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UN EQUILIBRIO DA SPERIMENTARE Non solo una questione di donne

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UN EQUILIBRIO DA SPERIMENTARENon solo una questione di donne

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RINGRAZIAMENTI

La realizzazione del progetto “Un Equilibrio da sperimentare” è stata possibile grazie al contributo competente e alla collaborazione di: Clara Bassanini, Anna Castiglion, Bruna Dagnes, Elisabetta Donati, Pina Madami, Eugenia Malara, Cristina Marguerettaz, Carla Stefania Riccardi, Laura Plati, Monica Savio, PierinaTabor, Giuliana Vuillermin, il Comitato Pari Opportunità dell’Azienda USL e le componenti del Comitato di pilotaggio del progetto.

Un ringraziamento, inoltre, a tutte e tutti le operatrici ed operatori dell’Azienda che hanno partecipato con grande disponibilità al percorso formativo e alle lavoratrici e ai lavoratori dei reparti Gastroenterologia e Geriatria Acuti che hanno contribuito alla buona riuscita della sperimentazione.

Gruppo di progetto:Anna CastiglionReferente Ufficio Progetti Innovativi e Pari Opportunità SC Comunicazione, Azienda USL Valle d’Aosta

Clara BassaniniSociologa, esperta di azioni positive e politiche di conciliazione

Elisabetta DonatiSociologa, Università di Torino

Pina MadamiSociologa, esperta di politiche organizzative e di genere

Ideazione grafica:Morgana RappazzoSC Comunicazione, Azienda USL Valle d’Aosta

“Un Equilibrio da sperimentare” è un progetto co-finanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE) programmazione 2007/2013 anno 2008 asse B - occupabilità - Obiettivo specifico F (migliorare l’accesso delle donne all’occupazione e ridurre la disparità di genere).

AZIENDA USL VALLE D’AOSTA SC Comunicazione - Ufficio Progetti Innovativi e Pari Opportunita’via Guido Rey, 1 - Aostatel. 0165 544592 - 0165 544628

www.ausl.vda.it

Edizione marzo 2011 - Stampato dalla Tipografia Valdostana S.P.A.

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UN EQUILIBRIO DA SPERIMENTARENon solo una questione di donne

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CAPITOLO 1 - �

INDICE

Presentazione pag. 5 a cura di Carla Stefania Riccardi, Direttore Generale dell’Azienda USL Valle d’Aosta

1. Introduzione tematica pag. 007 “La conciliazione familiare oggi: senso e sguardo di prospettiva”

Elisabetta Donati

2. L’Azienda Family Friendly pag. 018 “La conciliazione come tema organizzativo”

Anna Castiglion

3. Un equilibrio da sperimentare pag. 021 “Un metodo ed un modello di partecipazione attiva” “ Le parole per dirlo”

Clara Bassanini, Elisabetta Donati, Pina Madami,

4. Traiettorie di sviluppo per un’azienda family friendly pag. 030Nuove idee pensando al futuro di una conciliazione possibileClara Bassanini, Elisabetta Donati, Pina Madami

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PRESENTAZIONE

Da anni l’Azienda pone grande attenzione alle tematiche della conciliazione. La presenza numericamente determinante di personale femminile, di cui gran parte originaria di altre regioni e, quindi, priva di rete familiare, pone spesso il lavoratore o la lavoratrice di fronte a scelte obbligate per poter assicurare la necessaria cura della famiglia (aspettative, tempo parziale, congedi).

Allo scopo di sostenere i dipendenti nel difficile equilibrio famiglia-lavoro, l’Azienda ha cercato, negli anni, in condivisione con le organizzazioni sindacali e con il comitato pari opportunità, di mettere in atto azioni concrete, a sostegno delle famiglie.

Il primo, importante, intervento è rappresentato dall’asilo nido aziendale, a cui hanno fatto seguito i centri estivi e, recentemente, il progetto “Un equilibrio da inventare”, poi evoluto in “Un equilibrio da sperimentare”, mirato ad individuare soluzioni organizzative interne ai reparti per favorire la conciliazione.

La sfida attuale è rappresentata dalla sostenibilità di iniziative come queste, che devono poter essere mantenute e consolidate nel tempo.

Carla Stefania Riccardi

Direttore Generale Azienda USL Valle d’Aosta

PRESENTAZIONE - �

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INTRODUZIONE TEMATICA La conciliazione familiare oggi: senso e sguardo di prospettiva

Elisabetta Donati

La posta in giocoMediamente, ci rivelano le indagini nazionali ed europee, le persone sono profondamente insoddisfatte dell’uso del loro tempo (dati EuroFound 2006, Istat 2010). Ma possiamo fare qualcosa per migliorare questa situazione? Ed intervenire può essere di vantaggio per molti, individui, famiglie, contesti organizzativi, comunità?Cercare nuovi modelli di compatibilità fra le forme lavorative che si stanno diffondendo e i nuovi modi di organizzare la vita personale, familiare e sociale, come conseguenza della maggiore longevità, della instabilità e eterogeneità delle famiglie nucleari e della multiculturalità, è un obiettivo di rilievo strategico per l’Unione Europea. In un interessante studio1, predisposto per la Commissione europea, si trovano alcune proposte che mirano a rompere con l’esclusivo riferimento al lavoro retribuito e di mercato per abbracciare le diversità delle forme di lavoro sperimentate nella vita umana: prima fra tutte il lavoro riproduttivo, ma anche l’autoformazione o il lavoro volontario e gratuito. Lo status professionale viene integrato con le esigenze di parità tra uomini e donne, della formazione continua, dell’assunzione di responsabilità di interesse generale. In sintesi, si suggerisce che occorre garantire una condizione lavorativa che inglobi le diverse forme di lavoro che ogni persona può compiere nel corso della propria vita. La proposta si colloca sulla scia delle indicazioni di altri studi comparativi (ILO, 2000) e mira a superare l’attuale calendarizzazione fra una fase iniziale dedita alla formazione, una centrale impegnata dal lavoro e una terza dedita al tempo libero (tipica della produzione “fordista”, basata sul modello di “male breadwinner” e garantita generalmente agli attuali “insiders”, lavoratori a tempo indeterminato), per proporre azioni volte a rendere compatibili per ciascun lavoratore e lavoratrice i diversi aspetti della vita. Il tema della conciliazione, da questione delle donne, viene riformulato come strategia redistributiva di tempo e di risorse lungo l’asse del genere e delle generazioni, come concezione più flessibile ed articolata dell’identità lavorativa, in relazione al ciclo di vita e agli equilibri che si possono creare fra impegni di lavoro, responsabilità di cura e interessi personali, come attenzione al rapporto fra le generazioni e ai processi di trasmissione sociale.Viene così a porsi l’esigenza di adattare i luoghi lavorativi, i servizi del Welfare State, i percorsi della formazione ai cambiamenti economici, demografici e sociali che si sono verificati e progettare sistemi che rendano compatibili autonomia personale e responsabilità verso altri. Ridefinire le carriere professionali per poter gestire le discontinuità possibili nel corso di vita, in coincidenza con le necessità di cura (dei figli, come dei genitori anziani), di investimento in formazione ed aggiornamento, di impegno volontario, non come penalizzazioni, ma come risorse per il futuro significa per i luoghi lavorativi acquisire nuove culture, sperimentare pratiche sociali, sviluppare competenze affinché una maggiore articolazione e flessibilità dei percorsi lavorativi dei soggetti non sia considerata automaticamente come sfavorevole per le aziende. La filosofia generale presente nelle buone pratiche raccolte in diversi anni di attività dal network europeo Families and Work conferma che “se non si è rigidi e pregiudizievolmente ostili, una ricerca di flessibilità che sia favorevole ai soggetti è anche favorevole all’azienda” (Piazza et al. 1999, pag. 20). La conciliazione lavoro famiglia, sostiene uno studio economico (Chelli, Rosti, 2002), veicola uno sviluppo organizzativo, rendendo i datori di lavoro meno pessimisti sul rendimento lavorativo delle donne, e migliorando l’abbinamento con i posti di lavoro di più alto livello gerarchico che permettono al talento di rivelarsi.

