tesi definitiva con risultati

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Introduzionep 1 Introduzione Oggigiorno, a causa del numero sempre maggiore di operazioni svolto da ciascun transistor e dell’aumento della densit{ di questi ultimi nei circuiti integrati, è necessario, al fine di ottenere un buon funzionamento delle apparecchiature elettroniche, dissipare una quantità sempre maggiore di calore. Infatti, il surriscaldamento delle componenti elettroniche è una delle principali cause di rottura dei dispositivi moderni. Tutto questo sottolinea la necessità di ideare sistemi di raffreddamento e gestione della temperatura adeguati. L’ideazione di questi ultimi costituisce, molto probabilmente, la fase più importante nella progettazione di un sistema elettronico. Inoltre, sistemi di raffreddamento efficienti devono soddisfare anche altri requisiti, come, ad esempio, andare incontro ai limiti di spazio e geometrici delle apparecchiature in cui debbono operare. Alette di raffreddamento e array di ventole sono stati tradizionalmente utilizzati per raffreddare sistemi elettronici. Tuttavia, questi tradizionali mezzi di raffreddamento stanno affrontando una sfida quanto mai ardua nel tentativo di raffreddare le più moderneapparecchiature, visti i crescenti limiti di spazio e requisiti di raffreddamento. In gran parte della strumentazione elettronica attuale si sfrutta il semplice fenomeno di convezione naturale per il raffreddamento dei circuiti. Tuttavia, sfortunatamente, il potenziale di raffreddamento della convezione naturale ha raggiunto il suo limite fisico nei prodotti odierni. Occorre, però, registrare una certa riluttanza nel passaggio dai metodi convenzionali di raffreddamento all’utilizzo delle ventole, poiché sono numerosi gli svantaggi associati all’utilizzo dei fan. Un metodo di raffreddamento che aumenti in maniera significativa lo scambio termico dovuto alla convezione naturale e che, allo stesso tempo, non presenti molti dei difetti e svantaggi associati alle ventole, sarebbe una interessante opzione per svariati prodotti elettronici. Una delle possibilità più promettenti è costituita dall’utilizzo di getti per il raffreddamento, in particolare getti sintetici. Fondamentalmente, tale

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Page 1: Tesi definitiva con risultati

Introduzionep

1

Introduzione

Oggigiorno, a causa del numero sempre maggiore di operazioni svolto da

ciascun transistor e dell’aumento della densit{ di questi ultimi nei circuiti

integrati, è necessario, al fine di ottenere un buon funzionamento delle

apparecchiature elettroniche, dissipare una quantità sempre maggiore di

calore. Infatti, il surriscaldamento delle componenti elettroniche è una delle

principali cause di rottura dei dispositivi moderni. Tutto questo sottolinea la

necessità di ideare sistemi di raffreddamento e gestione della temperatura

adeguati. L’ideazione di questi ultimi costituisce, molto probabilmente, la fase

più importante nella progettazione di un sistema elettronico. Inoltre, sistemi

di raffreddamento efficienti devono soddisfare anche altri requisiti, come, ad

esempio, andare incontro ai limiti di spazio e geometrici delle

apparecchiature in cui debbono operare.

Alette di raffreddamento e array di ventole sono stati tradizionalmente

utilizzati per raffreddare sistemi elettronici. Tuttavia, questi tradizionali

mezzi di raffreddamento stanno affrontando una sfida quanto mai ardua nel

tentativo di raffreddare le più moderneapparecchiature, visti i crescenti limiti

di spazio e requisiti di raffreddamento. In gran parte della strumentazione

elettronica attuale si sfrutta il semplice fenomeno di convezione naturale per

il raffreddamento dei circuiti. Tuttavia, sfortunatamente, il potenziale di

raffreddamento della convezione naturale ha raggiunto il suo limite fisico nei

prodotti odierni. Occorre, però, registrare una certa riluttanza nel passaggio

dai metodi convenzionali di raffreddamento all’utilizzo delle ventole, poiché

sono numerosi gli svantaggi associati all’utilizzo dei fan. Un metodo di

raffreddamento che aumenti in maniera significativa lo scambio termico

dovuto alla convezione naturale e che, allo stesso tempo, non presenti molti

dei difetti e svantaggi associati alle ventole, sarebbe una interessante opzione

per svariati prodotti elettronici.

Una delle possibilità più promettenti è costituita dall’utilizzo di getti per il

raffreddamento, in particolare getti sintetici. Fondamentalmente, tale

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Introduzionep

2

tecnologia può arrivare a richiedere semplicemente un piccolo altoparlante e

un po’ di elettronica.

I benefici offerti dai getti sintetici dipendono, in un certo qual modo, dal tipo

di applicazione, ma, in generale, sono attesi i seguenti vantaggi quando si

confronta il raffreddamento tramite getti sintetici con quello ottenuto tramite

una ventola, per fissate performance di scambio termico:

rumorosità (nettamente) inferiore

migliore efficienza termodinamica, metà della potenza richiesta

una più alta affidabilità

un più basso rischio di ostruzione, dal momento che la componente

vibrante può essere protetta dall’ambiente circostante

processo di miniaturizzazione più semplice

annullamento della rumorosità relativamente semplice da realizzare

L’obbiettivo del presente lavoro di tesi è determinare il coefficiente di

scambio termico convettivo tra una lastra, riscaldata per effetto Joule, e un

dispositivo per getti sintetici presenti in letteratura, si è scelta quella a getto

doppio. Il getto fluisce da due ugelli a sezione costante, collegati all’apparato

al cui interno è presente il generatore di getti sintetici (nel nostro caso, un

semplice altoparlante). Le misure sono state effettuate mediante un

termografo a scansione all’infrarosso, applicato alla tecnica stazionaria

denominata “heatedthinfoil”, mentre i risultati sono stati espressi in forma

adimensionale in termini del numero di Nusselt.

Page 3: Tesi definitiva con risultati

3

Sommario

Capitolo 1.Analisi Teorica……………………………………………………………………………………….5

1.1Acoustic Streaming e Getti Sintetici……………………………………………………………….5

1.2Strato Limite Termico…………………….………………………………………………………………9

1.3 Temperatura di Ristagno……………………………………………………………………………..12

1.4 Scambio Termico per Convezione……………………………………………………………….13

1.5 Determinazione del Numero di Nusselt:

Analogia di Reynolds…………………………………………………………………………………..17

1.6 Risuonatori di Helmots………………………………………………………………………………..21

Capitolo 2.Studi Precedenti………………………………………………………………………………...26

2.1 Introduzione………………………………………………………………………………………………...26

2.2 Scambio di Calore per Getti Convenzionali…………………………………………………..26

2.3 Scambio Termico per Getti Sintetici……………………………………………………………..30

Capitolo 3. Sensori di Flusso termico…………………………………………………………………….47

3.1 Introduzione…………………………………………………………………………………………………47

3.2 Sensori di Flusso Termico Non Stazionario…………………………………………………..49

3.3 Modello HeatheThinFoil……………………………………………………………………………..51

3.3.1 Elaborazione Numerica delle Immagini ed Estensione al caso

Bidimensionale…………………………………………………………………………………….53

Capitolo 4. Termografia all’ Infrarosso………………………………………………………………….55

4.1 Introduzione…………………………………………………………………………………………………55

4.2 Termografia all’Infrarosso…………………………………………………………………………….56

4.2.1 Radiazioni Infrarosse………………………………………………………………………….56

4.2.2 Leggi Fondamentali……………………………………………………………………………57

4.2.3 Sensori Termografici e loro Caratterstiche………………………………………..61

Page 4: Tesi definitiva con risultati

4

4.2.4 Sistemi per la Termografia all’Infrarosso………………………………………….65

Capitolo 5. Apparato Sperimentale…………………………………………………………………….68

5.1 Apparato Sperimentale………………………………………………………………………………68

5.2 Caratteristiche del Dipole Cooler……………………………………………………………….70

Capitolo 6. Indagine Sperimentale…………………………………………………………………….75

6.1 Riduzione dei Dati Sperimentali…………………………………………………………………75

6.2 Analisi dei Risultati……………………………………………………………………………………..77

6.2.1 Prove con due tubi…………………………………………………………………………..77

6.2.1.1 Gruppo prove 1: Passo tubi 3D……………………………………………..77

6.2.1.2 Gruppo prove 2: Passo tubi 5D……………………………………………..82

6.2.1.3 Gruppo prove 3: Passo tubi 1D……………………………………………..87

6.2.1 Prove con 1 solo tubo………………………………………………………………………91

Page 5: Tesi definitiva con risultati

5

Page 6: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

6

Capitolo 1: Analisi Teorica

1.1Acoustic Streaming e Getti Sintetici

È ben risaputo che un getto genera un suono, mentre non è ben altrettanto

noto che un suono può generare getti. Tale fenomeno è conosciuto come

acoustic streaming (flusso acustico). Un flusso acustico è, essenzialmente, un

flusso generato da un campo sonoro. Fondamentalmente, l’onda acustica

viene attenuata dalla viscosit{ e dall’inerzia del mezzo, dando come risultato

un gradiente di pressione lungo la direzione di propagazione dell’onda,

gradiente di pressione che, a sua volta, esercita una forza sul mezzo, che

conduce ad un flusso d’aria indotto. Faraday, nel 1831, fu il primo a

descrivere empiricamente il flusso che si origina in prossimità di una

superficie vibrante (ad esempio una membrana). Circa 100 anni dopo,

Rayleigh per primo fornì una descrizione teorica del fenomeno che è ancora

assai valida oggigiorno per un’analisi approssimata. Da un punto di vista

teorico, uno dei maggiori problemi consiste nel fatto che l’acoustic streaming

è governato da effetti di tipo non-lineare, motivo per cui non può essere

analizzato utilizzando le equazioni dell’acustica lineare. Esistono in

letteratura svariate classificazioni del fenomeno, ognuna delle quali

caratterizzata da una propria particolare semplificazione delle Navier-Stokes.

Due panoramiche sulla fisica del fenomeno sono state pubblicate da Lighthill

nel 1978, e da Boluriaan e Morris nel 2003.

La formazione di getti, associata all’oscillazione di membrane o quant’altro, è

stata spesso oggetto di analisi. Già nel 1950, Ingard e Labate[1] riprodussero

onde stazionarie all’interno di un tubo circolare per indurre un campo di

velocità oscillante in prossimità del foro di uscita del tubo stesso; si osservò

come, in prossimit{ dell’orifizio, si formassero getti a partire da treni di anelli

vorticosi. Nel 1975, Mednikov e Novitskii[2] riportarono la formazione di getti

a flusso netto di massa nullo e velocità media pari a 17 m/s inducendo un

campo di velocit{ instazionario a bassa frequenza tramite l’utilizzo di un

Page 7: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

7

pistone azionato meccanicamente. Nel 1980, Lebedeva[3] creò un getto

circolare dotato di valori della velocit{ fino a 10 m/s tramite l’utilizzo di onde

sonore di grande ampiezza indotte all’interno di un tubo dotato di un orifizio

ad una delle estremità. Un grande contributo alla teoria e alle possibili

applicazioni dei getti sintetici è stato dato dal gruppo guidato dal Prof. Glezer

del Georgia Tech, con sede ad Atlanta. Glezer, insieme a Smith[4], ha

presentato nel 1998 una interessante panoramica relativa alla formazione e

alla evoluzione dei getti sintetici, focalizzando in particolare l’attenzione sui

getti piani bidimensionali, indotti dal movimento di un diaframma portato in

risonanza (1140 Hz) all’interno di una cavit{ sigillata dotata di un foro

rettangolare di dimensioni 0.5x75 mm. L’interazione tra getti sintetici

adiacenti è stata studiata dagli stessi Smith e Glezer.

Un getto sintetico è il prodotto dell’interazione di un treno di vortici generato

dalla eiezione e suzione di fluido attraverso un orifizio, cosicché il flusso

netto di massa attraverso lo stesso è praticamente nullo. Mentre il flusso

durante la fase di suzione può essere pensato simile a quello indotto da un

pozzetto coincidente con il foro, il flusso durante la fase di eiezione è

principalmente confinato in un dominio finito abbastanza limitato che si

sviluppa in prossimit{ dell’asse del getto. Durante la fase di eiezione del

fluido, il flusso si separa in corrispondenza degli spigoli dell’orifizio, così da

formare uno strato vorticoso che tende ad arrotolarsi su se stesso, fino a

formare un vortice (anelli vorticosi o coppie di vortici, a seconda se il foro, da

cui entra e fuoriesce il fluido, è circolare o rettangolare, rispettivamente) che

si allontana dall’orifizio con velocit{ auto-indotta. Il grado d’interazione tra i

vortici e il reversed flow, indotto in prossimit{ dell’orifizio dalla suzione,

dipende dalla forza dei vortici e dalla loro distanza dall’orifizio.

I getti sintetici sono solitamente realizzati imponendo una caduta temporale

periodica di pressione attraverso l’orifizio (caduta che può essere ottenuta

per mezzo del moto di un pistone o di un diaframma, come può essere ad

esempio la membrana di un altoparlante). In studi recenti è stata utilizzata

un’ampia variet{ di attuatori, compresi diaframmi di tipo piezoelettrico

(vedansi gli esperimenti condotti da Smith e Glezernel 1998[4]; da

Page 8: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

8

Mallinsonnel 1999[8]; da Crook sempre nel 1999[9]; da Chen nel 2000[10]),

pistoni mossi elettromagneticamente (come negli esperimenti condotti da

Rediniotis nel 1999[11], e Crook e Wood nel 2001[12]), e cavità guidate

acusticamente (Erk nel 1997[13], McCormick nel 2000[14], Kang sempre nel

2000[15]). Crook[9] ha ideato un generatore di getti sintetici con struttura

accoppiata, che faceva utilizzo di un diaframma piezoelettrico. Modellò il

flusso attraverso l’orifizio utilizzando le equazioni di Bernoulliinstazionarie, e

valutò gli effetti che avevano le variazioni di diametro del foro e di profondità

della cavità sul flusso esterno. Nonostante i risultati ottenuti sulla dipendenza

della velocit{ nel centro del getto nei confronti del diametro dell’orifizio e

della profondità della cavità fossero abbastanza distanti da quelli previsti, i

trend erano abbastanza simili. Più recentemente, Chen[10] ha concentrato i

suoi studi sull’utilizzo di attuatori piezoelettrici per getti sintetici, studiando

il comportamento di una grande varietà di dischi piezoceramici aventi

differenti proprietà meccaniche e spessore e diametro variabili.

Il complesso campo di moto all’interno della cavit{ dell’attuatore è stato

trattato principalmente dal punto di vista numerico. Per esempio, Rizzetta[16]

(1998) utilizzò le equazioni di Navier-Stokesinstazionarie compressibili per

simulazioni numeriche relative sia al fluido interno alla cavità che a quello in

prossimit{ dell’orifizio.In queste simulazioni, che vennero condotte sia per

un fissato numero di Reynolds che per una fissata profondità della cavità ,il

moto era suggerito da una parete mobile posta sul lato opposto all’orifizio.

Durante la fase di suzione, una coppia di vortici contro-rotanti si formava in

prossimit{ degli spigoli interni dell’orifizio, urtava contro la parete opposta, e

si dissolveva in prossimità del centro della cavità (apparentemente a causa

dell’iniezione di vorticità di senso opposto a partire dallo strato limite sulla

parete), prima che il successivo ciclo di eiezione avesse inizio. Per un dato

numero di Reynolds, la forza delle coppie di vortici che si originavano su

entrambi i vertici dell’orifizio tendeva ad aumentare al diminuire della

profondità della cavità (come è stato anche confermato da studi successivi

condotti da Lee e Goldstein[17] nel 2000).

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Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

9

Nell’analisi svolta da Smith e Glezer[4] (1998), si è sviluppato un getto

sintetico bidimensionale mediante un orifizio rettangolare (ampio 0.5

mm),posizionato su una delle pareti di una cavità sigillata poco profonda,

utilizzando un diaframma piezoelettrico, montato su uno dei lati della cavità

(quello opposto all’orifizio), portato in risonanza (1140 Hz). Un’immagine

Schlieren nel piano x-y del getto mostra una coppia di vortici formatasi in

prossimit{ dell’orifizio così come il profilo di un getto turbolento più a valle

(fig.1).

