p. 69) e malware. Quest’ultimo comprende virus e worm informatici. 137 Si ricorderà che Zittrain imputa alla crescita dell’insicurezza negli utenti l’avvento di una razionalità in conflitto con il mantenimento delle architetture aperte, nella quale gli interessi di utenti, regolatori e industria tendono a convergere. Si veda la trattazione alle pp. 60-61. 138 I tre siti segnalati dal Report sono, oltre a KaZaA, SpyAxe, un falso software antispyware, MediaPipe, un download manager che offre l'accesso a contenuti multimediali e Waterfalls 3, un’utility screensaver. 139 STOP-BADWARE home page; http://stopbadware.org/home/index. 140 STOP-BADWARE. “Trends in Badware 2007. What internet users need to know”; http://www.stopbadware.org/home/research. «Any website, no matter how trusted, can be vulnerable to attack»;«Badware can be hard to avoid even when you know what to look for»; «Be skeptical of offers that seem too good to be true».
II. Il governo dell’eccezione
123
industriali che prevedono il rilascio di virus nelle piattaforme P2P141 - vale a dire
forme di guerilla commerciale di cui il Peer Piracy Prevention Act ha, peraltro,
proposto la legalizzazione142 -, ma se si confronta l’azione del badware con
quella delle misure di controllo considerate benigne ed auspicate da Zittrain,
non si riscontrano significative differenze sia nel funzionamento di tali
programmi che nelle loro finalità, le quali rispondono, in entrambi i casi, al
principio maligno dello spossessamento dell’utente di opzioni d’uso delle
applicazioni, della presa di controllo sulle comunicazioni e dell’intromissione di
volontà commerciali nelle attività quotidiane degli users.
La ragione per cui i sistemi trusted sono stati definiti come ambienti «that
can be trusted by outsiders against the people who use them»143 è, infatti,
perché sintetizzano, in certo modo, gli effetti malware, spyware e adware del
codice maligno, di cui usano gli stessi principi, interferendo con il
funzionamento dei computer e sottraendo ai loro utilizzatori quei margini
d’azione che rendono il consumo digitale incompatibile con le licenze
commerciali. Se ciò appare abbastanza chiaramente nel funzionamento dei
lucchetti digitali (DRM) il cui fine è, appunto, quello di interdire alcuni usi dei
beni informatici, l’analisi di pacchetto a cui Zittrain si è detto favorevole non
sembra differenziarsi in modo significativo su questi aspetti. Lo si è osservato a
proposito del caso Phorm in cui, proprio grazie alle tecniche di snooping, le
compagnie telefoniche hanno agito come spyware, sottoponendo a
sorveglianza i consumatori, per poi riservare loro campagne pubblicitarie mirate
– ciò che configura questa tecnologia anche come adware144.
Alla luce di questa stringente affinità, la legittimazione zittrainiana del
controllo tecnologico sembra dunque sposare la tesi che, nell’impossibilità di
eliminarla, l’offesa cibernetica debba almeno essere concentrata in poche mani.
In questo modo, la proposta di affidare agli ISP il compito di filtrare i flussi
141 Effettivamente, KaZaA è stato sia tra i siti più colpiti da aggressioni esterne, che una piattaforma commerciale incapace di finanziarsi senza ricorso agli adware. Di qui, infatti, la nascita di alternative come KaZaA Lite, KaZaA+ e KaZaA Gold. 142 J. S. HUMPHREY. “Debating the Proposed Peer-to-Peer Piracy Prevention Act: Should Copyright Owners be Permitted to Disrupt Illegal File Trading Over Peer-to-Peer Networks?”, North Carolina Journal of Law and Technology, 4, 2, June 2003; http://jolt.unc.edu/abstracts/volume-4/ncjltech/p375. 143 P. SAMUELSON. “DRM {and, or, vs.} the Law“, cit.. 144 L’esempio più appropriato di identità tra tecniche malware e finalità commerciali è il rootkit (software che dispone un controllo completo sul sistema senza bisogno di autorizzazione da parte dell’utente o amministratore) installato da Soni su alcuni Cd.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
124
informazionali, riecheggia in modo inquietante l’idea di un monopolio legittimo
della violenza che elide la differenza tra il Leviathan weberiano145 e una
governance orizzontale di attori non governativi che torna ad imporre le logiche
centralizzate del controllo statuale. È così, che una lettura sempre meno
cogente dei diritti e l’apparente neutralità del luogo comune che «il badware ci
toglie libertà», si rende funzionale proprio alla promozione di politiche liberticide
contrastate con vigore sempre minore in ambito cyberlaw.
Osservato da questo punto di vista, Herdict Web rende ancora più visibili le
ambiguità della neolingua harvardiana, poiché l’iniziativa, in questo caso
speculare al progetto Open Net146 e più vicina agli interessi di John Palfrey147,
sposta l’attività di legittimazione della Berkman theory sul terreno della censura
e della sorveglianza, temi che un polo di ricerca favorevole all’intervento dei
provider nel controllo della rete potrebbe trovare difficile da trattare. In questo
caso, il progetto verte sull’istituzione di una banca dati delle segnalazioni degli
utenti circa le interdizioni d’accesso ai siti web. Il principio di Herdict Web
consiste, infatti, nello sviluppo di uno strumento di crawdsourcing, capace di
rendere visibile la sorveglianza sulla comunicazione web based e di fornire agli
utenti i mezzi per verificare se i propri siti preferiti siano stati più o meno
accessibili in un periodo di riferimento o se le segnalazioni relative al proprio
paese indichino o meno la presenza di un’attività di censura148.
Come spiega il video illustrativo in cui, al suono di un tam tam tribale, una
pecorella mostra al gregge come usare e quali utilità ricavare dall’herdverdict
(neologismo portemanteau che sta per “verdetto del gregge”), su questa
piattaforma gli utenti possono verificare, in tempo reale, quali siti vengano
oscurati e, soprattutto, quante volte l’inibizione colpisca gli indirizzi IP del
proprio paese, respingendo le chiamate ad alcuni server. Lo strumento
permette di avere la mappa (settimanale, mensile, semestrale ed annuale) della
145 Ci si riferisce,naturalmente alla concezione dello stato di Max Weber e al riconoscimento della sua origine violenta. M. WEBER. Economia e società, Milano: Edizioni di Comunità, 1995. 146 Il gruppo OpenNet ha svolto una ricerca sistematica sulla censura mondiale i cui risultati sono stati pubblicati in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKY, J. ZITTRAIN (eds). Access Denied. The Practice and Policy of Global Internet Filtering, Cambridge: MIT Press, 2008. 147 J. PALFREY. “Reluctant Gatekeepers: Corporate Ethics on a Filtered Internet”, Global Information Technology Report, World Economic Forum, 2006-2007; http://ssrn.com/abstract=978507; R. FAREY, S. WANG, J. PALFREY. “Censorship 2.0”, 3, 2, ”, Innovations: Technology| Governance| Globalisation, 3, 2, Spring 2008, (pp. 165-187). 148 L’IP adress è un valore numerico che identifica ogni computer in accesso ad Internet. Un parte del numero rinvia alla localizzazione nazionale del pc.
II. Il governo dell’eccezione
125
sorveglianza telematica sui singoli siti o di una certa nazione, per cui,
impostando la ricerca for country si può constatare, ad esempio, come nella
settimana dal 16 al 22 marzo 2009, in Francia siano state segnalate 844
impossibilità d’accesso, mentre in Italia 297, con un dato che risente,
naturalmente, della conoscenza locale di Herdict Web e della propensione degli
utenti ad aggiornarlo.
Poiché si è in presenza di segnalazioni dirette degli utenti e non di una
rilevazione sistematica della sorveglianza del web, i dati rilevati dall’herdometro
permettono di fare scarse inferenze sullo stato della censura in una nazione o
della sorveglianza su certi siti. In proposito, se colpisce che nei due test
effettuati i siti che risultano più frequentemente indisponibili siano i portali P2P o
i siti usati dagli sharer per rendere anonimi i loro IP, l’utilità conoscitiva di
Herdict Web appare, nondimeno piuttosto blanda, poiché l’informazione diviene
significativa solo quando le cause dell’interdizione sono ben individuabili, ciò
che non è alla portata dei segnalatori149, e diventano persino illeggibili, se
messe a confronto con i casi di accesso effettuato con successo150. In breve,
solo procedendo ad una lettura comparata degli herdverdict con le tabelle
contenute nella ricerca Open Net, si può comprendere che in paesi come la
Francia e l’Italia l’inaccessibilità di alcuni siti è sintomo della sorveglianza
applicata al P2P151 e della censura di alcuni contenuti ritenuti oltraggiosi o
pericolosi, come i messaggi nazisti o islamisti152 - risultato poco sorprendente,
se si considera che una delle conclusioni di OpenNet è che «nearly every
society filters Internet content in one way or another»153.
Nonostante il suo scarso valore conoscitivo, le recensioni al sito sono state
molto favorevoli sia in Francia che in Italia - e ancor più in Germania e in
149 Nel saggio Measuring Global Internet Filtering, Robert Faris e Nart Villeneuve illustrano la varietà dei display dei siti bloccati, mostrando che la censura può avere diversi gradi di trasparenza e che molti messaggi di inaccessibilità sono manipolati per rendere invisibile la causa. R. FARIS, VILLENEUVE, “Measuring Global Internet Filtering”, in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKY, J. ZITTRAIN (eds). Access Denied. The Practice and Policy of Global Internet Filtering, op. cit., pp. 16-18. 150 I due dati sono presentati affiancati : ad es. inaccessibile 10; accessibile 12. 151 Il 10 agosto 2008 The Pirate Bay ha annunciato che i provider italiani avevano bloccato l'accesso al sito su ordine del sostituto procuratore di Bergamo. Prima che il Tribunale di Bergamo accogliesse il ricorso di The Pirate Bay, revocando il provvedimento di sequestro preventivo (24 settembre 2009), il sito aveva comunque costruito un nuovo dominio (http://labaia.org) al fine di ristabilire la raggiungibilità da parte degli utenti italiani. 152 J. ZITTRAIN, J. PALFREY. “Internet Filtering: The Politics and the Mechanisms of Control”, in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKY, J. ZITTRAIN (eds). Access Denied. The Practice and Policy of Global Internet Filtering, op. cit, p. 33. 153 Ivi, p. 43.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
126
Inghilterra – probabilmente perché si ritiene che qualunque iniziativa diretta alla
sensibilizzazione dei cittadini verso un tema così importante debba essere la
benvenuta. Tra le fonti esaminate154 l’articolo di Bernardo Parrella, apparso su
un importante rivista italiana di aggiornamento tecnologico, è tra quelli che
hanno dedicato il maggior spazio all’evento:
Ricorrendo all’apposito Herdometro, una mappa di Google aggiornata in tempo reale dalle ininterrotte segnalazioni degli utenti, Herdict Web aggrega e compara le segnalazioni sui siti oscurati, condividendone pubblicamente e in tempo reale risultati, diagrammi e variabili. Uno strumento pratico e collaborativo, nato in seno al Berkman Center for Internet & Society dell’Harvard University e coordinato da Jonathan Zittrain. Zittrain, autore di The Future of the Internet: And How to Stop It, segnalava proprio in questo libro come l’Internet generativa avesse ormai imboccato la strada verso il precipizio a causa dei blocchi imposti ai suoi cicli innovativi, dando così il via al ricorso a tecnologie di controllo o sorveglianza, spesso localizzate e invisibili alla maggioranza degli utenti155.
Come si vede, del sofisticato lavoro teorico di Zittrain ciò che viene
ricordato al lettore è l’allarme lanciato contro la chiusura dell’internet generativa,
percepito come perfettamente coerente con gli obiettivi di campagne civili come
Herdict Web - e descritto invertendo la causa (blocco dei cicli innovativi) e
l’effetto (avvio della sorveglianza). Ma più che nella recensione di Parrella,
l’efficacia auto-promozionale di queste iniziative risalta in un articolo dedicato a
Stop-Badware, in cui si osserva con maggior chiarezza come una stampa
conformista sappia mobilitare tutti i luoghi comuni digitali per valorizzare
iniziative che fanno appello all’impegno delle community contro i virus e al
lavoro dell’intelligenza collettiva per la creazione di strumenti di utilità comune.
Come si noterà, la notizia che Stop-badware è «finanziata da aziende del
calibro di Google» passa quasi per inciso nel discorso del giornalista che pone,
invece, la massima enfasi sull’atto di nascita dei BadwareBusters, i giustizieri
della rete:
154 Recensioni francesi : Presse-citron.net : Http://www.presse-citron.net/herdictweb-laccessibilite-ou-la-censure-des-sites-web-dans-le-monde-en-temps-reel; L’Atelier : http://www.atelier.fr/blogues-sites/10/27022009/internet-communautaire-reseau-social-herdict-web-navigation-accessibilite-37901-.html; CinqPointZéro : http://cinqpointzero.com/herdictweb-testez-l-accessibilite-de-votre-site-web/; recensioni italiane : B. PARRELLA. “Herdict. La mappa mondiale della censura”, Apogeonline, 10 marzo 2009; http://www.apogeonline.com/webzine/2009/03/04/herdict-la-mappa-mondiale-della-censura. Oltre all’articolo di Parrella, la notizia è stata ampiamente commentata nella blogosfera italofona ed è rimbalzata attraverso diversi aggregatori . 155 B. PARRELLA. “Herdict. La mappa mondiale della censura”, cit..
II. Il governo dell’eccezione
127
La rete chiama a raccolta gli utenti per unirsi ed informarsi a vicenda contro virus e malware: questo l'obiettivo di BadwareBusters, community nata dal lavoro di StopBadware, associazione non profit finanziata da aziende del calibro di Google il cui scopo è quello di segnalare la presenza di codice malevolo su siti e applicazioni web-based. La nuova community, introdotta in collaborazione con Consumer Reports WebWatch e finanziata dal Berkman Center dell'Università di Harvard sembra voler fare della semplicità il suo punto di forza: il sito è strutturato come un forum di discussione in cui gli utenti possono confrontarsi, portare le loro esperienze e pronunciarsi su qualsiasi aspetto relativo alla sicurezza informatica sul web156.
Così come Herdict Web si presenta come un’efficace vetrina per ciò che
delle attività di Harvard merita di essere divulgato, ovvero come uno spazio di
visibilità funzionale all’esaltazione del piano di legittimità dell’impianto
zittrainiano – e, dunque, al parallelo occultamento dei contenuti che
necessitano di legittimazione -, il plauso generale che circonda l’appello alla
vigilanza sul badware, illustra meglio di qualsiasi altro aspetto come la
sensibilizzazione della società civile al tema dell’intrusione informatica sia il
miglior veicolo promozionale del trusted system e sappia insinuare nel senso
comune della rete tutto il senso dell’inevitabilità, se non della desiderabilità, del
controllo sulle telecomunicazioni.
Se ne trova conferma navigando tra le pagine dedicate al Trusting
Computing da un sito storico della contestazione digitale come quello
dell’Electronic Frontier Foundation, dove si può solo constatare quanto questa
penetrazione sia profonda e sappia adattare al marketing della sicurezza gli
argomenti più persuasivi d’ogni tempo. L’estensore dell’articolo Meditations on
Trusted Computing ricorre, ad esempio, alle Meditationes de prima philosophia
per segnalare l’analogia esistente tra la volontà hacker e il demone cartesiano,
ed evidenziare come, nel momento in cui un software malevolo assume il
controllo del nostro pc, ci troviamo nella stessa condizione di inaffidabilità del
senso empirico descritta dal filosofo, tanto che ci è impossibile valutare se
persino il nostro firewall non sia in realtà un pericoloso virus che modifica i
comandi del sistema a nostra insaputa. Ironicamente, il commentatore fa notare
come il problema sarebbe avvertito con particolare acutezza dall’industria hi-
tech ed avrebbe spinto Microsoft, Intel e AMD a dar vita al Trusted Computing
Group al fine di sviluppare sistemi informatici capaci di difendersi dalle
156 V. GENTILE. “Una community per difendersi dal malware”, Punto informatico, 19 marzo 2009, http://punto-informatico.it/2579856/PI/News/una-community-difendersi-dal-malware.aspx.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
128
intrusioni. L’articolo sottolinea, in proposito, che i vantaggi offerti dalle
piattaforme affidabili potrebbero comportare l’attribuzione di un forte potere
contrattuale alle compagnie produttrici le quali, «in condizioni di squilibrio del
mercato e di controllo monopolistico da parte di un attore commerciale»,
potrebbero costringere i clienti in possesso di hardware sicuro ad istallarvi solo
alcuni applicativi, o a non cambiare fornitore, pena il blocco del proprio sistema.
Dopo aver illustrato i ricatti a cui il consumatore potrebbe essere sottoposto una
volta adottato un sistema trusted, il commentatore conclude che, come ogni
tecnologia, anche quella sviluppata dal Trusted Computing Group può essere
usata sia a scopo benefico che per danneggiare le persone e come, dunque,
sia necessario essere vigili ed applicare uno sguardo critico verso tali
innovazioni157.
Articoli come questo si trovano affiancati, nel sito dell’EFF, a pagine di
cronaca e commento dedicati alle iniziative contro il Broadcast Flag Provision o
allo sviluppo di Longhorn, con le quali si tengono informati i lettori degli sviluppi
delle proprie campagne e si segnala con soddisfazione come Microsoft abbia
impedito ad Hollywood di condizionare eccessivamente lo sviluppo del nuovo
sistema operativo (poi commercializzato come Vista) con la richiesta di un
sistema di cifratura dei video, giudicato dalla casa di Redmond eccessivamente
costoso158. La percezione che si ricava dalla navigazione in questo contesto
comunicativo, è che al lettore dell’house organ dell’EFF sia fornita la
confortante convinzione che applicare la vigilanza auspicata dal commentatore
cartesiano per spingere il commercio verso politiche corrette, consista nel
tenersi aggiornati leggendo un sito critico e diffidare della pubblicità. Il trusted
system è, infatti, presentato come una tecnologia essenzialmente neutrale e,
come tale, suscettibile di uso corretto, ciò che lo differenzia in massimo grado
dal Broadcast Flag, percepito, al contrario, come intrinsecamente liberticida.
Tali critiche, solo in apparenza attente ad accurate, spingono così, i netizens a
concedere credito all’introduzione di alcune misure di controllo, considerate
differenti o, comunque, meno insidiose del detestato dispositivo capace di
ridurre internet ad un televisore.
157 EFF. “Meditations on Trusting Computer”, may 2004; http://www.eff.org/wp/meditations-trusted-computing. 158 EFF. “Your General-Purpose PC --> Hollywood-Approved Entertainment Appliance”, august 2005; http://www.eff.org/deeplinks/2005/08/your-general-purpose-pc-hollywood-approved-entertainment-appliance.
II. Il governo dell’eccezione
129
Sembra evidente, perciò, come questa fitta rete di formazioni discorsive
stia spostando sul tema della sicurezza l’agenda digitale, dominata fino a poco
tempo fa dalle polemiche lessighiane sul copyright esteso159. È, infatti,
soprattutto in virtù della popolarità di quelle critiche che si spiega il clima di
pubblica ostilità che ha circondato il varo di iniziative commerciali quale,
appunto, il Trusted Computing Group, una sinergia internazionale che, dal
2004, finalizza gli investimenti delle principali imprese hi-tech nella ricerca sui
sistemi affidabili e nello sviluppo di piattaforme tecnologiche compatibili con tale
obiettivo160. Benché faccia uso di strategie di comunicazione attente alla
rassicurazione dei consumatori, l’immagine di questo consorzio industriale
risente, infatti, pesantemente, della diffidenza verso le politiche dei grandi
gruppi promossa dalla cyberlaw, non meno che delle conseguenze delle
campagne di dissuasione del P2P con le quali i colossi dell’entertainment,
sostenuti con discrezione dalle imprese ICT, avanzavano, fino a qualche anno
fa, richieste di risarcimento iperboliche agli utenti statunitensi incriminati per
copyright infringement.
33..33..22..22 IIEEEEEE,, IIEETTFF
Non sorprende, dunque, che un efficace supporto ad iniziative così
impopolari venga spesso dagli studi e dai documenti blandamente critici
dell’associazione degli ingegneri (Institute Electrical and Electronics Engineers -
IEEE) nei quali, di norma, si ribadisce l’idea che le misure trusted debbano
essere saggiamente calibrate e non eccedenti i fini della pubblica utilità161. La
moderazione e l’equilibrio che contraddistinguono questi interventi, tesi a
promuovere l’ideale di un controllo tecnologico ragionevole, efficiente e limitato
alla tutela dei consumatori, rappresentano, in effetti, gli ingredienti indispensabili
di certificazioni che la comunità degli ingegneri rivolge soprattutto a se stessa,
rinforzando e riproducendo nell’élite tecnologica le convenzioni accreditate sulle
misure di sicurezza. Come notava Bourdieu, l’imprimatur tecno-scientifico
159 Si veda il paragrafo 3.1 Il dibattito americano sull’extended copyright. 160 TRUSTING COMPUTING GROUP è la nuova denominazione della Trusted Computing Platform Alliance (TCPA) ed riunisce in consorzio AMD, Hewlett-Packard, IBM, Infineon, Intel, Microsoft, e Sun Microsystems; https://www.trustedcomputinggroup.org/home. 161 IEEE Explore. “Trusting Computing in Context”, March-April 2007; http://ieeexplore.ieee.org/xpls/abs_all.jsp?arnumber=4140981.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
130
perderebbe, infatti, ogni efficacia se non rispettasse i canoni della «parade
permanente de l’objectivité e de la neutralité» con la quale i discorsi specialistici
mettono in scena loro autonomia,
parce que leur pouvoir proprement politique de dépolitisation est à la mesure de leur capacité d’imposer l’illusion de leur indépendance par rapport à la politique et de dissimuler que les juges sont aussi partie162.
Valorizzando la razionalità e l’efficacia dei sistemi trusted, l’’IEEE offre, così,
il supporto di una struttura retorica consolidata al dispositivo disciplinare della
Net security, legittimando misure di controllo delle quali si sforza di occultare la
genesi commerciale. Ma, se gli interventi ospitati dal sito dell’associazione si
ispirano a questa terzietà, discutendo di misure che potrebbero essere
altrimenti e di strumenti da modulare attentamente, basta spostarsi sui
commentari dei tecnici impegnati nella revisione degli standard di internet (IAB,
IEFT) per osservare, al contrario, come la riflessione interna degli ingegneri
presupponga e interroghi la consapevolezza del loro ruolo di legislatori del Net,
attraverso cui sono chiamati a farsi carico delle tensioni dell’arena pubblica e a
sviluppare le soluzioni ritenute idonee dal marketplace. In questo modo, mentre
il cyberdiritto assorbe quasi insensibilmente un approccio che tende a superare
la distinzione tra uso legittimo e semplice monopolio della forza163, nei laboratori
dell’Internet enhancement l’inevitabilità dell’adesione al punto di vista
commerciale è esplicitamente teorizzata. Ne è esempio la request for
comments 3724 dell’Internet Architecture Board, nella quale i due ingegneri
proponenti si interrogano sul futuro dell’end-to-end in considerazione delle
pressioni potenti e reali del mercato:
Does the end-to-end principle have a future in the Internet architecture or not? If it does have a future, how should it be applied? Clearly, an unproductive approach to answering this question is to insist upon the end-to-end principle as a fundamentalist principle that allows no compromise. The pressures described above are real and powerful, and if the current Internet technical community chooses to ignore these pressures, the likely result is that a market opportunity will be created for a new technical community that does not ignore these pressures but which may not understand the implications of their design choices. A more productive approach is to return to first principles and re-examine what the end-to-end principle is trying to accomplish, and then update our definition and
162 P. BOURDIEU. L. BOLTANSKI. La production de l’idéologie dominante, ed. cit., p. 116. 163 PLATONE. Repubblca, I, 13, 338 c.
II. Il governo dell’eccezione
131
exposition of the end-to-end principle given the complexities of the Internet today164.
Come si vede, è opinione dei tecnologi che sia impossibile sottrarsi ad un
compito, come la reingegnerizzazione del design, ritenuto imprescindibile e
strategico dagli operatori economici, salvo rischiare di vedere aggiornati i propri
organici con l’immissione di figure gradite alle imprese che potrebbero ignorare
anche le ricadute più negative dell’operazione. Scongiurare questi rischi
richiede, dunque, di assumere la responsabilità della revisione dell’end-to-end
che nella visione dei due ingegneri coincide non tanto con la sua soppressione
e con la gestione delle relative conseguenze, quanto con l’aggiornamento della
definizione e dell’esposizione tecnologica dell’assioma. Si ipotizza, così, che i
fini attualmente incorporati nel codice possano essere perseguiti
congiuntamente agli obiettivi industriali, con un’operazione che porta sul piano
delle specificazioni tecniche la stessa eufemizzazione dell’abolizione della
neutralità praticata da Zittrain in sede giuridica.
Questo tentativo di conciliare istanze contraddittorie non sembra, però,
attenuare il diffuso disincanto che serpeggia tra gli ingegneri di internet, la cui
ragione più tangibile risiede senza dubbio nella composizione degli organismi
che governano la transizione tecnologica. Sia nell’IAB che nelle sue task force,
la presenza degli ingegneri delle imprese hi-tech e delle telco è, infatti,
maggioritaria – oltre che in posizione stratetica -, come si può notare dalla
visualizzazione della struttura attuale dell’Internet Engineering Task Force165:
Per Paese USA 173 membri 71% Paesi OECD 56 membri 21% Pesi emergenti 13 membri 6%
Per stakeholder Governi 9 membri 4% Settore privato 189 membri 78% Computer 100 membri 41% Telco 75 membri 31% Altro 15 membri 7% NGO 14 membri 6% Ricerca 26 membri 11%
164 NETWORK WORKING GROUP. “Request for Comment 3724. The Rise of the Middle and the Future of End-to-End: Reflections on the Evolution of the Internet Architecture”, march 2004; www.faqs.org/rfcs/rfc3724.html. 165 Fonte: ISOC-Italia; http://www.isoc.it.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
132
Le proposte elaborate all’interno di queste équipe sono, inoltre, sottoposte alla
supervisione dell’Internet Engineering Steering Group (IESG), un organismo di
standardizzazione internazione i cui vertici sono composti, oltre che dal
presidente e dal direttore esecutivo dell’IETF, da ingegneri delle imprese ICT
che vi intervengono in qualità di responsabili d’area (AD) della stessa IETF166,
nonché da consulenti dell’Internet Assigned Number Authority (IANA),
un’authority, emanazione dell’Internet Corporation for Assigned Names and
Number (ICANN) che, nonostante le critiche internazionali, è ancora sotto il
diretto controllo del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti.
Per comprendere l’influenza esercitata dai responsabili d’area nella
formazione degli standard, si può prendere visione della pagina The Tao of
IETF: A Novice's Guide to the Internet Engineering Task Force del sito ufficiale
dell’IETF, nella quale è fornita una descrizione semi-seria della considerazione
in cui è tenuta la parola dell’AD, paragonata per potenza ieratica al verdetto di
un’entità divina:
Because the IESG has a great deal of influence on whether Internet-Drafts become RFCs, many people look at the ADs as somewhat godlike creatures. IETF participants sometimes reverently ask Area Directors for their opinion on a particular subject. However, most ADs are nearly indistinguishable from mere mortals and rarely speak from mountaintops. In fact, when asked for specific technical comments, the ADs may often defer to IETF participants whom they feel have more knowledge than they do in that area167.
Questa illustrazione che, attraverso un registro informale, valorizza il clima
di concordia di un’organizzazione che rispetta il merito e l’eccellenza
professionale, permette di dedurre che, nonostante molti direttori d’area si
considerino schiettamente mortali ed evitino di evangelizzare gli ingegneri a loro
credo, è consuetudine acquisirne il parere prima di dare pubblicità alle proposte
tecniche. Queste, infatti, circolano per sei mesi, trascorsi i quali, se non
integrate e recepite, decadono senza raggiungere lo status di RFCs – ovvero di
standard adottabili dall’IESG168 - vanificando l’intervento dell’ingegnere
proponente. Si evidenzia, in questo modo, come il lavoro della task force
imprima una trasformazione fondamentale anche allo strumento, orizzontale per
166 L’appartenenza alle diverse imprese è spesso indicata a fianco di ciascun nome o è desumibile dall’indirizzo di posta elettronica indicato da questi membri. 167 Http://www.ietf.org/tao.html#anchor4. 168 Ibidem
II. Il governo dell’eccezione
133
eccellenza, della request for comments, svuotandolo del significato originario
nella trasposizione in un nuovo assetto organizzativo. L’effetto ironico di un
ritorno del rimosso nella scrittura del webmaster illumina, così,
immediatamente, come, anche al livello microfisico dell’attività di ricerca, il
parere dell’impresa eserciti un ruolo egemone nell’orientare l’Internet
enhancement, in un contesto in cui la configurazione gerarchica dell’IETF si
mostra di per sé sufficiente a disciplinare il dibattito tecnico.
Ciò non resta impredicato nel discorso degli ingegneri. È, infatti, frequente
imbattersi in documenti ufficiali dell’IETF in cui si incoraggiano i tecnici ad
esporre liberamente le loro proposte rifiutando il disfattismo che vuole «tutto già
deciso dall’industria»169, o in presentazioni che sentono il bisogno di affermare
che «IETF members are people. As opposed to Nations or Company»170:
excusatio non petita con la quale un ingegnere Cisco sembra sottolineare
come, prima ancora che rappresentanti delle imprese, o cittadini di un certo
paese, gli informatici IETF siano espressione di un sapere tecnico che si
legittima attraverso l’eccellenza e non attraverso l’autorità della committenza171.
Trattenendosi nel peculiare contesto comunicativo dell’IETF, colpisce
anche la descrizione che vi è offerta dell’Internet Society (ISOC) - un’istituzione
alla quale la task force è formalmente subordinata - dalla quale si apprende che
questa organizzazione non profit, nata nel 1992 per promuovere la diffusione di
internet e includere la società civile nel processo di sviluppo della rete, è un
ente benemerito che provvede l’IETF di sostegno legale e finanziario, ne
pubblica l’organo ufficiale e si interfaccia con la società civile in un’attività di
pubbliche relazioni che intermedia tra gli ingegneri e la stampa:
The Internet Society is an international, non-profit, membership organization that fosters the expansion of the Internet. One of the ways that ISOC does this is through financial and legal support of the other "I" groups described here, particularly the IETF. ISOC provides insurance coverage for many of the people in the IETF process and acts as a public relations channel for the times that one of the "I" groups wants to say something to the press. The ISOC is
169 Dall’intervento di Stefano Trumpy, Presidente di ISOC Italia, alla “Prima giornata IETF”, Crema, 15 giugno 2001; https://www.isoc.it/ietf2001/resoconto.php. 170 H. T. HALVESTRAND. “The ITF”, Cisco System Inc., slide n. 11, 2001; http://www.nuug.no/pub/dist/20021114-ietf.pdf. Halvestrand presenta l’IETF in qualità di Cisco Fellow. 171 Gli ingegneri IETF sono sistematicamente identificati dalle proprie credenziali aziendali. La loro appartenenza figura, infatti, sia nei documenti IETF rivolti all’esterno, sia nell’organigramma presente nel sito, mentre, nei casi in cui non è indicata accanto al nome del tecnico, la si ricava facilmente dal suo indirizzo e-mail.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
134
one of the major unsung (and under-supported) heroes of the Internet172.
Anche in questo caso, l’eccesso d’enfasi, qui posta sull’eroica attività
dell’Internet Society, svia la comunicazione del sito istituzionale, consegnandoci
una visione decisamente non convenzionale di questo snodo della governance
di internet deputato al mantenimento di una rete accessibile e aperta173. L’ISOC
è, infatti, rappresentata come un corpo intermedio pressoché ininfluente sulle
decisioni relative agli standard, in quanto gestore di una corrente comunicativa
che procede dalla comunità tecnologica alla società civile e non viceversa,
come dovrebbe esserle accreditato in virtù delle sue funzioni.
Alla luce della struttura operativa dell’Internet enhancement si comprende
perché questo dibattito abbia sempre insistito sulla necessità di prendere atto
della realtà e di considerare attentamente la composizione dei rapporti di forze
che premono per le modifiche al design174. Questo appello ricorrente si spiega
con le caratteristiche peculiari di un discorso che se, da un lato, è a stento
distinguibile dall’evoluzione dei modelli di business delle imprese, dall’altro, si
sviluppa dal lavoro di revisori immersi in un contesto metaforico che enfatizza
l’enorme successo dell’impresa tecnologica e riconosce il valore di bellezza e
semplicità a protocolli che esaltano l’eccellenza scientifica dei loro creatori. Gli
effetti di questo dissidio sono visibili nell’ideale regolativo che prende forma
negli anni ’90, con il quale vengono specificati nella semplicità del codice e nel
mantenimento dell’interoperabilità delle applicazioni i criteri di riformabilità del
design. È in questo periodo che si comincia, infatti, a sostenere che il
miglioramento della sicurezza e della quality-of-service della rete, deve evitare
di affollare di misure a basso valore di specificazione tecnica il core di internet,
rispettando la linearità degli standard e la capacità del sistema di dialogare con i
software di terze parti. Ci si sforza così di dimenticare che il fattore di successo
delle tecnologie di rete è consistito in una semplicità capace di supportare la
complessità, magia non riproducibile in un’architettura che ambisce a gestire
172 Http://www.ietf.org/tao.html#anchor6. 173 «The Internet Society (ISOC) is a nonprofit organization founded in 1992 to provide leadership in Internet related standards, education, and policy. With offices in Washington, USA, and Geneva, Switzerland, it is dedicated to ensuring the open development, evolution and use of the Internet for the benefit of people throughout the world». Http://www.isoc.org/isoc/. 174 Il percorso che porta alla già citata RFCs 3274/2004, parte da David Clark. D. D. CLARK. “A Cloudy Cristal Ball. Visions of the Future. Alternative Title: Apocalypse Now”, Massachusetts Institute of Technology, NEARNet, Cambridge, July, 13-17 1992; http://xys.ccert.edu.cn/reference/future_ietf_92.pdf.
II. Il governo dell’eccezione
135
ogni potenzialità di rischio.
Questa evoluzione, al tempo stesso, pragmatica ed estetizzante, della
cultura tecnologica, è stata attentamente analizzata da Paul David, che ha
indicato nel lavoro dell’IETF e nel ruolo svolto al suo interno da David Clark i
passaggi chiave del nuovo corso riformatore. Il giurista ha, infatti, evidenziato
come l’approccio dell’ingegnere del MIT, già father founder dell’end-to-end e
primo presidente IETF, sintetizzi gli elementi della svolta tecnocratica a partire
dalla quale il giusto codice sarà identificato con quello che si impone al giudizio
competente. Con Clark si fa strada l’idea che, in condizioni di completezza
informativa e competenza certificata dalla koiné scientifica, il libero gioco delle
opinioni assicuri la vittoria alle soluzioni migliori. Come ricorda David, è in
questo clima di fiducia nella potenza autoevidente del sapere tecnologico che
l’infrastruttura della rete accademica viene privatizzata:
The informal IETF credo, coined by David Clark of MIT conveys the ethos of the Internet’s pioneers: “We reject kings, presidents and voting. We believe in rough consensus and running code.” A bedrock of technocratic faith underlies this colourful formulation. For every problem there must be an engineering solution, and optimal solutions to engineering problems will be self-evident to all who are qualified by competence to judge; something cannot be “right” if its adoption has to be authorized by taking a formal vote. That philosophy, and the further legitimation of the rejections of the apparatus of national regulation and international governance that had evolved with the infrastructures of telegraphy and telephony, was given further impetus in the early 1990s by the circumstances under which the NSFNET backbone was opened to commercial traffic and its owner was transferred to the private sector175.
Confrontando il lavoro di Clark con gli sviluppi della riflessione tecnologica,
si trova conferma del giudizio di David sul ruolo giocato da questo teorico nel
dibattito su internet176. Come si è osservato a proposito della RFCs 3724, i
tecnici infatti non ignorano l’esistenza di condizionamenti alla loro attività, ma
tendono a reagire a tale consapevolezza con la credenza in una razionalità
superiore, identificata nel sapere tecnico, che si suppone capace di arginare le
spinte più distruttive del marketplace. Senza tener conto di questo aspetto, non
si comprende la singolare coincidenza che fa del 1992 lo stesso anno in cui
Clark lancia il suo celebre slogan al MIT e in cui pronuncia il discorso A Cloudy
175 P. A. DAVID. “The Beginnings and Prospective Ending of ‘End-to-End’: An Evolutionary Perspective On the Internet’s Architecture”, cit., pp. 11-12. 176 Un’influenza, peraltro non limitata all’ambiente tecnico, come mostra il riconoscimento tributatogli da Zittrain in The Future of the Internet and How to Stop It (op. cit, p. 247).
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
136
Cristal Ball. Visions of the Future. Alternative Title: Apocalypse Now davanti alla
platea del XXIV° meeting IETF. Come si intuisce considerando il sottotitolo, in
questo intervento Clark annuncia un futuro inquietante in cui internet
significherà:
The end of the open road …. The fencing of the West …. The Italian telephone system ....177.
Pur paventando il crollo del cyberspazio e la sua sostituzione con una
creatura mostruosa capace di fondere un controllo centralizzato all’arbitrio del
caos178, l’ingegnere insiste nel suo invito alla comunità IETF a misurarsi con la
domanda proveniente dalla società nel lavoro di ripensamento della rete. Il
senso della riflessione di Clark si precisa nell’affermazione che i rischi che si
profilano all’orizzonte sono frutto dell’enorme successo di internet, non dei suoi
limiti. La sfida al design proveniente dai nuovi servizi, dalle nuove offerte
commerciali e dalla minaccia del cyberterrorismo, non potrebbe, infatti,
inquietare la comunità tecnologica se questa non avesse donato all’umanità
uno strumento per incontrarsi179. Ma sul futuro di internet incombe un’incognita.
Le proposte di riforma ispirate al modello telefonico (ATM)180 potrebbero, infatti,
prevalere sull’idea di una rete distribuita e priva di controllo centrale, se gli
ingegneri non trovassero soluzioni al problema della sicurezza: «the problem
we love to ignore»181. Senza il responsabile impegno dei progettisti, gli anni ’90
saranno, allora, ricordati come «la decade del terrore»182:
Security is a CRITICAL problem. Lack of security means the END OF LIFE AS WE KNOW IT!! A time for ACTION!!! (Can I be more explicit?)183
Con un diretto riferimento al worm di Morris e alle pratiche dell’hacking,
177 Ivi, slide 12. 178 Si noterà come la tradizionale antipatia degli ingegneri di internet per il sistema telefonico trovi, nell’interpretazione di Clark, un efficace peggiorativo, impiegando lo stereotipo internazionale che identifica tutto ciò che è italiano con il caos. 179 P. A. DAVID. “The Beginnings and Prospective Ending of ‘End-to-End’: An Evolutionary Perspective On the Internet’s Architecture”, cit., slide 3 e 4. 180 L’Asynchronous Transfer Mode (ATM) è, appunto l’architettura affidabile che, già all’epoca, si proponeva di sostituire il modello ISO-OSI. 181 Ivi, slide 16. 182 P. A. DAVID. “The Beginnings and Prospective Ending of ‘End-to-End’: An Evolutionary Perspective On the Internet’s Architecture”, cit., slide 8. 183 Ivi, slide 9.
II. Il governo dell’eccezione
137
Clark indica, quindi, nella capacità di internet di neutralizzare le proprie forme di
disordine la sua sola possibilità di sopravvivere nella forma conosciuta.
L’ambizione di realizzare le condizioni di un universo telematico pacificato,
concilia dunque i vincoli imposti all’azione tecnologica con la fiducia nella
vittoria del giusto codice, permettendo alla comunità degli ingegneri di prendere
atto della realtà senza sottomettersi ad essa, continuando lavorare per un futuro
escatologico184. Ottimismo e apocalisse si presentano dunque insieme per il
medio della sicurezza. È infatti l’efficacia del controllo a mantenere l’entropia del
sistema entro limiti di tolleranza, riparando falle e dispersioni lungo il sistema
circolatorio dell’economia informazionale. Su questo terreno Clark incontra
Zittrain, dove le radici tecnocratiche della cultura di internet trovano
un’espressione giuridica compiuta. Nel nuovo spirito cyberlaw, l’ultimo appello
di Lessig a rinunciare alla criminalizzazione di una generazione di sharer, suona
adesso anacronistico:
[…] I finished Free Culture just as my first child was born […].Now I worry about the effect this [copyright] war is having upon our kids. What is this war doing to them? Whom is it making them? How is it changing how they think about normal, right-thinking behavior? What does it mean to a society when a whole generation is raised as criminal?185.
184 D. D. CLARK, K. SOLLINS, J. WROCLAWSKI, T. FABER. “Addressing Reality: An Architectural Response to Real-World Demands on the Evolving Internet Workshops”, ACM SIGCOMM, Karlsruhe, 2003, 25-27 august; http://www.isi.edu/newarch/DOCUMENTS/Principles.FDNA03.pdf. 185 L. LESSIG. Remix. Making Art and Commerce Thrive in the Hybrid Economy, New York: Penguin Book, 2008, p. xvii. Lessig ha presentato Remix come l’ultimo dei suoi libri dedicati al copyright, annunciando di volersi dedicare all’analisi della formazione della legge e dei meccanismi di lobbying.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
138
44..
DDaall ggoovveerrnnoo ddeeii ccoonnfflliittttii aallllaa ggoovveerrnnaannccee ddeellllee
pprroocceedduurree
II. Il governo dell’eccezione
139
Negli anni che precedono la comparsa del file sharing e le politiche di
sicurezza informatica, il diritto tecnocratico affonda le proprie radici nel
riduzionismo economico di teorici che guardano ad internet come ad uno spazio
globale di scambi mercantili, identificandone la legge a venire (la lex
informatica) con l’antica lex mercatoria, il complesso di convenzioni con cui il
medioevo dei primi traffici globali aveva superato le barriere delle legislazioni
nazionali. La legge di internet coincide così, metaforicamente, con un codice
extralegale la cui efficacia tecnica ne garantisce l’esecuzione nell’ambiente
digitale.
Emerge già con chiarezza una convergenza non occasionale tra filosofie di
controllo dell’informazione, superamento della legittimità formale dei dispositivi
normativi e misure di valorizzazione dell’ambiente telematico che fa risaltare
tutte le implicazioni politiche e giuridiche del conflitto generato dall’importanza
strategica dell’informazione in un contesto distributivo imperniato sulle reti.
Dopo il 2000, la crisi dell’ordinamento liberale all’intersezione con la governance
digitale travalica i confini del dibattitto su internet, divenendo centrale nelle
riflessioni di giuristi, come Teubner e Sartori, i cui interessi scientifici cominciano
a includere i problemi legati alla legge tecnologica. La ricognizione critica che i
due studiosi compiono intorno al declino delle democrazie liberali, conclude la
riflessione dedicata all’evoluzione dei conflitti digitali, evidenziando come
l’introduzione della legge informatica istituisca uno stato d’eccezione del diritto
che rischia di coincidere con le logiche del potere economico e con il controllo
autoritario dei flussi informativi.
La circolazione illegale delle copie si rivela così non solo come il principale
conflitto per l’ordine legittimo del cyberspazio, ma come una delle forme di
resistenza dei network alla sospensione del diritto nelle deleuziane società di
controllo. Come preconizzato da Lyotard, l’impossibilità postmoderna di fondare
la giustizia sul discorso vero e sulle narrazioni emancipative trova nella
divergenza endemica delle reti la possibilità di una legittimazione per paralogia
e la via di fuga dalla chiusura totalizzante della società amministrata.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
140
44..11 LLeexx iinnffoorrmmaattiiccaa ccoommee lleexx mmeerrccaattoorriiaa
44..11..11 LLaaww aanndd BBoorrddeerrss:: ppeerr uunn ddiirriittttoo ssppeecciiaallee ddii iinntteerrnneett
Per capire l’importanza dell’impostazione lessighiana del discorso su
internet e le conseguenze del suo declino, è essenziale tornare rapidamente
alle fasi iniziali del dibattito digitale e al rapporto delle visioni in competizione
con le diverse tradizioni intellettuali presenti negli Stati Uniti. Oltre ad opporsi
alla credenza sull’incoercibilità del cyberspazio e alle opinioni degli accademici
che non registravano la novità della nascita di internet, l’affermazione del punto
di vista di Lessig non poteva infatti realizzarsi se non a danno delle dottrine
giuridiche che fondavano la legittimità della legge sul consenso comunitario e
sul recepimento nel diritto delle forme di autoorganizzazione spontanea delle
collettività, aspetti che costituivano un elemento di contatto tra l’approccio
digitalista di Wired e quello dei giuristi conservatori che guardavano ad una
politica di veloce penetrazione commerciale di internet.
Il principale esempio di questa concezione è rappresentato dall’articolo del
1996 Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace, con il quale Johnson e
Post si inserivano nel dibattito sulle criticità regolative dell’ambiente digitale,
sostenendo che la legge di internet doveva essere svincolata dalle giurisdizioni
nazionali e trovare la propria efficacia nei codici di condotta che emergono
spontaneamente dalla sua vita sociale. Secondo la tesi avanzata dai giuristi,
poiché il diritto di uno spazio sovranazionale non poteva legittimarsi con la
sovranità statuale, la concezione regolativa che estendeva ad internet le leggi
vigenti esponeva infatti le norme al loro superamento di fatto nel mondo virtuale:
The rise of an electronic medium that disregards geographical boundaries, throws the law into disarray by creating entirely new phenomena that needs to became the subject of clear legal rules, but that cannot be governed, satisfactorily, by any current territorially based sovereign1.