1 A. Supiot, Il futuro del lavoro, Carocci 2003

INTRODUZIONE TEMATICA - 6

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I dati di contesto della conciliazioneCome sottolinea M.L. Pruna2, dalla propensione o meno delle donne al lavoro discendono profondi cambiamenti nella struttura e nel funzionamento della società e viceversa: una variazione della presenza delle donne nel mercato del lavoro è già di per sé un segnale che qualcosa nella società è cambiato.La presenza delle donne nel lavoro remunerato dipende da molti fattori: in Italia si è da subito scontrata con la rigidità dei carichi familiari, la configurazione del mercato del lavoro, la scarsità di servizi per l’infanzia, determinando, come scrive l’Istat, “conseguenza sulla qualità della vita e sui percorsi lavorativi delle donne”.Scelte lavorative, tempo di permanenza nel mercato del lavoro, tipologie orarie, modelli di carriera seguono ancora percorsi differenziati fra donne e uomini. Mentre le biografie maschili presentano mediamente un’ampia fase centrale della loro esistenza occupata dal lavoro, senza interferenze (tranne eventi imprevisti), per le donne la partecipazione segue percorsi differenziati e variabili nel tempo: gli impegni nel lavoro e nella vita familiare possono comportare la necessità di riconsiderare scelte già definite, di comporre equilibri provvisori, di rispondere a bisogni riorganizzando le varie risorse. Lavori di “patchwork” secondo le parole di Laura Balbo, o strategie di “agency” e di “adattamento attivo” secondo i nuovi parametri della cittadinanza europea.Nonostante il problema della conciliazione fra tempi diversi sia presente in tutti i paesi sviluppati e coinvolga tutti i lavoratori, indipendentemente dal genere e dall’età, in Italia la difficoltà di conciliare è avvertita maggiormente dalle donne. Perché?Essenzialmente per due ragioni: la prima è che la divisione del lavoro familiare in Italia è fortemente e tenacemente asimmetrico, a svantaggio delle donne. Le recenti indagini Istat3 sull’uso del tempo confermano un trend di timidi mutamenti, soprattutto ad opera di partner entrambi occupati e con elevato livello di istruzione: tuttavia come ha ricordato la direttrice dell’Istat alla recente Conferenza nazionale sulla famiglia (novembre 2010), oltre il 76.2% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne, valore di poco più basso di quello registrato nel 2002-2003 (77,6%). Persiste dunque una forte disuguaglianza di genere nella divisione del carico di lavoro familiare tra i partner. L’asimmetria è trasversale a tutto il Paese, anche se nel Nord raggiunge livelli più bassi.Negli ultimi sei anni, prosegue la strategia di contenimento del lavoro familiare da parte delle donne. Ad esempio, confrontando i collettivi di donne alle due date di indagine, cala di 14’ il tempo delle madri per il lavoro domestico (17’ per le occupate) e cresce, anche se lievemente, il tempo per la cura dei bambini fino a 13 anni: in ogni caso per le madri lavoratrici il tempo di lavoro familiare è superiore a �h. Nello stesso periodo è stabile il tempo dedicato dagli uomini al lavoro familiare (1h�3’), solo in presenza di figli e di una partner occupata si evidenzia un incremento di 9’ (da 1h55’ a 2h04’) del tempo di lavoro familiare, che riguarda soprattutto il lavoro di cura dei bambini fino a 13 anni (+6’), e a cui corrisponde un aumento di circa due punti percentuali anche nella frequenza di partecipazione.I cambiamenti nei tempi del lavoro familiare sono visibili soprattutto nelle coppie in cui anche la donna ha un lavoro remunerato e vi sono dei figli, ovvero nelle situazioni in cui il carico di lavoro complessivo che ricade sulle donne è tale da richiedere loro una continua attività di riorganizzazione dei tempi di vita. Anche in queste situazioni più gravose i mutamenti dei comportamenti maschili restano però lenti e limitati.In sintesi, sommando lavoro remunerato e lavoro non pagato, le donne italiane mediamente lavorano un’ora in più al giorno dei loro partner.

La seconda ragione supera le mura domestiche, ma in qualche misura ne accentua la diseguaglianza nella distribuzione di genere del lavoro non pagato perché chiama in causa le politiche familiari adottate nel nostro paese. Come confermano dati nazionali e statistiche internazionali (Ocse ed Eurostat) l’Italia è fanalino di coda negli aiuti per i figli: la spesa pubblica per le famiglie è tra le più basse d’Europa (�.�%

2 M.L. Pruna, Donne al lavoro. Una rivoluzione incompiuta, Il Mulino, 20073 Istat, Indagine Multiscopo sull’uso del tempo, Roma, 2010

8 - INTRODUZIONE TEMATICA

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CAPITOLO 1 - 8

contro la media del 7.8%). Anche nelle esigenze di cura dei genitori anziani le politiche pubbliche si arrestano sulle soglie di casa, determinando quel modello di cura definito “famiglia con badante”4.L’offerta pubblica di servizi alle famiglie è rimasta quasi invariata negli ultimi 30 anni (C. Saraceno, 2003) di fronte all’aumento dell’occupazione e dell’offerta di lavoro femminile e le poche politiche familiari previste in Italia continuano ad essere pensate come se vi fosse ancora una casalinga a tempo pieno (ne sono prova i calendari e gli orari scolastici). Nonostante i rilievi di novità introdotti dalla legge sui congedi parentali (ex Legge n. 53/2000, ora n. 183/2010) la scarsa generosità del nostro paese nei trasferimenti monetari e di servizi per le famiglie finisce per scoraggiare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro oltre che ad alimentare valori e comportamenti tradizionali che esprimono una propensione assoluta verso il lavoro degli uomini e un favore ancora incerto verso il lavoro femminile, sulla cui piena legittimazione esistono dubbi e riserve. Un paese, il nostro, che si prodiga in discorsi di acclamazione del valore della famiglia, dove le reti di solidarietà familiare e intergenerazionale, date per scontate ed efficaci sotto ogni latitudine storica ed economica, vengono considerate un puntello essenziale per il benessere e la cura degli individui. Senza pensare che queste reti di risorse, questi valori di solidarietà non si distribuiscono equamente e non sono inesauribili: la loro forza può essere indebolita dai processi demografici ed economici. Pertanto gli individui che si assumono responsabilità di cura verso altri, indipendentemente dalle forme familiari che hanno generato, vanno sostenuti con specifiche misure.Il recente rapporto sulle madri nel mondo ed in Italia (Save the children, 2010) confermano che la miglior misura di protezione dei bambini e di contrasto alla povertà è il lavoro retribuito delle madri. Tuttavia i dati mostrano come per molte donne essere madri, in Italia, voglia dire misurarsi con situazioni estremamente critiche, per quanto riguarda la condizione economica, l’integrazione e la stabilità lavorativa, la possibilità di fronteggiare rischi quotidiani e di definire progetti di vita per sé e per il futuro dei propri figli. Complessivamente, sono più di un milione le mamme in Italia che si trovano a vivere tali condizioni.Mentre il tradizionale modello di vita familiare basato sul reddito del capofamiglia perde terreno anche nel nostro Paese, le madri affrontano la povertà sia quando vivono con il partner - soprattutto quando in famiglia non vi è un secondo reddito, ma talvolta, come si è visto, anche in presenza di due redditi, precari e insufficienti – e ancora di più quando sono madri sole, inserite nel mondo del lavoro con qualifiche generalmente molto basse e costrette, per necessità, ad accettare qualsiasi condizione di lavoro.