Figura 1 – (a) Diagramma schematico per un attuatore di getti sintetici; (b) Immagine Schlieren di un getto sintetico rettangolare.

Nonostante la coppia di vortici e il rimanente fluido espulso appaiano

laminari dopo che il roll-up è completato, i centri delle coppie di vortici

diventano instabili e cominciano a scomporsi in moti di piccola scala

approssimativamente a t/T = 0.5 (ossia all’inizio della fase di suzione, a met{

periodo). Similmente a quanto accade per un anello vorticoso isolato, l’inizio

della transizione sembra avvenire in prossimità del punto di ristagno della

coppia vorticosa, dove gli stress sono più elevati.

Un anello vorticoso assialsimmetrico può essere definito mediante due

parametri adimensionali (Didden[18] e Glezer[4]). Il primo parametro è la

lunghezza adimensionale di “stroke” L0/d, dove L0 è dato da:

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Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

10

in cuiu0(t) è la velocità nella direzione di propagazione del getto (valore

medio sull’area dell’orifizio), è il tempo di scarico e d è la lunghezza di scala

caratteristica dell’orifizio. Il secondo parametro è il numero di Reynolds,

basato sull’impulso (la quantit{ di moto associata al flusso “scaricato”

dall’orifizio), ed è dato da:

dove , in cui e sono la densità e la viscosità del

fluido, rispettivamente. Un numero di Reynolds alternativo può essere

definito mediante la circolazione del getto libero espulso, oppure tramite la

velocit{ media nel tempo a livello dell’orifizio. Per fori non circolari, l’AR

dell’orifizio può influenzare la distorsione fuori dal piano dei vortici, e quindi

l’evoluzione di questi ultimi (Dhanak&Bernardinis[19], 1981).

Quando i vortici vengono generati periodicamente nel tempo per dar vita ad

un getto, un importante parametro è costituito dalla frequenza di formazione

f, mentre la frequenza adimensionale

è una misura dell’impulso totale per unit{ di tempo, pertanto può essere

utilizzato come parametro per caratterizzare getti differenti in base alla loro

forza.

Alcuni dettagli sulla formazione dei vortici del getto sono stati oggetto di

studio di Rediniotis[11] (1999), il quale ha utilizzato un getto circolare (D =

2mm)realizzato mediante uno shaker. Per un fissato numero di Reynolds

(ReD= 200), si osservava la formazione del getto per L0/D = 1.6 e St = 0.2

(calcolato utilizzando la velocità massima in uscita); mentre per L0/D = 0.16 e

per St = 2, il fluido espulso era ricacciato all’interno della cavit{ durante la

fase di suzione, e quindi non si assisteva alla formazione di alcun getto.

Page 11: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

11

Crook e Wood[12] (2001) hanno condotto degli esperimenti sull’interazione

tra vortici all’interno di un getto sintetico circolare operante a 50 Hz. Per

quattro numeri di Reynolds (con valori compresi tra 660 e 2300) e altrettanti

valori corrispondenti del rapporto L0/D (valori compresi tra 2.56 e 8.9), i

vortici crescevano nelle dimensioni, e non veniva visualizzata alcuna

interazione tra vortici successivi. Tuttavia, per bassi numeri di Reynolds (ReD

= 330, L0/D = 1.28), la velocità dei vortici era bassa al punto che il moto

risultasse chiaramente affetto dalle forze ascensionali dovute alle particelle

traccianti di fumo.

1.2 Strato Limite Termico

Lo strato limite è la zona in cui si verificano gli scambi di quantità di moto e

di energia tra la lastra ed il fluido. Studi sullo strato limite sono stati condotti

da Prandtl, che, tra l'altro, valutò l'influenza della viscosità, nel caso di campi

di moto ad elevato numero di Reynolds, in una ristretta zona adiacente alla

lastra dove si sviluppavano elevati gradienti di velocità, tali da generare

considerevoli sforzi dissipativi τ. Nello strato limite la velocità passa con

continuità dal valore nullo a quello del flusso indisturbato. In questa zona,

assunto un sistema di riferimento solidale alla lastra con l'asse X parallelo

alla direzione del flusso indisturbato e l'asse Y normale a quest'ultima, il

gradiente di velocità nella direzione normale alla superficie della lastra y

v

è molto forte, e, sebbene la viscosità assuma valori bassi (caso dell'aria), lo

sforzo dissipativo y

v è molto grande. Se si indica con L la lunghezza

caratteristica entro la quale avviene lo scambio di quantità di moto tra fluido

e superficie solida, l'esatta soluzione delle equazioni di Navier-Stokes trovata

da Prandtl (che non sarà qui riportata) fornisce lo spessore dello strato limite

dinamico " s ", inversamente proporzionale alla radice quadrata del numero

di Reynolds:

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Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

12

1

ReL

S

dove VL

Re rappresenta l'importanza relativa tra il flusso convettivo di

quantità di moto VV e il flusso diffusivo di quantità di moto irreversibile

L

V. Analogamente, occorre determinare lo spessore dello strato limite

termico (esiste scambio termico fra il fluido e la lastra solo nell'intorno del

corpo). Dall'equazione dell'energia, scritta per un fluido omogeneo e

isotropo, in termini di temperatura:

2

2

2

2

2

2

pC

z

T

y

T

x

Tk

Dt

Dp

Dt

DT

Nel caso di moto stazionario si può scrivere:

z

pw

y

pv

x

pu

z

T

y

T

x

Tk

z

Tw

y

Tv

x

Tu

2

2

2

2

2

2

pC

L'equazione differenziale su scritta può essere semplificata effettuando

l'analisi dimensionale che, tramite i numeri (o gruppi) adimensionali,

permette di valutare in maniera quantitativa l'importanza relativa dei

membri dell'equazione. In prima istanza sono stabiliti i valori di riferimento

delle variabili presenti nell'equazione, rispetto ai quali esse sono

adimensionalizzate: la temperatura sarà riferita all'incremento di

temperatura adiabatico (ΔT), la pressione alla pressione dinamica della

corrente indisturbata 2U , la densità alla densità della corrente

indisturbata. Stabilito ciò, l'equazione si trasforma in :

RePrRe

1

2

2

2

2

2

2Ec

zw

yv

xEc

zyxzw

yv

xu

dove:

T

T = Temperatura adimensionale;

Page 13: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

13

2u

p= Pressione adimensionale;

LURe = Numero di Reynolds;

k

CP

Pr = Numero di Prandtl;

TC

uEc

p

2

= Numero di Eckert;

Poichè per i gas il numero di Prandtl è di ordine di grandezza unitario, si può

considerare che i termini conduttivi siano dello stesso ordine di grandezza di

quelli convettivi. I flussi conduttivi esistono dove vi sono gradienti di

temperatura. Indicando con t lo spessore dello strato limite termico e sotto

l'ipotesi di moto bidimensionale, trascurando il termine 2

2

x rispetto al

termine 2

2

y, i termini conduttivi sono dello stesso ordine di grandezza di

quelli convettivi se 1

PrRe

s

t . Per tener conto della dissipazione di

energia cinetica nel getto a causa dell'attrito e del riscaldamento per

compressione si può esprimere )Pr,(Re, Ecf

s

t , in cui il riscaldamento per

attrito acquista un certo peso nello scambio termico globale solo se Ec è di

ordine unitario.

1.3Temperatura di Ristagno

Page 14: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

14

Il getto, incidendo sulla lastra, può dar luogo (nel caso comprimibile) a

riscaldamento legato all'attrito ed alla compressione. Il riscaldamento per

compressione può essere valutato dall'equazione dell'energia con l'ipotesi di

moto stazionario di un fluido ideale e cattivo conduttore. L'equazione:

t

pw

t

Tw

pC

fornisce la relazione esistente tra temperatura e pressione lungo la linea di

flusso. Dividendo per ρw ed integrando lungo tutta la linea di corrente, si

ottiene:

p

p

s

sp

dp

ds

dpTTC

10

per l'ipotesi di moto non dissipativo è valido il trinomio di Bernoulli nella

forma:

tdpw

cos2

2

da cui:

22

02

1ww

CTT

p

ed imponendo la condizione di ristagno (w = 0), l'incremento di temperatura

causato dalla compressione adiabatica vale:

p

adC

wTTT

2

2

0

dove w è la velocità della corrente libera, 0T è la temperatura di ristagno e

adT è l'incremento di temperatura adiabatico.

1.4 Scambio Termico per Convezione

Page 15: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

15

In alcune applicazioni può risultare utile la valutazione dei coefficienti di

scambio termico convettivo h, definito come la quantità media scambiata

sulla superficie del corpo considerato: il coefficiente di scambio termico è

riferito alla differenza di temperatura esistente tra la superficie del corpo e il

fluido. La potenza termica scambiata per convezione tra il contorno di un

solido e un fluido, per unità di area e per unità di tempo, è esprimibile

mediante la legge di Newton:

)(w

TThq

dove è la temperatura di parete. L'espressione del flusso termico sopra

riportata riflette una impostazione prettamente ingegneristica al problema,

nel momento in cui ci si propone di determinare il coefficiente h mediante

l’impiego di correlazioni tra parametri adimensionali di validit{ abbastanza

generali, determinate, cioè, sotto certe condizioni, una volta per tutte. Da un

punto di vista fisico, osservando che sulla superficie del corpo la velocità

relativa della corrente è nulla, si può considerare che lo scambio termico sia

di tipo puramente diffusivo (conduzione). Allora il flusso di calore in

direzione y sulla parete è dato dalla legge di Fourier :

Naturalmente la relazione sopra riportata consente di valutare il flusso

termico una volta risolto il campo di moto e, quindi, in particolare,

determinata la distribuzione delle temperature. Uguagliando le espressioni

nei due diversi approcci, si può scrivere

che è la relazione dalla quale si può ricavare h. Essa può essere

adimensionalizzata, dunque si può definire un parametro caratteristico

adimensionale, funzione di pochi altri parametri adimensionali, detto numero

di Nusselt. Ponendo infatti

Page 16: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

16

si ottiene

E, definendo il numero di Nusselt come

risulta infine

da cui si deduce che il numero di Nusselt dipende dalla particolare soluzione

del campo di moto. Il primo passo da compiere per risolvere un problema di

scambio termico per convezione è la risoluzione del campo di moto tramite le

equazioni di continuità, bilancio di quantità di moto e di energia interna, con

le opportune condizioni al contorno. Le incognite, in generale, sono ρ, u, v, p e

T. Per impostare il sistema di equazioni necessarie alla soluzione del campo

di moto, di cui il numero di Nusselt è funzione, si formulano le seguenti

ipotesi :

Moto stazionario

Moto bidimensionale piano

Moto incomprimibile

Trascurabilità degli effetti gravitazionali

In forma scalare il sistema è composto da quattro equazioni, una per la

conservazione della massa, due per il bilancio di quantità di moto (moto 2D)

e una per il bilancio di energia interna.

Page 17: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

17

Nelle due equazioni di quantità di moto il primo membro rappresenta la forza

d’inerzia, data dal solo termine convettivo per l’ipotesi di stazionariet{, e il

secondo membro le forze applicate, di pressione e di tipo viscoso. Si noti che

le equazioni sono state scritte nell’ipotesi di e quindi di

trascurabilit{ degli effetti gravitazionali. L’ultima equazione, il bilancio di

energia interna, è stata scritta in termini di entalpia specifica

.

Per gas piuccheperfetti una variazione di h è proporzionale ad una variazione

di temperatura per mezzo del calore specifico a pressione costante

. Il primo membro del bilancio dell’energia è il termine convettivo,

il primo termine al secondo membro è quello diffusivo, regolato dalla legge di

Fourier, e gli altri due sono i termini di generazione: uno è dovuto alla

pressione e l’altro è proporzionale a , detta funzione di dissipazione,

definita dal doppio prodotto scalare del gradiente del vettore velocità, parte

simmetrica a traccia nulla, per se stesso. A velocità relativamente basse, in

genere, questo termine, come si vedrà, viene trascurato. Formulando, infine,

anche l’ipotesi che le propriet{ del fluido, quali coefficiente di viscosit{,

coefficiente di conducibilità termica, calore specifico, siano costanti,

l’equazione dell’energia risulter{ disaccoppiata da quelle della quantit{ di

moto, ossia, una volta risolto il campo delle velocità, il campo delle

temperature potr{ poi essere determinato dalla sola equazione dell’energia.

Il sistema di quattro equazioni scalari deve essere risolto con opportune

condizioni al contorno al fine di trovare il campo di velocità e di temperatura

Page 18: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

18

e risalire così al numero di Nusselt e quindi ad h. Una volta

adimensionalizzato, il sistema di equazioni si presenta come segue:

Le grandezze adimensionali sono

ed entrambi i membri dell’ultima equazione sono stati divisi per

.

I tre numeri adimensionali che compaiono sono

Numero di Peclet

Numero di Reynolds

Numero di Eckert

con , diffusività termica,e , coefficiente di viscosità cinematica.Il

numero di Eckert somiglia in qualche modo al numero di Mach al quadrato e,

come quest’ultimo, è indicativo della velocit{ del flusso ed è trascurabile per

campi di moto caratterizzati da velocit{ relativamente basse. Dall’espressione

dell’equazione dell’energia adimensionalizzata si nota che l’ultimo termine, in

cui compare il rapporto , è trascurabile a basse velocità, come già

anticipato ed ora verificato dall’analisi degli ordini di grandezza nelle

equazioni adimensionalizzate. Integrando le quattro equazioni con le

condizioni al contorno

Velocità nulla sulla parete:

Page 19: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

19

Campo di velocità indisturbato a distanza infinita dal corpo:

Temperatura adimensionale di parete nulla:

Temperatura adimensionale unitaria a distanza infinita dal corpo:

Si otterrà la funzione . Si noti che i tre numeri

adimensionali di cui è funzione la temperatura sono dati del problema, noti i

quali, una volta risolto il sistema di equazioni, è possibile conoscere il campo

di temperatura ovunque nel campo di moto bidimensionale. Si avrà dunque:

Infatti, essendo il numero di Nusselt, a meno del segno, la derivata della

temperatura adimensionale rispetto alla coordinata valutata sulla parete,

è eliminata la dipendenza di Nu da .

1.5 Determinazione del Numero di Nusselt:

Analogia di Reynolds

L’espressione del numero di Nusselt può essere trovata vantaggiosamente

senza risolvere caso per caso il sistema di equazioni. Alla base di questo

risultato sono essenziali i concetti della similitudine fluidodinamica e

dell’analogia dei meccanismi di scambio della quantit{ di moto e dell’energia.