I due studiosi contestavano vigorosamente l’idea, allora prevalente
nell’accademia giuridica, che la rete fosse
a mere transmission medium that facilitates the exchange of messages sent from one legally significant geographical location to another, each of which
1 D. R. JOHNSON, D. G. POST, “Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace”, Stanford Law Review, 48, 1996, p. 1375; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=535.
II. Il governo dell’eccezione
141
as its own applicable laws2,
Internet andava, infatti, vista come uno spazio sociale distinto, della cui
specificità la giurisprudenza doveva ormai tenere conto3. I criteri di efficacia del
diritto nell’ambiente elettronico andavano perciò rintracciati nelle diverse
modalità di formazione delle sue norme, che si esprimevano
nell’autoorganizzazione emergente dei comportamenti e nella capacità delle
comunità virtuali di darsi spontaneamente delle regole di condotta (netiquette)
valide al loro interno. La proposta di un diritto speciale per lo spazio elettronico
trovava, così, una forte analogia con la lex mercatoria, la convenzione con la
quale i mercanti medievali affrontavano la confusione giurisdizionale nel
contesto delle prime rotte del commercio mondializzato4. La fondazione
giuridica del new digital world guardava, così, paradossalmente, all’antica legge
dei mercanti e alla dottrina seicentesca dei comitati (doctrine of the comity), con
la quale le comunità dei padri pellegrini applicavano il diritto divino nei primi
insediamenti della frontiera americana:
Churches are allowed to make religious law. Club and social organizations can define rules that govern activities within their sphere of interest. Security exchanges can establish commercial rules, so long as they protect vital interests of the surrounding communities. In these situations, government has seen the wisdom of allocating rule-making functions to those who best understand a complex phenomenon and who have the interest in assuring the growth and health of their shared enterprise […] Cyberspace may be an important forum for the development of new connections between individuals and mechanism of self-governance by which individuals attain a sense of community5.
Johnson e Post intendevano, infatti, mostrare non soltanto le aporie e le
difficoltà applicative in cui incorreva l’estensione della legge territoriale al
cyberspazio, ma anche la sua iniquità. Esaminando il caso del copyright, gli
studiosi infatti sottolineavano come lo spirito della legge, che aveva promosso la
cultura istituendo monopoli incentivanti in un contesto distributivo primitivo,
rischiasse di volgersi nel suo contrario nel momento in cui veniva applicata ad
internet6. In piena sintonia con la Declaration di Barlow, i giuristi indicavano
2 Ivi, p. 1378. 3 Ivi, pp. 1375, 1378, 1379, 1381, 4 Ivi, 1389. 5 Ivi, p. 1392, 1397. 6 Ivi, p. 1383.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
142
perciò nel contratto sociale espresso spontaneamente dalla rete e in nuove
regole fondate su tale legittimità, l’unica fonte del diritto di internet7.
Benché esprimesse un punto di vista profondamente radicato nella cultura
americana, la visione antilessighiana di Jonhson e Post restava minoritaria negli
anni di maggiore vitalità della cyberlaw. La concezione a cui si richiamavano i
due studiosi non sarebbe rimasta tuttavia senza influenza. L’idea che una legge
speciale, di ispirazione corporativa, avrebbe promosso meglio di qualsiasi altra
lo sviluppo degli interessi locali iniziava, infatti, a farsi strada nei primi articoli del
diritto filotecnocratico che applicavano una visione riduzionista ad internet,
identificandola con l’e-commerce8. Poiché si guardava ad internet come a una
piazza d’affari, la lex mercatoria diventava il modello della lex informatica, la
legge di internet e quella dei mercanti una sola cosa.
44..11..22 LLaa lleeggggee ttrraannssnnaazziioonnaallee ddeeii mmeerrccaannttii
Modellando la legge del cyberspazio sulla lex mercatoria, Johnson e Post
dialogavano, in effetti, con una letteratura giuridica fortemente interessata
all’analogia dell’e-commerce con i traffici mercantili premoderni9. Due anni dopo,
Joel Reidenberg impiegava, infatti, la stessa metafora per analizzare le
proprietà di una legge tecnologica (la lex informatica) che, imponendosi erga
omnes, prometteva gli stessi benefici dell’antico codice di comportamento
mercantile10. Le regole comportamentali che la governance di internet poteva
integrare nel codice avrebbero, così, rappresentato per l’economia
informazionale lo stesso insieme di regole di condotta trasnazionale dei mercati
medievali, capace di superare, come già secoli addietro, la diversità delle
normative locali e i conflitti di regolazione internazionale. Conformemente alle
premesse, le caratteristiche del nascente diritto informatico globale erano
assimilate da Reidenberg alla convenzione nella quale il Medioevo dei traffici
7 Per la critica di Lessig a questa tesi, si rinvia alla nota 51, p. 64 del secondo capitolo. 8 J. R. REIDENBERG. “Lex Informatica: The Formulation of Information Policy Rules Through Technology”, Texas Law Review, 76, 3, 1998, p. 572; http://www.reidenberg.home.sprynet.com/lex_informatica.pdf. In effetti questo articolo di Reidenberg dà prova di notevole sincretismo, confrontandosi e recependo molti dei concetti chiave della cyberlaw, primo tra i quali il celebre «code is law» di Lessig. 9 Si veda la nota 71 a p. 1389 di Law and Borders, nella quale Johnson e Post citano la ricca bibliografia che la riflessione giuridica aveva sviluppare intorno alla lex mercatoria dalla fine degli anni ‘80. 10 J. R. REIDENBERG. “Lex Informatica: The Formulation of Information Policy Rules Through Technology”, cit., p. 553.
II. Il governo dell’eccezione
143
mercantili aveva trovato la spontanea regolazione del commercio internazionale
al di fuori e al di là delle disposizioni locali, reali, ecclesiastiche ed imperiali. La
lex mercatoria rappresentava, infatti, uno strumento tutto interno ai soggetti e
alle istituzioni finanziarie del commercio medievale, volto a governare i flussi di
merci e l’affidabilità dei mezzi di pagamento senza giurisdizione sul rapporto tra
i mercanti e i luoghi fisici attraversati dai beni, che restavano soggetti alla
sovranità locale. In base a tale affinità, la legge garante dei traffici digitali veniva
modellata dal giurista sulla normatività di un codice extralegale che l’esecuzione
tecnologica avrebbe reso esecutivo.
Tra i testi che si collocano nella fase nascente della giurisprudenza
tecnocratica, l’articolo di Reidenberg appare interessante proprio per il
riconoscimento implicito che la lex informatica è fondata sulla priorità
dell’economico rispetto ad ogni altro ambito meritevole di tutela. È con questo
tipo di letteratura, infatti, che il pensiero giuridico elabora un approccio
performativo alla governance digitale, focalizzato sull’efficacia della legge e non
più sulla rappresentazione di un modello di equità da cui ricavare codici
normativi. Nel nuovo spirito post-costituzionale, il rapporto tra legge e
ordinamento è così rovesciato. Alla proprietà intellettuale non si chiede più di
essere compatibile con i principi generali del diritto, né di garantire l’attuazione
dei fini pubblici, è invece il copyright a divenire il luogo di definizione della
legittimità dei comportamenti digitali o, in termini boyliani, la forma legale per
eccellenza della società informazionale.
La legge tecnologica rappresenta, in questa fase, la risposta alla
contraddizione insita nella realtà di una rete che si appresta a diventare
l’infrastruttura di un’economia mondializzata, ma il cui paradigma distributivo
accelera l’obsolescenza della valorizzazione basata sui monopoli. Con
l’esposizione dell’aporia economica del bene quasi-pubblico e la sua
trasposizione giuridica nel dilemma digitale, si faceva infatti strada l’idea che il
completamento del ciclo di valorizzazione dei beni soft e il ristabilimento
dell’equilibrio tra efficienza distributiva e incentivo alla produzione, sarebbe stato
assicurato solo intervenendo sulle dinamiche specifiche dell’ambiente digitale -
mentre iniziava a svilupparsi una riflessione economico-organizzativa alternativa
che opponeva le cattedrali dell’industria al bazaar della produzione open
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
144
source11. Ciò evidenziava come, nelle nuove condizioni poste da internet, il
meccanismo generatore di scarsità capace di scongiurare il fallimento del
mercato delle opere digitali, fosse anacronistico in rapporto alle potenzialità
delle nuove tecnologie e rendesse necessaria l’individuazione di cure adeguate
da prestare al grande infermo12. L’ipertrofia normativa del copyright e la
necessità delle stampelle tecnologiche tradiva così la sintomatologia di una crisi
irreversibile.
In questo periodo, l’attenzione attirata dalla senescenza del dispositivo e il
dibattito sollevato dal DMCA, pongono le condizioni per analisi approfondite
della logica della legge. Si pubblicano, infatti, importanti ricostruzioni storiche
che propongono spiegazioni alternative o più ampie di quella economica al
declino del copyright. In Copyright History and the Future, Edward Geller
promuove l’idea che, al di là del conflitto tra efficienza e incentivo, l’avvento
delle reti abbia portato alla luce i limiti originari della concezione che in età
moderna aveva affidato ai monopoli temporanei il compito di diffondere le lettere
e proteggere la cultura, così da legare la promozione di un fine pubblico al
profitto privato13. Portando la sua indagine sulle fasi precedenti allo Statute of
Anne14, il giurista, infatti, avanza l’ipotesi che «only when media technology and
market conditions made piracy profitable could copyright arise»15. In questo
modo, Geller evidenzia che, mentre dal punto di vista politico, la storia pre-
classica del controllo dell’informazione si era legata alla censura e
all’attribuzione del privilegio di stampa a corporazioni vicine alla corona, da
quello economico, il diritto di copia aveva canalizzato verso l’economia legale la
ricchezza del commercio informale che prosperava indipendentemente
dall’azione del legislatore. Autopromozione informale della cultura e nascita del
mercato delle opere erano così l’uno il rovescio dell’altra, tanto che diventava
difficile risalire all’origine e giudicare quale appropriazione fosse legittima.
Evolutosi dal progenitore giuridico del privilegio di stampa, il diritto di copia non
11 E. S. RAYMOND. “The Cathedral and the Bazaar”, 1997, ver. 3.0 consultabile all’indirizzo: http://webyes.com.br/wp-content/uploads/ebooks/book_cathedral_bazaar.pdf. La linea interpretativa abbozzata da Raymond viene approfondita da Benkler. 12 La teoria dell’informazione come bene-quasi pubblico e il concetto di fallimento del mercato sono stati esposti a p. 78. 13 E. GELLER. “Copyright History and the Future. What’s Culture Got to Do with It?”, Journal of Copyright Society of U.S.A., Septermber 25, 47, 2000, p. 210; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=243115. 14 Sull’elaborazione dello Statute of Anne (1710), si veda la nota 63 a p. 67. 15 E. GELLER. “Copyright History and the Future. What’s Culture Got to Do with It?”, cit., p. 210.
II. Il governo dell’eccezione
145
si giustificava, infatti, con la remunerazione del lavoro dell’artista ma con la
protezione di un settore industriale, che differiva dal traffico pirata per il solo
possesso della concessione reale. L’accuratezza della ricerca storica, sfiora
così, in Geller, la critica nietzscheana delle origini della legge:
Il brigante e il potente che promette a una comunità di proteggerla contro il brigante, probabilmente sono esseri del tutto simili, solo che il secondo raggiunge il suo vantaggio in modo diverso dal primo: cioè con regolari tributi che la comunità gli paga, e non più con saccheggi. È lo stesso rapporto che passa tra il mercante e il pirata, che sono per molto tempo una sola e medesima cosa: dove l’una funzione non le sembra consigliabile, essa esercita l’altra. Tutta la morale mercantile è ancor oggi propriamente solo lo scaltrimento della morale piratesca [...]16.
Geller non cita Nietzsche, ma la radicalità della sua ipotesi di lavoro lo
avvicina allo spirito di questo aforisma, portandolo a problematizzare molte
assunzioni di origine economica non meditate dalla dottrina giuridica. Sono
perciò soprattutto studi storici di questa profondità a porre le premesse per una
interpretazione non (esclusivamente) tecnologica ed economica del tramonto
del copyright17. Su questa linea si è posto recentemente Tarleton Gillespie, che
ha osservato, nel suo ultimo libro, come la crisi normativa attribuita alla
destabilizzazione digitale illumini, piuttosto, le tensioni interne della legge,
evidenziando come la struttura legale del copyright abbia trasferito sul piano
politico l’aporia economica della valorizzazione dell’informazione. La condizione
digitale e l’accessibilità tecnologica della conoscenza pongono cioè in luce
come la soluzione al problema economico dell’informazione abbia lasciato
esterno alla propria sfera di manovra il problema politico della sua diffusione,
declinato come puro riferimento ideale. Per questo, nel momento in cui la
comparsa delle tecnologie digitali mette a rischio gli equilibri della legge,
emergono le condizioni perché il suo rafforzamento (normativo e tecnologico)
offra ai titolari dei diritti l’opportunità di scalarne i benefici, in contraddizione con
i fini enunciati:
Intellectual property aspires to serve the public good by constructing a property regime premised on private gain. The effort to strike a balance
16 F. NIETZSCHE. “Principio dell’equilibrio”, § 22, in Menschlishes, Allzumenscliches, trad. it. Umano, troppo umano, II, Milano: Adelphi, 1981, pp. 149-150. 17 C. M. ROSE. “Romans, Roads, and Romantic Creators: Traditions of Public Property in The Information Age”, Law & Contemporary Problems, 69, Winter/Spring 2003 (già pubblicato tra i paper dell’Università di Yale nel febbraio 2002); http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=293142.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
146
between these often competing interests requires limits and exceptions that are both fundamental to copyright law and, at the same time, revealing of its inherent tensions. The emergence of new technologies tends to disrupt the balances within this legal regime that manage its structural tensions. Like many technologies before it, the Internet made visible ambiguities that copyright law had not had to deal with before, and afforded an opportunity for those most invested in the workings of copyright law to tip the scales to their benefit18.
Pur senza polemizzare esplicitamente con la cyberlaw, l’interpretazione del
sociologo mette così l’accento anche sui limiti di una letteratura volta a
difendere un equilibrio costituzionale il cui meccanismo si svela strutturalmente
inadatto al perseguimento degli obiettivi dichiarati. Portando fino in fondo
l’analisi di Gillespie, si deve dedurre, infatti, che le contraddizioni rilevate da
Lessig e dagli studiosi della sua scuola, erano il prodotto dell’ambiguità di
quell’equilibrio e non della deriva applicativa che i cybergiuristi intendevano
contrastare. In questo modo, il solo autore che può dirsi immune da questo
errore prospettico sembra essere Boyle che, introducendo Shamans, Software
and Spleens ha sottolineato come «One of the themes of this book is that the
implicit frameworks within the regulation of information is discussed are
contradictory – or at least aporetic – and indeterminate in application»19.
44..11..33 LL’’aalltteerrnnaattiivvaa ccoossttiittuuzziioonnaallee:: GGuunntthheerr TTeeuubbnneerr
Quanto emerge da queste letture, appare tanto più problematico se si
osserva come le risorse informative, la cui accessibilità al lettore borghese è
stata la condizione di esistenza della sfera pubblica moderna, rappresentino nel
contesto di una società informazionale beni di natura sempre più indeterminata,
in grado di disegnare i profili di inclusione ed esclusione rispetto all’intera vita
sociale, piuttosto che alla sola cittadinanza liberale. È, perciò, proprio sulla
problematica dell’accesso che si appunta la critica più incisiva alla nuova
governance la quale, ha osservato Gunther Teubner,
It is not just technical legal questions […]. Rather, we are faced with the more fundamental question of a universal political right of access to digital communication […] In the background lurks the theoretical question whether
18 T. GILLESPIE. Wired Shut. Copyright and the Shape of Digital Culture, Boston: MIT Press, 2007, p. 14. 19 J. BOYLE. Shamans, Software and Spleens: Law and The Construction of the Information Society, op. cit., p. 34.
II. Il governo dell’eccezione
147
it follows from the evolutionary dynamics of functional differentiation that the various binary codes of the world systems are subordinate to the one difference of inclusion/exclusion. Will inclusion/exclusion become the meta-code of the 21st century, mediating all other codes, but at the same time undermining functional differentiation itself and dominating other social-political problems through the exclusion of entire population groups?20
Nel discorso di Teubner la digitalizzazione delle risorse, intrecciando gran
parte dei processi di produzione culturale ed economica ai flussi informativi
della rete globale, trasforma l’accesso all’informazione in un codice binario di
esclusione/inclusione in grado di far collassare l’intera gamma delle
differenziazioni sociali. Ciò accade perché la distribuzione delle risorse
economiche e simboliche si lega, ormai, inestricabilmente, alla disponibilità di
informazioni, ovvero al fattore a cui sono legati tipi differenti di capitale che
Bourdieu aveva concepito come l’interazione circolare che struttura un campo
sociale. Come mostrava ne La Distinction, i diversi tipi di capitale finanziario,
culturale e simbolico in godimento agli individui si caratterizzano per la capacità
di trasferirsi l’uno nell’altro, istituendo una molteplicità di flussi che presiedono
all’accumulazione di ricchezza, potere e conoscenza e determinano la struttura
dello status. Tale circolazione, mantenuta istituzionalmente, tende a restare
interna a specifici campi, per naturalizzarsi nelle differenze di gusto e nel
possesso di codici simbolici esclusivi capaci di autoriproduzione21.
L’avvento di una società in rete sembra aver trasferito tali dinamiche nel
funzionamento di strutture sociali al tempo stesso territorializzate in particolari
centri di attività economica e deterritorializzate in flussi globali di capitali, merci
e informazioni. In questo contesto, nel momento in cui l’accumulazione di
risorse si produce e si concentra nelle reti, collocarsi nei punti di intersezione di
tali flussi – fisici e virtuali - o, al contrario restarne ai margini, diviene la
questione essenziale22. L’avere o non avere accesso all’informazione diviene
quindi il dispositivo di una configurazione superiore che, al tempo stesso,
20 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centred Constitutional Theory”, Storrs Lectures 2003/04, Yale Law School, p. 2; http://papers.ssrn.com/sol3/Delivery.cfm/SSRN_ID876941_code566891.pdf?abstractid=876941&mirid=1. 21 P. BOURDIEU. La distinction. Critique sociale du jugement de gout, Paris : Les Éditions de Minuit, 1979. 22 M. CASTELLS. La nascita della società in rete, trad. cit..
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
148
istituisce e sanziona ogni forma di differenza sociale23. Di qui il rischio che il
copyright, nato come uno strumento di politica industriale del XVIII° secolo si
trasformi, nell’età della convergenza digitale, in un meccanismo dispotico di
gestione delle comunicazioni globali, guidato dall’accumulazione di mercato.
Un’attenzione significativa verso un tale riaccentramento gerarchico del
controllo, effetto paradossale del coordinamento orizzontale di una rete di attori
istituzionali e non istituzionali24, si trova rappresentata in diverse aree di
interesse del dibattito giuridico, particolarmente tra gli autori che adottano una
prospettiva repubblicana o costituzionale Su questo terreno si sono, infatti,
confrontati Lessig e Teubner. Nell’approccio del giurista americano, la critica
alla svolta tecnologica del copyright si presenta, essenzialmente, come un atto
di resistenza allo stato d’assedio del cyberspazio che rivendica il riconoscimento
della legge incorporata nell’architettura a garanzia della sua costituzione
materiale25. La riflessione di Teubner parte, invece, da premesse diverse. Per il
teorico tedesco, infatti, il conflitto sulla governance di internet è un effetto
dell’autonomizzazione dei sottosistemi sociali innervati dalla rete, tra i quali il
business commerciale, malgrado la sua potenza ed influenza, non è che una
delle sfere già differenziate e in espansione grazie alla chiusura operativa
rispetto al proprio ambiente. Pensare la difesa delle libertà civili in questo
contesto, richiede allora
the courage to rethink the constitution in a direction of political globality, in the light of an intergovernmental process, through the inclusion of actors in society, and in terms of horizontal effects of fundamental rights26.
La prospettiva dalla quale Teubner osserva l’evoluzione regolativa è,
dunque, radicalmente antitetica a quella che accomuna i primi studi di
Reidenberg alle recenti teorizzazioni di Zittrain. Rispetto a Lessig, il problema
della costituzionalizzazione di internet si sposta dal piano del riconoscimento
23 Nel suo libro suI divario digitale Jan van Dijk ha osservato soprattutto come «the digital divide is deepening where it has stopped widening», sottolineandone la relazione con le dinamiche della diseguaglianza sociale, più che con condizioni di svantaggio geo-economiche. Si veda J. A.G.M. VAN DIJK, The Deepening Divide. Inequality in Information Society, cit., p. 3. 24 S. SASSEN. “Digital Networks and the State. Some Governance Questions”, Theory, Culture & Society, 17, 4, 2000. 25 L. LESSIG. “The Internet Under Siege”, Foreign Policy, November-December, 2001; http://lessig.org/content/columns/foreignpolicy1.pdf#search%22lessig%20the%20internet%20under%20siege%22; M. A. LEMLEY, L. LESSIG, “The End of End-to-End: Preserving the Architecture of the Internet in the Broadband Era”, cit.. 26 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 5.
II. Il governo dell’eccezione
149
della legge incorporata nel codice, a quello della fondazione del diritto che pone
inediti problemi alla difesa delle libertà sul terreno della proliferazione dei
subsistemi sociali27.
Concordando con David Sciulli, secondo il quale «only the presence of
institutions of external procedural restraint (on inadvertent or systemic exercises
of collective power) within a civil society can account for the possibility of a
nonauthoritarian social order under modern conditions»28, Teubner si chiede
come una teoria costituzionale possa rispondere alle sfide portate dalla
digitalizzazione, dalla privatizzazione e dalla globalizzazione - le tre tendenze
dominanti della società contemporanea - al problema dell’inclusione/esclusione
sociale29. Ciò equivale a porre la questione di come la teoria costituzionale
possa passare dalla prospettiva moderna, nella quale nasceva come limitazione
legale del potere repressivo del sovrano, a quella contemporanea, nella quale
deve confrontarsi con «the massive human rights infringements by non-state
actors [that] it points out the necessity for an extension of constitutionalism
beyond purely intergovernmental relations»30.
La proposta teorica avanzata da Teubner guarda, a questo scopo, al
riconoscimento giuridico di una molteplicità di sottosistemi sociali autonomi e
tendenzialmente configgenti, la cui costituzionalizzazione potrebbe governare le
spinte centrifughe della differenziazione sociale e fornire la sede legale
adeguata alle controversie digitali. D’altra parte, è opinione del giurista che le
battaglie della commercializzazione e della regolazione tecnocratica di internet
evidenzino già il corso caotico in cui si mostra la formazione di una legge
organizzazionale del cyberspazio che coincide con lo stato nascente di una
costituzione digitale31. In questo modo, Teubner rinvia esplicitamente all’idea
dell’autoformazione della legge del cyberspazio, riconquistando al
costituzionalismo la tesi di Johnson e Post, nella misura in cui la riflessione di
Law and Borders aveva opposto i codici normativi e comportamentali della rete
27 Una prospettiva analoga è stata adottata da Mark Gould. Si veda M. GOULD. “Governance of the Internet – A UK Perspective”, paper presentato al Coordination and Administration of the Internet Workshop, Kennedy School of Government, Harvard University, 8-10 September 1996; http://aranea.law.bris.ac.uk/HarvardFinal.html. 28 D. SCIULLI. Theory of Societal Constitutionalism, Cambridge: Cambridge University Press, 1992, p. 81. Tratto da G. TEUBNER, cit., p. 7. 29 G. TEUBNER, Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 2. 30 Ivi, p. 2. 31 Ivi, p. 5.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
150
all’introduzione di leggi estranee e liberticide - con esiti dunque opposti all’uso
che ne faceva Reidenberg32. Il problema che si pone alla dottrina liberale di
orientamento sistemico è, dunque, quello di vincolare la spontanea regolazione
di un ambiente digitale che rischia di coincidere con le logiche del potere
economico, a procedure esterne di controllo in grado di neutralizzarne
l’evoluzione autoritaria. Si tratta cioè di scongiurare la possibilità che la
produzione di norme, anziché tessere legame sociale assicurando l'equilibrio di
interessi contrapposti, aggravi gli squilibri esistenti sanzionando «l'utile del più
forte», secondo la celebre formula del Trasimaco platonico33.
La praticabilità della proposta costituzionale è affidata da Teubner al
riconoscimento degli attori di internet come soggetti di diritto, la cui
formalizzazione fornisca una nuova legittimità alla definizione delle regole di
comportamento digitale. Ciò equivale non certo all’impossibile riconduzione dei
subsistemi autonomi ad una logica unitaria superiore, quanto alla codificazione
della loro reciproca indipendenza e al conseguente contenimento della
tendenza autoritaria che aspira al controllo di una parte sulla totalità34. Teubner
accoglie qui la convinzione luhmanniana che un’inversione di marcia, o una
rivoluzione verso una ‘de-differenziazione’ della società e una resurrezione dei
vecchi miti sia ormai preclusa: «il peccato della differenziazione non potrà mai
essere annullato. Il paradiso è perduto»35. Di qui l’aggiornamento
dell’organicismo di Johnson e Post, l’autoorganizzazione di internet non può più,
infatti, essere pensata su base comunitaria o consuetudinaria. La rete non avrà
una magna charta.
È in questi termini che si precisa il cammino verso «a universal political right
of access to digital communication»36. La fondazione di un tale diritto non può,
infatti, trovare origine né in una costituzione politica esterna - ovvero in una
costituzione nazionale, come in Lessig -, né in una costituzione transnazionale
32 D. R. JOHNSON, D. G. POST, “Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace”, cit. 33 PLATONE. Repubblica, cit. 34 N. LUHMANN. Die Wirtschaft der Gesellschaft, Frankfurt am Maim: Suhrkamp, 1994, p. 344. Tratto da G. TEUBNER. “Giustizia nell’era del capitalismo globale?”, in M. BLECHER, G. BRONZINI, J. HENDRY, C. JOERGES and the EJLS (a cura di), Special Conference Issue “Governance, Civil Society and Social Mouvements”, Fiesole, luglio 2008, in European Journal of Legal Studies, 1, 3, 2008, p. 2; http://www.ejls.eu/download.php?file=./issues/2008-07/TeubnerIT.pdf. 35 G. TEUBNER, Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 5. 36 Ivi, p. 2. Affine nello spirito, la proposta di riconoscimento di “droits intellectuels positives” formulata da Philippe Aigrain in Cause commune. L’information entre bien commun et propriété, Paris: Fayard, 2005, pp. 145-155.
II. Il governo dell’eccezione
151
ispirata alla concentrazione del potere e alla formulazione di una legge speciale
per l’ambiente digitale - quali gli accordi economici internazionali sul copyright
che negli ultimi anni ne hanno tratteggiato la governance, come in Reidenberg -,
quanto nel principio di una costituzione interna frutto della negoziazione politica
tra i nuovi soggetti di diritto. Con ciò il giurista sembra guardare, pur senza
riferimenti espliciti, agli organismi assembleari e multistakeholder come il WSIS
e l’IGF costituiti in seno all’O.N.U. Teubner evidenzia, infatti, tutta la criticità
dell’attuale modalità di co-regolazione pubblico-privata che interessa l’ambiente
digitale, in cui
Regulations and norms are produced not only by negotiations between states, but also by new semi-public, quasi-private or private actors which respond to the needs of a global market. In between states and private entities, self-regulating authorities have multiplied, blurring the distinction between the public sphere of sovereignty and the private domain of particular interests37. And legal norms are not only produced within conflict regulation by national and international official courts, but also within non-political social dispute settling bodies, international organizations, arbitration courts, mediating bodies, ethical committees and treaty systems38.
44..11..44.. LLee aapppplliiccaazziioonnii nnoorrmmaattiivvee ddeell ffoonnddaammeennttaalliissmmoo ddii mmeerrccaattoo
È a questo retroterra politico-economico che si deve la molteplicità di
normative e direttive quali le leggi francesi Dadvsi e Hadopi, l’italiana Legge
Urbani39, le direttive europee Eucd e Ipred2, e numerosi disegni di legge dei
paesi aderenti al WTO che negli ultimi anni si sono distinti per la severità del
regime di sorveglianza e per i problemi di legittimità sollevati in ordine a
questioni formali e sostanziali40. Particolare menzione meritano, in proposito, il
37 J GUEHENNO. "From Territorial Communities to Communities of Choice: Implications for Democracy" in W. STREECK (ed.), Internationale Wirtschaft, nationale Demokratie: Herausforderungen für die Demokratietheorie (Frankfurt/M: Campus, 1998), p. 141. Citato da G. TEUBNER, Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit, p. 13. 38 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 13. 39 La legge Urbani ha apportato una sola, fondamentale, variazione alla legge precedente, sostituendo alla dizione «per fini di lucro», che identificava la fattispecie di reato per la duplicazione dei contenuti protetti, quella di «per trarne profitto», che incrimina chiunque condivida file protetti per trarre beneficio dalla possibilità di godere di un bene senza acquistarlo. Il colpevole di download rischia ora fino a quattro anni di carcere. 40 Tra le molte produzioni normative, particolarmente inquietanti sembrano la proposta n. 89 sulle telecomunicazioni approvata recentemente dal senato brasiliano allo scopo di definire i profili di reato informatico, che spazia dalla registrazione dei blog alla pedopornografia, e le recenti sperimentazioni nell’attività di filtering poste in essere dall’Australian Communications & Media
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
152
recente progetto di legge americano, noto come Prioritizing Resources and
Organization for Intellectual Property Act o “Pro-IP” Act (2008) che fa leva sulla
creazione di un’autorità governamentale della proprietà intellettuale affiancata al
Dipartimento di giustizia americano41 - emulato in Italia, con minori attribuzioni,
dal Comitato tecnico contro la pirateria istituito presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri -, e la legge Création et Internet (Hadopi) che riforma
l’Autorité de régulation des mesures techniques, istituita dalla Dadvsi soltanto
nel 2006.
Mentre nel caso del Pro-IP Act i commentatori hanno parlato dell’istituzione
di un White House level della proprietà intellettuale e perfino di riaccentramento
zarista delle tradizionali prerogative del tribunale penale42, in Francia il Conseil
Constitutionnel ha sollevato rilievi giurisdizionali volti a evidenziare la frizione a
cui la Crèation et Internet sottopone la distinzione delle funzioni penali e
amministrative di corpi dello stato. Nel caso francese, è la commissione
presieduta dal PDG di Fnac, tra i massimi distributori musicali del paese, a
redigere il progetto di legge istituente l’autorità amministrativa incaricata della
gestione della riposte graduée, un dispositivo sanzionatorio che culmina nel
distacco della linea telefonica dell’utente accusato di download illegale – senza
peraltro ledere gli interessi dei fornitori d’accesso che continueranno a percepire
l’abbonamento della linea disconnessa. Lo spirito della legge è dunque chiaro,
anche se il suo futuro è incerto. Durante il suo iter d’approvazione, il disegno di
legge ha, infatti, sollevato rilievi di incostituzionalità e ripetute manifestazioni di
contrarietà da parte degli organismi comunitari43. Proprio a partire da queste
Authority (ACMA) che si prefigge di smistare i flussi informazionali interni al paese attraverso filtri di stato da implementare presso gli ISP. 41 Il Pro-IP Act è diventato legge il 22 ottobre 2008 con il nome To enhance remedies for violations of intellectual property laws, and for other purposes; http://thomas.loc.gov/cgi-bin/bdquery/z?d110:H.R.4279. 42 «We create a czar when we think that something is so important that other values must be subordinated to it, other goals ignored, power centralized, restraints discarded. The great thing about czars is that they can act alone, maximizing a single set of values, without worrying about the troubling demands of bureaucracy but also sometimes without worrying about the demands of the separation of powers and the rule of law». J. BOYLE. “A Czar for the Digital Peasants”, FinancialTimes.com, June 24, 2008; http://www.ft.com/cms/s/0/14aacbc8-41e1-11dd-a5e8-0000779fd2ac.html?nclick_check=1. 43 Una breve sintesi del braccio di ferro ingaggiato dal governo francese con gli organismi comunitari: Il 24 settembre 2008, il Parlamento Europeo ha approvato – con 573 voti favorevoli contro 74 – l’emendamento 138 al Pacchetto Telecom « déposé […] par les eurodéputés Guy Bono, Daniel Cohn-Bendit, et Zuzana Roithová, ce dernier empêche qu’un Etat membre évacue l’autorité judiciaire au profit d’une autorité administrative pour prendre des décisions relatives à la liberté d’expression et d’information des citoyens ». La motivazione dell’emendamento che respinge la Dottrina Sarkozy è stata associata al «principe selon lequel aucune restriction aux
II. Il governo dell’eccezione
153
incompatibilità ordinamentali, la stampa contraria al provvedimento ha
dichiarato l’Hadopi morta giuridicamente e tecnicamente prima ancora di
nascere:
* L'HADOPI est morte juridiquement car elle bafoue les principes fondamentaux des droits français et européen, notamment le respect d'un procès équitable, le principe de proportionnalité des délits et des peines et la séparation des pouvoirs. Le Parlement européen vient en outre pour la 4ème fois de rappeler son opposition au texte français en votant à nouveau l'amendement 138/46, rendant l'HADOPI caduque. Cette dernière ne respecte pas plus les exigences de la Constitution française en matière de procédure équitable, d'égalité devant la loi et de légalité des lois, ce dont le Conseil Constitutionnel va avoir à juger maintenant. * L'HADOPI est morte techniquement car elle repose intégralement sur l'identification d'utilisateurs via leur adresse IP qui peut être camouflée ou détournée de bien des façons. Les techniques de contournement sont déjà très largement disponibles et des innocents seront par ailleurs inévitablement condamnés44.
L’evoluzione normativa francese è esemplare, per molti aspetti, della
direzione intrapresa dalla governance globale dell’informazione, nella quale i
diritti patrimoniali d’autore si collocano in posizione sovraordinata rispetto ad
ogni altro diritto e libertà fondamentale, dalla libertà d’espressione al diritto alla
riservatezza. Con ciò il progetto di una proprietà intellettuale ispirata a misure
eccezionali, sembra completare il proprio ciclo di rinnovamento, iniziato con
l’estensione dei limiti temporali e culminato nella colonizzazione di tutti gli strati
logici dell’architettura informatica, dai contenuti ai protocolli di trasmissione, fino
droits et libertés fondamentales des utilisateurs finaux ne doit être prise sans décision préalable de l’autorité judiciaire en application notamment de l’article 11 de la charte des droits fondamentaux, sauf en cas de menace à la sécurité publique où la décision judiciaire peut intervenir postérieurement». "L-Europe-enterre-la-riposte graduée", Libération.fr, 24 septembre 2008. Il 6 ottobre, il Presidente della Commissione Europea ha risposto alla lettera che il Presidente Sarkozy gli aveva indirizzato, invitandolo a respingere la decisione del Parlamento, per evidenziare la volontà della Commissione di «rispettare questa decisione democratica del Parlamento Europeo. Dal nostro punto di vista, quell'emendamento ribadisce con decisione i principi alla base dell'ordinamento giuridico dell'Unione Europea, specialmente per quanto riguarda i diritti fondamentali della persona». “Dottrina Sarkozy, Sarkozy schiaffeggiato (di nuovo)”, Punto informatico, 13 ottobre 2008. Il 6 maggio 2009 il Parlamento Europeo ha votato una versione emendata del cosiddetto pacchetto Telecom che include un emendamento 138 più volte modificato. Il testo esclude il ricorso alle ghigliottine digitali, ma rinvia l’intero provvedimento ad una terza lettura per una definizione più chiara della politica europea in materia di neutralità e telecomunicazioni. Il 13 maggio la loi Création et Internet è stata approvata dal Parlamento. Il 10 maggio il Conseil constitutionnel ha rigettato la legge, motivando la decisione con l’osservazione che: «Internet est une composante de la liberté d'expression et de consommation», che «en droit français c'est la présomption d'innocence qui prime» e che spetta «à la justice de prononcer une sanction lorsqu'il est établi qu'il y a des téléchargements illégaux». 44 LA QUADRATURE DU NET. "Enterrement solennel de l'HADOPI à l'Assemblée", 12 mai 2009 ; http://www.laquadrature.net/en/enterrement-solennel-de-lhadopi-a-lassemblee.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
154
al cavo – benché nell’Hadopi la disconnessione sia irrogata come misura
amministrativa e non ancora tecnologica.
È alla luce di questa tendenza autoritaria che va letto il tentativo della teoria
giuridica liberale, da Lessig a Teubner, di portare il dibattito alla definizione di un
nuovo piano di legalità per internet che esamini, senza subirlo, il problema
«whether business operators, even stimulated by economic stimulation in
private-public co-regulation, should be entrusted with deciding on the limits of
human right»45. A tal fine, la proposta costituzionale di Teubner, piuttosto che
affidarsi alla difesa delle architetture punta, invece, a contenere la pressione
autoreferenziale di una regolazione dalla vocazione tecnocratica:
Lessig fears a development of the internet towards an intolerable density of control by a coalition of economic and political interests […]. Politically, the point would not be, as Lessig et al think, to combat a development to cybercorporatism, but to stabilize and institutionally guarantee the spontaneous/organized difference as such46.
È su tale ordine, basato sulla rilegittimazione del conflitto politico e sulla
statuizione di un diritto di accesso universale all’informazione, che Teubner
fonda la possibilità di codificare fondamentali posizioni di diritto da far valere
non solo contro corpi politici, ma anche contro istituzioni sociali e centri di potere
economico47.
Come si è visto, il discorso della giurisprudenza liberale che si è cercato di
rappresentare48, si colloca in posizione critica rispetto alla prospettiva
funzionalista di una governance senza governo49, nel cui quadro l’attività
coordinata e complessa di attori privati e istituzionali si basa su regole di
comportamento esclusivamente funzionali e non formali, assicurando il
funzionamento di organismi complessi su scala planetaria con il solo requisito
della capacità di coordinarsi a prescindere da norme e legittimazione50.
45 Ibidem. 46 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 24. 47 Ivi, p. 4. 48 Per un quadro più completo della posizione della dottrina liberale sulle norme tecnologiche, si rinvia al prossimo paragrafo. 49 Si veda J. KOOIMAN. Governing as Governance, London: Sage, 2003 50 Secondo Luhmann, d’altra parte, «la legittimità […] non si fonda affatto sul riconoscimento ‘volontario’, su un convincimento di cui si è personalmente responsabili, bensì viceversa su un clima sociale che istituzionalizza come ovvio il riconoscimento delle decisioni vincolanti e lo considera come conseguenza non di una decisione personale, ma della validità della decisione ufficiale». N. LUHMANN. Legitimation durch Verfahren, 1983, trad. it. Procedimenti giuridici e legittimazione sociale, Milano: Giuffré, 1995, p. 26.
II. Il governo dell’eccezione
155
Una delle caratteristiche più evidenti di questo genere di governance è
quella di operare come un insieme di dispositivi tesi a dare corpo a processi di
contenimento e di co-direzione dei conflitti prodotti dalle dinamiche degli
interessi, negandone il carico politico e spostandone tendenzialmente il focus
sul piano tecnico, scientifico ed economico. In questo ambito, la regolazione
della vita pubblica assume una fisionomia spiccatamente tecnocratica, ispirata
alla corporate governance e al funzionamento dei grandi sistemi tecnici, dalle
telecomunicazioni, ai trasporti, all’energia, uscendo dal precedente modello
giuridico basato sulla conformità a norme, per assumere un nuovo genere di
fondamenti scientifici e operare con una nuova prassi politica. Ciò si mostra
nella produzione di metafore e di strumenti teorici che si svincolano dai
tradizionali concetti della filosofia politica moderna - quali quelli di opinione
pubblica e rappresentanza - finendo per svuotare le coniugazioni stesse del
concetto contemporaneo di democrazia.
In questo processo di decostruzione della legalità moderna, il cyberspazio
sembra essere una delle zone di più intensa sperimentazione del nuovo assetto
di una società amministrata.
44..22 LLeexx iinnffoorrmmaattiiccaa ccoommee ssttaattoo dd’’eecccceezziioonnee
44..22..11 GGoovveerrnnaannccee tteeccnnoollooggiiccaa ee ccrriissii ddeellll’’oorrddiinnaammeennttoo lliibbeerraallee Who shall write the software that increasingly structures our daily lives?
What shall that software allow and proscribe? Who shall be privileged by it and who marginalized?
W. J. Mitchell 51
In un convegno di filosofia del diritto del 2002, Giovanni Sartori ha condotto
una riflessione approfondita sui cambiamenti introdotti nell’ordinamento dalla
legge tecnologica. L’intervento del giurista si è articolato intorno alla domanda
su quale tipo di diritto emerga in un sistema di regole che «tende a sostituire
[al]la categoria del giuridicamente lecito la categoria del virtualmente
possibile»52. Lo studioso ha fatto osservare che, nel momento in cui dei
software intelligenti abilitano azioni secondo il profilo dell’utente e sviluppano
51 W. J. MITCHELL. City of Bits: Space, Place and the Infobahn, Cambridge: MIT Press, 1995, p. 81. 52 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, cit..
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
156
algoritmi di risposta ai comportamenti precedenti dell’utilizzatore, l’orizzonte di
possibilità degli individui si restringe alla legalità del codice, rendendo
impossibili azioni non conformi o non previste in un ambiente cibernetico
perfettamente ordinato:
Potremmo chiederci se non dovremmo accogliere con entusiasmo questa tendenza, e accettare il fatto che il diritto venga sostituito da forme più evolute di controllo sociale. Il governo dell'attività umana mediante computer potrebbe rendere vera l'antica utopia del superamento del diritto. Anziché usare la normatività per coordinare il comportamento degli individui (che richiede la cooperazione attiva della mente dell'individuo stesso, ed esige che egli adotti la norma quale criterio del proprio comportamento, o almeno che egli tema la sanzione), la società potrebbe governare il comportamento umano (nel ciberspazio) introducendo processi computazionali che abilitino solo le azioni desiderate53.
Osservando la soppressione paradossale del diritto da parte di una téchné
capace di renderlo superfluo, Sartori riscopre il carattere ambiguo della stessa
produzione di norme che istituisce la legge come strutturazione del campo di
possibilità degli individui, mentre trova la propria ragione d’essere nella capacità
di indirizzo della trasgressione54. Proprio per questo, l’impossibilità
dell’infrazione non innalza la norma, ma la elimina. Nel momento in cui il
comportamento umano su internet fosse «interamente governato da processi
computazionali», la rete somiglierebbe dunque, più che alla catastrofe post-
diluviana che travolge l’innovazione55, ad una sorta di Eden prima del peccato,
dove non c’è ancora possibilità di allontanamento dalla grazia. In quel reale
perfettamente razionale, l’unica divergenza possibile sarebbe, infatti, l’eversione
dell’ordine, la rottura del codice. È per questa ragione, osserva il giurista, che in
un quadro di restrizioni tecnologiche in cui il possibile virtuale sostituisce il
lecito,
ci si appella al diritto non quale vincolo al comportamento dei comuni cittadini, ma quale ostacolo al comportamento di chi […] cerchi di violare le tecniche di controllo. Pertanto, anziché chiedere al diritto di punire gli autori di comportamenti non desiderati, si chiede ad esso di punire […] chi abilita questi comportamenti. Si va forse delineando un futuro nel quale il singolo sarà sollevato in modo crescente dell'onere della scelta morale e giuridica, e
53 Ibidem 54 In questo senso Baudrillard osservava che la « la transgression n’est pas immorale, bien au contraire. Elle réconcilie la loi avec ce que celle-ci interdit ». J. BAUDRILLARD. L’autre par lui-même, Paris: Galilée, 1987, p. 70. 55 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2013.
II. Il governo dell’eccezione
157
nel quale il coordinamento dei comportamenti sociali sarà trasferito nell'infrastruttura informatica che sostiene l'azione e l'interazione dei singoli56.
Gli interrogativi posti da Sartori, sono divenute comuni nella riflessione che
la giurisprudenza liberale svolge complessivamente sul tema della legge
informatica. Nello stesso senso va infatti il ciclo di lezioni tenuto da Teubner alla
Yale Law School nell’anno accademico 2003/2004. Queste due fonti sembrano,
perciò, particolarmente utili per riunire in un quadro di sintesi la critica alla
governance tecnologica rappresentata nelle pagine precedenti.
Il discorso dei due studiosi si presenta, in effetti, come un’analisi serrata dei
mutamenti strutturali dell’ordinamento, nel passaggio dalla legge al codice, dal
governo del territorio a quello del network, dall’espressività linguistica della
norma alla sintassi del codice. Poiché l’articolo dedicato da Reidenberg alla lex
informatica illustra, in chiave apologetica, questi cambiamenti, dopo aver
affrontato il riferimento alla lex mercatoria nella genesi della giurisprudenza
tecnocratica, in questa sede tentiamo di porre a confronto questo testo
esemplare con la critica del diritto liberale. Come si vedrà, questa rimprovera ad
approcci come quello reindemberghiano, di mettere in parentesi tutta una serie
di caratteristiche fondamentali del sistema giuridico, nel quadro di una generale
semplificazione dei processi di produzione e amministrazione della norma e del
sostanziale superamento della separazione tra elementi istituzionali e
procedurali del sistema giuridico propria della tradizione politica moderna. Si
veda lo schema di Reidenberg57:
Legal Regulation Lex Informatica
Framework Law Architecture standards
Jurisdiction Physical Territory Network
Content Statutory/Court – Expression Technical Capabilities - Customary Practice
Come osservava Sartori nell’introduzione al suo discorso, il primo aspetto di
crisi della legge all’innesto di misure tecnologiche – il passaggio
reidenberghiano ad un nuovo framework - è il superamento della natura
cognitiva del diritto. In un quadro di vincoli tecnologici le norme, infatti, cessano
56 Ivi. 57 J. REIDENBERG. Lex informatica, cit., p. 566. Le tabelle citate in seguito si riferiscono alla stessa pagina.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
158
di essere adottate dagli individui come criteri di comportamento e di giudizio
basati sulla comprensione, sulla scelta e sull’interpretazione, per vincolare i
soggetti a paradigmi d’azione predeterminati che non richiedono adesione
individuale. L’autoefficacia della legge informatica rende, così, superflua e
persino impensabile l’edificazione di una moralità di tipo kantiano, basata
sull’autonomia e sulla deliberazione etica. Ciò significa che, in un ambiente in
cui lo spazio d’azione degli individui è interamente previsto e controllato dal
codice, il software sopprime in un solo movimento la differenza
comportamentale degli utenti e la sfera di indeterminatezza della legge.
