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Tutto e subito

Collana diretta da Antonino Buttitta

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Mario Gandolfo Giacomarra

Turismo e comunicazioneStrategie di costruzione del prodotto turistico

A cura diLelio La Porta

Sellerio editorePalermo

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2005 © Sellerio editore via Siracusa 50 Palermo

2001 © e-mail: [email protected]

Giacomarra, Mario Gandolfo

Turismo e comunicazione : strategie di costruzione del prodotto tu-ristico / Mario Gandolfo Giacomarra. - Palermo : Sellerio, 2005.(Tutto e subito / collana diretta da Antonino Buttitta ; 4)ISBN 88-389-2103-21. Turismo.338.4791 CDD-21 SBN Pal0202189

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana «Alberto Bombace»

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Turismo e comunicazione.Strategie di costruzione del prodotto turistico

Introduzione 11

1. Per una storia sociale della pratica turistica 17L’attenzione per il turismo nelle scienze sociali - Alleorigini della pratica turistica - Il turismo fra Otto e No-vecento - Il XX secolo: verso il turismo organizzato -Dalla villeggiatura al turismo di massa - Turismo dimassa e senso della vacanza

2. Linee di sociologia del turismo 41Parametri definitori del fenomeno turistico - Una ti-pologia delle pratiche turistiche - Turismo e processi dimodernizzazione: i fattori determinanti - Elementimotori del fenomeno turistico - Turismo di massa e/oturismo organizzato - Turismo organizzato e tipologiedi turisti: la bolla ambientale

3. La comunicazione: fattori, funzioni, effetti 68Le società comunicanti - Mediazioni simboliche e re-lazioni sociali - I fattori della comunicazione - Le fun-zioni in una prospettiva di comunicazione sociale - Glieffetti delle comunicazioni di massa

4. Il posizionamento del prodotto turistico 90Il prodotto turistico come costruzione sociale - Le

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Indice

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componenti del prodotto turistico e le fasi del ciclo divita - Il posizionamento del prodotto turistico

5. La segmentazione del pubblico 104Alle origini della segmentazione - Le sperimentazioniamericane - Le indagini sugli stili di vita - Le espe-rienze italiane - Segmentazione e posizionamento:quali azioni per il turismo organizzato?

6. L’agire comunicativo nel turismo 123Gli agenti, i messaggi, le tecniche - Dal catalogo a In-ternet - La comunicazione nelle agenzie di viaggio -Comportamenti eterodiretti: il turismo da pratica a im-magine

Riferimenti bibliografici 143

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Turismo e comunicazioneStrategie di costruzione del prodotto turistico

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Il turismo rivela, a chi se ne occupi, un aspetto che èda ritenere costitutivo: il rapporto con l’altro. Il con-tatto con chi è diverso per colore della pelle, valori re-ligiosi, consuetudini e modelli di comportamento, èun’esperienza che le popolazioni occidentali non han-no smesso di compiere, almeno dal tempo degli antichigreci. Né si può dire che sia mutato l’atteggiamento as-sunto nei secoli successivi dagli uomini del Vecchio neiconfronti di quelli del Nuovo Mondo, prima, e del co-siddetto Terzo Mondo, poi. Un atteggiamento che, purnel variare dei contesti di riferimento, finisce invaria-bilmente col ribadire la superiorità della propria culturarispetto a chi è semplicemente diverso per razza, co-stumi, valori, o per tutti insieme quei caratteri. I popoliinsediati a nord dell’antica Ellade erano considerati«barbari», ovvero balbuzienti, perché ai greci appari-va difettosa la loro parlata; «barbari» erano detti anchei popoli nordici che, scendendo verso il Mediterraneo,minavano la sicurezza dell’Impero romano ormai in di-sfacimento; «pagani» erano i popoli che non profes-savano la religione cattolica e «infedeli» i musulmani.Il rapporto con i popoli altri è stato a lungo contrad-distinto insomma da un atteggiamento di rifiuto, dal-l’esigenza di tenere a distanza chi veniva rappresenta-to nell’immaginario collettivo ora come un mostro,

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Introduzione

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ora un cannibale, ora un essere animalesco. Ed è rifiutoetnocentrico perché, pur senza conoscere l’altro, essosi accompagnava ad una esaltazione acritica dei propricostumi, della propria religione, della propria cultura.Una simile prospettiva ideologica, generata da enormicarenze di conoscenza, ha trovato nel tempo i suoi teo-rici: è il caso dell’evoluzionismo antropologico diEdward Burnett Tylor, ma non è il solo. Non bisognerà però aspettare il secolo appena tra-scorso perché quell’atteggiamento si avvii ad essere su-perato. Per primi, infatti, sono stati gli Ideologues del-l’Illuminismo francese a impegnarsi in un’azione poli-tica diretta al rovesciamento di stereotipi e pregiudiziche avevano resistito fino ad allora. Il «persiano» diMontesquieu, il «candido» di Voltaire, «l’uomo dinatura» di Rousseau si possono ritenere al riguardo fi-gure ideali generate dall’esigenza di valutare positiva-mente l’altro. Certo, si è trattato spesso di un’esalta-zione acritica del diverso, espressione strumentale del-la nuova ideologia borghese, ma non c’è dubbio che es-sa ha messo in moto una sempre più impegnata esplo-razione di civiltà diverse da quelle allora note. La So-ciété des observateurs de l’homme, attiva nella Parigi delSettecento, ha costituito in tal senso la realizzazionepiù significativa dell’esigenza conoscitiva delineata.«L’appassionato richiamo alla centralità dello studiodell’uomo per l’uomo, che si apparenta ad analoghi ri-chiami presenti nella cultura francese fra Sette e Ot-tocento, assume nella sua intensità il senso e il valoredi un manifesto intellettuale. È, come sappiamo, il ma-nifesto che di lì a qualche anno sarà ripreso da Jauffrée dalla Société» (Moravia 1978, 65). Rifiuto etnocentrico e crescita di conoscenza procedonoinversamente: è dato constatare infatti che più crescono

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i contatti e aumenta la conoscenza delle culture dei po-poli altri, più diminuisce l’atteggiamento di chiusuraacritica nei loro confronti. La nuova disposizione siconcretizza nell’esperienza del Grand Tour, a partire dalsecolo dei Lumi: in Jean Houel o in Wolfgang Goethe,solo per citare due tra i viaggiatori più noti, l’idea stes-sa di intraprendere un viaggio fra genti e culture lon-tane non poteva che essere la conseguenza del supera-mento di atteggiamenti di un passato più o meno re-moto. E i loro «diari di viaggio» forniscono numerosetestimonianze del modo di porsi nei confronti dellerealtà visitate: non che fossero del tutto assenti lostupore e, a tratti, le chiusure etnocentriche, ma pre-vale di gran lunga lo spirito di apertura e comprensio-ne nei confronti di quanto osservavano. Oggi è il turismo a svolgere, idealmente, il ruolo che inpassato fu degli Ideologues e dei viaggiatori del GrandTour. Esso infatti offre grandi opportunità di incontrofra culture diverse. È possibile perciò, in un tempo piùo meno lontano, che le società imparino a conoscersi ecomunicare, abbattendo antichi pregiudizi, attraversopratiche turistiche sempre più diffuse e coinvolgenti.Esse possono così assurgere a vere e proprie «societàcomunicanti» (per riprendere Georges Balandier), coneffetti ben superiori a quelli prodotti dai processi diglobalizzazione economica. Da queste considerazioni parte la serie di rapportiche è dato istituire fra turismo e comunicazione, col-locabili proprio alla radice del vivere sociale, se è veroche il movimento sta alla base della sopravvivenza. Sela solidarietà, la reciprocità e lo scambio costituisconol’essenza del vivere sociale, il turismo vi svolge unruolo centrale dal momento che mette in comunica-zione nuclei di popolazione lontani, popoli e paesi re-

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moti, favorendone lo sviluppo economico e il pro-gresso sociale. Nella pratica turistica la comunicazionenon svolge un ruolo di semplice sostegno, insomma, mabensì determinante e strategico. Il turismo, verrebbe didire, è comunicazione prima ancora che pratica. Accanto a una visione che diremmo ontologica delrapporto fra turismo e comunicazione, è lecito porreuna dimensione di tipo tecnico: essa ha a che fare, inpoche parole, con le azioni di promozione che il turi-smo organizzato affida alla comunicazione. E questepossono identificarsi con le strategie messe in atto daenti pubblici e soggetti privati per promuovere una lo-calità o un evento, azioni utili e necessarie in una so-cietà che affida all’informazione la vita quotidiananel suo complesso. Tutto quanto sta accadendo può essere assunto a indice(e indizio) di un particolare atteggiamento che la mo-derna pratica turistica è andata sviluppando nel tempo:lungi dall’essere semplice ricerca di sole e mare, comepuò essere stato alle origini, essa sembra orientarsisempre più spesso verso l’esperienza di scoperta del-l’altro, nella vita quotidiana non meno che nelle crea-zioni artistiche. Tra le settimane vissute in tranquillivillaggi, le vacanze trascorse nelle città d’arte o interre lontane, a durare nel tempo sono piacevoli ricordidi gente, costumi, cerimonie, cucine locali. E tutto que-sto avvia alla scomparsa di stereotipi e pregiudizi,azione che non può essere svolta da paesaggi, spiaggeo cime innevate, ma bensì dagli uomini e dalle testi-monianze che essi lasciano nel territorio. Luoghi di cul-to, pratiche cerimoniali, tecniche e strumenti di lavo-ro si dispongono tutti ad essere assunti come «segni»della cultura di popolazioni che altri (i turisti, appun-to) andranno a fotografare, filmare, ri-conoscere.

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Tenendo conto di tutto questo, dopo una rapida rico-struzione della storia e della sociologia del turismo, ve-dremo di mettere a fuoco la funzione svolta dalla co-municazione nella costruzione del prodotto turistico ele strategie comunicative attivate nei confronti di spe-cifici segmenti di pubblico interessati ai prodotti cosìcostruiti. Ognuno diverso, e certo diversificabile, mapur tuttavia convergente verso il senso profondo del tu-rismo in quanto tale.

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L’attenzione per il turismo nelle scienze sociali

Un fenomeno di grande rilievo sociale e culturale qualè il turismo ha stentato non poco a esser preso inconsiderazione dalle scienze sociali, sociologia e an-tropologia in primo luogo. Ciò può essere accaduto perdue motivi concomitanti: il primo dovuto al fatto cheper molto tempo la pratica turistica si è diffusa in di-verse regioni in maniera quasi sotterranea, senza chefossero rintracciabili nelle diverse politiche nazionali li-nee di programmazione, o quanto meno di coordina-mento, dei fenomeni in corso di svolgimento. Il se-condo motivo è attribuibile ad una sorta di cattiva co-scienza del ricercatore sociale: che senso aveva occu-parsi di un fenomeno rimasto elitario per lungo tempo,di fronte all’urgenza di problemi e bisogni nel mondodel lavoro di cui il sociologo era chiamato a occuparsi?Le emigrazioni di massa dal Sud verso il Nord, laconflittualità sociale nelle fabbriche, il fordismo e il tay-lorismo con i conseguenti effetti di alienazione socialeerano fenomeni troppo presenti per sottrarvisi e inte-ressarsi d’altro. Se ne sono occupate per tempo l’economia e la geo-grafia, interessate entrambe agli elementi legati al ter-ritorio e alla dinamica dei flussi turistici in entrata e in

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1Per una storia sociale della pratica turistica

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uscita. La loro attenzione si concentrava su fatti emi-nentemente quantitativi, in genere su questioni con-cernenti le disponibilità alberghiere, l’offerta di servi-zi, le regioni destinate a sviluppo turistico, o su quel-li riguardanti la progettazione delle infrastrutture, laprogrammazione e lo sviluppo dei trasporti, ecc. Te-matiche d’ordine economico-gestionale, insomma, chefacevano appello a una sorta di sociologia povera, fat-ta di opinioni correnti e luoghi comuni variamentecondivisi ma poco o nulla indagati. Ci si occupava sì dimare, sole e ambiente, ma considerati nient’altro chefattori naturali e dunque poco rilevanti per una lettu-ra sociologica. Si segnalava l’affabilità degli albergatori,la familiarità dei ristoratori, il buon cibo servito nelletrattorie locali, ma si era ancora ben lontani dal rilevarele dinamiche dei bacini d’utenza, la composizione so-ciale della domanda e la qualità dell’offerta. Persistevaancora l’idea che bacini d’utenza e flussi turistici fos-sero variabili indipendenti e si mantenessero stabili neltempo e nello spazio, o che certe regioni fossero «pernatura» vocate al turismo: il successo di una località tu-ristica veniva ancora ricondotto alla presenza di fattinaturali qualificanti piuttosto che ad una vera e propriaorganizzazione sociale. Si era lungi dal pensare chequelle località non sono fenomeni naturali ma bensì co-struzioni sociali. Cambiamenti di prospettiva cominciano a delinearsi so-lo a partire dai primi anni Sessanta. È il tempo in cuigli inputs di modernizzazione, sociale prima che eco-nomica, immessi a partire dal dopoguerra nei sistemiproduttivi dei paesi europei cominciano a produrreeffetti a cascata, alcuni attesi ma altri ben lungi solodall’immaginare. Si ampliano e si diversificano i baci-ni d’utenza: non più solo turisti d’élite a Taormina, a

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Cortina e sulla Costa Azzurra, ma famiglie di impiegatie operai, studenti, e poi ancora anziani, saccopelisti ecampeggiatori. Da parte degli operatori turistici si fasempre più viva l’attenzione ai gusti, alle aspettative ealle repulsioni dei clienti, mentre sembra entrare in cri-si l’abitudine a procedere per interventi automatici oscelte meccaniche. Le richieste degli utenti si fannosempre meno prevedibili e nella pratica turistica co-mincia a entrare in gioco la variabile «soggettività»:questo appare in tutta evidenza e si impone all’atten-zione di coloro, gli studiosi del sociale appunto, che fi-nalmente cominciano a riflettere sui non pochi aspet-ti problematici connessi al turismo.A fronte dell’abitudine a dare per scontati gran partedei fatti sopra richiamati, «lo sforzo della sociologia –notava Asterio Savelli vent’anni fa – è quello di pro-blematizzare ciò che l’economia e la geografia sono ve-nute talora considerando come un postulato. E cioè cheil bisogno di viaggiare fosse quasi un bisogno innato,recuperando lo stesso mito di Ulisse come prototipo delcomportamento turistico… La sociologia afferma in-vece che il turismo è una forma storica del comporta-mento, che non è eterno e che assume forme diverse alvariare del contesto da cui nasce, nel tempo comenello spazio» (1988, 112).Ma non è solo questo il motivo che porta a un interessecrescente per il turismo da parte della sociologia. Essa,nella specifica declinazione di sociologia del turismo,nasce quando i pre-giudizi originari si sciolgono nel con-fronto con la realtà (man mano che l’attività turisticacoinvolge fasce sociali sempre più vaste) e quando la fi-gura del turista smette di essere considerata quella diun soggetto meccanicamente intento solo a viaggiare,mangiare e dormire. Nel tentativo di definire quella fi-

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gura si fa perciò sempre più ricorso a indagini non più,o non solo, di tipo statistico ma anche e soprattuttoqualitativo, tese a delineare e comprendere il com-plesso delle variabili emergenti: dall’articolazione so-ciale alla dimensione culturale, dall’esclusivismo in-dividualistico al trattamento dei fenomeni di massa, dalbisogno di natura alla richiesta di comfort tecnologico.Non che i dati statistici dovessero essere espulsi, ma daessi si riteneva opportuno partire per condurre indaginiqualitative, tese alla comprensione del fenomeno nellasua globalità: gusti, aspettative, valori, motivazioni(Boyer 1988).È possibile qui cogliere l’importanza delle osservazio-ni di Paolo Guidicini, il quale scriveva: «I problemivanno analizzati dal di dentro, soprattutto partendodall’esigenza di vivere il tempo libero nella sua dina-micità e le situazioni nella loro reale complessità. L’os-servazione sociologica si affianca a quelli che sono imeccanismi tradizionali di studio, e ciò significa in so-stanza che lo stesso concetto di osservazione muta. Èinfatti assolutamente diverso un processo di misura-zione che si proponga come oggetto di studio di misureorganizzative, o processi in un certo senso delimitati eripetitivi, e diverso è partire dall’ipotesi di trovarsi difronte ad una realtà ampiamente stratificata e capace diproporsi come elemento complesso di fruizione. Realtàche non possono essere più limitate né alle sole com-ponenti ambientali tradizionali (che pure vanno pre-servate e difese) né alle sole componenti organizzativo-ricettive (che pure devono adeguarsi alle nuove esi-genze)» (1988, 12).C’è un ulteriore aspetto da considerare, oggetto negliultimi anni di sempre maggiore attenzione. In effetti,non è solo il complesso quali-quantitativo dell’atti-

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vità turistica che si impone agli osservatori sociali, inuna ricchezza di sfaccettature sconosciuta in passato,ma la stessa realtà della vita quotidiana, poiché quel-l’attività assume sensi diversi in dipendenza della vitalavorativa che dal tempo libero è esclusa per defini-zione. In questa direzione la sociologia del turismo tro-va ambiti di ricerca in buona parte inesplorati, pro-blemi irrisolti, nodi non ancora sciolti. «Il grandesforzo della sociologia, oggi, è quello di riconnettere icomportamenti assunti nella vacanza con quella che èl’esperienza della vita quotidiana ordinaria dell’utente,attraverso la ricerca del significato che l’esperienzaturistica ha in relazione alla vita ordinaria stessa. E siè consapevoli che tale significato non è costante» (Sa-velli 1988, 111).

Alle origini della pratica turistica

Come di molti fenomeni diffusi nella società contem-poranea, anche del turismo è possibile collocare le originiin epoche remote. Si pensi al periodico cambio di resi-denza di regnanti e nobili famiglie, seguendo un ritmoquasi stagionale, consuetudine nota già nell’antico Egit-to; o ai soggiorni stagionali nelle ville o negli ostelli del-la Roma imperiale; o ai viaggi diretti ai santuari delle di-vinità olimpiche (Spinelli 1990, 145). Ma si pensi ancoraai pellegrinaggi diretti verso i luoghi di culto in occasionedi grandi manifestazioni religiose. È uso però cominciare a parlare di turismo vero eproprio a partire dal periodo compreso tra Sei e Set-tecento, con la nascita delle vacanze alle terme. NellaGran Bretagna di allora compaiono i primi luoghi divilleggiatura realizzati a misura di turista, con alberghi

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e strutture ricreative. Qui si assiste al diffondersi del-le prime forme di vacanze termali e al delinearsi deiprimi abbozzi di una economia turistica autonoma.In Italia, invece, tra l’aristocrazia del tempo si imponela villeggiatura in campagna, la quale diviene una sor-ta di obbligo sociale per costruire e difendere l’imma-gine della famiglia. Nel nostro paese, a differenza delturismo termale, la vacanza in campagna dà lenta-mente origine a quella che sarà da allora in poi la vil-leggiatura, di cui abbiamo già ampie documentazioninel Carlo Goldoni della ben nota Trilogia, tra cui ri-mane famosa Le smanie della villeggiatura.Pratiche turistiche del genere qui indicato sono lungi an-cora dall’acquisire il carattere di comportamenti di mas-sa, data la stretta dipendenza della vacanza da adegua-te disponibilità di reddito. Tra le forme di turismo dimetà Settecento, in piena era illuminista, si impongonoall’attenzione, in ogni caso, i viaggi compiuti dai giovaniche aspiravano all’ingresso da adulti nella società euro-pea del tempo: conoscenza ed esperienza di luoghi stra-nieri costituivano prove da affrontare e superare per es-sere ammessi all’esercizio delle professioni liberali. L’ar-ricchimento culturale che ne derivava costituiva a suavolta uno strumento di crescita intellettuale, requisito in-dispensabile non solo per l’uomo di cultura ma anche perchi aspirava a posizioni di responsabilità direttive nellanascente borghesia europea. Il viaggio acquisiva dunquefinalità strumentali, anche se l’aspetto ricreativo rima-neva presente (ivi, 146).In questo contesto storico-sociale si delinea sempre me-glio quello che sarà detto il Grand Tour, il quale coin-volge gran parte dell’aristocrazia europea. Tra fineSettecento e metà Ottocento (più esattamente fra il1780 e il 1850) viaggi in qualche modo assimilabili al

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turismo attuale sono intrapresi da soggetti isolati permotivazioni di elevato interesse culturale. Sull’onda delNeoclassicismo, e poi del Romanticismo, uomini di cul-tura e rispettivi emulatori vanno alla ricerca delle ve-stigia di un lontano passato per rivivere di presenzaquelle che altrimenti sarebbero rimaste cognizioni li-bresche. Non ne andava disgiunto, e questo è un fattoda sottolineare, un interesse crescente per le condizionidi vita delle popolazioni visitate, non esente taloradal rinascere di vecchi pregiudizi nei loro confronti.Anche se lo spirito di osservazione dei viaggiatori di-retti dal centro dell’Europa verso il Mediterraneo erasuperiore a quello che animava coloro che si muove-vano in senso inverso, dato il diverso grado di svilup-po economico e sociale delle regioni europee di quel pe-riodo, si è certo ben lontani dall’atteggiamento scien-tificamente agguerrito di Humboldt o di Darwin. Ilcontributo del Grand Tour rimane perciò importante:i resoconti dei viaggiatori contribuivano a un notevo-le rinnovamento delle conoscenze, ormai sopite, dellebellezze naturali, dei ricchi patrimoni archeologici,ma soprattutto della cultura dei popoli mediterranei.Un’ulteriore osservazione intorno alla pratica del GrandTour riguarda il fatto che questo era privo di qualsiasitipo di organizzazione. I mezzi di trasporto eranoquelli locali, con frequenti spostamenti dalla carrozzaal mulo, ad esempio. «Per l’alloggio si ricorreva quasisempre ad amici; il tutto risultava perciò poco costosoe l’apporto economico alle regioni visitate del tutto sco-nosciuto. Molte prestazioni erano gratuite, anchequando l’alloggio era costituito da qualche albergo oostello. L’ospitalità era alla base delle relazioni umane;questa forma di turismo poteva perciò considerarsiquasi autarchica» (ibidem).

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Un’ultima considerazione va fatta intorno agli oggettidi interesse rilevabili tra i viaggiatori del Grand Tour.Qui si assiste a un lento trascorrere dall’attenzione perla civiltà classica alla sempre più diffusa osservazionedegli uomini e dei loro modi di vita. Gli acquerelli diJean Houel fanno comprendere come il suo sguardo la-sciasse da parte i monumenti per concentrarsi sui co-stumi e sui mestieri delle popolazioni incontrate. Le pa-gine dell’Italienische Reise dedicate alla città di Veronamostrano nell’anno 1786 un Goethe molto più inte-ressato alla gente che stava in strada: «C’è molto mo-vimento e animazione – scriveva –. Le scene sonogaie e piacevoli, specialmente in talune strade in cui lebotteghe, le officine, gli opifici si toccano l’un l’altro.A queste botteghe non vi sono porte. La casa è apertain tutta la sua ampiezza e si vede fino in fondo tuttociò che vi accade. I sarti cuciono, i calzolai tirano lospago e battono il cuoio seduti a metà della strada che,essa stessa, fa da bottega. La sera, coi lumi, la scena èpiena di vita. I giorni di mercato le piazze sono colme:si vedono montagne di legumi e di frutta e agli, cipol-le se ne possono avere a piacere. Gridano, scherzano,cantano tutto il giorno; si urtano, si accapigliano, tri-pudiano, sghignazzano senza tregua» (in Bruschi e al.1987, 123).

Partendo dalla considerazione che la forma originariadi turismo è da sempre ritenuta essere il Grand Tour(come viene invariabilmente ribadito in ogni manualescolastico), ne deriva una rilevante considerazione sul-la condizione stessa dell’attivarsi della pratica turisti-ca: il viaggio.La diffusione del turismo, in effetti, trova la chiave divolta in questo che ne costituisce il momento prelimi-

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nare. Nelle società arcaiche c’era poca mobilità, né esi-stevano possibilità oggettive che ne favorissero la cre-scita. Il viaggio era un’esperienza pericolosa, suscitavapaura e spingeva a premunirsi sul piano religioso, nonmeno che profano: «Prima di metterti in viaggio – re-citava il proverbio – fa’ testamento». Chi osava varcarecerti confini era ritenuto folle e temerario. Su moltecarte medievali stava scritto «Hic sunt leones» a se-gnare certi confini, anche se questi si spostavano in-dietro man mano che passavano gli anni e progredivanole conoscenze. Gli esploratori geografici rimanevano figure solitarie enon veniva loro riconosciuto alcun successo finchénon rientravano. I viaggiatori del Grand Tour, a lorovolta, ricorrevano a infinite cautele che potessero tor-nar loro utili durante il viaggio, di cui sconoscevanospesso la stessa direzione. Le condizioni dei trasportisono migliorate nel tempo per ragioni legate alla pro-duzione e agli scambi commerciali, e questo ha finitocon l’apportare vantaggi anche ai viaggi turistici. Stra-de, ferrovie, linee aeree e navali hanno perciò finito colcostituire sempre più vere e proprie precondizionistrutturali di quello che è il turismo moderno. E se ledue attività, assimilabili al moderno turismo d’esplo-razione e al turismo culturale, rimanevano esperienzeindividuali, la pratica turistica diventa sociologica-mente rilevante un secolo dopo, quando da esperienzadi élite si fa esperienza di massa.Oggi il viaggio risulta strettamente connesso al mo-vimento turistico, appunto, e di questo costituiscela premessa fattuale e sociale insieme. Esso infatticomporta programmazione di tappe, provvista di vi-veri, scelta di itinerari, approntamento di mezzi, masoprattutto individuazione di mete da raggiungere. Il

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viaggio inoltre attiva le condizioni necessarie alla sco-perta di luoghi sconosciuti, all’incontro con l’altro, alcambiamento e al superamento del quotidiano. Essocoincide con la rottura dell’abituale, l’infrazione delnoto e del previsto, la scoperta infine dell’inatteso. Ela meta verso la quale si muove il viandante, viaggia-tore o turista che sia, dà il senso finale al viaggiostesso. Il viaggio è la molla che fa scattare il movi-mento verso il cambiamento, anche se si accompagnaquasi sempre al ritorno. Il mito dell’eterno ritorno tro-va la sua premessa, dunque, nell’eterna partenza, an-ch’essa un mito. Il viaggio è comunicazione, infine, sia perché ha biso-gno di quelle che non a caso sono chiamate «vie di co-municazione», sia perché mette in collegamento luoghidiversi e distanti.