Il tassi di occupazione femminile in Italia si attesta al �7%. Quasi metà delle donne in età lavorativa non partecipa alla vita economica: si tratta di più di 9 milioni di donne fra i 3� e i �� anni. Il dato nazionale è fortemente eterogeneo, con regioni dove le donne presentano tassi di occupazione quasi in linea con gli obiettivi europei del 60% (Piemonte, Lombardia, Trentino, Veneto, Valle d’Aosta) e regioni dove lavora meno di una donna su tre.

4 Bettio, F., Simonazzi, A. and Villa, P. (2006), “Change in care regimes and female migration: the “care drain” in the Mediterranean”, in: Journal of European Social Policy, 16

INTRODUZIONE TEMATICA - 8

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Tab. n.1TASSO DI OCCUPAZIONE DELLA POPOLAZIONE IN ETÀ 15-64 ANNI PER SESSO

NEI PAESI UE - ANNO 2008 (VALORI PERCENTUALI)

Fonte Eurostat, Labour Force Survey

La condizione familiare è una variabile significativa dell’occupazione femminile: quanto più è elevato il carico familiare, tanto minore è la presenza delle donne nel mercato del lavoro.Le indagini Istat segnalano che fra le donne di età compresa fra i 3� e i �� anni, che rappresentano la componente più elevata di donne occupate (61.3%) il tasso di occupazione per le single è del 86.7%, quello delle donne coniugate (senza figli) del 76.�% e scende al ��% tra le madri che vivono con il partner.

Tab.n.2 TASSO DI OCCUPAZIONE FEMMINILE IN VARI PAESI EUROPEI,

PER ETÀ DEL FIGLIO PIÙ PICCOLO

Fonte OECD, 2006

85

80

7�

70

65

60

55

50

45

85

80

7�

70

65

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55

50

450 figli Sotto i 3 anniTra 3 e 5 anni Tra 6 e 14 anni

g

UK

GERNET, FRA

ITA

GRE, SPA

SPA

GRE

GER UK

FRA

NET

FRA

UK

GER

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GRE

ITA

g

g

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pp

p

p

p

p

p

p

10 - INTRODUZIONE TEMATICA

PAESItasso di

occupazione femminile

PAESItasso di

occupazione femminile

PAESItasso di

occupazione femminile

Danimarca 7�.3 Cipro 62.9 Spagna 54.9

Svezia 71.8 Portogallo 62.5 Slovacchia 54.6

Paesi Bassi 71.1 Lituania 61.8 Romania 52.5

Finlandia 69.0 Francia 60.7 Polonia 52.4

Estonia 66.3 Irlanda 60.2 Ungheria 50.6

Austria 65.8 Bulgaria 59.5 Grecia �8.7

Regno Unito 65.8 Repubblica Ceca �7.6 Italia 47.2

Germania 65.4 Belgio 56.2 Malta 37.�

Lettonia 65.4 Lussemburgo 55.1 Ue27 59.1

Slovenia 64.2

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CAPITOLO 1 - 10

La difficile conciliazione, come emerge in tante ricerche, è pagata dalle donne italiane soprattutto dalle più giovani, che hanno investito maggiormente in istruzione, ma posticipando e riducendo il numero dei figli (Solera, 2006).Il quadro che ne emerge è quello di una società statica, impigliata – si direbbe – in una trappola di bassa fecondità e bassa partecipazione lavorativa femminile, dalla quale la maggior parte dei paesi dell’Europa centro-settentrionale sono usciti con il coraggio di investimenti pubblici che ora producono ricadute positive sia sugli individui che sui sistemi economici (Mencarini, 2010).

La maternità come evento organizzativoUno dei fenomeni demografici più rilevanti per il nostro paese è la diminuzione delle nascite: le donne diventano madri più tardi e sempre più spesso di un solo figlio-a. Il numero annuale di nati in Italia da diversi anni si aggira intorno al mezzo milione, dopo aver conosciuto periodi più prolifici, come negli anni del cosiddetto baby boom, in cui i nati superavano il milione.Come è noto, la fluttuazione nel numero delle nascite è in relazione a due fattori5: un fattore di “massa” ovvero il numero delle donne in età riproduttiva, effettivamente presenti in un dato anno; il secondo riguarda la propensione individuale ad avere figli, un elemento di sintesi fra scelte individuali e contesto di riferimento, composto da ambiente sociale ed economico, sistema di valori, costi ed opportunità dell’avere figli, disponibilità ed efficacia dei sistemi per la pianificazione familiare. Guardando a questo secondo fattore, occorre considerare che, nonostante la forte flessione nella fecondità effettiva, il numero ideale di figli per le donne italiane è ben superiore a 2.Come emerge dalle indagini Istat, il figlio unico, che rappresenta il comportamento riproduttivo reale, è considerato il numero ideale di figli solo dal 3,�% delle donne. Il valore largamente prevalente, sul piano ideale, è di due figli (63%), dato che si mantiene stabile nel tempo. Infatti sia le madri nate a partire dagli anni ’70 che quelle del decennio precedente (anni ’60) si propongono di avere almeno due figli. Passando dagli ideali alle aspettative personali entrano maggiormente in gioco le concrete condizioni individuali e i vincoli effettivi. Il numero di figli attesi si attesta su 2, ma compare anche un gruppo di donne che non pensa di diventare madre e diviene più importante l’indicazione del figlio unico. Nel complesso, concludono le più importanti ricerche italiane, le intenzioni riproduttive delle donne del nostro paese sono ancora ancorate ad un modello di famiglia con due figli, sia a livello ideale che di aspettative. Anche gli uomini esprimono lo stesso orientamento.