A tal fine si formuli una ulteriore ipotesi, che Ec<<1, corrispondente alla

situazione di velocità relativamente bassa. Al fine di semplificare le equazioni

di bilancio di quantità di moto e di energia si supponga che il numero di

Reynolds della corrente sia abbastanza elevato da poter considerare gli effetti

viscosi confinati all’interno dello strato limite. Si esporranno ora i concetti ed

i risultati fondamentali della teoria dello strato limite, in base ai quali le

variazioni delle grandezze termofluidodinamiche nella direzione (intesa

come perpendicolare al corpo) sono preponderanti rispetto alle stesse in

Page 20: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

20

direzione (nella direzione del moto). Gli ordini di grandezza sono stimati

in termini di potenze dello spessore adimensionalizzato dello strato limite. La

velocità verticale è ipotizzata di un ordine di grandezza inferiore rispetto a

quella orizzontale. Secondo la teoria classica formulata da Prandtl, inoltre,

all’interno dello strato limite l’intero termine convettivo è dello stesso ordine

di quello viscoso. Scrivendo l’equazione del bilancio della quantit{ di moto

lungo nello strato limite si ottiene, nelle ipotesi fatte, che

cioè che, a meno di termini di ordine superiore, la pressione si trasmette

inalterata nella direzione verticale. Ciò vuol dire, fisicamente, che la

pressione sul corpo è uguale a quella sul bordo dello strato limite e che,

quindi, la pressione nello strato limite coincide con quella che si può

determinare attraverso la soluzione non viscosa nel campo esterno. Allo

stesso tempo, nelle ipotesi di comportamento aerodinamico simile a quello

della lastra piana, dalla soluzione non viscosa si ha

Il campo di pressione sarà quindi uniforme e pari al suo valore a distanza

infinita dal corpo. L’equazione della quantit{ di moto nella direzione del

corpo si semplifica come

in cui, per quanto detto prima, il gradiente di pressione, in situazioni in cui

non è nullo, è da ritenere un termine noto. Il corpo, oltre a rappresentare un

disturbo per il campo di velocità, rappresenta un disturbo anche per quello

termico. Quanto detto per le variazioni di velocità nello strato limite

dinamico vale anche per le variazioni di temperatura, concentrate anch’esse

in una piccola regione nelle immediate vicinanze del corpo, detta strato limite

termico. L’ipotesi che si fa all’interno dello strato limite termico è la

Page 21: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

21

trascurabilità delle variazioni seconde di temperatura in direzione x rispetto

a quelle in direzione y

Alla luce di tutte queste semplificazioni (strato limite, lastra piana a incidenza

nulla e Ec<<1) le equazioni di bilancio di massa, quantità di moto e energia si

scrivono

Le incognite sono diventate ; esse devono rispettare le condizioni al

contorno:

sul corpo sul bordo dello strato limite

L'espressione del numero di Peclet è

e poiché per l'aria , si può ulteriormente porre .Sostituendo

nell'equazione del bilancio dell'energia si ottiene il nuovo sistema

Le ultime due equazioni sono formalmente identiche e, per quanto già detto,

vanno risolte con identiche condizioni al contorno. Ne consegue che, dopo

avere calcolato il campo delle velocità, il campo termico deve soddisfare una

Page 22: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

22

equazione che è formalmente la stessa della quantità di moto. Da ciò discende

che

Questo risultato è detto analogia di Reynolds: i fenomeni termici sono dello

stesso ordine di grandezza degli scambi di quantità di moto di tipo diffusivo.

Da ciò si deduce che per ottenere il numero di Nusselt si può prescindere,

nelle ipotesi fatte, dal risolvere l’equazione dell’energia. Infatti, a meno del

segno,

che in termini dimensionali diventa

Moltiplicando e dividendo per il coefficiente di viscosità dinamica e

ricordando l'espressione dello sforzo alla parete , si ha

Moltiplicando e dividendo per la pressione dinamica e introducendo il

coefficiente d'attrito , si ottiene

e cioè

In pratica si ottiene

Page 23: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

23

Se l'ipotesi nelle quali si ricavano questi risultati non sono soddisfatte

valgono comunque relazioni del tipo

dove il coefficiente A dipende essenzialmente dalla geometria del sistema in

esame mentre B è approssimativamente uguale a 0,5 in moto laminare. In

moto turbolento si ha

quindi

con c,c' coefficienti costanti.

1.6 Risuonatori di Helmholtz

I risuonatori di Helmholtz sono delle particolari cavità risonanti acustiche,

create da Hermann von Helmholtz nel 1860 per lo studio del suono e della

sua percezione. Possono essere semplicemente costruiti come dei recipienti

di metallo (in genere sferici o cilindrici) di varie dimensioni, con una stretta

apertura preceduta da un breve e stretto collo (fig.2).

Figura 2 – Risuonatore sferico in ottone (1890 – 1900 circa)

Page 24: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

24

Mettendo in oscillazione l’aria contenuta in un risuonatore (per esempio

soffiando di taglio nell’imboccatura, o, semplicemente, esponendo il

risuonatore ad una fonte di onde sonore), si generano al suo interno onde

stazionarie in risonanza con la frequenza propria della cavità, che, quindi, si

comporta come un amplificatore selettivo del suono in un ristretto intervallo

di frequenze.Un banco di risuonatori di dimensioni differenti, quindi, può

essere utilizzato come uno strumento analogico di analisi del suono. In

presenza di un suono complesso il banco di risuonatori lo scompone nelle sue

componenti pure. La risposta di ciascun risuonatore sarà proporzionale

all’intensit{ con cui la frequenza corrispondente contribuisce a formare il

suono da analizzare. Si tratta, in pratica, di un rudimentale sistema meccanico

in grado di effettuare un’analisi di Fourier in tempo reale. Grazie

all’elettronica, naturalmente, queste operazioni sono svolte da un opportuno

banco di filtri che operano su un segnale elettrico, ottenuto dall’originale

sonoro grazie ad un microfono. Una delle possibili applicazioni della

risonanza di Helmholtz consiste nel subwoofer presente nei moderni

impianti Hi-Fi. La risonanza di Helmholtz di una cassa di legno di dimensioni

adeguate può infatti facilitare l’irraggiamento di un altoparlante alle basse

frequenze. Al di sotto di circa 80 Hz l’efficienza di irraggiamento degli

altoparlanti classici diminuisce drasticamente, e, senza l’aiuto della

risonanza, sarebbe impossibile emettere onde sonore con alti livelli di

intensità.

Solo due parametri descrivono completamente un risuonatore: la sua

frequenza di risonanza e l’efficienza con cui esso risuona (ovvero l’intervallo

di frequenze alle quali si ottiene una risposta). Affinché il risuonatore sia

ideale supponiamo che, durante l’oscillazione della massa d’aria, l’aria stessa

non esca dal recipiente, e che si muova senza attrito. In queste ipotesi l’aria

contenuta nel recipiente si comporta come una molla ideale. E’ quindi

semplice concepirne un modello meccanico “a costanti concentrate”, cioè

considerando l’aria nel corpo della cavit{ come un’entit{ priva d’inerzia, ma

dotata di elasticit{, mentre l’aria nel collo come un’entit{ dotata di inerzia, ma

avente elasticità trascurabile. Queste approssimazioni sono giustificate dal

Page 25: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

25

fatto che nel corpo rigido e chiuso del recipiente, l’aria è sostanzialmente

immobile, mentre mantiene la sua comprimibilità elastica, mentre nel collo

aperto l’aria è libera di muoversi con una velocit{ finita come un unico

blocco, quindi, sostanzialmente senza modificare il proprio volume.

I parametri che descrivono il risuonatore ideale sono:

la sezione del collo A (m2)

il volume del corpo della bottiglia V (m3)

la densit{ dell’aria a riposo 0 (kg/m2)

la velocit{ del suono nell’aria c (m/s)

Il risuonatore di Helmholtz è una bottiglia con un collo molto piccolo rispetto

al corpo, cioè deve valere la relazione V>>Al , dove l è la lunghezza del collo

della bottiglia. Il sistema è del tutto equivalente al sistema meccanico massa-

molla (fig.3).

Figura 3 – Analogia tra sistema massa – molla e risuonatore di Helmholtz

L’aria all’interno del corpo cavo corrisponde alla molla, in virtù del fatto che è

comprimibile. Maggiore è il volume V del recipiente minore è la sua costante

elastica equivalente (cioè meno rigido è il sistema). La costante elastica

equivalente:

Page 26: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

26

L’aria presente nel collo corrisponde alla massa oscillante. La sua

caratteristica principale è l’inerzia che essa possiede una volta messa in

oscillazione. Essendo in piccola quantità la sua comprimibilità è trascurabile.

Un’imboccatura stretta tende ad immobilizzare l’aria (grande inerzia),

mentre con un’imboccatura larga è molto facile spostare l’aria dentro e fuori

dalla bottiglia. La massa d’aria all’interno del collo del risuonatore è data da:

La frequenza di risonanza del sistema si può ricavare in completa analogia

con la frequenza di oscillazione di un sistema massa-molla

Sostituendo i valori calcolati in precedenza troviamo:

Il fatto che un po’ d’aria possa fuoriuscire dal recipiente durante ogni

oscillazione ne aumenta di fatto la componente inerziale, e quindi comporta

una correzione sensibile alla frequenza. Poiché l’effetto netto della fuoriuscita

di aria è equivalente ad avere un collo leggermente più lungo, la correzione si

può tradurre in una “lunghezza efficace” da usare nella formula della

frequenza al posto della “lunghezza reale” del collo. La lunghezza efficace è

data dalla seguente formula empirica:

Page 27: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 1________ ______________________________________ Analisi Teorica

27

Page 28: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

26

Capitolo 2: Studi Precedenti

2.1 Introduzione

Mentre da una parte abbiamo una vastissima letteratura sullo scambio

termico innescato da getti impingenti, dall’altra il numero di studi sul

raffreddamento per mezzo di getti sintetici è assai limitato e, per la maggior

parte, si tratta di lavori risalenti solo agli ultimi dieci anni. Prima di passare

alla trattazione dello scambio termico dovuto a getti sintetici, è necessaria

una disamina sui getti in generale, e sullo scambio termico da essi innescato.

2.2 Scambio di Calore per Getti Convenzionali

Una panoramica sulle caratteristiche in termini di scambio termico e

trasferimento di massa sui getti raffreddanti superfici solide è stata

presentata da Martin[20]. Lo scritto in questione è una raccolta dei dati

sperimentali e delle formule empiriche ottenute in anni di ricerca. Nel testo

sono trattati diversi tipi di getti; la nostra attenzione si è concentrata

soprattutto sull’azione di raffreddamento svolta da getti generati da ugelli

singoli (nel testo indicati come Single Round Nozzles).

Il flusso di un getto impingente, originato da un singolo ugello circolare, può

essere suddiviso in tre regioni caratteristiche ben distinte: la regione di getto

libero, la regione di flusso di ristagno, e la regione di flusso radiale, anche

definita come regione del getto di parete. Il campo di velocità di un getto

impingente è mostrato schematicamente in fig.4.

Page 29: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

27

Fig. 4 – Regioni di moto per un getto singolo su lastra piana

Le variabili che influenzano i trasferimenti di massa e di calore per un getto

impingente sono, da una parte, la portata di massa, il tipo e lo stato del gas;

dall’altro, la forma, le dimensioni e la posizione dell’ugello rispetto alla

superficie solida. Inoltre, occorre considerare le condizioni al contorno

idrodinamiche, termiche e materiali. Le condizioni idrodinamiche a contorno

sono fornite dalla distribuzione di velocit{ all’uscita dell’ugello e sulla

superficie solida su cui il getto impinge. Si è soliti assumere che tutte le

componenti di velocità si annullino sulla superficie (superficie a riposo ed

impermeabile), e che la velocit{ del gas all’uscita dall’ugello sia equamente

distribuita lungo la sezione del getto.

Il coefficiente di scambio termico può essere scritto come il rapporto tra il

flusso di calore e la differenza di forza motrice tra uscita dall’ugello e

superficie:

.

Una volta fissate le condizioni al contorno (precedentemente elencate), il

coefficiente di scambio termico può essere scritto in forma adimensionale:

.

Page 30: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

28

La lunghezza caratteristica scelta per il numero di Nusselt e il numero di

Reynolds è il diametro idraulico dell’ugello. Per il numero di Reynolds si

utilizza la velocit{ media all’uscita dall’ugello, calcolata a partire dalla portata

di massa totale.

Per calcoli pratici di tipo ingegneristico è possibile utilizzare il seguente

formula:

dove è il coefficiente di trasferimento di calore medio integrale. La formula

precedente è valida per qualsiasi tipo di ugello. Nel caso di ugello singolo

circolare con diametro pari a d (D in fig.2), la formula precedente può essere

scritta come:

Anche questo coefficiente può essere espresso in forma adimensionale:

dove z è la lunghezza indicata in fig.2 come H, e r è la distanza radiale dal

punto di ristagno del getto.

Sempre per ugelli circolari singoli, vale la seguente relazione:

dove Sc è il numero di Schlunder, Sh è il coefficiente di scambio di massa

adimensionalizzato e Pr è il numero di Prandtl. Tale equazione ha il merito di

Page 31: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

29

legare lo scambio di massa allo scambio termico, ma è applicabile solamente

per distanze radiali, a partire dal punto di ristagno, di 2.5 diametri di ugello.

Per determinare F(Re) si è soliti utilizzare la seguente equazione:

Il range di validità delle ultime due equazioni è il seguente:

In fig.5 è riportato l’andamento del flusso di calore (e del flusso di massa) in

funzione del numero di Reynolds, nel caso di lastra circolare riscaldata

investita da un getto proveniente da un ugello circolare. La curva è il risultato

di studi condotti da Schundler e Gnielinski, Petzold, Gardon e Cobonpue,

Brdlick e Savin, e Smirnov.

Figura 5 – Scambio di massa e calore tra una lastra circolare e un getto impingente (ugello circolare singolo).

Page 32: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

30

2.3 Scambio Termico per Getti Sintetici

Mentre esiste una letteratura abbastanza estesa e completa sul

raffreddamento ad aria tramite l’utilizzo di getti convenzionali di pareti

riscaldate, l’idea di utilizzare i getti sintetici per incrementare lo scambio

termico di una superficie calda è relativamente recente. E, come conseguenza,

non abbiamo in letteratura una relazione per lo scambio termico in funzione

delle caratteristiche del getto sintetico così come avviene per i getti semplici.

Ciononostante, la relazione (eq.1) è stata utilizzata da Garg[21] anche per i

getti sintetici, al fine di prevedere i valori del coefficiente di scambio termico

che sarebbero poi stati ricavati sperimentalmente. I risultati hanno mostrato

come un confronto con i valori di picco portava ad una netta differenza tra i

dati sperimentali ricavati e i valori previsti mediante l’uso della precedente

equazione. Mentre utilizzando i valori medi nel tempo della velocità era

possibile ottenere una certa coerenza tra dati sperimentali e valori calcolati.

Tutto questo porta ad una interessante conclusione: la velocità media nel

tempo del getto sintetico è il parametro più importante per definirne

l’efficacia in termini di scambio termico dello stesso[22].

Gli studi più importanti sull’utilizzo dei getti sintetici come coolingdevices

sono stati condotti solamente nell’ ultima decade.

Nell’articolo pubblicato da Valiorgue[23] si indagava il meccanismo di scambio

termico per un getto sintetico circolare, impingente su di una lastra

riscaldata, per una distanza adimensionalizzata getto superficie z/d

(nell’articolo indicata come H/D, dove D è il diametro del foro di uscita del

getto) molto piccola, in particolare pari a 2. La performance di scambio

termico veniva caratterizzata come una funzione della strokelengthL0/d e del

numero di Reynolds. Negli esperimenti condotti, il getto sintetico veniva

prodotto mediante l’ausilio di una cavit{ chiusa da un lato da un altoparlante,

e dall’altro da un lastra forata. Il diaframma oscillante dello speaker muoveva

l’aria presente all’interno della cavit{, facendola passare attraverso l’orifizio

(del diametro di 5mm e profondo 10mm), generando così un getto pulsante

Page 33: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

31

diretto verso una superficie riscaldata, costituita da un substrato di

poliestere spesso 170µm su cui era stato depositato a vuoto uno strato di

argento di spessore 3.5nm. Il flusso locale convettivo era stato determinato

a partire dalla potenza elettrica, e corretto tenendo conto delle perdite di

calore dovute a radiazione e convezione nella parte inferiore della lastra, e

dalle perdite di calore dovute a radiazione nella parte superiore della stessa.

Gli effetti sullo scambio termico locale (media nel tempo dei valori osservati)

sono mostrati in fig.6, mentre in fig.7 è mostrato il percorso dei vortici (con

gli otto cerchi indicanti la posizione degli stessi negli 8 differenti stadi in cui è

stata suddivisa la fase di espulsione ).

Figura 6 – Influenza dei vortici impingenti sul coefficiente di scambio termico medio.

Figura 7 – Percorso dei vortici impingenti.