Il turismo fra Otto e Novecento

Il diffondersi della società industriale, con la lentanormalizzazione dei tempi di lavoro in fabbrica, crea lecondizioni per il diffondersi del turismo tra classi socialidianzi escluse e porta alla creazione delle prime strut-ture turistiche. Ora però, sul finire dell’Ottocento, è ilmare ad attirare flussi crescenti di vacanzieri. Tra il1890 e il 1910 il Mare del Nord diventa la meta pre-ferita delle vacanze e Brighton uno dei centri più in vo-ga. Solo dopo gli anni Venti, tra le due guerre, alMare del Nord si comincia a preferire il Mediterraneonell’intento di soddisfare il mito dell’abbronzatura. Si avvia a cambiare la classe sociale interessata al tu-rismo: non più l’aristocrazia ma la borghesia indu-striale. «In un primo momento la maggiore possibilità

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di spesa interessa la borghesia che alimenta con unacerta pressione la domanda dei viaggi e quindi l’e-spansione, talvolta anche la nascita, delle prime formedi organizzazione turistica e delle attrezzature di ri-cezione. I grandi hotels, con le loro attrezzature spe-cifiche e il personale specializzato, si localizzano in tut-te le maggiori capitali europee e nei grandi centri ter-mali» (Spinelli 1990, 147). La catena degli hotel Ritzdi Londra, nato nel 1889, di Roma nel 1893, di Pari-gi nel 1898, di Salsomaggiore nel 1900, di Budapest nel1913, per la capacità imprenditoriale, gli investimentie la manodopera che richiedono, può «essere vistacome l’equivalente per il turismo dei grandi stabili-menti industriali nel campo della produzione dei beni».Si risolvono certi problemi e se ne delineano altri: inprimo luogo quello della sicurezza. A differenza delGrand Tour, in cui il giovane viaggiatore veniva accoltodalle nobili famiglie locali, nel secondo Ottocento cre-sce e si manifesta un sempre maggiore senso di insi-curezza nel rapporto con gli altri: ciò perché diventanosempre meno prevedibili i pericoli cui si viene espostiquando ci si mette in viaggio. Il turista si libera in-somma dei tutori appartenenti al proprio mondo, chefinivano col precludergli qualsiasi iniziativa indivi-duale, a costo però di rischiare l’imprevisto. A partire da allora il viaggio turistico perde inoltre ilcarattere di scelta personale. Pur non essendo ancorasollecitato, attraverso adeguate campagne di comuni-cazione, non si può negare che cominci a essere «gui-dato». La parola non è scelta a caso: accade infatti chesu guide redatte da appositi clubs nei diversi Paesi (è ilcaso del Club Alpino Italiano, per gli amanti dellamontagna, o del Touring Club Italiano) viene espres-samente indicato ciò che merita di essere visto, con

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informazioni sugli itinerari consigliati e con valutazioniattendibili intorno alla qualità e all’interesse dei luoghie dei monumenti da visitare (ivi, 148). Nel corso delXIX secolo emerge così il ruolo della guida stampata,importante supporto ai viaggi di piacere. E il Bae-deker costituisce la risposta tecnica più elaborata allapaura dell’ignoto, una collezione di guide che KarlBaedeker inaugura nel 1827, con una pubblicazione de-dicata alla regione del Reno. Fra il 1840 e il 1860,quando cresce il numero dei turisti, unitamente alcrescere delle linee ferrate, si diffondono altre collezionidi grandi guide: a Baedeker si affiancano Murray eJoanne. L’età d’oro delle iniziative editoriali incentrata sulleguide turistiche giunge tuttavia quaranta anni dopo, frail 1897 e il 1909, quando le prime pubblicazioni de-vono fare i conti con un’agguerrita concorrenza (Savelli1989, 85). Il successo del Baedeker, divenuto la guidaper antonomasia, è dovuto al fatto che nel secondo Ot-tocento cominciano ad accedere al turismo strati socialiborghesi molto eterogenei. I viaggi vengono praticatisolo a condizione che rischi e imprevisti siano ridotti alminimo. Da parte dei nuovi turisti borghesi si avvertela necessità di evitare errori, perdite di tempo e di de-naro, e soprattutto di non pregiudicare una condizionesociale appena acquisita e tutta da consolidare. Dinanzia simili esigenze, il Baedeker funge da vero e proprioprontuario per agevolare il rapporto con gli ambienti fi-sici, sociali e culturali con cui il turista entra in con-tatto. È uno strumento ben costruito e standardizzatoche funge da surrogato alla protezione di cui il giova-ne godeva nel Grand Tour dei secoli precedenti. «Il nu-mero delle stelle viene ora a rassicurare il turista bor-ghese sull’opportunità di inserire nel suo viaggio de-

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terminati obiettivi, e sul grado di corrispondenza deglihotel alle proprie aspettative» (ivi, 86). Nonostante, anzi grazie al suo carattere divulgativo, ilBaedeker resta fedele al modello di turismo colto econsente la pianificazione di un viaggio calibrato. «Ri-duce l’ansia di scegliere e programmare. Offrendoinformazioni scarne e essenziali, dà il piacere di ela-borarle in maniera soggettiva e fantastica. Non cono-sce la tecnica della seduzione, non avendo immagini daproporre, e non annulla il ruolo della fantasia. Leinformazioni sono semplici intelaiature che devonoessere completate dall’utente prima con la fantasia e poicon l’esperienza» (ibidem). Qui emerge la differenza fra il viaggio del singolo equello collettivo, in cui è il ricorso all’agenzia di viag-gio, modello elaborato dall’inglese Thomas Cook, a im-porsi a fine Ottocento. La sua prima agenzia risale al1841 e lo stesso può a ragione considerarsi il pionieredei moderni tour operator. Nel 1872 l’agenzia di viag-gi «Cook’s tour» organizza il primo giro intorno almondo e nel 1875 la prima crociera. Si delinea semprepiù quello che sarà il turista dei primi del Novecento,allorché il viaggiatore di una volta comincia a trasfor-marsi in turista. Con la nascita delle prime agenzie diviaggio tramonta lo spirito del Grand Tour e «il viaggioperde il suo valore eroico».Il viaggio comincia a essere acquistato come un pac-chetto tutto compreso e non lascia più spazio alla fan-tasia e alle scelte personali. L’agenzia costituisce unnuovo punto di riferimento determinando precisi ele-menti di standardizzazione. Questa infatti non indi-vidua nuove mete turistiche, ma offre proposte orga-nizzative e commerciali a esse mirate. L’esempio diCook in Gran Bretagna viene ben presto seguito in

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Germania da Rudolph Stangen, che a Breslavia nel1867 fonda la prima agenzia tedesca. È da allora che sisviluppano le società interessate al trasporto di massa,in special modo le società di navigazione, che creanoproprie agenzie di viaggio (ivi, 89-90).Il più volte richiamato Thomas Cook getta le basidella fortunata organizzazione nella prima metà del XIX

secolo in Inghilterra, per creare un vero e proprio im-pero esteso dall’Europa all’America e che sconfinagradualmente verso gli altri continenti. Nello stesso pe-riodo, anche se già praticato da tempo, si diffonde il tu-rismo termale e soprattutto quello balneare, di piùremota origine. Accade così che si creino nuovi inse-diamenti stabili, spesso in luoghi che non hanno altrespecificità, e che finiscono con il caratterizzarsi esclu-sivamente per la loro funzione turistica.

Il XX secolo: verso il turismo organizzato

Il quadro delineato si diffonde e si rafforza, con unapiù precisa connotazione di classe, tra la fine dell’Ot-tocento e i primi decenni del secolo successivo. Inseritonell’organizzazione di altre attività produttive, il tu-rismo acquisisce una sempre più definita configurazioneeconomica, in una dimensione di consumo integratacon le altre. Da parte loro, i nuovi stati liberali varanolegislazioni che favoriscono il turismo, prevedendo adesempio forme di riposo settimanale e, soprattutto, fe-rie retribuite. Il superamento di una rigida dimensione di classe nel-la pratica turistica comincia a delinearsi intorno agli an-ni Trenta, anche se non si può ancora parlare di vera«esplosione». Ciò avviene attraverso tre forme diver-

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se di turismo collettivo, e non più individuale o fami-liare: la prima è il turismo dopolavoristico, dovuto al-l’iniziativa di apposite organizzazioni statali e con-cesso in seguito a rivendicazioni sindacali in Paesi co-me Italia, Francia e Germania; la seconda è costituitadal turismo scolastico, gite scolastiche e viaggi di studio,ma diretto anche a evitare «eccessi di temperamento»delle giovani generazioni; si colloca per ultimo, in or-dine di tempo ma non di importanza, il turismo reli-gioso, caratterizzato da un accesso ai trasporti e alla ri-cezione non molto dissimile da quello del comune tu-rismo ricreativo (Spinelli 1990, 147). L’attenzione dei più si rivolge al turismo naturalistico,all’apprezzamento di risorse naturali come i litorali, imonti e le colline. In ogni caso, le prime presenzestrutturali del turismo nel territorio vengono ad af-fiancarsi a quelle di altre forme di insediamento, sia pri-vate che pubbliche, sia produttive che di servizi. «Lenuove strutture dell’attività turistica, almeno fino aglianni Cinquanta, avevano stabilito forme di conviven-za, talvolta di sana simbiosi, con quelle agricolo-pa-storali della montagna e quelle pescherecce e com-merciali delle coste marine. Dopo gli anni Cinquanta siha un’ulteriore esasperazione dell’urbanizzazione, unamaggiore disponibilità di reddito, una più profonda re-distribuzione, e un maggiore desiderio di evasionedall’ambiente urbano» (ibidem). Per molti autori proprio in questo periodo, caratteriz-zato da un turismo quasi esclusivamente borghese,cominciano a registrarsi le prime deformazioni dei gu-sti e del senso stesso del viaggio. Il rapporto con la gen-te dei luoghi visitati comincia ad ammantarsi di un fal-so esotismo che alla lunga tende a falsarlo e quindi avanificarlo. «Gli inventari delle antiche rovine, le ca-

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talogazioni dei costumi e delle tradizioni, si compen-diano in una conoscenza di pura rappresentazionefolkloristica, guidata abilmente da apposite organiz-zazioni» (ivi, 148). Finiscono col diffondersi insommagli aspetti più degradanti del turismo di massa: «La co-struzione di un’immagine spaziale falsificata, ad uso econsumo delle diverse fasce dei redditieri, l’aliena-zione fisica e culturale delle aree di ricezione, la dif-fusione acritica della civiltà urbana e motorizzata…Questa forma di turismo si manifesta attraverso com-portamenti teatrali e spersonalizzati, tendenti ad as-sumere sempre più le forme di un puro consumo di pre-stazioni standardizzate, attraverso strutture propriedi tutte le produzioni industriali» (ivi, 149). In effetti a partire dagli anni Sessanta, in Italia almeno,gli anni del boom industriale nonché delle prime formediffuse di motorizzazione e dei massicci spostamenti dalSud al Nord e dalle campagne alle città, il turismo as-sume più decisamente connotati strettamente legatialla produzione industriale. È allora che la pratica tu-ristica cambia decisamente e si avvia a diventare, anchein Italia, altro da quello che era stata in passato. Il tu-rismo acquisisce sempre più il carattere di un’attività or-ganizzata collettivamente; il turista comincia a delega-re molte delle sue scelte all’agenzia che gli vende ipacchetti dei tour operators; gli spazi turistici infinevengono appositamente costruiti alla stessa stregua diquelli della produzione e dello scambio di altri beni. Sidiffondono i villaggi-vacanze ed esplode il turismo dimassa. Le agenzie di viaggio organizzano pacchetti-vacanze a prezzi sempre più accessibili alle masse av-viando la clientela verso i villaggi turistici. Il ruolodel tour operator si fa allora essenziale: la sua mediazionediviene una condizione ineludibile del far vacanza.

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Lungo questa linea di sviluppo, negli ultimi qua-rant’anni, nel nostro Paese non meno che altrove, il tu-rismo diventa un «operatore economico» di prim’or-dine, entra a far parte del circuito economico com-plessivo, assume una sua ben precisa definizione comefenomeno sociale, promuove un modello dello spaziotendente a massimizzare il profitto delle imprese. In ba-se alla disponibilità di reddito individuale o familiare,finiscono col disporsi su posizioni contrapposte i ca-ratteri problematici dei generi di vita urbani e le di-mensioni positivamente vissute delle regioni che il tu-rista visita. In seno allo stesso modello di consumo,vengono lentamente assimilate al turismo, dal mo-mento che si avvalgono delle stesse attrezzature e del-le medesime organizzazioni, numerose altre forme di ri-creazione fisica e culturale. Nel Regno Unito si è soli-ti parlare di outdoor recreation per indicare tutte le for-me di ricreazione consumate «fuori casa», senza che sitracci limite alcuno tra l’una e l’altra (ibidem).Come già nell’organizzazione degli spazi locali regionali,nazionali e internazionali, il turismo, nella doppia di-mensione economica e sociale, diviene un potente ele-mento di trasformazione, con dei trends suoi propri. Lasua traccia più concreta si ritrova nella struttura socialedelle regioni in cui si è diffuso più intensamente, tan-to che si parla di vere e proprie regioni turistiche, ri-sultando esserne l’attività caratterizzante.Certo, tra le attività che più influiscono sull’organiz-zazione del territorio, determinando visibilmente ilcarattere del paesaggio, il turismo arriva in ritardo, ri-spetto ad altre attività economiche. Pure, nell’orga-nizzazione di spazi relativamente piccoli, ricadute del-le attività turistiche, talora in prevalenza stagionali, siregistrano in diverse forme di organizzazione territo-

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riale, quasi sempre pensate in funzione degli insedia-menti urbani che più vi gravitano.È a partire dagli anni Cinquanta, nei paesi centro-eu-ropei in primo luogo, che si lasciano avvertire i segni diuna nuova fase nella caratterizzazione degli spazi. Èquando si diffondono i modelli di un’area mitteleuro-pea, industrializzata, e di un’Europa mediterranea,agro-turistica. Con una velocità notevolmente superiorealle altre attività economiche, gli svariati parametri delturismo si inseriscono nella trama delle relazioni ter-ritoriali. Lungi dal richiamare i litorali mediterranei oi complessi alpini dei vari paesi, per non dire di altreformazioni promiscue, i segni del turismo, talora comesemplice sopravvivenza di forme obsolete, impongonola loro visibilità non solo su scala nazionale, ma anchecontinentale e, sia pure con minor immediatezza di im-patto, intercontinentale.

Dalla villeggiatura al turismo di massa

Chiudiamo questa rapida ricostruzione provando adelineare e a immaginare, talora anche solo per trattioleografici, quanto può accadere sul piano sociale e cul-turale quando si verifica il passaggio dalla villeggiatu-ra del primo Novecento a quello che viene comune-mente inteso come turismo di massa (ma che è inrealtà una forma di turismo organizzato, come vedre-mo più avanti). La villeggiatura costituiva in passato la migliore espres-sione di un tempo lento, caratterizzato dalla perma-nenza per mesi interi in una località marittima o mon-tana, dal ripetersi monotono delle stesse azioni nelcorso della giornata. «Una stagione di vacanza vera e

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lunga, abitudine dell’era borghese, fino a non troppidecenni fa, quando le scuole restavano chiuse finoagli esami di riparazione. Forte dei Marmi era ancoralontanissimo dal kitsch… era ancora il buen retiro del-l’alta borghesia italiana, che poteva permettersi villa epersonale di servizio… Per i villeggianti le vacanze era-no l’opportunità di trasferire la città su una spiaggia oin albergo; la sua anima più autentica consisteva nellaripetitività, nel ritrovare anno dopo anno giochi, serate,amicizie, perfino amori» (Berselli 2005). Il turismo odierno è invece frenetico e basato su spo-stamenti veloci e continui. La vacanza coincide con l’e-vasione, la fuga, la presa di distanza il più possibile re-mota dall’ambiente di lavoro e dalla comunità di ap-partenenza, diretta verso mete esotiche di massa doveogni movimento è previsto in anticipo perché ap-prontato con un meticoloso lavoro dai tour operator.Il passaggio dal vecchio al nuovo è andato svolgendo-si per fasi successive, a partire dai primi anni Sessanta:ciò che rimaneva della borghesia della prima metà delNovecento stentava allora a condividere i comporta-menti dei «nuovi turisti» che allestivano lungo il bor-do della strada pic-nic a base di pasta al forno, salumie formaggi, dopo aver sovraccaricato di viveri e dibambini la loro Fiat 600. «Erano il negoziante, il ga-ragista, l’idraulico, l’impiegato postale delle cittadinesottostanti, saliti a prelevare la loro misera porzione diriposo in mezzo alle ville dei borghesi. La vitale inva-denza dei vacanzieri da pic-nic e da partita di boccerappresentava l’azzeramento di una piramide socialedalle basi fragili» (Serra 2005). Erano le avanguardie, appunto, del turismo di massache avrebbe sancito, nel giro di dieci anni, «l’inevita-bile vittoria della maggioranza in ascesa», quella vita-

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le e invadente dei vacanzieri da pic-nic e da partita dibocce, e via via il popolo dei villaggi-vacanze, delle se-conde case, della vacanza tutto compreso. Da qui,inevitabilmente, «l’impatto rude, e spesso devastante,sui luoghi e i paesaggi, il degrado da moltitudine, il len-to morire di un approccio alla natura intellettualmen-te munito». È lecito vedere in tutto questo la «sacrosanta decapi-tazione» del privilegio, la fine dell’esclusione millena-ria dei lavoratori dagli agi riservati ai ceti abbienti del-la società, l’azzeramento tempestoso e straniante di unapiramide sociale durata secoli? In effetti il rimpiantodell’antica villeggiatura, della bellezza dei luoghi «percome erano una volta» è ambiguo – come non si man-ca di rilevare. Pur essendo struggente e fondato, èun sentimento intrinsecamente reazionario «perchéquei luoghi una volta erano protetti dalla ferrea divi-sione del lavoro e dei ruoli». I ceti meno abbienticomparivano sulla scena della villeggiatura borghese so-lo come servi e camerieri. «Oggi che i pescatori e i frut-tivendoli vanno anch’essi a mare, e non per offriregamberi e fichi dai loro bei cesti di vimini, ma perprendere il sole, come fanno tutti, il vecchio equilibrioè saltato per sempre» (ibidem). Un equilibrio che salta non può non generare però, inuna prima fase almeno, squilibri come confusione, in-gorghi, file, oltraggi all’ambiente, tutta una sorta di«subbuglio antropologico, insomma, con ricadute spes-so devastanti sui luoghi e i sui paesaggi», riflessi a lorovolta di quanto accade sul piano dei valori e dei com-portamenti, o più in generale della cultura condivisa.«Chiunque guardi con spirito critico allo scenarioodierno non può non cogliere la bassa qualità di un ac-cesso garantito a tutti, ma sostanzialmente degradato,

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e spesso spacciato per esclusivo, come supremo in-ganno, perfida bugia inflitta agli ex poveri per illuderlidi essere arrivati in cima». Una speranza di cambia-mento si fa risiedere nel fatto che le stesse masse,destinate a patire la società di massa, subirne l’inva-denza e l’appiattimento dei gusti, comincino a cercareoccasioni di fuga e di affermazione di distinzione in-dividuale, con l’intento proprio di sfuggire a un pro-gressivo schiacciamento. «Saranno le contraddizioni inseno al popolo a generare nuove rivoluzioni» – con-clude ottimisticamente l’opinionista al quale ci stiamoriferendo (Serra 2005).Da parte nostra, non riusciamo a nutrire tanto otti-mismo. Continuiamo a coltivare invece l’idea che, aprescindere dalle varie declinazioni, forme sempreperfettibili di turismo organizzato costituiscono la ri-sposta più adeguata alla crescita quantitativa del popolodei vacanzieri. La quantità e la qualità potranno ri-trovarsi a essere coniugate insieme solo a certe condi-zioni che si andranno col tempo a esperire. Qui appa-re in tutta la sua centralità il ruolo della comunicazio-ne che promuove, coordina, organizza e, perché no?,seduce.

Turismo di massa e senso della vacanza

Ognuno dei generi di turismo richiamati nel secondocapitolo risponde ad esigenze diverse, com’è facile ca-pire. A completamento, o in apertura, non appaiaperciò ozioso chiedersi ancora: cosa si cerca nei luoghidi vacanza? Cosa si chiede a coloro cui il cliente affi-da il buon esito di una vacanza? E, infine, che senso hafare turismo, oggi?

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Non è semplice rispondere, perché sono tanti i fatto-ri chiamati in causa. Sono da prendere in considera-zione in primo luogo fattori d’ordine sociale (la col-locazione sociale di un soggetto gli propone, o impone,comportamenti di status ai quali difficilmente puòsottrarsi, rischiando un inaccettabile processo di de-legittimazione). Poi fattori d’ordine culturale (il su-peramento di prospettive etnocentriche, come abbia-mo visto, e l’assunzione di disponibilità verso l’altro,o luoghi altri rispetto a quelli in cui si vive). Infinenon si può sorvolare sui fattori d’ordine economico (di-sponibilità finanziarie, sicurezza nella produzione direddito, possibilità di accumulazione di surplus dapoter impiegare in attività legate al tempo libero, an-dando oltre cioè le esigenze legate alla sopravvivenza).E si potrebbe continuare.È stato segnalato come il continuo crescere del tempolibero abbia creato le condizioni per trasformare il vis-suto quotidiano in una vacanza continua. Non è un ca-so che il turismo tende a perdere, o può aver giàsmarrito in certe fasce sociali, la dimensione altradal quotidiano, perché la vacanza si fa quotidianaessa stessa. «Nella nostra epoca il turismo divienequalcosa di permanente – osserva Gianfranco Morra –.Non è più come un tempo, quando ci si muoveva(senza in genere andare troppo lontano) solo nellastagione delle vacanze. Oggi l’anno intero è vacanzaturistica in alcuni suoi momenti: nelle domeniche,nei week end, nelle ferie natalizie e pasquali, nelle ‘set-timane bianche’, nei mesi estivi» (1988, 19). Col cre-scere del tempo libero, anche in conseguenza della pro-gressiva meccanizzazione delle attività produttive e deiprocessi di terziarizzazione avanzata, la pratica turi-stica tende ad acquisire la stessa durata del tempo la-

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vorativo e finisce col perdere il carattere dell’ecce-zionalità. Il che avviene sia sul piano oggettivo che suquello soggettivo: l’uomo moderno appare semprepiù spesso come un essere «senza fissa dimora», già so-lo perché vive nel «villaggio globale» e si appaga di im-magini e di immaginario collettivo.Col passare del tempo, l’universo del turismo si fasempre più complesso, ovvero problematico e con-traddittorio. «Alla radice dobbiamo considerare il tu-rismo come frutto di un’espropriazione. È quell’ope-razione di mercato attraverso la quale il mondo, sot-tratto all’esperienza quotidiana del lavoratore e del cit-tadino, nascosto nella sua complessità ai suoi occhi, gliviene rivelato soltanto per quegli aspetti per i quali è ri-chiesto il suo contributo specializzato. Gli viene ri-proposto attraverso una percezione razionalizzata del-la medesima società industriale, gli viene offerto sottoforma di prodotto. «Il tempo libero si caratterizza per un’ambivalenza co-stante dei fenomeni e delle esperienze. Da un lato lapulsione alla libertà, che significa riappropriazione delrapporto col mondo, dall’altro la tendenza alla razio-nalizzazione, che significa controllo dei comporta-menti… A mano a mano che questo processo si diffon-de, si attenua l’ambivalenza e si manifesta la stru-mentalità della vacanza. Essa appare come finzione:emerge con evidenza la sua dimensione di merce e, conciò, anche la sua valenza di controllo sulla vita degli in-dividui, opposta al desiderio di riappropriazione delmondo da parte degli individui stessi… L’immagine delmito lascia posto via via all’immagine della merce, al-la percezione delle manipolazioni, al conflitto di inte-ressi a proposito dell’impiego del tempo» (Savelli1988b, 112-13).

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Adottando prospettive di tipo apocalittico, critichecome sono nei confronti della società in cui si consu-mano immagini, quello del turismo viene perciò con-siderato un universo separato dal quotidiano, e cometale si offre al turista. Il solo atteggiamento possibile daparte di quest’ultimo consiste nell’accettazione di ciòche altri propongono e l’esperienza turistica sembraesaurirsi in un semplice consumo di immagini. Imma-gini di realtà staccate dal loro contesto e dunque sna-turate, false perché prive del senso originario, il cui va-lore di verità non appare più consistente della carta pa-tinata dei dépliants delle agenzie di viaggio (Savelli1988, 38-39). In una direzione diversa si muovono le riflessioni diEdgar Morin, il quale propone un modo originale di in-tendere l’esperienza turistica, quale si cominciava a vi-vere nei villaggi e nei club nei primi anni Sessanta. Mo-rin rovescia il modo di intendere critico e apocalittico,e sottolinea invece un senso del tutto particolare del fa-re turismo: «Il turista, appena passata la dogana, ol-trepassa una doppia frontiera, del tempo e dello spazio.Ormai egli vivrà in un tempo fantastico e si collo-cherà nello spazio incantato dell’evasione» (ivi, 41). Su-peramento della vita quotidiana, perdita di contattocon l’abituale e apertura a un mondo fantastico, uni-verso immaginario da vivere come tale, senza ricercarneconnessioni col reale. Sulla stessa linea altri pongonol’accento su una sorta di ’impregnazione’ con l’ogget-to turistico, sulla relazione intensa e autentica con glioggetti visti e fotografati: più è fugace la permanenzain un posto più intensa si fa la relazione. L’esperienzaturistica diventa infine la più ricca celebrazione del-l’immaginario.

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Parametri definitori del fenomeno turistico

Osservato da vicino, il turismo non appare un feno-meno chiaramente definibile. I suoi confini risultano in-certi, mescolato com’è e per molti versi confuso con al-tri fenomeni sociali: tali sono il viaggio, l’esplorazionee fatti consimili. Risulta difficile, come sperimentiamoquotidianamente, distinguere coloro che viaggiano perturismo dagli altri. Di fronte alla grande molteplicità delle pratiche incui si realizza, per turismo è qui possibile intendere, suun piano minimale, «un’attività di movimento sul ter-ritorio che si svolge nel tempo libero, al di fuori di ognifinalità strumentale (economica o formativa), limitatanel tempo e che si sviluppa secondo un circuito (tour),un’andata e un ritorno rispetto a un ambiente di vitaordinaria che rimane permanente» (Savelli 1988, 112). Due fattori sembrano stare alla base della definizione:lo spazio in cui la pratica turistica ha luogo, diverso daquello abituale; il tempo in cui l’esperienza turistica sisvolge, staccato dal quotidiano. Non è difficile con-statare come lo spazio turistico si proponga come «al-tro» da quello esperito giornalmente. Girare per lechiese della propria città alla ricerca di una messa da se-guire la domenica non è certo fare turismo. Lo diviene

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2Linee di sociologia del turismo

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solo se la città è diversa da quella in cui si risiede, o sesi assume un atteggiamento «da straniero» rispettoalla dimensione urbana solitamente esperita, e si va al-la ricerca di monumenti e opere d’arte comunementepoco noti o frequentati. Anche il tempo del turismo è«altro» rispetto al normale: ne sono diverse le scansioni(sveglia, colazione, rientro) e per questo è stato detto‘sacro’ o ‘puro’. Ed è inoltre reversibile: le fotografiedelle vacanze diventano «momenti da rivivere» e il vi-sionarle tra amici diviene un rito di ripresentificazione.Perché il «gran teatro del turismo» abbia inizio sipone infine, quella sorta di rito di passaggio, quelmeccanismo di innesco che già conosciamo, la par-tenza per il viaggio: salire su un’auto piena di bagagli,udire il fischio di avvio del capostazione o la sirena del-la nave, decollare con l’aereo sono già turismo.È stato proposto di interpretare il fenomeno turisticocome un processo cumulativo fra dimensioni del com-portamento che a loro volta si presentano come dei con-tinua (dal molto al poco) e non come delle alternativesecche (sì/no). Questo consente di superare le rigiditàdei confini e di proporre uno schema ad uscite multiplein cui al turismo in senso stretto si affianchi una gam-ma di azioni diverse, dotate tuttavia di una componentericonducibile al turismo. Collocando le varie dimensionisu un gradiente che va dalle prime, le più generali e dif-fuse, alle ultime, le più specifiche, è possibile ricavareuna definizione cumulativa del ruolo del turista, nonchéun’indicazione schematica dei punti di divergenza traquesto e altri ruoli connessi al viaggio: ci si riferisce al-la durata, alla volontarietà, alla direzione, alla distanza,alla frequenza, alla motivazione generale e alla moti-vazione specifica (Savelli 1989, 53). Vediamo di esa-minarle distintamente qui di seguito.