Teubner ha fatto osservare, in proposito, che nella legge tradizionale la
codifica della norma resta piuttosto limitata se comparata con l’effetto della
formalizzazione di regole sotto il codice. La relazione binaria 0-1 che nel mondo
analogico è limitata al codice legale per contrasto a ciò che è illecito, nel mondo
digitale viene, infatti, estesa alla totalità delle azioni e procedure che possono
esservi attivate:
This excludes any space for interpretation. Normative expectations which traditionally could be manipulated, adapted, changed, are now transformed into rigid cognitive expectations of inclusion/exclusion of communication. In its day-today application the code lacks the subtle learning abilities of law. The microvariation of rules through new facts and new values is excluded. Arguments do not play any rule in the range of code-application. They are concentrated in the programming of the code, but lose their power in the permanent activities of rule interpretation, application and implementation. Thus, informality, as an important countervailing force to the formality of law, is reduced to zero. The code knows of no exception to the rules, no principles of equity, no way to ignore the rules, no informal change from rule-bound communication to political bargaining or everyday life abolition of rules58.
L’avvento del codice instaura, così, un ordine che rende allo stesso tempo
impossibile e impensabile ogni forma di divergenza dall’algoritmo sociale
progettato. Osservata dal punto di vista della capacità di legittimarsi, la legge
tecnologica abolisce la microfisica di adeguamento al costume ma, insieme, le
differenze stesse dei comportamenti, che divengono profili, anticipati e previsti59.
La problematica della legittimità è così superata dalla performatività. Lo si
58 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 22. 59 Si tratta, per inciso, del rilievo mosso anche da May all’elisione tecnologica delle eccezioni da parte del DRM. C. MAY. “Digital rights management and the breakdown of social norms”, cit., p. 23.
II. Il governo dell’eccezione
159
osserva, per opposizione, nell’osservazione fatta da Bourdieu che il diritto deve
la sua sopravvivenza alla libertà dei giudici di introdurre cambiamenti e
innovazioni capaci di ridurre le frizioni tra il sistema delle norme e il campo
mobile della sua applicazione60 - ai teorici, poi, il compito di integrare i
cambiamenti nel sistema giuridico, attraverso un lavoro di assimilazione e
razionalizzazione del corpus di regole necessario ad assicurarne la coerenza e
il funzionamento61. Nel contesto della legge tecnologica, la soppressione della
dialettica di corpi separati e perfino antagonisti impegnati nella formazione,
interpretazione e applicazione della legge – che Bourdieu definisce «divisione
del lavoro di dominazione simbolica» -, lascia cadere uno degli aspetti più forti
dell’eufemizzazione della forza del diritto, spostando su basi completamente
nuove i suoi principi di funzionamento.
Teubner osserva, infatti, come nel funzionamento della legge tradizionale la
regolazione della condotta, la costruzione delle aspettative e la risoluzione dei
conflitti rappresentino fini separati dell’ordinamento che li realizza
complessivamente, sebbene attraverso istituzioni separate, differenti culture
normative e il comune riferimento al principio di legalità. Al contrario,
l’incorporazione digitale della normatività nel codice riduce questi differenti
aspetti alla regolazione elettronica della condotta, sopprimendo l’autonomia
degli individui in una passiva accettazione dell’ordine digitale62. Questo va
accettato integralmente o interamente respinto, attraverso l’unica scelta
ammissibile nel quadro della razionalità tecnologica, ovvero la collocazione
dell’utente dentro o fuori lo spazio informativo63, restando poi controverso se
nell’evoluzione di una società informazionale nella quale i flussi comunicativi
fisici e virtuali sono sempre più compenetrati, sia possibile collocarsi in una
zona franca rispetto al codice - dato che, come ha notato Deleuze, «dans un
régime de contrôle, on en a jamais fini avec rien»64.
È significativo che l’analisi giuridica della gestione dei comportamenti nel
passaggio dall’ordine normativo a quello tecnologico, raggiunga qui la diagnosi
deleuziana dell’oltrepassamento delle società disciplinari nelle società di
60 P. BOURDIEU. “La force du droit. Éléments pour une sociologie du champ juridique", Actes de la recherche en sciences sociales, 64, 1986, p. 7. 61 Ivi, p. 6. 62 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 22. 63 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, cit.. 64 G. DELEUZE. “Contrôle et devenir", cit., p. 237.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
160
controllo. Come aveva osservato il filosofo, nel momento in cui il controllo
elettronico della condotta pervade le reti, le forme di conflitto e di illegalità
possono prodursi solo come interruzioni della comunicazione, corto-circuiti del
flusso informativo o effrazioni al codice65. Alla sospensione del diritto nella
grammatica della comunicazione corrispondono allora, l’interruzione e la
corruzione della comunicazione come forme elettive di resistenza dei network66.
Superate le forme canoniche della rappresentazione del conflitto e del
dissenso, la lex informatica porta quindi al collasso anche la natura normativa
del diritto che pone la costruzione delle norme in stretta relazione con le opzioni
attinenti la giustizia, le scelte d’organizzazione della vita sociale e le modalità di
bilanciamento degli interessi in competizione67. In un’ottica informatica nella
quale le regole virtuali realizzano semplici processi computazionali, secondo
specificazioni unilaterali, tali aspetti sono, infatti, lasciati cadere per essere
definitivamente abbandonati. La natura amministrativa, non pattizia o negoziata,
delle misure tecnologiche abolisce, in questo modo, l’originaria implicazione di
diritto e politica, in un effetto domino nel quale prende corpo l’«incubo del
principio di legalità»68. Laddove, infatti, la legge tradizionale tiene separati
l’aspetto procedurale e istituzionale dei processi di formazione, applicazione ed
esecuzione delle norme, nella legge tecnologica
the strange effect of digitalization is a kind of nuclear fusion of these three elements which means the loss of an important constitutional separation of power69.
In questa revisione dei fondamenti democratici della legge, Teubner
evidenzia perciò la soppressione degli spazi di negoziazione politica del diritto,
entro i quali la mutevolezza dei rapporti di forza tra le parti sociali ha trovato
storicamente margini più o meno ampi di modifica delle regole stesse. Tale
condizione non si verifica, evidentemente, per le regole digitali scelte, di regola,
in ambiti privati e sottratti a critiche pubbliche70. È in questo modo, conclude
65 G. DELEUZE. "Post-scriptum sur le société de contrôle", L’autre journal, 1, mai 1990, ripubblicato in G. DELEUZE. Pourparler, op. cit., p. 244. 66 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, cit.; G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 22. 67 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, cit.. 68 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 22. 69 Ivi, p. 22. 70 Come si è visto la presenza dei soggetti pubblici nelle task force tecnologiche americane e negli organismi di standardizzazione internazionale è fortemente minoritaria.
II. Il governo dell’eccezione
161
Sartori, che la governance tecnologica sopprime definitivamente la connessione
tra il diritto e l'idea di eguaglianza o imparzialità, la quale implica che il
riferimento agli interessi di una sola parte non sia giustificazione sufficiente di
una scelta giuridica, quando gli interessi delle controparti sono eccessivamente
compromessi. Ciò non accade per le regole elettroniche, che sono decise sulla
base degli interessi di chi ha sviluppato l’algoritmo informatico e sono poi
applicate automaticamente71.
In analogia con la lex mercatoria, la lex informatica abbandona il riferimento
statuale, per legarsi alla volontà del committente interpretata dai tecnologi,
come si è visto in relazione al dibattito degli ingegneri sull’end-to-end e sulla
neutralità, mentre l’applicazione delle regole generali al caso particolare è
assicurata, piuttosto che da un patto o da un livello istituzionale, dalla
configurazione informatica dell’ambiente digitale. Si veda ancora Reidenberg:
Legal Regulation Lex Informatica
Source State Technologists
Customized Rules Contract Configuration
Un ulteriore e radicale elemento di cambiamento dell’ordine normativo
consiste, infine, nella sostituzione di un diritto privatizzato al sistema di regole
coercibili mediante la forza organizzata dello Stato. All’idea di un monopolio
legittimo della violenza tende infatti a sostituirsi un insieme di forme di autotutela
escluso, per principio, in un sistema giuridico in cui il potere di coercizione è
esercitato attraverso procedure giudiziarie pubbliche che rendono possibile
appellarsi al diritto per sottoporsi ad un giudizio imparziale. Viceversa, nella
legge informatica è l’algoritmo elettronico a formare la regola, ad amministrarla
e a sanzionarne le infrazioni, restando sullo stesso piano dell’utente:
Legal Regulation Lex Informatica
Primary enforcement Court Automated, self execution
Per apprezzare la diversità sostanziale del procedimento giudiziale rispetto
ad un procedimento d’attuazione privato, osserva Sartori,
lo si confronti con [quanto disposto] dal Peer Piracy Prevention Act, un
71 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, cit..
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
162
recente progetto di legge statunitense, che prevede che i titolari di proprietà intellettuale possano difendersi da soli attaccando (usando le tecniche tipiche degli hacker malevoli) i siti che distribuiscono materiali protetti da copyright72.
Nel bellum omnium contra omnes prospettato da questa misura di
contrasto al file sharing, il giurista trova forse l’esito più evidente della
sospensione integrale del diritto, in un ordine privatizzato in cui la legge cessa
di essere tale in senso proprio. Sostituendo la violenza privata alla forza di
legge, il Peer Piracy Prevention Act sopprime infatti l’idea stessa di un arbitrato
super partes per opporgli il vuoto normativo di uno stato di natura – o l’ossimoro
della legalizzazione di uno stato di natura.
44..22..22 LLoo ssttaattoo dd’’eecccceezziioonnee ccoommee nnoorrmmaa
In che modo si deve leggere allora un impulso trasformativo così profondo
e generale da non poter più essere compreso con le categorie analitiche della
filosofia del diritto? La dottrina liberale sembra prendere una posizione netta
rispetto alla natura della governance digitale, interpretandola come una rottura
dell’identità giuridica del copyright, formalmente e sostanzialmente affine ad
uno stato d’eccezione dell’ordinamento. È in questo senso, a nostro avviso che,
oltre alla sospensione del diritto denunciata da Teubner e Sartori, sull’altra
sponda atlantica Lessig ha parlato di uno stato d’assedio di internet73,
Vaidhyanathan e Samuelson di un copyright anticostituzionale74, Gillespie,
Litman e Castells di una politica emergenziale del cyberspazio75.
La relazione scorta da questi autori tra la legge digitale e lo stato
d’eccezione, è indicativa della convinzione generale che in internet sia in corso
un conflitto estremo. Storicamente, infatti, la sospensione delle garanzie
costituzionali risponde alla gravità degli eventi di fronte a una guerra civile o a
un conflitto armato - a partire dal diritto romano, nel quale alla dichiarazione del
tumultus da parte del senatoconsulto faceva seguito il iustitium, la forma
72 Ivi. 73 L. LESSIG. “The Internet Under Siege”, cit.. 74 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit., P. SAMUELSON. Copyright, Commodification, and Censorship: Past as Prologue—but to what Future?”, cit.. 75 T. GILLESPIE. Wired Shut, op. cit., p. 9: «Such laws are backed by legislators and courts willing to privilege the interests of content providers over the public protections of traditional copyright law, a perspective well fed by the culture industries, which have carefully articulated the problem of Internet piracy as a dire emergency». J. LITMAN. “Electronic Commerce and Free Speech”, cit.. M. CASTELLS, Internet Galaxy, trad. cit., p. 162.
II. Il governo dell’eccezione
163
paradigmatica, secondo Agamben, dello stato d’eccezione76. Da questo punto
di vista, la cosiddetta copyright war, declassata da alcuni commentatori a mera
cornice retorica di un dibattito normativo77, sembra essere qualcosa di più della
rappresentazione metaforica di un confronto polarizzato. In questo conflitto si
esprime piuttosto la fenomenologia di un dispositivo che genera attriti
ordinamentali e definisce le categorie e gli effetti di verità di cui il file sharing è
oggetto. Nato dal contrasto al peer-to-peer, il conflitto di legittimità nel
cyberspazio, prende così la forma di una guerra non dichiarata le cui politiche
d’emergenza sospendono le garanzie civili dei cittadini.
Tra gli autori che sposano l’idea che sia in corso una guerra, va ricordato
Zittrain che ha indicato nella rottura dell’abilità di regolare dolcemente, l’avvio di
una fase bellica della storia del cyberspazio78. A suo avviso, la legge
informatica non è, infatti, che l’escalation di uno scontro nel quale il governo
americano in lotta contro i peer-to-peer networks ha smarrito la saggezza
regolativa79. Si può concordare con questa visione, a patto di non tralasciare
che il file sharing è sia l’obiettivo delle misure di controllo che una delle figure
retoriche con cui la legge informatica si legittima. La vistosità dell’aspetto
repressivo non può infatti impedire di osservare la positività di una legge che,
proprio perché capace di ridisegnare l’ambiente digitale si mostra, anche e
soprattutto, strumento di un processo di riorganizzazione dell’economia
informazionale che fissa nuovi equilibri e nuove poste tra gli attori commerciali.
Traendo le conseguenze di questo dibattito, l’analisi della governance di
internet sembra confermare la tesi benjaminiana che nell’età contemporanea lo
76 G. AGAMBEN. Stato d’eccezione, op. cit., pp. 55-56. 77 J. LOGIE. "A copyright cold war? The polarized rhetoric of the peer-to-peer debates”, First Monday, June 2003, http://www.firstmonday.org/Issues/issue8_7/logie/. 78 J. ZITTRAIN. “A History of online Gatekeeping”, cit.. 79 Ivi, p. 254. Le proposte di legalizzazione del P2P e di sistemi alternativi di compenso del copyright, chiedono infatti, una de-escalation: «The biggest catastrophe we are currently experiencing is the war on copying. 'Capitulation' is the war terminology prescribed by IFPI in response to a culture flat-rate. In war the rules of civility are suspended, but for the fig leave of the Geneva Convention […] But the war on copying – on amateur remixing and amateur distribution – is directed against our kids. As Lessig said, we can't stop amateur remixing and amateur distribution. We can only drive it underground, thereby calling in the next round in the technological arms race. It seems we are stumbling blindly into the future ahead of us, bumping against walls and into each other as we go along into the unfolding digital revolution. Our actions have more unintended and far-reaching consequences than we had thought, causing more collateral damage than good. We urgently need a de-escalation». V. GRASSMUCK. “The World is Going Flat(-Rate). A Study Showing Copyright Exception for Legalising File-Sharing Feasible, as a Cease-Fire in the "War on Copying" Emerges”, cit., p. 26.
3. Diritto performativo e ingegneria della rete
164
stato d’eccezione sia diventato la regola80. Seguendo questa linea
interpretativa, la lex informatica si mostra come il dispiegamento di una nuda
violenza governamentale nella quale «l’aspetto normativo del diritto può essere
impunemente obliterato e contraddetto [da uno stato d’eccezione che] pretende
di stare ancora applicando il diritto»81. È nello scontro che lo oppone alle sue
forme di illegalità - mentre governa l’economia digitale - che il copyright perde la
capacità di rappresentare l’equilibrio di interessi e di poteri assicurato dalla sua
istituzionalizzazione moderna, innescando la crisi del diritto in internet.
Ciò conferma la validità dell’impostazione che la cyberlaw ha dato alla
critica digitale, pur arrestandosi a ciò che il punto di vista costituzionale non
poteva vedere. La fecondità di questo approccio ci sembra contenuta
interamente nel suo momento fondativo, laddove Lessig osservava, contro i
detrattori del cyberdiritto e della legge, che i cambiamenti di internet non
sarebbero stati limitati allo spazio cibernetico, ma avrebbero investito la società
per intero - «they are, that is, general concerns, not particular» -82, proprio a
causa della tensione che lo stato d’eccezione istituito dai tentativi di regolazione
di uno spazio eccezionale, avrebbe immesso nel quadro dei principi
ordinamentali.
A dieci anni da questa prognosi, il passaggio alla legge tecnologica ha già
trovato espressione organizzativa (ISP), normativa (DMCA e provvedimenti
successivi) e di ingegneria delle piattaforme generative (broadcast flag, misure
antineutrali), manifestando una tendenza destinata a rafforzarsi83. Cresce, però,
allo stesso tempo, la capacità dei fenomeni più controversi e, in particolare, del
file sharing, di sottrarsi alla sorveglianza e di creare contromisure generative al
controllo digitale. L’evoluzione del P2P sembra confermare, in questo modo, la
descrizione deleuziana delle modalità che le forme di resistenza avrebbero
assunto nelle società di controllo, indipendentemente dalla loro capacità di
80 Si veda l’ottava tesi sulla storia. W. BENJAMIN. Über den Begriff der Geschichte (1942), trad. it. Sul concetto di storia, Torino: 1977, p. 33. 81 G. AGAMBEN. Stato d’eccezione, op. cit., p. 111. 82 L. LESSIG. “The Law of the Horse. What Cyberlaw Might Teach”, cit., p. 503. 83 Nel momento in cui si scrive, circolano in rete alcuni stralci del nuovo accordo internazionale sulla proprietà intellettuale (ACTA - Anti-Counterfeiting Trade Agreement), nei quali si intravede l’inasprimento delle sanzioni contro pirateria e contraffazione. Il contenuto del discussion paper dell’accordo, elaborato dai soli rappresentanti istituzionali e dei principali produttori di tecnologie ed enterteinement, è mantenuto riservato e ha suscitato forti critiche la decisione del Presidente Obama di secretare la bozza classificandola come documento inerente la sicurezza degli Stati Uniti.
II. Il governo dell’eccezione
165
riconoscersi come tali. Si mantiene così ancora aperta l’alternativa descritta da
Lyotard nelle ultime pagine de La condition postmoderne:
Quant à l’informatisation des sociétés […] on voit enfin comment elle affecte cette problématique. Elle peut devenir l’instrument « rêvé » de contrôle et de régulation du système du marché, étendu jusqu’au savoir lui-même, et exclusivement régi par le principe de performativité. Elle comporte alors inévitablement la terreur. Elle peut aussi servir les groupes de discussion sur le métaprescriptifs en leur donnant les informations dont il manquent le plus souvent pour décider en connaissance de cause. La ligne à suivre pour la faire bifurquer dans ce dernier sens est forte simple en principe : c’est que le public aie accès librement aux mémoires et aux banques des données84.
La possibilità che l’informazione non si riduca ad un gioco a somma zero,
chiudendo ogni forma di divergenza in una totalità terroristica, sembra così
legarsi al gioco del download. Per ironia del postmoderno, l’impossibilità del
sapere di opporre alla performatività delle tecnoscienze una legittimità basata
sulla verità e sulla dignità della natura umana, fonda il proprio appello alla
giustizia su una paralogia affidata ad un gioco di ragazzi.
84 J.-F. LYOTARD. La condition postmoderne, op. cit., p. 107.
III. Il file sharing e le logiche dei network
166
IIIIII..
IILL FFIILLEE SSHHAARRIINNGG EE LLAA LLOOGGIICCAA DDEEII
NNEETTWWOORRKK
------------------------------------ Questa parte della tesi porta la ricerca sulle reti di file sharing, con uno
studio della storia tecnologica e giudiziaria dei software e della dinamica
evolutiva delle pratiche di condivisione che fa emergere la natura di protocollo
sociale, prima ancora che tecnico delle reti peer-to-peer. Questo aspetto,
lasciato totalmente in ombra dal dibattito regolativo, è interpretato attraverso un
confronto serrato con la letteratura socio-antropologica in argomento e con
l’ipotesi formulata in questo contesto che il file sharing rappresenti un’economia
informale del dono realizzata nel cuore tecnologico dell’economia
informazionale.
5. Le reti e le architetture di condivisione
167
III. Il file sharing e le logiche dei network
168
5.
LLee rreettii ee llee aarrcchhiitteettttuurree ddii ccoonnddiivviissiioonnee
169
La nostra analisi della logica dei network parte dallo studio con cui un
gruppo di ricercatori Microsoft ha evidenziato la stretta derivazione del peer-to-
peer dalle reti fisiche di amici, alle quali la diffusione della programmazione ha
offerto una tecnologia in grado di distribuire beni digitali a basso costo. In
questo intervento poco noto, i quattro ingegneri sostengono che, in virtù della
loro natura di protocollo sociale prima ancora che tecnico, le reti illegali
(darknet) non possono essere soppresse dal controllo informatico, il quale può
solo spingerle a rafforzare le loro tattiche di mascheramento o a rinunciare
all’interconnessione per sopravvivere come isole crittate nelle reti elettroniche.
In questo tentativo di pensare il file sharing come un insieme di protocolli
tecnici sovrapposto a reti sociali, gli ingegneri Microsoft ipotizzano che l’azione
di controllo che la legge e il codice possono applicare a tutti i livelli della
struttura delle darknet, non sia in grado di incidere sulla logica sociale di reti in
grado di riprodursi e mantenersi efficienti adattando la loro morfologia alle
condizioni ambientali date. L’analisi dell’evoluzione tecnologica e organizzativa
delle piattaforme peer-to-peer conferma l’intuizione di questi autori, mostrando
come la pressione giudiziaria e il cambiamento dei presupposti economici alla
proliferazione dei sistemi di condivisione, abbiano sostenuto la trasformazione
dei protocolli tecnici assicurando una crescita esponenziale del traffico pirata
che dal 1999 ad oggi non ha registrato flessioni.
Appare evidente la necessità di un piano teorico capace di spiegare in
modo persuasivo la vitalità del file sharing e la sua inclusione negli usi quotidiani
di internet, superando i determinismi tecnologici e il mainstream regolativo
dominanti in letteratura. Si registrano, in proposito, due tentativi interpretativi
alternativi alle visioni tecnica e giuridica della pratica. Il primo, di tipo
economico, riconosce nel file sharing i tratti di una «disruptive technology»
capace di rivoluzionare i modelli d’affari delle imprese e di imporsi in futuro
come uno standard dell’economia digitale. Il secondo, elaborato nel contesto
degli studi politici e antropologici di internet, vi legge la persistenza di
un’economia informale del dono digitale, strettamente legata alle origini non
commerciali della rete, le cui pratiche generative e collaborative si rivelano più
efficienti del mercato ed alternative ad esso.
III. Il file sharing e le logiche dei network
170
55..11 DDaarrkknneett,, oovvvveerroo llaa rroobbuusstteezzzzaa ddeellllee rreettii ssoocciiaallii
Une société, un champ social […] fuit d’abord de partout, ce sont les lignes de fuite qui sont premières […].
Les lignes de fuite ne sont pas forcément « révolutionnaires», au contraire, mais c’est elles que les dispositifs de pouvoir vont colmater, ligaturer.
G. Deleuze1
In una conferenza tecnica della fine del 2002, quattro ricercatori Microsoft
hanno proposto uno studio della «collection of networks and technologies used
to share digital content» definita, per la prima volta, «darknet»2. In questo
lavoro, per molti aspetti eretico, sia in rapporto al punto di vista del committente3
che per l’approccio sociologico, e non tecnico, adottato, gli studiosi partono
dalla constatazione che
People have always copied things […] In the past, most items of value were physical objects [...] Today, things of value are increasingly less tangible […]. This presents great opportunities and great challenges. The opportunity is low-cost delivery of personalized, desirable high-quality content. The challenge is that such content can be distributed illegally. Copyright law governs the legality of copying and distribution of such valuable data, but copyright protection is increasingly strained in a world of programmable computers and high-speed networks. For example, consider the staggering burst of creativity by authors of computer programs that are designed to share audio files. This was first popularized by Napster, but today several popular applications and services offer similar capabilities4.
Gli studiosi mettono, dunque, l’accento sia sul fatto che la copia e la
condivisione di oggetti rappresentano una costante delle reti sociali, sia che
l’elemento di novità introdotto dalla digitalizzazione consiste nella comparsa di
tecnologie che socializzano la programmazione e rendono disponibili al pubblico
gli strumenti per profittare della circolazione a basso costo delle merci. Proprio il
legame tra questi fattori e le reti di file sharing, porta gli studiosi a sostenere che
1 G. DELEUZE. “Désir et plaisir” (1977), Le magazine littéraire, 325, octobre 1994; http://multitudes.samizdat.net/article1353.html. 2 P. BIDDLE, P. ENGLAND, M. PEINADO, B. WILLMAN. “The Darknet and the Future of Content Distribution”, cit., p. 1. Il termine «darknet» è stato poi utilizzato soprattutto dalla letteratura che si colloca tra giornalismo e documentazione sociologica (si veda, J. D. LASICA. Darknet. Hollywood’s War Against the Digital Generation, Hoboken – New Jersey: John Wiley & Sons Inc., 2005). Va sottolineato che il gruppo Microsoft usa questo concetto come sinonimo dei sistemi P2P mentre, nel gergo tecnico, le darknet sono reti segrete di piccole dimensioni nelle quali gli utenti sono in relazione fiduciaria tra loro (friend-to-friend). 3 I ricercatori specificano in nota che «Statements in this paper represent the opinions of the authors and not necessarily the position of Microsoft Corporation». P. BIDDLE, P. ENGLAND, M. PEINADO, B. WILLMAN. “The Darknet and the Future of Content Distribution”, cit., p. 1 4 Ibidem.
5. Le reti e le architetture di condivisione
171
il «the darknet-genie will not be put back into the bottle»5. Biddle e i suoi colleghi
attribuiscono, infatti, l’efficienza del P2P alla legge dei piccoli mondi
(interconnected small-worlds networks), nella quale l’esistenza di sei gradi di
separazione tra i nodi più distanti giustifica la relativa facilità con la quale
chiunque può procurarsi ciò che gli serve attraverso pochi passaggi all’interno di
una rete di contatti6. La robustezza e l’efficacia distributiva delle reti oscure sono
dunque proprietà di natura relazionale, più che effetti delle tecnologie: «the
darknet is not a separate physical network but an application and protocol layer
riding on existing networks»7.
Coerentemente con questa tesi, il gruppo di ricerca è partito dall’analisi
delle sneakernet, per evidenziare come l’avvento delle reti elettroniche avesse
potenziato l’efficienza dello scambio tra pari, permettendo alle «reti di amici» di
superare inizialmente i limiti fisici delle comunità e, in seguito, di aggirare in
modo sempre più efficace i rischi legali della condivisione online.
Sorprendentemente, per il contesto in cui il lavoro viene presentato, l’incapacità
delle tecnologie di controllo di contenere la circolazione illegale delle copie,
viene dimostrata attraverso la descrizione delle dinamiche di un college, il cui
modello organizzativo è visto sia come il nucleo originario, che come un
possibile scenario futuro delle reti occulte:
[…] students in dorms will establish darknets to share content in their social group. These darknets may be based on simple file sharing, DVD-copying, or may use special application programs or servers: for example, a chat or instant-messenger client enhanced to share content with members of your buddy-list. Each student will be a member of other darknets: for example, their family, various special interest groups, friends from high-school, and colleagues in part-time jobs. If there are a few active super-peers - users that locate and share objects with zeal - then we can anticipate that content will rapidly diffuse between darknets, and relatively small darknets arranged around social groups will approach the aggregate libraries that are provided by the global darknets of today8.
Muovendo da questa illustrazione, che sottolinea gli elementi di continuità
tra le forme comuni della condivisione tra pari (copia di Cd e Dvd), le prime
modalità di scambio dei file attraverso il web (chat, instant messaging) e il peer-
to-peer su piattaforme dedicate, i ricercatori ipotizzano l’evoluzione delle
5 Ibid. 6 Ivi, p. 3. 7 Ivi, p. 1. 8 Ivi, pp. 10-11.
III. Il file sharing e le logiche dei network
172
politiche di controllo delle darknet, accostando ad ognuno dei quattro cardini
funzionali di questi sistemi, le misure idonee a contrastarli:9
Struttura P2P Funzione Misure di controllo
Sistema di input introduzione dei contenuti nella rete
DRM – cifratura dei file
Sistema di distribuzione messa a disposizione dei contenuti ai peer
Filtering degli ISP
Sistema di output consumo dei contenuti su diverse piattaforme
Trusted Computing – Broadcast Flag
Database o motore di ricerca, indicizzazione dei file Ricerca
Repressione legale (Napster, KaZaA, The Pirate Bay)
Ponendo l’accento sulla natura distribuita delle reti di condivisione, gli autori
hanno osservato che, benché sia possibile controllare tutti gli snodi della
struttura delle darknet, la repressione tecno-giuridica non può sopprimerle, ma
solo spingerle a rafforzare le loro tattiche di mascheramento, o a rinunciare
all’interconnessione per sopravvivere come isole crittate o sneakernet
elettroniche. Gli studiosi hanno inoltre evidenziato che anche se i futuri conflitti
orientassero l’evoluzione dei network globali verso una morfologia «gated
communities», la struttura di queste microreti e, particolarmente, la presenza al
loro interno dei supernodi, continuerebbero a garantire un alto grado di
efficienza della condivisione. Secondo la teoria dei grafi, infatti, la creazione di
nodi ricchi di legami è una capacità spontanea delle reti. In particolare, la
«legge di potenza» mostra come, indipendentemente dalle loro dimensioni, i
network abbiano la tendenza a concentrare le relazioni di comunicazione
intorno ad alcuni elementi della loro struttura, cioè a distribuirsi secondo un
attaccamento preferenziale, creando reti «senza scala tipica»10. Perciò, nel
momento in cui l’incremento della sorveglianza dovesse frammentarle, le
darknet funzionerebbero comunque grazie alla topologia distribuita che
presiede alla riproduzione delle reti sociali:
9 Lo schema è una sintesi dell’articolo alle pp. 10-15. Alcune delle misure indicate nella colonna di destra nel 2002 sono allo stato di ipotesi. 10 Per le linee essenziali del dibattito su teoria dei grafi e legge di potenzia, le implicazioni per la teoria sociale e la bibliografia essenziale si veda R. BAUTIER. “Géographie physique et géographie humaine du web“, Ve Colloque Tic & Territoire : Quels Développements ? Université de Franche Comte, Besançon, 9-10 juin 2006, http://isdm.univ-tln.fr et Modèles physiques et biologiques des nouveaux moyens de communication”, 2007 ; http://w3.u-grenoble3.fr/les_enjeux/2007-meotic/Bautier/home.html.
5. Le reti e le architetture di condivisione
173
Il gruppo di ricerca giunge dunque alla conclusione che la condivisione
elettronica è virtualmente in grado di sopportare le limitazioni al livello delle
tecnologie di comunicazione, sul cui controllo e reingegnerizzazione si focalizza
gran parte della letteratura regolativa11. Questa, peraltro, è anche la ragione per
cui, ad onta della loro criminalizzazione,
Peer-to-peer networking and file sharing does seem to be entering into the mainstream – both for illegal and legal uses. If we couple this with the rapid build-out of consumer broadband, the dropping price of storage, and the fact that personal computers are effectively establishing themselves as centers of home-entertainment, we suspect that peer-to-peer functionality will remain popular and become more widespread12.
Secondo questa interpretazione, le darknet continueranno perciò ad
evolversi aggirando i nuovi ostacoli tecno-legali13:
11 Nel suo studio comparato sul file sharing, Ian Condry ha osservato: «Japan shows us that preventing online sharing does not stop unauthorized copying. With the widening range of storage and transfer technologies – flash cards, standalone CD-R, iPods, terabyte-sized hard drives, etc. – it seems likely that the ‘darknet’ may be less reliant on p2p eventually anyway». I CONDRY. “Cultures of Music Piracy: An Ethnographic Comparison of the US and Japan”, cit., p. 359. 12 Ivi, pp. 8-9. 13 Ivi, p. 4.
III. Il file sharing e le logiche dei network
174
55..22 DDaa NNaappsstteerr aa BBiittTToorrrreenntt:: ssttoorriiaa tteeccnnoollooggiiccaa ee ggiiuuddiizziiaarriiaa ddeell ppeeeerr--ttoo--ppeeeerr
La storia delle darknet rappresentata nell’illustrazione, evidenzia anche che
la condivisione elettronica non nasce con Napster, ma con i sistemi di
interconnessione che si sviluppavano parallelamente ad ARPANET, nei quali la
condivisione di indirizzi FTP e HTTP da cui scaricare file era pratica comune14.
Le BBS (Bulletin Board System) avevano, infatti, trasferito sulle reti digitali la
tradizione delle fanzine e delle loro rubriche dei lettori, le quali funzionavano
oltre che come spazi di discussione, anche come occasioni di contatto per lo
scambio delle registrazioni preferite o di indicazioni su come reperirle15. Allo
stesso modo, le conversazioni in chat o i dibattiti all’interno dei newsgroup di
USENET erano spesso occasione di scambio di liste di indirizzi o di siti web
contenenti i link alle risorse desiderate.
Come suggerito dai ricercatori Microsoft, queste forme di condivisione
basate sul web e non su un software dedicato, sono sia antesignane del P2P
che modalità di comunicazione persistenti che potrebbero tornare dominanti,
svincolando la pratica della condivisione elettronica dalla dipendenza dalle
singole tecnologie. La nascita di programmi dedicati ha, infatti, esteso
enormemente le possibilità di scambio di contenuti digitali – rendendo la
masterizzazione di CD e DVD un modo banale e dispendioso di condividere
contenuti, allo stesso tempo, però, la migrazione dalle reti locali (LAN) al web ha
esposto i sistemi di condivisione a rischi legali crescenti e a vari tipi di
aggressione, così che uno dei modi per fare la storia di queste tecnologie è
osservare l’evoluzione delle tattiche di elusione adottate per sottrarsi alle
diverse forme di attacco giudiziario e tecnologico. Il criterio della riduzione del
rischio legale, con il quale il P2P declina la sua particolare visione del concetto
di sicurezza è, infatti, insieme al miglioramento delle performance dei protocolli,
alla base della classificazione tecnologica del file sharing, la quale identifica
nelle architetture client-server; decentralizzate, anonime e stream, quattro
diverse generazioni di sistemi P2P.
14 W. WANG. Steal This File Sharing Book (2004) trad. it. File Sharing.Guida non autorizzata al download, Milano: Apogeo, 2008, pp. 2-3. 15 H. JENKINS. Textual Poachers: Television Fan and Participatory Culture, New York : Routledge, 1992; e “Interactive Audiences?”, in D. HARRIES (ed.) The New Media Book, London: British Film Institute, 2002; http://web.mit.edu/cms/People/henry3/collective%20intelligence.html: «In many ways, cyberspace is fandom writ large».
5. Le reti e le architetture di condivisione
175
È importante notare come questa tassonomia non possa però essere letta
in termini cronologici e sia difficile interpretarla anche secondo la tradizionale
idea di progresso tecnologico. Tutti e quattro i modelli si presentano infatti quasi
contemporaneamente tra il 1999 e il 2000, evidenziando come la circolazione in
codice aperto delle soluzioni tecniche e le prassi collaborative attraverso cui
sono state realizzate abbiano reso quasi sincroniche le fasi di innovazione del
P2P. Le diverse soluzioni, inoltre, tendono a ripresentarsi in nuove
configurazioni o ad essere impiegate per fini particolari, piuttosto che essere
abbandonate. Ciò mette l’accento sia sul fatto che i sistemi di file sharing sono
tecnologie mutevoli in interazione strategica con una molteplicità di fattori, sia
sulla necessità di pensare questi sistemi come ambienti di condivisione,
piuttosto che strumenti finalizzati a determinati scopi. Il loro sviluppo è, infatti, di
norma, il prodotto di intellettuali collettivi in grado di riflettere in tempo reale sulle
proprie attività e di esprimerne il risultato in forme di enunciazione collettiva16.
Come ha sostenuto Pierre Lévy, l’informazione accreditata e mantenuta
dalle comunità scientifiche travalica infatti ormai le capacità di elaborazione
individuali dei singoli membri. L’intelligenza collettiva va dunque pensata come il
superamento del concetto di “sapere condiviso”, in quanto patrimonio validato
delle singole discipline, e identificata nelle forme di collaborazione ad hoc che
incanalano le competenze, non necessariamente professionali, dei singoli verso
fini e obiettivi comuni17. Le informazioni note a tutti (i saperi disciplinari) entrano
così in contatto con le conoscenze possedute dai singoli individui che sono
chiamati a condividerle quando serve. In questo senso, la progettazione delle
soluzioni informatiche per la condivisione dei file, l’anonimizzazione e la
protezione degli utenti dai rischi legali, possono essere considerate
concretizzazioni dell’intelligenza collettiva al servizio di specifiche necessità.
55..22..11 LLee oorriiggiinnii:: pprroottooccoolllloo vvss aapppplliiccaazziioonnee
Il codice del primo P2P, ad esempio, è stato scritto dallo studente
16 P. LEVY. L’intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberespace, Paris : Éditions La Découverte, 1994, p. 205. 17 « Le savoir de la communauté pensante n’est plus un savoir commun, car il est désormais impossible qu’un seul humain, ou même un groupe, maîtrise toutes les connaissances, toutes les compétences, c’est un savoir collectif par essence, impossible à ramassaer dans une seule chair ». Ivi, p. 203.
III. Il file sharing e le logiche dei network
176
diciannovenne Shawn Fanning in collaborazione con la comunità hacker Ire
wOOwOO, nella quale il giovane era conosciuto con il nickname Napster18.
Questo programma, rilasciato il 1 giugno 1999, disegnava un sistema
centralizzato che indicizzava le risorse musicali contenute nei computer degli
utenti. Scaricandolo gratuitamente e installandolo sul proprio computer, ci si
poteva collegare come client ad un server che manteneva aggiornate le
directories degli Mp3 e forniva come risultato delle ricerche l’elenco dei nodi in
possesso della risorsa. Dal punto di vista tecnico, il sistema client-server era
veloce ed efficiente ma, disponendo di un solo punto di ingresso degli input,
poteva andare incontro a sovraccarico. Da quello organizzativo, invece, Napster
era un ambiente ibrido, gerarchico in aggiornamento e paritario in condivisione,
all’interno del quale la qualità delle risorse era assicurata dall’aggiornamento
automatico del server degli elenchi di contenuti posseduti dai pari.
Ciò che rendeva rivoluzionario Napster non era, dunque, il suo design, ma
la sua natura di protocollo – vs applicazione informatica19 - che faceva di ogni
utente un nodo attivo in grado di agire come un server. Viceversa, proprio il fatto
che questa tecnologia non distribuisse la totalità delle funzioni, ma ne riservasse
una – il data base - al server centrale, costituiva la debolezza organizzativa e
(dunque) legale del sistema.
Questo limite, unito al fatto che la piattaforma permetteva di condividere
solo file musicali, non avrebbe probabilmente permesso a Napster di sostenere
la crescita di accessi assicurata dalle tecnologie successive, ma le eventuali
difficoltà non ebbero il tempo di manifestarsi perché, sette mesi dopo la sua
apertura, la RIAA (Record Industry Association of America) sporse querela
contro il sito che contava già sessanta milioni di utenti, ai quali aveva permesso
di condividere tre miliardi di Mp320. Come la vicenda giudiziaria dimostrò
chiaramente, più che le debolezze tecniche, erano soprattutto i limiti della
concezione a rendere precario il sistema Napster. Tenendo aggiornate le
directories, il programma infatti interveniva direttamente nel download della
musica, il più delle volte protetta da copyright, mentre il suo server centrale,
ubicato negli Stati Uniti, era soggetto alla giurisdizione del paese con la più
18 L. NERI. La baia dei pirati, op. cit., p. 23. 19 Un’applicazione informatica permette, infatti di interagire con una tecnologia, senza necessariamente diventare un nodo attivo in grado di modificarla. 20 T. WU. “When the Code Isn’t Law”, cit., p. 131.
5. Le reti e le architetture di condivisione
177
severa legislazione in materia.
A causa dell’eccessiva somiglianza di Napster ad un sito da cui scaricare
contenuti protetti, i legali di Fanning non riuscirono a trarre vantaggio dalla
sentenza Sony Betamax, con la quale la Corte Suprema aveva stabilito nel
1984 la liceità delle tecnologie suscettibili di uso corretto. Il 12 febbraio 2001, la
Corte Federale di S. Francisco condannò così in via definitiva la società che
deteneva i diritti della piattaforma21. Con un estremo tentativo di evitare la
chiusura, il sito installò un sistema di filtri per impedire la condivisione dei file
protetti da copyright ma, verificato il loro sistematico aggiramento da parte degli
utenti e temendo una denuncia per oltraggio alla corte, il 1 luglio fu costretto a
spegnere il server, per riaprire poco dopo come servizio a pagamento – che
alcuni mesi dopo dichiarerà la bancarotta.
Eppure, Napster era nato proprio per superare i problemi tecnici e legali
della condivisione web-based. I suoi predecessori erano stati infatti siti come
MyMp3 (1996) che erano stati prontamente chiusi dalle autorità o erano
sopravvissuti restando piccoli e nascondendosi ai motori di ricerca. Rispetto a
questi servizi, il peer-to-peer sembrava decisamente più difendibile, perché
separava le funzioni di ricerca da quelle di stoccaggio dei file. Con questo
sistema, infatti la musica protetta restava ospitata dai dischi fissi degli utenti,
aggirando, teoricamente, il problema della correità nell’infrazione al copyright.
Napster si presentava così come un semplice motore di ricerca che poteva
essere usato per fini alternativi a quelli illegali.
Il diverso parere delle corti di giustizia, basato sull’incidenza delle
operazioni illegali sull’attività complessiva del sito (91%) e sulla sua
collaborazione nella realizzazione degli illeciti, rettificò bruscamente questa
convinzione:
The relationship between developers and peer networks needed to be more like that between Xerox and its photocopiers. The response, Napster suggested, should take the form of a protocol rather than an application. Email and Usenet had never been sued for copyright infringement, despite their widespread use for illegal purposes. The lesson was simple—Napster
21 Infatti, benché Napster fosse nato open source, uno zio di Fanning ne aveva acquistato i diritti, esponendo il programmatore all’accusa di illecito a fini commerciali. La vicenda è esposta in J. MENN, Ali the Rave: The Rise and Fall of Shawn Fanning's Napster, New York: Crown, 2003. Citato da L. NERI, La baia dei pirati, op. cit., p. 223.
III. Il file sharing e le logiche dei network
178
had not gone far enough22.
Napster, insomma, non aveva tratto tutte le conseguenze della natura di
protocollo del P2P, e ciò ne faceva un sistema immaturo dal punto di vista
organizzativo e insicuro da quello legale. La sua vicenda giudiziaria indicò agli
informatici che, diversamente dalle altre tecnologie, questo tipo di software
poteva essere giudicato responsabile dell’utilizzo che ne veniva fatto, per cui, il
primo obiettivo della progettazione delle architetture successive fu quello di
costruire strumenti indenni dalle vulnerabilità legali che ne avevano decretato la
chiusura:
The recording industry […] is sensitizing software developers and technologists to the legal ramifications of their inventions. Napster looked like a pretty good idea a year ago, but today Gnutella and Freenet look like much better ideas23.
In altri termini, come ha osservato Barbrook, «ironically, the court case has
provided the opportunity to fix the social and technological flaws within
Napster»24. Nel 2000 vengono così rilasciate le prime versioni di tre nuovi
sistemi di condivisione che sperimentavano equilibri alternativi tra sicurezza e
performance degli scambi. In marzo esce Gnutella, la prima piattaforma
decentralizzata, in luglio Freenet, il primo sistema di condivisione assistito da
strumenti di anonimizzazione del traffico, e in settembre eDonkey, una
tecnologia client-server che adottava lo swarming, cioè il download di frammenti
di un file da più fonti. A partire dalle loro versioni di aggiornamento, i sistemi di
file sharing cominceranno a intrecciare gli strumenti di ricerca, di comunicazione
tra peers, di download e di protezione del traffico, risultati più efficienti nelle altre
implementazioni. Nel solo intervallo 1999-2002 vengono sperimentati 58 diversi
protocolli di condivisione di cui solo CuteMX, iMesh e Scour Exchangema
riproducevano il design di Napster25. Tra questi, la piattaforma più apprezzata e
innovativa era Gnutella.
22 Ivi, p. 151. 23 G. KAN. “Gnutella”, in A. ORAM (eds). Peer-to-Peer: Harnessing the Benefits of a Disruptive Technology, p. 121; citato da T. WU. “When Code Isn’t Law”, cit., p. 150. 24 R. BARBROOK. “The Napsterisation of Everything: a review of John Alderman, Sonic Boom: Napster, P2P and the battle for the future of music, Fourth Estate, London 2001”, Science as Culture, 11, 2, 2002; http://www.imaginaryfutures.net/2007/04/10/the-napsterisation-of-everything-by-richard-barbrook/. 25 R. LEWIS. “Media File Sharing Over Networks. Emerging Technologies”, 2002; http://www.faculty.rsu.edu/~clayton/lewis/paper.htm.