Il raggio del cerchio e lo spessore della linea con cui è tracciato indicano,

rispettivamente, il raggio equivalente del vortice e la forza dello stesso. Fig.8

mostra l’effetto dei vortici sul profilo radiale del coefficiente di scambio

termico locale. In particolare, il grafico mostra l’andamento, in funzione della

distanza radiale, del numero di Nusselt normalizzato con il suo valore di

Page 34: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

32

ristagno, plottato in fig.9 in funzione della strokelengthL0/z. Il coefficiente di

scambio termico ha un picco in corrispondenza del punto di ristagno (r/d =

0), e rimane su valori alti fino a r/d = 0.75, prima di diminuire in maniera

drastica. L’estensione della regione ad alto coefficiente di scambio termico

può essere spiegata tenendo conto dei risultati, ottenuti dagli stessi

ricercatori, relativamente al campo di moto durante l’impingimento del getto

sulla lastra (fig.8). Infatti, come mostrato in figura, il centro del vortice è

approssimativamente a r/d = 0.89 nel momento in cui il vortice impinge sulla

lastra. Il coefficiente di scambio termico decresce poi in maniera monotona al

crescere del raggio. Per valori di r/d compresi tra 2.5 e 3 è possibile

individuare un piccolo picco secondario, dovuto anch’esso all’azione di un

vortice, seppur piccolo e non molto forte, come è possibile evincere da fig.6.

Come mostrato in fig.9, il vortice si allontana dalla superficie a r/d = 3 e,

successivamente, si dissolve. Si evince quindi che l’estensione del vortice

coerente corrisponde al raggio di influenza in termini di scambio di calore.

Figura 8 – Numero di Nusselt di ristagno in funzione della strokelengthL0/H per un getto sintetico circolare impingente a H/D=2.

Page 35: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

33

Figura 9 – Profili di velocità media di fase dei vortici impingenti.

Esperimenti sul raffreddamento di una lastra piana tramite l’utilizzo di getti

sintetici prodotti tramite un ugello circolare sono stati condotti anche da

Chaudhari[24], dell’IndianInstitute of Technology di Mumbai. In particolare, si

è analizzata la dipendenza del coefficiente di scambio termico nei confronti

della distanza assiale tra superficie riscaldata e foro di uscita del getto, in

funzione di alcuni parametri.

Page 36: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

34

L’apparato sperimentale utilizzato è riportato in fig.10

Figura 10 – Schema dell’apparato sperimentale e parametri dimensionali rilevanti.

Un primo set di risultati è stato sviluppato in termini di dipendenza del

coefficiente di scambio termico da parametri dimensionali: frequenza di

oscillazione del diaframma mobile, diametro dell’orifizio, profondit{ della

cavit{ e lunghezza dell’orifizio. I risultati ricavati sono riportati nelle figure

da 10 a 13. Si evince, quindi, come, per una fissata ampiezza dell’oscillazione

(voltaggio in input allo speaker pari a 4Vrms), la frequenza di oscillazione

della membrana, il diametro dell’orifizio e la lunghezza dell’orifizio abbiano

un’influenza molto forte sullo scambio termico, mentre la profondit{ della

cavità ha un effetto abbastanza limitato. L’effetto della frequenza di

oscillazione e del diametro dell’orifizio sul coefficiente di scambio termico è

di tipo non monotono, mentre quello della lunghezza dell’orifizio è

monotono. Inoltre, dai grafici si evince come scegliere la giusta frequenza di

eccitazione e il giusto diametro dell’orifizio sia cruciale ai fini di un utilizzo

pratico di tale tecnologia.

Page 37: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

35

.

Figura 11– Variazione del coefficiente di scambio termico medio in funzione della distanza assiale per diversi valori della frequenza di eccitazione, e per uguale diametro dell’orifizio, profondità dell’orifizio e profondità della

Figura 12 - Variazione del coefficiente di scambio termico medio in funzione della distanza assiale per diversi valori del diametro dell’orifizio, e per la stessa frequenza di eccitazione, profondità dell’orifizio e profondità della cavità.

Figura 13 - Variazione del coefficiente di scambio termico medio in funzione della distanza assiale per diversi valori di profondità della cavità, e per lo stesso diametro dell’orifizio, profondità dell’orifizio e frequenza di eccitazione

Page 38: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

36

Un secondo set di risultati è stato invece sviluppato in termini di parametri

adimensionali. In particolare, si è studiata la dipendenza del numero di

Nusselt medio (Nuavg) da parametri come il numero di Reynolds, il rapporto

adimensionale L/d (parametro caratteristico dell’alloggiamento in cui è

stipato l’altoparlante) e il parametro caratteristico del blocchetto di rame

riscaldato R/d (in cui R è la semi-lunghezza caratteristica del blocchetto). La

variazione del numero di Nusselt medio con la distanza assiale normalizzata,

per diversi valori del numero di Reynolds, è mostrata in fig.15. Questi

risultati sono stati ottenuti per L/d = 13.75, R/d = 2.5 e Pr = 0.7. Si osserva

come il numero di Nusselt medio aumenti rapidamente fino a z/d = 6, per poi

scendere gradualmente all’aumentare del rapporto z/d. Inoltre, è possibile

osservare come il numero di Nusselt medio aumenti all’aumentare del

numero di Reynolds per un qualsiasi valore del rapporto z/d. Il massimo

valore del numero di Nusselt si ha per lo stesso valore del rapporto z/d per

tutti i valori del numero di Reynolds. Il massimo valore del numero di Nusselt

medio è 44 per un valore del numero di Reynolds pari 4180 e per un valore

del rapporto z/d pari a 6. Fig.15 mostra l’effetto di L/d sul numero di Nusselt

medio per differenti valori del rapporto z/d. Tale grafico è stato ottenuto per

un valore del numero di Reynolds pari a 3700 e per R/d = 1.5. Il valore

massimo di Nu si ottiene per z/d =2. È notevole come ci sia un sostanziale

aumento (108%) del valore massimo del numero di Nusselt per una

diminuzione del rapporto L/d da 13.75 a 7.86. Questa differenza suggerisce

Figura 14 - Variazione del coefficiente di

scambio termico medio in funzione della

distanza assiale per diversi valori di profondità

della cavità, e per la stessa frequenza di

eccitazione, diametro eprofonditàdell’orifizio

Page 39: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

37

che l’effetto che hanno le dimensioni dell’alloggiamento sul coefficiente di

scambio termico per i getti sintetici sia molto importante. La ricircolazione

del fluido tra l’orifizio e il blocchetto di rame provoca una significativa

riduzione del coefficiente di scambio termico. La quantit{ d’aria coinvolta nel

ricircolo cambia al cambiare della dimensione L dell’apparato. Più grande è L

maggiore è la quantit{ d’aria che ricircola. Ciò implica una maggiore

temperatura media dell’aria in prossimit{ della superficie riscaldata e porta

ad una riduzione del coefficiente di scambio termico. Fig.16 mostra invece la

variazione del numero di Nusselt medio in funzione della semi-lunghezza

normalizzata del blocchetto di rame. È evidente come il numero di Nusselt

medio aumenti all’aumentare del rapporto R/d per qualsiasi valore della

distanza assiale normalizzata. L’aumento del numero di Nusselt medio

all’aumentare del rapporto R/d è da imputare all’effettivo utilizzo del getto

impingente per rimuovere il calore. Il valore del rapporto z/d per cui si ha il

massimo del valore del numero di Nusselt medio aumenta all’aumentare del

rapporto R/d. Il valore massimo del numero di Nusselt medio è 40 per R/d

pari a 2.5, mentre è 23 per R/d pari a 1.5.

Figura 15 – Variazione del numero di Nusselt

medio in funzione della distanza assiale

normalizzata per diversi valori del numero di

Reynolds.

Page 40: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

38

Inoltre, è stato portato avanti, per lo stesso studio, un confronto diretto tra

getti continui assialsimmetrici e getti sintetici, per lo stesso set di condizioni.

In fig.17 è possibile osservare come i getti continui diano un più alto valore

del numero di Nusselt per piccole distanze foro - lastra ( . Ad ogni

modo, entrambi i getti danno performance confrontabili per una spaziatura

maggiore . Il massimo valore del numero di Nusselt si ottiene per

z/d = 4 per quanto riguarda i getti continui, mentre lo si ottiene a z/d = 6 per

quanto riguarda i getti sintetici. È possibile notare, inoltre, come il massimo

valore del numero di Nusselt e il 10% maggiore per i getti continui rispetto a

quello ottenuto con i getti sintetici per . I getti sintetici sono

svantaggiati nel caso di piccole distanze foro-lastra a causa dei processi

intrinseci di espulsione e suzione. Questo porta al ricircolo dello stesso

fluido; di conseguenza, la temperatura dello stesso aumenta e la capacità del

Figura 16 – Variazione del numero di Nusselt medio in funzione della distanza assiale normalizzata per diversi valori del rapporto L/d

Figura 17 – Variazione del numero di Nusselt medio in funzione della distanza assiale normalizzata per diversi valori del rapporto R/d

Page 41: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

39

getto nel rimuovere il calore dalla superficie riscaldata diminuisce

notevolmente. Ciò non accade per i getti continui, per i quali c’è un continuo

ricambio di fluido. Mentre un confronto diretto tra getti continui e getti

sintetici è stato portato avanti per un solo valore del numero di Reynolds, le

misurazioni preliminari, effettuate dagli stessi ricercatori, suggeriscono che i

getti continui superino di gran lunga i getti sintetici, in termini di

performance di scambio termico, per valori del numero di Reynolds inferiori

a 4000. Tuttavia, per i getti sintetici il numero di Nusselt aumenta

notevolmente all’aumentare del numero di Reynolds. Motivo per cui ci si

aspetta che la capacità di scambio di calore dei getti sintetici sia migliore di

quella dei getti continui per valori del numero di Reynolds superiori a 4000.

Sostanzialmente quindi, Re = 4000 rappresenta una sorta di crocevia: valori

maggiori conferiscono maggiori vantaggi ai getti sintetici, mentre per valori

inferiori risultano avvantaggiati i getti continui. Dati sperimentali in merito

non sono stati ricavati, per via delle limitazioni delle apparecchiature

utilizzate e quindi questi risultati non possono essere del tutto confermati.

Figura 2 – Variazione del numero di Nusselt medio in funzione della distanza assiale normalizzata per getti sintetici e getti continui, per lo stesso set di condizioni a contorno (L/d=13.75 e R/d=2.5).

Page 42: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

40

Un altro importante lavoro sullo sfruttamento dei getti sintetici per il

raffreddamento di superfici riscaldate è stato portato avanti da Arik[25], del

Global Research Center di Niskayuna, New York. Nell’articolo pubblicato

viene dapprima effettuata una disamina in termini di coefficienti di scambio

termico locale, per poi offrire una serie di risultati relativi ai coefficienti di

scambio termico globale, in funzione di alcuni parametri. Si è analizzato come

i getti sintetici permettano di ottenere un raffreddamento assai localizzato e

coefficienti di scambio termico parecchio elevati su piccole superfici. Si è

sviluppato, innanzitutto, un confronto, in termini di coefficienti di scambio

termico locale, tra raffreddamento con la sola convezione naturale e

raffreddamento tramite getti sintetici per caloriferi di diverse dimensioni.

L’apparato sperimentale utilizzato è quello rappresentato in fig.18.

Figura 3 – Vista in sezione dell’apparato

Fig.19 presenta le temperature locali ottenute per un calorifero di 12.7 mm. È

possibile osservare come il bordo d’uscita della superficie del calorifero abbia

una distribuzione di temperatura più uniforme rispetto al bordo d’attacco,

questo per via degli effetti della convezione naturale. Lo stesso calorifero,

alimentato alla stessa maniera, è stato poi raffreddato mediante un getto

sintetico. Le temperature locali sulla superficie del calorifero sono

rappresentate in fig.20. Il getto è stato portato alla frequenza di risonanza per

un valore del voltaggio molto basso (30V). Una volta che il getto è stato

avviato, si è assistito ad una drastica diminuzione della temperatura del

calorifero, provocata dall’impingimento del getto sintetico sulla

Page 43: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

41

superficiedello stesso. Fig.21 mostra la distribuzione sulla superficie del

calorifero del coefficiente di scambio termico locale, il cui valore varia tra 63

e 66 W/m2K. L’effetto di un voltaggio di alimentazione più alto (50V) sul

coefficiente di scambio termico locale è mostrato in fig.22. Occorre notare che

il getto è stato, come in precedenza, portato alla frequenza di risonanza

(4500Hz), ma stavolta con un voltaggio maggiore in ingresso all’attuatore. Un

voltaggio maggiore ha come conseguenza diretta un maggior potenziale di

raffreddamento, oltre ad un maggior consumo di potenza. Si è osservato,

infatti, come il coefficiente di scambio termico massimo in questo caso fosse

pari, all’incirca, a 92 W/m2K (fig.22), mentre era circa 63 W/m2K nel caso

precedentemente esaminato (fig.21). Successivamente, si è studiato l’effetto

dei getti sintetici nel raffreddamento di superfici riscaldate di dimensioni

maggiori rispetto a quella utilizzata precedentemente. In particolare, si è

utilizzato un calorifero 4 volte più largo del precedente e avente, quindi, una

superficie 16 volte maggiore. Fig.23 presenta l’andamento della temperatura

sulla superficie del calorifero di dimensioni maggiori nel caso del semplice

raffreddamento per convezione naturale. Mentre in fig.24 vengono presentati

i coefficienti di scambio termico sull’intera superficie del riscaldatore. Come è

possibile evincere dalla figura, i coefficienti variano tra 19 e 23 W/m2K. Il

raffreddamento per convezione naturale è, in questo caso, più debole. Il

motivo è da ricercare nelle maggiori dimensioni della superficie riscaldata,

che comportano una maggiore lunghezza caratteristica e quindi un numero di

Nusselt minore. Una volta avviato il getto sintetico l’effetto della turbolenza e

dei vortici locali è quello di agitare l’aria in prossimit{ della superficie del

calorifero e provocare un netto aumento dello scambio termico. Le

temperature locali vengono fornite, per questo caso, in fig.25. Mentre l’effetto

dei getti sintetici sul coefficiente di scambio termico totale è dato in fig.26. La

massima temperatura del calorifero si aggira attorno ai 61°C, mentre il

coefficiente di scambio di calore totale assume valori che variano tra 32 e

37W/m2K.

Page 44: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

42

Figura 19 – Distribuzione di temperatura sulla superficie diun calorifero a base quadrata di lato 12.7 mm raggiunta con la sola convezione naturale.

Figura 20 – Distribuzione di temperatura sulla superficie diun calorifero a base quadrata di lato 12.7 mm, raggiunta con l’ausilio di un getto sintetico (f=4500Hz, V=30V).

Figura 21 – Distribuzione del coefficiente di scambio termico totale sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 12.7 mm, raggiunta con l’ausilio di un getto sintetico (f=4500Hz, V=30V).

Page 45: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

43

Figura 22 – Distribuzione del coefficiente di scambio termico totale sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 12.7 mm, raggiunta con l’ausilio di un getto sintetico (f=4500Hz, V=50V).

Figura 23 – Distribuzione di temperatura sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 50.8mm, raggiunta con l’ausilio della sola convezione naturale.

Figura 24 – Distribuzione del coefficiente di scambio termico totale sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 50.8 mm raggiunta con l’ausilio della sola convezione naturale.

Page 46: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

44

Infine, come gi{ preannunciato, si è analizzato l’aumento di scambio termico

globale per un’ampia variet{ di caloriferi, sempre di forma quadrata ma di

diverse dimensioni, in funzione di svariati parametri. L’enhancement

(aumento) in termini di performance di raffreddamento, per quanto riguarda

il confronto getti sintetici e convezione naturale, può essere scritto nella

seguente maniera:

Fig. 27 presenta l’effetto del voltaggio di alimentazione dell’attuatore

sull’aumento di scambio termico, per un certo range di valori del voltaggio.

Mantenendo costante la temperatura massima del calorifero (80°C), per tutti

Figura 25 – Distribuzione di temperatura sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 50.8 mm ottenuta utilizzando un getto sintetico (f=4500Hz, V=50V).

Figura 26 – Distribuzione del coefficiente di scambio termico totale sulla superficie di un calorifero a base quadrata di lato 50.8 mm raggiunta tramite l’utilizzo di un getto sintetico (f=4500Hz, V=50V).