Se è vero che non ci sono più figli della fortuna, ma figli e figlie della scelta, la maternità è un desiderio ed una scelta delle donne di fare figli, su cui convergono un complesso di dimensioni, di segno tradizionale e di segno innovativo.La dimensione soggettiva si intreccia a quella sociale e collettiva. Se negli orientamenti culturali più diffusi si riconosce che le condizioni di vita delle donne, sia negli spazi pubblici che in quelli privati, siano profondamente cambiate, permangono sotto pelle costumi e mentalità che risentono digravi incomprensioni, contraddizioni, superficialità. In tema di maternità le ambivalenze sono potenti: a fronte di un immaginario esaltato e spesso retorico del divenire madre e del desiderio di maternità, si staglia una irrilevanza e distrazione sociale, quando non una precisa colpevolizzazione e discriminazione.Come sintetizza l’Istat, nel mentre il lavoro diviene una dimensione sempre più importante dell’identità femminile, l’accesso al mercato del lavoro ed il mantenimento del lavoro per le donne con figli è uno degli elementi più critici della parità incompiuta fra donne e uomini nel nostro paese.La recente indagine Eurostat (2008) rivela che in Italia la maternità è considerata l’ostacolo maggiore al successo professionale delle donne e che continuare a lavorare dopo essere diventate madri è dura per tutte. Il 20,1% delle madri occupate al momento della gravidanza non lavora più dopo la nascita del primo figlio-a: il motivo prevalente è l’inconciliabilità del lavoro con l’organizzazione familiare e la necessità di stare più tempo con i figli.I luoghi lavorativi non sembrano ancora attrezzati a riconoscere una cittadinanza alle donne con

5 Sorvillo M. P.(2002), La fecondità in Italia, in Osservatorio Nazionale sulle famiglie e le politiche locali di sostegno alle respon-sabilità familiari: Famiglie: mutamenti e politiche sociali, Il Mulino, Vol.II

INTRODUZIONE TEMATICA - 10

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CAPITOLO 1 - 11

responsabilità di cura: o si fanno figli o si investe nella carriera. I presunti o effettivi progetti di maternità delle giovani lavoratrici pesano come dei deterrenti agli investimenti delle imprese sulle competenze delle donne e regna una generale inerzia culturale verso la individuazione di soluzioni di efficacia e di reciproca convenienza fra esigenze produttive e responsabilità di cura familiare. Come spiegare altrimenti le paradossali condizioni in cui molte donne si sono trovate nel momento in cui rientravano al lavoro dopo il congedo di maternità, dove culture organizzative e modelli di carriera le prevedono o come individui neutri o come dipendenti parziali, sospinte verso dimensioni delle esperienze da cui sono attese e comprese solo se agiscono con comportamenti ed adesioni totalizzanti, sia quelli nella versione di affidabile lavoratore sia quelli di madre dedita.

Come ha ben sintetizzato M. Chiesi (2008), le aziende presentano verso la maternità risposte formali ed informali che si distribuiscono lungo un asse in cui da un lato troviamo comportamenti che ne riconoscono a pieno il valore sociale ad un opposto in cui la discriminazione diviene la risposta organizzativa.

Tab. n. 3EVENTO MATERNITÀ E POSIZIONI/ENUNCIATI DALLE IMPRESE

Leggi, contratti, policy e buone prassi stanno modificando i contorni dell’agire organizzativo ed aumentando la consapevolezza che per riconoscere piena cittadinanza alla maternità e alla paternità (i padri sono maggiormente coinvolti nella cura dei figli piccoli anche dalle nuove disposizioni di legge, come la Legge n. �3 del 2000) occorre modificare certi schemi logici ed interrogarne le rappresentazioni simboliche. Occorre promuovere modelli e culture organizzativi che mantengano un buon legame fra la lavoratrice madre ed il lavoratore padre ed il contesto di lavoro, che riconoscano e valorizzino le risorse, le competenze e gli investimenti di cui si sono attrezzate le donne (e recentemente anche molti uomini) nelle loro diffuse esperienze di conciliazione fra impegni lavorativi e impegni di cura personali e familiari. Sperimentare nuove prassi, avviare soluzioni flessibili, validarle nel tempo, si rivelano efficaci strategie per trasformare le responsabilità di cura del personale da “intoppo” a “risorsa organizzativa”, per supportare motivazioni e professionalità, per negoziare reciproche convenienze nelle diffuse aspirazioni delle donne e degli uomini di agire come individui “integri”, capaci di lavorare ed insieme di assumersi responsabilità di cura, di sé, di altri, dell’ambiente lavorativo, senza essere costretti ad aut aut. Una responsabilità sociale delle imprese affinché chi lavora possa non solo tenere meglio in equilibrio famiglia e lavoro ma possa anche trovare la fiducia e la motivazione ad investire in formazione, ad aggiornare le competenze, a migliorare il proprio bagaglio di conoscenze: sia per le esistenze sempre meno standardizzate e più rischiose degli

EVENTOMaternità

come valore da riconoscere

e da gestire efficacemente

EVENTOMaternità

come valore da riconoscere

ma difficile da gestire

EVENTOMaternità

come valore da

riconoscere:anche se è

costosoe complica

l’organizzazione

EVENTOMaternità

come un fatto personale e che

tale deve restare.L’azienda non se ne occupa (applicazione

della legge e dei contratti)

EVENTOMaternitàcome costo

economico e organizzativo

che va gestito in modo da ridurne preventivamente

l’impatto sul-l’organizzazione

(escludere le donne dai luoghi “core business”)

EVENTOMaternità

come vincolo ec-cessivo per i costi e per gli obblighi

(garanzia del posto di lavoro e

della funzione ricoperta,

diritto alle assenze obbligatorie e

facoltative, divieto di

discriminazioni) che le aziende non vogliono

avere in forma cogente

(modificare la legge italiana)

L’impresa ha un sistema di gestione del personale avanzato ad “hoc” da attivare

quando le donne vanno in maternità

VISIONE INNOVATIVA VISIONE TRADIZIONALE

{

12 - INTRODUZIONE TEMATICA

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CAPITOLO 1 - 12

individui, sia per le esigenze di modernizzazione e di competizione delle imprese.Inoltre, come evidenziano da oltre 20 anni i dati empirici dei paesi del centro-nord Europa, sostenere, attraverso adeguate politiche pubbliche ed aziendali, l’occupazione femminile, soprattutto nella fase in cui sono presenti figli piccoli, favorisce una ripresa delle nascite. Tutti i dati internazionali confermano che i paesi con tassi di occupazione più bassi e con un tasso di natalità inferiore sono quelli che hanno una copertura di servizi più bassa, che presentano una minore disponibilità dei padri a prendere i congedi parentali, dove le donne hanno un maggior carico di lavoro domestico e dove più bassa è la condivisione del lavoro di cura tra uomini e donne. In sintesi, l’Italia, imprese comprese, potrebbe solo avvantaggiarsi da un aumento dell’occupazione femminile e dal desiderio delle donne (e dei loro partner) di avere dei figli!

La conciliazione per la cura di genitori anziani Uno dei fenomeni di maggiore evidenza nel nostro, come in quasi tutti i paesi del mondo, è l’invecchiamento della popolazione. In Italia, dall’Unità o oggi, la durata media della vita è passata da circa 30 a circa 81 anni, e, anche se negli ultimi tempi si notano alcuni segni di rallentamento, è ragionevole prevedere che il progresso continuerà ancora per molti anni (De Santis, 2010).Nello specifico, l’invecchiamento della popolazione si rivela molto più rapido in Italia a causa della concomitanza di due fattori: l’allungamento delle speranze di vita (79,1 e 8�,3 rispettivamente per gli uomini e per le donne, Istat 2010) e la diminuzione della fecondità, creando un indice di dipendenza molto alto; inoltre l’invecchiamento della popolazione non è solo un fenomeno sociale ma anche familiare: invecchiano oltre agli individui, anche le parentele, un mix di mutamenti a livello macro e micro che stanno ponendo questioni molto rilevanti alle politiche pubbliche e alle esistenze degli individui.Vi sono aspetti specifici, come rivelano le condizioni di vita degli adulti nell’età di mezzo tra i �0 e i 60 anni che oggi rappresentano la generazione “sandwich” ovvero i “pivot” il perno su cui pesa un sovraccarico intergenerazionale, dovuto sia all’allungamento delle transizioni dei giovani adulti che all’invecchiamento delle parentele.Il processo di invecchiamento della popolazione è così repentino nel nostro Paese che non stupisce che gli attuali cinquantenni abbiano in maggioranza ancora uno o entrambi i genitori viventi6.