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Sul piano della durata, rientrano nel turismo minimale (omarginale) gli spostamenti compiuti nell’arco di una gior-nata. Sono escursioni quelle condotte su lunghe distanze,ancor più se compiute fuori dai confini nazionali; gite secondotte su brevi distanze. Risulta più complicato, inve-ce, identificare i limiti superiori di durata della pratica tu-ristica. Il riferimento va a figure di viaggiatori permanenti,quali i girovaghi, tra i quali si può pure rintracciare unacomponente turistica, purché prevalga in loro la spinta amuoversi verso nuovi luoghi e a fare nuove esperienze. Sotto il profilo della volontarietà, il turista si qualificacome il prototipo del viaggiatore volontario per anto-nomasia, spinto com’è da esclusivi motivi di piacere.Non subisce costrizioni politiche né condizionamentieconomici: viene perciò a collocarsi all’estremo oppo-sto del rifugiato politico o di chi emigra per risponde-re a bisogni di sopravvivenza.Quanto alla direzione del movimento (pur dando perscontata la partenza da un punto e il ritorno allo stes-so), essa può essere lineare nel viaggio a senso unico,circolare nella crociera, e così via di seguito. In ogni ca-so non è semplice tenere distinte queste forme ben de-finite da altre, incerte e intermedie. È il caso delle pra-tiche di gente che, giunta in un posto per fare turismo,decide di prolungarvi i tempi di permanenza e di sta-bilirsi più o meno definitivamente nella nuova località.Ma è anche il caso di quelli che possiamo chiamare tu-risti permanenti, i quali continuano a produrre reddi-to nel luogo d’origine ma preferiscono soggiornareper intere stagioni in altre località. Per non dire poi diartisti e scrittori, ricercatori e liberi professionisti chevivono stabilmente all’estero ma coltivano intensi rap-porti con la terra d’origine. Quanto è turismo e quan-to è lavoro con relativa produzione di reddito?

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Se passiamo a occuparci della distanza, è innegabile chequella minima, purché sia in grado di conferire una sen-sazione piacevole di cambiamento e di novità, varia aseconda del contesto sociale e ambientale in cui ci simuove. Questo per dire che non si può individuare unabase empirica per stabilire quando una semplice gita dipiacere (a breve distanza) diventa pratica turistica a tut-ti gli effetti. La distinzione più diffusa, relativamentealla distanza, è quella fra turismo interno e turismo in-ternazionale. Non si tratta per forza di distanza geo-grafica, certo, ma può anche essere una distanza d’or-dine sociale, culturale o persino psicologica. Si pensi alcaso in cui la condizione formale di turista tende a tra-scorre in quella di straniero, con tutte le conseguenzedel caso. Oppure quanto accade in regioni del mondonon abbastanza aperte al turismo e distanti dal puntodi vista sociale e ambientale: si ha a che fare allora conun vero e proprio turismo di esplorazione, con viaggiorganizzati sotto forma di spedizioni e partecipanti cheassumono precisi caratteri di esploratori.Quanto alla frequenza, è chiaro che turista non è chicompie un viaggio ogni settimana o ogni mese, ma sipossono dare dei casi limite tra le figure dei vacanzie-ri: è il caso dell’habitué, che torna periodicamente a tra-scorrere le vacanze nella medesima località e nellostesso albergo; del proprietario di una seconda casa ovesi reca anch’egli periodicamente con la famiglia per sog-giorni di varia durata; del proprietario di una casaper week end, nei pressi della città di residenza, dovetrascorre brevi soggiorni settimanali (ivi, 55-56). È ilcaso di chi possiede un appartamento in multipro-prietà, dove trascorre periodi di vacanza ben definitinel corso dell’anno. Ma di esempi se ne possono tro-vare ancora tanti e non vale la pena perciò continuare.

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Viene per ultimo (ma non perché sia il meno impor-tante) lo scopo della singola esperienza turistica. Aprescindere dal complesso delle gratificazioni psichiche(svago, aria pulita, fuga dallo stress) che in genere si at-tribuiscono come scopi primari all’esperienza turistica,conviene qui cogliere nella loro definizione sociale sial’intento non strumentale che la prospettiva del piacerederivante dalla novità. Benché il viaggio di puro piacere sia l’unico a costituirel’essenza della pratica turistica, emergono diverse for-me di «turismo parziale», in cui il viaggio si combinacon altri scopi, che siano più o meno strumentali ad al-tri. Si pensi al soggiorno nelle località termali, in cui lavacanza si associa alla difesa della salute; al viaggio distudio, o alla vacanza all’estero, in cui si fanno rientrarescambi culturali, ma anche esperienze formative o at-tività che favoriscano la crescita dell’esperienza pro-fessionale. Ma si pensi anche al pellegrinaggio, in cui lavisita a un santuario è solo l’elemento motore e ad es-sa si associano tratti di turismo ordinario, fino al pun-to talora di divenire predominanti. Al congresso di stu-di, in cui la componente turistica si afferma nei pro-grammi collaterali, nelle visite guidate oppure nelleescursioni. Al viaggio d’affari, promosso da obiettivistrumentali, ma in cui non manca la ricerca del riposoe l’impegno del tempo libero a fini turistici. Casi a parte sono quelli del turismo lavorativo, dove lemodalità del soggiorno dipendono dall’occupazioneche si trova (ragazze alla pari, campi di lavoro equant’altro prescinde dalle effettive competenze pro-fessionali); delle visite di stato, le quali, a parte l’inca-rico di natura politica o diplomatica, prevedono escur-sioni e visite turistiche; del ritorno infine al paese natiodegli emigranti di prima o seconda generazione: qui ap-

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pare chiara la differenza fra gli uni, per i quali il viag-gio significa ritrovare parenti e amici, e gli altri, in cuiè più pronunciata la dimensione turistica (ivi, 58-59).

Una tipologia delle pratiche turistiche

Tenendo presenti i parametri richiamati, nel comunedenominatore di turismo vengono fatte rientrare espe-rienze talora molto diverse: dalla tradizionale villeg-giatura su cui ci siamo soffermati alla settimana bian-ca, dalla vacanza-studio al campo di lavoro, dalla visi-ta ai monumenti delle città d’arte alle escursioni lega-te ai congressi, dai pellegrinaggi ai santuari alla parte-cipazione ad avvenimenti agonistici. Nella prospettivache stiamo seguendo, non sembri inopportuno pro-vare allora a delineare una tipologia delle pratiche tu-ristiche, consci che si tratta pur sempre di semplici ap-prossimazioni d’ordine didattico.Accanto allo spazio, al tempo e al viaggio già richiamatinella definizione del fenomeno turistico, è lecito collocareun quarto fattore, dipendente dal carattere (in prevalenzaindividuale o sociale) della singola esperienza turistica. Daqui, sulla base comune spazio-temporale, è possibile faremergere una prima, importante distinzione fra turismoindividuale (o familiare) e turismo di gruppo, spesso con-fuso con quello sociale. «La denominazione data a que-sto tipo di turismo è impropria in quanto il turismo… èdi per sé sociale, nel momento in cui mette in contattofra loro persone di diversa estrazione culturale ed eco-nomica… In ogni caso, la funzione sociale del turismo co-munemente intesa è data dal fatto che essa permette alarghi strati di popolazione di compiere viaggi e soggiornia costi ridotti» (Bruschi e al. 1987, 161).

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La definizione di turismo di gruppo va inoltre strettaad alcune delle pratiche che stiamo per richiamare: aldi là infatti delle adesioni, che rimangono individuali,non ci può essere dubbio che l’organizzazione della va-canza è collettiva. La doppia dimensione è presente intutte, anche se in alcune si avverte di più la pianifica-zione collettiva della giornata.a) La villeggiatura, a dimensione e gestione familiare, fariferimento ai mesi, di solito estivi, trascorsi in una ca-sa presa annualmente in affitto in località marine, dicollina o di montagna. Oggi, col crescere delle secondecase, l’affitto temporaneo e variabile da una località al-l’altra (anche se si ripete negli anni), cede il passo allaproprietà di immobili e dunque alla villeggiatura ripe-tuta per più anni nella stessa località. È chiaro che, inquesto caso, non si può parlare di organizzazione tu-ristica a servizio del villeggiante, tranne che non si fac-cia riferimento alle manifestazioni estive che di recentecomuni e province promuovono per impegnare le seratedei turisti in vacanza.b) Il week end è ancora a dimensione individuale o fa-miliare: coincide di solito con la vacanza di fine setti-mana, trascorsa in una struttura non lontana dallacittà, che sia la seconda casa o l’albergo in località tu-ristiche, paesi o località isolate, per non dire del recentesuccesso fatto registrare dai bed & breakfast.c) Il turismo termale già da tempo si è ritagliato uno spa-zio autonomo. A dimensione individuale o familiare inorigine, diretto a soddisfare bisogni salutistici, esso ac-quisisce sempre più i caratteri della gestione collettivae organizzata, facendo ricorso a strutture originali.Praticato presso centri di cura specializzati, il turi-smo termale si basa su adesioni individuali ma opera at-traverso organizzazioni collettive, anche lontane da

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quelle dei villaggi. In ogni caso, esso può farsi rientraretra le forme di turismo sociale, rivolto com’è agli an-ziani, ma anche ai disabili, a soggetti in cura per ma-lattie per le quali sono consigliate lunghe permanenzein stazioni climatiche. c) Il turismo studentesco può considerarsi un vero e pro-prio turismo sociale in quanto si svolge in strutture col-lettive, che sia finalizzato a vacanze-studio o svolto incampi di lavoro, dove il servizio reso all’ente ospi-tante ripaga la retta per il periodo di permanenza. d) Il turismo religioso è un altro esempio di turismosociale. Diretto a Roma, Gerusalemme, o alla Mecca,capitali delle religioni mondiali, o in piccoli centri co-me Lourdes, Fatima, San Giovanni Rotondo, Medju-gorie, esso prende il posto degli antichi pellegrinag-gi che si svolgevano per tappe successive e duravanoanche mesi, di cui tende a conservare la dimensionecomunitaria. e) Il turismo congressuale si è diffuso di recente e tendea rispondere alle esigenze di destagionalizzazione dinon poche località turistiche. I contesti in cui gli in-contri scientifici si inseriscono tendono perciò a esse-re curati sempre più in dettaglio, arrivando a com-prendere attività ricreative, itinerari culturali e pae-saggistici, divagazioni d’ogni genere per gli accompa-gnatori.f) Il turismo sportivo, anch’esso di recente diffusione, si-mile per molti versi a quello congressuale, si attiva,com’è naturale, in coincidenza con impegni agonisticidi vario genere e risonanza.g) La crociera, su navi di compagnie con flotte adeguatee strutture attrezzate, si può ritenere a ragione il tu-rismo di gruppo per primogenitura e per definizione.Gli spazi a disposizione, limitati ma confortevoli, ren-

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dono più necessaria che mai un’organizzazione perfettae attenta ai minimi dettagli, prevedendo una serie di at-tività di ricreazione o animazione tese a coinvolgeretutti i membri del gruppo dei croceristi: ciò per ovviareal rischio che gli ospiti della nave si sentano solo ‘in-truppati’ senza addivenire a un’intesa, se non a un dia-logo, gli uni con gli altri. h) Quella nei villaggi turistici è per definizione la va-canza del tutto compreso quanto a vitto, alloggio e sva-go preconfezionato. Com’è prevedibile, essa richiedeun’organizzazione meticolosa delle singole giornatedella settimana (tale essendo l’arco minimo, e non ri-petitivo, della vacanza). Affidate a giovani animatori,selezionati annualmente nei mesi primaverili e adde-strati adeguatamente, le attività di animazione e di sva-go tendono a coinvolgere tutti gli ospiti del villaggio,offrendo loro un ventaglio di scelte possibili.i) L’agriturismo, di recente diffusione, prevede vacan-ze in strutture rurali talora ancora in produzione, ta-laltra abbandonate e riadattate per la nuova funzione,dove confluiscono singoli o intere famiglie amanti del-la vita in campagna.l) La vacanza itinerante, che si tratti di nomadismo consacco a pelo o del ricorso a tende, caravan o camper, sisvolge in strutture ricettive organizzate (i campeggi) o inaree libere, spesso non autorizzate. È un turismo di tipoindividuale o familiare, libero e in apparenza spontaneo,ma non può fare a meno di svolgersi in una dimensionecollettiva, quanto meno per l’esigenza di coordinare lagiornata di vacanza con i vicini di tenda o di roulotte econ la struttura ricettiva nel suo complesso.m) Il turismo enogastronomico, in veloce progresso ne-gli ultimi quindici anni, può rientrare anch’esso tra leforme di turismo itinerante, ma si caratterizza per la ri-

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cerca di località, piccoli centri o quartieri urbani, in cuiriscoprire e consumare prodotti tipici di varia originee lavorazione. Si tratta, com’è facile capire, di prodottidella cultura contadina o marinara da tempo abban-donati e che ora vengono riproposti entro nuovi con-testi di valorizzazione turistico-ambientale, legati comesono alla dieta mediterranea, al salutismo, alla sensi-bilità ecologica. Slow Food, associazione di amantidella buona cucina, ha saputo interpretare al meglioquesto orientamento, coniugando cibo e viaggio, spes-so in coincidenza con i week end. n) Per ultimo, ma non perché sia il meno importante,viene il turismo culturale. Merita un posto a parte inquanto perde vieppiù il carattere di esperienza indivi-duale (quale era in origine: si pensi al Grand Tour) peracquisire quello di attività collettiva organizzata e re-golata. Una conferma viene dagli itinerari turistico-cul-turali tracciati in funzione di giacimenti culturali entroi quali si muovono flussi turistici costituiti da comiti-ve, oltre che da singoli visitatori. Quest’ultima formadi turismo stenta, in realtà, a essere strutturata nei mo-di che l’organizzazione delle vacanze richiede, per-ché il «prodotto culturale» è l’obiettivo da raggiunge-re, mentre tutto il resto, prima e dopo, non può che es-ser fatto rientrare nelle più generiche forme di turismoindividuale o di gruppo.

Turismo e processi di modernizzazione: i fattori de-terminanti

Il turismo di massa, nella grande varietà caratterizza-ta dai diversi modi di «vivere il tempo e lo spazio», sipuò considerare uno degli effetti dei processi di mo-

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dernizzazione che hanno investito l’Europa occidentalenel secondo dopoguerra, processi d’ordine economico,sociale, tecnologico e culturale nel senso più ampio deltermine. Vediamo di esaminarne partitamente alcuni. a) Urbanizzazione e tempo libero. Profondi cambiamenti sul piano della produzione(quelli che si fanno rientrare nel concetto generale di ri-voluzione industriale) segnano uno dopo l’altro i diversipaesi occidentali nel corso del xx secolo e, nel giro diun trentennio, sconvolgono forme di organizzazione dellavoro rimaste immobili per secoli: nel passaggio dal-l’agricoltura all’industria fanno venir meno ad esempiole originarie condizioni di dipendenza dai cicli sta-gionali e dagli andamenti atmosferici. Il trasferimentodalla campagna alla fabbrica, inoltre, con i conse-guenti fenomeni di massiccia urbanizzazione, libera glioperai dal senso di precarietà e insicurezza dei lavora-tori dei campi, attivando sempre più intensi rapportitra di loro e avviando a soluzione una serie di proble-mi prima non avvertiti o lasciati all’abbandono. Il la-voro in fabbrica, infine, «normalizza» i periodi lavo-rativi, fissando ore di lavoro e giorni di riposo, stabi-lendo chiari confini tra lavoro e tempo libero. La nor-malizzazione consegue alla sempre più perfetta orga-nizzazione del lavoro in fabbrica e in ufficio. Il che toc-ca sia il piano spaziale che quello temporale: il conta-dino continuava a risiedere in campagna anche quandonon lavorava; l’operaio invece lascia la fabbrica ognivolta che si conclude il suo turno di lavoro.Com’è facile capire, al concentrarsi dell’attività lavo-rativa in certi giorni, settimane o mesi non può che cor-rispondere una sempre migliore pianificazione dell’of-ferta turistica organizzata, la quale abbisogna di ade-guata programmazione di tempi e spazi.

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b) Redistribuzione del reddito prodotto. La rivoluzione industriale, oltre all’intensa urbaniz-zazione, produce una nuova configurazione delleclassi sociali, la quale a sua volta comporta una nuo-va redistribuzione del reddito prodotto e una velocediffusione di nuovi modelli di comportamento fra i ce-ti meno abbienti. La redistribuzione del reddito lavorativo è in effettiuna questione che solo in epoca industriale acquisiscerilevanza sociale per la quale si fa urgente approntareadeguate soluzioni. Il punto di partenza è costituitodalla disponibilità del surplus di valore che ogni pro-duzione genera, surplus che nel corso dell’Ottocento ve-niva tutto incamerato – come denunciavano Marx eEngels – dai proprietari dei mezzi di produzione, ov-vero dai padroni delle fabbriche: a parte l’ingordigia in-dividuale, simili comportamenti esprimevano unprofondo senso di insicurezza, ovvero il bisogno di nondisperdere il sovrappiù realizzato, nell’eventualità didover rispondere alle crisi che periodicamente inve-stivano l’attività produttiva da loro svolta. Gli operaiapparivano allora – era questa la denuncia di Marx –semplici escrescenze di un’attività produttiva i cuifattori costitutivi si riteneva fossero il padrone e imacchinari che i primi (fungendo da esercito indu-striale di riserva) si limitavano a far funzionare. Un simile orientamento, operativo ma su una baseprofondamente ideologica, non tarderà a manifestaretutta la sua debolezza, mostrando la fallacia dell’im-postazione che ne stava alla base. È noto che nel 1929una crisi di sovrapproduzione investe l’America, e diqui non tarda a diffondersi in Europa, determinando lachiusura di un numero crescente di fabbriche. La ri-sposta alla crisi viene dall’adozione, da parte di non

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molti paesi in verità, di nuove politiche economiche, distampo keynesiano, le quali basano la possibilità difunzionamento del sistema su quella che possiamo direuna nuova divisione del reddito prodotto nelle fabbri-che, con una parte più o meno consistente riservata aglioperai. Si creano così le sia pur lontane premesse per-ché si passi da operai pauperizzati a operai consumatori,una cui quota di reddito possa essere impiegata al di làdella soddisfazione dei bisogni di sopravvivenza bio-logica, per soddisfare esigenze che Marx avrebbe fattorientrare fra le sovrastrutture. Il surplus che prima ve-niva tutto riservato al proprietario della fabbrica, al«padrone delle ferriere», comincia a essere distribuito,sia pure in parti variabili, fra nuove classi sociali, a par-tire dalle classi medie in veloce crescita e dal proleta-riato, avviandoli a diventare cittadini consumatori.c) Costituzione del Welfare State e crescita della scola-rizzazione. Ancora ispirate a logiche di tipo keynesiano, anche sesu un piano ben diverso, l’adozione del Welfare State ela scolarizzazione di massa accompagnano lo sviluppoindustriale che investe i paesi europei, definendosisempre più chiaramente nel corso degli anni Cin-quanta e Sessanta. Scuola obbligatoria, da una parte, eaumento dell’alfabetizzazione, dall’altra, innescanoprospettive di conoscenza e di scambi culturali primainesistenti. Il lento crescere della scolarizzazione, e delbagaglio culturale posseduto da fasce sociali che unavolta ne erano escluse, genera infatti una sempre mag-giore apertura alla conoscenza di luoghi e persone:ogni accumulo di nuove conoscenze predispone all’a-pertura verso l’altro da sé.Assistenza medica e previdenza sociale, a loro volta, ol-tre a fornire risposte adeguate a esigenze prima non

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soddisfatte, fugano antiche paure e consentono di im-piegare in consumi che diremmo voluttuari i risparmirealizzati e in passato messi da parte in vista dellavecchiaia. Solo negli anni Trenta, cioè dopo la crisi del’29, in Italia non meno che in altri paesi europei si co-minciano a registrare i primi segnali di sviluppo di spe-se di questo genere tra livelli sociali che prima ne era-no esclusi. E questo è molto significativo, come lo è ilfatto che nello stesso decennio cominciano a nascere inItalia i primi stabilimenti balneari e le prime stazioniinvernali.d) Diffusione dei mass media.La veloce diffusione, dagli anni Trenta in poi, deimezzi di comunicazione di massa (giornali e rotocalchi,il cinema, la radio e poi la tv) fa sì che si disponga disempre maggiori informazioni sull’esistenza di altrerealtà sociali lontane da quelle note, sui loro modi di vi-ta, sulle civiltà di cui sono espressione. Le conoscenzeche se ne ricavano generano se non altro la curiosità divedere da vicino, il desiderio di sperimentare realtà di-verse dalla propria, di incontrare l’altro.e) Processi di internazionalizzazione.Il crescere delle interazioni e delle relazioni interna-zionali fra paesi lontani, lo sviluppo degli scambi com-merciali, l’istituirsi di forme di coordinamento socio-politico fra diverse regioni del mondo, l’attivazione diquella che va sotto il nome di cooperazione interna-zionale sono altrettanti fattori di promozione del tu-rismo, fungendo da contesto degli scambi e agevolan-done le modalità di attuazione.f) Sviluppo dei mezzi di trasporto. Non meno importante è il crescere impetuoso della mo-bilità geografica che consegue al crescere delle vie di co-municazione e non è un fattore per nulla secondario

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nello sviluppo del turismo: i viaggi, già richiamati inapertura, ovvero i trasferimenti spaziali da un punto al-l’altro del pianeta (meccanismi di innesco delle praticheturistiche) trovano anzi nel diffondersi di strade, fer-rovie, linee aeree e marittime altrettante condizioni alloro stesso svolgersi.g) Valori condivisi in un mondo secolarizzato. I processi di modernizzazione appena richiamati nonpossono farci trascurare infine l’universo dei valoriin cui si inserisce il fenomeno turistico e altri trattid’ordine culturale che lo costituiscono e che è dunquenecessario prendere in esame. È stato rilevato che il diffondersi del turismo è un chia-ro indizio del passaggio dalla «società sacra» alla societàsecolarizzata. «La società sacra – scrive GianfrancoMorra – è caratterizzata da ostilità per il nuovo. In es-sa tutto ciò che è nuovo è sospetto, sgradevole, stra-niero. La società sacra ha una forte resistenza al cam-biamento. Con i termini di Parsons si può anche direche la società sacra è una società ‘tradizionale’. Una so-cietà secolare è invece caratterizzata dal desiderio delnuovo e da una elevata capacità di mutamento. Il mu-tamento sociale è un fenomeno che appartiene ad ognisocietà, ma nelle società sacre è difficile, lento e scar-so; nelle società secolarizzate e modernizzate il muta-mento è invece facile, rapido e diffuso. Solo una societàmodernizzata, con i suoi valori ‘permeabili’, potevaavere turismo e consumi» (1988, 17-18). Nella direzione tracciata nuove prospettive culturaliaiutano a valorizzare, promuovere e condividere posi-tivamente quello che abbiamo considerato il nucleo del-la pratica turistica: il rapporto con l’altro. Questo co-mincia a non essere vissuto più come l’irruzione dellostraniero, con tutti i rischi che ne conseguono sul pia-

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no culturale condiviso, ma come occasione di crescita,offerta di nuove opportunità, arricchimento sociale eculturale.

Elementi motori del fenomeno turistico

Nessuna pratica turistica si mette in moto in manieraspontanea o meccanica ma, come ogni fenomeno socialecomplesso, essa si svolge di seguito al determinarsi diprecondizioni, locali o nazionali che siano, alcune lon-tane in apparenza da possibili ricadute nel settore. Aldi là delle motivazioni specifiche che stanno dietro lapratica turistica c’è tutto un quadro generale di predi-sposizioni delle quali non si può non tenere conto.I fattori determinanti lo sviluppo turistico sono quellisu cui ci siamo già soffermati: alcuni sono d’ordine so-cioeconomico (la rivoluzione industriale, l’imporsidel Welfare State, le logiche di sviluppo keynesiano, lainternazionalizzazione), altre d’ordine geoculturale(il crescere della mobilità geografica), altre ancorainfine d’ordine comunicativo (il diffondersi dei massmedia). Ma, accanto ai fattori socioeconomici e cul-turali, è possibile individuare anche elementi motori divario genere (psicologico e individuale, politico eamministrativo, climatico e ambientale). Ci limitiamoa richiamarne alcuni:a) L’uomo nella sua dimensione individuale e sociale.La prima si manifesta nelle esigenze e nei gusti perso-nali in relazione all’esperienza turistica da intrapren-dere; la seconda riguarda più propriamente aspetti re-lativi al genere di attività svolta, allo strato sociale diappartenenza, ai modelli culturali condivisi e alle mo-de. «Il turismo odierno ha visto allargare considere-

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volmente la fascia di coloro che si recano in vacanzaper vari scopi e motivi. Esso è la risposta non solo albisogno di ognuno di divertirsi, di svagarsi e riposarsi,ma ha anche funzione ‘compensativa’ e rigenerativacontro lo stress quotidiano causato dai ritmi lavorativiche creano ansia, dagli orari rigidi e prestabiliti, dallamancanza di spazio vitale e talvolta dall’ambiente fa-miliare e scolastico. Spesso il turismo è una sorta dievasione dalla città e un desiderio di ritorno alla natura,esso è un bene che tende a far recuperare all’individuouna certa autonomia di movimento per quanto ri-guarda sia gli orari sia gli spazi fisici e mentali» (Bru-schi e al. 1987, 158). b) I bisogni che si intendono soddisfare con l’espe-rienza turistica intrapresa. Nel contesto si fa rientrarela questione delle motivazioni che predispongono al-l’esperienza turistica, tra le quali si è soliti richiamare:le necessità fisiologiche legate all’esposizione al sole al-l’aria e al mare, con tutti i benefici effetti che ne ricaval’organismo; i bisogni di evasione psicologica, per rea-gire alle tensioni accumulate nel corso dell’anno e alsenso di alienazione nel lavoro; le esigenze di ade-guarsi ai fenomeni di moda, tesi a confermare i livellidi status già raggiunti o che si ritengono tali; i bisognisociali, simboli di status, infine, che si possono consi-derare i corrispettivi sul piano professionale dei bisognipsicologici e si connettono ai processi di mobilità so-ciale (ivi, 165-66).c) Le condizioni socio-politiche del paese ospitantecostituiscono il contesto in cui l’industria turistica sicolloca. Non si può fare turismo in un paese che nonabbia elaborato una politica adeguata o che non assicuricondizioni di sicurezza e vivibilità, a parte la disponi-bilità di strutture adeguate.

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d) Le condizioni climatiche e meteorologiche, con-nesse alle specifiche situazioni ambientali, costitui-scono elementi essenziali per la programmazione dellepartenze, oltre che per la messa in funzione di strutturericettive di diverso genere e livello.e) La disponibilità di vie di comunicazione (terrestri,aeree o navali) adatte a spostamenti veloci. Il trasferi-mento spaziale costituisce l’elemento d’innesco delfenomeno turistico, come più volte rilevato. f) L’efficienza dell’industria turistica, infine, intesa nelsenso di disponibilità alberghiera, offerta di serviziadeguati e quant’altro. Gli ultimi due elementi sono daritenersi centrali nell’attività turistica, in quanto l’in-contro fra domanda e offerta non è quasi mai pacificoma è soggetto a sfasature, aggiustamenti ritardati, an-ticipi rispetto al reale stato della domanda.Vengono per ultimi, e non sono da trascurare, i mol-teplici fattori che influenzano le scelte e i comporta-menti del turista, sicché – a parità di posizioni dipartenza – risulta avvantaggiata l’industria delle va-canze di una regione e penalizzata quella di altre. Par-rebbero meno incisivi dei fattori determinanti e deglielementi motori, e così è in gran parte, ma assunti nel-la doppia dimensione individuale e collettiva, psicolo-gica e culturale, fanno sentire invariabilmente i loro ef-fetti. Tra i tanti ci limitiamo a segnalare:a) Il piacere di riprendere abitudini da tempo acquisi-te, per cui si finisce col ripetere viaggi già fatti, di ri-tornare in località già visitate, per il senso di sicurezzache conferiscono.b) Il conforto derivante dall’atteggiamento delle per-sone frequentate e dagli aspetti positivi (è da precisa-re in che senso) degli ambienti prescelti. c) Il gusto di far proprio un modello di consumo turi-

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stico ritenuto socialmente rilevante: anche qui si fa sen-tire l’effetto della mobilità sociale, che va di conservacon l’adozione di modelli ritenuti socialmente superiori.Certo, quelle appena richiamate sono questioni da ma-nuali di scienza del turismo che, non a caso, sono inti-tolati alla sociologia e alla psicologia (Maltese 1979) madietro ognuno dei fattori o degli elementi richiamati sicelano nodi problematici irrisolti che abbiamo segnalatosolo in minima parte. Aiutano in ogni caso a farsi un’i-dea di quali siano i fatti (da quelli individuali a quelli dipolitica internazionale) cui è necessario fare appelloogni volta che si entra nell’universo del turismo. Lacomplessità dello stesso, tra l’altro, si è venuta accre-scendo con il progressivo accedervi di nuove fasce so-ciali, con interessi e bisogni diversificati. Coloro che og-gi partono per fare turismo, come stiamo vedendo,conservano di comune solo l’etichetta, ma chiedono co-se diverse e inseguono esperienze differenti.