Page 47: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

45

i caloriferi provati (per i quali a variare sono solo le dimensioni e, quindi, la

superficie da raffreddare), si è osservato, come prevedibile, un diverso valore

dello scambio termico globale per i diversi casi esaminati. Il calorifero più

piccolo mostrava il massimo aumento di scambio termico, dal momento che

quest’ultimo era 9 volte superiore rispetto a quello ottenuto con la semplice

convezione naturale. Il calorifero più grande, invece, di lato 50.8 mm,

mostrava un valore dell’enhancement pari a 4. Quindi, per la superficie più

grande, lo scambio termico ottenuto sfruttando il getto sintetico era

solamente 4 volte maggiore rispetto a quello ottenuto con la semplice

convezione naturale. Questo effetto è dovuto al fatto che l’efficacia del getto

diminuisce all’aumentare della superficie riscaldata, come ci si aspetta

d’altronde. Inoltre, sempre analizzando fig.27, è possibile notare come lo

scambio termico non aumenti ulteriormente una volta superati i 70 V, per

tutte le possibili dimensioni del calorifero. L’effetto della distanza tra uscita

del getto e superficie e riportato in fig.28. È possibile notare come il

comportamento dei caloriferi di dimensioni inferiori dipenda fortemente

dalla distanza suddetta. Quando si allontana il getto dalla superficie

riscaldata le performance di quest’ultimo diminuiscono in maniera drastica,

nonostante il valore dell’enhancement sia, comunque, ancora pari a circa 5.7

per una distanza pari a 50 mm. È interessante come il calorifero da 25.4 mm

mostri una variazione nelle performance di raffreddamento molto piccola

(pari all’incirca ad una diminuzione del 10%) allontanando

progressivamente il getto dal calorifero, portando la distanza foro-superficie

da 5 a 50 mm. È da notare come, avvicinando troppo calorifero e foro

d’uscita, la capacit{ di raffreddamento del getto diminuisca drasticamente. In

particolare, è da evitare portare la suddetta distanza al di sotto dei 10 mm.

Quest’effetto è dovuto in particolare all’ingresso, all’interno della cavit{

soffiante, di aria calda durante la fase di risucchio del getto; ciò ha notevoli

ripercussioni sulle performance di raffreddamento. Fig.29 presenta l’effetto

della frequenza di vibrazione dell’attuatore sullo scambio termico globale.

Per tutte le dimensioni della superficie riscaldata il picco dello scambio di

calore si ha alla frequenza di risonanza della camera dell’attuatore, ossia

Page 48: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 2Studi Precedenti

46

4500 Hz. Facendo variare la frequenza per un range del ±20%, lo scambio

termico diminuisce solamente del 10%.

Figura 27 – Effetto del voltaggio di alimentazione sull’Enhancement Factor.

Figura 28 – Effetto della distanza foro – calorifero sull’Enhancement Factor.

Figura 29 – Variazione dell’Enhancement Factor in funzione della frequenza.

Page 49: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

47

Capitolo 3: Sensori di Flusso Termico

3.1 Introduzione

La misura dei flussi di calore e/o dei coefficienti di scambio termico per

convezione tra una superficie ed una corrente è solitamente più complessa di

quella di altre grandezze fluidodinamiche di interesse. La determinazione di

un flusso di calore in generale richiede la misura di temperature. Infatti, nelle

tecniche di misura ordinarie, i sensori di flusso termico sono di solito

costituiti da corpi a comportamento termico noto, la cui temperatura (o la

differenza di temperatura, o la variazione della temperatura nel tempo) è

misurata in opportuni punti. Lo studio della trasmissione del calore, applicata

al modello di sensore considerato, fornisce la relazione con cui, dalle

temperature misurate, è possibile risalire al flusso termico (e/o ai coefficienti

di scambio) cui è soggetta la superficie. In generale la misura di flussi termici

convettivi comporta una duplice scelta: quella del modello fisico di sensore di

flusso termico che meglio si adatta al problema oggetto di studio e quella

della tecnica per la misura della temperatura più idonea. Si sottolinea che la

scelta di un determinato sensore di flusso termico è spesso legata all’ordine

di grandezza delle variazioni spaziali e temporali del flusso termico stesso.

Quando la temperatura è misurata con tecniche di tipo standard (quali

termocoppie, termoresistenze, pirometri), il sensore fornisce il flusso di

calore locale in un solo punto (o medio su una superficie) e quindi il sensore

stesso è classificabile come zero–dimensionale. Le tecniche convenzionali

appaiono quindi insufficienti quando si studiano problemi in cui sono

presenti gradienti spaziali dei flussi termici e/o nei casi in cui si richiede

anche una completa visualizzazione dell’andamento del flusso termico sulla

superficie di scambio. Un primo passo verso il superamento dei limiti delle

tecniche standard zero–dimensionali è rappresentato dall’uso di "cristalli

liquidi incapsulati" . In linea di principio, i cristalli liquidi potrebbero essere

considerati come sensori di temperatura bidimensionali in quanto

Page 50: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

48

consentono di visualizzare mappe di temperatura. C’è da osservare però che,

in applicazioni di tipo quantitativo, è necessario usare cristalli il cui colore

cambia in un piccolo intervallo di temperatura. In pratica si visualizza una

sola isoterma per volta, per cui i cristalli liquidi sono da considerarsi, di fatto,

come sensori monodimensionali. Altre limitazioni nella pratica applicazione

dei cristalli liquidi sono poste sia dal loro campo di lavoro relativamente

limitato (tra -40 e 285°C), sia dalla difficoltà di applicare i cristalli su superfici

a doppia curvatura soprattutto quando, come spesso avviene, essi sono

riportati su fogli di mylar. Una ulteriore classificazione delle tecniche di

misura della temperatura è quella che le distingue in invasive e non invasive.

Le prime sono generalmente caratterizzate da una maggiore precisione ma

disturbano, con la loro stessa presenza, il fenomeno in osservazione.

Tecniche di misura della temperatura considerate invasive sono le

termocoppie, i thinfilmse gli RTD. Le tecniche invasive sono affette da errori

riconducibili essenzialmente a due cause. La prima è la variazione delle

condizioni termiche, provocata dalla presenza dell’elemento sensibile, nella

zona circostante il punto nel quale esso è applicato (ad es., la conduzione

attraverso i cavi della termocoppia). La seconda può essere, in alcuni casi,

legata alla dimensione finita dell’elemento sensibile; infatti quando

l’elemento è applicato in zone ad alti gradienti spaziali di temperatura e/o di

flusso termico esso, in generale, è in grado di fornire solo una misura mediata

nello spazio. Le considerazioni precedenti rendono critico l’impiego di

elementi sensibili cosiddetti invasivi per misurare flussi termici convettivi su

modelli investiti da una corrente fluida. Peraltro molto spesso è richiesta una

conoscenza dettagliata della distribuzione superficiale dei flussi termici. In

tali casi, spesso occorrono sia misure di tipo qualitativo che quantitativo: le

prime per mettere in evidenza le zone di picco dello scambio termico ed

avere una visione d’insieme del fenomeno; le seconde per ottenere valori

numerici su cui basare le successive fasi del progetto. Si è già detto che il

limite delle convenzionali tecniche quantitative di misura della temperatura è

costituito dalla zero–dimensionalità della natura della loro misura, in quanto

questa è effettuata in punti discreti della superficie. D’altra parte, le

Page 51: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

49

qualitative tecniche classiche di visualizzazione spesso sono invasive; ad

esempio la visualizzazione delle linee di corrente ottenuta mediante miscele

d’olio e fuliggine o a mezzo di vernici termosensibili, ancorché tecniche

bidimensionali, possono essere affette dai depositi sulla superficie del

modello. Il radiometro a scansione nell’infrarosso (Infrared Scanning

Radiometer, IRSR), o termografo all’infrarosso, accoppia le caratteristiche

qualitative degli strumenti di visualizzazione del flusso a quelle quantitative

dei misuratori tipicamente invasivi. Esso fornisce una misura non invasiva,

bidimensionale e digitalizzabile per successive elaborazioni del segnale al

computer. In questo capitolo si esamineranno i possibili sensori di flusso

termico e l’applicazione ad essi della termografia all’infrarosso; in quello

successivo si descriverà in dettaglio la tecnica termografica.

3.2 Sensori di Flusso Termico non Stazionario

Le metodologie, per la misura del flusso termico, si distinguono in tre

categorie a seconda del regime: instazionario, quasi stazionario e stazionario.

Nel caso instazionario, si supponga che il flusso termico vari con legge

sinusoidale del tipo:

q1=|q1| ∙ sen(ϕ∙t)

dove ϕè la frequenza di variazione del flusso termico. Quest’ultima può

essere confrontata con la frequenza caratteristica del sensore α/s, dove s ed α

sono rispettivamente lo spessore è la diffusività termica del sensore. Tale

frequenza è l’inverso del tempo caratteristico impiegato dal sensore per

adeguarsi alle variazioni di temperatura (tempo di equilibramento). Per

confrontare quantitativamente le due grandezze in esame è necessario

fissare non solo la condizione del flusso entrante, ma anche quella del flusso

uscente dalla parte interna del corpo, come mostrato nella fig.30.

Page 52: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

50

Figura 30 – Schema di sensore di flusso termico

Se infatti si suppone =0, si possono discutere i valori che può assumere il

rapporto φ/(α/s). Valori elevati implicano un tempo di adeguamento alle

mutate condizioni di temperatura così alto che si può ritenere che solo la

zona in prossimità della superficie 1, che è investita dal flusso, risenta di tali

variazioni, mentre la restante parte del sensore si può considerare in

condizioni praticamente stazionarie. In tal caso il modello del sensore

assume il nome di thin film e viene studiato mediante la teoria della parete

semi-infinita, che mette in relazione la temperatura con il flusso di calore in

direzione normale al sensore . In una fenomenologia del genere, l’uso del

termografo sembrerebbe estremamente facile: il problema risiede però nel

tempo di risposta del termografo che è relativamente elevato (dell’ordine del

decimo di secondo) mentre nelle tecniche ordinarie il thin film è una

termoresistenza dello spessore di pochi micron con tempi di risposta

dell’ordine dei microsecondi. Quando invece il rapporto φ/(α/s) assume

valori molto piccoli, il tempo di equilibramento del sensore è estremamente

breve, il che consente, istante per istante, di considerarlo isotermo attraverso

il suo spessore. In tal caso il modello del sensore assume il nome di thinskin, o

parete sottile, per il quale il sensore è considerato come un calorimetro

ideale, riscaldato su una faccia e termicamente isolato dall’altra, che si può

caratterizzare con le condizioni: ; . In questo caso l’uso del

termografo si rivela vantaggioso rispetto ad altre tecniche di misura: la

misurazione della temperatura può essere effettuata sia sulla superficie

Page 53: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

51

riscaldata che su quella adiabatica eliminando così la difficoltà di dover

posizionare un sensore di temperatura che, per quanto di piccole dimensioni,

spesso risulta intrusivo. Per il termografo, la misura dell’una o dell’altra

faccia ha problematiche pressoché equivalenti. Nella seconda metodologia,

quella della misura del regime di flusso termico quasi stazionario, si possono

ancora utilizzare i sensori thin film e thinskinpurché le variazioni di

temperatura nel tempo siano piccole rispetto alla differenza tra la

temperatura di parete e quella di parete adiabatica. Un altro metodo classico

è quello di utilizzare il sensore a gradiente, il cui modello resta sempre quello

di Fig. 3.1, ma con : in tal modo si cerca di calcolare il flusso

termico in direzione normale alla superficie mediante la misura della

differenza di temperatura tra le due facce del sensore di cui si

conoscono lo spessore e la conducibilità termica. Il sensore a gradiente è

applicabile quando φ/(α/L2)<<1. La difficoltà principale di questo metodo

(che può prevedere comunque l’utilizzo del termografo) consiste

nell’impossibilit{ di misurare in modo semplice la distribuzione di

temperatura su entrambe le facce del sensore.

3.3 Modello HeatedThinFoil

La terza metodologia, quella della misura del regime di flusso termico

stazionario può essere realizzata con la tecnica che prende il nome di

heatedthinfoil(Carlomagno e de Luca (1989)). Mediante tale metodo si

riscalda per effetto Joule un sottile strato di materiale metallico (lamina) che

ricopre la superficie del sensore e si determina il coefficiente di scambio

termico h tra il sensore ed il fluido in moto, attraverso la misura della

temperatura della parete del sensore. La superficie opposta a quella su cui

avviene lo scambio termico, tra il corpo ed il flusso d’aria, deve essere resa,

per quanto possibile, adiabatica. La tecnica è valida se vengono realizzate due

condizioni:

Page 54: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

52

il flusso termico superficiale derivante dal riscaldamento per effetto

Joule deve essere costante sulla superficie del sensore;

se la temperatura misurata dal termografo è la , e non la , il

numero di Biot relativo, deve essere molto minore dell’unit{.

Figura 31 –Schema del sensore HeatedThinFoil

La seconda condizione garantisce la trascurabilità dei gradienti di

temperatura attraverso lo spessore dello strato riscaldato (da qui il nome

heatedthinfoil). In questo caso, la superficie vista dal termografo può essere

opposta a quella su cui avviene lo scambio termico tra il corpo ed il fluido. Se

si opera tale scelta, è necessario curare in modo particolare la realizzazione

della condizione di adiabaticità (salvo che per il flusso radiativo) con

l’ambiente esterno. Se il coefficiente di scambio termico h è costante sulla

superficie del sensore, esso puòessere calcolato mediante la relazione:

dove: è la potenza termica per unità di superficie dissipata per effetto Joule,

è la potenza termica scambiata per irraggiamento e è l’eventuale

potenza termica scambiata per convezione naturale.

Page 55: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

53

3.3.1 Elaborazione Numerica delle Immagini ed

Estensione al Caso Bidimensionale

Il modello heatedthinfoilconsente, se associato ad un’opportuna tecnica di

misura delle temperature quale la termografia, di essere facilmente esteso al

caso bidimensionale, cioè al caso in cui h (e di conseguenza Tw) vari sulla

superficie. Evidentemente in questo caso, l’equazione deve essere modificata

per tenere conto anche degli effetti dovuti alla potenza termica qkscambiata

mediante conduzione in direzione tangenziale (all’interno del sensore):

Questa metodologia, associata all’utilizzo del termografo all’infrarosso,

permette di effettuare delle rapide visualizzazioni della mappa

bidimensionale del coefficiente di scambio termico convettivo sulla superficie

in esame. Infatti il termografo permette la visualizzazione dell’intera famiglia

di isoterme sulla superficie del modello e non una sola per volta, ad esempio,

come nel caso dei cristalli liquidi. Poiché il flusso termico qjè costante, se le

perdite sono trascurabili (o sono pressoché uniformemente distribuite sulla

superficie di misura) e se la temperatura di riferimento della (3.2) è anche

essa costante, le curve a temperatura costante rappresentano anche linee a

coefficiente di scambio termico convettivo costante. Per ottenere delle

misure quantitative è necessario però calcolare le perdite termiche e tenerle

in conto nella riduzione dei dati sperimentali. Il primo contributo può essere

facilmente valutato utilizzando la relazione di Stefan e Boltzmann:

qr(x,y) = σε(Tw4(x,y) − Ta4)

dove σ è la costante di Stefan–Boltzmann, ε è il coefficiente di emissività della

superficie di misura, Taè la temperatura ambiente, supposta costante, ed x e y

sono le coordinate spaziali nel piano di misura. Assumendola indipendente

dalla lunghezza d’onda, l’emissivit{ della superficie, che normalmente è di

difficile valutazione, può essere misurata direttamente con il termografo

stesso e con un accurato termometro di riferimento. La potenza termica

Page 56: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 3Sensori di Flusso Termico

54

scambiata per convezione naturale può essere, nella gran parte dei casi,

linearizzata secondo la:

qn(x,y) = hn(Tw(x,y) − Ta)

dove hnè il coefficiente di scambio termico dovuto alla convezione naturale

verso l’ambiente che può essere misurato con delle prove sperimentali

preliminari coibentando la superficie esposta al fluido in moto. Questi primi

due termini, a rigore, possono essere calcolati anche se si suppone che il

sensore termico sia zero–dimensionale; infatti sono funzione solo di variabili

che possono essere misurate nel punto di misura ed il loro effetto è quello di

ridurre le escursioni di temperatura. Il contributo dovuto alla conduzione

tangenziale è, invece, intrinsecamente bidimensionale e, se si considera un

bilancio di energia stazionario in un materiale isotropo ed a conducibilità

termica indipendente dalla temperatura, si ottiene:

qk(x,y) = − s k ∇2 (x,y)

dove s e k sono lo spessore e la conducibilità termica della lamina. A scapito

della semplicit{ teorica dell’equazione, la determinazione della potenza

termica dissipata per conduzione tangenziale è nella pratica molto

complessa. Il sistema termografico genera inevitabilmente rumore ad alta

frequenza dovuto alla sensibilità dello strumento e ciò impedisce

l’applicazione dell’operatore Laplaciano discreto: come è noto questo ha

carattere locale e tende ad esaltare le frequenze più elevate. Pertanto, per

ottenere una valutazione realistica della potenza termica dissipata per

conduzione tangenziale è necessario effettuare un operazione di filtraggio

delle immagini termografiche al fine di eliminare le alte frequenze di rumore.