Tab. n. 4

GENITORI VIVENTI IN UN CAMPIONE DI 1000 INDIVIDUI FRA I 50 E I 60 ANNI, RESIDENTI IN PIEMONTE,PER SESSO E CLASSE D’ETÀ (VALORI %)

Fonte: Ires Piemonte, 2008

6 I dati si riferiscono ad una survey su 1000 individui fra i �0 e i 60 anni, occupati-te e pensionati-te, residenti nella regione Piemonte, realizzata nel 2006. Anche l’Indagine Multiscopo “Parentela e reti di solidarietà” dell’Istat ha rilevato che, fra i �� e i �� anni, il 6�.3% degli italiani ha la madre vivente ed il 61.�% il padre vivente (anno 2003).

Totale Sesso

Maschi FemmineClassi di età

50-54 55-59

Si �7.8 54.0 63.9 67.8 45.8

Si, entrambi 16.2 12.9 21.4 21.6 9.8

Si, la madre 37.2 36.6 38.2 41.4 32.1

Si, il padre 4.4 4.5 4.3 4.8 3.9

No 42.2 46.0 36.1 32.2 54.2

Totale 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0

INTRODUZIONE TEMATICA - 12

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CAPITOLO 1 - 13

Le difficoltà di conciliazione vengono evidenziandosi non solo quando si diventa genitori, ma anche quando all’impiego retribuito si affianca quello di figlia/figlio di genitori anziani non più autosufficienti. Le indagini nazionali ed europee ci segnalano che se per ora il fenomeno dei lavoratori adulti con ruolo di caregiver verso genitori anziani sia ancora numericamente limitato (1�% delle donne e l’8% degli uomini fra i �0 e i 6� anni, dati Eu 27, 2009), tenderà ad aumentare per effetto dell’aumento dell’occupazione femminile e dell’innalzamento dell’età alla pensione, rendendo “insostenibile il modello di cura basato su una prevalente responsabilità familiare femminile” (C. Saraceno, 2009).La tradizionale riserva di cura verso gli anziani fragili, rappresentata da spose, figlie e nuore sta assottigliandosi, le strutture residenziali coprono solo un 2% del fabbisogno ed i servizi domiciliari raggiungono circa un �% della popolazione e per un numero limitato di ore. La maggior parte delle persone anziane non più autosufficienti sono dunque curate a casa, da famigliari coadiuvati da una “badante”: la disponibilità di manodopera a buon mercato, unita alla scarsità di servizi pubblici, rende il ricorso al lavoro delle donne immigrate la risposta più utilizzata dalle famiglie italiane. Laddove le risorse economiche e le condizioni di salute lo consentono, l’anziano è curato a casa, da una badante: tutto il menage è governato dalla regia quotidiana dei familiari, solitamente di un principale care giver, che sono le figlie femmine. Adulti intenti a gestire esistenze complicate da una molteplicità di ruoli che probabilmente si prolungheranno negli anni futuri: gli impegni del lavoro, la vita di coppia, la cura dei figli (spesso anche il mantenimento economico), dei nipoti e genitori anziani, l’aggiornamento e l’investimento in formazione. Anziché avviati a prendere posto nel cosiddetto “nido vuoto”, uomini e soprattutto donne di mezza età reggono e vivono una fase di pesante sovraccarico di attività e di responsabilità per riuscire a mantenere un’occupazione e una vita relazionale e familiare propria (non parliamo di tempo per sé!).Sia dati nazionali che indagini campionarie7 portano in primo piano proprio queste complesse esistenze adulte: persone che affrontano nuovi compiti cercando adattamenti alle mutate circostanze di vita, provando a percorrere anche strade diverse da quelle sinora intraprese o anche solo immaginate nel lavoro, in famiglia, nel contesto esterno. Le ricerche sottolineano come il lavoro, oltre che per necessità (anche per concludere carriere professionali prolungate dalle recenti riforme previdenziali), diventi spesso un’ancora di salvezza, un luogo in cui mantenere relazioni, reintegrare le energie spese nella complessa gestione delle cure di un genitore non più autonomo. Per le donne ancora di più, perché il lavoro da adulte ne fa apprezzare il segno di autonomia che ha impresso alle loro esistenze e le aiuta a fronteggiare con maggior equilibrio le esigenze di cura dei familiari. A coloro che hanno dovuto lasciarlo a causa del peggioramento delle condizioni di salute di un genitore, capita di tenere aperti un desiderio, una disponibilità a tornare eventualmente in futuro nel mondo del lavoro, convinti che sia possibile compensare, quanto eventualmente perso in abilità professionale, con un aggiornamento, ma soprattutto con quanto acquisito in competenze della cura.

Proprio perché il lavoro è un elemento centrale della loro economia di vita sono convinti che le aziende, a volte anche con piccoli accorgimenti organizzativi: qualche flessibilità negli orari, periodi di part-time non penalizzanti, una cultura più “friendly”, potrebbero renderlo meno faticoso e più conciliabile con le loro responsabilità in ambito familiare; con l’esito non secondario di garantirsi una manodopera affidabile e competente.

La conciliazione da “affare privato” a “responsabilità pubblica”In momenti di risorse limitate, come quello che stiamo attraversando, sprecare il talento delle donne, lasciando agire i pregiudizi legati al genere, aumenta i costi individuali e riduce il prodotto sociale effettivo.Lasciare che le istanze di una migliore conciliazione dei vari impegni e tempi di vita, espresse principalmente dalle donne adulte con carichi familiari, ma anche da molti uomini (non abituati al registro della “doppia presenza”) rimangano nell’approccio delle politiche manageriali come un affare privato, significa sprecare talenti ed investimenti.

7 L. Abburrà, E. Donati, Nuovi cinquantenni e secondi cinquant’anni. Donne e uomini adulti in transizione verso nuove età, F. Angeli, 2008 e Istat, Conciliare lavoro e famiglia. Una sfida quotidiana, 2008

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Risposte solo informali, eluse dai modelli organizzativi ed ignorate come domande di flessibilità reciprocamente vantaggiose, confermano un modello italiano di gestione delle risorse umane che si basa su una marcata “specializzazione per funzioni e fasi della vita, con tratti di forte esclusività”8: o si fa una cosa o se ne fa un’altra, modello che consegna ad un genere (soprattutto le donne) e a certe fasi della vita (con figli piccoli e genitori anziani) una pesante carico di responsabilità. L’Unione Europea9 ha posto le politiche di conciliazione al centro delle strategie per la crescita e la competitività, politiche che investono imprese, famiglie, stato sociale e coinvolgono uomini e donne, impongono una base solida di consenso e di condivisione. Si tratta di tradurle in un patto sociale che necessita di diverse misure: un “contratto sociale di genere” che le inquadri entro le politiche di parità fra donne e uomini; una richiesta di progressiva “socializzazione della cura”, che non faccia più riferimento alle capacità equilibristiche dei soggetti10, e che non abbandoni le famiglie, lasciando inalterate le diseguaglianze sociali; diventi una risposta di “active ageing”11 che gli organismi internazionali suggeriscono per fronteggiare l’impatto demografico dell’invecchiamento sociale. Se guardiamo ad alcuni indicatori delle politiche sociali possiamo osservare, con una certa dose di amarezza, che l’Italia è ancora lontana da quei paesi che hanno preso sul serio il tema della conciliazione, traducendola in politiche per il corso della vita, in cui coniugare equità fra i generi con il benessere nelle responsabilità di cura e nella qualità del lavoro.