5. Le reti e le architetture di condivisione
179
55..22..22 IIll ffiillee sshhaarriinngg nnoonn ccoommmmeerrcciiaallee
Justin Franklin e Tom Pepper, i programmatori poco più che maggiorenni
che ne avevano sviluppato il programma per la Nullsoft – dove “Null” stava per
“molto più piccolo di Micro(soft)” – avevano attribuito a questo sistema P2P
puro, il nome di una Nutella non commerciale che intendevano distribuire sotto
General Public License. Pubblicizzato da un annuncio su Slashdot26, il software
restò in distribuzione solo il 14 marzo 2000, perché America On Line, che aveva
da poco acquisito la start up, ne bloccò la distribuzione per motivi legali,
diffidando l’ex team Nullsoft dal continuare a svilupparlo. Nonostante
l’immediata chiusura della distribuzione, in un giorno furono scaricate migliaia di
copie del programma, dal cui codice sorgente furono creati i nuovi client per
gNet, che poté sopravvivere.
Figlia della cultura hacker, la piattaforma era costruita intorno all’idea che
“Gnutella is not a program, it is a protocol.” In other words, Gnutella’s designers created a filesharing network—GnutellaNet—that was unowned and uncontrolled and to which various Gnutella programs could provide access. The relationship between the application and the network was similar to that between various email programs (Eudora, Microsoft Outlook, Hotmail) and the one-serves-all email network that cannot be said to be owned by anyone. GnutellaNet was designed as a general filesharing network capable of sharing any computer file27.
La concezione di questo P2P enfatizzava così la propria natura di
protocollo abilitante, capace di creare reti non proprietarie e non controllate,
all’interno delle quali tutti nodi erano uguali ed attivi, ed avevano la stessa
priorità di accesso alle risorse di ogni altro. Il suo protocollo doveva molto alla
teoria dei piccoli mondi28, il sistema funzionava infatti propagando la ricerca
attraverso relazioni di vicinanza ed evitando il loop con la limitazione del numero
massimo di passaggi (hops) che ogni richiesta poteva fare ai peer contigui al
nodo che l'aveva generata29. Il suo design rappresentava, inoltre, lo sforzo
26 Slashdot è una newsletter di argomento tecnologico. 27 T. WU. “When Code Isn’t Law”, T. WU. “When the Code Isn’t Law”, Virginia Law Review, 89, 2003, p. 153; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=413201. 28 I principali contributi a questa tesi sono stati forniti dall’articolo di Stanley MILGRAM “The Small-World Problem”, Psychology Today, 1, 1967, (pp. 60-67) e dagli studi di Duncan J. WATTS e Steven H. STROGATZ. “Collective Dynamics of «small-worlds» networks”, Nature, 393,1998, (pp. 440-442). 29 La rete Gnutella (gNet) è pensata per sfruttare l’estensione geometrica del «times to live» (TTL), cioè il numero di relazioni gestite da ogni nodo. Ad esempio, se un utente è connesso a 4 computer e ciascuno di questi è connesso ad altri 4 computer, il primo utente riesce a connettersi
III. Il file sharing e le logiche dei network
180
intenzionale di creare una tecnologia di condivisione non legalmente
perseguibile, cioè priva del single point of failure che aveva fatto collassare
Napster. In un sistema centralizzato, infatti, lo spegnimento del server fa cadere
l’intera rete, ciò che non accade in un sistema privo di centro. Come avevano
ricordato i ricercatori del gruppo Microsoft, prima del P2P la presenza dei
database nei siti che distribuivano contenuti, aveva reso estremamente facile la
dissuasione e il perseguimento giudiziario della condivisione:
Early Mp3 Web and FTP sites were commonly “hosted” by universities, corporations, and ISPs. Copyright-holders or their representatives sent “cease and desist” letters to these web-site operators and web-owners citing copyright infringement and in a few cases followed up with legal action30.
Il punto di forza di Gnutella consisteva invece nel fatto che la relazione che
il protocollo stabiliva con la rete era del tutto simile a quella di altri sistemi di
interconnessione, quali ad esempio i client di posta, che erano comunemente
usati per condividere file, ma non erano mai stati perseguiti per copyright
infringement. Il programma, inoltre, non era posseduto da nessuno e poteva
opporre ad eventuali chiamate in giudizio l’assenza di fini commerciali a cui
Napster non aveva potuto appellarsi. Meno attaccabile dal punto di vista legale,
l’approccio decentralizzato di Gnutella penalizzava però l’usabilità della
piattaforma e la sua capacità di sostenere forti flussi di traffico31. Affollata di ex-
fan di Napster e di una platea di nuovi utenti in forte crescita, la piattaforma
infatti era lenta e soffriva spesso di congestioni di traffico, la più grave delle
quali si verificò nel luglio 2000, quando il collasso della rete rese indisponibile il
sistema per oltre un mese32. Ciò attirò l’attenzione di una letteratura interessata
alle problematiche dell’egualitarismo elettronico che, con le reti decentralizzate,
faceva i conti con la gestione dei commons e la presenza dei free riders33.
Lo studio empirico Free Riding on Gnutella condotto nel 2000 da due
ricercatori del Centro Xerox di Palo Alto, dedicava un’attenzione particolare alla
complessivamente a 4+4*4=20 computer. In questo caso i messaggi effettuano 2 hops (salti) nel network : il TTL di quell’utente è perciò uguale a 2. Con un TTL di 3, il numero totale dei computer diventa 4 + 4*4*4 =84. Il numero totale dei computer connessi cresce in modo esponenziale con l’incremento del TTL, riuscendo, idealmente, a raggiungere qualsiasi altro nella rete. 30 P. BIDDLE, P. ENGLAND, M. PEINADO, B. WILLMAN. “The Darknet and the Future of Content Distribution”, cit., p. 5. 31 Ivi, p. 152. 32 S. McCannell. “The Second Coming of Gnutella, WebReview, March 2, 2001; http://www.xml.com/pub/r/1005. 33 E. A HUBERMAN, B. A. HUBERMAN. “Free riding on Gnutella”, First Monday, 5, 10, October 2, 2000; http://firstmonday.org/htbin/cgiwrap/bin/ojs/index.php/fm/article/viewArticle/792.
5. Le reti e le architetture di condivisione
181
propensione a condividere manifestata dagli utenti della piattaforma, rilevando
la sproporzione tra il numero di coloro che entravano per cercare musica e
quello di coloro che contemporaneamente mettevano a disposizione i propri
Mp334. L’analisi di 24 ore di traffico della rete mostrava, infatti, che il 70% dei
partecipanti non rendeva disponibile per il download i propri contenuti e che il
traffico generato da 31.000 nodi era servito solo da 314 host. L’articolo degli
Huberman si spingeva così ad ipotizzare che l’incidenza del free riding avrebbe
insterilito le reti di file sharing, portando gli utenti insoddisfatti a causa della
diminuzione delle risorse e del tempo speso infruttuosamente, a rivolgersi
nuovamente alla fornitura commerciale. Come evidenziavano i due ricercatori,
la sorte tragica dei commons era implicata nelle logiche della scelta razionale
descritte da Garrett Hardin nel 196835, anche quella dei commons digitali era
dunque segnata36.
Il problema osservato dagli Huberman era noto. Ciò che rendeva Gnutella
simile ai pascoli di Hardin era la scarsità di banda, unita alla prevalenza di
contratti di fornitura telefonica con tariffazione a consumo. Le vecchie
connessioni dial up facevano infatti passare il traffico upload e download per la
stessa linea, spingendo gli utenti, collegati da casa con tariffe a tempo, a tentare
di velocizzare le loro operazioni impedendo l’accesso ai file dei propri computer.
I pochi host che sostenevano l’intera rete erano infatti prevalentemente installati
nei campus universitari, dai quali gli utenti della comunità mettevano a
disposizione le risorse necessarie a tutti i partecipanti. Napster aveva
comunque cercato di ampliare la propria base di file attraverso un dispositivo
che contabilizzava l’apporto dei singoli utenti all’arricchimento delle risorse
comuni, compensandoli del rallentamento della condivisione con un accesso
preferenziale al server che ne accelerava le ricerche.
55..22..33 IIll ddeecclliinnoo ddeellllee ppiiaattttaaffoorrmmee pprroopprriieettaarriiee
Alla funzione redistributiva scelta da Napster, il protocollo FastTrack – una
piattaforma proprietaria e crittata, sviluppata nel marzo 2001 dal sorgente di
34 Ibidem 35 G. HARDIN. “The Tragedy of the Commons", Science, 162, 1968, http://dieoff.org/page95.htm. 36 Sull’importanza “pedagogica” di studi empirici, come quello degli Huberman, tesi a dimostrare la natura prosaica del file sharing e la loro scontata perdita di efficacia, si veda L. J. STRAHILEVITZ. “Charismatic Code, Social Norms, and the Emergence of Cooperation on the File-Swapping Networks”, Virginia Law Review, 89, 2003, p. 64; http://ssrn.com/abstract=329700.
III. Il file sharing e le logiche dei network
182
Gnutella - aveva invece preferito una soluzione organizzativa, che assegnava
ad alcuni nodi del sistema le funzioni di indicizzazione riservate dal primo P2P
al server centrale. I super-nodi di questa piattaforma diventavano così «more
equal than others», ricentralizzando parzialmente il sistema di condivisione37.
Questi servent38 mantenevano, infatti, aggiornati i database degli utenti,
permettendo a chi si collegava alla piattaforma di utilizzare quasi interamente la
sua disponibilità di banda per il download. Poiché i nodi specializzati
suddividevano la rete in spazi logici di minore ampiezza, le interrogazioni erano
portate a termine in minor tempo, con effetti apprezzabili soprattutto per gli
utenti collegati con connessioni lente. Rispetto a Gnutella, oltre alla
velocizzazione della ricerca, era stata introdotta la possibilità di riprendere i
download interrotti e di scaricare file da più sorgenti (multisourcing), ciò che
compensava, complessivamente, il livello ancora rudimentale della funzione di
interrogazione che richiedeva l’immissione del titolo esatto di un brano ed era
incapace di lavorare per chiavi.
Il successo di KaZaA fu così immediato, dimostrando la capacità della sua
tecnologia di sostenere picchi di traffico e volumi di accessi ineguagliati dalle
altre reti. Nell’estate 2002, KaZaA superò il numero di utenti di Napster e, agli
inizi del 2004, il suo software divenne il più scaricato della storia con 319 milioni
di download39. L’adozione di un’architettura ibrida, unita alla natura commerciale
della piattaforma, tornavano però a reintrodurre nel sistema di condivisione le
vulnerabilità legali di Napster. Gnutella e suoi client, infatti, non erano stati
perseguiti dalle autorità, mentre le reti FastTrack - KaZaA, IMesh, Audiogalaxy,
Morpheus e Grokster - furono protagoniste del procedimento giudiziario più
importante della storia del P2P, i cui esiti avrebbero dettato nuove coordinate
per lo sviluppo del file sharing commerciale e determinato il ritorno a una nuova
stagione di piattaforme open source40.
La prima denuncia alla Consumer Empowerment, la società con sede in
Olanda che commercializzava il protocollo FastTrack, partì dalla società di
collecting Burma/Stemra pochi mesi dopo il rilascio di KaZaA. Alla condanna
37 Il client più famoso era KaZaA. 38 Si dicono «servent» i nodi di un sistema decentralizzato che il software fa lavorare sia come server che come client. 39 J. L. GOLDSMITH, T. WU. I padroni di internet. L’illusione di un mondo senza confini, op. cit., p. 111. Napster resta, invece, l’applicativo internet con il tasso di adozione più rapido della storia. L. NERI, La baia dei pirati, op. cit., pp. 32-33. 40 L. NERI. La baia dei pirati, op. cit., p. 57.
5. Le reti e le architetture di condivisione
183
con la quale il giudice olandese di primo grado ordinava la rimozione dei
contenuti protetti da copyright, la società reagì vendendo la proprietà ad una
rete di compagnie offshore, la cui capofila era Sharman Networks, con sede
legale nell’isola di Vanuatu. Dopo aver dislocato la sede nel Pacifico, la
proprietà di KaZaA acquisì la licenza di sfruttamento del protocollo da una
compagnia estone, installò i server di KaZaA in Danimarca e vendette il dominio
KaZaA.com alla LEF Interactive, con sede a Sidney, la cui sigla iniziale era
l’acronimo di Liberté, Égalité, Fraternité, ad indicare che la società combatteva
una battaglia universale per la libertà41.
Nel frattempo, KaZaA era stata denunciata anche negli Stati Uniti. La
querela della RIAA raggiunse Zennstròm e i client che operavano su licenza
FastTrack il 2 ottobre 2001, poco dopo la chiusura di Napster. La strategia
accusatoria dell’industria musicale era la stessa impiegata con successo contro
il sito di Fanning, ma il quadro generale era cambiato, a cominciare dal fatto che
i server di KaZaA erano installati fuori della giurisdizione americana. Nella prima
fase del «caso Grokster», KaZaA e Zennstròm non si presentarono in
dibattimento, lasciando agli altri client il compito di difendersi davanti ai giudici
californiani. I legali di Grokster, coadiuvati dall’avvocato dell’EFF Fred Von
Lohmann, invocarono nuovamente lo standard Sony Betamax, sottolineando
che la tecnologia FastTrack offriva significativi impieghi legali e che,
diversamente da Napster, il protocollo non interveniva in alcun modo nella
condivisione dei file protetti. Von Lohmann insistette particolarmente sugli effetti
che un’eventuale condanna della piattaforma avrebbe potuto avere sul futuro
dell’innovazione tecnologica, se si fosse permesso alla strategia d’affari
dell’industria musicale di ostacolare l’ingresso sul mercato di un modello
concorrente, supportato da una nuova tecnologia42. Contro KaZaA giocava il
fatto che il programma era usato prevalentemente per fini illeciti e che il sito
stesso si era presentato ai suoi utenti come il sostituto di Napster, ma la
sentenza del giudice distrettuale accolse egualmente le tesi della difesa (23
aprile 2003) mentre, sedici mesi dopo, la decisione della corte d’appello della
California rafforzò persino la sentenza di primo grado, articolando le sue
41 Ivi, p. 61. Lo stesso team di sviluppatori di KaZaA era internazionale : Niklas Zennstròm era svedese e la lavorava per una compagnia olandese, Janus Friis era danese, Priit Kasesalu era estone. 42 J.GOLDSMITH, T. WU. I padroni di internet. L’illusione di un mondo senza confQuinid, bni, trad. cit., p. 112.
III. Il file sharing e le logiche dei network
184
motivazioni come un commentario della tesi dell’EFF. Il giudice Thomas
osservava, infatti, che
l’introduzione di una nuova tecnologia è sempre disgregante per i mercati precedenti, particolarmente per quei detentori dei diritti le cui opere vengono vendute tramite meccanismi di distribuzione ben collaudati. La storia ha dimostrato che spesso il tempo e le dinamiche di mercato portano all’equilibrio degli interessi coinvolti, come è il caso di nuove tecnologie quali la pianola, la fotocopiatrice, il registratore, il videoregistratore, il personal computer, il karaoke o il lettore Mp343.
Si sosteneva, in questo modo, che, benché gli utenti di KaZaA violassero la
legge, l’interfaccia tecnologica non poteva essere dichiarata responsabile. La
sentenza si collocava evidentemente nel solco della tradizione Sony Betamax,
ma la sua applicazione al file sharing sollevò ugualmente forti polemiche, la più
accesa delle quali fu la protesta neo-luddista del senatore repubblicano Orrin
Hatch che propose provocatoriamente di dichiarare illegale la produzione di
computer e di distruggerne gli esemplari esistenti. In questo clima di tensione,
alimentato dalle dodicimila querele che RIAA e MPAA stavano notificando agli
sharer americani, il caso fu portato davanti alla Corte Suprema che, il 23 giugno
2005, capovolse le decisioni precedenti, condannando Grokster e Morpheus per
favoreggiamento nell’infrazione al copyright. Il loro modello imprenditoriale,
basato sulla vendita dell’attenzione del pubblico agli inserzionisti (vicarious
infringement) e sulla collaborazione dei supernodi al download (contributory
infringement), veniva così dichiarato illegale, poiché concepito per trarre profitto
dalle pratiche illecite degli utenti.
È interessante notare, in proposito, che benché KaZaA godesse all’epoca
di un successo di pubblico ineguagliato, la società che lo distribuiva non faceva
profitti. La prima ragione del suo insuccesso commerciale consisteva nella
difficoltà di attrarre i pubblicitari, che esitavano ad investire su una piattaforma
che poteva essere chiusa da un momento all’altro. Questo problema aveva
spinto Sharman Network ad adottare le strategie commerciali più povere,
disseminando le reti di adware e spyware e producendosi in maldestri tentativi
di incrementare gli introiti aumentando il costo delle licenze dei propri client o
includendo software dormienti nei computer degli utenti per profittare di parte
43 Citato da J. GOLDSMITH, T. WU. I padroni di internet. L’illusione di un mondo senza confini, trad. cit., pp. 113-114.
5. Le reti e le architetture di condivisione
185
della loro potenza di calcolo44. Agli inizi del 2004 KaZaA si presentava perciò
infestata dagli spyware introdotti dalla compagnia, dal malware e dai file falsi o
corrotti disseminati da Hollywood, e dalle pop up dei siti porno che
parassitavano la rete. La politica seguita da Sharman Network ebbe come
conseguenza di spingere gli utenti a frequentare il sistema concorrente
eDonkey o le reti che erano state create illegalmente sul protocollo FastTrack.
Si produsse, così, la situazione paradossale, nella quale gli utenti si collegavano
a KaZaA per scaricare i software pirata KaZaA Lite e KaZaA Gold, o per
procurarsi gratuitamente le copie di KaZaA +, la versione priva di adware che la
società aveva messo in vendita a $ 29,95:
Di fronte alla proliferazione di imitazioni tipo KaZaA Gold, nel 2003 KaZaA si ritrovò nella scomoda posizione di dover segnalare le infrazioni al copyright. Inviò così una lettera a Google chiedendogli di eliminare tutti i siti che ospitavano i falsi client di KaZaA. Google aderì alla richiesta, ma alla fine KaZaA aveva avuto gli stessi grossi problemi dell’industria discografica nell’affrontare il problema dell’infrazione ai propri diritti e al marchio. Ironicamente, il suo modello imprenditoriale dipendeva dal fatto contemporaneo di evitare e applicare il copyright45.
Secondo Jack Goldsmith e Tim Wu, la vicenda commerciale e giudiziaria di
KaZaA dimostra che sebbene il suo design fosse migliore di quello di Napster,
l’impossibilità di ricorrere alle autorità per combattere le frodi e la copia dei
propri prodotti, unita all’incapacità di affermare una credibilità commerciale per
attirare le inserzioni pubblicitarie, avevano costi superiori alle possibilità di
profitto del modello46. I due giuristi ne ricavano la previsione che la distribuzione
di musica online si orienterà in futuro su servizi come iTunes, mentre la
condivisione gratuita, marginalizzata dalla repressione tecno-legale, si
riprodurrà su piattaforme clandestine, la cui segretezza e maggiore difficoltà
d’utilizzo ne renderà il patrimonio comune sempre più esiguo e banale:
Una risposta alla decisione sul caso Grokster e alle querele della RIAA sarà quella di far precipitare ulteriormente il file sharing nei meandri di internet,
44 Non è chiaro, peraltro, come KaZaA volesse sfruttare il time sharing perché, appena scoperta la presenza dello sleeper software, lo scandalo costrinse il sito ad abbandonare rapidamente il progetto. S. LOWE. “KaZaA ready to unleash new network”, Sidney Morning Herald, April 6, 2002; http://www.smh.com.au/artcles/2002/04/05/1017206264997.html?oneclick=true; T. SPRING. “KaZaA Sneakware Stirs Inside Pcs”, CNN.com, Mai 7; 2002; http://archives.cnn.com/2002/TECH/internet/05/07/KaZaA.software.idg/. 45 J. GOLDSMITH, T. WU. I padroni di internet. L’illusione di un mondo senza confini, trad. cit., pp. 119-120. 46 Ivi, p. 121.
III. Il file sharing e le logiche dei network
186
mascherando l’identità dei servizi e di chi li usa […] Molte delle caratteristiche del file sharing post-KaZaA – segretezza e anonimità – vanno nella direzione degli obiettivi della legge. Man mano che i vari gruppi diventano più piccoli o più segreti per evitare le maglie repressive, divengono più difficili da scoprire non solo per le autorità […] ma anche per i comuni utenti. Ciò a sua volta significa che un numero sempre minore di utenti del file sharing sarà interessato a piccole raccolte difficili da scovare47.
Come si vede, l’isterilimento delle reti già pronosticato dagli Huberman
sposta ora sulla pressione giudiziaria, dopo l’ingenerosità degli utenti, le ragioni
per annunciare la riconsegna del pubblico al commercio. Secondo i due giuristi,
infatti, mentre le reti segrete sono destinate a perdere la loro capacità di
attrazione, la sentenza Grokster impedisce contemporaneamente la rinascita
del P2P commerciale, determinando un riassorbimento pressoché completo del
peer-to-peer nel pay-per-play. Ciò in quanto, la maggior cura per l’anonimità
degli ultimi P2P è vista come l’avvisaglia di un’imminente frammentazione delle
reti e perché, diversamente da quanto ipotizzato dal gruppo Microsoft, lo
smembramento dei network globali in un pulviscolo di darknet è considerato il
fattore decisivo della perdita di efficienza del file sharing48, in grado di
abbatterne le performance di jukebox celestiale49. Si ritiene, infine, che al di fuori
del circuito della potenza economica la pratica della condivisione via internet
non abbia futuro.
Goldsmith e Wu non registrano quindi come dopo ogni aggressione
giudiziaria le reti di condivisione abbiano attivato processi di ristrutturazione
interna e di innovazione tecnologica che hanno premesso alla pratica di
ricomporsi e di evolversi sull’intero piano tecno-sociale. Questo aspetto non
sembra invece sfuggire a Von Lohmann, il quale non solo nega che la
conclusione del caso Grokster coincida con la fine del P2P commerciale, ma
anzi evidenzia come la sconfitta della strategia incarnata da KaZaA, dia al file
sharing la possibilità di ripartire su basi più solide. Subito dopo la sentenza della
47 J. GOLDSMITH, T. WU. I padroni di internet. L’illusione di un mondo senza confini, trad. cit., p. 125. 48 C. SHIRKY. “File Sharing Goes Social”, Networks, Economics, Culture (Mailing list); October 12, 2003; http://www.shirky.com/writings/file-sharing_social.html: «A number of recent books on networks, such as Gladwell's The Tipping Point, Barabasi's Linked, and Watts' Six Degrees, have noted that large, loosely connected networks derive their effectiveness from a small number of highly connected nodes, a pattern called a Small World network. As a result, random attacks, even massive ones, typically leave the network only modestly damaged». 49 Il concetto di jukebox celestiale, con il quale i tecnici IETF indicavano la raccolta universale della musica prodotta in ogni tempo, è stato divulgato dal prof. Paul Goldstein della Stanford University.
5. Le reti e le architetture di condivisione
187
Corte Suprema, l’avvocato ha infatti stilato un documento rivolto agli sviluppatori
dei sistemi P2P nel quale ha osservato che:
In cases involving truly decentralized P2P networks built on open source software, there may be nothing a software developer or vendor can do to stop infringing activities (just as Xerox cannot control what a photocopier is used for after it is sold). To the extent you want to minimize your obligation to police the activities of end-users, this counsels strongly in favor of software architectures that leave you with no ability to control, disable, or influence end-user behavior once the software has been shipped to the end-user [...]50.
Poiché la partecipazione del software alle violazioni e l’interesse
commerciale alla creazione degli strumenti di condivisione si sono rivelati i
principali ostacoli legali allo sviluppo del file sharing,
[…] the fight will likely center on the “control” element. The Napster court found that the right to block a user's access to the service was enough to constitute “control.” The court also found that Napster had a duty to monitor the activities of its users “to the fullest extent” possible. Accordingly, in order to avoid vicarious liability, a P2P developer would be wise to choose an architecture that makes control over end-user activities impossible51.
Per continuare a sviluppare sistemi P2P bisognerà perciò «essere
open source»:
In addition to the usual litany of arguments favoring the open-source model, the open source approach may offer special advantages in the P2P realm. It may be more difficult for a copyright owner to demonstrate “control” or “financial benefit” with respect to an open source product. After all, anyone can download, modify and compile open source code, and no one has the ability to “terminate,” “block access,” implement “filtering,” or otherwise control the use of the resulting applications. Any control mechanisms (including “filtering”), even if added later, can simply be removed by users who don’t like them52.
Il punto essenziale su cui Von Lohmann mette l’accento è la stabilizzazione
operata dalla sentenza Grokster della separazione delle responsabilità degli
utenti da quella di tecnologie che possano dimostrare di non favorire
attivamente e non sfruttare gli illeciti per fini economici. Secondo l’avvocato,
questa decisione ha posto le condizioni per una riorganizzazione del file sharing
50 F. VON LOHMANN. “IAAL («I Am A Lawyer»). What Peer-to-Peer Developers Need to Know about Copyright Law”, Electronic Frontier Foundation, January 2006, p. 10; http://w2.eff.org/IP/P2P/p2p_copyright_wp.php. 51 Ivi, p. 14. 52 Ivi, p. 16.
III. Il file sharing e le logiche dei network
188
che dovrà tener conto sia della crescente criminalizzazione del download, che
della responsabilizzazione degli sviluppatori coinvolti in progetti di sfruttamento
commerciale dell’infrazione al copyright53. Il futuro dei sistemi di condivisione
sarà perciò caratterizzato dallo sviluppo di piattaforme non proprietarie e
sempre più attrezzate per l’anonimizzazione del traffico.
La chiusura di eDonkey, poco dopo la sentenza Grokster, era sembrata
andare proprio in questa direzione. Nel nuovo clima creato dalla decisione della
Corte Suprema era, infatti, bastato l’invio di una lettera cease and desist da
parte della RIAA, perché il freeware54 sviluppato dalla Meta Machine Inc. fosse
costretto a valutare i costi legali del proseguimento dell’attività e uscisse dal
mercato, con gran parte dei suoi client, lasciando il campo a un concorrente
open source, eMule55. Di li a poco, però, BitTorrent avrebbe mostrato come, dal
punto di vista imprenditoriale, l’opposizione tra piattaforme proprietarie e open
source fosse fittizia, indicando nel rilascio dei programmi in codice aperto come
servizio gratuito di società commerciali, una delle exit strategy ai vincoli posti
dalla sentenza del 2005.
Rilasciato originariamente con licenza MIT (Massachussets Istitute of
Technology), dal 2005 il programma è stato infatti distribuito sotto BitTorrent
Open Source License dalla BitTorrent Inc., la società che lo sviluppatore Bram
Cohen aveva creato alcuni mesi prima per poterne commercializzare le
applicazioni. Allo stesso modo, il programma di Vuze – già Azureus – un
popolare client di BitTorrent noto per essere intervenuto come parte lesa nel
processo contro Comcast56, è stato rilasciato con licenza GPL e viene distribuito
gratuitamente dalla Vuze Inc. che ne commercializza le soluzioni per l’impresa.
Il modello BitTorrent era, d’altra parte, perfettamente coerente con la filosofia
open source che non ha mai fatto mistero, in opposizione al free software57,
della sua natura di modello alternativo di sfruttamento commerciale delle
tecnologie. La scelta del codice aperto indicava infatti, semplicemente, che il
53 Se confermate, le indiscrezioni trapelate agli inizi del 2009 sul nuovo accordo internazionale ACTA sulla proprietà intellettuale vanno, in effetti in direzione dell’inasprimento delle sanzioni per gli utenti e per lo sfruttamento commerciale del file sharing. 54 Software proprietario distribuito gratuitamente che si riserva le possibilità di modifica del codice. 55 Si veda, nelle pagine successive, la descrizione delle due piattaforme. 56 Per la vicenda processuale si veda la nota 83 a p. 105. 57 Va sottolineato, in proposito, come l’ambiguità già contenuta nella formula stallmanniana «il free software è una questione di libertà non di prezzo», che sottolineava come l’importanza dell’informatica libera andasse ben oltre il mercato pur senza escluderlo a priori, è stata risolta dall’open source come un esplicito adattamento del preesistente modello free, al mercato.
5. Le reti e le architetture di condivisione
189
controllo della tecnologia non era necessario ai P2P commerciali e che la
strategia imprenditoriale di queste società si sarebbe fondata su presupposti
diversi da quelli di KaZaA. Il P2P di Cohen si è infatti reso indipendente dal
finanziamento pubblicitario e ha puntato sulla promozione del software nei
servizi all’impresa, dimostrando così non soltanto la possibile coesistenza di
una tecnologia controversa con il mercato, ma perfino che un produttore di
tecnologie di condivisione poteva basare il suo modello d’affari sul business-to-
business.
Allo stesso tempo, il modello della gratuità sostenuta dalla pubblicità (free
ad-supported) non è scomparso dalla scena del P2P, ma è ancora adottato
negli ambiti non ancora entrati nel vivo della conflittualità legale, come nel caso
esemplare delle P2PTV. Il peer-to-peer televisivo è infatti un fenomeno
speciale, sia per il fatto che gli utenti condividono programmi tv, invece di beni
digitali, sia per l’inedita circostanza che la maggior parte delle tecnologie è
cinese o taiwanese: due aspetti che rendono difficile inquadrare le P2PTV nelle
fattispecie di reato del file sharing convenzionale e che comportano inevitabili
problemi di giurisdizione e di allineamento delle legislazioni in materia di
violazioni al copyright. La relativa tranquillità giudiziaria di questi P2P58, per lo
più distribuiti come freeware da Università, enti di ricerca o compagnie
asiatiche, sembra così offrire condizioni favorevoli all’attrazione degli
inserzionisti, tra i quali abbondano i siti di scommesse online - che
sponsorizzano le piattaforme specializzate in programmi sportivi - e quelli che
offrono videogiochi, ma che vedono presenti anche le compagnie aeree low
cost – come Meridiana che si pubblicizza su SopCast -, presumibilmente
interessate a promuoversi verso un pubblico fidelizzato alla gratuità, per
estensione ritenuto sensibile al low cost, e raggiungibile da trasmissioni
televisive sempre più globali.
Una terza modalità di finanziamento, alternativa al business-to-business e
al sostegno pubblicitario, è poi praticata da piattaforme come eMule e FreeNet
58 Alla fine del 2005 Sky ha denunciato alla Guardia di Finanza due aggregatori italiani del P2PTV cinese Coolstreaming (Coolstreaming.it e Calciolibero), per aver rilanciato in rete le partite di serie A del Campionato italiano. In realtà i due siti mettevano a disposizione i link ai canali del P2P cinese. Dopo il sequestro preventivo, il Coolstreaming italiano ha cambiato dominio - registrandosi negli USA – e ha adottato la policy di Google in materia di copyright (rimuove i contenuti segnalati per copyright infringement). Il primo approfondimento della materia fatto dal giudice per le indagini preliminari ha permesso l’immediato dissequestro delle piattaforme. In sede di giudizio, i due aggregatori sono stati oggetto di decisioni alternate di innocenza e colpevolezza.
III. Il file sharing e le logiche dei network
190
(P2P), TOR (Virtual Private Network - VPN) e isoHunt (tracker di BitTorrent)59,
che non si appoggiano a strutture commerciali e non sono finanziate dalle
inserzioni, ma sono sostenute dalle libere donazioni degli utilizzatori. La
proliferazione di questi sistemi mostra come, accanto ai modelli commerciali,
proprietari o open source, il P2P esprima realtà non proprietarie e non
commerciali che sostengono, in continuità con Gnutella, quella che alcuni teorici
definiscono come un’economia digitale del dono60. I pagamenti volontari, infatti,
non hanno niente a che vedere con il pagamento di un corrispettivo, ma
rappresentano la chiusura del circuito di reciprocità che caratterizza le
economie basate su principi alternativi alla transazione di mercato e alla
redistribuzione statuale61.
La diversità estrema di queste piattaforme e la natura globale del file
sharing evidenziano quanto possa essere fuorviante ipotizzarne il futuro
facendo uso di modelli previsionali monocausali. Il panorama attuale mostra
infatti che, dove è possibile sfruttare diverse condizioni legali, le piattaforme
asiatiche rilanciano il modello imprenditoriale di KaZaA, mentre, negli Stati Uniti,
BitTorrent lo rovescia, per fare di un programma di file sharing il veicolo
promozionale di soluzioni per l’impresa e, con eMule, il peer-to-peer dimostra di
poter prosperare praticando un’economia di auto-sussistenza del tutto
indipendente dai meccanismi della valorizzazione di mercato. Per usare la
tassonomia di Benkler, accanto alle strategie di «esclusione basate sui diritti»
praticate dai protocolli proprietari (KaZaA), e alle strategie «non di esclusione di
mercato» adottate dalle tecnologie open source (BitTorrent), alcuni P2P
operano secondo modalità di «non esclusione e non di mercato»62.
L’insieme dei modelli imprenditoriali e delle filosofie di sostentamento delle
piattaforme di file sharing si mantiene dunque più complesso rispetto alla
prognosi di Goldsmith e Wu, nella quale il fallimento del modello KaZaA finisce
per dimostrare l’incompatibilità del business con una pratica illegale e
59 Un tracker è un motore di ricerca per file torrent. Il funzionamento del sistema BitTorrent è approfondito alle pagine seguenti. 60 K. J. VEALE. “Internet gift economies: Voluntary payment schemes as tangible reciprocity”, First Monday, Special Issue 3: Internet banking, e-money, and Internet gift economies, 5 December 2005; http://firstmonday.org/htbin/cgiwrap/bin/ojs/ index.php/fm/article/view/1518/1433. 61 Si fa riferimento alle tre forme di scambio individuate da Karl Polanyi: scambio di mercato, reciprocità o dono, redistribuzione statale. Per una discussione di questi temi nel quadro del paradigma antiutilitarista, si rinvia al sesto capitolo. 62 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., p. 43: Table 2.1: Ideal-Type Information Production Strategies.
5. Le reti e le architetture di condivisione
191
l’esaurimento dell’esperienza di social networking applicata alla condivisione
online. Come si è visto, la storia successiva dei sistemi di file sharing ha invece
conosciuto sviluppi imprevisti - di cui testimonia la partnership di BitTorrent con i
maggiori promotori delle politiche di criminalizzazione del peer-to-peer63 - lungo
un’evoluzione, per altri versi, lineare, in cui le piattaforme di file sharing hanno
risposto all’incremento della conflittualità legale con processi sempre più marcati
di decentralizzazione tecnologica e organizzativa.
Oltre a sposare il suggerimento di aprire il codice per sottrarsi alle
responsabilità legate al controllo del software, i nuovi P2P hanno infatti adottato
delle architetture che rendono sempre più arduo individuare le singole
responsabilità nella condivisione. Le tecnologie basate sullo streaming
distribuiscono, infatti, assai più che in passato, le funzioni essenziali dei sistemi
di file sharing, rendendo più difficile l’incriminazione degli sviluppatori e meno
scontata quella degli utenti. BitTorrent, ad esempio, ha esternalizzato la
funzione di ricerca, che non fa più parte del sistema di condivisione e, come i
sistemi basati su codice eDonkey (eMule), utilizza un sistema di «scambio
forzato» che rende indistinguibile chi mette a disposizione file e chi li scarica.
Come si è visto, eMule e FreeNet hanno poi esteso il principio della
decentralizzazione anche alle forme di finanziamento, praticando una forma
distribuita di sostegno finanziario che si appoggia alla solidarietà interna delle
communities di sharer e li rende indipendenti dai meccanismi di mercato.
L’indicazione che se ne può trarre è che, dopo Grokster, il file sharing ha
risposto adeguatamente alla sfida del controllo, come si deduce anche dai suoi
numeri in crescita. Se si esamina l’ultimo studio di Oberholtzer e Strumpf, il
quale prende in esame tutte le rilevazioni empiriche effettuate fino ad oggi, si
osserva infatti che, dal 2003 al 2009, il traffico legato al file sharing è cresciuto
con «fattore 10» - da 1 terabyte a circa 10 terabytes –; e che dal 2006, equivale
ad oltre il 60% del traffico complessivo internet:
63 Come si vedrà, BitTorrent collabora tra gli altri con Sega, 20th Century Fox, MTV, Paramount, Lionsgate e Warner Bros.
III. Il file sharing e le logiche dei network
192
Global File Sharing, 1999-200664
In relazione al numero di file scaricati, gli autori notano anche che le
denunce della RIAA (38.000, in totale, fino al 2008) non hanno inciso
significativamente sul peer-to-peer e che la sua base di utenti non ha subito
flessioni di rilievo nemmeno in corrispondenza delle condanne dei processi più
noti, tornando a crescere dopo una contrazione temporanea65.
55..22..44 VViirrttuuaall PPrriivvaattee NNeettwwoorrkk,, ddaarrkknneett ee ssiisstteemmii ddii aannoonniimmiizzzzaazziioonnee
Questi dati smentiscono perciò anche la seconda previsione degli autori di
Who Controls the Internet?, secondo i quali, dopo Groskster, la pressione
giudiziaria avrebbe disarticolato le reti in darknet sempre più nascoste agli occhi
degli stessi utenti. In proposito, se si sospende il giudizio sulle incognite della
reingegnerizzazione di internet, la cui attuazione porrebbe nuove condizioni sia
allo sviluppo che alla possibilità di controllo dei sistemi anonimi, si osserva infatti
che attualmente la crittografia prevale sulla secessione da internet o dal web. Il
fatto che le VPN siano considerate in aumento66, non impedisce inoltre di
constatare come le reti di BitTorrent, eDonkey/eMule e LimeWire/Gnutella
confermino la persistente capacità del file sharing di conquistare o mantenere
dimensioni di massa67.
64 Ivi, p. 40. 65 F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “File-Sharing and Copyright”, cit., pp. 11, 12, 13. 66 Mancano dati certi, visto che le darknet sono un fenomeno, per definizione, di difficile rilevazione. 67 Secondo la ricerca Ipoque 2008 (citata alla nota 79, p. 40), eDonkey e BitTorrent generano il 90% del traffico P2P.
5. Le reti e le architetture di condivisione
193
È perciò probabile che nell’immediato futuro le metodologie di
anonimizzazione saranno utilizzate per raggiungere senza rischi queste
piattaforme, piuttosto che per separarsene. L’efficienza di questi P2P e
l’escalation dello scontro tra utenti e commercio potrebbe, infatti, convincere
una quota crescente di sharer che il tempo necessario per imparare ad usare gli
strumenti di crittografia e per servirsene nella navigazione sia ben speso.
Qualche indicazione in questo senso si può ricavare dalle VPN nate nel 2009 e
affiancatesi ai sistemi di anonimizzazione già noti e consolidati (TOR), che si
presentano come chiare azioni di sfida al sistema di sorveglianza disegnato
dalle legislazioni sul copyright: IPREDator, ad esempio, è stato rilasciato da The
Pirate Bay il giorno dell’entrata in vigore della legge svedese IPRED sul
copyright (1 aprile 2009), mentre IPODAH – il cui nome è il rovesciamento di
Hadopi - è stato lanciato in risposta all’approvazione della legge Création et
Internet68. Durante l’estate 2009, la VPN svedese ha lanciato la fase di test e ha
già reso noto che l’accesso al servizio costerà € 5 al mese, raccogliendo
ugualmente migliaia di prenotazioni69. Sei mesi più tardi, secondo una ricerca
citata dalla rivista di tecnologia DE.se, il 10% dei giovani tra 15 e 25 anni utilizza
già IPREDator o altir strumenti di anonimizzazione dell’IP. Ciò sembra mostrare
che una parte degli utenti dei sistemi di condivisione preferisce pagare per
garantirsi l’anonimato piuttosto che trasferirsi su iTunes, ed è disposta a
sostenere finanziariamente un progetto open source (nonché ad esprimere
consenso politico alle proposte correlate)70, mentre nega il proprio contributo ai
progetti commerciali, come mostra l’insuccesso di KaZaA +, percepito dagli
sharers come un qualunque altro prodotto in vendita.
L’uso degli strumenti di anonimizzazione evidenzia così anche una forte
componente di ostilità nei confronti dell’industria dei contenuti e una crescente
68 Resta qualche dubbio sull’operazione IPODAH - i cui server sono situati in Francia - visto che anche i fornitori dell’accesso alla VPN potrebbero essere soggetti agli obblighi derivanti dall’Hadopi, la quale indica come «opérateur de communications électroniques», «toute personne physique ou morale exploitant un réseau de communications électroniques ouvert au public ou fournissant au public un service de communications électroniques». 69 Nel novembre 2009, la rivista svedese di tecnologia DE.se ha reso noto che, a soli sei mesi dall’entrata in vigore della legge IPRED, il 10% dei giovani svedesi tra i 15 e i 25 anni usa sistemi di anonimizzazione dell’IP. . GUSTAFFSON. Halv miljon gömmer sig för ipred, DE.se, 1 November 2009 ; http://www.dn.se/nyheter/sverige/halv-miljon-gommer-sig-for-ipred-1.986142. 70 Il Piratpartiet svedese ha ottenuto il 7,1% dei suffragi alle consultazioni Europee 2009. Sul seggio di Strasburgo conquistato siederà Christian Engström, programmatore e attivista della libertà informatica, già membro di FFII (Foundation for a Free Information Infrastructure), l’organizzazione che nel 2005 riuscì a far bocciare la direttiva europea sui brevetti del software.
III. Il file sharing e le logiche dei network
194
identificazione degli utenti con i siti P2P, alimentata dagli innumerevoli processi
di cui sono oggetto71. Non a caso, IPREDator reca sulla sua home page il
messaggio: «The Network is under our control not their»72. Come ha osservato
Cory Doctorov, commentando la condanna di The Pirate Bay,
[...] with each takedown, the industry creates martyrs who inspire their users into an ideological opposition to the entertainment industry, turning them into people who actively dislike these companies and wish them ill (as opposed to opportunists who supplemented their legal acquisition of copyrighted materials with infringing downloads). It's a race to turn a relatively benign symbiote (the original Napster, which offered to pay for its downloads if it could get a license) into vicious, antibiotic resistant bacteria that's dedicated to their destruction73.
Questa accesa conflittualità mette perciò l’accento sui sistemi di file sharing
di terza e quarta generazione, vale a dire sulle tecnologie anonime e sullo
streaming inaugurate nel 2000 da sistemi come FreeNet e eDonkey.
FreeNet, il primo protocollo di navigazione anonima, è stato pensato per
creare reti decentralizzate e resistenti alla censura, grazie ad un sistema che
impedisce ad eventuali intercettatori di individuare l’IP collegato alle
comunicazioni. Il progetto politico di un software come FreeNet risponde
dunque, essenzialmente, alle problematiche della sorveglianza e delle violazioni
alla privacy perpetrate da imprese e governi con il tracciamento e la raccolta dei
dati personali degli internauti, nonché con le limitazioni alla libertà di parola dei
blogger74 e dei frequentatori di forum. La sua tecnologia, poi emulata da ANts
P2P, RShare, I2P, GNUnet ed Entropy75, per citare solo le più note, si basa su
un sistema di crittografia che genera IP virtuali ostacolando l’ispezione dei
71 Dopo la sentenza Grokster, l’industria dei contenuti ha intrapreso azioni legali contro iMesh, Grokster, Sharman (distributore di KaZaA), Streamcast (distributore di Morpheus), MetaMachine (distributore di eDonkey e LimeWire. M. A. EINHORN. “How advertising and peer to peer are transforming media and copyright”, Journal of the Copyright Society, March 15, 2007, p. 1; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=100984. Dopo il clamore della condanna a The Pirate Bay (19 aprile), il 19 giugno 2009, i forum di tutto il mondo si sono di nuovo riempiti di proteste per la condanna al pagamento di quasi due milioni di dollari inflitta negli Stati Uniti ad una madre single (mom Jammie), per aver scaricato dalla rete 24 brani musicali. 72 Http://ipredator.se/beta/closed/. 73 C. DOCTOROW. “Pirate Bay defendants found guilty, sentenced to jail”, Boingboing, April 17, 2009; http://www.boingboing.net/2009/04/17/pirate-bay-defendant.html. Il riferimento di Doctorow ai symbiotes - alieni che compaiono nelle serie di Spiderman - allude alla razza guerriera di parassiti che si nutre delle emozioni degli organismi che li ospitano, diventando sempre più aggressiva. 74 FreeNet è infatti tra i sistemi di anonimizzazione del traffico internet consigliati dal sito di Reporters sans Frontières; http://www.rsf.org/Choisir-sa-technique-pour,15023.html#5. 75 ENTROPY è l’acronimo di “Emerging Network To Reduce Orwellian Potency Yield," che si riferisce esplicitamente al romanzo di George Orwell, 1984. La piattaforma ha cessato la sua attività del 2004 per problemi di affidabilità di uno degli algoritmi crittografici.
5. Le reti e le architetture di condivisione
195
pacchetti, e offusca i dati degli utenti sovrapponendo il loro traffico in modo da
rendere impossibile l’identificazione delle operazioni compiute da ogni nodo.
Poiché software come I2P o JetiANts mascherano il flusso di dati fino al
raggiungimento del router, impedendo ai fornitori di connettività di distinguere il
traffico generato dai singoli utenti, il loro utilizzo costituisce attualmente una
misura sufficiente, o di media sicurezza, per sottrarsi al tipo di controllo disposto
dall’Hadopi o da provvedimenti analoghi.
A differenza di questi sistemi a traffico anonimo, che operano su internet, le
darknet tendono a separarsi dalla rete o a rendersi invisibili al suo interno grazie
a tecniche steganografiche76 con le quali creano piccole reti fiduciarie alle quali
si accede, generalmente, su invito. Le ibridazioni tra i due modelli sono
comunque frequenti, visto che molti sistemi supportano entrambe le modalità77.