Il sensore di flusso termico ed il fluido di lavoro utilizzati nella presente

ricerca hanno consentito di trascurare i contributi associati sia alla potenza

termica scambiata per convezione naturale che alla conduzione tangenziale.

L’analisi fatta sar{ infatti un punto di partenza per successive analisi con

livelli di precisione maggiori.

Page 57: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

55

Capitolo 4: Termografia all’Infrarosso

4.1 Introduzione

L'astronomo William Herschel scoprì l'infrarosso nel 1800. Avendo costruito

da solo il proprio telescopio, aveva una certa familiarità con lenti e specchi.

Partendo dalla considerazione che la luce del sole è composta da tutti i colori

dello spettro e che, allo stesso tempo, rappresenta una fonte di calore,

Herschel cercò di scoprire quale fossero i colori responsabili del

surriscaldamento degli oggetti. L'astronomo ideò un esperimento, utilizzando

un prisma, del cartone e alcuni termometri con il bulbo dipinto di nero, per

misurare le temperature dei diversi colori. Herschel osservò un aumento

della temperatura mentre spostava il termometro dal viola al rosso,

nell'arcobaleno creato dalla luce del sole che passava attraverso il prisma.

Alla fine, Herschel scoprì che le temperature più elevate corrispondevano al

colore rosso. La radiazione che causava tale surriscaldamento non risultava

visibile; l'astronomo chiamò la radiazione invisibile "raggi calorifici". Oggi,

tale radiazione viene chiamata infrarosso. Ad oggi gli infrarossi sono oggetto

d’esame delle termocamere o telecamere termografiche a infrarossi, le quali

rilevano a distanza e di conseguenza in modo non intrusivo l'energia

infrarossa (o termica) e la converte in un segnale elettronico, che viene in

seguito elaborato al fine di produrre immagini video e realizzare calcoli della

temperatura. Il calore rilevato da una termocamera può essere quantificato

con estrema precisione, permettendo all'utente di monitorare le variazioni

termiche e, allo stesso tempo, di identificare e valutare l'entità di problemi di

natura termica. I termografi possono differire tra loro per :

il tipo ed il numero dei sensori;

la banda dell’infrarosso in cui lavorano;

il metodo di raffreddamento del sensore;

l’intensit{ del segnale;

Page 58: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

56

i supporti periferici atti all’elaborazione dei dati;

4.2Termografia all’Infrarosso

La termografia è una tecnica di acquisizione di immagini nel campo dell'

infrarosso e rappresenta la visualizzazione bidimensionale della radiazione

emessa, in una banda dell’infrarosso, dalla superficie del corpo in esame.

Quando l’emissivit{ superficiale del corpo in esame è conosciuta è possibile

associare alla mappa di radiazione una mappa di temperatura mediante una

curva di calibrazione.

4.2.1 Radiazioni Infrarosse

La radiazione infrarossa (IR) è la radiazione elettromagnetica con

una frequenza inferiore a quella della luce visibile, ma maggiore di quella

delle onde radio. Il nome significa "sotto il rosso" (dal latino infra, "sotto"),

perché il rosso è il colore visibile con la frequenza più bassa. La radiazione

infrarossa ha una lunghezza d'onda (che è uguale alla velocità della luce al

secondo divisa per la frequenza) compresa tra 750 nm e 1 mm. Viene spesso

associata con i concetti di "calore" e "radiazione termica", poiché gli oggetti a

temperatura ambiente o superiore emettono spontaneamente radiazione in

questa banda (aumentando la temperatura, il picco si sposta sempre più

verso il visibile finché l'oggetto non diviene incandescente). Il limite inferiore

dell'infrarosso veniva spesso definito come 1 mm poiché a questa lunghezza

d'onda termina l'ultima delle bande radio classificate (EHF, 30-300 GHz).

Page 59: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

57

Figura 32 – Bande dell’infrarosso

Data la vastità dello spettro infrarosso e molteplicità di utilizzi delle

radiazioni collocate in vari punti al suo interno, sono state sviluppate diverse

classificazioni in ulteriori sottoregioni:

IR vicino con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 0.75 e 3

μm;

IR intermedio con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 3 e 6

μm;

IR lontano con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 6 e 15

μm;

IR estremo con radiazione di lunghezza d’onda compresa tra 15 e

1000μm.

4.2.2 Leggi Fondamentali

Tutti i corpi, ad una temperatura superiore dello zero assoluto (-273,14 °C),

irradiano energia sotto forma di onde elettromagnetiche e lo spettro di

emissione, cioè l’andamento dell’energia emessa in funzione della lunghezza

Page 60: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

58

d’onda, dipende dalla temperatura e dalle caratteristiche superficiali dei

corpi. Le leggi che descrivono tale emissione in forma generale ricorrono al

concetto di corpo nero. In fisica un corpo nero è un oggetto che assorbe tutta

la radiazione elettromagnetica incidente (e quindi non ne riflette alcuna

parte). Il corpo nero, per la conservazione dell'energia, irradia tutta la

quantità di energia assorbita (coefficiente di emissività uguale a quello di

assorbività) e deve il suo nome solo all'assenza di riflessione.

Lo spettro (intensità della radiazione emessa ad ogni lunghezza d'onda) di un

corpo nero è caratteristico, e dipende unicamente dalla sua temperatura. La

luce emessa da un corpo nero viene detta radiazione del corpo nero e la

densità di energia irradiata spettro di corpo nero. La differenza tra lo spettro

di un oggetto e quello di un corpo nero ideale permette di individuare la

composizione chimica di tale oggetto. Un corpo nero è un radiatore ideale,

emettendo il maggior flusso possibile per unità di superficie, ad ogni

lunghezza d'onda per ogni data temperatura. Un corpo nero inoltre, assorbe

tutta l'energia radiante incidente su di esso: ovvero nessuna energia viene

riflessa o trasmessa. Il termine "corpo nero" venne introdotto da Gustav

Kirchhoff nel 1862. Lo spettro di un corpo nero venne correttamente

interpretato per la prima volta da MaxPlanck, il quale dovette assumere che

la radiazione elettromagnetica può propagarsi solo in pacchetti discreti,

o quanti, la cui energia era proporzionale alla frequenza dell'onda

elettromagnetica. L'intensità della radiazione di un corpo nero alla

temperatura T è data dalla legge della radiazione di Planck:

)1()(

/5

1

20 TCe

CTE

dove:

)(0

TE = radiazione monocromatica emessa dal corpo nero alla lunghezza

d’onda λ, misurata in W/m2μm;

T = temperatura assoluta del corpo radiante;

= prima costante di radiazione = 2πhc2= 3.74 108Wμm4/m2

Page 61: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

59

= seconda costante di radiazione = hc/k = 1.44 104μmK

Figura 33 – Rappresentazione grafica della legge di Planck al variare della temperatura

Seguendo una di queste curve l’emissione spettrale risulta nulla per λ =0, per

poi aumentare rapidamente e fino a raggiungere il massimo ad una lunghezza

d’onda λmax per poi successivamente decrescere fino a raggiungere valore

nullo per lunghezze d’onda elevate. Più sono alte le temperature più basse

sono le lunghezza d’onde alle quali si raggiunge il massimo. A partire dalla

legge di Planck è possibile ricavare altre due leggi fondamentali. Integrando

la legge di Planck sull’ intero spettro (0≤λ≤∞) si ottiene la legge di Stephan-

Boltzmann:

Page 62: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

60

0

4

0)()(

0

TdTETE

Dove

]/[67.5428

KmWE

è la costante di Stephan-Boltzmann, che identifica la potenza totale emessa

per unità di superficie da un corpo nero. La legge di Stephan-Boltzmann

mostra come la potenza totale emessa da un corpo nero è proporzionale alla

potenza quarta della temperature assoluta. Graficamente Wb rappresenta

l’area sottesa dalla curva di Planck per una temperatura assegnata. Si

dimostra inoltre che l’emissione radiata nell’intervallo 0≤λ≤max equivale al

25% di quello totale. Differenziano poi l’equazione in funzione della

lunghezza d’onda è possibile poi ricavare la legge di Wien che definisce la

lunghezza d'onda alla quale l'intensità della radiazione emessa dal corpo

nero è massima:

][2898max

mmKT

Questa relazione mostra che, a temperatura ambiente, la lunghezza d’onda

massima ha un valore di circa 10mm. I corpi reali emettono in genere, alla

stessa temperatura, solo una frazione dell’energia emessa da un corpo nero,

frazione espressa dal valore dell’emissivit{ελ (parametro a sua volta

dipendente dalla particolare superficie, dalla temperatura, dalla lunghezza

d’onda, etc.). Le due equazioni diventano quindi:

)1()(

/5

1

2 TCe

CTEE

0)( dTEE

Page 63: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

61

Per una superficie per la quale ελ è indipendente dalla lunghezza d’onda

(corpo grigio che emette a qualsiasi lunghezza d’onda la stessa frazione di

energia emessa dal corpo nero) si ha:

E = ε ·σ ·T4

dove ε è l’emissivit{ emisferica totale (rapporto tra il potere emissivo del

corpo in esame e quello di un corpo nero che si trovi alla stessa temperatura).

Poiché il trasduttore del termografo è sensibile in una banda ristretta

dell’infrarosso, le misure effettuate sfruttano essenzialmente la legge di

Planck.

4.2.2 Sensori Termografici e loro Caratteristiche

La sensibilità alla radiazione infrarossa dipende dal tipo di sensore utilizzato;

due sono i tipi maggiormente utilizzati: i thermal detectors ed i photon

detectors.

I thermal detectors sono quelli più impiegati ed utilizzano la variazione di

resistenza elettrica di una pellicola di semiconduttore colpita da una

radiazione incidente. Caratteristiche salienti di questa categoria di sensori

sono un segnale in uscita piatto, che si può ritenere praticamente costante in

un vasto campo di lunghezze d’onda, ed il tempo di risposta relativamente

lungo rispetto ai photon detectors. Il segnale P emesso da un thermal detector

si può considerare proporzionale alla potenza radiante assorbita, cioè:

C

C

dTETRTP )(),()()(

dove R(λ) è la risposta dello strumento, βè l’angolo formato fra la normale

alla superficie che emette e l’asse di vista Δλè la banda di sensibilità dello

strumento.Nell’ipotesi di corpo grigio, cioè di emissivit{ indipendente da T e

da λ, segue:

)()()()()()( TPdTERTPB

C

C

Page 64: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

62

dove è il segnale ottenuto da un corpo nero alla stessa temperatura.

I photon detectorssono invece caratterizzati da materiali semiconduttori che

emettono cariche elettriche in misura proporzionale all’aliquota di energia

radiante incidente; è in questa categoria che devono essere inseriti i sensori

fotoconduttivi e fotovoltaici. Nei primi la radiazione incidente libera un flusso

di cariche elettriche provocando un aumento della conducibilità del sensore,

nei secondi le cariche elettriche sono trascinate via da un campo elettrico

dando luogo ad una differenza di potenziale. Entrambi i tipi di photon

detectors sono realizzati con un materiale semiconduttore in cui il rilascio

(fotoconduttivi) o il trasferimento (fotovoltaici) dei portatori di carica è

direttamente proporzionale all’assorbimento dei fotoni incidenti. L’energia

del fotone è, come si vedrà meglio in seguito, inversamente proporzionale

alla lunghezza d’onda ad esso associata e la scomparsa dell’attivit{

fotoelettrica a lunghezza d’onda più elevata della lunghezza d’onda di “cut

off” ( ) indica che l’energia associata ai fotoni non è sufficiente a rendere

liberi gli elettroni. In altri termini, i fotoni devono superare il cosiddetto

“salto di energia proibito” (forbiddenenergy gap,Eg) nel materiale

semiconduttore. La lunghezza d’onda di cut off è data da:

][mE

hc

g

C

dove Egè espressa in Joule. In generale il valore di Egcresce a più bassa

temperatura, di conseguenza la lunghezza d’onda di cut off decresce quando

il sensore viene raffreddato. Da questo ragionamento si capisce perché

questo tipo di sensori devono operare ad una temperatura molto bassa.

L’energia associata ad un singolo fotone è data da:

][mhc

Q

dove: h = costante di Planck; c = velocità della luce

Il numero NλBdi fotoni emessi si ottiene dividendo per hc/λ:

1)/(

4]1[

2)(0 Thc

Be

c

Q

TEN

Page 65: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

63

ed integrando su tutto lo spettro si ha:

3

0

37.0T

kdNN

BB

che dimensionalmente è espresso in fotoni cm-2sec-1ed esprime la dipendenza

dell’emissione totale di un corpo nero dal cubo della temperatura. Di fatto i

sensori comunemente utilizzati sono sensibili solo in una banda di lunghezze

d’onda; l’integrale dell’equazione va allora valutato non tra 0 e ∞ ma tra λce

λc+Δλ, con λce Δλrispettivamente estremo inferiore e ampiezza della banda di

sensibilità. Generalmente, le finestre più utilizzate nella tecnica

dell’infrarosso sono la short-wavewindowe la long-wavewindowche

corrispondono rispettivamente a bande di lunghezze d’onda relativamente

corte o lunghe. Nel primo caso, il sensore è generalmente di Antimoniuro di

Indio che dà una risposta relativamente alta per lunghezze d’onda comprese

tra 3.5 e 5.6 μmanche se si può far scendere il limite inferiore a circa 2 μm; si

usano di solito lenti e materiali ottici di silicio con un rivestimento

antiriflesso che assicura un massimo di trasmittanza ad una lunghezza

d’onda di circa 5 μm. Nel campo di lunghezze d’onda maggiori, il sensore è di

Cadmio–Mercurio–Tellurio che dà una risposta tra 8 e 14 μm; la parte ottica

dello strumento è costituita di Germanio con un rivestimento antiriflesso

avente un picco di trasmittanza a circa 10 μm. La scelta del campo di

lunghezza d’onda di lavoro dipende da diversi fattori. Alcune superfici hanno

un coefficiente di emissivit{ maggiore a lunghezze d’onda minori rendendo

possibile l’impiego di sensori più economici del tipo SbIn. Quando si lavora

nella banda a bassa lunghezza d’onda non si riesce ad avere elevata

precisione per distanze tra sensore e corpo maggiori di un metro, anche in

condizioni favorevoli di trasmittanza del mezzo. Infatti, la presenza di vapore

d’acqua nell’atmosfera può dar luogo ad apprezzabili errori di misura

peraltro difficilmente correggibili per atmosfere non accuratamente

climatizzate. Poiché l’elemento sensibile è generalmente zero–dimensionale,

per consentirgli di ricevere l’energia emessa da diverse zone del campo di

vista bisogna disporre di un opportuno sistema di scansione. Esso consiste in

Page 66: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

64

una serie di specchi mobili e/o elementi rifrattivi combinati tra loro che

consentono sia una scansione orizzontale che una verticale del campo di

vista. Le prestazioni (in termini quantitativi) di un radiometro a scansione

nell’infrarosso dipendono da alcuni parametri fondamentali che ne

definiscono le caratteristiche:

sensibilità termica,

velocità di scansione,

risoluzione spaziale dell’immagine

risoluzione dell’intensit{ del segnale.