Tab. n. 5INDICATORI DI POLITICHE SOCIALI PER LE FAMIGLIE

IN ITALIA, FRANCIA E SVEZIA.

Dati OECD, fonte Tanturri 2010

Come accennavamo all’inizio, diffusa è la percezione di insoddisfazione nel rapporto degli individui con il tempo. Le indagini Istat ci hanno dimostrato che nell’arco di quasi 30 anni le giornate degli italiani sono diventate affollate da attività che si svolgono in sovrapposizione, in minor tempo ma con maggiore fatica e stress. Questi costi non si distribuiscono in maniera uguale, come abbiamo richiamato, alcune disponibilità di tempo (soprattutto delle donne adulte) vanno esaurendosi e diverse opportunità per compensare queste torsioni non sono adeguatamente colte. Spesso sia le imprese che i lavoratori chiedono cambiamenti dell’orario in momenti più critici o di snodo (Pero, 2007); sia gli individui sia le imprese si muovono con processi rapidi, dinamici e non omogenei: non è venuto il momento di guardare alle esigenze di flessibilità, quelle provenienti dall’impresa e quelle provenienti dai lavoratori come domande di soluzioni innovative, per trovare risposte che potenzino reciprocamente i vantaggi e diminuiscano i costi?Le politiche di conciliazione dei tempi possono rendere compatibili per ciascun lavoratore i diversi aspetti

8 L. Abburrà, M. Durando, Il mercato del lavoro fra modelli di partecipazione e sistemi di qualificazione. Scenari epr il Piemonte 2015, IreScenari, 20079 Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European economic and socialCommittee and the Committee of the regions, Strategy for equality between women and men 2010-201510 Isfol, Maternità, lavoro, discriminazioni, Roma, 200811 Per una ricognizione sugli studi internazionali sull’invecchiamento si rimanda a : L. Abburrà, E. Donati, Ageing, verso un mondo più maturo. Il mutamento delle età come fattore di innovazione sociale, Quaderni di ricerca Ires Piemonte, n. 104/2004

PAESI

Durata del congedo di maternità

(settimane)

Durata dei congedi parentali retribuiti

(settimane)

Congedo di paternità

(settimane)

Spese totali per i servizi

di cura dell’infanzia

(% PIL)

Spese procapite

per i servizi di cura

dell’infanzia (in dollari)

Quota di bambini nei nidi pubblici (età 1-2

anni)

Quota di bambini

nelle scuole materne

pubbliche (età 3-6

anni)

Benefici e deduzioni

per la famiglia (% PIL)

Svezia 15 51 11 1.45 5300 65 82 1.78

Francia 16 156 2 1.6 4000 39 99 2.28

Italia 21 36 0 0.65 2761 6 71 0.64

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della sua vita, principalmente il lavoro remunerato, il lavoro gratuito, il tempo libero, garantendo insieme un controllo individuale del tempo e preservando tempi di vita collettivi. Si, perché conciliare, come afferma l’Onu, non è solo un modo per reggere le fatiche della giornata: è necessario per partecipare alla vita di comunità, per prendersi cura dell’ambiente, per tenere vivo il luogo dove si abita, per continuare ad imparare.In questa direzione l’agire degli locali diventa necessario per fornire ad ogni attore, siano essi gli individui, le famiglie, le imprese, mezzi necessari al dispiegamento effettivo di responsabilità verso se stessi e verso gli altri.Fra le priorità indicate dall’Unione europea vi è quella di investire generosamente nella crescita della conoscenza12 dal momento che aumenta il valore che i soggetti danno ai loro investimenti, siano essi rivolti alla cura dei familiari, alle attività di carattere solidale o alla ricerca del proprio benessere, alla riprogettazione delle loro carriere professionali. Il lavoratore e la lavoratrice che possono gestire più serenamente il rapporto con i genitori fragili perché più informati dei servizi territoriali, il volontario e la volontaria che hanno diritto ad un pacchetto di ore per aggiornare la propria attività, il nonno e la nonna che trovano nel quartiere opportunità per imparare ad utilizzare il computer e a condividere nuovi giochi con i loro nipoti (le persone sole con più di 65 anni continuano ad essere escluse dal possesso di beni tecnologici, Istat 2007), gli adulti che frequentano corsi di formazione che offrono un esplicito riconoscimento ai loro investimenti progettuali, sono esempi di pratiche di active life che vanno promossi per rafforzare la fiducia nell’efficacia degli investimenti personali in un percorso di continuo apprendimento. Azioni che poggiano su una convenzione di fiducia: fiducia nella disponibilità ad investire nel proprio patrimonio di esperienza e conoscenza come requisito per scelte personali più consapevoli e come consapevolezza di fruire e concorrere a promuovere beni pubblici, quando si è al lavoro e quando si è nelle proprie case.

12 COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Raccomandazioni del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, Bruxelles, 2005 e UNESCO, Knowledge and Society, Unesco World Report, Paris, 2005

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L’AZIENDA FAMILY FRIENDLYLa conciliazione come tema organizzativo

Anna Castiglion

L’Azienda Sanitaria della Valle d’Aosta è l’unica Azienda sanitaria di riferimento per l’intero territorio regionale.

Il contesto aziendale è fortemente connotato al femminile, ciò in ragione delle peculiarità del settore che richiede e ricerca, soprattutto per il settore sanitario-ospedaliero, professionalità e competenze ascritte più tradizionalmente alla formazione ed esperienza del lavoro femminile.

L’articolazione del lavoro in turni comporta per una rilevante parte di dipendenti impegni marcatamente flessibili, con rilevanti ricadute in merito alla conciliabilità tra i tempi di vita e di lavoro

Questa riflessione, unita alle gravi problematiche connesse alla mancanza di disponibilità di personale sanitario infermieristico e tecnico ha spinto l’Azienda USL ad intervenire al fine di rispondere alle difficoltà di conciliazione delle proprie lavoratrici e dei propri lavoratori.

Le iniziative realizzate sono state ricomprese nel progetto “Azienda Family Friendly”.Esse riguardano specificatamente tre ambiti:

Creazione di servizi Strategie di sostegno alla maternità e alla paternitàModificazioni dell’organizzazione del lavoro interne ai reparti per favorire la conciliazione.

L’intervento più significativo realizzato in Azienda sul tema della conciliazione è stato la creazione del nido aziendale.

Il nido aziendale, “Le Marachelle”, ha iniziato la sua attività nell’aprile 2005, grazie ad un progetto co-finanziato dal Fondo Sociale Europeo dal titolo “Sperimentiamo il nido”.

“Sperimentiamo il nido” ha rappresentato la prosecuzione operativa del progetto di ricerca “Non uno di meno”, anch’esso finanziato dal FSE, concluso nell’aprile 2003.

La ricerca “Non uno di meno”, sollecitata dalle Organizzazioni sindacali e dalle RSU, ha permesso non solo di verificare se un’eventuale apertura di un nido aziendale sarebbe stata un’iniziativa gradita e auspicata dalle lavoratrici e lavoratori dell’Azienda, ma anche di specificare una tipologia di servizio “cucita addosso” alle esigenza aziendali.