WASTE, ad esempio è un software al servizio di darknet collaborative, che
assiste la comunicazione di piccoli gruppi di utenti (mesh di 10-50 nodi) in
relazione friend-to-friend, ai quali si accede con una coppia di chiavi, pubblica e
privata, generate dal sistema78. Creato nel 2003 da Justin Franklin (lo
sviluppatore di Gnutella e del player Mp3 Winamp) e distribuito sotto GPL, il
programma ha assunto il nome attribuito da Thomas Pynchon al servizio
postale segreto del racconto The Crying of Lot 49 (W.A.S.T.E), ed è stato
sviluppato per consentire a darknet composte da studenti di college o da gruppi
di colleghi, di installarsi sui server universitari o aziendali senza timore di essere
scoperti e diffidati79. Allo stato attuale, le creazione delle darknet sembra perciò
servire particolari esigenze di sicurezza, più che un bisogno generalizzato di un
tale livello di segretezza80.
76 Mentre la crittografia è usata per rendere inaccessibili i dati a chi non possiede le chiavi di decrittazione, la steganografia, è impiegata, invece, per mantenerne nascosta l'esistenza a chi non conosce la chiave atta ad estrarli. 77 Occorre tener conto costantemente che l’ibridazione di strategie e soluzioni è una delle caratteristiche più tipiche del file sharing. Basti pensare che molti client P2P sono multirete e diverse reti multiclient. Un P2P come DirectConnect, inoltre, è un sistema a cui si accede attraverso un ticket di invito, ma le sue dimensioni e il diverso livello di anonimato degli utenti non ne fanno una darknet. 78 Http://www.anonymous-p2p.org/waste.html. 79 R. CAPPS. “The invisible Inner Circle. Forget Gnutella, Frankel’s Waste is where it’s at”, Wired, April 2004; http://www.wired.com/wired/archive/12.04/start.html?pg=9. 80 M. ROGERS, S. BHATTI. “How to Disappear Completely: A Survey of Private Peer-to-Peer Networks”, University of St Andrews, 2007, p. 3; http://www.cs.ucl.ac.uk/staff/m.rogers/space-2007.pdf.
III. Il file sharing e le logiche dei network
196
55..22..55 LLoo ssttrreeaammiinngg
Oltre all’anonimità del traffico, FreeNet ha anche introdotto nel file sharing
la condivisione della banda passante a sostegno del network, un aspetto
replicato con successo dalle emergenti TVP2P per lo streaming video.
Curiosamente, il design di questa piattaforma, pensata per proteggere
l’anonimato, è poco adatto proprio allo scambio di file di grandi dimensioni,
come quelli audiovisivi. Al contrario, eDonkey supporta in modo eccellente
questo tipo di condivisione, grazie a un sistema di download che genera dai
computer in possesso del file uno sciame di frammenti (stream) che vengono in
seguito ricomposti sul disco del richiedente. Avendo sostituito i file hash ai nomi
attribuiti dagli utenti, questo P2P ha migliorato anche la ricerca per chiavi,
perché il suo programma calcola un identificatore univoco del contenuto di ogni
file condiviso (checksum), mantenendo aggiornate sui server delle liste di file
che riconoscono come identici brani nominati in modo differente (o come diversi
file nominati nello stesso modo), permettendo allo swarm di comporsi anche da
fonti eterogenee.
Un ultimo elemento di successo introdotto da edk, è stata la possibilità di
condividere frammenti di file pesanti prima ancora di averli scaricati
completamente, in modo da risparmiare banda e velocizzare la risposta alle
richieste. Attraverso questo meccanismo, il programma rende ogni utente che
sta scaricando un uploader (scambio forzato), risolvendo alla radice il problema
della generosità dei downloaders che è ora una condizione di default del
sistema. All’interno di eDonkey, e in seguito di eMule, ogni singola operazione è
perciò il frutto della cooperazione, tecnologicamente assistita, degli utenti,
mentre il download è il risultato della condivisione, oltre che dei contenuti
posseduti, anche di parte della propria connettività e memoria di massa.
Grazie alle buone performance della piattaforma, alla fine del 2004 la
popolarità di eDonkey aveva superato quella di KaZaA, divenendo il protocollo
di file sharing più utilizzato. Secondo dati Wikipedia, alcuni mesi dopo il
sorpasso di KaZaA, le reti eDonkey ospitavano infatti da due a tre milioni di
utenti che condividevano tra i 500 milioni e i due miliardi di file, assistiti da un
numero di server variabile tra 100 e 20081. Poiché i server decentralizzati
81 WIKIPEDIA, Voce “eDonkey2000”; http://it.wikipedia.org/wiki/EDonkey.
5. Le reti e le architetture di condivisione
197
costituivano una debolezza legale del sistema, nella versione successiva del
protocollo (Overnet), sviluppata poco prima della chiusura, la rete Kademlia
(Kad) è stata messa in grado di dialogare senza l’intermediazione del sistema.
Oltre alla rete Kad, eMule ha ereditato gran parte delle soluzioni di
eDonkey2000, rendendole anche più facili da usare. Molto apprezzato è
l’intuitivo sistema di coda e crediti che permette di stimare i tempi di risposta del
sistema alle richieste, gratificando gli utenti più affezionati con uno scorrimento
preferenziale82. Per questa ragione, la nuova rete – insieme ai client superstiti di
edk2 – contende a BitTorrent il primato del P2P più usato, particolarmente dagli
utenti con scarse competenze informatiche. Secondo l’indagine Ipoque, infatti,
questo sistema di condivisione è il più usato nel sud Europa, Italia inclusa,
ovvero nei paesi che soffrono di arretratezza infrastrutturale e scarsità di
connessioni veloci e dove, quindi, stenta ad affermarsi una cultura informatica
diffusa.
La sua facilità d’uso non è comunque l’unica ragione per cui molti utenti
dichiarano di preferirlo a BitTorrent. Questo sistema, che democratizza
l’accesso alla piattaforma e si autofinanzia collettivamente, detiene infatti anche
il primato della diversità culturale; per questo le sue reti sono il luogo adatto per
cercare cover, esecuzioni rare e contenuti non commerciali, oltre agli ultimi
successi83. È eMule, dunque, e non BitTorrent, a tenere in vita il jukebox
celestiale e la memoria universale della rete.
55..22..66 IIll ttrriioonnffoo tteeccnnoollooggiiccoo ddeell ppeeeerr--ttoo--ppeeeerr
Il punto di forza del P2P di Bram Cohen è invece la superiore velocità del
download. L’aneddotica della sua creazione vuole che il software sia stato
codificato durante un periodo di disoccupazione del programmatore, che era
82 Basandosi su ricerche empiriche, Fabio Dei ha sottolineato in proposito che «questo complicato sistema di crediti ha scarsa rilevanza sul piano pratico: esso può velocizzare o rallentare leggermente il download, il che è tutto sommato indifferente per la maggior parte degli utenti. Non si può dire comunque che il programma stesso “costringe” alla reciprocità, né si può considerare come puramente utilitaristica la disponibilità all’upload […] la decisione di offrire materiali algi altri non può esser spiegata con il solo desiderio di ottenere crediti». F. DEI. "Tra dono e furto : la condivisione della musica in rete", in M. SANTORO (a cura di). Nuovi media, vecchi media, Bologna: Il Mulino, 2007, p 56, n. 6. 83 Nei forum informatici, gli utenti dichiarano peraltro di trovare in eMule qualunque tipo di risorsa, anche testuale, come i manuali di manutenzione di moto e auto d’epoca. Quello della condivisione in rete è, infatti, uno dei meccanismi attraverso cui internet attiva dinamiche long tail, rendendo disponibile o economicamente sostenibile l’offerta di beni di nicchia. C. ANDERSON. “The Long Tail”, Wired, October 2004; http://www.wired.com/wired/archive/12.10/tail.html.
III. Il file sharing e le logiche dei network
198
stato licenziato in seguito al crollo delle dot com (2001), ma aveva ugualmente
deciso di distribuire gratuitamente BitTorrent. In un’intervista rilasciata a Wired
qualche anno dopo, Cohen aveva motivato questo gesto dichiarando che,
stanco di veder fallire progetti, «aveva deciso di fare cose che la gente volesse
usare effettivamente»84. L’informatico si era perciò limitato ad inserire tra le voci
del sito la pagina “donate”, nella quale si presentava come lo sviluppatore del
programma e forniva le sue coordinate paypal per eventuali contributi. Il
successo del suo software gli aveva così assicurato versamenti sufficienti per
mantenere la sua famiglia senza cercare un nuovo impiego. La pagina è stata
poi rimossa in occasione della creazione della BitTorrent Inc. (2004), la società
attraverso la quale Cohen distribuisce un client che vanta collaborazioni con 34
tra i massimi produttori di audiovisivi, tra i quali Sega, 20th Century Fox, MTV,
Paramount e Warner Bros; una sinergia inusuale che si spiega con
l’eccezionale valore innovativo di questo P2P, capace di rivoluzionare anche le
modalità della distribuzione legale dei contenuti.
BitTorrent rappresenta un ambizioso progetto di traduzione informatica
delle principali ipotesi logico-matematiche ed economiche sulle dinamiche dei
network, dalla legge di potenza della teoria dei grafi, al tit for tat della teoria dei
giochi. Il suo principio di funzionamento si basa, infatti, sullo sfruttamento
dell’attaccamento preferenziale e della generazione spontanea dei supernodi,
nonché sulla messa a profitto degli stessi fattori che spingono gli utenti ad
attivare comportamenti egoistici. Poiché molti aspetti del file sharing - dalla
lentezza del download al rischio di incriminazione - orientano i comportamenti
degli utenti verso il prelievo di risorse invece della loro cessione, Cohen aveva
osservato che ampie potenzialità di uploading delle reti restavano inutilizzate e
che le piattaforme P2P erano perciò largamente inefficienti. Se si fosse riusciti a
rendere vantaggioso l’upload e lo si fosse legato ad un meccanismo premiale
basato sulla reciprocità (tit for tat), si sarebbero invece ottenute delle reti pareto-
ottimali85 che avrebbero spontaneamente abbandonato i comportamenti
84 C. THOMPSON. “BitTorrent Effect”, Wired, January 2005; http://www.wired.com/wired/archive/13.01/bittorrent.html. 85 Come è noto, la teoria economica paretiana si fonda sul presupposto che i migliori giudici del proprio benessere siano gli individui e che il benessere sociale sia la somma delle soddisfazioni individuali dei cittadini. Per il principio di Pareto, un cambiamento è accettabile se almeno un individuo lo preferisce e gli altri sono rispetto ad esso quantomeno indifferenti. In tal caso, questo cambiamento configura un miglioramento in senso paretiano, ovvero una situazione di maggior benessere rispetto a quella di partenza. Corollario del principio è che si raggiunge una situazione
5. Le reti e le architetture di condivisione
199
disfunzionali e messo a frutto le potenzialità dei network. La coincidenza
dell’interesse individuale con la prosperità della rete fu trovata dall’ingegnere in
una particolare applicazione dello streaming unita ad algoritmi capaci di
generare le migliori condizioni collaborative tra i partecipanti alla condivisione. Il
suo programma disegna infatti un meccanismo di trasmissione radicalmente
distribuito che sfrutta le proprietà di diffusione virale delle reti.
A differenza di eMule, che utilizza lo stream per condividere globalmente
tutti i file richiesti, BitTorrent segmenta dinamicamente la rete aggregando ogni
richiesta intorno a un nodo, così che maggiore è la domanda di una specifica
risorsa, maggiore è la capacità locale della rete di condividerla velocemente.
Proprio in virtù del suo design virale, le reti BitTorrent sono meno ricche di
contenuti di nicchia, una difficoltà alla quale i suoi utenti sopperiscono
chiedendosi in chat il reinvio dei file non trovati nella rete (reseed) o rivolgendosi
direttamente a eMule o LimeWire - un client di Gnutella quasi altrettanto
popolare di eMule.
Come eDonkey, anche BitTorrent ha automatizzato l’upload dei nodi che
scaricano file – ciò che, come si è visto, risolve il problema dell’ingenerosità o
leech resistance - ma, a differenza del primo programma, ha legato a tale
meccanismo l’incremento percepibile della velocità, rendendo la disponibilità a
condividere immediatamente conveniente, così da svincolarla dagli
aggiustamenti redistributivi a posteriori. Con questo P2P innovativo, il problema
del sovraccarico si rovescia così in un principio di efficienza del sistema che
rende estremamente veloce lo scambio di file di dimensioni un tempo non
condivisibili, come discografie complete, film, serie televisive e video registrati
dalla tv ad alta definizione.
Diversamente dagli altri sistemi di file sharing, l’uso di BitTorrent prevede il
ricorso a risorse presenti su internet (siti web e forum di discussione), perché la
piattaforma non fornisce gli strumenti di ricerca dei file con estensione
.torrent. Avendo appreso la lezione di Napster (data base centrale) e di
KaZaA (indice decentralizzato nei supernodi), Cohen ha infatti (cinicamente)
esternalizzato questa componente del sistema, spostando sui motori di ricerca
dedicati la responsabilità del favoreggiamento dell’infrazione al copyright. Per
Pareto efficiente o di pareto-ottimalità se, allontanandosi da essa, non è possibile aumentare l’utilità di un soggetto senza ridurre quella di alcun altro.
III. Il file sharing e le logiche dei network
200
questa ragione, è stato The Pirate Bay, tecnicamente un tracker di file
.torrent, e non la BitTorrent Inc., ad essere condannato per la condivisione
di file protetti sulla piattaforma.
La condivisione su questo P2P è dunque più complicata di quanto non sia
nei sistemi di concezione tradizionale. Perché si possa iniziare a scaricare un
file è, infatti, necessaria la compresenza di una copia completa della risorsa
(seed), di un file di testo contenente la descrizione dei pacchetti in cui il file è
suddiviso e degli algoritmi matematici atti ad attestarne l’integrità (torrent86), e di
un programma che permette la ricerca dei torrent, ovvero di un motore di ricerca
che permette di trovare questo tipo di file (tracker). Il processo di condivisione si
attiva quando qualcuno in possesso di una copia completa del file pubblica il
torrent e il tracker su un web server, in modo che altri utenti possano trovarlo.
BitTorrent non è ancora chiamato in causa in questa fase e lo sarà soltanto nel
momento in cui un utente in possesso del programma cliccherà sul torrent del
file che vuole scaricare, il quale lo indirizzerà al tracker che, a sua volta, lo
metterà in relazione con gli altri peer per iniziare il download dello sciame di
dati.
Alla luce del suo funzionamento, è facile immaginare quali vantaggi offra
BitTorrrent ai produttori di contenuti. Impiegando il potenziale di trasmissione
degli utenti, questa tecnologia infatti economizza l’uso della banda ed abbatte
drasticamente i costi di immagazzinamento e distribuzione degli audiovisivi, così
che il risparmio dei suoi partner commerciali, in termini di banda e costi di
stoccaggio, è stimato tra il 70% e il 90%87. L’importanza di questo dato motiva il
commento di uno dei dirigenti della Motion Picture Association of America
(MPAA) che ha definito il «patto col diavolo» siglato dall’industria, un «marriage
made in heaven»88. Collaborare con significa infatti cavalcare
l’onda, non solo per non esserne travolti, ma per ricavarne energia alternativa89.
86 I client di BitTorrent, come μTorrent, Vuze e KTorrent hanno una funzione per la creazione di file con estensione .torrent. 87 M. A. EINHORN. “How advertising and peer to peer are transforming media and copyright”, cit., p. 2. 88 WARREN'S WASHINGTON INTERNET DAILY. “Confusion from 'Grokster,' Other Suits Slows Legitimate P2P Deals, Players Say”, DiaRIAA, June 23, 2006; http://diariaa.com/article-warrens-legal-confusion.htm. 89 Nel 2003, l’ancora sconosciuto BitTorrent divenne celebre per aver distribuito le copie di Matrix Reloaded pochi giorni dopo il lancio nelle sale e ancora oggi è un formidabile fornitore di Zero-Day crack (la circolazione pirata di release di software o videogiochi iniziata lo stesso giorno, o perfino in anticipo, sul loro lancio commerciale).
5. Le reti e le architetture di condivisione
201
Il côté legale di questa piattaforma consiste dunque in un servizio di
noleggio che distribuisce, a prezzi competitivi, degli audiovisivi protetti da DRM
e fruibili con Windows Media Player, che spirano 24 ore dopo l’acquisto.
Puntando su di esso, i produttori mostrano di indirizzarsi al target di un
consumatore razionale a cui propongono un servizio tanto più conveniente,
quanto più sono gravose le sanzioni contro chi si arrischia ad entrare nella
piattaforma dal lato P2P. La strategia dell’industria punta così ad utilizzare la
capacità di trasmissione delle reti digitali per abbattere i costi della distribuzione
e, contemporaneamente, a reprimere il file sharing in modo da estendere la
capacità di attrazione del modello iTunes.
Ciò su cui l’industria scommette conserva però larghi margini di incertezza.
Infatti, a quattro anni dalla sentenza Grokster, l’incremento del controllo e
l’offerta di contenuti low cost non hanno ostacolato la crescita del file sharing,
mentre il disinteresse del pubblico per il BitTorrent Entertainment Network ha
costretto la società a dimezzare i propri organici e a prepararsi alla chiusura90.
Benché potesse contare sul vantaggio competitivo dei bassi costi di banda e
stoccaggio, la società non è dunque riuscita a replicare l’esperienza di iTunes,
evidenziando così che il fattore di successo di un distributore di audiovisivi
online è la sinergia con le reti di condivisione, piuttosto che l’alternativa legale
alle medesime. La piattaforma Apple, che i commentatori oppongono
intuitivamente alla pirateria, prospera infatti proprio in quanto complementare al
file sharing, non solo perché l’iPod è l’oggetto che ha reso portatile uno dei
principali formati tecnologici del peer-to-peer (l’Mp3), ma anche perché il
software iTunes è usato dai consumatori per integrare ed aggiornare sul lettore
portatile le liste di file scaricati sulle piattaforme pirata. Ciò significa che la
tecnologia chiusa iPod-iTunes permette alla casa produttrice di sfruttare le
esternalità positive del peer-to-peer grazie alle utilità del programma per la
manipolazione degli Mp3 e al transito obbligato dei possessori dell’iPod su
iTunes. Ciò che sta portando alla chiusura il BitTorrent Entertainment Network è
perciò proprio la paradossale distanza della piattaforma dal suo lato oscuro, che
la casa di Jobbs invece, ha consapevolmente ridotto.
Tale fallimento evidenzia quanto sia rischiosa la sottovalutazione
90 B. STONE. “BitTorrent Sacks Half Its Staff”, NewYorkTimes.com, November 7, 2008; http://bits.blogs.nytimes.com/2008/11/07/bittorrent-sacks-half-its-staff.
III. Il file sharing e le logiche dei network
202
dell’adesione degli utenti a iniziative di questo genere e quanto facilmente si
rivelino erronee le previsioni di successo di progetti online indirizzati a
consumatori attenti al calcolo costi-benefici. La convenienza dei contenuti e
perfino la loro gratuità, se intesa come limite estremo della proposta
commerciale91, non sembrano infatti garantire il favore del pubblico in un
ambiente in cui la logica d’azione dell’homo œconomicus non coincide con la
razionalità dominante. Lo scacco del BitTorrent Entertainment Network mostra
così quanto la visione strumentale delle tecnologie digitali si frapponga ancora
alla comprensione del loro funzionamento, inducendo i manager a scommettere
che gli utenti di una piattaforma commerciale avrebbero confermato la stessa
propensione a condividere banda, vale a dire a sostenersi l’un l’altro e a
collaborare con il network, degli utenti di una rete peer-to-peer. Contrariamente
alle attese, invece, anche dove la cooperazione è un effetto del software, i bassi
costi delle merci non sono ritenuti adeguati a compensare l’apporto individuale,
perché ciò che si fa altrove senza contropartita è sempre sottovalutato
dall’apposizione del prezzo92. L’«esperienza» del peer-to-peer, per esprimersi in
termini di marketing, non è riproducibile su un sito commerciale.
In conclusione, la storia del file sharing mostra che le reti di condivisione si
sono sottratte costantemente ai determinismi della deterrenza penale e
continuano a smentire anche le prognosi di riassorbimento nei modelli della
distribuzione commerciale, rendendo davvero incerti gli esiti delle politiche di
normalizzazione93. Si è infatti osservato come i tentativi di dissuasione penale e
di riconversione commerciale delle pratiche di condivisione spingano i network a
riorganizzarsi in sostituzione dei servizi chiusi dalle autorità o inservibili per il
libero scambio. L’esempio della galassia BitTorrent sembra emblematico, in
91 Che i modelli di business basati sulla gratuità rappresentino la futura strategia dominante dell’economia informazionale è sostenuto da C. ANDERSON. “Free! Why $0.00 Is the Future of Business”, Wired, February 25, 2008; http://www.wired.com/techbiz/it/magazine/16-03/ff_free; e Free: The Future of a Radical Price, New York: Hyperion Books, 2009. 92 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., pp. 94: «Across many different settings, researchers have found substantial evidence that, under some circumstances, adding money for an activity previously undertaken without price compensation reduces, rather than increases, the level of activity». 93 C. SHIRKY. “File Sharing Goes Social”, Network Economics and Culture (mailing list), October 12, 2003; http://www.shirky.com/writings/file-sharing_social.html: «The RIAA has taken us on a tour of networking strategies in the last few years, by constantly changing the environment file-sharing systems operate in. In hostile environments, organisms often adapt to become less energetic but harder to kill, and so it is now. With the RIAA's waves of legal attacks driving experimentation with decentralized file-sharing tools, file-sharing networks have progressively traded efficiency for resistance to legal attack».
5. Le reti e le architetture di condivisione
203
proposito: nel 2005, alla chiusura di SuprNova, il tracker sloveno di file
.torrent che vantava il maggior numero di utenti, la rete è stata infatti
sostenuta dalla piattaforma free isoHunt senza effetti negativi sulla disponibilità
di file e sul traffico complessivo del network, e tutto lascia credere che la
recente vendita di The Pirate Bay alla Global Gaming Factory, che intende farne
un sito legale, non avrà conseguenze di rilievo sull’attività della rete BitTorrent.
Le conoscenze tecnologiche necessarie alla realizzazione degli strumenti di
condivisione sono infatti largamente diffuse mentre, allo stesso tempo, la
creazione di nuove piattaforme si è decentralizzata al di fuori dei distretti
tecnologici, così che i nuovi siti sorgono ovunque e possono ipotizzare attività di
breve periodo, avvicendandosi tra loro con estrema rapidità94. Gli strumenti della
legge sono dunque chiaramente inadeguati a combattere questo genere di
proliferazione.
Eppure, una descrizione puramente tecnologica della robustezza delle
tecnologie peer-to-peer si priverebbe della possibilità di comprenderle al di là
degli effetti di superficie, come hanno osservato Biddle e i suoi colleghi del
gruppo di ricerca Microsoft. Due diversi filoni del dibattito sul file sharing
cercano perciò altrove le ragioni di questa capacità di resistenza. Una prima
interpretazione, di tipo economico, riconosce nella condivisione elettronica i
tratti di una disruptive technology capace di rivoluzionare i modelli d’affari delle
imprese e di imporsi in futuro come uno standard dell’economia digitale. Un
secondo approccio, di tipo antropologico, vede invece nel file sharing
un’economia informale del dono digitale, le cui pratiche generative e
collaborative si rivelano più efficienti del mercato ed alternative ad esso. Alla
visione schumpeteriana che assimila il peer-to-peer alla distruzione creatrice del
capitalismo di mercato, si oppone perciò un’interpretazione che tende a portare
in evidenza le caratteristiche della condivisione, le sue dinamiche di intelligenza
collettiva e il loro ruolo nella formazione del legame sociale, negando che il
piano economico possa costituire il quadro d’analisi di fenomeni che sfuggono
alla sua razionalità.
94 Ad esempio, il server P2P Dubbed Earthstation 5 opera dal campo profughi di Jenin. J. BORLAND. “In refugee camp, a P2P outpost”, cnet news, August 14, 2003; http://news.cnet.com/2100-1027_3-5063402.html.
III. Il file sharing e le logiche dei network
204
55..33 FFiillee sshhaarriinngg ee rriinnnnoovvaammeennttoo ddeell mmeerrccaattoo:: llaa ddiissttrruuzziioonnee ccrreeaattrriiccee ee ll’’eeccoonnoommiiaa ddeellll’’iinnffoorrmmaazziioonnee
Prima di occuparci dell’interpretazione del file sharing come espressione
delle forze del mercato, occorre osservare che la visione schumpeteriana della
«distruzione creatrice» è stata a lungo il riferimento delle politiche tecnologiche
degli Stati Uniti. Fino alla rivoluzione digitale, la governance americana
dell’innovazione si era infatti distinta per un giudizio estremamente prudente
sugli usi illeciti delle nuove tecnologie, nella convinzione che i loro effetti
destabilizzanti sarebbero stati rapidamente riassorbiti nei nuovi cicli di sviluppo
economico e dovessero essere considerati un aspetto fisiologico della
concorrenza.
Con l’avvento di internet, questo orientamento, codificato nella sentenza
Sony Betamax, è però entrato in crisi, a vantaggio di politiche tese a proteggere
i settori industriali più destabilizzati. Le incertezze decisionali del «caso
Grokster» evidenziano infatti come, di fronte all’urgenza di governare i nuovi
comportamenti in rete, gli standard giuridici preesistenti si siano indeboliti,
insieme al principio cardine della razionalità liberale che «si governa sempre
troppo, o almeno occorre sempre sospettarlo»95. Nel quadro di questa
inversione di tendenza nella quale il mercato torna a chiedere l’intervento dello
stato, le politiche del file sharing esprimono quindi un governo della tecnologia
non più disposto ad affidare alla mano invisibile la scelta del miglior equilibrio
concorrenziale, ma deciso a salvaguardare posizioni di vantaggio attraverso la
stretta regolazione delle disruptive technologies e l’affievolimento delle garanzie
antitrust. Come ha evidenziato Zittrain, il terreno su cui si compie questo
passaggio è appunto la lotta ai peer-to-peer network, nel cui contesto si
disperde l’esperienza del vecchio governo dell’innovazione96 e la crisi
dell’autoregolazione apre la strada a tentazioni autoritarie.
Il ripensamento del paradigma schumpeteriano è dunque sullo sfondo del
dibattito americano sul file sharing, impegnato a stabilire se il portato distruttivo
delle tecnologie digitali sia il correlato della loro capacità innovativa, e vada
perciò considerato senza eccessiva ansietà, o non si debba invece accettare il
giudizio di insostenibilità dei costi di transizione al nuovo assetto, aggravato
95 M. FOUCAULT. Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France 1978-1979, Paris : Seuil/Gallimard, 2004, p. 324. 96 J. ZITTRAIN. “A History of online Gatekeeping”, cit., p. 254.
5. Le reti e le architetture di condivisione
205
dall’incertezza sui soggetti che ne usciranno vincitori, sia in termini di
competizione internazionale che di vocazione produttiva. Il confronto tra queste
visioni dispiega così una fenomenologia di conflitto simile a quella tra laters e
newcomers97, nel cui contesto il timore che l’industria basata sullo sfruttamento
dei diritti non sia in grado di riconvertirsi alle nuove regole dell’economia
informazionale, cozza con le esigenze delle economie collaborative e non
proprietarie proliferate dentro l’economia di mercato.
In questo contesto, mentre gli studiosi che danno valore prioritario ai
principi di concorrenza e innovazione tendono a vedere il peer-to-peer come
espressione del nuovo paradigma informazionale, in relazione complessa con le
dinamiche di valorizzazione delle reti, i teorici convinti della necessità di
governare le spinte distruttive delle tecnologie digitali si concentrano sui loro
effetti di breve periodo, pensando la condivisione elettronica in termini di
illegalità e di impatto sulle vendite. In questo scontro tra i paladini della vecchia
e della nuova governance dell’innovazione, l’inclusione del peer-to-peer nella
grammatica della nuova economia, si oppone perciò a una visione della
pirateria come mera distruzione di valore e sovversione dei principi di base delle
transazioni di mercato.
Le due visioni sono ben rappresentate in uno degli scambi polemici più noti
all’interno degli studi econometrici sul file sharing, contenuto in una serie di
articoli pubblicati dal 2004 ad oggi dagli studiosi dell’Harvard Business School,
Felix Oberholzer-Gee e Koleman Strumpf, e dal professore della School of
Management dell’Università del Texas, Stan Liebowitz98. Il dibattito si è aperto
97 H. GANS. Makins sense of America, Lanham (MD): Rowman & Littlefield Publisher, 1999. Questa opposizione è formulata da Gans in riferimento ai conflitti etnico-culturali degli Stati Uniti e alle lotte di predominio tra residenti e nuovi arrivati. 98 F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “The Effect of File Sharing on Record Sales. An Empirical Analysis”, University of Carolina, march 2004. Disponible sur : http://www.unc.edu/cigar; cit., “File-Sharing and Copyright”, Harvard Business School, Working paper n. 132, May 15, 2009; http://www.hbs.edu/research/pdf/09-132.pdf, e S. J. LIEBOWITZ. “Pitfalls in Measuring the Impact of File-Sharing”, School of Management, University of Texas, July 2004, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=583484, “Testing File-Sharing's Impact by Examining Record Sales in Cities”, April 2006, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=829245; "File-Sharing: Creative Destruction or just Plain Destruction?", “File Sharing: Creative Destruction or Just Plain Destruction”, Journal of Law and Economics, XLIX, April 2006, p. 24; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=646943; “How Reliable is the Oberholzer-Gee and Strumpf paper on File-Sharing?”, September, 23, 2007; http://ssrn.com/abstract=1014399. Una buona ricognizione del dibattito si trova in Eric J. BOORSTIN, Music Sales in the Age of File Sharing, Princeton University, April 7, 2004, http://www.google.it/search?q=boorstin+musica+sales&sourceid=navclient-ff&ie=UTF-8&rlz=1B2GGGL_itIT206IT206, nella quale l’autore sintetizza i temi del confronto, concludendo
III. Il file sharing e le logiche dei network
206
con la pubblicazione di un’analisi empirica curata da Oberholzer-Gee e Strumpf,
con la quale gli studiosi hanno negato la correlazione tra le pratiche di
condivisione e il crollo delle vendite di CD, accettata fino ad allora come una
palmare evidenza. I ricercatori hanno infatti sottolineato che «while this question
is receiving considerable attention in academia, industry and in Congress, we
are the first to study the phenomenon employing data on actual downloads of
music files», attaccando così il presupposto interpretativo che legava la crisi del
mercato discografico al file sharing sulla sola base delle evidenze industriali99.
Oltre a sostenere la necessità di studi comparati sull’evoluzione delle
vendite e sui dati del peer-to-peer, gli autori hanno posto l’accento sull’impropria
identificazione tra download e mancata vendita, osservando che i file scaricati
dalle reti non possono essere considerati automaticamente un danno
economico, visto che il file sharing estende la base di utenti interessati alla
musica, includendo individui che al di fuori delle piattaforme di condivisione non
avrebbero accesso alle proposte commerciali; la domanda di musica non è
infatti inelastica rispetto al prezzo. In base a questo argomento, Oberholzer-Gee
e Strumpf hanno quindi cercato conferme empiriche alla tesi del drop out, con la
quale si sono chiesti se gli acquirenti di musica e i downloaders costituissero, o
meno, gruppi distinti dalle dinamiche reciprocamente indipendenti100.
Tra gli aspetti importanti di questa indagine c’è il riconoscimento della
natura globale del file sharing, che ha portato i ricercatori a studiare le relazione
tra l’accesso alle connessioni veloci degli studenti tedeschi e americani al
rientro nei campus dopo le vacanze estive e gli effetti stagionali sulle vendite
degli album musicali101. Dopo aver constatato l’indipendenza dei due fenomeni
che gli effetti positivi di “internet” sulla propensione ad acquistare musica nella fascia d’età +25, compensano gli effetti negativi sulle fasce d’età -25. 99 F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “The Effect of File Sharing on Record Sales. An Empirical Analysis”, cit., pp. 2, 5. 100 Ivi, p. 28. L’ipotesi è realistica, soprattutto in relazione agli utenti dei paesi poveri, per i quali file sharing e mercato dei fakes rappresentano l’unica possibilità di accesso a software, videogiochi e audiovisivi. P. FRANCO. “A Nation of Pirates”, The Escapist, May 12, 2009; http://www.escapistmagazine.com/articles/view/issues/issue_201/6059-A-Nation-of-Pirates; R. SUMO. “Piracy and the Underground Economy”, The Escapist, June 15, 2008; http://www.escapistmagazine.com/articles/view/issues/issue_158/5045-Piracy-and-the-Underground-Economy. 101 «Interactions among file sharers transcend geography and language. U.S. users download only 45.1% of their files from other U.S. users, with the remainder coming from a diverse range of countries including Germany (16.5%), Canada (6.9%) and Italy (6.1%)». F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “File-Sharing and Copyright”, cit., p. 14.
5. Le reti e le architetture di condivisione
207
e aver sottoposto a test altri aspetti legati al consumo di musica102, gli autori
hanno concluso che l’effetto di sostituzione (1 download = 1 mancata vendita) e
l’attribuzione del declino delle vendite di CD al file sharing non sono dimostrabili,
suggerendo che la crisi dell’industria musicale deve essere attribuita a cause
diverse, quali la riduzione della capacità di spesa dei consumatori nel periodo
osservato, i concomitanti problemi di fusione aziendale tra due importanti
etichette, e la raggiunta maturità del mercato del CD, coincidente con il
cambiamento delle abitudini di consumo degli appassionati di musica e con la
flessione dell’interesse per questo supporto digitale103:
Downloads have an effect on sales which is statistically indistinguishable from zero. Our estimates are inconsistent with claims that file sharing is the primary reason for the decline in music sales during our study period104.
In questo saggio, Oberholzer-Gee e Strumpf hanno dedicato solo un breve
cenno al ruolo della loro analisi nel quadro della letteratura antimonopolistica105,
riferendosi in nota al tradizionale argomento antiprotezionista con il quale i critici
del copyright evidenziano l’evoluzione benefica delle tecnologie distruttive:
The industry has often blocked new technologies which later become sources of profit. For example, Motion Picture Association of America President Jack Valenti argued that “the VCR is to the American film producer as the Boston strangler is to the woman home alone” (Congressional Hearings on Home Recording, 12 April 1982). By 2004, 72% of domestic industry revenues came from VHS and DVD rentals or sales (DEG 2005; MPAA 2005). Other examples include the record industry’s initial opposition to radio in the 1920s and 1930s and to home taping in the 1980s106.
Secondo i ricercatori, poiché i precedenti storici dimostrano la scarsa
lungimiranza delle previsioni industriali a proposito delle tecnologie che
favoriscono la circolazione dei contenuti protetti, «the entertainment industry’s
opposition to file sharing is not a priori evidence that file sharing imposes
economic damages»107. La tesi degli autori è perciò non solo che le reti peer-to-
102 Oberholzer-Gee e Strumpf hanno incluso tra le molte osservazioni incrociate su file sharing e consumo di musica, quattro “quasi-esperimenti”, il primo dei quali si riferisce appunto all’ipotesi della stagionalità legata ai college, e gli altri tre alla comparazione delle abitudini di condivisione tra pubblico europeo e americano, alla comparazione tra i dati relativi ai download e quelli delle vendite e alla comparazione di download e vendite in rapporto ai generi musicali. 103 Ivi, pp. 3-4. 104 Ivi, pp. 2, 25. 105 Ivi, p. 6. 106 Ivi, nota 1, p. 4. 107 Ibidem.
III. Il file sharing e le logiche dei network
208
peer hanno blandi effetti distruttivi sui tradizionali modelli di business, ma che
sono capaci di aprire nuovi mercati, com’è avvenuto nel caso del video
registratore e della creazione dell’home video.
In Pitfalls in Measuring the Impact of File-Sharing, Liebowitz ha attaccato
frontalmente questo approccio, sostenendo l’indimostrabilità dell’ipotesi che la
diffusione informale delle copie si traduca in un effetto espansivo del mercato.
Nell’articolo, il professore texano ha infatti richiamato la teoria economica della
copia (economics of copying) per sottolineare come sia il modello teorico che i
rilievi empirici neghino che l’effetto di esposizione (exposure o sampling
effect)108 e l’effetto di rete (networking effect) estendano i business commerciali
e aumentino il valore delle copie vendute109. Al contrario, secondo Liebowitz, la
distribuzione illegale dei contenuti tende ad abbassare i prezzi di vendita e a
ridurre conseguentemente i profitti di impresa, mentre le evidenze empiriche
smentiscono che la diffusione extramercato aumenti il consumo legale di
musica e imponga degli standard commerciali con effetti compensativi sulle
vendite.
Nell’ottica di Liebowitz, la fiducia riposta dai teorici antimonopolisti nel
networking effect rappresenta poco più di un riferimento totemico ai presunti
effetti virtuosi di fenomeni immediatamente dannosi. L’ipotesi di questi studiosi è
infatti in contraddizione con la crisi dell’industria discografica, che il loro modello
interpretativo è perciò costretto a spiegare con cause multiple. Proprio il bisogno
di moltiplicare gli enti e di evocare la tempesta perfetta in alternativa al dato di
senso comune, mostra così l’artificiosità della loro tesi:
It would take a remarkable confluence of events, a perfect storm if you will, to explain the large drop that has occurred in the sound recording market. That doesn’t mean that it could not have happened. But in a choice between file-sharing as an explanation and the confluence of various disparate factors all perfectly aligned to harm the sound recording industry, Occam’s razor requires that we accept the file-sharing hypothesis110.
Come nell’articolo dei ricercatori dell’Harvard School of Business, anche
Liebowitz preferisce far parlare i dati empirici e confinare in una nota a margine i
suoi riferimenti polemici:
108 Con il termine sampling si indica la ricerca di un bene che soddisfi i propri gusti prima dell’acquisto. Nel contesto del file sharing, il downolad costituirebbe così una sorta di test di gradimento precedente all’acquisto. 109 S. J. LIEBOWITZ. “Pitfalls in Measuring the Impact of File-Sharing”, cit., pp. 4-5, 11-13. 110 Ivi, p. 27.
5. Le reti e le architetture di condivisione
209
These copyright critics, who are sometimes associated with the concept of the ‘creative commons,’ argue that copyright laws are being used by the sound recording, movie, and software industries so as to thwart competitive forces that would open up the market to new competition. This is the thesis of Lawrence Lessig’s recent book Free Culture which views the current controversies as extensions of long-running debates regarding the power of cartels to monopolize access to creative works. In this view of the world, file -sharing is a wealth enhancing innovation, likely to democratize the entertainment industry by allowing artists to broadcast and distribute their works without intermediaries such as record companies. In this view, file-sharing systems should be promoted and if necessary, copyright law should be altered to allow file-sharing to proceed apace111.
Nel successivo Testing File-Sharing’s Impact by Examining Record Sales in
Cities, Liebowitz ha esposto i risultati di una ricerca econometrica comparata sui
dati del download e delle vendite dal 1999 al 2003, ribadendo la sua
convinzione che il declino del mercato musicale vada ricondotto alla
condivisione online. In questo articolo, l’economista ha precisato di non basare
affatto il suo giudizio sull’allarme dei produttori e di avere ben presenti le
smentite storiche delle previsioni più funeste, ma di aver verificato in modo
persuasivo la profonda diversità del file sharing rispetto alle tecnologie
distruttive del passato. A differenza del videoregistratore e della fotocopiatrice,
infatti, il peer-to-peer ha già sufficientemente dimostrato di avere effetti
devastanti sulle vendite112.
È con gli articoli più recenti, tuttavia, che la polemica tra Liebowitz e i
ricercatori dell’Harvard Business School si è fatta più aspra e diretta. Nel saggio
del 2007, How Reliable is the Oberholzer-Gee and Strumpf paper on File-
Sharing?, Liebowitz ha esaminato ad uno ad uno i test effettuati dai due
studiosi, evidenziando numerose criticità nella costruzione dei dati e altrettante
incongruenze nelle conclusioni. L’economista ha ironizzato sul tentativo dei
colleghi di minimizzare, contro ogni evidenza e buon senso, la flessione delle
vendite di CD – che stima, in media, del 37% nei sei anni considerati -113, e di
111 Ivi, nota 1, p. 1. 112 S. J. LIEBOWITZ. “Testing File-Sharing's Impact by Examining Record Sales in Cities”, cit., pp. 2, 29. Sulla stessa linea interpretative è anche A. ZENTNER. “Measuring the Effects of Music Downloads on Music Purchases”, March 2005; http://som.utdallas.edu/centers/capri/documents/effect_music_download.pdf. 113 S. J. LIEBOWITZ. “How Reliable is the Oberholzer-Gee and Strumpf paper on File-Sharing?”, cit., pp. 3-4. I dati relativi alle vendite di album dal 1999 al 2005, evidenziano infatti una caduta verticale, particolarmente nei mercati spagnolo e tedesco:
III. Il file sharing e le logiche dei network
210
attribuirne le cause a fattori diversi dal file sharing, costruendo un’ipotesi
inconsistente e controintuitiva114:
I have endeavored in this report to closely re-examine the portion of empirical evidence put forward by O/S that was amenable to such re-examination. It is probably something of an understatement to say that the O/S results did not hold up well under this reexamination. O/S performed four quasi experiments. They claimed that each experiment supports their overall conclusion that file-sharing is not harmful to record sales. Upon closer examination and replicating the tests where possible, I find that three of the experiments support the opposite conclusion—that file sharing harms sales—and that the fourth was based on a false premise and is thus not informative. O/S also report numerous statistics purporting to explain either why the sound recording sales decline is not unusual, not large, not universal or can be explained by some other factors. These factual claims, made with no citations or references, were either false, misleading, or incomplete115.
Oberholzer-Gee e Strumpf hanno risposto recentemente con un discussion
paper, in cui hanno mostrato di voler uscire dal terreno di guerra dell’avversario
e di voler portare il dibattito sull’impatto economico del file sharing su un piano
d’analisi più favorevole alle loro tesi. Dopo aver ammesso che gli studi
econometrici non hanno raggiunto risultati unanimi116, i due ricercatori si sono
infatti chiesti se la comparsa delle reti di condivisione abbia ridotto o meno
l’incentivo alla creazione di opere d’ingegno:
While the empirical evidence of the effect of file sharing on sales is mixed, many studies conclude that music piracy can perhaps explain as much as one fifth of the recent decline in industry sales. A displacement of sales
Market Changes – 1999- 2005 Album units change Real retail revenue change
USA - 29,81% - 33,81% Japan - 15,80% - 14,94%
UK - 7,89% - 12,38% Germany - 42,54% - 44,45% France - 8,78% - 26,67% Canada - 28,10% - 49,73%
Australia - 17,52% - 36,31% Italy - 37,64% - 46,07%
Spain - 50,24% - 57,83% Netherlands - 25,88% - 48,08%
114 Ivi, p. 21. 115 Ivi, p. 22. 116 Lo stesso riconoscimento dell’ambiguità degli effetti del file sharing sulle vendite viene dalle economiste canadesi Birgitte Andersen e Marion Frenz: “The Impact of Music Downloads and P2P File-Sharing on the Purchase of Music: A Study for Industry Canada”, November 16, 2007; http://www.dime-eu.org/node/477.
5. Le reti e le architetture di condivisione
211
alone, however, is not sufficient to conclude that authors have weaker incentives to create new works. File sharing also influences the markets for concerts, electronics and communications infrastructure. For example, the technology increased concert prices, enticing artists to tour more often and, ultimately, raising their overall income. Data on the supply of new works are consistent with our argument that file sharing did not discourage authors and publishers117.
Il quesito, apparentemente innocente, si innesta su una polemica non meno
rovente nella quale gli economisti portano sul piano empirico la battaglia giocata
da Lessig su quello della pura teoria118, trovandosi a dimostrare, dati
econometrici alla mano che, stante l’aumento del reddito degli artisti e
l’incentivazione di forme accessorie di retribuzione delle attività creative, legalità
e legittimità sono in contraddizione e che gli obiettivi della carta costituzionale
sono raggiunti dalla pirateria assai meglio che dall’industria musicale.
Negli ultimi 200 anni, osservano infatti, gli studiosi, il regime della proprietà
intellettuale si è evoluto in una sola direzione, rafforzando le tutele legali,
alzando i prezzi e scoraggiando i consumi. In questo contesto, il file sharing è
stato l’unico esperimento ad invertire la tendenza, disgregando i tradizionali
modelli di business senza disincentivare la produzione artistica - «Weaker
copyright protection, it seems, has benefited society»119. Sfortunatamente,
proseguono i ricercatori, le analisi empiriche che hanno esaminato la relazione
tra file sharing e industria, si sono concentrate sul solo declino delle vendite di
audiovisivi, trascurando la crescita degli altri business commerciali che tutte le
rilevazioni mostrano in aumento120. Ciò mostra, a loro avviso, quanto l’insistenza
delle tesi dominanti sul tema della legalità e della flessione delle vendite di CD
sia parziale e non riesca ad inquadrare l’intero spettro di cambiamenti indotti da
questa tecnologia rivoluzionaria:
As this essay has made clear, we do not yet have a full understanding of the mechanisms by which file sharing may have altered the incentives to produce entertainment. However, in the industry with the largest purported impact – music – consumer access to recordings has vastly improved since the advent of file haring. Since 2000, the number of recordings produced has more than doubled. In our view, this makes it difficult to argue that weaker copyright protection has had a negative impact on artists’ incentives to be
117 F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “File-Sharing and Copyright”, cit., p. 1. 118 Condotta soprattutto nei già citati Free Culture e Remix. 119 F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “File-Sharing and Copyright”, cit., p. 3. 120 Ivi, p. 22.
III. Il file sharing e le logiche dei network
212
creative121.