Turismo di massa e/o turismo organizzato

Quando si parla di turismo di massa, il pensiero va inprimo luogo alle attività che coinvolgono centinaia dituristi prima indirizzati verso aerei charter, poi avviativerso pullman numerati e infine sistemati in enormi al-berghi-alveari dai lunghissimi corridoi e dalle camereidentiche l’una all’altra. Per non dire delle visite gui-date: decine di persone, in fila dietro un signore cheper farsi notare e raccogliere i distratti tiene un om-brello puntato in alto (un po’ come il bastone del pa-store munito di un fazzoletto rosso). In un libro dedicato al turismo organizzato, ci siaconsentito dire che le cose non stanno così. È vero in-

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fatti che turismo di massa vuol dire innanzitutto turi-smo dei grandi numeri, ma quel che più conta è che sitratta di turismo organizzato, unica forma a oggi notache riesca a conciliare quantità e qualità secondo mo-di sempre perfettibili. Si tratta di un turismo in cuiogni passo è cadenzato da una serie di operazioni pre-liminari e nella cui gestione nulla può essere lasciato alcaso. Fra turismo di massa e turismo organizzato, in-somma, è come se ci fosse un rapporto di causa ed ef-fetto: se i grandi numeri non fossero gestiti con at-tenzione, programmazione e oculatezza, rischierebbe-ro di far fallire un’esperienza carica di attese e che, perdefinizione, dovrebbe essere non generatrice di stressma di relax e serenità. La storia del fenomeno turistico ci viene incontro e cifa comprendere come ciò che tra America ed Europa sisviluppa a partire dagli anni Trenta non ha più nulla ache vedere con quanto avveniva in passato: è un’altracosa che si verifica quando il turismo da sempliceesperienza individuale diviene una pratica collettiva conprofonde ricadute sul piano dell’economia. E abbiamogià ricordato come intere regioni fondino oggi la loroeconomia proprio sul turismo e il reddito prodottocostituisca una componente di tutto rispetto in seno alprodotto interno lordo nazionale.Chi sono gli attori o gli strati sociali che fanno più ri-corso al genere di pratica turistica a cui qui facciamo ri-ferimento? E fino a che punto deve tenerne conto l’o-peratore turistico nel promuovere un’iniziativa o nelmetter su una struttura?Per trovare risposte adeguate si offrono due possibilità:far ricorso alle statistiche per individuare trend signi-ficativi nel senso qui delineato; sondare gli orienta-menti più diffusi nella popolazione degli occupati, sia-

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no essi imprenditori, professionisti o lavoratori di-pendenti, al fine di operare quella segmentazione pervantaggi a cui ricorre la pratica del marketing prima dimettere in circolazione un prodotto. Coniugando trat-ti qualitativi e quantitativi insieme, si tratta di attivareuna procedura consistente nel ritagliare porzioni dipubblico, i target group, ognuno dei quali viene definitoda tratti anagrafici, socioeconomici, culturali e/o psi-cologici: questi appaiono essere gli elementi motori diorientamenti al consumo e di scelte operative distintee a volte contraddittorie, ma sulla base di quelli che ri-sultano determinanti.Non esiste il turista, anche nella società che diciamo dimassa, ma esistono i turisti, ognuno di essi caratteriz-zato da propri gusti, interessi, esigenze… E il grossoproblema dell’operatore turistico è quello di andare in-contro alle diverse richieste, senza per questo confe-zionare pacchetti individuali ma facendo rientrarequelle richieste in un quadro di offerte collettive pra-ticabili e accettabili (tenendo anche conto delle di-sponibilità economiche delle fasce dei possibili clienti).Turismo di massa, nel senso qui delineato, non significaallora una pratica che uniforma e omologa, o peggio an-cora manipola; esso significa bensì che, sulla base di ri-chieste singolari, ma in qualche modo aggregabili, sia ingrado di offrire risposte soddisfacenti. Richieste distintee risposte uniformabili fino a un certo punto sono i duecorni di un dilemma che un’azione turistica efficace puòfare incontrare aiutando gli operatori e lasciando con-tenti i fruitori: gli uni che sappiano creare pacchetti-va-canze adeguati, gli altri che riescano a trovare nei pac-chetti loro proposti risposte alle loro richieste.La comunicazione svolge, in questo quadro, un ruolodelicatissimo: quello appunto di gettare le basi di un in-

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contro, di creare una piattaforma in cui gli uni e gli al-tri possano incontrarsi. Non si può andare dietro a ri-chieste uniche e irripetibili, per ragioni di fatto com’èfacile intuire, ma si possono proporre esperienze con-divisibili e gradevoli, frutto della professionalità deglioperatori e della disponibilità dei fruitori. Se di «seg-mentazione per vantaggi» parliamo, infatti, non sem-bri strano parlarne anche in riferimento agli operatori:quali condizioni sociali, economiche, demografiche,psicoattitudinali li caratterizzano? E questo comples-so di cose in che modo incide nella scelta del prodotto-vacanza, nella costruzione degli itinerari, nel succedersidelle fasi, tra visite culturali, bagni di mare, passeggiatein montagna? Una sociologia del turismo che si rispettiha il compito di prendere in esame i più diversi aspet-ti della questione e contribuire a dare risposte met-tendo accanto ai fruitori della vacanza coloro che la«costruiscono», tour operators, agenti di viaggio, guideturistiche.

Turismo organizzato e tipologie di turisti: la bolla am-bientale

Nel delineare gli scopi che qualificano un’esperienza co-me turistica abbiamo visto che, accanto alla ricerca del-la novità e del cambiamento, è dato evidenziare nonpoche differenze fra i modi di fare turismo e di viverel’esperienza turistica, nonché le pratiche cui dannoluogo. La dimensione dei flussi turistici che si indi-rizzano verso una meta ha inoltre ricadute sulla qualitàdei rapporti con altri turisti e con le popolazioni loca-li. Questi rapporti variano a seconda del genere diturismo praticato e delle rispettive figure che ne deri-

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vano: vacanzieri sì, ma ben diversi l’uno dall’altro finoal punto da risultare irriconoscibili gli uni agli altri. Alle tipologie individuabili si correlano motivazioni di-verse, che siano d’ordine culturale, politico, sociale opsicologico. È chiaro che le figure sono modelli astrat-ti, tipi ideali di un continuum dove si distribuisconocomportamenti e aspirazioni diversificate. Per comin-ciare diciamo che si è soliti individuare fondamental-mente due figure maggiormente caratterizzate. Da unlato stanno i sightseers, i cacciatori di luoghi e di im-magini, alla ricerca continua di novità; dall’altro i va-cationers, ovvero i vacanzieri che vanno semplicemen-te alla ricerca di un cambiamento, a prescindere dallecose che trovano in una località. I primi sono orientati alla novità, sviluppano il loropercorso in un circuito e si possono dire turisti nel sen-so pieno del termine: preferiscono visitare diverselocalità e vivere situazioni nuove e imprevedibili nelcorso dell’esperienza. Pongono l’accento sul viaggiopiuttosto che sul soggiorno, sono alla continua ricercadi esperienze ricche di valore simbolico, come di at-trazioni, caratteri straordinari e tratti distintivi diuna località turistica.I secondi si accontentano invece di uscire fuori dal trantran, di interrompere la routine della vita quotidiana:ogni anno tornano in località a loro ben note e lì ama-no restare per tutto il mese di ferie. Il loro viaggio èmonodimensionale: prestano attenzione alle condizio-ni di ospitalità, alla buona accoglienza e al mangiar be-ne, così come alle attrezzature e alla qualità dei servi-zi (Savelli 1989, 58-59).Ai sightseers sono assimilabili gli «esploratori», chenei fatti più che da turisti si comportano da antropo-logi: essi si adattano alle norme locali di comporta-

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mento, condividono con i nativi abitazione, cibo estile di vita, «protetti tuttavia da meravigliosi equi-paggiamenti di tecnologie occidentali (radio, telefoni,videocamere)». Anche i «turisti d’élite» sono soggettiisolati che si adattano volentieri alle condizioni di vi-ta locali; impiegano però mezzi e servizi selezionati inpartenza da agenzie di viaggio specializzate. Casi a par-te sono quelli dei «turisti fuori giro», che si allontananodai gruppi organizzati e si dedicano a esperienze fuoridal normale, e i «turisti insoliti» i quali, pur fruendo diviaggi organizzati, si ritagliano spazi propri per cono-scere da vicino le culture locali, continuando però aconsumare pasti europei (ivi, 65). Qui interviene l’azione svolta dalla bolla ambientale,ovvero da quella sorta di microambiente di cui ogni tu-rista si munisce quando si trova ad operare al di fuori deipropri spazi geografico-culturali. Ad uno dei due poliestremi, l’esploratore organizza da solo il proprio viaggio,sta lontano dai percorsi e dalle località del turismo dimassa, anche se cerca alloggi confortevoli e mezzi di tra-sporto adeguati, rientrando subito nella propria «bollaambientale» se la situazione lo richiede. Il giramondo, ilturista errante e il drifter (nomadizzante) spingono al mas-simo livello la ricerca di novità e fanno completamentea meno della bolla ambientale. Il turista di massa indi-viduale, infine, non è totalmente legato al gruppo cui èstato assegnato e dispone di una certa quota di controllosul proprio tempo e itinerario. Tuttavia, proprio per averorganizzato il viaggio attraverso un’agenzia, fuoriescedalla sua bolla ambientale solo occasionalmente e, se maiimpatta su una novità, dalla guida locale essa vienefatta subito rientrare nella routine. Quanto alla bolla ambientale vissuta tra i partecipantie quello che preferiamo chiamare turismo organizzato,

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notiamo subito che, nella fase iniziale, si ha a che farecon flussi di vacanzieri che si muovono per lo più agruppi di varia consistenza: non riescono ad adattarsialle condizioni locali e perciò ricercano attrazioni e ser-vizi corrispondenti allo standard occidentale, anche serisultano nettamente antieconomici, estranei come so-no all’ambiente locale. Il turismo organizzato, nella fase più matura, risulta in-vece costituito da un flusso continuo di visitatori cheinondano le aree di destinazione per una o più stagio-ni l’anno. L’impatto dei visitatori risulta molto forte:sono sparsi ovunque e riempiono ogni camera d’al-bergo delle categorie prescelte. Pretendono professio-nalità nel servizio, personale poliglotta pronto a ri-spondere ad ogni richiesta. Rimangono chiusi nellaloro bolla ambientale che si nutre delle attrazioni oc-cidentali in bella evidenza e regolarmente richieste.Detti anche «turisti charter», essi arrivano in massa, abordo di enormi aerei passeggeri, di seguito a ciascunodei quali si muovono decine di pullman per il trasfe-rimento agli alberghi e per le successive escursioni. Por-tano targhette col nome, sono assegnati a un pullmannumerato, vengono contati ogni volta che salgono abordo. «Il turismo charter organizza e gestisce grandimasse di turisti e per evitare lamentele e reclami itour operator e i manager dell’accoglienza standardiz-zano i servizi secondo i gusti occidentali. Per lorouna destinazione vale l’altra, soprattutto se il viaggiocostituisce il premio previsto da programmi di incen-tivazione alle vendite» (ivi, 66).In effetti, il livello operativo del turismo organizzatorisulta strettamente connesso al livello di accetta-zione e tolleranza che gli utenti mostrano nei con-fronti delle componenti di novità presenti nell’espe-

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rienza turistica. Sembra corrispondere così ai gradi dimaturità del turista, nonché alla sua disponibilità adimmergersi in un ambiente estraneo. «Pur aperti allenovità, arriva un momento in cui l’immersione inun ambiente nuovo diventa sgradevole. Perciò hannobisogno di mantenere attorno a sé qualcosa di fami-liare, che li aiuti a conservare la loro identità: il cibo,il giornale, una persona conoscente. La familiarità ad-dolcisce la diversità. La novità e l’estraneità del ma-croambiente in cui ci si colloca come turisti deveessere compensata dalla familiarità di un microam-biente protettivo» (ivi, 67).Tenendo conto di tutto questo, il turismo organizzatotende a far viaggiare i propri clienti protetti da una bol-la ambientale costituita dalla propria cultura d’origine,tenendoli collegati ad essa da un vero e proprio cordoneombelicale. Il turista entra così in contatto con lagente, i luoghi e le culture visitate attraverso le paretiprotettive della propria bolla ambientale. «Dalla di-mensione di questa bolla dipendono i livelli di orga-nizzazione e di istituzionalizzazione dell’esperienzaturistica. C’è un continuum di combinazioni tra novitàe familiarità, entro cui è possibile individuare una ti-pologia adeguata. Il turista di massa organizzato èquello che rimane ampiamente confinato entro i limi-ti della propria bolla ambientale. Acquista un pac-chetto turistico come acquisterebbe un qualsiasi altrobene. Una volta partito, rimane sempre entro il mi-croambiente preparato per lui, protetto e separato dalmondo esterno, segue itinerari prefissati e non deveprendere nessuna decisione» (ivi, 68-69). Pone in essereinsomma forme istituzionalizzate di comportamento,consuma beni e servizi offerti da industrie specializzatee assume ruoli chiusi, predeterminati dal lavoro svolto

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da un complesso di agenzie, compagnie di viaggio,strutture ricettive e servizi ricreativi.Come abbiamo anticipato, il successo di esperienze tu-ristiche del genere dipende dalla capacità organizzati-va dei diversi operatori turistici che vengono chiama-ti in causa. Ma dipende ancor prima dalla capacità disaper costruire un prodotto e riuscire a ben comuni-carlo, creando attese ma non illusioni, informando epersuadendo all’acquisto ma non ingannando o mani-polando. La condizione del successo è insomma affidatain gran parte a campagne di comunicazione adeguate asaper proporre per l’acquisto un prodotto turisticoben costruito, in cui siano adeguatamente dosate infor-mazione e persuasione. È quanto vedremo nei capito-li seguenti.

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Le società comunicanti

Nell’introdurre una riflessione su quelle che stiamo pro-vando a chiamare società comunicanti, la domandadi partenza non può che riguardare il senso stesso dadare al termine «comunicazione», dal momento che altermine sono state attribuite diverse accezioni.C’è un senso «ristretto» del comunicare, quello più dif-fuso e solitamente condiviso, ma anche quello che, ri-spetto agli altri, copre l’area più ridotta e specifica: staper trasmissione e si dice che c’è comunicazione allor-ché un mittente invia a un destinatario un messaggiocon lo scopo preciso di fargli sapere qualcosa; è ne-cessaria dunque la presenza operante di una «inten-zionalità comunicativa».C’è poi un senso così ampio e complesso di «comuni-care» da toccare i vertici della generalità e dell’astra-zione: qui comunicazione viene intesa come una fun-zione, in senso matematico, ovvero una relazione con-dizionata fra due o più unità; non ci sono esseri umaniin interazione. «Si può dire che c’è comunicazione tradue entità qualsiasi A e B se una modificazione di Aprovoca una correlativa modificazione di B, se cioè ilcambiamento dell’una è leggibile come funzione delcambiamento dell’altra» (Miceli 1982, 225). In questo

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3La comunicazione: fattori, funzioni, effetti

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quadro non vengono presi in considerazione concetticome «coscienza» o «comprensione», né se ne enu-cleano i rispettivi ruoli. Sono invece richiamate le no-zioni di «regolarità», «sistematicità», «prevedibilità».Vi rientrano tutti i fenomeni riconducibili a «stimolo-risposta» per ciò che concerne gli organismi viventi, maanche la comunicazione fra macchine o quella presen-te nel mondo chimico-fisico.Il senso che qui ci interessa più da vicino è il terzo,quello per il quale la comunicazione si identifica con lasemiotizzazione di realtà fisiche e naturali, o sociali eculturali, che non sono nate per comunicare ma chetuttavia sono soggette all’interpretazione dei soggettiumani che vi attribuiscono significati e si comportanodi conseguenza. Qui «è implicata almeno la presenza diun interprete umano che percepisce e interpreta even-ti, come segni capaci di significare qualcosa, sicché lacomprensione di questi segni provoca una riorganiz-zazione del campo cognitivo dell’interprete, condizio-nandone il comportamento» (ivi, 227). In tale quadropossono esser fatti rientrare i processi per cui i membridi una società comprendono i significati attribuibili aeventi naturali, comportamenti e atti o prodotti cul-turali, ma non è richiesta, né presupposta la presenzadi un mittente con intenzionalità comunicativa: unevento qualsiasi diventa messaggio per esseri umani cheassumono il ruolo di interpreti. «L’infinito numero dimessaggi che riceviamo ogni giorno dall’ambiente na-turale e da quello socioeconomico – informazioni co-dificate in locali, rumori, strade, negozi, folle, spazivuoti, veicoli, edifici, e così via – costituisce la maggiorparte dei mezzi attraverso i quali il nostro ambiente siimprime in noi, contribuendo così alla nostra socializ-zazione, nonché alla codificazione di abitudini, desideri

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e valori, indipendentemente da una partecipazioneconsapevole... Quest’informazione trasmessa dall’e-sperienza, cui si partecipa e che tutto pervade, costi-tuisce un ampio sistema di messaggi, la maggior partedei quali non viene mai tradotta in parole (in realtà sa-rebbe impossibile). Esso costituisce una rete informa-tiva, una mappa, un sistema di memoria che si imponeal soggetto» (Wilden 1978, 606).Rimangono due aspetti della questione su cui passiamoa riflettere: in primo luogo se la comunicazione sia unatto definibile nel tempo e nello spazio o sia invecequalcosa di ben più ampio, assimilabile all’idea di pro-cesso. La risposta è che essa non si presenta per nullacome un atto definito, ma bensì come un processocontinuo, fondamento di situazioni vitali di cui i singoliatti sono realizzazioni provvisorie. E questo può con-siderarsi un altro modo per dire che la comunicazionenon è una semplice trasmissione di messaggi da mit-tenti a destinatari, ma tratto costitutivo degli am-bienti, degli uomini e delle società nel loro complesso. La seconda questione riguarda la linearità o circolaritàdella comunicazione: la risposta è che essa, nella sua es-senza profonda, è un processo circolare. Lévi-Straussindividua il fondamento della società in una «struttu-ra di comunicazione» rappresentabile in uno schemacircolare nel quale compaiono scambi ristretti (passaggiodei segni da A a B basati su rapporti di reciprocità tragruppi definiti); di seguito A offre qualcosa a B, B nefa dono a C, e così via di seguito finché il circolo sichiude e A viene gratificato da Z. Allo scambio ri-stretto se ne accosta uno generalizzato, in cui A dona aB che restituisce al primo, B dona poi a C da cui ricevequalcosa in cambio, e così via di seguito: prefigurandoquella che poi sarà detta azione di feedback, si attiva-

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no insomma continue azioni e retroazioni, continui in-viare e ricevere messaggi da mittenti a destinatari(Giacomarra 1997, 22). Per l’antropologo francese è lo scambio generalizzato afondare la comunità: egli intravede infatti nello scam-bio dei beni (essendo tale l’economia), delle donne(attraverso il matrimonio nel costituirsi della parente-la), delle parole (la lingua), altrettante istituzioni in cuiopera una comune struttura della comunicazione. Equesta, appunto, viene intesa come un processo circo-lare, uno scambio continuo di messaggi in tutte le di-rezioni. Lungo la direzione tracciata, si finirà col rile-vare che del comunicare può meglio render conto unmodello a dimensione sferica (la semiosfera di JuriLotman).

Mediazioni simboliche e relazioni sociali

Per spiegare il farsi della società come universo sim-bolico condiviso, è stata introdotta l’espressione «me-diazione simbolica» in un’accezione di ascendenzacassireriana, comprensiva cioè di tutte le mediazioniculturali «attraverso cui l’uomo costruisce la sua realtà(linguaggio, mito, arte, religione, filosofia, scienza,ecc.)». Questi sono altrettanti modi di introdursi nelmondo, di apprenderlo e di plasmarlo, ripensarlo eriforgiarlo. «La nostra esperienza conoscitiva – rilevaFranco Crespi – appare in ogni caso come una forma dimediazione simbolica, che ha sempre a che fare con al-tre forme già determinate nella mediazione simbolica,senza possibilità di riferimento immediato a oggettiesterni ad essa» (1984, 12). Ne derivano tre conse-guenze di rilievo.

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In primo luogo non può non porsi la questione dellarealtà in quanto tale, una volta messo nel dovuto rilievoil ruolo della mediazione. «Non è possibile... indivi-duare, in modo indipendente da tale mediazione, unastruttura trascendentale a priori del conoscere. Neconsegue che, nell’assenza di ogni fondamento a prio-ri esterno alla mediazione, questa si costituisce comel’orizzonte invalicabile della nostra esperienza, comecondizione necessaria e allo stesso tempo come limitedi essa... Il paradosso della mediazione è proprio datodal fatto che, pur costituendosi essa stessa come unicoorizzonte, dal momento che non c’è che mediazione,essa si mostra peraltro come mediare riduttivo, cioè co-me limite e come rinvio ad altro da sé» (ivi, 11). Del-la cosiddetta «realtà oggettiva», della «cosa in sé», nonrimane molto: e se ne può fare benissimo a meno,purché funzioni la mediazione.In secondo luogo, questo stato di cose si rivela essenzialeper la coesione che il condividere medesime «media-zioni simboliche» può promuovere ai fini della creazionee del mantenimento della società. Se richiamiamo lacoscienza collettiva di Durkheim, come fatto sociale e og-gettivo, a cui non può non rimandare la coesione socia-le, possiamo già coglierne la specificità: essa si impone agliindividui, i quali non concorrono per nulla al suo confor-marsi in un qualche modo e devono solo passivamente su-birla se vogliono far parte della società. Nella mediazio-ne simbolica i termini invece si rovesciano: sono gli in-dividui, assunti nel loro agire collettivo, che costruisco-no la mediazione, in base ai loro bisogni ed esigenze. Nonviene prima la società (e la relazione sociale) e poi il sog-getto individuale, ma esattamente il contrario.In terzo luogo si può collocare la conclusione del so-ciologo: «La mediazione simbolica può essere colta, in

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primo luogo, come funzione essenziale alla costitu-zione dell’ordine sociale. Ogni ordine sociale si costi-tuisce infatti come forma culturale (rappresentazioni,norme, istituzioni, ecc.) di rapporti sociali determina-ti: in quanto tale esso è la condizione che rende pos-sibile la stessa convivenza tra gli uomini. La diffe-renza dell’uomo dall’animale, sotto questo riguardo, vaindividuata appunto nella necessità che l’uomo ha diuna mediazione culturale per la sua sopravvivenza in-dividuale e collettiva» (ivi, 12). Qui sta la conclamatanecessità della mediazione simbolica perché si diffon-dano il «senso oggettivamente partecipato» e i connessimodelli condivisi di comportamento. Ribadiamo chequel senso deve diffondersi, non preesiste. «La possi-bilità stessa del costituirsi di un ordine sociale si fon-da quindi sulle condizioni di prevedibilità relativa e dicoordinamento dell’agire sociale, che sono assicuratedall’insieme delle rappresentazioni, dei valori, delle nor-me e dei modelli di comportamento forniti dalla cul-tura, cioè da un sistema di mediazioni simboliche de-terminate, atte a produrre con-senso» (ivi, 128).La dimensione semiotica è una di quelle più significativeper leggere l’universo delle mediazioni simboliche. Èuna dimensione che, nell’evidenziare le componenti ditipo semiotico-comunicativo, non nega quella simbolica,ma le conferisce una rilevante autonomia, in un ordinedi precedenze che fa dei soggetti umani figure prov-visorie e delle mediazioni simboliche un sistema stabilee permanente. In tale direzione si impone il concetto disemiosfera, introdotto da Juri Lotman, inteso comeun «insieme diasistematico di segni». Lo studioso del-la Scuola di Tartu delinea e dà la precedenza a un com-plesso universo di segni, caratterizzato da una semiosiillimitata, in cui i singoli uomini entrano per muo-

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versi lungo tutti gli itinerari possibili: una sfera, ap-punto, in cui gli attori sociali «navigano» per uscirnequando lo ritengono opportuno. Essi stanno insiemenon perché condividono le stesse credenze, e/o le stes-se conoscenze, e/o la medesima religione, tenute di-stinte le une dalle altre: neppure l’arte, né l’ideologia,infatti, vivono e operano in una società come «elementichiaramente separati l’uno dall’altro». Opera invece«un universo semiotico inteso come un meccanismounitario... una rete che non ha un centro e che offre unnumero illimitato di maglie interconnesse da indivi-duare e percorrere liberamente» (Salvestroni, in Lot-man 1984, 8-9).

Se ora passiamo a riflettere sulle relazioni sociali, comealtra componente essenziale della vita in società, co-minciamo col ricordare che la comunicazione svolge unruolo centrale nel costituirsi della società. Nel defini-re porzioni di realtà, attraverso le «mediazioni sim-boliche» prodotte dai processi di comunicazione chemettono in contatto soggetti appartenenti a una stessao a diverse culture, si privilegia la funzione referenziale,descrittiva o narrativa del comunicare, quella tesacioè a delineare universi di conoscenze, saperi, im-magini, pratiche affabulative quali vengono prodotti ediffusi dalla lingua e dai mass media. Inteso in questosenso, il comunicare appare già un fattore centralenella creazione di realtà sociali, costituite in partenzadi interazioni comunicative.In un’altra prospettiva, alla comunicazione viene at-tribuito il ruolo di riflettere i fatti sociali e culturali che«vengono prima»: le variazioni linguistiche, i modi diusare i gesti e gli spazi sociali sono considerati, in talsenso, indizi o effetti delle relazioni esistenti tra i par-

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tecipanti all’interazione sociale o della diversa collo-cazione dei partecipanti. Le dimensioni simboliche e relazionali procedono in-sieme. Le prime non possono reggere se non poggianosu una intelaiatura di relazioni sociali e viceversa. Di an-cora maggior rilievo è il fatto che le une non costitui-scono solo il riflesso delle altre, ma, rovesciando l’o-rientamento della prospettiva, il ricorso a diverse va-rietà linguistiche, posture e gesti consente di instauraredeterminati generi di relazioni sociali. Questi e quellevengono assunti come motori o cause della relazione daattivare, fattori d’interazione sociale. In ogni comunitàè possibile vedere l’esito di relazioni sociali attivate apartire da eventi comunicativi che si snodano tra in-terlocutori in situazioni diverse: si pensi a quante sonole maniere in cui si usa la lingua per stabilire contatti,a seconda che il parlante ricorra a frasi imperative oesortative, interrogative o dichiarative. In che posizione stanno i due concetti l’uno rispetto al-l’altro? Per Pierpaolo Donati (1994) le relazioni socialinon si esauriscono nella comunicazione, che ne è soloun aspetto. Esse sono prima di tutto contesto, so-stanza e solo in un secondo tempo forma e comunica-zione, né può esserci comunicazione che non si dia en-tro un contesto. Prima viene questo, in quanto esprimele interazioni, poi le relazioni sociali (il contesto dà sen-so alle relazioni) e per ultima si colloca la comunica-zione. L’interazione generalizzata si concretizza insingoli atti: lo scambio comunicativo comporta tra-smissioni di messaggi che portano a condividere, alla fi-ne di un lungo processo, stessi valori, modelli, visionidel mondo e della vita. La comunicazione è condizionee causa di quell’universo socialmente condiviso che è lacultura. Affiora il ruolo dell’individuo, e nello stesso

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tempo si va riconoscendo il ruolo della comunicazione,avendo consapevolezza che un soggetto sociale è talesolo se «in relazione con» (e dunque «in comunicazionecon») l’altro.