I bambini sono stati sicuramente il cuore attorno al quale è stato immaginato il nido dell’azienda. I bisogni dei bambini sono stati rappresentati non solo dai genitori, attuali e potenziali, coinvolti nello studio ma anche da professionisti che, mettendo a disposizione le loro esperienze professionali, hanno permesso di progettare le integrazioni necessarie ad armonizzare il più possibile la coniugazione tra la vita dentro e fuori la famiglia

L’ipotesi di servizio scaturita da “Non uno di meno” è stata oggetto della sperimentazione che ha dato alla luce “Le Marachelle”.

Il nido dal primo febbraio 2006, al termine del progetto co-finanziato, è gestito direttamente dall’azienda. Gli elevati costi di gestione sono sostenuti da risorse di bilancio. E’ previsto il pagamento di una retta di frequenza, parametrato al reddito famigliare.

1.2.3.

18 - L’AZIENDA FAMILY FRIENDLY

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Il nido è aperto ai bambini, figli di lavoratori e lavoratrici dell’Azienda, di età compresa fra i 9 mesi e i tre anni.

L’Asilo Nido dell’Usl si inserisce nel quadro didattico-pedagogico, comune a tutti i nidi della Valle d’Aosta. Il lavoro svolto quotidianamente dal personale educativo è supportato da una progettazione annuale e da una programmazione settimanale delle attività proposte ai piccoli utenti.

Il Nido aziendale presenta sicuramente una maggiore flessibilità di organizzazione (es. fasce orarie di entrata e uscita), ma la flessibilità, finalizzata alla funzionalità, non fa perdere di vista l’obiettivo più importante di un Servizio per l’Infanzia: favorire e tutelare il benessere del bambino.

Relativamente ai criteri per la predisposizione della graduatoria, trattandosi di un nido aziendale, è stato scelto di privilegiare, oltre allo stato di famiglia, la condizione di lavoro del/i genitore/i , attribuendo un punteggio favorevole alle seguenti tipologie:

entrambi i genitori dipendenti;lavoro su turni.

Il Nido aziendale “le Marachelle” è stata una risposta: un sostegno nella gestione dei bambini dei propri dipendenti per favorire il raggiungimento di migliori qualità di vita familiare, personale e professionale.

L’esperienza del nido ed i positivi riscontri che ha avuto questo servizio hanno motivato l’azienda a volere sperimentare nuove forme di servizi a sostegno alla genitorialità.

L’azienda ha, quindi, organizzato, nelle estati 2009 e 2010, i servizi extrascolastici (centri estivi), destinati ai figli ed alle figlie, di età compresa tra i � e i 1� anni, dei propri dipendenti

Tra le possibili forme di aiuto alla genitorialità, la scelta di sperimentare servizi extrascolastici è discesa, obbligatoriamente, dalle specificità di un’Azienda Sanitaria.

Le difficoltà di conciliazione derivanti dall’articolazione del lavoro in turni sono, infatti, amplificate notevolmente durante la stagione estiva. La chiusura delle scuole e la necessità di provvedere alla cura dei propri figli, determina, spesso, l’esigenza di lunghi periodi di assenza dal servizio. E’ di tutta evidenza che questo, anche in considerazione della fisiologica riduzione del numero di personale a causa delle ferie estive, genera difficoltà all’interno delle strutture, soprattutto ospedaliere, che necessariamente si ripercuotono sull’intera organizzazione.

Questi servizi hanno rappresentato un elemento di contenimento dell’impatto che i dipendenti con figli indirettamente - soprattutto nel periodo estivo - producono sulle turnistiche lavorative, sulla gestione della situazioni di emergenza o sui reparti carenti di organico.

I tagli di bilancio hanno, purtroppo, impedito la realizzazione di questo servizio anche nell’estate 2011. Una scelta obbligata che spinge a riflettere sulla sostenibilità delle politiche e dei servizi per la conciliazione in tempi di crisi: una sfida che interessa le persone, le organizzazioni, le politiche e dal cui esito dipende il mantenimento di un’idea di sviluppo e di benessere per tutti.

Due importanti tasselli del progetto “Azienda Family Friendly” sono rappresentati dai progetti “Un equilibrio da inventare” ed “Un equilibrio da sperimentare”, realizzati grazie rispettivamente al finanziamento ai sensi dell’ art.9 della legge �3/2000 ed ad un co-finanziamento del Fondo Sociale Europeo.

Il progetto “Un equilibrio da sperimentare” trae origine dalla convinzione che i problemi derivanti dalla conciliazione, tradizionalmente maggiormente sostenuti dalle donne, debbano trovare un ambito riconosciuto e non ostile nella struttura lavorativa.

••

L’AZIENDA FAMILY FRIENDLY - 18

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Il progetto ha previsto la realizzazione di due macro fasi:una ha riguardato l’individuazione e la sperimentazione in due reparti coinvolti ( Geriatria Acuti e Gastroenterologia) di soluzioni organizzative interne finalizzate al miglioramento delle condizione di conciliazione familiare;la seconda fase ha previsto la realizzazione di un percorso formativo rivolto a circa 80 operatori/operatrici dell’azienda teso a favorire la crescita di una cultura di pari opportunità tra i generi attenta alla conciliazione familiare ed al suo impatto nella specifica struttura aziendale.

Il metodo e il modello di intervento del progetto “Un equilibrio da sperimentare” sono illustrati nel successivo capitolo di questa Guida.

“Un equilibrio da inventare” ha avuto, invece, l’obiettivo di sperimentare un’azione formativa all’interno della quale le esperienze e i problemi derivanti dalla conciliazione familiare potessero trovare ambito riconosciuto ed ascolto.

“Un Equilibrio da inventare”, concluso nel giugno 2009, ha realizzato un intervento formativo della durata di venti ore a supporto del reinserimento lavorativo a seguito del rientro da congedi di maternità, paternità e congedi parentali.

Le azioni realizzate, nel rispetto del progetto finanziato, hanno coinvolto n.�2 donne.

La conclusione del percorso formativo è stata dedicata alla raccolta delle proposte e idee di miglioramento emerse nei gruppi. Queste idee sono state presentate alla Direzione Generale in occasione del convegno conclusivo del progetto.

Il piano di aggiornamento del personale per l’anno 2011 prevede la realizzazione della seconda edizione del progetto “Un equilibrio da inventare”. Questa scelta è stata presa in considerazione dell’alto gradimento che ha avuto la prima edizione del progetto.

Tutte le partecipanti, come emerge dalla relazione conclusiva del progetto a cura di Pari e Dispari srl, hanno espresso un giudizio fortemente positivo e favorevole al processo di innovazione attivato dall’azienda per favorire migliori condizioni di conciliazione familiare. Il progetto è stato apprezzato soprattutto per il tempo dedicato all’ascolto di un tema (la maternità) che di norma è gestito con il puro ricorso alle leggi e ai permessi.