Oberholzer-Gee e Strumpf difendono quindi la tesi lessighiana che i
monopoli dell’industria culturale non danneggiano solo l’accessibilità
dell’informazione e la democrazia, ma lo stesso mercato, il quale rischia di
mancare le opportunità aperte dal nuovo paradigma economico al solo scopo di
difendere i cartelli commerciali e un modello di business obsoleto. Gli autori
insistono sul fatto che la comparsa delle reti di condivisione ha migliorato non
soltanto il benessere generale e la condizione economica degli artisti, ma anche
le prospettive d’affari di un vasto circuito commerciale rappresentato dagli
investimenti nelle infrastrutture dello spettacolo e nei tour degli artisti, nonché
dal merchandise legato allo star system122.
Secondo questa lettura, se è vero che gli stili di consumo digitali
presentano aspetti difficili da interpretare con le categorie analitiche
convenzionali, è erroneo concludere che siano in contraddizione con nuove
possibilità di sviluppo dell’economia di mercato. Contro la visione degli
economisti ortodossi, i teorici antimonopolisti mostrano che l’economia
dell’informazione offre molteplici alternative al modello dell’«esclusione basata
sui diritti», rendendo possibili nuove strategie di profitto che eliminano le
inefficienze distributive e democratizzano le possibilità di accesso alla ricchezza
prodotta dalle reti. La nuova distruzione creatrice, di cui il file sharing
rappresenta il fenomeno più controverso, non abbatterà perciò il mercato, ma lo
renderà più efficiente e più giusto, attenuando gli squilibri dell’età industriale e
garantendo un benessere più equamente distribuito123. La questione centrale
posta dalla letteratura econometrica sul file sharing è, dunque, se gli stili di
consumo emergenti debbano essere considerati, per usare i termini di
Liebowitz, «creative destruction or just plain destruction», un interrogativo che
ritorna, con intenzioni analitiche speculari, nel dibattito sulla hi-tech gift
economy.
121 Ivi, p. 25. 122 Ivi, p. 20. 123 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., pp. 13-18; 302.
5. Le reti e le architetture di condivisione
213
55..44 FFiillee sshhaarriinngg vvss mmeerrccaattoo:: ll’’eeccoonnoommiiaa ddiiggiittaallee ddeell ddoonnoo This political countermovement is tied to quite basic characteristics of the technology of
computer communications, and to the persistent and growing social practices of sharing -some, like p2p (peer-to-peer) file sharing - in direct opposition to proprietary claims; others,
increasingly, are instances of the emerging practices of making information on nonproprietary models and of individuals sharing what they themselves made in social,
rather than market patterns.
Y. Benkler124.
Il problema posto dagli economisti consiste quindi nell’interrogativo circa la
capacità del mercato di contenere la distruzione di valore provocata dalle
pratiche peer-to-peer e di unificare sotto il paradigma economico questo tipo di
relazioni. Esigenze sostanzialmente antitetiche caratterizzano invece quegli
studi sul file sharing che non si chiedono quanto le pratiche di condivisione
siano compatibili con le esigenze di sviluppo economico e possano essere
messe a produzione, ma entro quali limiti possano essere pensate come
un’uscita radicale dai comportamenti di mercato. Esaminiamo quindi anche
questo versante del dibattito.
55..44..11 HHii--TTeecchh GGiifftt EEccoonnoommyy:: llaa ssuuppeerriioorriittàà ddeellllee pprraattiicchhee ccoollllaabboorraattiivvee Most Internet users collaborate with each other without the direct
mediation of money or politics. Unconcerned about copyright, they give and receive information without thought of payment.
R. Barbrook125
L’interpretazione del file sharing come economia del dono compare negli
studi di Richard Barbrook e di Kylie J. Veale sulla cultura di internet e sulle
pratiche di autofinanziamento dei servizi di rete126, e nelle ricerche condotte da
Markus Giesler e Mali Pohlmann nel quadro della letteratura sugli stili di
consumo.
Tra questi autori, il professor Barbrook dell’Hypermedia Research Centre
dell’Università di Westminster è tra i teorici che hanno maggiormente insistito
sul rapporto delle pratiche di condivisione con le finalità originarie di internet e
con la loro natura strettamente non commerciale. Nella sua concezione, gli
standard di internet incorporano infatti le convenzioni sociali e il rapporto con
l’autorità trasmessi alla rete dalle sue origini universitarie, nel cui contesto «the
124 Ivi, p. 26. 125 R. BARBROOK. “Giving is receiving”, Nettime, October 7, 2002. 126 K. J. VEALE. “Internet gift economies: Voluntary payment schemes as tangible reciprocity”, cit.. L’argomentazione di Veale è stata illustrata sinteticamente nel primo paragrafo di questo capitolo.
III. Il file sharing e le logiche dei network
214
giving and receiving of information without payment is almost never
questioned»127. In questo ambiente plasmato dalle specifiche modalità di
costruzione del sapere, l’informazione è perciò materia di condivisione, non di
vendita, la conoscenza un dono, non una merce:
Because of these pioneers, the gift economy became firmly embedded within the social mores of the Net. Over time, the charmed circle of its users has slowly grown from scientists through hobbyists to the general public. Each new member doesn't just have to observe the technical rules of the system, but also adheres to certain social conventions. Without even thinking about it, people continually circulate information between each other for free. Although the Net has expanded far beyond the university, its users still prefer to co-operate together without the direct mediation of money128.
La natura inerentemente politica delle tecnologie digitali ha così riprodotto,
spesso senza adesione consapevole da parte degli utenti, un insieme coerente
di relazioni sociali e materiali che si esprime nelle pratiche di una hi-tech gift
economy più che mai vitale, nonostante la commercializzazione del Net129. Per
Barbrook, ciò che caratterizza l’ambiente digitale è infatti l’emergenza di
un’economia del dono indipendente dalla produzione mercantile e capace di
creare non soltanto un circuito informale di merci sottratte alla distribuzione
commerciale, ma reti di produzione cooperativa nelle quali gli individui
collaborano senza la mediazione del mercato e delle burocrazie. Svincolati
dalle costrizioni del lavoro alienato, gli utenti di internet hanno quindi dato vita a
un sistema di scambi che trae tutte le conseguenze, politiche ed economiche,
della constatazione che «l’informazione vuole essere libera», risolvendo nel
senso della gratuità e della libera circolazione l’ambivalenza registrata da
Brand130.
Del tutto refrattario a rappresentazioni romantiche delle pratiche digitali,
Barbrook sottolinea come non sia necessario ipotizzare uno spirito altruistico in
chi partecipa all’arricchimento di beni comuni, poiché «everyone takes far more
127 R. BARBROOK. “The Hi-Tech Gift Economy”, cit., p. 4. È chiaro il riferimento di Barbrook alle tesi di Robert Merton (The Sociology of Science, Chicago: 1973) , secondo cui il risultato della scienza è il prodotto della collaborazione sociale e del suo trasferimento alla società. 128 R. BARBROOK. “Cyber-Communism: how the Americans are superseding capitalism in cyberspace”, 1999; http://www.hrc.wmin.ac.uk/theory-cybercommunism.html 129 Questa tesi è debitrice della sociologia costruttivista della tecnica, in particolare del lavoro di Landon Winner. L. WINNER. The Whale and the Reactor: A Search for Limits in the Age of High Technology. Chicago, IL: University of Chicago Press, 1986, pp. 19-22. 130 R. BARBROOK. “Cyber-Communism: how the Americans are superseding capitalism in cyberspace”, cit..
5. Le reti e le architetture di condivisione
215
out of the Net than they can ever give away as an individual»131. Donare il
proprio lavoro è infatti più vantaggioso che pretenderne la remunerazione,
perché il sistema di dono ditale offre ad ogni utente maggiori utilità di quante
potrebbe ottenerne in un circuito di scambio mercantile. Un aspetto qualificante
dell’analisi di Barbrook è perciò la sua riluttanza a legare delle interpretazioni
psicologiche al comportamento cooperativo degli individui, o ad accentuare gli
aspetti di volontarietà e consapevolezza nell’adesione degli utenti a una
circolazione informale dei beni in alternativa al sistema basato sulla ricompensa
individuale e sul prezzo delle merci. Citando Rheingold, il ricercatore infatti
evidenzia che
[…] informal, unwritten social contract is supported by a blend of strong-tie and weak-tie relationships among people who have a mixture of motives and ephemeral affiliations. It requires one to give something, and enables one to receive something […]. I find that the help I receive far outweighs the energy I expend helping others; a marriage of altruism and self-interest132.
Nella visione dello studioso, sono la cultura tecnologica e le norme sociali
incorporate negli artefatti digitali a costruire un ambiente capace di valorizzare
dei comportamenti performativamente superiori che vengono adottati dagli
utenti soprattutto in quanto utili. In internet, l’esecuzione del copyright
rappresenta, infatti, l’imposizione della scarsità ad un sistema disegnato per
disseminare l’informazione, la proprietà intellettuale un ostacolo per gli utenti ad
utilizzare la conoscenza disponibile, e il segreto commerciale un impedimento a
risolvere problemi comuni. In altri termini, la rigidità del sistema commerciale
inibisce l’uso efficiente delle risorse digitali, mentre la struttura socio-tecnica di
internet si è sviluppata proprio per impiegarle in modo ottimale. Sono queste
ragioni ad aver determinato l’affermazione spontanea delle pratiche
cooperative, impedendo, ad esempio, ad un sistema concettualmente avanzato,
ma socialmente arretrato, come lo Xanadu di Ted Nelson, di generalizzarsi
nell’ambiente elettronico. L’ipertesto concepito da Nelson disponeva infatti di un
meccanismo di calcolo e retribuzione dei contributi individuali ispirato alla
131 R. BARBROOK. “The Hi-Tech Gift Economy”, cit., p. 4. In proposito Barbrook cita lo studio classico di Rishab Aiyer GOSH. “Cooking Pot Markets: an economic model for the trade in free goods and services on the Internet” (First Monday, 3, 3, March 1997; http://www.firstmonday.org/issues/issue3_3/ghoshThePotCooking Market), tra i primi a segnalare le ragioni pragmatiche che spingevano gli utenti di internet a scegliere forme alternative di scambio di utilità. 132 H. RHEINGOLD. The Virtual Community, London: Secker & Warburg, 1994, pp. 57-58. Citato da R. BARBROOK. “The Hi-Tech Gift Economy”, cit., p. 5.
III. Il file sharing e le logiche dei network
216
proprietà del lavoro intellettuale, la cui assenza è stata la soluzione vincente del
Web:
The exponential expansion of the system was only made possible by the absence of proprietary barriers. For instance, although the Xanadu project contained most of the technical capabilities of the Web, this prototype of computer-mediated communications lacked the 'killer app' of Tim Berners-Lee's invention: the absence of copyright. Neither the program nor its products were designed to be commodities133.
Ciò mostra come meccanismi che si pretendono innovativi, quali
l’alternative compensation system o i modelli di licenza globale, di cui si discute
fin dagli anni ‘90, fossero tecnicamente disponibili già prima della diffusione
mondiale di internet, ma non abbiano avuto seguito proprio perché subottimali
rispetto alle potenzialità della rete134. Superando le limitazioni strutturali dello
scambio mercantile, l’alta complessità fenomenica dell’hi-tech gift economy ha
infatti generato una circolazione informale di beni significativamente più
efficiente, più veloce e più economica del mercato. In ambito produttivo, i
software testati e corretti da migliaia di utenti si presentano nettamente più
stabili e provvisti di utilità dei prodotti in vendita, in quello distributivo, la
circolazione dei torrent e le zero-days crack superano in velocità ed
economicità le reti ossificate dei circuiti commerciali mentre, nel contesto
dell’elaborazione e accumulazione di conoscenza, le voci dell’Enciclopedia
Britannica finiscono per risultare meno complete e meno aggiornate delle
pagine di Wikipedia.
A tale proposito, il teorico dei media Michel Bauwens ha osservato che la
superiorità delle pratiche digitali si spiega con la fondamentale differenza tra le
dinamiche dell’intelligenza collettiva e quelle della swarming intelligence, di cui
è modello, in ambito economico, la mano invisibile di Adam Smith:
Markets do not function according to the criteria of collective intelligence […] but rather, in the form of insect-like swarming intelligence. Yes, there are autonomous agents in a distributed environment, but each individual only
133 R. BARBROOK. “Cyber-Communism: how the Americans are superseding capitalism in cyberspace”, cit.. 134 Oltre alla proposta di un alternative compensation system che, in opposizione ai DRM, William Fisher ritiene «the best of possible solutions» (Promises to Keep. Technology, Law, and the Future of Entertainment, cit., p. 15), recentemente l’idea della legalizzazione del file sharing attraverso una licenza globale è stata rilanciata da Philip Aigrain con Internet & Création, Cergy-Pontoise: In Libro Veritas, 2008, e Volker Grassmuck, con “The World is Going Flat(-Rate) A Study Showing Copyright Exception for Legalising File-Sharing Feasible, as a Cease-Fire in the ‘War on Copying’ Emerges”, cit..
5. Le reti e le architetture di condivisione
217
sees his own immediate benefit. Markets are based on 'neutral' cooperation, and not on synergestic cooperation: no reciprocity is created. Markets operate for the exchange value and profit, not directly for the use value135.
Barbrook evidenzia dunque che, poiché aggredisce la fondazione
ideologica che lega il progresso e la ricchezza delle società umane alla capacità
di accrescere la produzione attraverso la concorrenza e la leva dei prezzi,
l’economia del dono hi-tech supera il mercato sul suo stesso terreno, rivelando
l’insostenibilità del concetto di homo œconomicus come grado superiore della
scala evolutiva, in termini di complessità, efficienza e pervasività, della
produzione e allocazione delle risorse:
Despite its huge popularity, the gift economy of the Net appears to be an aberration. Mesmerised by the Californian ideology, almost all politicians, executives and pundits are convinced that computer-mediated communications can only be developed through market competition between private enterprises. Like other products, information must be bought and sold as a commodity […]. When disciplined by the market, the self-interest of individuals can be directed towards increasing the wealth of the whole nation136.
Ne segue che l’ideologia californiana è oltrepassata online da pratiche non
di mercato137 che i modelli d’affari delle imprese tecnologiche sono costrette ad
imitare, proponendo servizi gratuiti finanziati dalla pubblicità a costante rischio
di sopravvalutazione azionaria138. Estendendo l’analisi di Barbrook alla cronaca
più recente, si osserva infatti come, spinte a misurarsi con la robustezza dell’hi-
tech gift economy, le imprese operanti in rete si trovino strette tra la necessità di
adottare strategie d’affari emulative della circolazione del potlatch digitale e
ricorrenti ripensamenti, causati dalla flessione dei profitti e dall’incapacità delle
loro produzioni di competere con le creazioni non commerciali. In questo modo,
mentre le più aggiornate teorie di management illustrano le ragioni
dell’insuperabilità digitale della gratuità e descrivono le possibilità di estrarre
profitti a margine della circolazione informale dei beni, puntando sul sostegno
135 M. BAUWENS. Peer To Peer and Human Evolution, 2005; http://www.peertopeerFoundation.net. Il testo di J.-F. Noubel a cui Bauwens si riferisce è Intelligence Collective, la révolution invisible, 2004; http://www.thetransitioner.org. 136 R. BARBROOK. “Cyber-Communism: how the Americans are superseding capitalism in cyberspace”, cit.. 137 R. BARBROOK, A. CAMERON. “The Californian Ideology”, cit.. R. BARBROOK. “Cyber-Communism: how the Americans are superseding capitalism in cyberspace”, cit.. 138 M. HIRSCHORN. “Why the social-media revolution will go out with a whimper. The Web 2.0 Bubble”, Atlantic Montly, April 2007; http://www.theatlantic.com/doc/by/michael_hirschorn.
III. Il file sharing e le logiche dei network
218
pubblicitario, sul baratto di attività lavorative contro accesso ai contenuti e sulla
differenziazione tra servizi basic e premium139, la crisi finanziaria di fine 2008 e
la riduzione della raccolta pubblicitaria spingono il settore editoriale nella
direzione opposta, costringendo le imprese a rivedere le strategie della
pubblicazione online e a ipotizzare il ritorno a forme di abbonamento, insieme al
blocco della ricerca dei loro articoli da parte degli aggregatori di notizie (Google
News)140. Facendo leva sull’autorevolezza dei contenuti, si cerca così di
sottrarre le testate giornalistiche all’attrazione della gratuità141, tentando di
convincere i lettori ad accettare le stesse modalità di fruizione precedentemente
accantonate come obsolete dagli stessi editori. Contemporaneamente, fa
scalpore la notizia che persino Facebook accusa difficoltà finanziarie, dopo la
pubblicazione del bilancio 2008 che ha rivelato l’incapacità della gestione di
valorizzare l’enorme bacino d’utenza del network142.
Ciò sembra mostrare come, malgrado i tentativi di conciliazione tra
commercio e gratuità e l’impegno profuso dai teorici liberali per includere la
circolazione del dono nelle strategie di marketing, questa strada sia
impraticabile per le imprese, così che l’ipotesi dell’assenza di pagamento come
prezzo radicale, o grado zero del commercio, rischia di restare un puro
esercizio teorico o di essere compatibile esclusivamente con lo sfruttamento di
posizioni di monopolio nell’economia hi-tech. La difficoltà di sfidare il sistema di
dono sul suo terreno, si aggiunge così ai noti problemi di legittimità ed
esecuzione dei diritti nell’ambiente digitale:
Although old media is bought over the Net, it has proved almost impossible to persuade people to pay for downloading their digital equivalents […]. The media corporations are incapable of reversing this decommodification of information. Encryption systems are broken. Surveillance of every Net user is impossible. Copyright laws are unenforceable. Even on-line advertising has been a disappointment. This time around, community has trumped
139 C. ANDERSON. “Free! Why $0.00 Is the Future of Business”, cit.. All’esposizione della freenomics il direttore di Wired ha recentemente dedicato un libro, Free: The Future of a Radical Price (New York: Hyperion Books, 2009), che sviluppa le tesi anticipate dall’articolo del 2008. 140 J. PLUNKETT. “Financial Times editor says most news websites will charge within a year”, The Guardian, July 16, 2009; http://www.guardian.co.uk/media/2009/jul/16/financial-times-lionel-barber. 141 R. MURDOCH. “The future of newspapers: moving beyond dead trees”, Herald Sun, November 17, 2008; http://www.news.com.au/heraldsun/story/0,21985,24640951-5018380,00.html. 142 V. MACCARI. “200 milioni di amici ma non si trova il tesoro”, Repubblica – Supplemento Affari e Finanza, 15 giugno 2009, p. 26; http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/ 2009/06/15/200-milioni-di-amici-ma-non-si.html.
5. Le reti e le architetture di condivisione
219
commerce143.
Nonostante l’accentuazione degli elementi di conflitto tra le forme di
socializzazione digitale dell’informazione e la commercializzazione di internet, il
tema principale di The Hi-Tech Gift Economy è la simbiosi tra la produzione
collaborativa e l’economia di mercato che, come sottolinea Barbrook, non
presentandosi nei termini situazionisti dell’antitesi assoluta tra dono e merce –
ovvero della sostituzione del valore d’uso al valore di scambio -144, fa si che la
new economy appaia più come la struttura produttiva di una socialdemocrazia
avanzata che come la forma emergente di un anarco-comunismo digitale.
L’aberrazione contenuta nella stessa esistenza di una gift economy nel cuore
tecnologico dell’economia di mercato, consiste così non tanto nella purezza
formale della sua fenomenologia145, ma nella sua egemonia culturale che in
internet si impone al commercio costringendolo a misurarsi con logiche aliene:
[…] anarcho-communism only exists in a compromised form on the Net […]. On the one hand, each method of working does threaten to supplant the other. The hi-tech gift economy heralds the end of private property in ‘cutting edge’ areas of the economy. The digital capitalism want to privatize the shareware programs and enclose the social spaces built through voluntary effort. The potlatch and the commodity remain irreconcilable. Yet, on the other hand, the gift economy and the commercial sector can only expand mutual collaboration within cyberspace. The free circulation of information between users relies upon the capitalist production of computers, software and telecommunications. The profits of commercial Net companies depend upon increasing numbers of people participating within the hi-tech gift economy […] Anarcho-communism is now sponsored by corporate capital146.
La conclusione di questo articolo, mette dunque in luce come
compromissione e conflitto siano due aspetti inscindibili dell’incontro tra
143 R. BARBROOK. “Giving is receiving”, cit. 144 Il riferimento di Barbrook è agli scritti di Raoul Vaneigem e dell’Internazionale Situazionista: R. VANEIGEM. The Revolution of Everyday Life, London: Practical Paradise, 1972; e G. DEBORD. “The Decline and Fall of the Spectacle-Commodity Economy”, (trad. ing. di Donald-Nicholson Smith), http://www.cddc.vt.edu/sionline/si/decline.html. 145 Il “criticismo pragmatico” di Barbrook è condiviso da G. Lovink che osserva: «Against nostalgic characters that portray the Net as a medium in decline ever since the rise of commercialism, and eternal optimists, who present the Internet as a holy thing, ultimately connecting all human synapses, radical pragmatists (like me) emphasize the trade-offs, misuses and the development of applications such as wikis, P2P and weblogs that reshape the new media field». G. LOVINK. “The Principle of Notworking. Concept in Critical Internet Culture”, Institute of Network Cultures, Amsterdam, February 2005, p. 5; http://networkcultures.org/wpmu/portal/publications/geert-lovink-publications/the-principle-of-notworking/. 146 R. BARBROOK. “The Hi-Tech Gift Economy”, cit., pp. 6-7.
III. Il file sharing e le logiche dei network
220
l’economia digitale del dono e il commercio dell’informazione, nel cui contesto la
distruzione di ricchezza operata dalla disgregazione del valore di scambio non
impedisce all’industria hi-tech di tessere relazioni sempre più profonde, e di
mettere a profitto, la produzione sociale di utilità. Letta nei termini marxiani dei
Grundrisse, se l’alta complessità delle relazioni sociali evocate dal capitalismo
per produrre valore sfugge al valore stesso spingendo il progresso industriale a
lavorare alla sua dissoluzione, finché il prodotto del lavoro è scambiato come
merce, la cooperazione sociale è sia dipendente dal mercato che a continuo
rischio di rideterminazione mercantile147.
In netto anticipo sulla riorganizzazione della new economy dopo il crollo
delle dot com, in questo articolo del 1998, Barbrook infatti evidenzia come le
esternalità positive della co-produzione in rete (network effect) in seguito
indicate come il motore dell’accumulazione economica del web 2.0148,
costituiscano il principale terreno di sussunzione dell’hi-tech gift economy
nell’economia industriale, secondo la logica, efficacemente sintetizzata da
Henry Jenkins e Joshua Green, del «you make all the content, they keep all the
revenue»149. In questo quadro, il file sharing rappresenta perciò non solo uno
dei meccanismi di sottrazione dell’economia del dono alla rideterminazione
mercantile, ma anche il rovesciamento del parassitismo industriale e il principale
ostacolo digitale alla valorizzazione delle reti.
Barbrook ha evidenziato questo aspetto, recensendo il libro di John
Alderman, Sonic Boom: Napster, P2P and the battle for the future of music, in
cui l’autore ha fatto notare come il peer-to-peer abbia aperto un conflitto che i
discografici non hanno saputo vincere, incapaci di trarre profitto, come in
passato, dalle forme sovversive delle subculture giovanili, e di adattare
tempestivamente le loro strategie di profitto all’emergenza di un’economia del
dono digitale, combattuta invece con l’inasprimento del copyright e l’uso della
crittografia. Barbrook sottolinea in proposito, come
147 S. CACCIARI. “Più veloce del mercato: per una nuova antropologia politica del P2P”, Rekombinant, giugno 2006; http://osdir.com/ml/culture.internet.rekombinant/2006-06/msg00055.html. 148 T. O’REILLY. “What is Web 2.0. Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software”, OReilly.com, September 30, 2005; http://oreilly.com/web2/archive/what-is-web-20.html. 149 H. JENKINS, J. GREEN. “The Moral Economy of Web 2.0. Audience Research and Convergence Culture”, I, Confessions of Aca-Fan (Official Weblog of Henry Jenkins), http://henryjenkins.org/2008/03/the_moral_ economy_of_web_20_pa.html.
5. Le reti e le architetture di condivisione
221
compared to their predecessors, the ambitions of the Napster generation seemed much more modest: sharing cool tunes over the Net. Ironically, it was this apparently apolitical youth subculture which - for the first time - confronted the music industry with an impossible demand. Everything is permitted within the wonderful world of pop with only one exception: free music150.
Con ciò lo studioso fa notare come laddove movimenti sociali culturalmente
e politicamente radicali sono diventati essi stessi terreno di mercificazione, oggi
sono le subculture dei fan e i consumatori dei prodotti di massa, aggregati
intorno ad una forma minore di disobbedienza civile – quale l’infrazione al
copyright - a sovvertire le regole dell’industria culturale. Riproducendo
l’academic gift economy sul terreno dei beni di mercato, questa pratica
politicamente inespressiva e largamente inconsapevole si è così scoperta
portatrice di effetti politici e conseguenze economiche di rilievo:
Like other Net obsessions, sharing music soon developed into a fun way of meeting people on-line. Fans could chat about their favourite musicians while giving away tunes. This underground scene was given a massive boost by the invention of Napster. Written by an Mp3 collector, this program created a virtual meeting-place where people into swapping music files could find each other. From the moment of its release, the popularity of Napster grew exponentially […]. What had begun as a cult quickly crossed over into the mainstream. For the first time, rebellious youth were identifying themselves not by following particular bands, but by using a specific Net service: Napster151.
Con Napster, l’underground si è infatti banalizzato nel quotidiano di internet,
nel cui contesto la pratica minoritaria dello scambio di indirizzi FTP è diventata
parte integrante di una cultura giovanile che si riconosce il diritto di consumare
musica collettivamente e in cui il download è occasione di incontro quotidiano
con sconosciuti fan dello stesso genere musicale. Come sottolineato da
Alderman, l’incomprensione della portata culturale di internet e l’illusione di
poterne ostacolare il corso sono state fatali all’industria discografica che non ha
saputo anticipare le piattaforme peer-to-peer, esponendosi così alla
sperimentazione di massa della condivisione gratuita della musica, per poi
tentare senza successo di emularla, dopo aver constatato l’affermazione di un
nuovo stile di consumo. Nel commento di Barbrook, una volta sperimentata
l’abbondanza dell’economia del dono hi-tech è stato infatti impossibile fermare
150 R. BARBROOK. “The Napsterisation of everything”, cit.. 151 Ivi.
III. Il file sharing e le logiche dei network
222
la de-mercificazione dei beni digitali e far nuovamente accettare agli
appassionati di musica l’imposizione della scarsità152.
55..44..22.. NNaappsstteerr GGiifftt SSyysstteemm:: llaa cciirrccoollaazziioonnee ddeell ddoonnoo nneellllaa ccoommuunniittàà vviirrttuuaallee
Le don est un système de circulation des choses immanent aux liens sociaux eux-mêmes.
J. Godbout153
Mentre Barbrook sottolinea la debolezza dell’appropriazione del significato
culturale dell’hi-tech gift economy, nell’ambito degli studi sul consumo, Gielser e
Pohlmann enfatizzano, al contrario, proprio la forza dei legami comunitari sottesi
alla condivisione degli Mp3 e l’importanza dell’altruismo come collante della
coesione di gruppo154. Questi aspetti del sistema di dono, sono infatti messi in
relazione dai ricercatori della Witten/Herdecke University con l’esaltazione delle
dinamiche identitarie attraverso le quali la subcultura di Napster si distingue,
enfatizzando i valori comunitari contro il consumo massificato dal commercio.
Secondo gli studiosi, il file sharing asseconda perciò la costruzione sociale di
una comunità di consumo dallo stile emancipativo:
A social form of emancipation is theorized as an operationally closed, self-referential, and consumption-related social system, which, by social communication, is engaged in a permanent process of ensuring a social distinction between itself and its environment, which is the only device to be used to reproduce itself in the course of time. Consumer emancipation of consumption-related yet market-distanced social entities is developed and explored as a process conditioning communication about ideologies, meanings, norms, and values in the social form of emancipation155.
Nell’interpretazione offerta da Gielser e Pohlmann in The social form of
Napster, la circolazione del dono è spiegata con il processo di costruzione del
legame sociale sui cui fa perno l’autopoiesi della comunità, nel cui contesto la
selezione di convenzioni sociali e di stili di comportamento alternativi si lega alla
chiusura autoreferenziale del gruppo rispetto ad un ambiente dominato dalla
mercificazione industriale. La circolazione informale degli Mp3 tra gli utenti di
152 Ivi. 153 J. GODBOUT. L’esprit du don (1992) (avec Alain Caillé), Paris : La Découverte, 1998, p. 90. 154 L’icona di Napster reca infatti l’iscrizione Napster Music Community. 155 M. GIESLER, M. POHLMANN. “The social form of Napster: cultivating the paradox of consumer emancipation”, Advances in Consumer Research, 30, 2003; http://mali-pohlmann.com/pdfs/paradox.pdf, p. 2 (abstract extended).
5. Le reti e le architetture di condivisione
223
Naspter può perciò essere compresa come l’espressione di una complessa e
contraddittoria subcultura comunitaria
attempting to maintain a certain “outsider status” from mainstream society’s norms and values of music copyright, commodification, and corporations, and engaging in discourse supporting communality and disparaging markets, and the circulation of the gift as an alternative exchange practice of music156.
È interessante notare che, per Giesler e Pohlmann, la formazione di
comportamenti emancipativi di consumo costituisce il vertice della tensione tra
comunità e mercati e dunque il punto estremo della loro pensabilità all’interno
della consumer research157. In Napster, infatti, i rituali di demercificazione e
l’emergenza di una mistica fuorilegge aggiungono alla valorizzazione della
marginalità e al disprezzo dell’utile, propri di altre subculture di consumatori (flea
market), un appello all’emancipazione del consumo che introduce una logica
nuova nella dinamica comunitaria, rafforzata dalla sacralizzazione dei
comportamenti del gruppo contro il carattere prosaico del rapporto
convenzionale con le merci:
The distance between the commercial as profane and the communal as sacred is symbolic of the broader cultural tensions between markets and communities and is even aggravated in the critical call for consumer emancipation158.
Con questo articolo, il lavoro degli studiosi si inserisce perciò criticamente in
un dibattito in cui l’emergere di atteggiamenti auto-riflessivi in gruppi di
consumatori è visto come l’apertura temporanea di zone di evasione dal
controllo industriale, nel cui contesto i membri di comunità fortemente
autocentrate si contrappongono a particolari logiche e interessi commerciali più
che al mercato in sé159. Giesler e Pohlmann sono invece convinti che tale
approccio alle forme smaliziate o sovversive di consumo sottovaluti gli aspetti di
organizzazione sociale attraverso cui i visionari (escapist) prendono le distanze
dal mercato:
Consumer researchers can now move forward the market-community discourse to a truly paradoxical vision of consumer emancipation. Instead of
156 Ivi, p. 2 (text). 157 Ivi, p. 4. 158 Ivi, p. 7. 159 Ivi, pp. 7-8.
III. Il file sharing e le logiche dei network
224
focusing their approaches on a particularly reified concept of consumer emancipation as the static punch line of cultural sovereignty against corporate authority, the present vision of consumer emancipation then goes beyond the “symptoms of distance” on the social surface, to be theorized here as the dynamic processes that “build” the emancipative space of choice as an aim and a consequence of social communication about ideologies, meanings, and values160.
Coerentemente con questo programma i ricercatori propongono di
considerare la circolazione della musica come dono all’interno di Napster come
una subcultura comunitaria nella quale prende forma uno spazio alternativo di
scelta, le cui pratiche e convenzioni sociali sono «effectively disarticulated from
market logics and rearticulated onto emancipative ground […]»161. In The
Anthropology of File-Sharing. Consuming Napster as a Gift, uscito nello stesso
anno, Giesler e Pohlmann precisano le caratteristiche del sistema di dono
nell’ambiente elettronico, evidenziando che in questo contesto:
First, a gift is always a perfect copy of an Mp3 file stored on the donor’s hard drive. Second, a donor is usually a recipient and a recipient is usually a donor at the same time but not to each other. Third, it is the recipient and not the donor who initiates a gift transaction. Fourth, donor and recipient are anonymous and gift exchange is usually not reciprocal162.
Le differenze che i ricercatori fanno emergere tra le economie tradizionali
del dono e il gift system dell’ambiente ipertecnologico, sottolineano
essenzialmente la natura non rivale dei beni in circolazione e la struttura
automatica dello scambio in rete, le quali implicano che in questo contesto l’atto
di donazione non comporti sacrificio o spoliazione da parte del donante e che la
forma assunta dalla reciprocità sia quella dello scambio mediato, in cui il terzo è
rappresentato dallo stesso network:
Reciprocity in social networks does not necessarily involve total reciprocity between two individuals, but the social obligation to give, accept, and “repay” – which means to reciprocate within the network. An individual Napster user evaluates the single transaction in the context of multiplicity. In contrast to Sherry (1983), multiplicity is not reduced to transactions between one donor and one recipient but is embedded in transactions within the whole Napster
160 Ivi, p. 9. 161 Ivi, p. 11. 162 M. GIESLER, M. POHLMANN. “The Anthropology of File-Sharing: Consuming Napster as a Gift”, Advances in Consumer Research, 30, 2003, p. 7; http://visionarymarketing.com/articles/gieslerpohlgift.html.
5. Le reti e le architetture di condivisione
225
community163.
Secondo gli studiosi, è quindi proprio il superamento della catena diadica di
donazioni e restituzioni a fare di Napster una vera economia del dono e a fornire
il collante del legame sociale al suo interno. Giesler ha insistito su questo
aspetto in Consumer Gift System, nel quale ha discusso l’interpretazione
riduzionista del dono della Consumer Research e la conseguente elisione, in
questo ambito di studi, della sua dimensione sociale più rilevante:
To redress this key theoretical oversight – ha commentato in premessa - I develop the notion of the consumer gift system, a system of social solidarity based on a structured set of gift exchange and social relationships among consumers164.
L’importante articolo di Sherry del 1983 aveva infatti aperto una riflessione
sui comportamenti di dono che si focalizzava sulla costruzione di un circuito di
reciprocità tra donante e ricevente, teorizzando lo scambio di omaggi come una
catena dialettica di ricezione e restituzione in coppie di partner. Giesler mostra,
al contrario, come la circolazione del dono in Napster si qualifichi proprio per il
trascendimento della struttura diadica e delle motivazioni individuali descritte da
Sherry, insistendo sulla logica evolutiva che può portare i sistemi di dono ad
emergere dalle pratiche di consumo:
I suggest that gift systems can also evolve around consumption. These consumer gift systems may emerge from consumer networks of social solidarity, but they show the same fundamental systemic characteristics as those that were of interest to classic anthropologists165.
Gli indicatori che, secondo lo studioso, autorizzano a parlare di un gift
system in Napster sono quindi la produzione di uno specifico ethos che
distingue i membri del gruppo dagli outsiders (social distinction); il sentimento di
reciprocità che lega gli individui al network, ovvero al contesto in cui
l’informazione si moltiplica - in contrasto con la visione sacrificale dell’economia
morale di ispirazione bataillana - (norms of reciprocity); e lo sviluppo di un
sistema di rituali e simbolismi, individuato nella scelta dei nickname e dall’uso
degli avatar da parte degli utenti all’interno della comunità (rituals and
163 Ibidem. Gli autori si riferiscono a J. SHERRY. “Gift-Giving in Anthropological Perspective,” Journal of Consumer Research, 10 September 1983, (pp. 157-168). 164 M. GIESLER. “Consumer Gift Systems”, cit., p. 283. 165 Ivi, p. 284.
III. Il file sharing e le logiche dei network
226
symbolisms)166.
In contrasto con la consumer research che ha rintracciato la presenza del
dono nel solo contesto delle relazioni familiari e di prossimità, Giesler evidenzia
così come il gift system digitale sia basato su relazioni di solidarietà legate alla
scelta individuale che sorgono al di fuori delle relazioni di necessità e di mutua
dipendenza, all’incrocio di segmenti di consumo separati e autonomi167. La
solidarietà nei sistemi elettronici di dono ha dunque una natura meno organica e
più nomade di quella dei gruppi primari e delle società tradizionali, si presenta
cioè meno vincolata dalle costrizioni comunitarie e più flessibile rispetto ad
esse. Queste forme di reciprocità, che Giesler definisce «segmented solidarity»,
sembrano infatti sufficientemente deboli da poter essere violate senza rischio di
ostracismo sociale, ma anche abbastanza forti da spiegare l’attivismo degli
utenti nell’inserire nel network materiali nuovi e rari, nel combattere e segnalare
la circolazione dei falsi e, in generale, nell’impegnarsi di più di quanto sarebbe
richiesto per la manutenzione del patrimonio comune168.
Lo studioso riprende così, da un’angolatura antropologica, le considerazioni
di Barbrook e Rheingold sull’intreccio di motivazioni altruistiche ed egoistiche
che determina l’azione nel sistema digitale, uscendo dalla dicotomia ideale – o
dall’equivoco -169 che identifica la circolazione del dono con l’assoluto
disinteresse e il sistema dello scambio con il solo calcolo e vantaggio.
Seguendo questa suggestione, Gielser ha cercato nella ricerca netnografica la
conferma empirica della molteplicità degli stili di comportamento nelle reti di file
sharing170, ma l’aspetto più interessante del suo lavoro consiste proprio
nell’indicazione che pratiche di consumo e sistemi di dono possono evolvere
l’uno nell’altro, costruendo o degradando il legame sociale istituito attraverso
uno scambio di oggetti carico di significati simbolici171. È così il fatto di
166 Ivi, pp. 285-288. 167 Ivi, p. 289. 168 Ibidem 169 M. DOUGLAS. “Il n’y a pas de don gratuit. Introduction à l’édition anglaise de l’Essai sur le don de Marcel Mauss”, Revue du MAUSS, 4, 1989, p. 99. Tratto da A. SALSANO. “Per la poligamia delle forme di scambio”, II° Colloquio del Collegio Internazionale di filosofia sociale, Salerno e Napoli, 9-11 dicembre 1993, ripubblicato in A. SALSANO. Il dono nel mondo dell’utile, Torino: Bollati Boringhieri, 2008, p. 44. 170 M. GIELSER. “Conflict and Compromise: Drama in Marketplace Evolution”, Journal of Consumer Research, 34, April 2008; http://visionarymarketing.files.wordpress.com/2007 /11/giesler2007jcr.pdf. 171 La questione è ampiamente tematizzata nella letteratura anti-utilitarista. Alfredo Salsano ha osservato, ad esempio, che «una forma di scambio può trasformarsi in un’altra, ovvero lo stesso
5. Le reti e le architetture di condivisione
227
condividere beni e oggetti a costruire la solidarietà, non l’inverso.
Tralasciando gli implicazioni più teoriche di questa tesi172, lo studioso
sottolinea che non si possono comprendere le pratiche di condivisione senza
guardare al significato culturale della circolazione dei beni nelle reti elettroniche.
La sua riflessione è quindi importante non solo perché getta un ponte tra
universi che il dibattito su internet tende a polarizzare, ma anche perché,
insieme agli studi di Barbrook, le sue ricerche mettono ad analisi la zona
lasciata in ombra dalla letteratura economico-giuridica che non coglie nelle
pratiche di condivisione se non la tecnologia e la violazione del contratto, il
mercato e non la società.
Nelle linee essenziali di questi dibattiti, il file sharing è infatti pensato come
una pratica da disciplinare, i cui aspetti distruttivi possono essere neutralizzati
attraverso il controllo tecno-giudiziario e un’offerta tecnologicamente adeguata
dell’offerta commerciale. L’assenza di riflessione sulla dimensione sociale del
peer-to-peer spicca, come si è visto, nell’analisi esemplare di Goldsmith e Wu
delle difficoltà di KaZaA, stretta tra la necessità di difendere la proprietà
intellettuale e la pratica quotidiana della sua violazione, nella quale
l’impossibilità per gli attori di mercato di includere le pratiche di condivisione tra
le proprie strategie di profitto, fa da contraltare alla prevista marginalizzazione
del file sharing una volta separato lo sviluppo dei software (contesto del profitto)
dalle pratiche degli utenti (sistema del dono). In quest’ottica, fuori dal
commercio il file sharing non ha futuro, perché la sua stessa apparizione è
essenzialmente riconducibile ad un conflitto interno tra settori produttivi.
Trascurando ogni tentativo di comprensione del fenomeno, la cui
normalizzazione è affidata al controllo tecno-giuridico e alla mobilitazione
pedagogica, questa visione del peer-to-peer riduce così il proprio spazio
d’osservazione all’evoluzione tecnologica delle piattaforme e alla logica degli
attori di un’economia parassita sviluppata dai produttori di software a danno dei
detentori dei diritti. Si perde così di vista che lo sviluppo dei programmi di file
sharing è anche il prodotto di attività non commerciali, in questo ambito non
“oggetto” scambiato (bene o servizio) può essere il supporto di forme di scambio diverse», aggiungendo che «solo una corretta concettualizzazione del dono, della reciprocità, consente di congliere la dinamica di questa poligamia spontanea, che è anche un poliformismo di cui è inutile sottolineare tutte le ambiguità». A. SALSANO. “Per la poligamia delle forme di scambio”, cit. , p. 40. 172 I teorici antiutilitaristi hanno infatti evidenziato a più riprese come la reciprocità (dunque il dono), sia la matrice di tutte le altre forme di scambio. Si veda ad esempio, J. GODBOUT. L’esprit du don, op. cit..
III. Il file sharing e le logiche dei network
228
residuali, e soprattutto che la costruzione delle tecnologie non si identifica con la
pratica. Anche la creazione dei programmi senza fini di lucro resta infatti
inspiegabile nel momento in cui viene fatta cadere l’idea di Giesler, Barbrook e
dei primi studiosi delle darknet, che la condivisione elettronica delle copie è un
fenomeno sociale complesso, non riducibile al funzionamento delle piattaforme,
agli interessi e alla cultura dei programmatori o alla psicologia degli utenti.
Ciascuna di queste componenti gioca infatti un ruolo in – senza identificarsi con
- questa forma di intelligenza collettiva nella quale la convergenza dei bisogni
individuali e la risposta coordinata alle sfide ambientali entrano in conflitto con la
logica dello scambio di mercato, disgregandone i principi di funzionamento.
È interessante in proposito l’osservazione di Henry Jenkins e Joshua Green
che in una cultura partecipativa la soluzione a problemi comuni è cercata
collettivamente, attraverso processi di collaborazione nei quali «consumers take
media in their own hands […] to serve their personal and collective interests»173.
Come ha precisato lo studioso, «what I am calling participatory culture might
best be understood in relation to ideas about the "gift economy" developed by
Lewis Hyde in The Gift»174. Il rapporto tra i produttori e le culture interconnesse
dei fan può perciò essere visto come un intreccio di conflitti e negoziazioni
«around value and worth […] at the intersections between commodity culture
and the gift economy»175.
Dove si considerano i suoi aspetti sociali e culturali, il file sharing tende
dunque ad essere interpretato attraverso il paradigma del dono, con
accentuazioni diverse del ruolo della cultura scientifica depositata nelle
tecnologie di rete, o del processo di formazione delle comunità generato dalla
circolazione gratuita e informale delle merci. Resta quindi da approfondire se
l’applicazione al file sharing di questo schema interpretativo sia sostenibile ed
eventualmente sufficiente a spiegarlo.
173 H. JENKINS, J. GREEN. “The Moral Economy of Web 2.0 (Part Two)”, cit. 174 H. JENKINS. “Critical Information Studies For a Participatory Culture (Part One and Two)”, April 10, 2009, Confessions of an Aca-Fan (official weblog); http://henryjenkins.org/2009/04/what_went_wrong_with_web_20_cr_1.html. Il libro di Hyde citato da Jenkins (The Gift: Imagination and the Erotic Life of Property, Vintage Books, 1983) offre una visione spiritualizzata del dono e del suo potenziale trasformativo, attraverso il debito e la gratitudine, all’interno di una civiltà di mercato sempre più bisognosa di nutrimento emozionale. 175 Ivi.
5. Le reti e le architetture di condivisione
229
III. Il file sharing e le logiche dei network
230
6.
PPeerr uunn’’aannttrrooppoollooggiiaa ddeell ppeeeerr--ttoo--ppeeeerr
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
231
L’identificazione di internet con un’economia del dono ha il merito di aver
contrastato il riduzionismo interpretativo delle visioni giuridiche ed economiche
del file sharing, portando la letteratura sulla condivisione online sul piano
dell’analisi sociale. Per questa ragione, le stesse critiche volte ad evidenziare le
differenze di queste pratiche dai sistemi di reciprocità studiati dagli antropologi,
forniscono un importante contributo alla definizione socio-antropologica del
peer-to-peer. Ciò che viene posto in evidenza, in questo dibattito, è l’anonimità
e la volatilità degli scambi che non permettono la tessitura di legami di
solidarietà tra chi condivide i propri file e chi li copia, nonché l’assenza della
componente agonistica del dono, basata sul prestigio e sul riconoscimento, e di
quella sacrificale, fondata sulla cessione di utilità sottratte al consumo e
investite nella costruzione di alleanze e legami d’amicizia.
La prima delle tre fondamentali critiche al file sharing come sistema di dono
sostiene quindi che, in assenza di questi elementi, i beni circolanti nelle reti P2P
debbano essere considerati merci – e non doni - deviate dal loro percorso
commerciale e immesse in un potente meccanismo di redistribuzione sociale
dell’informazione, le cui caratteristiche di bene pubblico vengono sfruttate per la
creazione di un servizio non dissimile dalla distribuzione di acqua, gas ed
elettricità. La seconda, fa invece leva sull’assenza del controdono e sulla piena
accessibilità dei beni immessi nel dominio pubblico anche a coloro che non vi
contribuiscono; il file sharing divergerebbe allora dal dono proprio per la
realizzazione della piena gratuità, condizione esclusa, come è noto, dallo
schema maussiano. Entrambe queste visioni spostano dunque l’interpretazione
del P2P dal piano del dono, cioè della costruzione del legame e della
reciprocità, a quello della redistribuzione, dell’accesso e della giustizia sociale.