I fattori della comunicazione

Pur nella tendenza semplificatrice che abbiamo ri-chiamato in apertura, non è chi non veda lo stretto le-game che il comunicare intrattiene con la comunità deiparlanti. C’è un senso particolare da rilevare al ri-guardo, importante per ogni riflessione condotta in am-bito sociologico, ed è quello che rimanda al legame tracomunicazione e comunità. Non siamo i primi, natu-ralmente, a osservare che la comunicazione è la con-dizione prima della comunità. Le società umane sonoinsiemi di «sottosistemi, tutti strutturati e organizza-ti». Ciò che le mantiene in vita è la comunicazione,cessando la quale gli insiemi collassano e vanno indegrado (come l’organismo biologico quando si inter-rompe la circolazione del sangue): esse vivono insom-ma in quanto comunicano, al loro interno e l’una conl’altra. Claude Lévi-Strauss sostiene decisamente che ilcomunicare non è solo una parte del vivere sociale, néi messaggi o i testi sono solo un prodotto, ma il co-municare è una condizione della vita sociale.La connessione tra i due concetti è stata avvertitamolto per tempo, come risulta dalla storia dei rispettivitermini: «comunicare» e «comunità» rinviano ad unostesso etimo (il latino communis / ne) e fanno parte diuna medesima area semantica. Ma la connessione puòesser fatta risalire indietro nel tempo, cogliendo sensipiù ben profondi: «la radice del termine ‘comunica-

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zione’ risale ai verbi greci koinòo (‘rendo comune’,‘unisco’, ‘notifico’ e anche – curiosamente, ma non tan-to – ‘prostituisco’) e koinonéo (‘partecipo’, ‘sono im-plicato’, ‘sono d’accordo’), entrambi chiaramente im-plicati all’idea della koiné, della comunità. La stessa ci-fra connotativa ritroviamo nel latino communico (‘met-to in comune’, ‘con-divido’, ‘rendo’ o ‘sono partecipedi qualcosa’ oppure, infine, ‘avere rapporti con qual-cuno’). Le azioni comprese in questa cornice termino-logica instaurano un complesso di connessioni signifi-cative basato sul semplice presupposto per cui ‘mette-re al corrente’ qualcuno di qualcosa vuol dire anche, incerta misura, coinvolgerlo; per arrivare in alcuni casi al-l’instaurazione di un impegnativo vincolo comunitario»(Morcellini Fatelli 1994, 21-22).Il legame si manifesta sia nel promuovere la società (inquanto condizione) e tenerla in vita sia nel consentir-ne il mutamento.Cominciamo col vedere le condizioni del costituirsi edella permanenza della società. Per molti decenni si èpensato ad essa come a un’entità stabile nel trascorre-re del tempo, articolata orizzontalmente e vertical-mente sia per ragioni legate al sesso e all’età, sia per ra-gioni sociali e culturali. La sociologia d’ispirazioneorganicista (Emile Durkheim) e struttural-funzionalista(Talcott Parsons) vedeva nella società una realtà datauna volta per tutte, funzionante come un organismobiologico o come un sistema in cui le singole parti(sottosistemi) collaboravano ad assicurare la vita al-l’intero. I soli cambiamenti registrabili si collocavano,in termini essenzialmente meccanicistici, nella dinamicadella popolazione (crescita o diminuzione, variazionedei tassi della popolazione attiva, distribuzione neidiversi settori lavorativi). Nella prospettiva delineata,

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però, c’era la società ma non c’erano gli attori socialisingolarmente presi, né c’era posto per soggetti che nonfossero integrati o non facessero già parte del sistemasociale (Giacomarra 1997, 30).L’ottica è venuta cambiando grazie ad una serie di mu-tamenti intercorsi nei paradigmi scientifici delle scien-ze sociali, via via che incorporavano le scienze antro-pologiche, linguistiche e semiotiche. In questa direzionesi è rivelato fondamentale il contributo dell’antropo-logia culturale francese, non disgiunto però dall’o-rientamento che, partendo da Max Weber (per il qua-le l’attore sociale crea relazioni sociali in funzione diobiettivi determinati), giunge alle più recenti riflessionidella microsociologia statunitense. Nell’interazioni-smo simbolico di George H. Mead, come nel relazio-nismo di Erving Goffman, l’assunto centrale è che ciòche chiamiamo società si costituisce attraverso praticheattivate dai singoli soggetti; perciò non è ipostatizzabileuna società in astratto, ma occorre partire dall’intera-zione sociale fra singoli, gruppi, strati sociali, perché sicostituisca quello che Marcel Mauss chiamava il «fat-to sociale totale». Qui compare il ruolo costitutivo delcomunicare, nel senso di «avere qualcosa in comune dacondividere», condizione prima a che una società co-minci a esistere: la comunicazione stabilisce o rafforzail contatto fra i membri di una comunità, ne assicural’esistenza grazie al continuo scambio di messaggi, e do-ve essa viene meno o non opera più, la comunità si sfal-da (ivi, 34).Accanto alla permanenza, la comunicazione assicura erende possibile anche il cambiamento, o per lo menoaccompagna il mutamento delle comunità. Ogni pro-duzione e scambio di segni genera stadi successivi dicambiamento: nulla rimane come prima dopo che è

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giunto a termine un atto di comunicazione. Il piùnoto modello di comunicazione, anche se RomanJakobson (1985, 185) era lungi dal proporselo, lasciaintravedere come essa promuova il mutamento all’in-terno di società costituite ma sulla base di fattori dipermanenza.

Codiceq

Mittente ———-> Messaggio ———-> Destinatarioq

Canaleq

Contesto

Se «comunicare», sia pure nel senso riduttivo più vol-te richiamato, significa trasmettere un messaggio da chiparla a chi ascolta, ne consegue che ogni atto linguisticomuta la situazione preesistente, quantomeno perché uncerto sapere cambia «domicilio», passando da un mit-tente a un destinatario, dal singolo alla collettività, e ge-nera, se è il caso, comportamenti conseguenti. D’altrocanto, nessun atto comunicativo può andare a buon fi-ne se non gli preesistono il canale (l’aria, la luce, l’e-tere...), su cui ogni messaggio scorre e in funzionedel quale viene formulato; il contesto, la situazionecioè in cui si svolge ogni singola comunicazione, e so-prattutto il codice. Il modello jakobsoniano contienefattori di mutamento e fattori di permanenza: ogni at-to comunicativo fa riferimento a fattori che gli pree-sistono per operare i mutamenti che esso promuove peril solo fatto di essere prodotto. Può risultare utilesoffermarci in dettaglio sui sei fattori che compongonoil modello jakobsoniano, modello semantico e non pu-

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ramente sintattico, a differenza di quello matematicocui si ispira. Ciò che interessa non è solo che il segna-le, emesso dalla fonte, raggiunga il ricevente senzache alcun rumore lo disturbi lungo il canale, ma che ilmessaggio trasmesso dal mittente sia percepito e com-preso dal destinatario, entrambi soggetti umani e nonsemplici macchine. In tale situazione il mittente è l’at-tore sociale che, elaborato un concetto o un’idea, av-vertito un sentimento o uno stato d’animo, sia in gra-do di «rivestirli linguisticamente» e quindi di tra-smetterli a un attore che chiamiamo destinatario per ilruolo che riveste. Quest’ultimo, non solo è in condi-zione di percepire il messaggio ma è anche in grado diliberarlo dalla forma sonora di cui è rivestito e dicomprendere perciò il senso di cui è portatore. Il messaggio assomma su di sé una dimensione signifi-cante (la forma o l’espressione, come si legge nei ma-nuali) e una significata. Significante e significato sono idue versi di una stessa medaglia (che Ferdinand deSaussure chiama segno), legati fra loro non da un rap-porto naturale, basato cioè sull’essenza stessa del-l’oggetto, ma da uno convenzionale, basato cioè sul-l’accordo dei parlanti: questi decidono di chiamare inun modo qualcosa non perché ci sia un obbligo dettatodall’oggetto ma perché c’è un accordo, che può dura-re nel tempo ma che può anche cambiare da un annoall’altro. Esso rientra nell’enunciato formulato e tra-sferito da un soggetto all’altro dello scambio comuni-cativo. Qui emerge il ruolo del contesto, la situazionein cui si svolge la comunicazione: esso comprendesia lo spazio fisico in cui si comunica (un’aula, unastanza, una piazza, ecc.), sia la condizione sociocul-turale dei partecipanti. Il ruolo del codice si connette a quanto abbiamo det-

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to a proposito del rapporto non naturale ma con-venzionale fra significante e significato: il complessodi regole adottato dalla comunità dei parlanti, perchéi mittenti producano e «codifichino» frasi ben fatte,e perché i destinatari siano in grado di comprenderee «decodificare» queste ultime. Esso è tacitamente ac-cettato dai parlanti e mette in correlazione significantie significati. Regole, norme da condividere se si vuolcomunicare ed essere intesi: non si può cambiare il co-dice di propria volontà se ci si vuol capire fra parlanti,e in tal senso non esistono né una libertà né unacreatività linguistica assolute. Si può cambiare purchéci sia condivisione e accordo. Rimane per ultimo il ca-nale, il mezzo attraverso cui il messaggio si sposta dalmittente al destinatario. Può essere l’aria o la luce (ri-spettivamente per la comunicazione verbale e perquella dei gesti), ma può anche essere il filo del te-lefono, l’etere per la tv o il satellite, l’ISDN per In-ternet veloce. Rimane da fare una precisazione: dal modello jakob-soniano scaturisce l’idea che la comunicazione sia unprocesso lineare, a senso unico dal punto di partenza aquello di arrivo. Ma, a parte il fatto che gli ultimi trefattori (codice, canale, contesto) si pongono su una di-mensione di permanenza (come dianzi segnalato), è danotare che ad ogni trasmissione di messaggio operatadal mittente si accompagna (in tempo reale o postici-pato, come avviene nel caso dell’auditel televisivo o deltasso di diffusione dei giornali e, oggi, dei frequentatoridei siti web) una retroazione dei destinatari sul mit-tente: si tratta del feedback, la risposta che gli astantidanno al parlante, manifestando accordo o sollevandoobiezioni di sorta, con ricorso costante ai gesti, alla po-stura o alla mimica.

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Le funzioni in una prospettiva di comunicazione sociale

Non c’è comunicazione che non si proponga uno sco-po da raggiungere. Anche quando sentiamo dire: «Stia-mo parlando così, tanto per parlare» c’è pur sempre unobiettivo che si intende raggiungere: in questo caso, adesempio, quello di far scorrere il tempo annoiandosi ilmeno possibile. È un fatto ben noto, fra psicologi so-prattutto, che alla comunicazione vengono attribuitefunzioni di sfogo dell’ansia, di condivisione di saperi,ecc.: Karl Bühler negli anni Quaranta arrivò a indivi-duare decine di funzioni diverse e, sullo stesso argo-mento, sono intervenuti diversi studiosi, di varia ori-gine e provenienza (Giacomarra 2000, 144). Lo sche-ma delle funzioni che ha avuto più ampia diffusione,condiviso anche nelle scienze sociali fino al punto dipotersi definire «ufficiale», è stato però proposto daRoman Jakobson. Partendo dai sei fattori sui quali cisiamo già soffermati, egli vi fa corrispondere sei fun-zioni, in dipendenza di quale dei sei fattori vienemaggiormente investito dall’interesse del parlante.

(codice)Funzione metalinguistica

(mittente) (messaggio) (destinatario)Funzione espressiva Funzione poetica Funzione conativa

(canale)Funzione fàtica

(contesto)Funzione referenziale

Lo schema jakobsoniano viene ripreso qualche anno do-po, diretto a produrre un’analisi degli eventi comuni-

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cativi in seno all’etnografia della comunicazione. Le in-tenzioni (consapevoli o no) e le funzioni (che siano ri-cercate, avvertite o no) di quegli eventi vengono trattatein riferimento «ai modi con cui i partecipanti si im-pegnano nella comunicazione e alle norme secondocui giudicano gli atti comunicativi». Vengono ripresi inpratica i fattori jakobsoniani e individuate diversefunzioni a seconda che l’atto comunicativo sia piùorientato sull’uno o sull’altro fattore (ivi, 148).La funzione espressiva si incentra sul mittente, tesa amanifestarne sentimenti, stati d’animo, atteggiamenti,ecc. L’orientamento sul mittente può implicare le se-guenti funzioni: «identificazione della fonte, espres-sione dell’atteggiamento nei confronti di una o un’al-tra componente o verso l’intero evento, escogitazione(pensare a voce alta...), ecc. Tali funzioni possono es-sere volute, attribuite, consapevoli, inconsapevoli».La funzione conativa fa perno sul destinatario e ri-guarda in particolare gli effetti che il parlante intendeprodurre su di lui. L’orientamento sul destinatario com-porta, tra gli altri, «l’identificazione della destinazione,i modi in cui il messaggio e l’evento possono esserestrutturati dall’anticipazione dell’atteggiamento deldestinatario. La persuasione, l’appello, la retorica e l’i-struzione rientrano in questa funzione, comprendendoanche il modo in cui le caratteristiche del destinatariogovernano gli altri aspetti dell’evento. Gli effetti sui ri-ceventi possono naturalmente essere voluti, attribuiti,consapevoli, inconsapevoli, raggiunti o frustrati».Poetica (o estetica) è la funzione relativa al messaggiopreso in se stesso; riguarda le modalità di organizza-zione interna degli enunciati e questo porta a ricono-scere un certo margine d’autonomia all’agire comuni-cativo del parlante, esprimendo ad esempio quella che

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chiamiamo «creatività» (a fronte della presunta «rigi-dità» del codice). L’orientamento sulla forma del mes-saggio concerne «funzioni del tipo... della mimica, di al-cuni aspetti dell’emendazione e della revisione di testie di interessi poetici e stilistici».La funzione metalinguistica riguarda il codice impiegato:ogni messaggio infatti è come se manifestasse o «ri-velasse» il codice nel quale viene formulato. L’orien-tamento sui codici attiva le «funzioni coinvolte nel-l’apprendimento, nell’analisi, nella progettazione dei si-stemi di scrittura, nel controllo dell’identità di unelemento dell’uso del codice nella conversazione, ecc.».La funzione fàtica è relativa al contatto che si istituisce framittente e destinatario attraverso il canale di comunica-zione. L’orientamento sui canali implica «funzioni che han-no a che fare con il mantenimento del contatto e il con-trollo del rumore, sia fisico sia psicologico».Referenziale è infine la funzione relativa al referente,ovvero alla realtà esterna, sia essa fisica che concet-tuale, quale può essere il pensiero comunicato. L’o-rientamento sui contesti riguarda «tutto ciò che è con-siderato contestuale indipendentemente dall’eventostesso, nel senso che ciascuna delle componenti può de-finire il contesto, non solo la sua collocazione nello spa-zio e nel tempo. Il contesto ha due aspetti, verbale enon verbale dal punto di vista del linguaggio, cinesicoe non cinesico dal punto di vista del movimento delcorpo; in generale, per ciascun codice o modalità, uncontesto è costituito per un messaggio anche dagli al-tri messaggi all’interno dello stesso codice o moda-lità, in quanto distinti dal contesto costituito daglialtri elementi dell’evento» (ivi, 148-49).Quest’ultima è la funzione considerata per lungo tem-po essenziale e assunta a base del modello. La sua

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portata si riduce di parecchio (fino al 25% del totale de-gli atti comunicativi), però, se il riferimento va oltre ilsemplice codice verbale comprendendo tutti i codici(paralinguistici, non verbali...) che intervengono nellacomunicazione interpersonale.

Gli effetti delle comunicazioni di massa

Accanto alle funzioni, riferite in primo luogo a forme dicomunicazione interpersonale e successivamente ripresenella riflessione sui mass media, si collocano gli effetti,prodotti essenzialmente da questi ultimi, pur essendopresenti anche nella comunicazione interpersonale. Si so-no individuati tre generi di effetti detti «a breve ter-mine» in quanto prodotti dalla pubblicità e dalla pro-paganda, incentrati sui comportamenti e facilmente so-stituibili tra di loro, e diversi effetti «a lungo termine»,prodotti dall’informazione, dalla fiction, ecc. e incentratisulla conoscenza, cumulabile e non sostituibile. Tra i primi quello su cui si è più incentrata l’attenzio-ne è la manipolazione, una sorta di «lavaggio del cer-vello» che finisce col sostituire giudizi, opinioni (equant’altro una persona elabora nel corso del tempo)con altri spesso molto diversi e indotti dalla propagandae dalla pubblicità. Comunicare per manipolare ha co-stituito il tema di una vasta letteratura che parte daiprimi del Novecento e giunge fino agli anni Novanta,attraverso un percorso solo apparentemente lineare. Iltimore di una possibile «manipolazione delle coscien-ze» cominciò a porsi negli anni Venti quando, con l’a-vanzare dei regimi totalitari in Europa e con il defi-nitivo imporsi del sistema industriale in USA, diversecomunità di lettori e/o spettatori si ritrovarono esposte

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a massicce ondate di campagne propagandistiche, con-dotte da comunicatori di professione sui mass media al-lora nascenti. L’allarme suscitato nei più sensibili pen-satori del tempo fu grande perché si riteneva che quelgenere di comunicazione, finalizzata a obiettivi politicio commerciali, potesse sortire effetti «manipolatori» sudestinatari inermi e non avvertiti. Il «comunicare per manipolare» ha costituito da allorauna sorta di sentenza fatta propria da tutto un orien-tamento di «apocalittici», che paventavano anche l’o-mologazione delle culture, ed è diventata patrimoniocollettivo di tutta una generazione di studiosi: è il casodella riflessione condotta da Max Horkheimer, TheodorW. Adorno ed Herbert Marcuse. Il riferimento dei pen-satori della Scuola di Francoforte va in primo luogo al-l’industria culturale e agli effetti da essa prodotti adiversi livelli di consapevolezza: «Il messaggio na-scosto – nota Adorno in un saggio sulla tv e i modelliculturali – infatti può essere più importante di quelloevidente, poiché questo messaggio nascosto sfuggirà aicontrolli della coscienza, non sarà evitato dalle resi-stenze psicologiche nei consumatori, ma probabilmentepenetrerà il cervello degli spettatori». Si delinea in po-che parole quella che veniva definita la strategia dimanipolazione operata dai «persuasori occulti» dell’in-dustria culturale, intesa come mezzo di dominio eser-citato attraverso messaggi latenti: «Essi fingono di direuna cosa e invece ne dicono un’altra... Lo spettatore, at-traverso il materiale che osserva, è continuamente mes-so, a sua insaputa, nella condizione di assorbire ordini,prescrizioni, proscrizioni» (Wolf 1985, 90).Anche se oggi risulta molto più ristretto, o tale almenosi rivela nelle indagini empiriche, l’effetto di manipo-lazione tende a verificarsi quando, a fronte della forza

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dell’emittente, c’è da parte del destinatario una so-stanziale debolezza, dovuta a carenza di coscienza cri-tica (è il caso dei soggetti infantili) o di relazioni sociali(è il caso degli anziani, quando vivono nell’isolamentodella vita quotidiana). La posizione del destinatario ri-sulta essere allora sostanzialmente asimmetrica, su-bordinata, passiva, rispetto a quella dell’emittente e ilprimo finisce con l’essere docile strumento, sottomes-so ai messaggi emessi dal secondo. In condizioni di vita sociale attiva, quando si fa partedi gruppi con cui si interagisce quotidianamente, quan-do si è maturi, scolarizzati e dotati di coscienza critica,ovvero nell’età compresa approssimativamente fra iventi e i settant’anni circa, è raro che si verifichino ef-fetti di manipolazione. Qui è più frequente che si ve-rifichino effetti di persuasione su destinatari attivi,pronti a valutare l’efficacia di un messaggio, a verificarese risponde a esigenze e bisogni di sorta e ad attivaredunque azioni selettive (esposizione, percezione e me-morizzazione selettiva) nei confronti dei messaggi stes-si. È come se si attivasse una sorta di negoziazione traemittente e destinatari che si pongono dunque in unaposizione tendenzialmente simmetrica, valutando la cre-dibilità della fonte, da una parte, e la reale presenza dibisogni da soddisfare, dall’altra. Il soggetto socialenon appare in questo caso un automa destinato a in-goiare ogni messaggio e comportarsi di conseguenza,ma un individuo capace di autovalutarsi e di compor-tarsi di conseguenza.Un terzo genere di effetti, ancora prodotti dai mass me-dia, sono gli effetti limitati, di basso profilo, che si ve-rificano quando gli attori sociali sono inseriti in gruppicoesi, con cui interagiscono profondamente e che nonoperano prescindendo dai loro giudizi. Si tratta di ef-

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fetti di semplice influenza, in quanto è stato verificatoda diverse indagini empiriche che, in qualsiasi «opera diconversione», per il 90% è la comunità ad agire sul sog-getto e solo per il 10% sono i messaggi emessi dai me-dia. L’esposizione ai media si rivela in ogni caso pocoefficace perché il messaggio si trova a confrontarsi conl’azione svolta dal leader d’opinione del gruppo di ri-ferimento, il quale di solito ne riduce la forza di verità.È chiaro, in questo caso, che più si interagisce, si vivein comunità, ci si confronta con i giudizi altrui, più si èin condizioni di filtrare l’efficacia dei messaggi.Tra i tanti effetti a lungo termine richiamiamo soloquello che va sotto il nome di effetto agenda. È prodottodall’informazione e fa riferimento al fatto che l’ordinedel giorno dei media, per chi non ha accesso direttoagli eventi (ed è il caso di tutti noi in una società daimass media pervasivi), diventa il nostro ordine delgiorno: acquistano rilievo e importanza gli eventi checompaiono nei tg, per il solo fatto che ne parla la tv.Mentre una risposta ai primi tre effetti, come abbiamovisto, può provenire da sempre migliori condizionisociali e culturali, per quest’ultimo effetto è difficile in-dividuare risposte possibili, almeno nelle attuali con-dizioni politiche, tecnologiche ed economiche: a menodi non immaginare blog, forum, chat o quant’altro inew media stanno mettendo a nostra disposizione. È il caso di dire, in questo caso più che in altri, chemanipolare sia la condizione del comunicare? Le ricerche condotte da antropologi e linguisti, i recenticontributi di ascendenza semiotico-strutturale intornoal ruolo svolto dalla lingua nel definire i tratti di unacultura, per non dire delle riflessioni dei sociologi sul-la costruzione di realtà, hanno fatto comprendere co-me la questione della possibile manipolazione si ri-

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presenti ad un livello ben più profondo. I codici uti-lizzati per comunicare sono già, infatti, l’esito di ma-nipolazioni, che gli utenti ne abbiano consapevolezzao meno. Non si tratta allora, o non si tratta solo, di co-municare per manipolare, ma prima ancora di mani-polare per comunicare, essendo quello la condizione diquesto. Non è possibile comunicare se ciò che si vuoldire non è stato prima formato o formulato in qualchemodo: manipolare, dunque, nel senso di «formare» o«plasmare», ricorrendo alle lingue storico-naturali o ailinguaggi iconici, sonori, multimediali, ecc., come si dàforma all’argilla per conferirle forma e significato.Nella stessa direzione è possibile rileggere la funzionedei mass media, che di questo genere di manipolazionenon possono fare a meno: sappiamo come i mezzi di co-municazione di massa, lungi dal riferire, operino veree proprie «costruzioni di realtà». Brandelli di realtàquotidiana vengono ripresi, decontestualizzati e smon-tati, per essere poi rimontati e ricontestualizzati nelprodotto finito.

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Il prodotto turistico come costruzione sociale

Si è soliti parlare di «ciclo di vita del prodotto turistico»per una serie di motivi che proveremo ora a richiamare.Innanzitutto perché «prodotto turistico»? Perché, aguardar bene, per fare turismo non basta disporre di unalocalità turistica (sia essa una città d’arte, un lungo-mare in uno splendido golfo, una campagna sempreverde, ecc.): ambiente e arte non valgono nulla se nonsono adeguatamente valorizzati, inseriti in itinerari chene arricchiscano il senso, fatti oggetto di mete raggiun-gibili con trasporti adeguati e aventi a disposizionestrutture ricettive di buon livello. Il prodotto turistico èl’insieme di una serie di componenti, e non basta cheuna località sia in riva al mare perché sia «turistica». Facendo riferimento, per esempio, alla dimensioneambientale, il prodotto turistico non è un fatto esi-stente in natura, che si tratta solo di fruire (o sfrutta-re, come si diceva in passato) per la sua bellezza na-turale. «Non sempre appare necessario accostare lo stu-dio di un fatto dinamico, come il turismo, a un con-cetto molto statico, come quello delle risorse. Ma èchiaro che non ci può essere turismo senza la disponi-bilità di risorse ambientali. Turismo e risorse ambientalisono legati da un rapporto di interazione, o meglio da

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4Il posizionamento del prodotto turistico

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tanti rapporti d’interazione che possono configurarsicome un vero e proprio sistema, all’interno di un altrogrande sistema, l’ecosistema mondiale. Sono risorseeffettive se sono già in condizioni di essere sfruttate perfini turistici o ricreativi; sono potenziali se non sono sta-te compiute ancora le opere umane in grado di renderleutilizzabili, anche se ne sono state valutate le poten-zialità turistiche. Gli studiosi hanno analizzato preva-lentemente le attività turistiche considerando la ri-sorsa o le risorse come un dato immutabile senza alcunlimite di sfruttamento. È da considerare, invece, che lerisorse generano comportamenti turistici o ricreativi alpunto che qualsiasi forma di esistenza o attività uma-na può essere direttamente o meno considerata po-tenzialmente risorsa turistica. Ciò non esclude inoltreche ciascuna di esse possa essere modificata o dan-neggiata sia dal turismo che da altre attività umane»(Spinelli 1990, 153-54).Il prodotto turistico si può allora considerare una verae propria «costruzione sociale» in cui intervengono, suuna possibile base di partenza (possibile, si badi, nonnecessaria) quale può essere l’ambiente, ma anche l’ar-te o la cultura, diversi altri fattori che attivano azioniadeguate per valorizzare la base (se c’è) e innescano fe-nomeni di richiamo di un flusso di turisti, per i qualisono state definite le componenti del prodotto ed è sta-ta costruita un’immagine dello stesso. Tutta la costasettentrionale della Sicilia è un susseguirsi di splendi-de località, ma solo tre centri possono finora fregiarsidel marchio «turistico»: Capo d’Orlando, San Vito LoCapo e soprattutto Cefalù. Quest’ultima, piccolo pae-se di contadini e pescatori fino all’immediato dopo-guerra, non è divenuta località turistica per quanto dibello in natura possedeva negli anni Cinquanta, ma per-

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ché un imprenditore francese nel 1954 vi insediò unvillaggio (il Village magique, poi rientrato nella rete deiClubs Méditerranée) e cominciò a farvi affluire turistifrancesi giovani, amanti della vita primitiva in capan-ne di paglia (i bungalow) e della natura seguendo iti-nerari appena tracciati.

Che cosa dobbiamo intendere per «costruzione socialedella realtà»? Nell’idea sottesa all’espressione, diffusain sociologia della conoscenza, convergono in gran par-te le linee di pensiero elaborate da Peter Berger eThomas Luckmann, per i quali la realtà nella qualegli uomini interagiscono ogni giorno è una realtà co-struita socialmente: essa si viene delineando attraversoprocessi di «istituzionalizzazione» e «concrezione» (o«riduzioni», per riprendere le loro parole) di significa-ti in cui il linguaggio svolge un ruolo centrale. Ciòche crediamo di percepire come reale non ha alcunaconsistenza oggettiva, ma varia da una società all’altra,essendo prodotto, trasmesso e conservato attraverso pro-cessi sociali e culturali variabili da una comunità all’al-tra, da un ambiente all’altro. Anche la realtà del pro-dotto turistico non può essere perciò che una costru-zione sociale, oggetto di codificazioni, mediazioni, tra-smissioni che finiscono col dare consistenza simbolica aqualcosa che, in linea di principio, può non averne.In questa prospettiva i due sociologi indicano le mo-dalità attraverso cui la realtà viene costruita comefatto sociale: la legittimazione e l’istituzionalizzazione.Esse sono precedute da ciò che costituisce la basedell’agire sociale, ovvero la ripetizione di atti, di gestie di comportamenti che, al loro primo apparire, si so-no mostrati adeguati a risolvere i bisogni per i quali siera fatto loro ricorso. «Tutta l’attività umana è sog-

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getta alla consuetudinarietà: ogni azione che vengaripetuta frequentemente viene cristallizzata secondouno schema fisso, che può quindi essere riprodotto conuna economia di sforzo e che, ipso facto, viene perce-pito dal suo autore come quel dato schema... L’abi-tualizzazione provvede alla specializzazione e alla di-rezione delle attività che mancano nel bagaglio biolo-gico dell’uomo, alleviando così l’accumulazione di ten-sioni risultante dagli impulsi non guidati... Questiprocessi di consuetudinarietà precedono ogni istitu-zionalizzazione... Dal punto di vista empirico, la par-te più importante dell’abitualizzazione dell’attivitàumana coincide con l’istituzionalizzazione di que-st’ultima» (Berger Luckmannn 1989, 82-3). Essa «haluogo dovunque vi sia una tipizzazione reciproca diazioni consuetudinarie da parte di gruppi di esecutori».L’ultima fase del processo consiste nella interiorizza-zione: il mondo sociale oggettivato viene reintrodottonella coscienza tramite la socializzazione.Riepilogando, le fasi in cui si articola il processo di co-struzione di realtà sono otto e comprendono la con-suetudinarietà, l’abitualizzazione, la legittimazione(costituita da oggettivazioni linguistiche, «sapienzapopolare», norme sociali, universi simbolici), la sedi-mentazione, la tradizione, l’istituzionalizzazione (qui sicolloca la vera e propria costruzione di realtà), l’inte-riorizzazione, la socializzazione (ivi, 64).