La sensibilità di una telecamera all’infrarosso viene espressa dal NETD

(NoiseEquivalent Temperature Difference) che è la differenza di temperatura

tra due immagini corrispondente ad un segnale uguale a quello del rumore di

fondo. Il valore del NETD viene valutato ad una temperatura nota del

campione in esame. Il NETD oscilla generalmente tra 0.07 e 0.5 °C per

temperature dell’ordine di poche decine di gradi centigradi.

La velocità di scansione è la velocità alla quale le immagini termiche vengono

“riprese” attraverso il meccanismo di scansione. Il campo di vista totale viene

investigato dai sistemi di scansione orizzontale e verticale in un certo

numero di linee e colonne; possono quindi definirsi una velocità di scansione

per linea, una velocità di scansione per campo ed una per immagine. Infatti,

essendo una immagine composta da un certo numero di campi, spesso tra di

loro uniti, si possono definire sia una velocità di scansione di campo, che una

velocità di scansione di immagine. Il loro rapporto è ovviamente uguale al

fattore di unione, che è tipicamente 2 o 4. Nel caso di immagini non unite la

velocità di scansione di campo ed immagine ovviamente coincidono.

La risoluzione spaziale è la capacità del sistema di individuare e misurare

correttamente la temperatura in zone della superficie di dimensioni ridotte;

essa è una caratteristica che dipende dal tipo di sensore, nonché dalle sue

dimensioni e tempo di risposta. Per un data velocità di scansione, la

piccolezza delle dimensioni del sensore determina in generale la risoluzione

Page 67: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

65

spaziale delle immagini. Queste sono quasi sempre digitalizzate

elettronicamente in pixel molto più piccoli degli elementi con cui viene risolta

l’immagine dal sensore. Generalmente la risoluzione dell’immagine è definita

o mediante il campo di vista istantaneo del sensore (Instantaneous Field of

View, IFOV), o meglio ancora dal numero di IFOV che sono compresi nel

campo di vista totale, FOV. In teoria, IFOV è il rapporto tra l’ampiezza del

sensore e la lunghezza focale della lente; tuttavia, questa è solo una

definizione ideale (geometrica) in quanto in pratica quello che interessa

stabilire è la più piccola dimensione dell’oggetto (o finestra) termicamente

distinguibile dal sensore per un determinato valore del contrasto (o

modulazione). In linguaggio tecnico–commerciale l’IFOV è

convenzionalmente l’ampiezza di finestra corrispondente al valore del 50%

della cosiddetta SlitResponseFunction, SRF. Questa caratteristica dei sistemi

termografici risulta essere talvolta particolarmente critica e verrà analizzata

in dettaglio più avanti.

La risoluzione in intensità è invece quella che definisce la capacità del sistema

termografico di risolvere una differenza di temperatura in un certo numero

di gradazioni di grigio, ovvero di livelli digitali di intensità. La risoluzione in

intensità (o campo dinamico della misura) è espressa attraverso il numero di

livelli di grigio usati nel digitalizzare l’immagine termica. Tipici valori sono

256 oppure 4096 (8 o 12 bit). Un intervallo di temperatura tipicamente

misurabile da un termografo è compreso tra -30°C e 800°C; tale intervallo

può essere esteso anche a temperature superiori mediante l’impiego di

opportuni filtri che diminuiscono l’energia che incide sull’elemento sensibile.

4.2.4Sistemi per la Termografia all’Infrarosso

Le moderne configurazioni dei sistemi termografici nascono dall’esigenza di

ottenere misure qualitative ma soprattutto quantitative: i sistemi

termografici attuali sono realizzati in modo tale da assicurare la

digitalizzazione, l’acquisizione e la registrazione dei dati e delle immagini

mediante un computer ad essi interfacciato. La radiazione emessa viene

Page 68: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

66

amplificata e convertita in segnale elettrico e successivamente elaborata da

un convertitore analogico–digitale che invia i dati ad un calcolatore capace di

gestirli a mezzo di un opportuno software. Per avere un idea delle

caratteristiche di un sistema termografico e di come esso opera, lo si può

confrontare ad un sistema televisivo tradizionale; i due sistemi sono alquanto

simili ma esistono alcune differenze di tipo quantitativo:

il numero di pixel che formano un’immagine televisiva è di solito

maggiore di quello di un’immagine termografica (fino a 625x625 per

immagini standard contro un massimo di 512x512);

il contenuto di informazioni di un pixel termografico è maggiore

(digitalizzazione a 8-12 bit contro 4-6 bit);

la frequenza di acquisizione delle immagini televisive è generalmente

maggiore.

Il software è costituito da tre parti:

1. il software di sistema atto a realizzare una corretta acquisizione di

dati,

2. il software applicativo orientato alla gestione delle immagini ed

all’elaborazione dei dati in funzione dello specifico problema studiato

3. il software per la presentazione dei risultati (parte grafica).

Il software di sistema, affinché la tecnica termografica sia applicabile a

diversi problemi, deve essere il più flessibile possibile. Più precisamente il

software deve consentire un’acquisizione periodica di singole immagini, per

un assegnato intervallo di tempo ed una loro registrazione sulle varie

periferiche. Inoltre, il software dovrebbe dare anche la possibilità di gestire

una scansione per linee, cioè l’acquisizione di una singola linea del campo di

vista, soprattutto nelle applicazioni veloci.

Il software applicativo consente la gestione delle immagini; esso deve essere

indirizzato alla determinazione dei parametri significativi e delle grandezze

caratteristiche del fenomeno in osservazione (ad esempio, nel caso dello

scambio termico studiato nel presente lavoro, il numero di Nusselt);

generalmente, i compiti svolti dal software applicativo sono la rimozione o

attenuazione del rumore dello strumento, il calcolo del coefficiente di

Page 69: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 4Termografia all’infrarosso A

67

scambio termico convettivo e quello della temperatura di film alla quale

calcolare i coefficienti di trasporto.

La parte grafica, infine, include tutti quei programmi rivolti alla traduzione

qualitativa e quantitativa (grafici bi e tridimensionali, mappe a colori delle

temperature, istogrammi, etc.) delle distribuzioni delle grandezze

precedentemente valutate.

Page 70: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 5____________________________________________Apparato Sperimentale

68

Capitolo 5: Apparato Sperimentale

5.1 Apparato Sperimentale

Nel presente lavoro è utilizzato un termografo a scansione all’infrarosso

applicato alla tecnica stazionaria “heatedthinfoil” per la valutazione dei

coefficienti di scambio termico convettivo su una lastra piana, riscaldata per

effetto Joule e raffreddata da un getto d’aria vorticoso, ad essa

perpendicolare. L’apparato sperimentale è stato appositamente progettato

mediante CATIA e consiste in un supporto in ferro per la lastra dotato di una

struttura per il posizionamento del termografo, ad un’altezza regolabile, sulla

verticale della lastra stessa e di opportuni accessi ottici in previsione di

future analisi PIV del campo di moto, in configurazioni a camere singole o

multiple (PIV stereografica e tomografica). La collocazione degli accessi ottici

permette la visualizzazione di piani normali alla direzione del getto oppure

ortogonali alla lastra, come illustrato in fig.34.

Figura 34 - Accessi ottici per termografia, stereo-PIV e tomo-PIV

Page 71: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 5____________________________________________Apparato Sperimentale

69

Figura 35 - Rendering e schema dell’apparato sperimentale

La sezione di prova è composta da una sottile lastra di acciaio inossidabile di

spessore 40 μm, lunghezza 710 mm e larghezza 240 mm collegata, tramite

opportuni morsetti, ad alimentatore stabilizzato a corrente continua in grado

di fornire una tensione compresa tra 0 e 250 V ed una corrente di intensità

tra 0 e 250 A. Dato il piccolo spessore della lastra, è stato necessario impedire

le ondulazioni della stessa con un sistema di bloccaggio. Essendo la lastra

molto sottile, si può ritenere che il numero di Biot sia molto piccolo e

pertanto la distribuzione della temperatura sulla superficie inferiore della

lastra coincida con la distribuzione della temperatura sulla superficie

superiore. È quest’ultima superficie della lastra che può essere usata come

superficie di misura. Per rendere il coefficiente di emissività per

irraggiamento prossimo all’unità, la superficie di misura è stata ricoperta con

un sottile strato di vernice nera opaca. Tale coefficiente è stato misurato nel

campo termico di interesse, usando lo stesso sistema termografico, ed è stato

valutato pari a 0.95, per un campo di temperatura compreso tra 20°C e 80 °C.

Inoltre, onde evitare che la misura venisse influenzata dalle radiazioni

Page 72: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 5____________________________________________Apparato Sperimentale

70

provenienti dall’ambiente circostante, l’intero apparato sperimentale è stato

posto in un “box” isolato e schermato dall’ambiente. I getti d’aria prodotti dal

nostro sistema vengono “sparati” dal basso verso l’alto contro la lamina: la

struttura è stata quindi dotata anche di una slitta che permettesse di poter

variare di volta in volta la distanza tra l’estremit{ superiore dei tubi

generanti i getti e la superficie inferiore della lamina.

5.2 Caratteristiche del Dipole Cooler

Per la progettazione dell’apparato sperimentale si è preso, come modello

d’esempio, quello proposto da Lasance, Aarts e Ouweljtes[27][28]. Il modello da

loro utilizzato negli esperimenti (un dipole cooler) faceva uso di un piccolo

altoparlante del diametro di 25 mm, racchiuso all’interno di un alloggiamento

diviso in due parti distinte, comunicanti con l’esterno tramite due tubicini di

eguale lunghezza (fig.36). I volumi V1 e V2 (misuranti all’incirca 2 cm3) in cui

era suddiviso l’alloggiamento dell’altoparlante erano uguali. L’uguaglianza

tra i due volumi era realizzata mediante l’utilizzo di un sistema di viti, che

permetteva di variare i volumi fino a farli diventare uguali.

Figura 36 – Sketch di un dipole cooler.

Page 73: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 5____________________________________________Apparato Sperimentale

71

Nel nostro caso si è deciso di ricreare un generatore di getti sintetici dipolare,

come quello appena descritto, utilizzando un altoparlante del diametro di

208 mm. L’altoparlante scelto (Ciare HS250, fig.37) è stato montato

all’interno di una scatola realizzata in legno multistrato. L’amplificatore

utilizzato per alimentare l’altoparlante è un YSA300, sempre della Ciare,

operativo in modalità sub-woofer. Un segnale sinusoidale con frequenza pari

a quella di risonanza è stato creato utilizzando Matlab, ed inviato al modulo

di potenza, e quindi all’altoparlante, mediante l’ausilio di un PC portatile e di

un semplice programma di riproduzione di file audio wav.

Figura 37 – Subwoofer Ciare HS250.

I volumi interni della scatola sono stati riempiti, al fine di ottenere una

frequenza di risonanza di Helmholtz prossima ai 50 Hz (la frequenza è stata

scelta sulla base dei valori di frequenze per i quali la risposta del sub-woofer

risulta migliore), tramite l’ausilio di alcuni prismi di legno a base triangolare

dello stesso materiale della scatola, realizzati mediante l’aiuto di un ebanista;

in più, sono stati fabbricati, utilizzando sempre lo stesso materiale, un tronco

di cono di altezza 30 mm, lavorato al tornio, ed un prisma a base esagonale,

forato e svasato al centro, lavorato mediante l’ausilio dello stesso

macchinario. Sono stati praticati su una parete della scatola, ad una distanza

di 3 diametri l’uno dall’altro, due fori del diametro di 21.4 mm. Ai due fori

sono stati collegati due tubi in PVC di lunghezza pari a 10 diametri, aventi un

diametro esterno di 30 mm.

Page 74: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 5____________________________________________Apparato Sperimentale

72

Figura 38 - Fasi di lavorazione al tornio di alcuni

elementi riempitivi

Figura 39 - Pezzo lavorato

Figura 40 - Rendering in Rhinoceros dell’apparato sperimentale.

Per il calcolo della frequenza di risonanza dell’apparato si è trattata la scatola

(e quindi i due volumi) alla stregua di un risuonatore di Helmholtz (per

Page 75: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 5____________________________________________Apparato Sperimentale

73

maggiori informazioni sui risuonatori di Helmhotz si rimanda alla sezione

apposita) e,quindi, per il calcolo della frequenza, si è utilizzata la formula:

Fissato il valore di frequenza di risonanza che si desiderava ottenere e la

lunghezza e il diametro dei tubi uscenti dalla scatola, si è poi giocato sui due

volumi interni (superiore ed inferiore) al fine di ottenere la risonanza di

entrambi i volumi per lo stesso valore di frequenza. Questo poiché,

idealmente, vorremmo che entrambi i volumi soffiassero fuori la stessa

quantità d’aria e che, quindi, raffreddassero alla stessa maniera. Senza

dimenticare che, al fine di eliminare il rumore (un altoparlante che lavora in

un tubo può arrivare ad essere parecchio rumoroso) è necessario che i due

volumi siano identici.

Purtroppo, a causa di alcuni effetti di forma, la frequenza calcolata non

corrispondeva alla reale frequenza di risonanza dell’apparato. Si è infatti

visto come, una volta stimolato l’altoparlante alla frequenza desiderata (ossia

quella precedentemente calcolata), l’apparato soffiasse relativamente poco.

Tenuti in conto gli effetti di forma (legati alla particolare geometria interna

della scatola), si è proceduti alla modifica dei volumi interni (praticata

mediante l’utilizzo di ulteriori elementi riempitivi), ottenendo

immediatamente una risposta confortante in termini di potenza del getto

eiettato.

Inoltre, nonostante le svariate misurazioni effettuate, non si è riusciti ad

ottenere un volume inferiore perfettamente identico a quello superiore,

mancato ottenimento comprovato dal fatto che la potenza del getto sul lato

inferiore era inferiore a quella del getto uscente dal volume superiore.

Purtroppo, a causa della assai particolare geometria della porzione inferiore

dell’altoparlante, le misurazioni effettuate sono sempre state abbastanza

approssimative, portando quindi ad una differenza tra i due volumi interni e,

Page 76: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 5____________________________________________Apparato Sperimentale

74

quindi, ad una non perfetta simmetria tra parte inferiore e parte superiore

della scatola.

In Tab.1 sono riportati tutti i dati relativi all’apparato.

Parametri Dimensione

Dt 21,4 mm

St 359,5 mm2

Lt 214 mm

c 340000 mm/s

V1= V2 2369892 mm2

fH 45,58 Hz

Tab.1

5.3 Caratteristiche Termocamera

IlsistemaIRSR (InfraredSynchrotronRadiation)utilizzatoconsiste inuna

camera

CedipJadeMWIRcollegataattraversounconvertitoreA/Daduncomputer.Ilse

nsoredella

termocameraeunIndiumGalliumArsenide(InGaAs)sensibilenellabanda

dilunghezze d’ondacompresatra0.9e1.7µm. L’FPA éuna matricedi

sensoridelledimensioni 640x512,raffreddato daunsistematermoelettrico.

Ilsistemahaunavelocitadiscansione

dell’interafinestra640x512di126Hzelasensibilitanominale,espressaintermi

nidelNETD (NoiseEquivalentTemperatureDifference)edi0.02Kquando

l’oggettoosservatosi trovaalla temperaturaambiente.

Page 77: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

75

Capitolo 6: Indagine Sperimentale

6.1 Riduzione dei Dati Sperimentali

Come si è osservato in precedenza, l’espressione del coefficiente di scambio

termico convettivo h , è data dalla seguente relazione:

aww

ij

TT

QQh

dove:

Qj= potenza termica fornita dall’alimentatore alla lamina per unit{ di

superficie;

Qi = potenza termica globale dissipata, per unità di superficie;

Tw-Taw= differenza di temperatura tra la lastra e il getto d’aria.