La terza critica si discosta, invece, da questa base argomentativa per
evidenziare la presenza minoritaria nel P2P dell’economia del dono e come
dunque l’organizzazione sociale delle piattaforme debba essere letta come
l’effetto di una «solidarietà tecnica» nella quale l’omologia tra il funzionamento
dei dispositivi e le pratiche che vi si sviluppano lega gli utenti al rispetto,
largamente inconsapevole, di codici comportamentali e di convenzioni etiche
incorporate nelle tecnologie.
Dopo aver analizzato l’organizzazione delle comunità di produzione di
release (eMulelinks) e l’immissione delle loro creazioni nelle reti globali di
condivisione, si conclude che le pratiche di file sharing non possono essere
III. Il file sharing e le logiche dei network
232
comprese senza tener conto della loro articolazione, nella quale si evidenzia
come la capacità delle economie del dono di sfidare l’economia di scambio e di
riprodursi su internet si debba proprio alla sinergia tra dinamiche comunitarie,
precise condizioni tecnologiche e grandi sistemi anonimi.
66..11 LLee ccrriittiicchhee aallll’’iinntteerrpprreettaazziioonnee ddeell ffiillee sshhaarriinngg ccoommee ssiisstteemmaa ddii ddoonnoo
Sia all’interno della ricerca sugli stili di consumo che nel dibattito dei teorici
dei media, molti autori hanno rifiutato l’interpretazione del file sharing come
economia del dono, sottolineando le differenze delle pratiche di condivisione dal
triplice obbligo maussiano di «donner, recevoir, rendre»1, e dai sistemi di
reciprocità studiati dagli antropologi.
L’attenzione degli studiosi si è infatti focalizzata sull’assenza del
controdono e sull’anonimità dello scambio nelle reti peer-to-peer2,
sull’inesistenza del «sacrificio» in coloro che mettono a disposizione i file3 e
sulle ambiguità connesse all’identificazione della musica digitale con un dono,
stanti le motivazioni non altruistiche della condivisione4 e l’intreccio inestricabile
delle dimensioni mercantile e cooperativa nelle transazioni interne ai network
P2P5. In relazione a questo aspetto, ad esempio, Pauwels e il suo gruppo di
ricerca hanno sostenuto che il file sharing è il lato distruttivo e pirata della peer
production, il cui versante cooperativo e «samaritano» sta complicando la
propria morfologia espandendosi ben oltre le prime forme di produzione di beni
culturali – ad esempio con il microcredito o lending6. Dai sistemi di dono P2P
andrebbe quindi escluso il file sharing in quanto pura dissipazione di un valore
creato all’esterno delle reti.
Privo delle caratteristiche del dono agonistico e della dimensione del sacro
1 M. MAUSS. "Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques", L’année Sociologique, seconde série 1923-1924, p. 50 ; http://www.uqac.uquebec.ca/zone30/Classiques_des_sciences_sociales/index.html. 2 M. BAUWENS. Peer To Peer and Human Evolution, op. cit., p. 41. 3 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", Third International Conference on Internet and Web Application and Service, 2008, p. 13. 4 Ivi, p. 17. 5 F. DEI. “Tra dono e furto: la condivisione della musica in rete”, cit., p. 72. 6 J. A. PAUWELS et al.. “Pirates and Samaritans: a Decade of Measurements on Peer Production and their Implications for Net Neutrality and Copyright”, 2008, p. 2; www.tribler.org/trac/raw-attachment/wiki/PiratesSamaritans/pirates_and_samaritans.pdf.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
233
poste da Mauss alla base della circolazione arcaica dei beni, secondo
Konstantina Zerva, poiché nel file sharing gli individui non si spossessano dei
loro file e non entrano che occasionalmente in relazione diretta tra loro, insieme
alla dimensione sacrificale del dono viene a cadere anche quella simbolico-
relazionale7. A proposito di questa natura non sacrificale del peer-to-peer,
concetto che Michel Bauwens usa estensivamente per riferirsi alla forma
idealtipica della collaborazione digitale, il teorico belga ha fatto notare a sua
volta che le economie cooperative funzionano più facilmente in contesti di
abbondanza e nella sfera di produzione di beni pubblici, mentre i sistemi di
dono rappresentano piuttosto modelli alternativi di gestione della scarsità, in
presenza di beni e risorse rivali8. Lo studioso ha dunque osservato che, non a
caso, è là dove si produce la ricchezza delle reti che può emergere una forma
di collaborazione schiettamente altruistica, non dipendente dal mercato né dalla
reciprocità, di pura gratuità:
Though the early traditional gift economy was spiritually motivated and experienced as a set of obligations, which created reciprocity and relationships, involving honor and allegiance (as explained by Marcel Mauss in the Gift), since gifts were nevertheless made in a context of obligatory return, it involved a kind of thinking that is quite different from the gratuity that is characteristic of P2P: giving to a P2P project is explicitly not done for an 'certain' and individual return of the gift, but for the use value, for the learning involved, for reputational benefits perhaps, but only indirectly9.
Il P2P non è dunque un sistema di dono, ma un meccanismo di produzione
e appropriazione comune dei beni aperto alla partecipazione anche di coloro
che non hanno materialmente contribuito alla formazione del patrimonio di
dominio pubblico. In assenza della reciprocità e dell’obbligazione a rendere
proprie del dono classico, le interpretazioni che spiegano i fenomeni peer-to-
peer con la cosiddetta «economia dell’attenzione»10, restano quindi per
Bauwens versioni eufemistiche di un utilitarismo che non coglie la novità
antropologica di quella che definisce come una nuova tappa dell’evoluzione
umana11. La circolazione della reputazione che, secondo molti commentatori,
7 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", cit., p. 13. 8 M. BAUWENS. Peer To Peer and Human Evolution, op. cit., p. 45. 9 Ivi, p. 42. 10 P. KOLLOCK. “The Economies of Online Cooperation: Gifts and Public Goods in Cyberspace”, University of California, 1999; http://dlc.dlib.indiana.edu/archive/00002998/01/Working_Draft.pdf. 11 Sul rapporto tra dono e interesse si veda A. CAILLÉ. Le Tiers paradigme. Anthropologie philosophique du don, Paris : La Découverte, 1994, p. 186 : «[…] Mauss n’a en fait jamais nié le
III. Il file sharing e le logiche dei network
234
rappresenta la principale motivazione all’azione nel sistema di dono digitale,
dovrebbe infatti essere intesa come la dinamica di produzione di un capitale
simbolico convertibile, secondo necessità, nelle altre forme di accumulazione di
potere e ricchezza. In questo modo, è proprio perché il P2P è in gran parte
anonimo che si è in presenza di una gratuità in senso stretto12. Con i fenomeni
più dispersi della collaborazione online sembra dunque apparire, per
parafrasare Mary Douglas, la contraddizione in termini del «dono gratuito»:
Il dono presunto disinteressato è una finzione che dà troppa importanza all’intenzione di colui che dona e alle proteste contro ogni idea di ricompensa. Ma rifiutando ogni reciprocità, si taglia fuori il fatto di donare dal suo contesto sociale e lo si priva di tutto il suo significato relazionale […]. Mass sostiene al contrario che sarebbe perfettamente contraddittorio pensare il dono ignorando che esso implica un dovere di solidarietà […]. Un dono che non contribuisce affatto a creare solidarietà è una contraddizione in termini13.
Così come compare in Bauwens, questa versione spiritualizzata del peer-
to-peer si avvicina così alla forma di eticità propria delle donazioni di sangue e
della solidarietà delle organizzazioni di mutuo soccorso che Godbout ha
indicato come caratteristica del «dono moderno», o «dono verso gli estranei»,
la quale «non fa parte né del mercato, né dello Stato, né della sfera
domestica»14 e va dunque riconosciuta come una quarta sfera «che crea
rapporti tra gli uomini, ma lascia gli uomini al di fuori di essi»15. Lo studioso
canadese ricorda peraltro come lo stesso Malinowski avesse collocato questo
dono senza contropartita, che definiva «dono puro», al di fuori del kula, il dono
cerimoniale dei trobriandesi16.
rôle joué par l’intérêt dans le contexte du don cérémoniel. Ce dernier reste toutefois selon lui, hiérarchiquement dominé par l’ostentation d’une absence d’intérêt et par une subordination des intérêts matériels au prestige». 12 Come ha osservato Jean-Samuel Beuscart a proposito delle motivazioni “egoistiche” che darebbero conto della collaborazione online, « lorsqu’elles ne correspondent pas à des gains réputationnels valorisables sur un marché – come è appunto il caso della produzione anonima di utilità – les notion de profit symbolique et d’esperance de gain deviennent vite floues, bouche-trou conceptuel plutôt que veritable explication des pratiques des acteurs ». J.-S. BEUSCART. “Les usagers de Napster, entre communauté et clientèle. Construction et régulation d'un collectif sociotechnique", Sociologie du travail, 44, 4, octobre-décembre 2002, p. 471. 13 M. DOUGLAS. “Il n’y a pas de don gratuit. Introduction à l’édition anglaise de l’Essai sur le don de Marcel Mauss”, cit., p. 99. Tratto da A. SALSANO. “Per la poligamia delle forme di scambio”, cit. p. 44. 14 J. GODBOUT. L’esprit du don, op. cit., p. 84. 15 L’osservazione è di Simmel. G. SIMMEL. Philosophies des Geldes (1987), trad. it. Filosofia del denaro, Torino : UTET, 1984, p. 436. Tratto da J. GODBOUT. L’esprit du don, op. cit., p. 84. 16 J. GODBOUT. Ce qui circule entre nous. Donner, recevoir, rendre, Paris: Seuil, 2007, p. 210.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
235
Per Konstantina Zerva, Fabio Dei, Johan Pauwels e lo stesso Bauwens,
l’accostamento del peer-to-peer al «terzo paradigma»17 è dunque improprio
mentre, per Jean-Samuel Beuscart, poiché «Ie don est surtout le fait d’un petit
nombre de membres du collectif»18, l’insistenza del riferimento ad esso da parte
della letteratura militante e degli stessi utenti va vista come un importante
tentativo di «costruire l’irreversibilità», cioè di operare sul piano del discorso
performativo al fine di legittimare le pratiche di condivisione e orientare lo
stesso dibattito su internet19.
Queste critiche costituiscono in genere la pars destruens di interpretazioni
che, facendo leva sugli elementi mancanti o anomali del «sistema di dono
digitale», propongono letture alternative della condivisione online, indicando di
volta in volta il file sharing come una forma di redistribuzione sociale
dell’informazione (Zerva), come un possesso comune basato sulla
partecipazione (Bauwens), o come un modello di solidarietà tecnica in cui il
calcolo e l’azione morale si fondono con le istanze più o meno stringenti dei
dispositivi tecnici (Beuscart).
Dopo aver discusso queste tesi, si fornirà una propria lettura del file sharing
anche attraverso il caso di studio di eMulelinks, una delle reti di produzione e
distribuzione di release collegate a eMule. L’osservazione delle dinamiche
interne di questa community ci permetterà infatti di descrivere l’articolazione
delle reti di file sharing e le modalità attraverso cui i centri di diffusione virale
della pratica entrano in sinergia con lo scambio anonimo delle piattaforme.
66..22 SSee nnoonn uunn ddoonnoo,, ccooss’’aallttrroo??
66..22..11 IIll ffiillee sshhaarriinngg ccoommee rreeddiissttrriibbuuzziioonnee ssoocciiaallee ddii uunn bbeennee ppuubbbblliiccoo
Nel contesto del dibattito della consumer research, la studiosa greca
dell’Università di Barcellona Konstantina Zerva ha dedicato un interessante
articolo alle tesi di Giesler e Pohlmann sul gift system di Napster. Con File
17 Si utilizzano qui le definizioni di Alain Caillé che usa il concetto di primo paradigma per “individuo”, “mercato” o “contratto”, secondo paradigma per “totalità olistica”o “collettività” e terzo paradigma per “dono” o reciprocità. A. CAILLE. Le tiers paradigme. Anthropologie philosophique du don, op. cit., pp. 8-15. 18 J.-S. BEUSCART. “Les usagers de Napster, entre communauté et clientèle. Construction et régulation d'un collectif sociotechnique", cit., p. 473. 19 Ivi, p. 478.
III. Il file sharing e le logiche dei network
236
Sharing versus Gift Giving: a Theorethical Approach, l’autrice si è infatti prefissa
di superare le definizioni insoddisfacenti e contraddittorie della pratica, sia
quando considerata un sostituto dell’acquisto che quando vista come una forma
speciale di dono, in questo caso generalizzando un modello che la studiosa
giudica «attractive [but] simplistic and metaphorical»20.
La prima parte dell’articolo è quindi dedicata alla decostruzione dei termini
e delle analogie usati per descrivere il file sharing, a partire dagli oggetti che,
secondo una lettura consolidata, sarebbero scambiati come dono:
Instead of characterizing the music Mp3 file as a gift, it is best to initially consider it as a good, deviated from the specific route that the rest of the merchandises follow. Such a deviation is a sign of creativity (from part of the peers) or crisis (from part of record labels), with a morally ambivalent and dangerous aura, while being an inspiration for future deviations21.
Secondo la sociologa, oltre alle idee fuorvianti di dono e condivisione, la
letteratura sul file sharing fornisce tutta una serie di spiegazioni parziali che
contribuisce ad occultare la natura del fenomeno. Nelle reti P2P, infatti, chi
mette a disposizione i propri file non perde i suoi beni – dunque non ne fa dono
-, ma li espone alla possibilità di essere copiati da altri. Allo stesso tempo, non è
possibile definire «parassitaria» l’economia generata da queste pratiche, poiché
il parassita, generalmente non invitato, sottrae cibo alla tavola dell’ospite,
mentre i pari non deprivano gli utenti da cui copiano i file e sono da questi
autorizzati a farlo. Gli errori di interpretazione sembrano quindi inevitabili nel
momento in cui si cerca di spiegare un fenomeno digitale con metafore ispirate
al mondo analogico.
Zerva propone quindi una triplice categorizzazione di differenze tra file
sharing e dono, individuate a livello delle proprietà dei beni scambiati, delle
procedure di condivisione e delle motivazioni all’azione22. In riferimento alle
circolazione degli Mp3, la studiosa osserva che nei sistemi di dono vengono
ceduti soprattutto beni rari e suntuari, difficili da possedere, ciò che conferisce
allo scambio un forte senso di obbligazione che trasferisce il valore di possesso
degli oggetti al valore di legame delle relazioni. Al contrario, nelle reti di file
sharing ciò che circola è musica smaterializzata in un formato estremamente
20 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", cit., p. 13. 21 Ibidem 22 Ibid.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
237
comune che priva gli oggetti scambiati della singolarità e preziosità tipica degli
oggetti donati. La frequenza di queste transazioni è poi talmente ampia da
perdere ogni riferimento agli elementi cognitivi ed emozionali dello scambio di
doni, il grado di diffusione e pervasività delle pratiche peer-to-peer è infatti tale
da cambiare il modo in cui le persone fanno esperienza e valutano la musica23.
Ne segue che, alla luce delle caratteristiche dell’Mp3, la distribuzione della
musica nelle reti di sharing dovrebbe essere considerata come un servizio e
non come un dono:
Burning a CD or downloading music is considered as a service for which peers are grateful but, according to the ways Western society has managed to induce the identity of a gift, they do not qualify it as such24.
Con questo riferimento allo spirito «occidentale» del dono, canonizzato
nella letteratura sugli stili di consumo da un celebre studio di John Sherry,
Zerva introduce la seconda tipologia di differenze, riferita agli aspetti
procedurali, tra gift giving e file sharing. La studiosa osserva così la sistematica
violazione di tutte le fasi di realizzazione del dono descritte nel seminale articolo
del 1983, riscontrando agevolmente la scomparsa nel file sharing delle figure
del donatore e del ricevente, della fase di preparazione e ideazione del regalo,
di quella di presentazione, consegna e, infine, di valutazione dell’omaggio, che
l’autore del saggio aveva individuato studiando i rituali delle ricorrenze natalizie
e di compleanno. Ne conclude che
None of the variables mentioned in the gift-giving procedure are included in [this] process due to the anonymity factor and the ignorance of the demographic, social or economic data of other peers25.
La riflessione dell’autrice è tesa, evidentemente a dimostrare, anche in
questa parte, la flebile socialità sviluppata dai sistemi di condivisione e la
mancata produzione nei network P2P del valore di legame che qualifica la
circolazione del dono come tale, sia nel modello maussiano che nella versione
occidentale dello scambio di regali. L’insistenza sul modello diadico di
relazionalità presentato da Sherry, segna però un arretramento dell’analisi, che
non registra l’obiezione già mossa da Giesler e Pohlmann a questa prospettiva
– peraltro, a loro avviso, legittima nel contesto originario dello studio –, estesa
23 Ivi, p. 14. 24 Ibidem 25 Ivi, p. 16.
III. Il file sharing e le logiche dei network
238
dagli epigoni dell’autore ben oltre il suo campo d’indagine. I ricercatori avevano
infatti notato che, all’interno delle reti digitali, l’instaurazione della reciprocità
non prevede necessariamente che questa si stabilisca tra gli individui coinvolti,
visto che ogni utente di Napster valuta la singola transazione in un contesto di
molteplicità, dove il dovere di rendere è concepito come un principio normativo
della comunità26. La stessa Zerva rileva peraltro questo aspetto, osservando
che
In file sharing, the evaluation [of the gift] made from the peer does not concern the social relationship with other peers, but the relationship with the P2P network […].The high reciprocity observed in the internet file-sharing is a result of the need to offer in order for the network to be effective27.
L’argomentazione dell’autrice stabilisce dunque che la logica del file
sharing differisce essenzialmente da quella del regalo occidentale, ma non dal
modello maussiano, nel quale il «sistema di prestazione totale» articolato
intorno al dono obbliga in primo luogo le collettività e, come nel caso del
potlatch dei Tlinkit e degli Haïda, può arrivare a confondersi con un’attività di
consumo collettivo:
[…] dans ces deux dernières tribus du nord-ouest américain et dans toute cette région apparaît une forme typique certes, mais évoluée et relativement rare, de ces prestations totales. Nous avons proposé de l'appeler pollatch, comme font d'ailleurs les auteurs américains se servant du nom chinook devenu partie du langage courant des Blancs et des Indiens de Vancouver à l'Alaska. « Potlatch » veut dire essentiellement « nourrir », « consommer ». Ces tribus, fort riches, qui vivent dans les îles ou sur la côte ou entre les Rocheuses et la côte, passent leur hiver dans une perpétuelle fête : banquets, foires et marchés, qui sont en même temps l'assemblée solennelle de la tribu28.
Quanto osservato da Konstantina Zerva sembra perciò confermare, più che
la violazione del paradigma del dono, la profonda modificazione degli stili di
consumo della musica che rende anacronistica la riproposizione di uno studio
sugli elementi di preparazione, scelta e successo del dono elaborato nel
contesto della consumer research degli anni ’80. Come hanno osservato Green
e Jenkins, «consumption in a networked culture is a social rather than
26 M. GIESLER, M. POHLMANN. “The Anthropology of File-Sharing: Consuming Napster as a Gift”, cit., p. 7. 27 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", cit., p. 16. 28 M. MAUSS. "Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques", cit., p. 10.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
239
individualized practice»29.
Ciò non toglie che la reciprocità mediata del file sharing resti un aspetto di
confine tra circolazione del dono e consumo condiviso (o redistribuzione sociale
dei beni digitali), la cui valutazione è senz’altro uno dei compiti più impegnativi
dell’antropologia del peer-to-peer, chiamata a stabilire, per usare i termini di
Godbout, il senso di ciò che circola nelle reti. È perciò forte il rischio che la
natura delle transazioni studiate sia decisa dal punto di osservazione prescelto,
avvalorandone l’interpretazione come attività condivisa di consumo, se si
privilegiano gli aspetti di scambio anonimo e la presenza non trascurabile del
free riding, ma come sistema di dono se si porta l’attenzione sulla normatività
delle dinamiche comunitarie e sulla proliferazione delle relazioni interpersonali
nelle reti di condivisione. Proprio perché si tratta di trovarne il senso, l’aspetto
che spesso decide il giudizio sulle pratiche di condivisione è il tipo di
motivazione che si ritiene prevalere negli utenti di file sharing. Non a caso,
infatti, prima di trarre le conclusioni del suo studio, Konstantina Zerva si
sofferma sulla questione, per ribadire che il comportamento dei peer manca del
carattere altruistico e del sentimento d’obbligatorietà del dono ed è per lo più
mosso da considerazioni egoistiche o, nei membri più consapevoli, da
motivazioni libertarie e dall’antagonismo nei confronti dell’industria. Ne segue
che
A product or service that circulates in the market, not for reciprocity or sociability reasons (moral economy) but for self-oriented and calculated ones (political economy), is not a gift but a commodity30.
Il punto è però che si tratta di una merce particolare, perché le sue
caratteristiche di non rivalità e non escludibilità ne fanno un bene pubblico. Le
tecnologie digitali rendono infatti la musica un prodotto abbondante e non
deperibile che fluisce liberamente nelle reti di condivisione, così come l’acqua, il
gas e l’elettricità nelle condutture delle reti pubbliche31. Il tratto distintivo del file
sharing è dunque il carattere non naturale, né statale, di un nuovo bene
pubblico prodotto dagli stessi consumatori:
Internet is a socially constructed public good, since it represents a collective
29 J. GREEN. H. JENKINS. “The Moral Economy of Web 2.0. Audience Research and Convergence Culture (Part Two)”, cit. 30 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", cit., p. 17. 31 Si ricorderà che l’autrice aveva già proposto di definire l’MP3 come un servizio.
III. Il file sharing e le logiche dei network
240
creation. Therefore, it is considered that digital music is a socially redistributed public good, which enters the paradox of the social dilemma. According to the latter, every member of a group shares a common output, regardless of whether they contribute or not. Albeit the individualistic choice of free-riding or in this case freeloading is highly practiced by peers, the continuous expansion and success of these online communities insinuates that ‘leechers’ are no real threat to the operation of P2P networks32.
Benché ne parli nei termini anglosassoni del dilemma sociale, nella
descrizione dell’autrice il file sharing funziona dunque come un autentico
sistema mutualistico, nel quale l’apporto dei singoli contribuenti è, per
definizione, diseguale, proprio perché legato ai meccanismi di redistribuzione
statuale. Con queste conclusioni, l’interpretazione di Konstantina Zerva si
avvicina perciò a quella di Bauwens, il quale ha osservato come la creazione di
beni digitali in regime di possesso comune istituisca la gratuità senza
esclusione di coloro che non partecipano alla creazione del public domain. Il
rifiuto di considerare il file sharing come dono, fa così ancora gravitare le
interpretazioni dei due autori nella sfera del «quarto paradigma», non a caso
accostato da Godbout al «secondo»:
Situato nel quadro d’insieme di ciò che circola, diventa chiaro che il dono agli sconosciuti è più legato alla spartizione che al dono di replica33.
Le pratiche di condivisione avrebbero dunque maggiore affinità con i criteri
di giustizia redistributiva che con la costruzione di socialità.
Sembra porsi su questa linea interpretativa anche Nick Dyer-Whiteford il
quale, riflettendo sulla complessità politica della pirateria e sul suo
occultamento nel discorso pubblico, ha evidenziato che
piracy is the only way many people in, say, Brazil or the Philippines, or Egypt can afford games. […] virtual piracy is (alongside the smuggling of drugs, guns, exotic animals and maritime piracy) just one of the many avenues by which immiserated planetary populations make a ~de facto~ redistribution of wealth away from the bloated centers of consumer capital. […] mass levels of piracy around the planet indicate a widespread perception that commodified digital culture imposes artificial scarcity on a technology capable of near costless cultural reproduction and circulation. These points suggest digital piracy is a classic example of the criminalized social struggles that have always accompanied enclosures of common resources, responding in this case not to capital's "primitive accumulation" of land
32 Ibidem 33 J. GODBOUT. Ce qui circule entre nous. Donner, recevoir, rendre, op. cit., p. 210.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
241
enclosures, but to its "futuristic accumulation" fencing-in digital resources34.
Dyer-Whiteford pone dunque l’accento sugli aspetti concreti del conflitto
digitale di cui Beuscart ha osservato la costruzione del piano di legittimazione
organizzato intorno al récit del dono. A tale riguardo, proprio osservando come
gli scontri sulle risorse essenziali mobilitino il piano ideale e metaforico, Jenkins
ha importato nel dibattito sulla cultura convergente il concetto di «economia
morale» elaborato dallo storico dell’economia Edward Thompson, facendo
notare come l’attrito tra la «"gift economy" of fan culture and the commodity
logic of "user-generated content»35 abbia portato sul terreno dell’elaborazione
contro-egemonica le tattiche di resistenza delle culture popolari che de Certeau
aveva descritto come meri tentativi di sopravvivenza:
This new emphasis on "participatory culture" represents a serious rethinking of the model of cultural resistance which dominated cultural studies in the 1980s and 1990s. Cultural resistance is based on the assumption that average citizens are largely locked outside of the process of cultural production and circulations; De Certeau's "tactics" (especially as elaborated through the work of John Fiske) were "survival mechanisms" which allowed us to negotiate a space for our own pleasures and meanings in a world where we mostly consumed content produced by corporate media; "poachers" in my early formulations were "rogue readers" whose very act of reading violated many of the rules set in place to police and organize culture36.
L’insistenza dei fan sul libero accesso ai contenuti prodotti dalle
communities e il rifiuto della loro mercificazione da parte dei produttori sono
quindi espressione della stessa sfida lanciata dai contadini ai proprietari terrieri
nel quadro delle rivolte alimentari del 18° secolo. Come osservava Thompson,
sottolinea infatti Jenkins,
where the public challenges landowners, their actions are typically shaped by some "legitimizing notion." He explains, "the men and women in the crowd were informed by the belief that they were defending traditional rights and customs; and in general, that they were supported by the wider consensus of the community”. In other words, the relations between landowners and peasants, or for that matter, between contemporary media producers and consumers, reflect the perceived moral and social value of
34 N. DYER-WITHEFORD, G. DE PEUTER. "Empire@Play: Virtual Games and Global Capitalism”, Ctheory, 32, 1-2, May 13, 2009; http://www.ctheory.net. 35 J. GREEN, H. JENKINS. “The Moral Economy of Web 2.0: Audience Research and Convergence Culture”, cit.. Gli autori si riferiscono all’articolo di E. P. THOMPSON. “The Moral Economy of the English Crowd in the 18th Century”, Past and Present, 50, February 1971, (pp. 76-136). 36 H. JENKINS. “Critical Information Studies For a Participatory Culture (Part Three)”, cit..
III. Il file sharing e le logiche dei network
242
those transactions37.
È in questa prospettiva che l’imposizione della gratuità operata dal file
sharing viene considerata, nei termini di Latrive, come «une riposte sociale à la
privatisation de la culture et de la connaissance»38 che si concretizza in una
sperimentazione di massa delle proprietà dell’informazione e dell’ambiente
digitale, istitutiva di un bene pubblico artificiale a disposizione della collettività.
66..22..22 IIll ffiillee sshhaarriinngg ccoommee ppoosssseessssoo ccoommuunnee bbaassaattoo ssuullllaa ppaarrtteecciippaazziioonnee
A differenza dei contributi citati finora, la tesi proposta da Michel Bauwens
si è sviluppata nel dibattito extra-accademico delle mailing list, aspetto che non
ha impedito all’ex imprenditore informatico, oggi residente in Tailandia, di
impegnarsi in un una serie di conferenze nelle principali università europee
tenute nei due anni successivi alla pubblicazione online di Peer-to-peer and
Human Evolution.
La riflessione del teorico belga sugli aspetti di nostro interesse è infatti
partita da un’opinione espressa da Stephan Merten sulla mailing list tedesca
Oekonux circa i metodi di produzione peer-to-peer, giudicati «not a gift
economy based on equal sharing, but a form of communal shareholding based
on participation»39. Accogliendo questa interpretazione, Bauwens ha infatti
osservato che nelle economie del dono, la circolazione dei beni lega il ricevente
all’obbligazione di restituire cose di valore comparabile a quanto ricevuto.
Viceversa,
In a participative system such as communal shareholding, organized around a common resource, anyone can use or contribute according to his need and inclinations40.
Le economie del dono sono dunque fondate su reciprocità, prestigio e
costruzione dell’alleanza mentre queste dinamiche, a suo avviso, non operano
in internet, dove
37 J. GREEN, H. JENKINS. “The Moral Economy of Web 2.0: Audience Research and Convergence Culture”, cit.. 38 F. LATRIVE. Le bon usage de la piraterie, op. cit., p. 160. 39 M. BAUWENS. Peer-to-peer and Human Evolution, op. cit., p. 39. 40 Ibidem
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
243
In open source production, file sharing, or knowledge exchange communities, I freely contribute, what I can, what I want, without obligation; on the recipient side, one simply takes what one needs41.
Proprio per questo, è comune che in ogni progetto basato sul web si registri
la presenza di un 10% di membri attivi e di una larga maggioranza di utenti
passivi che non contribuiscono alla formazione del patrimonio comune. Ciò può
essere seccante, ma non rappresenta mai un problema, perché l’economia del
peer-to-peer opera in regime di abbondanza, dove nessuna tragedia dei
commons o abuso individuale dei beni condivisi può danneggiare l’ecosistema
digitale. Al contrario, poiché il valore dei beni prodotti poggia sull’arricchimento
di risorse conoscitive, il loro uso intensivo non ne diminuisce il valore, ma lo
moltiplica, secondo il principio del network effect - per questo John Frow può
parlare di una Comedy of Commons42.
Bauwens evidenzia, in proposito, come non a caso il meccanismo adottato
dai sistemi P2P più recenti per aumentare l’efficienza delle reti, consista
semplicemente nel rendere automatica la partecipazione degli utenti alla
condivisione, attraverso dispositivi che gestiscono le risorse degli utenti passivi,
rendendone superflua l’azione volontaria e cosciente:
One of the key elements in the success of P2P projects, and the key to overcoming any `free rider' problem, is therefore to develop technologies of "Participation Capture"43.
Ciò significa che, come si è visto nel caso di BitTorrent, è sufficiente che gli
individui partecipino agli scambi delle piattaforme perché si crei un patrimonio
comune. Infatti, a differenza dei commons tradizionali che possono sorgere solo
a partire da risorse fisiche già esistenti, nel peer-to-peer la conoscenza
condivisa è creata proprio attraverso l’uso e lo scambio nelle reti e non esiste ex
ante44.
Le importanti differenze tra le economie del dono e la communal
shareholding creata dalle dinamiche peer-to-peer non implicano però, secondo
Bauwens, che si debba minimizzare il rapporto tra questi fenomeni e le tante
applicazioni internet che sono espressione di comunità organizzate, con ogni
41 Ivi, p. 41. 42 Ibidem 43 Ibidem 44 Ivi, p. 42.
III. Il file sharing e le logiche dei network
244
evidenza, come delle gift economies. Ciò che accomuna queste pratiche è,
infatti, il riferimento ad uno stesso ethos che può essere visto come un autentico
spirito del dono45.
Bauwens enfatizza questo aspetto, in accordo con le finalità di un saggio
che si prefigge di dimostrare come l’emergenza delle tecnologie peer-to-peer
coincida con una nuova tappa dell’evoluzione umana, nella quale gli elementi di
cooperazione e fiducia necessari al funzionamento dei mercati subiscono una
trasformazione qualitativa per adattarsi alla fase cognitiva del tardo capitalismo.
In questo passaggio, la collaborazione meccanica e neutrale che si
accompagna alla logica dello scambio commerciale, diviene infatti sinergica,
consapevolmente collaborativa e automaticamente inclusiva. Il teorico rifiuta di
considerare come tecnologicamente (o economicamente) determinata questa
trasformazione della base produttiva del late capitalism, che vede
essenzialmente come il risultato di scelte politiche prodotte da un «radical social
imaginary» incorporato nelle tecnologie46, ma tende a considerarla irreversibile,
dedicando scarsa attenzione ai conflitti che passano per i tentativi di chiusura
degli artefatti digitali e per il governo di internet. In questo modo, il fatto che lo
studioso delinei, nelle conclusioni, tre possibili scenari di conflitto o coesistenza
tra capitalismo cognitivo e peer-to-peer, non modifica il senso di una riflessione
volta ad analizzare «la tendenza fondamentale di un nuovo ordine di civiltà»
caratterizzato dall’emergenza delle pratiche peer-to-peer47.
In conclusione, se si fa astrazione dalle considerazioni di ampio respiro di
Bauwens e da alcuni elementi di accentuazione dei conflitti presenti in Dyer-
Whiteford, le interpretazioni alternative all’economia del dono si accordano su
molti elementi di analisi, tanto che alcune differenziazioni finiscono per risultare
quasi esclusivamente nominali. Il file sharing è infatti incluso tra le
sperimentazioni sociali della natura di bene pubblico dell’informazione, anche se
Bauwens attenua l’opposizione tra redistribuzione e reciprocità su cui insiste
Konstantina Zerva, facendo rilevare come, nonostante la forte presenza dello
spirito del dono nell’ambiente digitale, le logiche della restituzione e del prestigio
non siano dominanti nella sfera del peer-to-peer. Si distacca, invece, da questo
45 Ibidem 46 Ivi, p. 18. Bauwens si riferisce esplicitamente a Cornelis Castoriadis. L’institution imaginaire de la société, Paris: Éditions du Seuil, 1975. 47 M. BAUWENS. Peer-to-peer and Human Evolution, op. cit., pp. 66; 67.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
245
ordine di problemi, Jean-Samuel Beuscart che porta la sua critica alla narrativa
del dono riflettendo sulle modalità di interazione sociale delle reti e integrando
con importanti considerazioni le tesi esposte da questi autori.
66..22..33 IIll ffiillee sshhaarriinngg ccoommee ssoolliiddaarriieettàà tteeccnniiccaa
La force sociologique de cette solidarité, sa capacité à lier les humaines les unes aux autres au delà même de ce qu’ils peuvent viser dans leurs actions, est d’autant plus grande que les objets ont une capacité de fonctionnement autonome, c’est-à-dire qu’ils
sont des machines, ou encore, dans la terminologie de Simondon, des véritables « objets techniques », plutôt que des outils. La solidarité technique est par ailleurs
d’autant plus étendue que les objets ne sont pas isolés, mais connecté les uns aux autres dans des chaînes de solidarité. C’est ici également que la notion de réseau […]
acquiert sa pertinence.
N. Dodier48
La critica mossa da Jean-Samuel Beuscart alle interpretazioni più comuni
del file sharing, poggia sul rifiuto delle letture che ne descrivono le pratiche
puntando sulle motivazioni psicologiche e su una sua presunta razionalità
dominante. La posizione dello studioso è quindi dichiaratamente distante sia
dall’analisi economica che considera il funzionamento degli ambienti di
condivisione come il risultato della produzione decentralizzata di un bene
collettivo, sia dal discorso, «à la fois savant et indigène», che spiega i
comportamenti peer-to-peer attraverso le categorie di comunità e dono49. Si
tratta, infatti, di tesi che «font résider le fonctionnement du dispositif tout entier
dans les motivation et la rationalité des acteurs et font disparaître le dispositif»50
mentre, a suo avviso, non è possibile comprendere il tipo di legame e di
responsabilità che si instaura nelle reti peer-to-peer senza esaminare il
funzionamento degli insiemi tecnici entro cui si realizza la condivisione, nonché
le specifiche modalità di interazione individuale e tecnologica sostenute da
queste reti.
La tesi proposta dalla letteratura sui beni pubblici, secondo la quale la
collaborazione digitale è frutto di una razionalità egoistica (swarming
intelligence), non può infatti spiegare cosa spinga gli utenti di una rete di file
48 N. DODIER. Les hommes et le machines : la conscience collective dans les sociétés technicisées, Paris : Metailié, 1995, pp. 14-15. 49 J.-S. BEUSCART. “Les usagers de Napster, entre communauté et clientèle. Construction et régulation d'un collectif sociotechnique", cit., pp. 470 ; 474. 50 Ivi, p. 474.
III. Il file sharing e le logiche dei network
246
sharing ad arricchire il patrimonio comune, stante che
Dans le cas de grands groupes anonymes dans lesquels n’existent pas d’incitation sélectives positives (récompense) ou négatives (contraintes) au comportement altruiste, l’individu rationnel a intérêt à consommer au maximum le bien public gratuit sans en supporter (au moins d’y être contraint) les coûts d’entretien : le passager clandestin est la règle non l’exception51.
Allo stesso tempo, il dibattito che enfatizza gli aspetti comunitari
dell’arricchimento del dominio pubblico non riesce a dar conto delle difficoltà dei
collettivi socio-tecnici di funzionare in modo totalmente decentralizzato e a fare
a meno di una certa forma di autorità:
Les communautés virtuelles ne peuvent réellement fonctionner sur le modèle décentralisé et égalitaire qu’elle affichent ; le fonctionnement du collectif repose la plupart du temps sur une minorité d’individus ayant une position de premier plan, officielle ou de fait et le don est surtout le fait d’un petit nombre de membre du collectif52.
Il fatto che nei network anonimi i comportamenti opportunistici siano diffusi
ma non escludano cooperazione e gratuità mostra quindi secondo Beuscart,
che entrambe le interpretazioni inquadrano parzialmente le pratiche che
vorrebbero descrivere, funzionando solo a costo di occultare o minimizzare ciò
che l’uno o l’altro schema di riferimento non può giustificare. Al contrario,
tenendo conto delle negoziazioni con le istanze tecniche che impegnano gli
utenti delle piattaforme P2P, si osserva come i registri d’azione assolutizzati dai
modelli del bene pubblico e del dono si combinino sistematicamente, dando
luogo a configurazioni ibride nelle quali considerazioni morali e tecniche si
trovano costantemente intrecciate.
Focalizzando l’attenzione sulle pratiche concrete degli utenti, Beuscart trova
così conferma all’idea che la collaborazione online sia connessa
all’instaurazione di una «solidarietà tecnica», descritta tra i primi dal sociologo
del lavoro Nicolas Dodier, la quale lega appunto gli individui che agiscono
attraverso gli oggetti tecnici e si prendono cura del loro funzionamento53. Gli
utenti dei sistemi di condivisione sono infatti inseriti in vaste reti socio-tecniche,
nelle quali l’attività di ognuno ha per obiettivo la ricerca di un’efficacia tanto
51 Ivi, p. 470. 52 Ivi, p. 473. 53 Ivi, p. 470, et N. DODIER. Les hommes et le machines : la conscience collective dans les sociétés technicisées, op. cit., p. 4.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
247
locale che globale, dove è perseguito simultaneamente il successo dell’azione
tecnica di ogni punto della rete e il funzionamento complessivo del sistema54. In
questo modo,
le fait pour l’usager de contribuer ou non au bien public est le résultat d’une négociation avec l’objet technique qui est en même temps une relation normative à l’ensemble du collectif sociotechnique55.
La scelta di condividere i propri file va quindi intesa come una negoziazione
con l’oggetto tecnico e con la sua normatività, il cui esito dipende allo stesso
tempo da condizioni individuali e locali, quali le competenze tecniche degli
utilizzatori e la loro conoscenza del programma. Beuscart argomenta questa
tesi facendo osservare come le opzioni di default dei primi software di
condivisione – l’articolo dello studioso è infatti un commentario delle pratiche di
Napster – fossero congegnate in modo che, senza un intervento di modifica da
parte dell’utente, i file contenuti della cartella di sistema creata sul suo disco,
fossero messi a disposizione degli altri partecipanti. In questo modo, in assenza
della volontà di cambiare queste prescrizioni o della capacità di farlo, il sistema
tecnico impone la sua normatività (o habitus tecnologico, secondo la
terminologia bourdieuiana di Stern), così che la «produzione di compatibilità»
tra uomo e macchina realizza un’«armonia prestabilita», descritta da Dodier
come la configurazione nella quale l’incontro tra l’attività normativa e la
flessibilità degli individui e degli artefatti tecnici inclina al reciproco
adattamento56.
Nel caso l’utente possieda i requisiti di competenza necessari per
modificare queste specificazioni, la scelta di condividere prende invece la forma
di un arbitrato tra l’efficacia dell’uso personale e un imperativo esterno di
funzionamento globale del collettivo socio-tecnico, in cui la prima è funzione dei
54 Ivi, p. 474. 55 Ibidem 56 Ibid. Si veda Dodier : «Le fonctionnement des ensembles techniques passe pour la production de compatibilité entre les êtres qui sont en position de voisinage sur les chaînes de solidarité. Cette production de compatibilité est […] une rencontre entre des "forces", cette rencontre est une mélange, de part et d’autre, entre une activité normative et un travail d’adaptation. Chaque face, qu’il s’agisse d’un objet ou d’un humain possède une capacité normative et une capacité à être modulée, sa souplesse. On distinguera alors plusieurs figures de réalisation de compatibilité. Dans la première, le fonctionnement par harmonie préétablie, chaque face se présente dans un état qui est compatible avec celui de l’autre face […], dans la deuxième figure l’un des êtres en présence est amené à se transformer pour s’adapter aux exigences de son vis-à-vis. Dans le cours du fonctionnement cela se manifeste par une friction dans le rapport du voisinage […]. N. DODIER. Les hommes et le machines : la conscience collective dans les sociétés technicisées, op. cit., p. 49.
III. Il file sharing e le logiche dei network
248
parametri tecnici che vincolano l’attività individuale, come la potenza del
computer e la velocità della connessione utilizzata, mentre il secondo è una
prescrizione di ordine morale che impone di contribuire alla ricchezza della
piattaforma. L’imperativo a cooperare, infatti,
formule une règle de participation au collectif de chacun, un principe de réciprocité entre l’usager et le reste du collectif. Le logiciel rappelle cet impératif par sa construction et sa terminologie : l’usage du mot « partage » y est récurrent dans les différentes fonctionnalités […]. Cette négociation entre un impératif moral et des considérations d’optimisation personnelle de l’usage est présente chez tous les usagers, plus ou moins consciente, plus ou moins explicitement problématisé57.
Ciò che Beuscart tiene a sottolineare è che nel funzionamento della
solidarietà tecnica la negoziazione tra le differenti istanze lascia sempre un
margine di azione all’utente che lo autorizza a dare diverse letture delle regole e
dello stesso imperativo morale che le sostiene, delegando all’individuo-
utilizzatore la facoltà di esercitare in certa misura la propria intelligenza e la
propria moralità. In altri termini, «le fonctionnement de la solidarité technique
contraint les pratiques sans les déterminer, et laisse une place à l’interprétation
que font les usagers du système58.
L’adozione di questa prospettiva permette così all’autore di tenere insieme
le definizioni su cui si divide la restante letteratura, riconoscendo la componente
altruistica non meno che egoistica dei comportamenti peer-to-peer e l’ambigua
natura di questa pratica, a metà tra fenomeno di consumo e scambio
interpersonale. In proposito, Beuscart si dice convinto della prevalenza degli
aspetti di consumo, attribuendo una preminenza interpretativa alla visione del
P2P come sottrazione dei peer alla scarsità imposta dall’industria, ma non
manca di sottolineare come
ces pratiques d’échange recréent, au sein du vaste collectif anonyme qu’est Napster, de petite communautés spontanées au seins desquelles s’organisent des interactions réelles59.
Ne conclude che anche se la logica individualistica del consumo resta
dominante nel file sharing, la cooperazione è regolarmente imposta dal
57 J.-S. BEUSCART. “Les usagers de Napster, entre communauté et clientèle. Construction et régulation d'un collectif sociotechnique", cit., pp. 474-475. 58 Ivi, p. 476. 59 Ivi, p. 478.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
249
funzionamento della solidarietà tecnica «esattamente nello stesso modo in cui è
mobilitata dagli utenti più entusiasti»60, benché sfugga ai collettivi la capacità di
controllarla e di imporla all’ambiente socio-tecnico in modo cosciente61. Ciò
comporta, a suo giudizio, che la pressione del commercio sulle pratiche
cooperative nel tentativo di volgerle a vantaggio delle imprese sia destinato
all’insuccesso, perché le modifiche di sistema necessarie per imporre un nuovo
statuto alla solidarietà tecnica digitale inciderebbero necessariamente sugli
imperativi morali veicolati dalle tecnologie, alterando gli attuali principi
autoorganizzativi delle reti. L’insuccesso e il declino della collaborazione in siti
come il BitTorrent Entertainement Network, in cui al costo di poco più di un
dollaro si riproduce un’esperienza simile al file sharing – condivisione di banda e
disco a sostegno del network di noleggio – sembrerebbe confermarlo, benché
sia difficile valutare questa circostanza in un contesto in cui, come ha
giustamente evidenziato Bauwens, l’attività cooperativa equivale alla semplice
partecipazione al network.
Un aspetto interessante dell’approccio di Beuscart è il fatto che si concentra
sull’attività degli individui attraverso le reti, piuttosto che sulla genesi di questi
ambienti62; la riflessione sull’evoluzione di internet enfatizza dunque i processi
culturali legati all’uso delle tecnologie, invertendo essenzialmente l’uso
lessighiano del costruttivismo. Sulla stessa linea di ricerca si è posto
recentemente anche Lovink, il quale ha osservato come
[we] would be to study, in detail, how users interact with applications and influence their further development. Network cultures come into being as a ‘productive friction’ between inter-human dynamics and the given framework of software. The social dynamics that develop within networks is not ‘garbage’ but essence. The aim of networks is not transportation of data but contestation of systems63.