Le componenti del prodotto turistico e le fasi del ciclodi vita

Il prodotto turistico è costituito da un insieme di compo-nenti: attrattive, trasporti, alloggi e divertimenti. Ognuna

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delle componenti richiamate è gestita e viene offerta alturista da distinti fornitori di servizi e può essere ac-quistata dagli stessi turisti o singolarmente o in un nu-mero variabile di combinazioni. Il «prodotto turistico»può quindi essere considerato un package, ossia unprodotto complessivo (si è soliti parlare di «pacchettituristici»).I fattori principali che definiscono un prodotto turisticosono:– le attrattive, cioè quelle che orientano la scelta del tu-rista per un particolare genere di prodotto. Le attrat-tive possono essere naturali, storico-culturali, am-bientali, artistiche; – le strutture, costituite principalmente da alberghi e al-loggi extralberghieri, campeggi, villaggi, nonché daristoranti, bar, impianti sportivi, discoteche, ecc. La lo-ro presenza incide molto, quando non è decisiva, sul-lo sviluppo dell’attività turistica;– l’accessibilità può essere considerata da diversi pun-ti di vista: in senso geografico può significare vici-nanza di una località ai bacini d’utenza, ma ancheraggiungibilità della destinazione turistica grazie alla di-sponibilità di strade, ferrovie, aeroporti; in senso eco-nomico, essa fa riferimento al costo del viaggio che in-clude o esclude determinate fasce sociali se non è allaloro portata; c’è infine da considerare un senso psico-logico, per cui destinazioni anche lontane sono perce-pite come familiari e vicine, al contrario di altre, vici-ne geograficamente ma avvertite come lontane cultu-ralmente.In conclusione, ma ampliandone il senso, il prodotto tu-ristico appare «un mix di fattori tangibili, assemblag-gio di componenti materiali quali strutture ricettive, pi-scine e campeggi, e di componenti immateriali quali i

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rapporti interpersonali, le tradizioni, la cultura, il ri-poso. Ultimamente sono stati i fattori immateriali adesaltare la peculiarità del prodotto: l’immagine di unalocalità, la collocazione psicologica, il senso di appar-tenenza. Ma le due componenti rimangono fonda-mentali per il prodotto turistico, anche se una sembraprevalere sull’altra» (Cogno Dall’Ara 1989, 177).

Perché parliamo di «ciclo di vita»? Perché, essendoquello turistico un prodotto umano e sociale, frutto diuna serie di azioni economiche e politiche a un tempo,segue un suo percorso dalla nascita alla morte esatta-mente come qualsiasi altro fatto umano. Il ciclo di vi-ta di un prodotto turistico è articolabile in almeno cin-que stadi: nascita, sviluppo, maturità, saturazione,declino.– Nascita. La località scopre di avere una vocazione tu-ristica, anche se il più delle volte sono gli estranei a sco-prirla: si pensi al caso già richiamato di Cefalù. Sivedono arrivare i primi turisti, i pionieri, disponibili adadattarsi alle consuetudini locali. La popolazione delposto, dopo una fase di probabile disorientamento, co-mincia a prendere atto della disponibilità di nuovefonti di reddito connesse ai nuovi arrivi.– Sviluppo. Ai turisti pionieri si aggiungono via via nuo-ve figure, gli innovatori, e in certe condizioni la stam-pa comincia a «rendere visibile» la nuova località conappositi articoli, servizi o redazionali. La popolazione,e gli operatori del settore in particolare, si impegnanovieppiù nella programmazione e attivazione di inter-venti in aree prescelte e creano sempre nuove condi-zioni per accelerare il decollo della località.– Maturità. La crescita della località, con tutto quan-to la caratterizza come prodotto turistico complesso,

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è un dato acquisito: si va definendo sempre meglio ilmodello di offerta e si vanno strutturando le varie for-me di ospitalità. Non si può dire che essa sia ancoraun luogo alla moda, ma l’impatto del turismo sull’e-conomia, sui valori e sulla cultura locale si fa semprepiù forte. Gli operatori economici del settore, attra-verso il consolidato, sono in grado di imporre model-li di sviluppo a loro congeniali, orientando in tal sen-so l’opinione pubblica.– Saturazione. La località diviene un fenomeno di mo-da e il crescente afflusso di turisti offre ad ogni sta-gione nuove conferme. Ma il confine tra maturità e sa-turazione viene presto superato e comincia a crescerel’area degli scontenti che lentamente fanno massa cri-tica. Il traffico cresce, le strade e le spiagge si intasano,i servizi si rivelano insufficienti, l’ambiente si deturpa.Cittadini conservatori e ecologisti auspicano un ritor-no al passato, il che non si rivela praticabile. – Declino. Crescono, anzi si ingigantiscono, i problemida risolvere, mentre si continua ad andare alla ricercadi sempre nuove strade per portare nuovi turisti. Più omeno lentamente, ma con sempre maggior forza, siprende coscienza dell’esigenza di riadeguare l’offerta esi comincia a procedere in quel senso. Risultando ormailogora l’immagine della località, la prima operazione dacompiere consiste nel mettere in moto un adeguatomarketing mix.«La fase dello sviluppo aveva portato il prodotto adiffondersi in tutto il mercato potenziale, facendolo en-trare nella maturità e poi nella saturazione. Tutti glisforzi del marketing sono diretti a prolungare il piùpossibile la fase di maturità. Vari sono gli interventi pra-ticabili in tale direzione: dalla diversificazione da uno apiù prodotti alla individuazione di nuovi mercati, dal ri-

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lancio del prodotto stesso (migliorandone forma e qua-lità) alla proposta di nuovi usi del prodotto» (ivi, 192).

Non sempre è facile individuare gli interventi per al-lungare nel tempo la fase della maturità e rinviare neltempo quella del declino. Generalmente il ricorso allacomunicazione si rivela, se non vincente, certo soste-nibile: il ciclo di vita può sostenersi infatti su campagnedi pubblicità e azioni di promozione. La decisione di-pende dalle esigenze specifiche e dagli sviluppi asse-gnabili allo stadio successivo. A prescindere però daquale indirizzo si vuole seguire, è innegabile il ruolo chepuò svolgere la comunicazione anche in quella chepossiamo chiamare una «ricostruzione di realtà». Civengono incontro in tal senso le riflessioni di Berger eLuckmann sul ruolo della lingua.Il linguaggio svolge un ruolo prima «legittimante» e poi«istituzionalizzante» di chiara evidenza, vero e propriostrumento principe di «costruzione di realtà». Le co-struzioni di realtà sono esiti di mediazioni simbolichein cui opera fattivamente la lingua naturale perchéquelle mediazioni siano prima elaborate e costruite epoi apprese, condivise e partecipate da tutti i membridi una comunità. La lingua opera mediazioni simboli-che ma è mediazione segnica essa stessa: è una gene-ratrice di effetti di realtà ben più potente di altristrumenti di mediazione simbolica e culturale. Questiultimi sono infatti formati linguisticamente (ovvero lalingua ne è la condizione d’esistenza), e dunque nonpossono evitare di riprodurre effetti di realtà già pre-senti nella lingua stessa. «Il linguaggio – scrivono Ber-ger e Luckmann – costruisce ora immensi edifici di rap-presentazioni simboliche che sembrano torreggiaresulla realtà della vita quotidiana come presenze gi-

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gantesche appartenenti a un altro mondo... Il lin-guaggio è capace non solo di costruire simboli che so-no altamente astratti dall’esperienza quotidiana, ma an-che di ‘riportare indietro’ questi simboli e di presentarlicome elementi oggettivamente reali... il linguaggio co-struisce campi semantici o zone di significato che sonolinguisticamente circoscritte» (1989, 65). Qui si fa chiaro riferimento, naturalmente, alla pro-spettiva antropologica di stampo determinista diEdward Sapir e Benjamin Lee Whorf e a quella lin-guistica di Ferdinand de Saussure e Luis Hjelmslev(Buttitta 1979). Sulla loro scia, non sappiamo quantoconsapevolmente, i sociologi della conoscenza mettonoin rilievo il ruolo svolto dalla lingua nella costruzionedi realtà sociali. In una società come la nostra, in cui lamediazione della comunicazione è ineliminabile per mil-le motivi su cui sarebbe lungo insistere, quello che nelpiccolo era affidato alla lingua, ora su larga scala vienesvolto dal grande universo della comunicazione, i massmedia e la rete dei new media. Una mediazione del ge-nere appare una condizione indispensabile al comuni-care, ma anche e soprattutto all’esistere. Cosa c’è og-gi di più potente e rilevante nel ruolo di «costruttori direaltà»?

Tornando al ciclo di vita del prodotto turistico, la co-municazione (linguistica non meno che mediatica) può,e finisce con lo svolgervi, un ruolo non semplicemente disostegno ma più profondamente strategico: e tale si ri-vela soprattutto se consideriamo che il consumo turisticorientra fra quelli volti a soddisfare non bisogni di so-pravvivenza ma esigenze d’ordine sovrastrutturale.Tra le cinque fasi, messa provvisoriamente da parte laprima, è già nella seconda (sviluppo) che si rivela im-

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portante la comunicazione, allorché un prodotto turi-stico già costruito e completato deve essere fatto co-noscere, attivando adeguate azioni di promozione.Ma essa si rivela essenziale nella fase che si colloca frala quarta e la quinta: la saturazione e il declino. L’esi-genza di rispondere alla criticità della saturazione, pri-ma che si trasformi in declino e rischi dunque di sfo-ciare nella scomparsa del prodotto turistico stesso, inattesa di costruire nel tempo un prodotto del tutto nuo-vo, impone un ricorso strategico alla comunicazione,coltivando una nuova immagine del prodotto e indi-rizzandolo, se necessario, verso nuovi pubblici.

Il posizionamento del prodotto turistico

Sia nella fase di sviluppo che in quella di risposta al de-clino, la questione preliminare riguarda a quale pub-blico si intenda dirigere una campagna promozionalesul prodotto che si intende confezionare. È superfluoinfatti rilevare come premessa a qualsiasi campagna nonè solo il cosa si offre, ma a chi lo si offre. Harold Las-swell aveva ben compreso questa esigenza quando in-troduceva nella Communication Research l’acronimodelle cinque W: who (chi trasmette), what (che generedi messaggio), to whom (a chi lo dirige), when (quandoe in che occasione), why (con quale scopo). Questo fagià da solo comprendere come il posizionamento delprodotto turistico non vada di seguito, ma proprioaccanto, alla segmentazione su cui ritorneremo. Il posizionamento (positioning) si può realizzare in di-rezione del prodotto oppure dei consumatori. Nel pri-mo caso si può considerare la realizzazione di un si-stema organizzato per penetrare nella mente del pub-

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blico, dentro la quale collocare l’immagine del pro-dotto. «In una società superaffollata di informazioninon si può comunicare solo con dei superlativi perqualificare un prodotto, ma si deve ricorrere ai com-parativi. È necessario cominciare riposizionando laconcorrenza: per mettere un nuovo prodotto in testa al-la gente bisogna togliergliene un altro. Il positioning èun metodo conflittuale e ogni advertising diventa uninvestimento a lungo termine sull’immagine della mar-ca» (Cogno Dall’Ara 1989, 216). In questa prima direzione interpretativa e operativa,una tra le applicazioni di maggior rilievo consiste nel-la scelta del nome del prodotto: essa si rivela valida inambito turistico-alberghiero, ad esempio, dove la dif-ferenza fra i prodotti è spesso marginale e ai nomi si fi-nisce con l’attribuire il compito di «aprire tracce nellamente dei clienti». Il posizionamento passa poi a in-centrarsi sulle qualità del prodotto, stando bene attentiche alla campagna di comunicazione corrisponda unreale stato di cose. Le tecniche di posizionamento re-lative a un albergo prevedono: a) un attento esame deipunti di forza e di debolezza dell’albergo; b) la valu-tazione e l’analisi del mercato; c) l’individuazione del-la posizione da ricoprire (efficienza, bellezza, corte-sia…); d) la definizione del target; e) la creazione delmessaggio. Il collegamento tra il quarto e il quinto pun-to risulta importante: «è essenziale infatti tarare ilmessaggio sul target di riferimento, e non sul generalmanager dell’hotel» (ivi, 217).Nell’ottica che stiamo seguendo si colloca quello che vasotto i nome di posizionamento per vantaggi, basatosulle caratteristiche particolari del prodotto in offertaturistica: prima della soglia oltre la quale sta l’ele-mento intangibile della vacanza, c’è infatti una parte

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composta di elementi concreti e materiali, anche sequesti non sembrano far cogliere la specificità deiprodotti.In un’azione di posizionamento da realizzare in dire-zione del consumatore, la decisione chiave è quella cheporta a individuare la nicchia da ricoprire, destinata aseguire caratteristiche culturali e psicologiche dei tar-gets. La scelta comporta tre azioni successive:a) Creare un’immagine. «Il consumatore non viene vistocome colui che acquista beni o servizi, ma che acquista so-prattutto aspettative. Tutta la comunicazione sarà per-tanto persuasiva, basata cioè sulle antiche norme aristo-teliche di ethos, pathos, logos. È necessario, in tal senso,essere competition oriented, inseguendo e anticipando i bi-sogni dei clienti che altri non hanno ancora soddisfatto. Intale direzione è importante cogliere i punti di debolezzadei concorrenti, riposizionandoli in basso» (ivi, 219).b) Individuare i benefit, ossia i vantaggi che derivanodalla scelta compiuta anche sulla base dell’immagine of-ferta.c) Posizionare i benefit, ossia valorizzare le specifichemotivazioni, conducendo azioni di marketing che nontradiscano le aspettative dei clienti. La definizione del prodotto-servizio si articola invecein: a) presentazione: si mettono in rilievo le componentiutilizzate per aumentare la tangibilità del prodottonella percezione del target; b) comunicazione: si evidenziano le componenti voltea influenzare le aspettative del target, persuadendolo al-l’acquisto.

È da osservare però che, tra i diversi modi di pratica-re il posizionamento, quello incentrato sulle qualità del

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prodotto, piuttosto che sulla concorrenza e sul marchio,si rivela di maggiore interesse e produttività nei settoripiù immediatamente connessi al turismo. Qualsiasi realtà, e quella turistica non fa eccezione, èsempre complessa, multiforme, ricca di sfaccettature edi aspetti che è difficile ricondurre a unità ai fini del-la fruizione o del consumo. Da qui l’esigenza di sele-zionare ed eleggere a oggetto privilegiato solo unodegli aspetti o delle componenti di una realtà com-plessa. Il posizionamento, lungo questa linea inter-pretativa, non è altro che la messa in rilievo di unaspetto su altri, e questo finisce col costruire un’im-magine del prodotto, parziale sì ma vendibile perchéappetibile da fasce determinate di popolazione. Inpratica, come una crema può essere collocata tra i co-smetici o tra i medicinali, così uno stesso prodotto tu-ristico può essere messo in rilievo per il suo mare e lasua spiaggia, i suoi locali di divertimento, i suoi luoghidi relax, decidendo così di rivolgersi alle famiglie, aigiovani o agli anziani. Il posizionamento del prodotto sul mercato si può in-tendere come «l’insieme di iniziative volte a definire lecaratteristiche del prodotto dell’impresa e ad impostareil marketing mix più adatto per attribuire una certa po-sizione al prodotto nella mente del consumatore» (Ko-tler 1984, 127). Il posizionamento del prodotto ha ache fare in pratica con il prodotto turistico stesso delquale si mettono in rilievo alcuni aspetti piuttostoche altri in funzione del genere di pubblico al quale cisi intende rivolgere: spiagge e arenili, oltre che prezzibassi, per un turismo familiare; divertimenti e sport perfasce giovanili; beni culturali per turisti «intelligenti»(come si usava chiamarli una volta). Un centro può benpossedere campi di calcio e di tennis, discoteche e

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paninerie, ma conviene posizionare il prodotto su unacaratteristica, trascurando le altre, nel caso si intendarichiamare un certo genere di pubblico a preferenza dialtri. In modo sintetico ma significativo.È in funzione delle componenti del prodotto turistico,e delle fasce di pubblico a disposizione, che si co-struisce una campagna di comunicazione turistica. Es-sa serve a mettere in contatto la domanda di fasce de-terminate di pubblico con l’offerta di un certo pro-dotto: l’obiettivo si può dire raggiunto quando si in-contrano una fascia di pubblico e una componentedel prodotto validamente posizionato. Nei fatti, come vedremo, le azioni di posizionamentoe di segmentazione vanno insieme e, mentre si seg-menta il pubblico e si individuano fasce numerica-mente più rilevanti di altre, si posiziona il prodotto sìda presentarne gli aspetti più appetibili per la fascia dipopolazione prescelta, il target appunto.

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Alle origini della segmentazione

Alle origini della Communication Research era diffusa l’i-dea che la società di massa fosse una società di omologhi,di soggetti uniformi dal punto di vista sociale e culturale.A parte la difficoltà di sostenere l’idea stessa di massa,che a partire almeno dagli anni Trenta del xx secolo ri-sulta sempre meno visibile agli osservatori sociali, daglianni Sessanta comincia a farsi largo l’idea di una societàeterogenea: diventa sempre più difficile perciò ignorarele diversità rilevabili sul piano culturale, economico e so-ciale e di esse si comincia dunque a tener conto nellecampagne pubblicitarie ed elettorali. Da qui l’esigenza diseparare strati sociali l’uno dall’altro, «segmentare»gruppi di popolazione, ecc., distinguendoli tra di loro sul-la base di aspetti considerati rilevanti. Sono passatiquarant’anni ed è ormai norma che, prima di costruire unprodotto qualsiasi da lanciare sul mercato, si individui ilpubblico cui rivolgersi: nel caso del prodotto turistico lecose non possono andare, e non vanno, diversamente.

Le sperimentazioni americane

In base a quali linee di pensiero si è venuta impo-nendo nel tempo l’esigenza di segmentare il pubblico

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5La segmentazione del pubblico

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che una volta si immaginava omogeneo e che non acaso per molti anni è stato equiparato alla massapassiva e disgregata?Una delle premesse, in ambito economico, era costituitadalla scarsa considerazione riservata alla dimensione so-ciale del consumo, il che faceva sì che il consumatorevenisse sempre presentato isolandolo arbitrariamentedall’ambiente economico e sociale in cui vive e nel qua-le agisce. «Esso viene generalmente considerato sol-tanto quando riveste tale ruolo di consumo e non neglialtri momenti della giornata, ovvero nella pienezzadella sua personalità in cui non esiste in realtà distin-zione fra consumatore e individuo». Comprendere in-vece i processi di cambiamento sociale per capire il con-sumo diventa un’esigenza imprescindibile per il siste-ma stesso della produzione. «E ciò è vero ancor piùnelle attuali società, dove il processo di sviluppo del so-ciale e dei mercati non è lineare e prevedibile, attra-verso semplici modelli econometrici, ma multiforme ecomplesso» (Codeluppi 1989, 49). Le imprese si tro-vano oggi di fronte a quella che si ritiene la fine del-l’uomo-massa, in un’epoca caratterizzata dal moltipli-carsi delle subculture sociali: da parte loro, i consu-matori non risultano più condizionabili passivamente(se mai lo sono stati), ma stabiliscono tra i loro bisognie le esigenze della produzione un rapporto di intera-zione reciproca.Ne consegue la necessità di dotarsi di strumenti in-terpretativi che non possono essere solo di tipo de-mografico o sociologico, ma anche e prima ancora an-tropologico, di provare ad elaborare una «cornice»generale del cambiamento sociale entro la quale collo-care sia i singoli eventi sociali sia i piccoli segni pre-monitori relativi ad essi. E in questa direzione si attua

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un continuo (e, auspicabilmente, sempre più intenso)interscambio tra ricerche di tipo psicologico, sociologicoe antropologico sul cambiamento sociale, da una parte,e azioni di marketing, dall’altra, in vista della com-prensione dei fenomeni di consumo (ivi, 50).

Recuperando un’espressione desueta in italiano, qual èquella di «pubblico in obiettivo», la prima esigenzaconsiste nel definire il target group, ovvero il «gruppo-traguardo» cui viene diretto il messaggio e più in ge-nerale la comunicazione d’impresa. Sia nella comuni-cazione che in azioni di marketing il target group vienedefinito principalmente allo scopo di individuare seg-menti di consumatori, o potenziali consumatori, cui fargiungere i messaggi elaborati in funzione di specificiobiettivi di acquisto. Quando si ha a che fare con progetti di comunicazio-ne che facciano ricorso alle Pubbliche Relazioni, ilpubblico complessivo viene articolato in tre fasce di-stinte:– pubblico interno (top management, quadri interme-di, impiegati, addetti a compiti operativi);– pubblico cerniera (assistenza tecnica, rivenditori,venditori);– pubblico esterno (stampa, mondo accademico, go-vernativo, finanziario, soggetti in grado di influiresull’opinione pubblica).Nel caso invece di progetti di comunicazione pubbli-citaria, non esistono criteri definiti e validi una voltaper tutte, ma si fa ricorso a parametri adeguati a in-dividuare un target group. Essi sono di due tipi: a) sociodemografici: suddividono il pubblico in fasced’età (15-20 anni, 21-25, 31-35, ecc.), sesso (uomi-ni/donne in %), attività lavorativa, composizione del

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nucleo familiare, reddito annuo, dimensione del centroabitato.b) psicografici: suddividono il pubblico in gruppi omo-genei, stavolta accomunati per «stile di vita». Attività,interessi, opinioni di segmenti omogenei vengono rac-colti facendo ricorso a indagini campionarie svolte daistituti di ricerca specializzati (Cogno Dall’Ara 1989,118-22).Nella prospettiva segnalata la segmentazione (nata nel1956, ma su premesse teoriche del 1933) costituisce atutt’oggi lo strumento principe di cui si dispone percomprendere e registrare la crescente complessità deifenomeni e dei comportamenti di consumo, ma anchesemplificarla in termini operativi. Essa, come il posi-zionamento del resto, può essere effettuata sui consu-matori o sui prodotti, anche se è la prima ad essere piùrilevante e di questa parleremo qui di seguito. A promuovere le procedure di segmentazione è laconsiderazione ormai da tutti condivisa che nelle so-cietà complesse non esistono mercati omogenei. Ilproblema consiste allora nel ricorrere a strategie tese asuddividere il mercato dei consumatori in sub-mercatio segmenti: questi devono essere nello stesso tempo ilpiù possibile omogenei al loro interno (associando sog-getti simili tra loro nei comportamenti di consumo) e ilpiù possibile diversi dagli altri segmenti. Dalle strate-gie adottate dipendono l’individuazione, la conoscen-za e la definizione dei segmenti più adatti per prodottideterminati (Codeluppi 1989, 50).Le tecniche a disposizione per segmentare i mercati so-no molto cambiate col passare del tempo, a partire daquella nata per prima e basata sulle variabili sociode-mografiche (sesso, età, zona di residenza, livello di sco-larità, livello di reddito, ecc.). La divisione del pubblico

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in aree sociali e culturali più o meno definite ha co-minciato con l’essere effettuata ricorrendo, infatti,alle fasce d’età, al titolo di studio, alle modalità del-l’attività svolta (lavoro a tempo indeterminato, de-terminato, precario, a contratto, ecc.; dipendente,professionista, imprenditore, ecc.). Essa però ha rive-lato nel tempo insufficienze sempre più gravi nel de-lineare segmenti significativi per le propensioni alconsumo. Nelle società complesse è diventato perciòsempre più necessario integrare i rilievi sociodemo-grafici con i contributi provenienti dalle scienze sociali,facendo ricorso in primo luogo all’introduzione di ca-tegorie metodologiche di natura psicologica. Si sono co-sì prese in carico componenti psicoculturali e/o psi-coattitudinali di determinati soggetti allo scopo di in-dividuare, a parità di condizioni sociodemografiche, al-cuni più disposti a spendere e altri a risparmiare, ope-rai alla Cipputi e impiegati alla Narciso, individui in-teressati solo al quieto vivere e soggetti impegnati a la-vorare e produrre reddito. Per rispondere a queste ultime esigenze, la prima for-ma di segmentazione condotta su larga scala è stataquella «psicografica», la quale nella ricerca sui com-portamenti di consumo fa ampio ricorso alle «ricerchemotivazionali». Il primo tentativo di ricerca psico-grafica risale al 1964 quando, per identificare gli ac-quirenti di nuovi prodotti, sono state individuate duedistinte categorie: i creativi (pari al 40% della popola-zione americana), alla ricerca costante di nuovi prodottiil cui consumo potesse cambiare la loro vita quotidia-na, e i passivi, che tendevano ad adottare i nuovi pro-dotti dopo gli altri, quando il loro consumo era già dif-fuso e consolidato. I primi leggevano più periodici,guardavano programmi di fiction in tv, tenevano in ca-

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sa una vasta gamma di bevande alcoliche ed erano inprevalenza donne. I secondi invece leggevano poco, se-guivano pochi programmi d’informazione in tv, ecc.(ivi, 52-53).Posteriore di qualche anno è l’introduzione del con-cetto di «stile di vita», teso a evidenziare come unsoggetto appartenente ad un determinato segmento ri-manga tale a prescindere da qualunque sia il contestoin cui opera. Il Life Style si riferisce all’insieme di va-lori, atteggiamenti, opinioni e comportamenti che de-finiscono una personalità nella sua unicità, e di cui ilconsumo è solo una delle componenti. Da qui comin-cia a darsi la possibilità di segmentare qualsiasi po-polazione in gruppi uniformi semplificati, sulla base dianalisi statistiche di raggruppamento basate su numerielevati di variabili; al fine di dare sistematicità a que-sto primo lavoro segue l’osservazione dei cambia-menti socioculturali cui nel tempo vanno incontro isegmenti individuati.