I valori di ch sono stati calcolati mediante apposito software applicativo,

capace di processare le immagini e di restituire, partendo dal file binario

rappresentativo dell’immagine così come fornito dalla strumentazione, la

mappa delle temperature punto per punto. In tale programma, la differenza

awwTT viene calcolata sottraendo punto per punto il valore di temperatura

di una immagine fredda da una calda, preventivamente acquisite. Il termine

Qj è invece fornito come dato di input ed è calcolato semplicemente

misurando con un voltmetro ed un amperometro rispettivamente i valori di

tensione e di corrente forniti dall’alimentatore, e tenendo presente che la

potenza termica dissipata per effetto Joule è pari a

VIQ J

Il termine Qi, rappresentativo delle perdite unitarie, è quello di più

problematica determinazione: si è cercato anzitutto di individuarne

l’espressione analitica. A tale scopo si sono scritte le equazioni del bilancio

relativamente ad un volume elementare della lastra dV; queste equazioni,

Page 78: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

76

senza scendere nel dettaglio matematico, hanno condotto ad una relazione di

bilancio locale dell’energia (in coordinate polari) del tipo:

aww

amb

ambaww

TT

TTr

T

rr

TksQ

h

TTTThr

T

rr

TksQ

44

2

2

44

2

2

1

1

dove:

Q = potenza termica globale, fornita per unità di superficie;

ε = emissivit{ relativa della lastra, somma dell’emissivit{ della superficie

riscaldata della lastra più quella della superficie di misura;

s = spessore della lamina;

k = conducibilità termica del materiale della lastra;

σ = costante di Planck, pari a KJ /10675.58 ;

r

T

rr

TksQ

rcond

12

è la potenza termica unitaria dissipata per conduzione in direzione

tangenziale alla lastra, che in questa indagine sperimentale è stata trascurata;

44

ambirrTTQ

è la potenza termica unitaria dissipata per irraggiamento.

Una volta determinato il valore di h, è possibile ottenere quello del numero di

Nusselt, attraverso la seguente espressione:

airk

hDNu

D è il diametro di uscita dell’ugello; mKWkair

/025543.0 è il valore

della conducibilit{ termica dell’aria. Nel calcolo di h si sono trascurate le

perdite per conduzione tangenziale commettendo un errore dell’1% sul

valore finale.

Page 79: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

77

6.2 Analisi Sperimentale

6.2.1 Prove con un solo getto

Sono state condotte prove utilizzando solo uno dei due getti disponibili. Per

evitare che l’altro getto impingesse sulla lamina, si è utilizzato un tubo

ricurvo a 90 gradi. Il motivo per cui si è deciso di effettuare tali prove risiede

nella necessità di confrontare le performance in termini di scambio termico

dei due getti accoppiati con quelle del getto singolo. Si è dunque collocata

l’estremit{ dei fori di uscita dei getti a 1D, 2D, 6D e 10D di distanza dalla

lamina riscaldata. Queste distanze vengono identificate nel prosieguo col

rapporto z/D (distanza getto-lamina adimensionalizzata).

Le performance sono state valutate in termini di numero di Nusselt

, dove h è il coefficiente di scambio termico per convezione, e non è una

proprietà termodinamica del mezzo ma è essenzialmente una funzione del

particolare campo di moto che si stabilisce in seno alla corrente; mentre k è la

conducibilità termica del mezzo. Nu, così come h, dipende dalla particolare

soluzione del campo di moto.

Ogni prova è stata condotta tre volte, onde verificare la correttezza dei

risultati e la riproducibilità degli stessi.

Per la prima prova (fig. 41 & fig. 45) si sono posti i fori dell’apparato ad una

distanza di 1D dalla lamina. Si è registrato un Nu medio pari a 11,542. Due

valore di picco del Nusselt sono stati registrati (come atteso) in

corrispondenza del punto di ristagno del getto. Il valore di picco è risultato

pari a 30.

La seconda prova (fig. 42 & fig. 45) è stata condotta ponendo fori e lamina ad

una distanza di due diametri. Si è registrato un Nu medio pari a 11,061. Come

nella prova precedente, il valore di picco del Nusselt è stato ricavato in

corrispondenza del centro del getto. Il valore di tale picco, inferiore a quello

in precedenza ricavato, è risultato pari a 24.

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Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

78

Per la terza prova (fig. 43 & fig. 45) si sono posti fori e lamina ad una distanza

di sei diametri. Si è registrato un Nu medio pari a 10,171. Il valore di picco del

Nusselt è stato ricavato sempre in corrispondenza del centro del getto. Il

valore di tale picco è risultato inferiore ai due in precedenza ricavati per le

prove con un solo tubo, e pari a 22.

Per la quarta ed ultima prova (fig. 44 & fig. 45), foro e lamina sono stati posti

ad una distanza di 10 diametri l’uno dall’altra. Si è registrato un Nu medio

pari a 9,553. Un valore di picco del Nusselt è stato ottenuto, come nei casi

precedenti, in corrispondenza del punto di ristagno del getto sintetico. Tale

picco del numero di Nusselt è risultato pari a 17.

Figura 41 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 1

Page 81: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

79

Figura 42 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 2

Figura 43 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 6

Page 82: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

80

Figura 44 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 10

Figura 45 – Profili del numero di Nusselt per prove con getto singolo

Per le prove con un solo getto si è scelto di utilizzare il tubo superiore

dell’apparato sperimentale. Onde verificare che non vi fossero differenze

Page 83: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

81

eccessive tra i due getti per ciò che concerne le performance in termini di

scambio termico, sono state condotte prove anche utilizzando il solo getto

inferiore.

Si è dunque posto il foro dell’apparato sperimentale ad una distanza di due

diametri dalla lamina riscaldata. Sono stati ottenuti risultati più o meno simili

a quelli ricavati sfruttando il solo getto superiore (fig. 46 &fig. 47). Anche in

questo caso si è registrato un picco del numero di Nusselt in corrispondenza

del centro del getto. Il valore di Nu in corrispondenza di tale picco è risultato

24 (così come nella prova colo solo getto superiore). Inoltre, si è registrato un

valore del Nusselt medio dissimile non di molto da quello ricavato per le

prove col tubo superiore (11,338).

Figura 46 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 2 (getto inferiore)

Page 84: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

82

Figura 47 – Profilo del numero di Nusselt per z/D = 2 (getto inferiore)

6.2.2 Prove con due getti

Oltre alle prove con getto singolo, per sfruttare appieno le potenzialità offerte

dal dipole cooler, sono state condotte prove termografiche sfruttando

entrambi i getti. In particolare,si è posto l’obiettivo di capire quali, tra le

diverse configurazioni di prova, garantissero le migliori performance in

termini di raffreddamento.

Come per le prove con getto singolo, si è collocata l’estremit{ dei fori di uscita

dei getti a 1D, 2D, 6D e 10D di distanza dalla lamina riscaldata. Inoltre, i due

tubi dell’apparato sono stati posti a tre diverse distanze tra loro: 1D, 3D e 5D

(passo p).

Come prima, ogni prova è stata condotta tre volte, onde verificare la

correttezza dei risultati e la riproducibilità degli stessi.

Page 85: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

83

6.2.2.1 Gruppo Prove 1: z/D = 1

La prima prova è stata condotta ponendo i getti ad una distanza reciproca

pari a 1D (p/D = 1). Il valore del Nu medio è risultato pari a 13,175, con un

picco in corrispondenza del punto in mezzeria dei getti. Il valore del picco è

risultato pari a 40, valore notevolmente maggiore rispetto a quelli ottenuti

col getto singolo e rispetto a quelli che saranno ottenuti nel prosieguo.

Inoltre, nell’immagine del campo, sono ben visibili i punti di ristagno dei

getti. La seconda prova è stata condotta ponendo i fori dell’apparato per i

getti sintetici ad una distanza reciproca pari a 3D (p/D = 3). Il Nu medio è

risultato pari a 12,478. In corrispondenza dei punti di ristagno dei due getti si

sono trovati picchi del valore del numero di Nusselt, pari a circa 28. Per la

terza ed ultima prova, i due getti sono stati posti ad una distanza reciproca

pari a 5D (p/D = 5). Il Nu medio è risultato pari a 13,539, mentre in

corrispondenza dei punti di ristagno dei getti si è registrato un valore del

Nusselt pari a 32,5. Sia il valore di picco che il valore medio sono superiori a

quelli registrati nel caso di passo tra tubi pari a 3D.

Figura 48 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 1 e p/D = 1

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Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

84

Figura 49 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 1 e p/D = 3

Figura 50 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 1 e p/D = 5

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Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

85

Figura 51 – Profili del numero di Nusselt per z/D = 1

6.2.2.2 Gruppo Prove 2: z/D = 2

La prima prova è stata effettuata collocando i tubi dell’apparato ad una

distanza reciproca pari a 1D (p/D = 1). Il Nu medio è risultato pari a 13,755,

mentre i valori di picco, registrati in corrispondenza dei punti di ristagno dei

getti, sono risultati pari a 30. Nessun picco secondario è stato in questo caso

registrato in mezzeria, a dispetto delle prove successive condotte a due

diametri di distanza dalla lamina riscaldata. Per la seconda prova (p/D = 3), il

numero di Nusselt medio è risultato pari a 12,554, quindi identico a quello

ricavato per una distanza foro-lamina pari a 1D. I valori dei picchi del numero

di Nusselt, sempre ottenuti in corrispondenza dei punti di ristagno dei getti,

sono risultati più bassi di quelli ottenuti per p/D = 3 e z/D = 1, e pari a 26. Un

altro picco del numero di Nusselt, ben visibile, è stato trovato in

corrispondenza del centro dei due getti. Per la terza prova, i due getti sono

stati collocati ad una distanza reciproca pari a 5D (p/D = 5). Il Nu medio è

risultato pari a 12,637, valore inferiore a quello ricavato per distanze minori

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Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

86

dalla lamina, sia nel caso di passo tra tubi pari a 3D che nel caso di passo pari

a 5D. Il valore di picco del Nu registrato in questo caso è stato 27, non molto

distante dal valore registrato nel caso di passo tra tubi pari a 3D. Inoltre,

come nella prova precedente, è risultato ben visibile un terzo picco del

numero di Nusselt in corrispondenza del centro dei getti. Il valore del

numero di Nusselt in corrispondenza di questo terzo picco è risultato pari a

14.

Figura 52 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 2 e p/D = 1

Page 89: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

87

Figura 53 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 2 e p/D = 3

Figura 54 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 2 e p/D = 5

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Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

88

Figura 55 – Profili del numero di Nusselt per z/D = 2

6.2.2.3 Gruppo Prove 3: z/D = 6

Per la prima prova (p/D = 1), si è registrato un numero di Nusseltmedio pari

a 12,127, il valore più alto per una prova a 6D di distanza dalla lamina. Il

numero di Nusselt in corrispondenza dei centri dei getti è risultato pari a 21.

Non si è registrato alcun picco del Nusselt in mezzeria. La seconda prova è

stata effettuata collocando i tubi dell’apparato ad una distanza reciproca pari

a 3D (p/D = 3). In questo caso il Numedio è risultato pari a 12,237, un valore

leggermente inferiore a quello ricavato per le due precedenti prove con p/D =

3. Il numero di Nusselt in corrispondenza dei centri dei getti è risultato pari a

23,5. Il numero di Nusselt assume valori sempre più bassi andando dai centri

dei getti sino al centro tra gli stessi, e raggiunge un minimo proprio in

mezzeria (all’incirca 15). Nella terza prova (p/D = 5) il Numedio è risultato pari

a 11,496, valore inferiore a quelli ricavati precedentemente per p/D = 5.

Mentre il valore di picco, registrato sempre in corrispondenza dei punti di

Page 91: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

89

ristagno dei getti, è risultato pari a 22. A differenza della prima prova,

stavolta è risultato ben visibile un terzo picco del numero di Nusselt in

corrispondenza del punto in mezzeria tra i centri dei getti.

Figura 56 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 6 e p/D = 1

Figura 57 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 6 e p/D = 3

Page 92: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

90

Figura 58 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 6 e p/D = 5

Figura 59 – Profili del numero di Nusselt per z/D = 6

Page 93: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

91

6.2.2.4 Gruppo Prove 4: z/D = 10

Per la prima prova (p/D = 1) è stato registrato un numero di Nusselt medio

pari a 10,938; mentre i valori di picco del numero di Nusselt, registrati come

al solito in corrispondenza dei punti di ristagno, sono risultati in questo caso

pari a 16. Nella seconda prova (p/D = 3) il Numedio è risultato pari 10,833, un

valore notevolmente inferiore rispetto a quelli ricavati in precedenza per p/D

= 3. Il numero di Nusselt in corrispondenza dei centri dei getti è risultato pari

a 17. Per la terza ed ultima prova, i due getti sono stati posti ad una distanza

reciproca pari a 5D. Il Numedioè risultato pari 9,625, il valore più basso

registrato per le prove con passo tra tubi pari a 5D e 3D. Valori di picco del

numero di Nusselt sono stati registrati, così come ci si aspettava, in

corrispondenza dei punti di ristagno dei due getti. Il valore di tali picchi è

risultato di poco superiore a 15.

Figura 60 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 10 e p/D = 1

Page 94: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

92

Figura 61 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 10 e p/D = 3

Figura 62 – Mappa del numero di Nusselt per z/D = 10 e p/D = 5

Page 95: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

93

Figura 63 – Profili del numero di Nusselt per z/D = 10

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Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

94

6.3 Conclusioni

Con il presente lavoro di tesi ci si è prefissi lo scopo di determinare quale, tra

le svariate configurazioni di prova, garantisse il più alto valore dello scambio

termico. Tutte le prove sono state condotte fornendo all’altoparlante sempre

la stessa potenza (all’incirca 45W); in questo modo è risultato possibile

valutare le performance dell’apparato solo in funzione della distanza tra getti

e della distanza tra getti e superficie.

Utilizzando un apposito programma, scritto in Matlab, sono stati ricavati

grafici sull’andamento del numero di Nusselt medio in funzione della

distanza adimensionaleZ/D (dove Z è la distanza dei getti dalla lamina,

mentre D è il diametro dei getti) per diversi valori della distanza getto-getto

p. Anche questa distanza è stata adimensionalizzata mediante D.

In fig.58 sono riportati proprio gli andamenti del numero di Nusselt medio in

funzione della distanza adimensionalizzataZ/D per tutti i possibili passi

p/D.Nel caso p/D = 3, l’andamento diNumean, per valori diZ/D compresi tra 1 e

6, è pressoché costante. Una vera e propria diminuzione diNumeanla si osserva

solo per un valore del rapporto Z/Dpari a 10.Alcontrario, quando p/D = 5

l’andamento diNumeanè strettamente decrescente. E’ interessante notare come

il valore di Numean per Z/D= 1 sia superiore al valore ottenuto nel caso p/D =

3. Per tutti gli altri valori del rapporto Z/Dsi ottengono valori diNumeanpari o

inferiori a quelli del casop/D = 3.Nel caso in cui p/D = 1, l’andamento

diNumeannon è solamente decrescente, ma presenta un picco per valori del

rapporto Z/Dcompresi tra 2 e 6. Inoltre, a differenza del casop/D = 5, il valore

diNumeandecresce in maniera meno rapida all’aumentare del rapporto Z/D,

restituendo valori del numero di Nusselt medio assai simili a quelli del caso

p/D = 3.Inoltre, per completezza, in fig.58 è riportato anche l’andamento

diNumeanin funzione di Z/D per le prove con un solo getto sintetico. Anche in

questo caso l’andamento diNumeanè strettamente decrescente e i valori dello

stesso sono inferiori a quelli ricavati nelle prove con entrambi i getti.

Page 97: Tesi definitiva con risultati

Capitolo 6____________________________________________Indagine Sperimentale

95

Dai grafici precedenti risulta che alti valori del numero di Nusselt possono

essere ottenuti con due diverse combinazioni di distanze getto-getto e getto-

lamina: per p/D = 5 e Z/D= 1, o per p/D = 1 e Z/D= 1. In entrambi i casi, il

valore del numero di Nusselt medio è all’incirca 13,6. Inoltre, per p/D = 1 e

p/D = 3 si ottengono Numean ragionevolmente alti anche all’aumentare della

distanza dei getti dalla lamina, mentre per p/D = 5 si ottengono valori alti di

Numeansolo per piccole distanze dalla lamina dei getti. Tali risultati affermano

dunque che valori alti diNumeanpossono essere ottenuti in un ampio range di

distanze Z/Davvicinando i getti, ossia per p/D < 3.

Figura 58 – Andamento di Numeanin funzione della distanza adimensionale Z/D per

diversi valori del passo

Page 98: Tesi definitiva con risultati

96

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