Entrambi gli autori sottolineano quindi la plasticità delle tecnologie digitali e
la flessibilità della normatività incorporata in questi artefatti rispetto agli usi degli
utenti, anche se Beuscart guarda più agli spazi di autonomia dei singoli
60 Ibidem 61 Va notato, peraltro, che i sistemi successivi hanno incentivato la propensione allo scambio puntando più che sulla forza del “discorso” e sulla netiquette, su architetture in grado di massimizzare l’effetto di armonia prestabilita descritto da Dodier. 62 Nel programma di Dodier è ap punto enunciato l’obiettivo di « partir du fonctionnement des objets techniques plutôt que de leur genèse». N. DODIER. Les hommes et le machines : la conscience collective dans les sociétés technicisées, op. cit., p. 46. 63 G. LOVINK. “The Principle of Notworking. Concept in Critical Internet Culture”, cit., p. 6.
III. Il file sharing e le logiche dei network
250
utilizzatori, mentre Lovink soprattutto alle dinamiche culturali stimolate dalle
pratiche digitali. Ponendosi dal punto di vista dell’utente, Beuscart segnala
come la chiusura tecnologica degli oggetti tecnici non sia mai completa e come
dunque le pratiche di condivisione si trovino ingaggiate tra l’armonia prestabilita
progettata dai sistemi e la continua divergenza delle azioni e dei
comportamenti, resa tanto più possibile dall’(attuale) apertura strutturale delle
tecnologie digitali. Conformemente al punto di vista individualistico adottato,
l’autore lascia perciò cadere l’interrogativo sul senso dell’azione prevalente
nelle reti di file sharing.
Puntare l’attenzione sulla variabilità delle logiche degli utenti fa però
perdere di vista che la cultura network «tende non tanto a spezzettarsi in cellule
individuali, quanto a divergere, e a ibridarsi intorno alle qualità peculiari di
differenti ambienti e culture»64, facendo emergere tendenze organizzative ben
riconoscibili. Tra le migliori sintesi, l’ultimo libro di Benkler ha inventariato
queste formazioni, ponendo l’accento su due diverse modalità di cooperazione
e sul loro ruolo fondamentale nei fenomeni di rete:
[…] the fact that every such effort is available to anyone connected to the network, from anywhere, has led to the emergence of coordinate effects, where the aggregate effect of individual action, even when it is not self-consciously cooperative, produces the coordinate effect of a new and rich information environment [but] most radical, new, and difficult for observers to believe, is the rise of effective, large-scale cooperative efforts—peer production of information, knowledge, and culture. These are typified by the emergence of free and open-source software. We are beginning to see the expansion of this model not only to our core software platforms, but beyond them into every domain of information and cultural production […] from peer production of encyclopedias, to news and commentary, to immersive entertainment65.
L’introduzione di Wealth of the Networks segnala, quindi, la coesistenza
nell’ambiente digitale di un tipo di cooperazione frutto dell’effetto coordinato e
automatico di azioni individuali ripetute su vasta scala, e di un’attività di
collaborazione intenzionalmente mirata allo sviluppo di beni e utilità, sempre più
importante nel contesto della produzione culturale. Il caso di studio che si
propone nelle pagine seguenti, ci permetterà di mostrare come le reti di file
64 T. TERRANOVA. Network Culture (2004), trad. it. Cultura Network. Per una micropolitica dell’informazione, Roma: Manifestolibri, 2006, p. 76. 65 Y. BENKLER. The Wealth of the Networks. How social production transforms Markets and Freedom, op. cit., pp. 3-4.
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III. Il file sharing e le logiche dei network
252
type d’arme utilisée68.
Queste attività, di cui la ricercatrice segnala la ricchezza culturale e
tecnica69 si sviluppano, generalmente, all’interno di comunità digitali
specializzate nella produzione di release, cioè di copie di film, videogiochi e
software ottenute dalla decompilazione di CD o DVD e dalla codifica di
registrazioni televisive o eseguite in sala, corredate di una serie di utilità che
vanno appunto dalla sottotitolazione di film stranieri, all’inclusione di recensioni,
trailer, fotogrammi e certificazioni di qualità dei materiali condivisi. Sono perciò
queste aggregazioni di utenti, collegate ad una o più piattaforme peer-to-peer e
funzionanti come forum di discussione e di scambio di link, i luoghi in cui si
concretizza la marcata vocazione produttiva delle culture dei fan e in cui la
pratica anonima della condivisione assume una forma comunitaria70.
Esaminiamo questo genere di attività attraverso il caso di eMulelinks, una
delle comunità italiane di condivisione di link più numerose, della quale abbiamo
studiato dinamiche e principi di funzionamento, isolatamente e in relazione ad
eMule, osservando per quattro settimane – dalla metà di agosto alla metà di
settembre 2009 – le discussioni aperte nei forum, le prassi di iniziazione, di
disciplinamento e di bando attivate dagli amministratori del sito, e
analizzandone i regolamenti, tecnici e politici, codificati dai partecipanti.
Prima di una serie di chiusure, avvenute su sollecitazione di utenti o di
agenzie di collecting, emuelinks raggiungeva i 23.000 iscritti, mentre nel periodo
interessato dall’osservazione il sito segnalava l’adesione di 679 utenti, dopo la
migrazione su un server brasiliano seguita all’ultima disconnessione che ha
68 Ivi. 69 Nel nel caso degli appassionati di manga, Jenkins ha segnalato, ad esempio, come molti fan americani del genere abbiano appreso il giapponese per poter leggere i fumetti originali e poi sottotitolarne le copie in rete: «American fans have learned Japanese, often teaching each other outside of a formal educational context, in order to participate in grassroots projects to subtitle anime films or to translate manga. Concerned about different national expectations about what kinds of animation are appropriate for children, anime fans have organized their own ratings groups. This is a new cosmopolitanism - knowledge sharing on a global scale». H. JENKINS. “Interactive Audiences?”, in D. HARRIES (ed.) The New Media Book, London: British Film Institute, 2002, (pp. 157–170); http://web.mit.edu/cms/People/henry3/collective%20intelligence.html (ristampato in H. JENKINS. Fans, Bloggers and Gamers. Exploring Participatory Culture (2006), trad. it. Fan, blogger e videogamers. L’emergere delle culture partecipative nell’era digitale, Milano: Angeli, 2008, (pp. 160-180), p. 168. 70 Come notano Cooper ed Harris, oltre alle comunità dedite alla produzione di release (release group), esistono anche gruppi specializzati nella loro diffusione (courier group). J. COOPER, D. M. HARRISON. “The social organization of audio piracy on the Internet”, Media, Culture and Society, 23, 1, 2001, p. 85; http://mcs.sagepub.com/cgi/content/abstract/23/1/71.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
253
reso indisponibile il servizio da aprile a luglio71. Come si è anticipato, l’attività di
questa comunità consiste essenzialmente nella produzione di release e nella
messa a disposizione su eMule di materiali autoprodotti, di qualità certificata
dagli stessi utenti. I link sono infatti testati dalla comunità che provvede ad
eliminare i falsi e ad attestare la corrispondenza dei contenuti a criteri di
veridicità e a standard di qualità delle produzioni.
Dopo essersi iscritti, aver preso visione delle regole della comunità ed
essersi presentati su un forum dedicato - che ha lo stesso nome di una
trasmissione televisiva in onda a mezzogiorno su una delle reti pubbliche - i
membri della community possono iniziare a inserire richieste di fornitura di
specifici contenuti che verranno esaudite da qualcuno dei presenti. La
collaborazione tra utenti prende così la forma di una serie di forum, il principale
dei quali si presenta come una messaggeria nella quale alle richieste di
elaborazione di release di film, videogiochi o software - scaricabili da eMule – i
beneficiari rispondono con una serie di commenti, ringraziamenti e valutazioni
dei materiali prodotti. I partecipanti a questo collettivo sono sia in relazione
diretta attraverso le caselle di posta personali, che in un contesto di
comunicazione pubblica, gestito dagli amministratori del sito, i quali
contrassegnano i messaggi indirizzati ai forum con icone che segnalano lo stato
della richiesta e la qualità delle risposte.
Se la si confronta con le osservazioni di Beuscart, che agli scambi di link
prima di Napster ha dedicato tutta la prima parte del suo articolo,
l’organizzazione sociale di comunità come eMulelinks conserva quindi una
modalità arcaica, pre-automatica, di relazione peer-to-peer, nella quale i singoli
utenti si trovano ancora a negoziare e trattare secondo complicati codici
relazionali l’accesso al download dei beni digitali72. La differenza che però
emerge immediatamente tra l’evoluzione osservata dal ricercatore e
l’organizzazione di questi collettivi è che, diversamente da quanto accadeva
precedentemente a Napster, dove l’accesso ai siti di download era regolato da
uno stretto controllo volto a selezionare gli utenti e a prevenire «le pillage et les
71 Queste informazioni sono tratte dai forum del sito, nei quali gli utenti dialogano con gli amministratori, commentando gli eventi seguiti alla disconnessione. 72 J.-S. BEUSCART. "Les usagers de Napster entre communauté et clientèle. Construction et regulation d’un collectif socio-technique", cit., pp. 465-466.
III. Il file sharing e le logiche dei network
254
comportements trop individualistes, [notamment] l’abus d’avidité musicale»73,
l’obiettivo di comunità come eMulelinks è di estendere il più possibile la
partecipazione ai network e rendere efficienti le pratiche di condivisione,
creando un ambiente stabile di comunicazione tra i produttori di release e i
semplici fruitori, e promovendo la diffusione delle competenze di base dell’input
del file sharing.
La trasformazione organizzativa del P2P che Beuscart descrive nel
momento di passaggio dalla preistoria dialogica e cerimoniale dei siti di
download all’anonimità delle piattaforme74, deve quindi essere integrata con
l’osservazione dell’articolazione interna di queste reti che, già nella ricerca
condotta da Cooper ed Harrison nel 2001, si presentavano organizzate tra gli
scambi anonimi e volatili delle piattaforme e la cooperazione comunitaria dei
produttori di release75. Interessato ad illustrare gli automatismi della solidarietà
tecnica e a dimostrare l’insufficienza delle prospettive psicologiche e delle
analisi politiche del file sharing, Beuscart ha infatti sottovalutato l’apporto
dell’economia del dono – come effetto aggregato di decisioni consapevoli degli
utenti - alle pratiche di condivisione, attribuendo alle attività delle comunità di
produttori un peso equivalente alla loro incidenza statistica in rapporto alla
massa di utilizzatori passivi delle piattaforme. Poiché lo studioso si focalizza
sulla persistenza degli imperativi morali in dispositivi tecnici sempre più anonimi,
le sue importanti osservazioni passano però a lato del funzionamento del file
sharing, ignorando che la struttura dei dispositivi digitali si è sempre basata sul
dono hacker di beni e saperi e su reti aperte nelle quali la partecipazione al
patrimonio comune non è stata soggetta, di norma, ad autorizzazione
all’accesso. Proprio perchè la proprietà intellettuale non ha avuto corso nella
costruzione di questi dispositivi, la distinzione tra creatori e utenti passivi non ha
dunque mai giocato il ruolo fondamentale che i commentatori, dagli Huberman
allo stesso Beuscart, continuano ad attribuirle. Quantitativamente minoritaria,
l’economia del dono rappresenta infatti non soltanto lo spirito dei network o, nei
73 Ivi, p. 466. 74 Beuscart cita, in proposito, l’ironico commento di un utente che descrive la condivisione prima di Napster come un continuo mercanteggiare l’accesso e il download : «Donc il y a ce principe-là: après il y a le principe du chat, parce que parfois en fait tu peux accéder au site mais tu peux pas télécharger ; donc en fait il faut que tu discute avec l’administrateur "salut, ça va qu’est-ce que tu fais dans la vie blabla" tu vois, tu tchatches un peu avec le bonhomme, et puis ensuite au final tu dis est-ce qui y a moyen d’avoir un passe ; il te dis oui ou non il y a moyen d’avoir un passe, tu le marchandes en fait faut toujours marchander». Ibidem. 75 J. COOPER, D. M. HARRISON. “The social organization of audio piracy on the Internet”, cit..
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
255
termini del sociologo, l’espressione di una solidarietà tecnica che inclina i
partecipanti al rispetto delle convenzioni sociali incorporate dalle tecnologie, ma
anche quell’insieme di pratiche che avvia concretamente la circolazione
anonima di beni e riproduce l’ethos delle reti.
Il ricercatore coglie quindi nella riduzione degli scambi interpersonali a
partire da Napster un elemento importante della maturità del file sharing che
però non può essere compreso senza osservarne la relazione con la
comunicazione comunitaria di collettivi come eMulelinks, in cui gli utenti si
prendono cura della qualità dei beni condivisi e della volgarizzazione delle
competenze necessarie a realizzarli.
Un aspetto importante delle interazioni all’interno di queste comunità è
infatti lo scambio di informazioni sulle procedure da seguire per produrre delle
buone release e sui migliori software disponibili in rete per la decompilazione
dei codici di sicurezza. EMulelinks mette a disposizione oltre cinquanta guide in
italiano alla soluzione dei principali problemi di gestione dei programmi di social
network, di aggiramento delle procedure anticopia, di riparazione hardware, di
installazione di software e videogiochi, nonché delle tecniche di duplicazione in
riferimento alle problematiche audio, grafiche, foto, video, musica, anime e
cartoons76. Questa banca dati collegata ai forum di argomento tecnico,
rappresenta quindi il patrimonio di saperi che la comunità di pratica diffonde a
vantaggio degli utenti desiderosi di perfezionare le proprie abilità di cracker77,
estendendo e riproducendo nei nuovi partecipanti le competenze di base della
produzione peer-to-peer.
Entrando nel dettaglio dell’organizzazione sociale di eMulelinks, si osserva
che la vita della comunità è regolata da una serie di prescrizioni contenute in
una «costituzione tecnica» e in una «politica» che vincolano i membri al rispetto
di un codice di condotta la cui violazione dà seguito al richiamo o al bando da
parte degli amministratori del sito. La prima sezione tecnica di questa sorta di
contratto sociale pattuito all’interno della piattaforma, definisce dettagliatamente
le modalità attraverso cui link, immagini e video devono essere introdotti nel
76 Http://e.emulelinks.org/emulelinks/viewtopic.php?f=114&t=87. 77 Termine coniato dal filone purista del dibattito hacker, al fine di distinguere l’attività intellettuale e «just for fun» di creazione dei software, da quella meno stimabile dei produttori di crack, gli stratagemmi di aggiramento delle protezioni.
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6. Per un’antropologia del peer-to-peer
257
garantendo l’armonia interna, la sicurezza e la qualità delle sue produzioni.
Questo regolamento, che abbiamo distinto da quello tecnico, attribuendogli la
funzione di «costituzione politica» contiene, oltre alle norme di comportamento e
all’indicazione delle sanzioni e delle loro modalità di irrogazione, una premessa
relativa all’identità del sito e alle pratiche che si vi svolgono. È qui che si
segnala, quale autodifesa preventiva all’accusa di infrazione al copyright, che il
sito «non contiene materiale sul proprio server, ma utilizza solo dei bbcode –
vale a dire dei codici che producono i link ai sistemi ed2k come eMule (ndr) -
per il redirect su emule dei file già presenti sui server messi in share da altre
persone! quindi il nostro forum è da considerarsi come un motore di ricerca»79.
In tutta evidenza, il messaggio oscura la differenza tra l’attività di
indicizzazione dei file, svolta dai motori di ricerca, e quella di richiesta,
apprendimento e realizzazione delle release praticata dai membri della
community, mentre pone l’accento, in linea con il tradizionale argomento
difensivo avanzato nei processi, sull’assenza fisica all’interno del sito di
contenuti protetti da copyright. Ciò che è messo a disposizione all’interno di
communities come eMulelinks, sono infatti dei connettori logici che rinviano ad
una piattaforma di condivisione, la quale a sua volta mette in comunicazione le
banche dati dei singoli utenti.
Dopo la somministrazione di questa avvertenza, tanto più utile se si
considera come la forza persuasiva dei messaggi mediatici contro il file sharing
spinga, a volte, degli utenti a denunciare le pratiche illecite che si svolgono nel
sito - come sembra sia accaduto in occasione della disconnessione più recente
- segue l’esposizione di cinque regole tassative, volte ad assicurare la coesione
del collettivo e i livelli qualitativi delle sue produzioni:
Questo è un sito libero e perciò, qualsiasi iniziativa è vista di buon occhio da parte dello Staff. Le semplicissime regole da seguire: 1) La discussione non è bandita. Anzi a volte contribuisce alla crescita del Sito. Sono Tassativamente Vietate aggressioni Verbali condite da Bestemmie e Insulti. 2) é Tassativamente Vietato copiare pari pari release postate precedentemente su altri siti.
79 Http://e.emulelinks.org/emulelinks/viewtopic.php?f=4&t=55
III. Il file sharing e le logiche dei network
258
3) è Tassativamente Vietato rellare film o cartoni di chiaro stampo Hard o peggio. Gli Hentai, per lo meno la loro maggioranza, sono Interdetti. Su questo farà fede la classificazione IMDB. Nessuna deroga. Il Violare una di queste 3 norme, comporta un richiamo scritto. Non ce ne sarà un secondo. Al secondo tentativo, si verrà Bannati. Se possibile, tramite Ip, se non coinvolgiamo troppa gente. Altrimenti, verrà bannato il nick in questione. 4) E severamente vietato spammare nella TagBoard, dopo il primo richiamo di un Mod, alla seconda infrazione, BAN per un giorno. 5) Sono consentiti tutti link ed2k, a patto che siano stati testati prima. Sono proibiti link diretti esterni. Sono consentiti solo link esterni anonimi. Sono proibiti i link esterni che rimandino a forum concorrenti ed è vietato pubblicizzare il proprio sito o forum. Postare link esterni senza autorizzazione di un Admin o Global Mod, potrà provocare l’immediato BAN dell’utente senza preavviso. Lo Staff80
Come si vede, tre dei cinque principi di regolazione introdotti dal testo
hanno lo scopo di neutralizzare le possibili derive disgreganti della community,
derivanti dalle intemperanze comportamentali degli iscritti e dalle conflittualità
interne (art. 1), o delle agressioni esterne, rappresentate dallo spam e
dall’invadenza del porno. Flame e spam sono infatti tradizionali elementi di
disturbo dei collettivi informatici, in grado di distruggere il gradimento dei siti e di
allontanare gli utenti, mentre il bando del porno si deve al fatto che la presenza
di questi contenuti può proliferare fino a diventare lo scopo principale del sito,
introdurre spyware e virus e far scattare controlli e sanzioni da parte dell’autorità
giudiziaria (art. 3). L’art. 3 si prende quindi cura del fine sociale della
community, consistente nella condivisione di file e di conoscenze, evitando che
la presenza di link a contenuti pornografici attiri membri motivati esclusivamente
dalla disponibilità di questo materiale.
Le regole enunciate dagli articoli 2 e 5 vanno invece intese come principi di
salvaguardia della reputazione del sito e di promozione della sua capacità di
competere con comunità analoghe per qualità, velocità e originalità delle
release. Che la finalità principale del sito non sia quella di facilitare il
reperimento dei file, ma di produrli e immetterli nella circolazione P2P, appare
80 Http://e.emulelinks.org/emulelinks/viewtopic.php?f=4&t=55.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
259
evidente oltre che dal primo dei due articoli, che garantisce l’esclusività
dell’appartenza alla community e delle sue produzioni, dalla proibizione fissata
nel quinto a inserire link ad altri siti, forum o newsgroup. Solo attraverso una
valutazione caso per caso sono infatti pubblicabili i link a contenuti esterni che
devono comunque essere anonimi e immuni dalla presenza di virus.
Come segnalato da Cooper ed Harrison, lo spirito agonistico dei gruppi di
utenti dediti all’arricchimento delle reti P2P e la «friendly competition» per le
migliori performance si confermano quindi come i principi d’azione di collettivi
come eMulelinks, nei quali la circolazione del prestigio, tanto del singolo cracker
che della sua comunità, attesta la presenza a pieno titolo delle dinamiche del
dono. Donare qualcosa ha infatti senso se introduce novità nella relazione e se
arricchisce il destinatario dell’omaggio di qualcosa che non possedeva. È per
questo che la particolare gerarchia tra gruppi di produttori di release si lega alla
capacità di realizzare nuove copie e di distribuirle il più velocemente possibile:
Duplicating release that another group has already released is considered extremely “lame” and push the group’s status downward very quickly. A weekly scene report ranks groups by amount the data they disseminate on popular IRC channels and to the largest sites in the world81.
Queste dinamiche, studiate tra i primi dai due studiosi, non sembrano
quindi presentare variazioni significative rispetto al loro significato originario, ed
evidenziano la persistente identità delle pratiche peer-to-peer lungo le
trasformazioni dei protocolli tecnici. Il retroscena generativo delle piattaforme
globali di file sharing resta infatti organizzato come una galassia di comunità di
pratica, nelle quali gli utenti si aggregano intorno alla condivisione
dell’informazione e si distinguono per il contributo fornito all’arricchimento di
beni e saperi della più vasta collettività di sharer. È il collegamento tra queste
comunità di produttori e l’enorme bacino di utenti delle reti di condivisione a
creare le sinergie vincenti del file sharing, nelle quali l’attività dei collettivi
motivati dal prestigio incrocia le masse anonime di utilizzatori finali
numericamente impossibili da controllare.
Le difficoltà intepretative delle pratiche peer-to-peer sembrano perciò
generate proprio nell’incontro delle logiche microfisiche di gruppi come
eMulelinks e quelle delle reti globali di utenti isolati e dispersi, codificate nella
81 J. COOPER, D. M. HARRISON. “The social organization of audio piracy on the Internet”, cit., p. 85.
III. Il file sharing e le logiche dei network
260
solidarietà tecnica dell’infrastruttura digitale. La loro distanza, teoricamente
infinita, è invece percorribile, come suggerisce il messaggio lanciato da
Mammadou du 93 a «un amis gaulois qui trouvera ce fichier»:
Merci de ne pas supprimer ce fichier pour garder une trace de mon travail parce que c’est ça le partage. Réalisation : Mammadou ( oui, des immigrés qui habitent dans le 93, qui ne volent pas, qui maitrisent le Français et l’anglais et plus, ça existe, je vous le jure). A toi mon ami Gaulois, prends ce fichier de sous-titres et sois moins méchant, la prochaine fois un Mammadou c’est peut être moi :) Ci-joints les sous-titres en Français sous différents formats, du film "fahrenheit 9/11" de Michael Moore. Il s’agit d’une version plus longue que celle au cinéma82.
Questo giovane di Saint Denis teorizza infatti, non solo il consumo comune
come un dono che crea un legame di solidarietà tra il produttore e il beneficiario
di una copia sottotitolata di Fahrenheit 9/11, ma anche il possibile superamento
di barriere etniche e sociali attraverso una comunicazione elettronica
riaggregata localmente dalla mediazione linguistica. Ciò accade, come nota
Lorence Allard, perché l’omologia tra il funzionamento dei dispositivi e le logiche
d’uso che regola la solidarietà tecnica digitale fa si che gli stessi oggetti
scambiati non siano ormai più delle copie di beni commerciali, ma degli «objets
filmiques» resi unici dalla loro ricezione, ovvero dei «films parlés»83, attraverso i
quali i produttori di release estendono le reti di solidarietà oltre gli immediati
confini comunitari.
66..44 VVeerrssoo uunnaa tteeoorriiaa ddeell ppeeeerr--ttoo--ppeeeerr
Questi aspetti sono però assenti dal dibattito regolativo, che spicca invece
per una significativa sopravvalutazione della dimensione tecnica ed economica
del file sharing. Si è già osservato infatti come, mentre gli ingegneri puntano
l’attenzione sulle problematiche dell’end-to-end e dell’apertura dei dispositivi
digitali, i giuristi si focalizzino soprattutto sulle cause economiche del successo
del peer-to-peer, dando vita a una letteratura che tende a interpretare queste
pratiche come l’effetto di condizioni tecnologiche reversibili, sfruttate dai
82 L. ALLARD. "Express yourself 2.0 ! Blogs, podcasts, fansubbing, mashups... : de quelques agrégats technoculturels à l’âge de l’expressivisme généralisé", cit. 83 Ibidem.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
261
newcomers dell’imprenditoria informatica ai danni dei laters della produzione
audiovisiva.
In questo contesto, gli usi e le attività degli utenti rivestono perciò un
interesse marginale, in quanto immediatamente trasparenti sia ad una
razionalità tecnica che li interpreta secondo una causalità deterministica, sia a
una razionalità economica che li vede come l’espressione di un interesse
individuale per il low cost che una parte del mercato si incarica di soddisfare. Ci
si concentra, di conseguenza, sulla rimozione delle condizioni tecnologiche
abilitanti il file sharing e su politiche di contrasto e disincentivazione
dell’economia parassitaria generata dalle tecnologie, tralasciando i cambiamenti
macroscopici che spingono la distribuzione informale dei beni digitali dal
dominio puramente economico a quello più complesso della circolazione di
informazione, di ricchezza e di costruzione del legame sociale84.
Fa eccezione, oltre all’ultimo libro di Benkler, lo studio di Biddle e dei suoi
colleghi del gruppo Microsoft, nel quale proprio gli interrogativi schiettamente
tecnici sull’efficienza delle misure di controllo suggeriscono agli ingegneri che le
reti illegali rappresentano la codifica informatica di un nucleo elementare di
relazioni comunicative, aggregate intorno allo scambio di oggetti. Come
mostrano questi studiosi, al di là della sua struttura tecnica, il peer-to-peer
coincide infatti con un livello basilare di scambio sociale, al quale la disponibilità
di tecnologie concepite per superare la scarsità delle risorse e funzionare come
ambienti di comunicazione per la ricerca di soluzioni a problemi comuni, ha
fornito i mezzi per oltrepassare la dimensione delle reti di amici. L’intervento di
Biddle, England, Peinado e Willman può quindi essere considerato come un
tentativo, rimasto isolato nel dibattito tecnologico, di riflettere in termini non
deterministici sulle conseguenze della diffusione di potenti strumenti di
comunicazione al servizio di molteplici interessi degli utenti.
Si tratta, a nostro avviso, di un aspetto decisivo, perché è in virtù di questo
approccio che l’ipotesi degli ingegneri riesce a spiegare il legame tra la
circolazione del dono nelle comunità virtuali e le dinamiche impersonali delle reti
di condivisione e, in generale, le ragioni della diffusione del file sharing. Basato
su nuclei attivi che operano come economie del dono, il peer-to-peer si afferma
infatti perché porta la condivisione di oggetti oltre i limiti comunitari, come
84 W. URICCHIO. “Cultural Citizenship in the Age of P2P Network”, cit., p. 139.
III. Il file sharing e le logiche dei network
262
mostra la distribuzione delle release su eMule o su altre piattaforme anonime
dove le produzioni dei collettivi possono essere scaricate da chiunque. La logica
del dono è così trasferita a reti globali nelle quali l’informazione digitalizzata
circola, grazie alle sue caratteristiche di bene abbondante, in modo non diverso
da quello di altri beni essenziali distribuiti dai servizi pubblici. In questo
passaggio, le economie collaborative dei produttori di release intercettano il
piano dell’appropriazione anomica dei free riders, per molti dei quali il peer-to-
peer consiste nella sperimentazione delle possibilità di un ambiente tecnologico
progettato per eludere il controllo, al di fuori di norme, valori e relazioni sociali
non riconducibili alla solidarietà tecnica delle reti.
Konstantina Zerva ha evidenziato la conseguenza più importante di questa
saldatura, facendo notare che, nel momento in cui la musica comincia ad
essere utilizzata come un bene pubblico liberamente accessibile, si apre uno
scenario regolativo inedito, nel quale i detentori di copyright devono confrontarsi
con la naturalizzazione di un’appropriazione senza obbligo di corrispettivo85. In
questo modo, invece di costituire un problema per i network peer-to-peer, come
ipotizzato dagli Huberman e da Goldsmith e Wu, il free riding di massa si rivela
critico per l’industria dei contenuti, non solo perché aumentando il numero dei
partecipanti rende la condivisione incontrollabile, ma soprattutto perché la
concretezza e l’efficienza della distribuzione pirata promuove l’identificazione di
internet con la gratuità senza passare per una riattivazione esplicita dei temi
chiave della cultura digitale, incentivando una produzione di anomia che nutre la
disgregazione dell’economia di scambio nell’ambiente di rete.
Il file sharing non coincide quindi totalmente con le economie collaborative
– in questo senso, la sua identificazione con l’economia del dono può essere
proposta solo tenendo presente la sua articolazione -, ma rappresenta il punto
di incontro delle tecnologie dei creatori e degli early adopters con
l’appropriazione anomica di beni digitali e la disgregazione delle relazioni
economiche preesistenti incentrate sull’acquisto. È su questo terreno che le reti
peer-to-peer mettono in contatto la dichiarata ostilità dei pionieri di internet
85 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", cit., p. 18: «It is believed and supported that the ordinary character of mp3 formats and its daily and impersonal circulation on the Internet is identified more with the properties of the public good and more specifically a ‘socially redistributed public good’, which is music digitalized, redistributed and consumed by the public. Future research should examine closely the transformation of music into a public good, especially as it legally takes place within the context of public libraries which allow the borrowing of original albums for personal listening at no financial cost».
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
263
verso le pratiche commerciali, con le esigenze di un vasto pubblico spesso non
consapevole delle radici e degli effetti culturali dei propri consumi e costumi
digitali.
La comprensione di questo intreccio diviene più chiara prestando
attenzione alla descrizione offerta da Henry Jenkins delle modalità attraverso
cui utenti e consumatori hanno messo a punto le strategie d’uso delle reti più
rispondenti ai loro interessi:
The rise of digital networks is facilitating new forms of "collective intelligence" which are allowing groups of consumers to identify and pursue common interests […]. A participatory culture is a culture with relatively low barriers to artistic expression and civic engagement, strong support for creating and sharing one's creations, and some type of informal mentorship whereby what is known by the most experienced is passed along to novices. A participatory culture is also one in which members believe their contributions matter, and feel some degree of social connection with one another [...] what I am calling participatory culture might best be understood in relation to ideas about the "gift economy"[…]86.
Seguendo Jenkins, i sistemi peer-to-peer sono dunque pensabili come
concretizzazioni particolari di un’economia del dono digitale che sperimenta,
attraverso dinamiche di intelligenza collettiva, soluzioni di accesso ai beni
informazionali, costantemente adattate alle sfide ambientali.
Se si confronta questa ipotesi con l’evoluzione del P2P descritta nel quinto
capitolo, vediamo che le logiche del dono e dell’intelligenza collettiva spiegano
in effetti molte delle peculiarità e della storia delle reti di condivisione.
L’introduzione degli automatismi finalizzati a massimizzare la propensione alla
condivisione, è un chiaro esempio di come la rimozione degli ostacoli alla
cooperazione e la cancellazione della differenza tra uploader e downloader,
abbiano risposto adattivamente a una precisa domanda di efficienza e sicurezza
delle reti. L’intreccio tra dinamiche di intelligenza collettiva e pratiche di dono si
osserva poi, in modo ancora più evidente, nella progettazione cooperativa dei
primi protocolli di file sharing, le cui tecnologie, accessibili in codice aperto,
hanno alimentato un circuito di innovazione che ha reso quasi indistinguibili le
fasi di progresso tecnologico dei software e inadeguata una rappresentazione
lineare del loro sviluppo.
Si è notato, in proposito, come il conflitto tra il peer-to-peer e la circolazione
86 H. JENKINS. “Critical Information Studies For a Participatory Culture (Part One)”, cit..
III. Il file sharing e le logiche dei network
264
commerciale dei beni digitali abbia giocato un ruolo non secondario in questa
evoluzione, spingendo le piattaforme illegali a rispondere al controllo per linee di
fuga, rendendo mobili e transitorie le configurazioni dei modelli di
comunicazione adottati dalle tecnologie. Sarebbe però riduttivo limitarsi ad
osservare gli aspetti di sottrazione e aggiramento della sorveglianza attivati dai
network, Lessig e Boyle hanno infatti mostrato persuasivamente come sul
campo di battaglia del copyright si combatta ormai uno scontro sull’apertura o
chiusura dei sistemi tecnologici che si impone alle società contemporanee come
un problema strutturale concernente la gestione e l’accessibilità
dell’informazione. Proprio in virtù di queste implicazioni, come si è visto, il
dibattito sulla proprietà intellettuale tende oggi a passare dal discorso
economico e delle problematiche di internet alla riflessione giuridica sulla natura
della legge nelle società di controllo.
Si fa strada un nuovo approccio che vede nel file sharing non soltanto la
resistenza dei network al declino del diritto, ma il rovesciamento del
parassitismo industriale del Web 2.0 e una delle pratiche legate all’emergenza
di una nuova cittadinanza digitale:
As consumers and citizens have taken media into their own hands, they are becoming more aware of the economic and legal mechanisms which might blunt their cultural influence and are defining strategies for using these new platforms in ways that promote their own interests rather than necessarily those of their corporate owners. In this new context, participation is not the same thing as resistance nor is it simply an alternative form of co-optation; rather, struggles occur in, around, and through participation which have no predetermined outcomes87.
87 Ivi.
6. Per un’antropologia del peer-to-peer
265
266
CONCLUSIONI
Conclusioni
267
Conclusioni
268
Per la prima volta nella storia, la mente umana è una diretta forza produttiva, non soltanto un elemento determinante del sistema produttivo.
M.Castells1
La scelta di esaminare nello stesso lavoro di ricerca le problematiche
regolative e la morfologia sociale del file sharing, ha comportato la necessità di
tenere insieme un ampio materiale bibliografico che sarebbe impossibile tentare
di ricondurre a un’unità sistematica. Uno dei risultati dello studio dedicato alla
cyberlaw e ai dibattiti tecnologici è stato infatti proprio quello di illuminare il
deficit di sapere biopolitico di questi teorici intorno al fenomeno indicato come il
principale generatore di tensioni distruttive di internet e della governance
classica dell’innovazione.
Nonostante abbia elaborato una griglia concettuale insostituibile per
pensare il cyberspazio e i suoi cambiamenti, la giurisprudenza americana non
ha dunque letto in modo organico il nesso tra le condizioni tecnologiche poste
dalle reti e dalla digitalizzazione e le dinamiche che legano inestricabilmente la
produzione contemporanea di innovazione, di ricchezza e di legame sociale. Il
principale tentativo prodotto in questa direzione, contenuto nelle oltre
cinquecento pagine di The Wealth of the Networks, esplora infatti
magistralmente queste relazioni ma, pur fornendo linee di lettura del file sharing
ed evidenziando come le pratiche di condivisione siano parte di un’economia
dei network sul cui terreno l’innovazione tecnologica tiene insieme
produttivamente piano economico e piano sociale2, fa mancare una ricognizione
precisa proprio di questo fenomeno, considerato come il principale limite al
funzionamento dell’economia informazionale di rete.
La reticenza dei giuristi a portare l’analisi sul file sharing si comprende,
d’altra parte, alla luce dello scontro fondamentale tra la distribuzione extra-
commerciale dell’informazione e l’interesse industriale a preservarne la scarsità,
al quale l’esistenza di modelli d’affari capaci di intercettare la ricchezza delle reti
e di ricondurla a processi di valorizzazione controllati dalle imprese non offre
1 M. CASTELLS. La nascita della società in rete, trad. cit., p. 33. 2 Il concetto è ben espresso da David Bollier: «Thanks to the Internet, the commons is now a distinct sector of economic production and social experience. It is a source of “value creation” that both complements and competes with markets. It is an arena of social association, self-governance, and collective provisioning that is responsive and trustworthy in ways that government often is not. In a sense, the commons sector is a recapitulation of civil society, as described by Alexis de Tocqueville, but with different capacities». D. BOLLIER. Viral Spiral. How the Commoners Built a Digital Republic of Their Own, The New Press: New York, London, 2008, p. 295.
Conclusioni
269
soluzioni. L’indicazione data da O’Reilly nel quadro del dibattito sul Web 2.0,
secondo cui il percorso per la definitiva archiviazione della crisi della new
economy consiste nella capacità dell’industria «to harness the collective
intelligence [and circulate] user-generated content from their consumers»3, ha
infatti avuto seguito e concreta applicazione – non senza significative resistenze
da parte degli utenti -4 nei contesti produttivi pronti a praticare strategie di
profitto basate sulle architetture di partecipazione, ma non presso un’industria
dei contenuti che non intende rinunciare a controllare la redditività dei propri
investimenti assumendo il rischio di un business guidato dai consumatori. Per
questo importante settore della produzione americana, la distruzione creatrice
invocata dalla cyberlaw si traduce infatti, come chiaramente indicato da
Liebowitz, in una prognosi di just plain destruction.
Non sembra quindi prematuro formulare un giudizio di insuccesso del
progetto cyberlaw di guidare la transizione ad un nuovo modello economico
attraverso gli strumenti tradizionali di governo dell’innovazione. Malgrado la
complessità dell’impianto categoriale concepito da Lessig e dai principali autori
della sua scuola, le proposte giuridiche uscite da questo dibattito non sono
infatti riuscite a diventare un insieme convincente di strumenti di lettura dei
cambiamenti economici e di controllo degli aspetti distruttivi delle reti, in grado di
assicurare un passaggio non traumatico alla nuova configurazione economica
(hybrid economy, networked information economy) e di rappresentare il
riferimento privilegiato per la produzione di norme in questo campo5.
In ciò consiste, in effetti, la critica di Zittrain, l’autore che più di ogni altro ha
pensato la cyberlaw come il laboratorio concettuale di una proposta regolativa
che parlasse all’internet presente senza comprometterne il futuro. Il professore
3 T. O’REILLY. “What is Web 2.0”, cit.. 4 H. JENKINS. “Critical Information Studies For a Participatory Culture (Part One)”, cit.. 5 In rapporto al ruolo di Lessig nel dibattito attuale, il quadro delineato nella tesi è integrato dalla cronaca recente, nella quale la crisi dell’influenza del giurista ha assunto la forma di una rinuncia personale a proseguire lungo la strada della critica al copyright e della difesa dell’architettura di internet. La pubblicazione di Remix, a metà 2008, è stata presentata come la tappa conclusiva del ciclo dedicato a questi temi; in dicembre, il Wall Street Journal ha polemizzato apertamente con il professore, mettendo in rilievo le incongruenze tra alcune sue recenti dichiarazioni in materia di neutralità e il testo dell’audizione al Congresso del 2006, insinuando che la sua opinione in argomento sarebbe cambiata senza esplicita segnalazione (J. V. KUMAR, C. RHOADS. “Google Wants Its Fast Track on the Web”, cit..), infine, all’inizio del nuovo anno, è arrivato l’annuncio dell’abbandono della cattedra di Stanford per quella di Harvard (dalla quale peraltro era iniziata la sua carriera accademica) dove da giugno lo studioso si occupa di etica della politica nel quadro del programma di ricerca del Berkman Center. Alla presidenza di Creative Commons è stato sostituito da James Boyle.
Conclusioni
270
di Harvard ha infatti tentato di superare l’impasse lessighiana, incontrando le
esigenze di controllo degli attori di mercato attraverso la legittimazione del
copyright tecnologico e una lettura esclusivamente tecnica del principale criterio
ordinatore del cyberspazio, l’end-to-end. In questo modo, mentre Lessig non è
riuscito a portare fino in fondo il tentativo di attraversamento della
riorganizzazione economica centrata sulle reti, Zittrain ha tentato di farlo
concedendo alle strutture irrigidite del precedente sistema di accumulazione di
tornare alla guida dell’innovazione. Il problema cyberlaw per eccellenza della
conciliazione tra controllo e innovazione, ha così spostato la sua aporetica dal
primo al secondo elemento.
Il sincretismo di elementi contraddittori in cui consiste la proposta
dell’autore di The Generative Internet, tiene infatti insieme una teoria
lessighiana dell’innovazione che individua il motore generativo di internet nella
produzione continua di novità a partire dai margini (edge), e l’introduzione di
dispositivi intelligenti nella griglia internet/pc che riduce concretamente questo
potenziale d’azione. Allo stesso tempo, mentre si sposta pericolosamente sul
terreno della riconfigurazione delle condizioni di produzione della ricchezza
digitale, la legittimazione zittrainiana del trusted system rischia di imbattersi
nelle stesse difficoltà già incontrate dai sistemi DRM e di incentivare la
diffusione e il perfezionamento degli strumenti di elusione, invece di ridurne gli
effetti. Le attuali tecniche di anonimizzazione e offuscamento del traffico dati
(VPN) sono, infatti, già in grado di sottrarre i flussi informativi al controllo dei
filtri. Al compromesso sul piano dell’innovazione corrisponde quindi l’incertezza
su quello dell’efficacia dei provvedimenti, e si tratta di un’incertezza che, come
giustamente vede Zittrain, non può non alimentare l’escalation del controllo,
cioè proprio il quadro della postdiluvian Internet indicato dal giurista come
l’orizzonte di una catastrofe incombente sull’internet.
L’intera problematica cyberlaw è dunque contenuta nella difficoltà di
intravedere nella pirateria informatica lo sbocco naturale di condizioni
tecnologiche e culturali che sono tutt’uno con il potenziale produttivo e
innovativo di internet e nell’impossibilità di indicare le modalità attraverso cui
questa fenomenologia spontanea del cyberspazio può essere amministrata
secondo le esigenze di utilizzo commerciale della rete.
Se a questo limite fondamentale si accosta la critica rivolta da Teubner agli
aspetti più pregnanti del programma lessighiano e, in particolare, alla difesa del
Conclusioni
271
design originario di internet, si nota inoltre come si addebiti a Lessig la
costruzione di una teoria regolativa che si vuole emancipatrice ma è orientata a
governare la rete senza la capacità di promuoverla in sede politica come nuovo
spazio pubblico. Il giurista tedesco denuncia infatti come, nonostante
l’importanza dei network digitali nella creazione contemporanea di ricchezza e
di cultura, la produzione locale e internazionale di norme non registri la
formazione di una nuova cittadinanza, restando cieca di fronte ai processi di
organizzazione sociale dell’ambiente informazionale. La battaglia lessighiana a
favore delle architetture è quindi vista dallo studioso come una strategia
meramente difensiva, incapace di indicare nel riconoscimento politico di
sottosistemi differenziati e autonomi la via maestra della difesa delle libertà civili
nelle condizioni contemporanee.
Il confronto aperto da Teubner con la cyberlaw contribuisce così a chiarire
le differenze tra due risposte alternative alla contrazione degli spazi di
negoziazione degli interessi nel cyberspazio. Lessig infatti illumina, in linea con
la prognosi storica di Lyotard, l’emergere di un tipo di società dove la libertà
passa più dalla trasparenza e dall’apertura dei sistemi tecnologici che dalle
retoriche e dalle codificazioni formali basate sull’emancipazione, laddove
Teubner intende contrastare l’involuzione democratica della Network Society
attraverso l’istituzione di procedure esterne di controllo sui processi globali di
digitalizzazione e privatizzazione della ricchezza digitale e il riconoscimento
costituzionale del diritto di accesso all’informazione dei cittadini della rete.
I temi sollevati da questo dibattito suggeriscono dunque che il file sharing
dovrebbe essere studiato all’interno delle problematiche connesse con la
formazione di una cittadinanza digitale, piuttosto che in quadri interpretativi che
si limitano ad esaminare le problematiche aperte da una forma deviata di
consumo. La ragione è stata indicata con molta chiarezza da William Uricchio, il
quale ha sottolineato come i peer-to-peer network siano parte di una svolta
partecipativa della cultura contemporanea, nel cui contesto non soltanto gli
utenti generano i contenuti sovvertendo le gerarchie stabilite di valore e autorità,
ma nella quale si ridefinisce completamente «il modo attraverso cui interagiamo
con certi testi culturali, quello attraverso cui le comunità collaborative prendono
forma ed operano e il modo in cui concepiamo i nostri diritti e doveri di cittadini
Conclusioni
272
in rapporto alla sfera politica, economica e culturale»6.
Ciò su cui Uricchio mette l’accento è dunque, a nostro avviso, proprio il
cortocircuito digitale tra sfera politica, economica e culturale al quale la cyberlaw
ha cercato senza successo di trovare una sistemazione democratica,
arrestandosi di fronte alla crisi degli strumenti normativi attraverso cui i sistemi
liberali hanno tradizionalmente mediato le relazioni tra questi piani. Proprio per
questo il bilancio teorico di un decennio di studi non può non riconoscere a
Lessig di aver compreso che la critica del copyright e la difesa dell’architettura
di internet rappresentavano la battaglia principale di un diritto costituzionale
impegnato a rendere concreto l’esercizio delle libertà fondamentali. Di qui
l’importanza del contributo offerto da questa scuola alla formazione di un piano
di analisi interessato agli aspetti del file sharing che pure lascia in ombra, il cui
esame attraversa, come si è visto, il dominio della riflessione antropologica non
meno che quello dei conflitti sociali e dello studio dei sistemi giuridici. La via
aperta da Lessig non potrà dunque essere proseguita che dalla teoria sociale.
6 W. URICCHIO. “Cultural Citizenship in the Age of P2P Network”, cit., p. 139: «we interact with certain cultural texts, to how collaborative communities take form and operate, to how we understand our rights and obligations as citizens – wheter in the political, economic, or cultural sphere».
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Gli indirizzi dell’editore Sage http://xyz.sagepub.com, accedono all’abstract dell’articolo, il cui testo integrale è scaricabile previo abbonamento. Ogni volta che gli articoli sono stati ripubblicati gratuitamente da altri siti, l’indirizzo internet citato indica la seconda fonte.
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