Le indagini sugli stili di vita

Sulla scia delle indagini psicografiche, pur differen-ziandosi per l’universo dei valori di riferimento, apartire dagli anni Settanta si pongono le indagini chevanno sotto il nome di Vals (Values and Life Style). Ilprogetto, messo a punto a Stanford (California) pro-duce una forte operazione semplificatrice della realtàsociale e ciò ne spiega il successo conseguito fra pub-blicitari e sondaggisti. Le sue basi concettuali pro-vengono dalla teoria di Jerry Maslow sulle «motivazionidominanti» che determinano i comportamenti umani:«gli individui sono mossi ad agire da una molteplicità

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di diverse motivazioni, ma in ogni momento ce n’èsempre una dominante anche se le altre continuano afunzionare» (ivi, 57).Maslow, adottando alcune prospettive dell’antropo-logia sociale britannica, rileva come ad agire sui com-portamenti umani siano in primo luogo i bisogni fi-siologici (alimentari e sessuali), poi quelli di sicurezza,di amore, di stima, per finire con quelli di conoscenza,di soddisfazione estetica e di autorealizzazione. Ognilivello dei bisogni individuati consente di definire unsegmento della popolazione americana. Nel decenniosuccessivo il modello dei bisogni è stato articolato ul-teriormente, mostrando come ogni soggetto, dopoaver soddisfatto i bisogni fisiologici e di sicurezza,segue uno di due distinti percorsi i quali tornano a riu-nirsi al vertice (bisogno di autorealizzazione, identifi-cata ora con il bisogno di integrazione): i due percorsisono considerati rispettivamente eterodiretto e auto-diretto, a seconda che sui comportamenti del soggettoprevalgano le sue scelte personali o quelle che altri fan-no per lui. Il modello interpretativo che risulta dalle elaborazionidel Vals prevede allora una serie di figure sociali in cuiè articolabile la società statunitense degli anni Ottan-ta, a loro volta associabili in quattro gruppi distinti.Viene per primo il gruppo dei Need Driver [lett. soggettiche si lasciano guidare da bisogni elementari], il qualecomprende l’11% della popolazione adulta america-na. In esso vengono fatti confluire due figure socialiben distinte:– i Survivors [sopravvissuti] (pari al 4%): sono vecchi,poveri e sfiduciati; distanti dagli orientamenti culturalidiffusi tra la popolazione nel suo complesso;– i Sustainers [coloro che vivono di sussistenza] (7%): so-

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no risentiti e arrabbiati, vivono al limite della po-vertà e prestano la loro attività in settori propri del-l’economia sommersa.Segue la biforcazione tra i due gruppi sociali distinti eviene per prima il gruppo degli «eterodiretti» (pari al67% della popolazione americana). Nel gruppo vengo-no fatti confluire:– i Belongers [passivi spettatori, legati alla logica di ap-partenenza] (35%): sono anziani conformisti e tradi-zionalisti, patriottici; costituiscono il modello dell’a-mericano medio conservatore;– gli Emulators [emulatori] (10%): sono giovani, am-biziosi, ostentativi ma contrari alla rottura col sistema;– gli Achievers [arrivati] (22%): di età media, sono af-fluenti, leader e tra i più convinti nel sostenere l’ame-rican dream.Viene poi il gruppo degli «autodiretti» (pari solo al 20%della popolazione). Qui confluiscono:– gli I am me [lett. Io sono me stesso] (5%): sono gio-vani o giovanilisti, narcisisti, impulsivi e esibizionisti;– gli Experientials [sperimentatori] (7%): sono giovani al-la ricerca di esperienze dirette, attratti dal bello econtraddistinti da una intensa vita interiore;– i Societally conscious [ricchi di coscienza sociale](8%): sono alla ricerca di una missione nella vita, im-pegnati a migliorare la società.Rimane un ultimo gruppo, in cui confluiscono etero eautodiretti, costituito solo da:– Integrated [integrati] (pari solo al 2%): sono psicolo-gicamente maturi, tolleranti, competenti, flessibili eorientati all’apertura verso l’universo sociale (ivi, 59-61).Il Vals, pur nella ricchezza di segmenti basata su stili divita che riesce ad articolare, non sfugge a difficoltà piùvolte messe in rilievo: corre infatti il rischio che dalla

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visione globale della società e del comportamentoumano non riesca a passare, senza difficoltà di sorta, al-l’analisi di situazioni specifiche.

Al Vals segue, su una linea non dissimile, quello che vasotto il nome di Sistema 3SC (acronimo che sta per Si-stema di correnti socioculturali, oppure Scenari di cam-biamento). Anche questo metodo è di tipo «evoluzio-nista», nel senso che torna periodicamente su un cam-pione di popolazione al fine di vagliarne i tratti più si-gnificativi di mutamento sociale, a condizione di ope-rare con unità di misura fisse e con una banca-dati diampia portata: questa e quelle consentono di compararei risultati ottenuti ogni anno con quelli di anni prece-denti, al fine di misurare l’entità del cambiamentointervenuto. La ricerca 3SC si svolge in tre fasi successive: la primaè di tipo antropologico e tende a rilevare le correnti so-cioculturali che stanno alla base della ricerca; la secondaè di tipo qualitativo e cerca di tenere separate le ten-denze strutturali del cambiamento da quelli che sem-brano semplici fenomeni congiunturali o di moda; laterza è di tipo quantitativo e si propone di misurare,nonché di verificare sul piano empirico, le correnti so-cioculturali già segnalate. Per far questo il sistema ricorre alla rilevazione sucinque aree di ricerca collocate su dimensioni che sonoad un tempo sociologiche e antropologiche:– la prima riguarda mentalità, sensibilità, valori, aspi-razioni, motivazioni e tratti di personalità;– la seconda si incentra sui costumi e sui modi di vita;– la terza sulle produzioni culturali (con riguardo ai pro-dotti dell’industria culturale, alle mode, ai grandieventi, ecc.);

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– la quarta mette a fuoco le strutture sociali informali (lafamiglia e il mondo del lavoro, l’abbigliamento, ecc.);– l’ultima infine concentra la sua attenzione sui «pa-radigmi», ovvero sui sistemi di credenze, le rappre-sentazioni collettive, le immagini della natura, dell’u-niverso, dell’uomo, ecc. (ivi, 64-65).

A chiusura di questa rapida carrellata sulle tecniche disegmentazione del pubblico, riteniamo opportuno fareun breve accenno ai problemi emergenti man mano chesi diffondono i processi di globalizzazione, sia econo-mici che comunicativi. Sebbene le imprese, nazionali emultinazionali, si trovino a fronteggiare ancora do-mande estremamente diversificate tra un paese o uncontinente e l’altro, la tendenza odierna è diretta allacostituzione a livello internazionale di settori di mer-cato sempre più omogenei e globali. Di questo stato dicose il sistema di ricerca 3SC ha dovuto tenere il debitoconto: la crescita esponenziale delle spese di ricerca, dimarketing e di promozione, la staticità del tasso di in-cremento demografico in tutti i paesi occidentali spin-gono infatti verso la standardizzazione della produzionee del marketing per accrescere i volumi di vendita(ivi, 71).La consapevolezza della interdipendenza economica esociale fra i diversi paesi del mondo ha spinto sin dal1980 i ricercatori del 3SC ad andare oltre il livello na-zionale delle ricerche e progettare un nuovo genere diindagine a dimensione europea, denominata ACE (An-ticipating Change in Europe). Collegando tra loro gli isti-tuti di ricerca dei paesi europei aderenti al progetto co-mincia ad essere possibile leggere i mutamenti a livel-lo europeo pur non trascurando le specificità dellesingole nazioni.

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La versione 1988 della tipologia ACE è riuscita a in-dividuare sei grandi segmenti transnazionali: i TrendSetters [quelli che fanno tendenza] (12,5%), gli Strivers[gli impegnati] (15%), i Pleasurists [gli edonisti] (17,3%)i Rationalists [i razionalisti] (22,5%), gli Homebodies [co-loro che fanno vita di casa] (14%), i Traditionals [itradizionalisti] (18,7%). I segmenti sono stati indivi-duati in base all’analisi delle correnti socioculturalicomuni ai paesi europei coinvolti: da 8 a 12 e oltre a fi-ne anni Ottanta. Le correnti, che inizialmente si fer-mavano a 10, sono via via salite fino a 24 e oggi co-stituiscono una mappa la quale depone per «una omo-geneità insospettabile nell’andamento del cambiamentosocioculturale a livello continentale. Ciò non significache le socioculture dei vari paesi siano identiche ma in-dica invece che esse sono mosse da alcune forze co-muni. … Sul mercato europeo si vanno sempre più for-mando ‘nicchie internazionali’ di mercato composte daconsumatori moderni. Pur provenendo da paesi di-versi, formano segmenti molto omogenei al loro in-terno, uno stesso tipo di modernità socioculturale, so-prattutto nell’agire di consumo». Ne deriva che «tral’insieme dei consumatori moderni dei diversi paesi esi-ste oggi una omogeneità sensibilmente maggiore nonsolo di quella esistente fra i soggetti ‘tradizionali’,ma anche tra un consumatore moderno e uno tradi-zionale dello stesso paese» (ivi, 73).

Le esperienze italiane

A partire dagli anni in cui viene formulato negli USA,è chiaro che il concetto e la pratica del Life Style ven-gono perfezionati, come del resto avviene del metodo

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psicografico, e si diffondono in diversi paesi occiden-tali. In Italia la Psicografia Eurisko (oggi chiamata Si-nottica), è stata introdotta da Gabriele Calvi, e datempo ormai viene condotta con periodicità annuale ericorso a interviste condotte a domicilio su un cam-pione di 5.000 soggetti compresi fra i 14 e i 74 anni.Utilizzando questionari relativi agli orientamenti e aicomportamenti dei soggetti presi in esame, sono statiindividuati inizialmente nove stili di vita diversi, chenel corso degli anni sono andati crescendo fino a giun-gere alla conformazione attuale (1987) di 14 stili di vi-ta diversi. I risultati che negli anni sono stati rag-giunti non possono però far trascurare le difficoltàdel metodo: la debolezza pare stia tutta nell’attribuireun peso a tratti eccessivo alle variabili sociodemogra-fiche e ai comportamenti, e nel trascurare i ben più im-portanti valori e atteggiamenti, come invece faranno al-tri studiosi (ivi, 55-56).

Passiamo ora ad esaminare in dettaglio i 14 stili di vi-ta individuati da Eurisko in Italia e riferiti a figure so-ciali indicate con ricorso a immagini metaforiche. Lepercentuali riguardano naturalmente l’anno 1987 (Co-gno Dall’Ara 1989, 118-22).– Liceali (9,4% della popolazione italiana adulta): ri-guarda lo stile di vita dei giovani studenti appartenentia famiglie di classe media. Questi vivono in modo so-stanzialmente spensierato, hanno poche responsabi-lità, sembrano condizionati solo dal bisogno di ap-partenere ad un gruppo e di confrontarsi con esso. Laloro giornata si divide equamente fra scuola e amici,svaghi e attività sportive.– Delfini (4%): corrisponde allo «stile della gioventù do-rata degli anni dorati». Essi dispongono di denaro e

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cultura e hanno energie necessarie per mettere a frut-to sia l’una che l’altra. I tratti costitutivi del segmen-to in questione sono curiosità, apertura verso il nuovo,voglia di capire e di conoscere, ma anche di divertirsi.– Spettatori (7,3%): si tratta di uno stile giovanileesclusivamente maschile, diffuso soprattutto nei piccolicentri. Per chi lo condivide, la vita significa soprattuttolavoro e abitudini semplici e consolidate; significa sta-re insieme con gli amici, parlare di sport e tifare peruna squadra di calcio (occupando così il tempo libero dicui si dispone). Gli strumenti culturali di cui dispon-gono gli appartenenti al segmento sono piuttosto scar-si e questo fa di essi spettatori passivi dei mutamentisociali e facili prede di effimeri miti consumistici.– Arrivati (3,5%): riguarda lo stile di chi ha raggiunto isuccessi sperati, delle «persone arrivate», dalle qualitàsuperiori alla media. Disponendo di ricchezza e istru-zione adeguata, hanno saputo sfruttarle al meglio. So-no molto impegnati nel lavoro, ma ciò non impedisceloro di partecipare alla vita sociale. Viaggiano, leggono,si tengono informati, mantengono con la vita un rap-porto pieno e attivo. – Impegnati (5,5%): è il segmento in cui rientra chi haposto la cultura e la conoscenza al di sopra del denaroe del successo tout court. Tenuto conto che l’uno e l’al-tro non mancano, gli appartenenti al gruppo fanno di-pendere i propri comportamenti e gli atteggiamenti dalfatto di affermarsi in un impegno o offrire una testi-monianza, culturale o politica che sia.– Organizzatori (5,6%): sono coloro che hanno affidatoal lavoro forti aspettative di realizzazione, sia econo-miche che di promozione sociale. Dotati di iniziativa edi capacità organizzative, riescono bene nelle profes-sioni e nelle attività autonome di commercio e arti-

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gianato. Al successo tendono però a sacrificare il resto,sia la vita privata che gli svaghi e i consumi culturali.– Esecutori (5,5%): riguarda lo stile di chi concentra tem-po e interessi nel lavoro e nella famiglia. Nonostante illavoro sia spesso faticoso e non procuri un reddito sod-disfacente, e nonostante il poco tempo disponibile, gliappartenenti al segmento in questione investono molteenergie nell’impegno sia sociale che politico. – Colleghe (4,9%): lo stile si colloca fra quello profes-sionale e quello di massaia. Esso riguarda gruppi didonne giovani e adulte, con un’occupazione impegna-tiva fuori casa la quale non esclude impegni personalie familiari. A caratterizzare lo stile del segmento è iltentativo (che non sempre riesce) di conciliare l’eva-sione (svaghi e divertimenti) con l’impegno (letture eriunioni).– Commesse (4,9%): a condividere questo stile di vitasono spesso donne con un lavoro non particolarmentequalificato e gratificante, al quale assegnano soprattuttolo scopo di procurare reddito. Gli interessi delle ap-partenenti al segmento sono diversi: divertirsi, uscirela sera, stare in compagnia, leggere romanzi.– Raffinate (4,3%): nel segmento si fanno rientrare lecasalinghe di alto livello, autentiche signore. Cultura econdizione economica le rendono attente alla curadella casa e della famiglia, oltre che della loro imma-gine. Leggono, si interessano di politica, conduconouna vita sociale brillante e coltivano elevati interessiculturali. Per loro è importante viaggiare per conosceree arricchirsi sotto tutti i punti di vista.– Massaie (6,5%): nel segmento rientra la figura tipicadella massaia media, tutta casa e famiglia. A fronte del-la gestione della vita domestica, per nulla facile, fuoridella propria famiglia la massaia non sembra avere

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interessi di sorta, a parte l’evasione in tv, nei fotoro-manzi e nei romanzi sentimentali.– Avventati (4,6%): è lo stile di vita condiviso dai sog-getti che con il denaro e il mondo dei consumi man-tengono rapporti problematici e conflittuali. La mar-ginalità culturale e l’isolamento li spingono a ricercareuna qualificazione attraverso i consumi, andando spes-so oltre i mezzi finanziari a loro disposizione. La vitasociale, a sua volta, è condizionata da atteggiamenti vi-stosi e dalla ricerca di prestigio attraverso raccoman-dazioni e appoggi dei potenti.– Accorti (13,3%): rientrano in questo segmento sog-getti dalle abitudini improntate alla regolarità e alla par-simonia. Sono in gran parte uomini anziani e pensio-nati, i cui interessi e attività sociali sono ridotti sia permancanza di mezzi ed età avanzata, che per assenza dicuriosità. Resiste invece l’interesse per la politica.– Appartate (18,7%): a caratterizzare lo stile di vita diquesto segmento è la limitatezza delle risorse. Vi rien-trano in prevalenza donne anziane, dalla vita socialequasi inesistente e dagli interessi culturali molto ridotti.Se contatti permangono con il mondo esterno, essi so-no costituiti dalla tv, dalla spesa giornaliera, dagli in-contri di conoscenti ai riti religiosi.

Nel nostro Paese, a partire dal 1977, è entrato anche ilsistema 3SC, qui denominato Monitor 3SC e condottoda «GPF e associati». Sottoponendo a intervista ogni18 mesi 2.500 soggetti, dal 1985 la rilevazione ha in-dividuato otto figure, disposte in sequenza lungo l’i-deale percorso seguito dai processi di modernizzazionedel nostro paese. Gian Paolo Fabris e i suoi collabo-ratori hanno ritagliato nel 1985 i segmenti che se-guono (Codeluppi 1989, 67-69):

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– Arcaici (9,7%): costituiscono gli ultimi esponentidella cultura tradizionale contadina, influenzata dalCattolicesimo dominante in Italia fino agli anni Cin-quanta del secolo xx;– Puritani (10,6%): sono caratterizzati da una convin-ta adesione alla religione e all’ideologia cattolica, le qua-li ne condizionano sia gli atteggiamenti che gli stili divita, orientati verso l’austerità nei consumi e l’impegnoper il prossimo;– Cipputi (9,1%): costituiscono i residui esponenti del-la classe operaia e coloro che, per scelta ideologica,ne adottano i valori impegnati e poco disposti alconsumo;– Conservatori (12,7%): sono soggetti sociali ancoraidealmente legati alla prima industrializzazione delpaese, negli anni Sessanta, e al passaggio da una culturatradizionale a una di tipo industriale. Si rivelano di-sorientati e contraddittori, divisi come sono fra valoriarcaici e aspirazione ai consumi;– Integrati (21%): nel segmento rientrano esemplaridell’italiano medio, sospesi fra tradizione e innova-zione, soddisfatti della loro condizione e spinti aduna sempre maggiore integrazione sociale;– Affluenti (13,6%): nella loro vita privata si procla-mano aperti ai nuovi valori, si realizzano nei consumi,nella moda e nell’evasione;– Emergenti (14,7%): rimangono in equilibrio fra l’ac-cettazione dei valori moderni e la disponibilità ad ac-cettare la società di massa, pur rifiutando la massifi-cazione;– Progressisti (8,6%): sono gli eredi della cultura ses-santottina, contestativa e anticonsumista, della qualecontinuano a coltivare le aspirazioni all’eguaglianza e al-la libertà.

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Segmentazione e posizionamento: quali azioni per ilturismo organizzato?

L’ampia ricostruzione delle strategie di segmentazioneelaborate nei quarant’anni passati non ha voluto esse-re fine a se stessa, naturalmente. Si è voluto solo mo-strare quanti segmenti è possibile individuare adot-tando procedure distinte, che siano legate ai fattori so-ciodemografici, a quelli psicografici o a quelli connes-si allo stile di vita, pur nella loro diversità. La questioneconsiste ora nel valutare che genere di corrispondenzeè possibile istituire fra i segmenti individuati e i pro-dotti turistici variamente posizionati, da una parte, ol-tre che le tipologie turistiche praticabili, dall’altra.Vogliamo dire che, sulla base di età, scolarità, dispo-nibilità economiche, ma anche sulla base di status sym-bol ricercati, di stili di vita praticati, di attese e aspet-tative in generale, è possibile elaborare corrisponden-ze, far convergere disponibilità e aggregare gruppi so-ciali ai quali offrire prodotti turistici con buona pro-babilità di successo.Il riferimento può andare qui agli anziani di discretacondizione economica cui indirizzare offerte connesseal turismo religioso e ai pellegrinaggi; come può anda-re ai tifosi organizzati ai quali proporre attività turi-stiche connesse ad un evento sportivo di grande ri-chiamo (può essere il caso dei mondiali di calcio a ca-denza quadriennale, ma anche delle Olimpiadi); pernon dire ancora di attività di turismo culturale da as-sociare alle classiche vacanze di studio. Sono esempiche vengono in mente a chi scrive, ma non c’è dubbioche chi opera nel settore, o chi riceve l’incarico di unacampagna di comunicazione, è da correlazioni simili cheparte, valutando ogni volta se il prodotto offerto cor-

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risponde a quello richiesto, sia in termini di disponi-bilità economica, sia soprattutto in termini di attese.Non c’è dubbio in ogni caso che, anche solo incro-ciando i quattordici segmenti individuati, escludendonealmeno i Survivors, le dodici tipologie di turismo ri-chiamate, i tre fattori che contraddistinguono il varioposizionamento di un prodotto e i cinque stadi del suociclo di vita, è possibile pervenire idealmente a qualchemigliaio di esiti diversi; è possibile in teoria praticareofferte di qualsiasi genere, gusto e costo, tanto davenire incontro alle più diverse richieste.Ciò che, in ogni caso, si richiede come indispensabilein ogni azione di produzione e vendita di un prodottoè che i messaggi di comunicazione siano ben costruitied efficaci. Il che significa: primo, che ad essi corri-spondano realtà e non finzioni; secondo, che offranoquanto promettono anche in dipendenza del prezzo pa-gato; terzo, che si mettano in «corrispondenza intelli-gente» i prodotti e i segmenti di pubblico, in modo dalimitare al massimo le sfasature fra richiesta, offerta equel fenomeno che va sotto il nome di «decodificaaberrante», dando a capire il contrario di quanto si èinteso dire ai destinatari ideali; quarto, che si sappia co-municare, spiegare, sciogliere i dubbi, evitando inogni caso di confondere le idee (come a dire: manipo-lare) di clienti inermi, spesso alla prima esperienzache forse rimarrà l’ultima.Se questo è lo stato delle cose, e abbiamo solo volutorichiamare alcune azioni significative, ma se ne po-trebbero richiamare altre all’infinito (come sanno glioperatori turistici), si comprende quale ruolo essenzialedebba essere attribuito alla comunicazione nella co-struzione, nella vendita e nel consumo di un prodottoturistico. La comunicazione costituisce la piattafor-

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ma su cui si incontrano venditori e compratori-consu-matori: essa svolge un’azione strategica dalla quale il tu-rismo organizzato non può per nulla prescindere econ cui anzi deve fare costantemente i conti, soprat-tutto in una realtà come la nostra che cambia veloce-mente sia nelle offerte che, soprattutto, nel variocomporsi nel tempo.

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Gli agenti, i messaggi, le tecniche

Il turismo di massa, per come solitamente lo si intende,è turismo organizzato. Nel senso che i diversi momentidell’esperienza turistica non sono lasciati all’improvvi-sazione dei tanti singoli che vanno a fare vacanza, col ri-schio di dare origine a un universo babelico, disordina-to e conflittuale, ma sono in qualche modo organizzati,strutturati, essendone previste le successive fasi di svol-gimento: questo consente di prefigurare le tappe, gli spo-stamenti, i mezzi di trasporto, i luoghi di vitto e alloggio.Da qui il concetto e la pratica della prenotazione o, an-cora meglio, della costruzione di pacchetti-vacanze in cuiruolo centrale assume il tour operator. Il sistema di produzione e consumo del prodotto turi-stico prevede tre figure: produttori, grossisti, detta-glianti.I produttori forniscono direttamente ai turisti beni eservizi di cui abbisognano per le loro vacanze: forni-scono ospitalità (alberghi, ostelli, campeggi, ecc.); ser-vizi a terra (trasporti aerei, ferroviari, ecc.); servizi pro-fessionali (informazione, assistenza, guide); servizi ex-tralberghieri (negozi, locali notturni), ecc.I grossisti assemblano i servizi prodotti dalle imprese delsettore. In loro si identifica la figura del tour operator.

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6L’agire comunicativo nel turismo

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Quest’ultimo è un imprenditore che, assumendo in pro-prio l’intero rischio dell’operazione vacanze, acqui-sta, organizza e confeziona tutti i servizi. Il turista-cliente, invece di acquistare separatamente singoli ser-vizi, li trova assemblati in un package, venduto a tariffeinferiori rispetto al prezzo dei singoli prodotti. Il mo-derno tour operator nasce con lo sviluppo dei charter edè grazie alla sua azione che inizia il processo di desta-gionalizzazione delle vacanze, dal momento che si vaampliando considerevolmente il mercato turistico. È innegabile una certa dose di standardizzazione delprodotto turistico, similmente a quanto accade in unacatena di montaggio. Il complesso organizzativo siconclude (e si esprime) nella creazione di un catalogo,rappresentazione concreta del prodotto vacanze, con-fezionamento e distribuzione per l’utente finale. I tour operator sono quelli che più fanno ricorso alla«comunicazione mediata»: che si tratti, come vedremo,di cataloghi, dépliants, brochures, manifesti, locandine,oppure di spot televisivi, messaggi radiofonici, pernon dire dei siti internet. La domanda da porsi inquesta sede è se conviene un’azione sia più informati-va e referenziale o, in un certo senso, seduttiva. La ri-sposta è che una campagna di comunicazione turisticanon può essere solo seduttiva, ovvero più o meno ba-nalmente pubblicitaria, ma deve prevedere al suo in-terno una quota informativa e referenziale di rilievo.Guai se a quanto pubblicizzato in una campagna noncorrispondesse un reale stato di cose; in tal caso il ri-schio sarebbe in primo luogo la perdita del cliente (e in-vece la sua fedeltà nel tempo è una delle condizioni divita di una località turistica) e poi la diffusione porta aporta di un giudizio negativo sulla località e sul pro-dotto che, come abbiamo rilevato, è ben più forte di

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qualsiasi campagna mediatica (in un rapporto di 90 a10, nel caso di effetti di conversione). L’effetto che da una ben condotta campagna di co-municazione turistica è lecito attendersi è un effetto dipersuasione. Un effetto cioè che deriva da una sorta dinegoziazione tra mittenti e destinatari: i primi impe-gnati a offrire informazioni e immagini relative a unprodotto turistico, presentati in modo da catturarel’attenzione e spingere all’acquisto del prodotto vacanzae attenti a che ad ogni messaggio corrispondano trattidi realtà veramente esistenti; i secondi impegnati a ve-rificare se l’offerta corrisponde ai bisogni di cui essi sifanno espressione, con tutta la serie di azioni selettiveche essi attivano prima di poter decidere. In una se-conda fase, quando cioè il prodotto turistico è datempo acquistato e sperimentato, è ipotizzabile uneffetto di influenza, quello cioè affidato per la gran par-te al gruppo di cui si fa parte (ambiente di lavoro, grup-po dei pari, ecc.) e con cui ci si confronta prima di as-sumere una decisione. Qui si fa forte il ruolo affidatoal leader d’opinione, a quella persona cioè che gode dicredito, fiducia e la cui parola può essere a volte de-cisiva nel processo di decisione. Quella operata dalla co-municazione turistica sembra essere dunque una sortadi persuasione operata dai mass media, ma influenzatadagli attori sociali con i quali si è soliti interagire.

Veniamo così a parlare di quello che si può considera-re lo strumento fondamentale di comunicazione deltour operator, strumento a sua volta costruito sullabase dei prodotti variamente acquisiti nel corso dei me-si precedenti la stagione delle vacanze. Il catalogo, perché è ad esso che ci riferiamo, costitui-sce una forma di comunicazione referenziale. Quali so-

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no le fasi della sua costruzione? In qualche modo sipossono considerare le stesse del cosiddetto news-making, ovvero delle procedure adottate nella costru-zione dell’informazione. Se questa si articola in quat-tro fasi: la raccolta delle informazioni, la loro selezio-ne, il trattamento ovvero la stesura dell’articolo e infinela presentazione del prodotto informativo, nella di-mensione referenziale della comunicazione turisticale fasi possono ricondursi alle operazioni seguenti:Raccolta: l’operatore comincia col documentarsi inmaniera sistematica su tutto quanto appartiene al pro-dotto turistico nel suo complesso: la disponibilità di al-berghi, con relative classifiche, ristoranti, spiagge at-trezzate, divertimenti, servizi di vario genere (agenziedi viaggio, punti informazione, ecc.) e naturalmente be-ni culturali e naturalistici. Selezione: poiché non tutto può rientrare in una cam-pagna informativa, per il rischio di saturazione e dun-que possibile rifiuto, è importante un’opera di sele-zione, che non può che dipendere dalla fascia di pub-blico scelto e dal posizionamento del prodotto che si in-tende attuare. Si tratta in pratica, sulla base delle di-sponibilità reali e documentate nella fase di raccolta, dimetterne in rilievo alcune in base al target di riferi-mento, finendo così col creare un’immagine del pro-dotto turistico altrettanto valida di altre possibili: diuno stesso luogo è lecito così costruire immagini diversenella fase di sviluppo e come risposta alla fase di de-cadenza nel ciclo di vita complessivo. Trattamento: consiste nella stesura di un testo chesappia rendere su un piano narrativo le informazioniraccolte e selezionate. Non è banale soffermarsi sullemodalità di un testo del genere (dalle dimensioni del-la frase all’uso dei tempi e dei modi, dalla scelta dei

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termini allo stile in genere) ma sarebbe troppo lungofarlo qui. Presentazione: è l’ultima fase in cui il testo viene col-locato nella pagina, gli viene dato un titolo e gli ven-gono accostate delle foto. Momenti delicati tutti etre, come si può comprendere: un’impaginazione sba-gliata può non far scoprire più un testo su cui si pun-tava; un titolo forte può generare aspettative cui poinon corrisponde la realtà; una foto mal collocata può ri-sultare poco o nulla rispondente alla funzione di ri-chiamo che ad essa normalmente si affida. In ognicaso è bene tener presente che tra immagine e testo c’èun continuo rimando: alla prima si affida la funzione dirichiamare l’attenzione, al secondo quella di offrireinformazioni al fruitore, e guai a non rispettare questaelementare regola della comunicazione (pubblicitaria oinformativa che sia).Riepilogando, il tour operator svolge il ruolo del vero eproprio «imprenditore della vacanza»: sceglie le loca-lità turistiche, compra posti letto, punti di ristoro,viaggi aerei, posti pullman e quant’altro sarà poi uti-lizzato dai vacanzieri. È chiaro che egli opera sulla ba-se di orientamenti di cui è informato (la moda, o laconvenienza dei prezzi o la bontà dei servizi), in qual-che modo insomma opera in base a certezze che gli pro-vengono dall’andamento dei flussi internazionali, dal-l’esperienza degli anni precedenti, dal fiuto infine,ma rimane pur sempre uno spazio di rischio, che cercadi ridurre con adeguate azioni di comunicazione. Eccoallora che per il tour operator la comunicazione turisticaserve innanzitutto a ridurre l’alea dell’imprevisto, e poia vendere il pacchetto turistico che egli ha confezionatonel corso della bassa stagione. È una sorta di vendita al-l’ingrosso quella che egli svolge e i suoi destinatari so-

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no gli agenti di viaggio, venditori al dettaglio i cui ul-teriori destinatari non possono che essere gli aspirantivacanzieri e cui il primo fornisce cataloghi, brochure,dépliants, locandine e quant’altro potrà servire a co-municare con i clienti. La comunicazione cui ricorre iltour operator rimane dunque una comunicazione me-diata, basata su mezzi di vario genere (compresi pagi-ne e spot pubblicitari) il cui scopo è quello di richia-mare l’attenzione dei destinatari.

Dal catalogo a Internet

Nel catalogo prevale ma non è esclusiva, com’è dato in-tuire, la dimensione referenziale della comunicazione,in quanto fornisce informazioni sul prodotto turisticoconfezionato in tutti i particolari e messo in venditanella stagione immediatamente successiva. Ma in effettiil catalogo non è il solo strumento, perché quello dellacomunicazione turistica è un sistema complesso cheprevede diverse altre modalità comunicative, comepiù volte anticipato: dallo spot televisivo al sonororadiofonico, dal manifesto alla locandina, dalla brochureal dépliant per giungere, last but not least, al sito in-ternet. Andiamo per ordine, sapendo che per brevità trala-sciamo altri mezzi, ognuno caratterizzato da propriespecificità. Lo spot televisivo, per la sua stessa dimensione e per laquantità di attenzione che è in grado di richiamare, nonpuò essere certo un messaggio referenziale, ma quasiesclusivamente seduttivo: non dà informazioni ma offresuggestioni, lampi di luce, squarci di realtà, produce ef-fetti speciali (per riprendere un’espressione cinema-

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tografica). Non staremo qui a richiamare le diversecomponenti dello spot: l’immagine, il sonoro, la musi-ca, tutte a loro modo significative sul piano della con-notazione ma non della denotazione, nel senso chenon forniscono vere e proprie informazioni ma solo se-gnali. Quelle sono da cercare altrove, una volta che lospot sia riuscito a svolgere le funzioni che in un certosenso gli sono delegate (attivazione di attenzione, an-coraggio, stimolo o rinforzo delle motivazioni), e aprodurre una serie di effetti spesso operanti a livello su-bliminale (sulla questione, però, fra sociologi e psicologile divergenze prevalgono sulle convergenze). È inoltreda aggiungere che lo spot televisivo, per la sua collo-cazione stessa, si rivolge a pubblici di ampia dimen-sione, soprattutto nel prime time, e non sempre riescead agganciare target ben definiti: è come gettare a ma-re una rete nella quale incappano le tipologie più variedi pesci, molti dei quali torneranno a perdersi fra le on-de marine. Ecco perché ribadiamo che la funzionedello spot è esclusivamente seduttiva: seduce chi è giàin condizioni di andare in vacanza, chi sta coltivandoproprie motivazioni, o anche solo chi lascia che gli si co-struiscano attorno «bisogni artificiali» su cui gli apo-calittici hanno più volte richiamato l’attenzione. Nell’ideale sistema di comunicazione turistica che stia-mo delineando un posto del tutto secondario occupa laradio, soprattutto perché manca della dimensione ico-nica e quella sonora si rivela insufficiente a colmarne ilvuoto (essendo frequente seguire il messaggio ra-diofonico con disattenzione e noncuranza): da qui l’e-sigenza da parte del pubblicitario creativo di indivi-duare musiche, tracce sonore, ritagli di discorsi che siimpongano all’attenzione per la loro imprevedibilità,perché solo questa (sollecitando la «curiosità per come

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va a finire») può garantire, o almeno far sperare, che sipresti al messaggio un’attenzione adeguata. Tranneallora che non si tratti di radio locali, cui il singolo ope-ratore affida i suoi messaggi, difficilmente vi si po-tranno trovare informazioni vere e proprie, mentre l’ef-fetto di suggestione sarà di gran lunga più ridotto ri-spetto allo spot tv. L’unica possibilità potrà esserequella di rinforzo, ovvero quell’effetto di richiamo diun messaggio tv cui già ci si è esposti e che rinnovi unostesso jingle o una stessa voce che risultino dunque ri-conoscibili. Seduzione e rinforzo sono le due funzioni(o effetti?) che tv e radio sono in grado di produrre eche dunque non è detto che debbano essere trascurati.L’importante è non chiedere loro quello che non pos-sono dare, pena il fallimento della comunicazione.A seguire è il ricorso a messaggi su supporto cartaceo:manifesti e locandine, in primo luogo. Il primo è a mi-sura d’automobilista, ormai, costituito com’è di im-magini suggestive a tutto campo con un nome identi-ficante (una regione, un centro balneare, una stazioneinvernale). La seconda, invece, è più a dimensione dipedone, è il caso di dire, che dispone del tempo di sof-fermarsi e di cogliere, accanto all’immagine, breviinformazioni su offerte di servizi, indirizzi e numeri te-lefonici per non dire dell’ormai immancabile sito in-ternet. Pur essendo assimilabili, i due supporti cartaceisono due mezzi di comunicazione distinti: per le di-verse condizioni dei destinatari, per la sede di affis-sione, per la quantità di attenzione che vi si può de-dicare. Quanto alla funzione, c’è più seduzione nel pri-mo, più informazione nella seconda, ma entrambi simuovono ancora su dimensioni che diremmo prepara-torie, di avviamento alla scelta del prodotto turisticoche rimane ancora sullo sfondo.

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Non c’è dubbio però che, partendo dal catalogo con-fezionato dal tour operator e distribuito alle agenzie eche dunque propone delle scelte, è la brochure a se-guirlo secondo una logica temporale, narrativa, maanche spaziale: quest’ultima infatti non è ospitata lun-go le strade o nel salotto di casa, ma bensì in un’a-genzia, albergo, ufficio turistico. Composta di uno odue sedicesimi, la brochure in genere è un opuscolo in-centrato su località specifiche. Promossa spesso daenti pubblici e confezionata in seno all’agenzia pub-blicitaria, o con la consulenza decisiva di quest’ultima,la brochure presenta grandi quantità di testo: le im-magini non svolgono un ruolo di ancoraggio o di se-duzione, ma una funzione referenziale e il testo ri-guarda particolari e dettagli di vario genere che ognitarget andrà a rilevare per conto suo: disponibilità al-berghiere, offerta di servizi, prezzi, ma anche e so-prattutto storia, usi e consuetudini, monumenti davisitare, luoghi da non mancare, esperienze da vivere,ecc. La si può considerare alla stregua del Baedeker ot-tocentesco, o della guida del Touring, incentrata peròesclusivamente su una località o su un comprensorio lacui visita si esaurisca in un limitato periodo di tempo. Ancora diverso è il caso del dépliant, un foglio di car-ta patinata ripiegato su due, tre o quattro versi, in cuiper il formato sembra prevalere l’immagine ma da cuiil testo non è per nulla escluso: questo è in qualche mo-do finalizzato, più che alla descrizione del posto, allapresentazione di un evento, di un itinerario o di unamanifestazione (folklore, cinema, concerto), alla co-struzione di un’intera stagione o di parti di essa. An-ch’esso è distinto dai primi sul piano spaziale, oltre chetemporale (perché il turista è già sul posto): lo si ritrovain albergo, nell’ufficio turistico, ma può anche essere

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offerto da volontari sul lungomare o nei luoghi di in-contro. In un certo senso, insomma, mentre la brochurepresenta il prodotto turistico a dimensione stagionale,il dépliant si sofferma su singoli aspetti o componentidel prodotto e sarebbe rischioso affidargli una comu-nicazione più complessa, proprio per il senso di prov-visorietà che lo caratterizza. È come se costituisse unpromemoria di eventi o esperienze da non mancare, alquale non si può affidare di più. Rimane per ultimo, ma non perché sia il meno impor-tante, il sito internet cui ormai ogni località turistica af-fida le sorti della propria comunicazione per motivi chesarebbe superfluo anche solo richiamare. Il sito è il con-tenitore di un po’ di tutto relativamente al prodotto tu-ristico nella sua complessità: dalla presentazione dellalocalità, spesso costruita dall’ente pubblico con l’aiutodi operatori del settore, alla segnalazione di alberghi, ri-storanti, discoteche (ognuno dei quali può a sua voltadisporre di propri siti), alla presentazione di calendaristagionali, mensili o settimanali, quando non di singolieventi. Solo da qualche anno cominciano a essere di-sponibili ricerche sulla qualità dei siti turistici, relati-vamente alla home page, alle immagini, all’organizza-zione dei testi, ai link di maggiore utilità. Non si puòdire che, nei pochi casi presi in esame, si siano ancoraraggiunti alti standard di professionalità, o perchémancano indicazioni importanti, o perché si dannoper scontate informazioni che il navigatore non è det-to possieda: nonostante le buone intenzioni la letturadi internet è veloce, non consente riflessioni più ampiedi quanto faccia una pagina stampata. Anche quandofunzionano sistemi di prenotazione efficienti, mancaspesso la consapevolezza che il navigatore non disponespesso di alcuna cognizione (geografica, climatica,

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ecc.) del luogo che gli viene presentato e a questonon supplisce la meticolosa consultazione del catalogoo la cortesia dell’agente di viaggio. Tocchiamo quiquello che finora si è rivelato il grave handicap dellaCMC, ovvero la computer mediated communication (Pac-cagnella 2004, 178-85): la freddezza del rapporto fraemittente e destinatario, a differenza di quando siincontrano persone che parlano con gli occhi, con i ge-sti, con il modo stesso di star seduti. Ma questo è tut-to un altro modo di comunicare, quello proprio dellacomunicazione interpersonale che solo in agenzia si hamodo di praticare: qui il catalogo, la brochure e il dé-pliant sono solo strumenti di sostegno a un’azione chesi svolge su tutt’altro piano, ed è qui che si perviene aquell’effetto di persuasione, nel senso più nobile dellaparola, intesa come negoziazione frutto, di incontri edi scambi di fiducia.

La comunicazione nelle agenzie di viaggio

Rimangono per ultimi i dettaglianti, ovvero gli agenti diviaggio: essi vendono il prodotto turistico già confe-zionato, anche se spesso si limitano a venderne solo unaparte (il viaggio, il posto letto, ecc.). Le agenzie di viag-gio sono le strutture più vicine alla clientela e costi-tuiscono l’ultimo anello della pratica turistica orga-nizzata, occupandosi della distribuzione del prodotto(Cogno Dall’Ara 1989, 178-81)La comunicazione attivata dagli agenti di viaggio tro-va nei cataloghi o nei dépliants solo degli ausili da cuipartire. Nelle agenzie è la persona addetta al front of-fice che si carica di responsabilità e finisce con l’esse-re determinante nella decisione all’acquisto che viene

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operata dal cliente. Da qui due rilievi: il primo ri-guarda la delicatezza della situazione in cui l’agente sitrova ad operare (egli è la persona esperta cui il clien-te affida il buon esito della sua vacanza, ma anche quel-la con cui il cliente se la prenderà se qualcosa non do-vesse andare come previsto); il secondo riguarda lacentralità della comunicazione interpersonale che sem-brava estranea all’universo che stiamo delineando e cheinvece torna ad essere importante.Pur ricorrendo alla comunicazione di massa, l’antica co-municazione interpersonale torna a essere del piùgrande rilievo in un’agenzia di viaggi, anche se nondobbiamo dimenticare il ruolo crescente che ha ormaila comunicazione su rete sia per la promozione che perla vendita di prodotti e pacchetti turistici. Nel caso in esame, comunicare significa ancora scam-biarsi messaggi ma ciò implica la mutua disponibilità de-gli interlocutori, l’avvicinarsi reciproco fino all’incon-tro faccia a faccia, la volontà di esser presenti l’uno al-l’altro coordinando i rispettivi interventi e armoniz-zandoli fino al punto di posizionare i corpi gli uni inrapporto agli altri seguendo norme convenzionali econdivise. Se riprendiamo le funzioni della comunica-zione, non tardiamo ad accorgerci del ruolo centrale chevi svolgono i tratti linguistici e paralinguistici, nonchéquelli non verbali nel loro complesso: il riferimento vasoprattutto alle funzioni espressiva e conativa ma nonpossiamo escludere le altre, dove intervengono tratti ci-nesici o prossemici (relativi cioè al linguaggio dei gestio all’uso sociale dello spazio) per nulla secondari. Certo, non tutto il comportamento verbale si può ri-tenere «comunicativo», ovvero intenzionalmente econsapevolmente tale, come è possibile constatare in-tuitivamente: il corpo umano si esprime attraverso

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segni, convenzionali, e sintomi, naturali. Nell’agirequotidiano, si ricorre inconsapevolmente alla comuni-cazione non verbale, concentrando l’attenzione suigesti, lo sguardo... Si pensi alla mole di tratti nonverbali che si prendono in considerazione quando siconversa con una persona mai vista prima: il suo aspet-to (la corporatura e i lineamenti del volto, l’abito e lacravatta, accessori come gli occhiali o la pipa) tra-smette continue informazioni che offrono una deter-minata immagine (quella voluta o semplicemente ac-cettata o sopportata). Quell’immagine, a sua volta,contribuisce a delineare il contesto che incide sulle in-terpretazioni del suo discorso.Non solo il corpo, ma anche lo spazio comunica, o me-glio consente agli attori sociali di usarlo per comuni-care. Il modo in cui il parlante si dispone, la maniera diatteggiarsi nei confronti dell’interlocutore, la distanzache assume nei confronti di quest’ultimo... fanno com-prendere come ci sia un uso sociale dello spazio, inte-so come modo di trattare e di ritagliare l’area comunein cui operano i partecipanti all’interazione. Si trattadiversamente lo spazio a seconda che ci si incontri inaula, in chiesa o al bar: nel corso di una normale con-versazione si preferisce disporsi di fianco o ad angolo;la disposizione faccia a faccia intensifica il contatto econnota una situazione di intimità oppure di scon-tro; lo stare di fianco attenua la dipendenza di un su-bordinato; lo scambio comunicativo all’interno di ungruppo risulta più paritario se ci si dispone attorno a untavolo rotondo piuttosto che a uno rettangolare. Nonci vuol molto a capire che: a) le relazioni tra i sogget-ti sociali condizionano la disposizione spaziale da loroadottata; b) la disposizione assunta riflette le relazioniesistenti e orienta la comunicazione in una situazione

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data; c) la stessa disposizione può attivare, o correg-gere, le relazioni sociali (Giacomarra 2000, 167-80).Venendo infine alla variazione linguistica, è risaputoche, attenuatasi la netta opposizione lingua/dialetto, siè via via diffusa una lingua «media» (per dirla con Pa-solini). Questa però, a dispetto del nome, non è omo-genea al suo interno, facendo registrare un gran nu-mero di variazioni nel tempo, nello spazio e nella di-mensione sociale. I nostri discorsi offrono di continuosegnali, i quali rivelano la nostra identità sociale egeografica, che immagine abbiamo di noi stessi maanche come vogliamo apparire agli altri. La complessitàed eterogeneità sociale, del resto, parecchio cresciutanel passaggio dalle società rurali a quelle industriali, tro-va un riflesso quasi obbligato nell’eterogeneità lingui-stica: quasi tutte le società note possiedono «varietà»linguistiche diverse ognuna delle quali svolge funzionisociali differenti ed è soggetta ad atteggiamenti o giu-dizi collettivi diversificati. La variazione non dipende solo dalla collocazione so-ciale del parlante, ma anche dalla situazione nella qua-le si svolge un atto di comunicazione. Chiunque è ingrado di avvertire cambiamenti di «registro linguistico»al mutare degli interlocutori o più in generale del con-testo di situazione: nel conversare in privato, tra ami-ci o in famiglia, l’attenzione alle forme grammaticali esintattiche è spesso ridotta e il parlato fa grande ricorsoalle comuni presupposizioni o al contesto; in pubblico,invece, la comunicazione verbale è molto più formale,rivolta com’è a un pubblico spesso non ben individuatoo sconosciuto. Per non dire delle gradazioni indivi-duabili tra diverse forme di orale privato (in famiglia oin salotto) e orale pubblico (in ufficio o in chiesa), scrit-to privato (una lettera o il proprio diario) e scritto pub-

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blico (una istanza formale rivolta a un’autorità). Ilconversare in agenzia costituisce, com’è facile com-prendere, uno dei contesti più significativi in cui espli-ca tutta la sua potenza la comunicazione interpersonale,favorendo fiducia, confidenza, cordialità.

Comportamenti eterodiretti: il turismo da pratica aimmagine

Avviandoci alla conclusione, riteniamo sia il caso di ri-percorrere velocemente alcuni dei nodi costitutivi delturismo odierno, adottando una prospettiva che atratti può sembrare «apocalittica» ma che in effetti èdel tutto condivisibile. Il turismo è diventato semprepiù sinonimo di evasione, imprevedibilità, avventura,libertà e liberazione dal tran tran quotidiano. Ma lapratica del turismo organizzato ha bisogno di svol-gersi su una base strutturata di azioni e servizi. Ciòvuol dire che le vacanze promuovono tutta una com-plessa organizzazione, comprese le attività indotte, laquale mal sopporta il senso del provvisorio e, ancor pri-ma, l’imprevedibilità delle richieste del singolo. Auna domanda stagionale, elastica, composita, rispondeinfatti un’offerta che non può non essere permanentee rigida, essendo definita una volta per tutte con ca-denze al minimo annuali. Da qui la debolezza strut-turale non dell’offerta turistica in sé, ma del suo mododi rapportarsi alla domanda. Da qui ancora le soluzioni cui l’industria delle vacanzeha fatto maggiormente ricorso negli anni più vicini anoi:a) Differenziare l’uso della struttura ricettiva nel cor-so dell’anno, rivolgendosi a fruitori distinti: turismo

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balneare in estate, culturale in primavera e autunno, so-ciale in inverno.b) Comprimere o scoraggiare il turismo individuale epromuovere quello di gruppo. Ciò consente di pro-grammare con largo anticipo i periodi d’uso dei com-plessi ricettivi, attivando i servizi annessi e organiz-zando gli itinerari.c) Affidare sempre più alle agenzie di viaggio e aitour operator, e quindi alle campagne promozionali, ilsuccesso dell’offerta turistica. Si tratta in pratica di unasorta di delega che gli operatori turistico-alberghierifanno a grosse agenzie internazionali: queste, doporapidi sopralluoghi di loro inviati, costruiscono pac-chetti di itinerari con alberghi, spiagge, ristoranti,mezzi di trasporto e guide turistiche prenotati conmolti mesi d’anticipo. L’alea di una domanda semprepiù elastica e imprevedibile viene assunta insommaper intero dalla grossa agenzia. Questa ne viene a capoprogrammando, pianificando e facendo pagare in an-ticipo un’esperienza turistica ancora tutta da vivere. d) Qui interviene la mediazione pubblicitaria, in cui ri-sulta centrale il ruolo affidato all’immagine. La realtà ri-dotta a immagini fotografiche è un fatto su cui datempo hanno richiamato l’attenzione gli studiosi del fe-nomeno turistico. La mediazione per immagini messa inatto dalle agenzie per vendere un prodotto non altri-menti sperimentabile allarga il fenomeno già segnalato,estendendolo dal dopo al prima dell’esperienza: inquesto caso essa fornisce griglie di fruizione precosti-tuite, oltre a esercitare opera di persuasione. Le im-magini fotografiche su carta patinata dei dépliants, i fo-tomontaggi, l’accostamento di eventi reali e irreali, i te-sti che accompagnano e danno consistenza alle imma-gini: sono tutti meccanismi che creano aspettative e fan-

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no sì che la realtà da visitare sia già in qualche modovissuta in anticipo. Il turista non dovrà fare altro checercare gli stessi posti, scattare le stesse foto, riviverele stesse esperienze che i dépliants gli suggeriscono.Le immagini e i testi, infine, lungi dal segnalare dei re-ferenti, servono a «costruire realtà» di vacanze in cuiandare poi a rivivere sensazioni preconfezionate.

Il turista borghese di metà Ottocento, che si muovevasecondo quanto la guida a stampa gli prescriveva, co-stituiva ancora una figura di dilettante. A fine secolonasce, come è risaputo, l’agenzia di viaggio la qualesvolge un ruolo di intermediazione tra i produttori e ifruitori di vacanze: similmente all’artigiano, sulla basedell’incarico ricevuto l’agente confeziona un prodottosu misura. A questo punto emerge il ruolo centralesvolto dai «creatori di vacanze» che sono i tour opera-tor e dai venditori di vacanze, le agenzie di viaggio. Ri-volgendosi a un’agenzia, in realtà, il turista non fa al-tro che delegare a uno specialista l’organizzazione del-la sua vacanza: quest’ultimo mette a disposizione le suecompetenze, acquisite con l’esperienza, accede alleinformazioni necessarie e organizza il viaggio richiesto. Ma l’intermediazione non si ferma qui. Col procederedella divisione del lavoro, infatti, l’agenzia registrauna progressiva modificazione del suo ruolo originario.L’attività di intermediazione comincia a ridursi semprepiù alla commercializzazione di viaggi preconfezionati,predisposti da un’altra organizzazione specializzata,quella del tour operator appunto, che opera sul merca-to come produttore puro. Produzione e commercializ-zazione, anche se la separazione fra intermediario eproduttore nei fatti non è affatto rigida: a partire daquesto momento comincia a delinearsi quella che può

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ben chiamarsi «industria turistica», con regole, pro-cedure e valutazione dei risultati assimilabili a quellamanifatturiera (Savelli 1989, 111-112). Le agenzie di viaggio scoprono rapidamente i vantaggidella commercializzazione di massa e finiscono conl’assumere così sul mercato la figura di venditori aldettaglio. Esse raccolgono l’adesione di una serie diclienti ad un viaggio già completamente definito e or-ganizzato dal tour operator, offerto ad un prezzo de-terminato, tutto compreso, e ad una data prefissata.«Raccolgono così gruppi di turisti, che vivono condi-zioni analoghe di deprivazione turistica, li stimolano, liorganizzano, li assistono nell’accesso ai prodotti turisticipredisposti da un’apposita organizzazione industriale,talvolta li accompagnano con personale specializzato»(ivi, 116). Il turista non deve fare altro che salire su uncharter e abbandonarsi a scelte preconfezionate.Con la diffusione del turismo organizzato, con l’accessoa un sistema ricettivo standardizzato e definito in an-ticipo di mesi rispetto al determinarsi della domanda,emerge il «carattere eterodiretto» del turismo, desti-nato a qualificare, o connotare, quella che chiamiamola società opulenta, o post-industriale. Non è difficilecomprendere come i comportamenti eterodiretti di-pendano in gran parte dalla crisi della capacità creati-va individuale nella società industriale: qui il tempo«perde la sua qualità di risorsa o fattore di produzionee assume quella di prodotto. Per confermarsi come ta-le deve essere consumato rispettando precise normed’uso, programmando impegni e scadenze, pianifican-do secondo norme razionali fino al minuto, affinché ilcoordinamento con gli altri consenta di razionalizzaree massimizzare la produzione e il consumo» (ivi, 117).Ne deriva che la gestione del tempo libero, e delle va-

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canze in particolare, non viene vissuta personalmentema pianificata in anticipo delegandola a imprese spe-cializzate che fanno sistema.È chiaro che, con la delega della pianificazione deltempo libero, il turista rinuncia ad ogni possibilità diintervento attivo e creativo. Le sue inclinazioni per-sonali divengono elementi di disturbo da ridurre al mi-nimo: le scelte opzionali che gli vengono propostepiù che una affermazione di libertà sono delle tecnichedi riduzione del disturbo e non a caso sono quasisempre standardizzate e previste in catalogo. «L’abilitàdel manager del tempo libero consiste nell’affrontarele variabili attraverso la predisposizione di una serie diprodotti standardizzati, tutti preconfezionati». Para-dossalmente, in apparenza, la sola attività che chiamain causa il soggetto singolo non è rivolta all’esterno, maproprio al suo interno: essa consiste nell’adattare i pro-pri atteggiamenti, stati d’animo e sensazioni ai pro-grammi predisposti da altri, finendo col manipolare ipropri desideri, bisogni e scelte. «Non si può per-mettere di sbagliare strada, di non aver voglia di farequalcosa. Il turista eterodiretto non farà alcuna sco-perta durante il viaggio, non vivrà avventure, maverrà in contatto solo con ciò che altri hanno già sco-perto» (ivi, 118-19).L’ultimo fenomeno su cui conviene richiamare l’at-tenzione, lungo la linea (apocalittica?) che stiamo se-guendo, riguarda quella che si può dire la «produzioneistituzionale» delle motivazioni della vacanza. Non èdifficile convenire sul fatto che la funzione essenzialedelle agenzie di viaggio consiste nel coltivare interessi,attirare e far convergere le scelte dei singoli su propo-ste turistiche ben definite: essa risulta dunque stret-tamente legata alla «creazione di bisogni» adeguati a

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quelle proposte attraverso il ricorso ad efficaci cam-pagne pubblicitarie. Nonostante gli sviluppi degli ultimicinquant’anni, l’industria turistica non si può direche abbia ancora saturato il mercato: può perciò con-tare su una grande riserva di clienti potenziali orien-tando messaggi ben costruiti e seducenti su prodottipreconfezionati, comportamenti omogeneizzati e digrande attrattiva. L’esigenza di differenziare l’offertanon può che essere successiva nel tempo, quando ilmercato è già saturo e le imprese sono obbligate aconquistarsi clienti l’una a spese dell’altra.«È sul cliente, confuso dalla massa delle mete offerte,che si basa l’organizzazione. Sul banco di vendita loaspettano i prospetti colorati e accattivanti predispostidai tour operator, basati sull’immagine subliminale chenon giunge alla coscienza: essa afferma, influisce, sti-mola, senza provocare un’autonoma elaborazione per-sonale. Propone soluzioni che sfuggono al raffronto co-sciente con i bisogni del soggetto, o trasporta nella si-tuazione rappresentata». La conseguenza può essereben messa in rilievo: «Il mutamento del carattere so-ciale, con lo spostamento dell’enfasi dall’iniziativa in-dividuale alla capacità di corretta esecuzione, determinala trasformazione dei mezzi in fini. Il mezzo diventa fi-ne a se stesso, il consumo di merci e servizi predispo-sto dall’organizzazione soppianta l’esperienza direttadella natura, imprevedibile nelle sue conseguenze e neisuoi pericoli» (ivi, 121-23).

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Questo volume è stato stampatosu carta Grifo vergata

delle Cartiere Miliani di Fabrianonel mese di dicembre 2005

Stampa: Officine Grafiche Riunite, Palermo

Legatura: LE.I.MA. s.r.l., Palermo

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1 Mario Gandolfo Giacomarra. Una sociologia della culturamateriale

2 Antonino Di Sparti. Linguistica e informatica3 Antonio A. Santucci. Antonio Gramsci. 1891-1937

Tutto e subitoCollana diretta da Antonino Buttitta