Il fil rouge che unisce molti progetti aziendali è rappresentato dall’esigenza, espressa da molti lavoratori e dalle lavoratrici, di ascolto. Le diverse iniziative raccolte nel progetto “family friendly” hanno l’ambizione di rispondere, almeno in parte, a questo bisogno, favorendo l’emersione della consapevolezza della necessaria attivazione della responsabilità individuale collegata, però, alla convinzione che l’attenzione organizzativa che l’azienda deve prestare per la soddisfazione dell’utenza ed anche per il clima lavorativo interno, non può non considerare, oltre agli aspetti tipicamente tecnici-professionali, anche le aspettative, le motivazioni ed i bisogni che sono compresi nella quotidianità lavorativa del personale.

20 - L’AZIENDA FAMILY FRIENDLY

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UN EQUILIBRIO DA SPERIMENTARE: Un metodo ed un modello di partecipazione attiva

Clara Bassanini, Elisabetta Donati, Pina Madami

Le trame del progettoTra le motivazioni che hanno sostenuto la decisione aziendale di avviare il progetto13 ritroviamo un esplicito riferimento al “costante impegno nella ricerca delle condizioni e degli strumenti più adeguati per il raggiungimento degli obiettivi di erogazione dei servizi e, allo stesso tempo, a prestare attenzione anche alla qualità del lavoro e alla valorizzazione delle competenze ed esperienze professionali del personale occupato nelle diverse aree di intervento”. Ed è all’interno di questo impegno che viene posta l’attenzione al tema della conciliazione familiare in quanto “necessità e bisogno espresso in particolare dalle donne, che sono la maggioranza del personale occupato, che deve trovare un ambito riconosciuto e facilitato rispetto alle possibili ostilità di tipo strutturale e soggettivo che possono originarsi nell’ambiente lavorativo”.

Nello specifico dell’Azienda USL, la conciliazione pone al centro il tema della “cura di chi cura” che si esprime nel conciliare e riconciliarsi con i continui cambiamenti che intervengono sia a livello personale sia nelle relazioni con gli altri. Si produce, in questo modo, una modalità di consolidamento di competenze e di affermazione della qualità del lavoro che si riversa sul benessere di chi eroga il servizio e di chi lo riceve (l’utente, il paziente). Ed è in questo senso che le esigenze di conciliazione diventano una normale aspirazione per gli individui adulti che vogliono assumersi responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri.

Le attività progettuali - la formazione, la sperimentazione, l’accompagnamento - hanno preso forma nel rispetto delle finalità di progetto e della mission aziendale ricercando le soluzioni utili per la conciliazione, nella convinzione che esse contribuiscano al miglioramento dell’efficacia organizzativa, del clima, della cultura aziendale, delle domande di benessere e qualità del lavoro che le persone esprimono quotidianamente.

La comunità aziendale - i dirigenti e responsabili, le lavoratrici e i lavoratori - non sempre, infatti, sono in grado di esprimere una cultura personale ed organizzativa adeguata a interpretare i cambiamenti e queste nuove responsabilità.

Le trasformazioni in atto nel lavoro e nel sistema sociale ed economico attraversano “come un fiume in piena” 14 la vita delle persone: donne e gli uomini si trovano di fronte a crescenti conflitti su come risolvere le tensioni basilari fra famiglia e lavoro, pubblico e privato, autonomia e dipendenza. L’invecchiamento della popolazione, la bassa fecondità, l’instabilità coniugale, la minor sicurezza del rapporto di lavoro, l’indebolirsi della figura del capo-famiglia, stanno ridisegnando i corsi della vita e con essi le responsabilità di cura.

In generale le aziende italiane, pubbliche e private, continuano ad applicare un modello di gestione delle risorse umane basato su una marcata specializzazione per funzioni e per fasi della vita, con tratti di forte esclusività: o si fa una cosa o se ne fa un’altra.

Il lavoro di cura è diverso, assume le caratteristiche di un lavoro multiplo dalle diverse angolature, ridefinito dai mutamenti demografici e fortemente asimmetrico. La conciliazione diventa quindi, anche per questa organizzazione, una componente strategica che può contribuire a creare o rafforzare alleanze produttive fra l’azienda ed i soggetti che concorrono alla realizzazione dei suoi obiettivi di cura e servizio.

13 Documentazione presentata alla Regione Valle d’Aosta per la richiesta di finanziamento (2008).14 Definizione utilizzata da una partecipante alla formazione.

UN EQUILIBRIO DA SPERIMENTARE - 20

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Il progetto ha posto l’interrogativo su come sia possibile assumere le responsabilità di cura di chi lavora nell’azienda – mettendo al mondo un figlio, facendosi carico della fragilità di un genitore in età anziana, dedicandosi ad attività di volontariato - senza essere costretti a rinunciare o sacrificare altre responsabilità e lealtà come, ad esempio, a quelle richieste fortemente nel caso delle professioni socio-sanitarie e dal proprio ruolo professionale. Servono conoscenze ma anche componenti affettive e emozionali, serve imparare, riflettere, improvvisare: questo si inventano le generazioni delle donne che si muovono nella loro quotidiana doppia presenza15, peraltro scarsamente condivisa e non riscontrabile nella vita personale e lavorativa degli uomini.

La cultura della conciliazione è importante, sviluppa nelle persone un forte senso di attaccamento al lavoro e migliora la fiducia nelle proprie competenze attraverso il rafforzamento della capacità di scelta ed il senso di controllo e gestione dei complicati intrecci fra vita familiare e vita lavorativa. Interpreta l’esigenza, diffusa anche fra chi vive storie e condizioni familiari molto eterogenee, di riuscire ad integrare meglio le diverse appartenenze e lealtà, di diminuire il conflitto fra le aspirazioni individuali e le responsabilità familiari e lavorative, di riconoscere e trasferire le competenze da una sfera all’altra aumentando il senso di benessere e di autostima.

La conciliazione deve passare necessariamente da un modello di male breadwinner ad un modello di coesione sociale e di cittadinanza attiva dei soggetti e, come afferma l’Europa, la sua assenza pone in gioco il tema dell’equità e delle pari opportunità tra i soggetti.

Affrontare la maternità e paternità in azienda ed i bisogni di conciliazione richiede, allora, di non disperdere un patrimonio fatto di linee di pensiero aperte, di comunicazione tra le persone e il lavoro che deve continuare anche quando si diventa madri e padri, evitando, come ancora succede nelle aziende (anche nella realtà USL valdostana, pur attenta al rispetto della conciliazione) di assumere il senso e il valore sociale della maternità e della conciliazione.

Ed è certamente vero che la conciliazione non è solo una questione delle donne ma, bensì, un tema di sviluppo che interviene per “rendere compatibili situazioni e scelte che una volta erano considerate inconciliabili, quale il lavoro e la pensione, il lavoro e le responsabilità di cura, l’autonomia e la dipendenza, la forza e la vulnerabilità” 16 ed affrontare la complessità e i mutamenti in atto nel nostro sistema sociale.

Un metodo e un modello di partecipazione attivaLa metodologia di lavoro messa a punto e condivisa nel Gruppo di progetto ha privilegiato una modalità di comunicazione e confronto che ha fatto della partecipazione attiva dei soggetti la sua essenza. Le donne e gli uomini incontrati durante la formazione e la sperimentazione sono stati sollecitati ad essere sempre una presenza vitale e necessaria al processo di costruzione del progetto in quanto testimoni privilegiati a cui fare riferimento per tracciare quella che è stata definita nel progetto la conciliazione possibile.

La formazione propedeutica alla sperimentazioneIl percorso formativo ha coinvolto quattro gruppi composti da operatrici, la maggioranza dei partecipanti, e da operatori di aree differenti (l’area sanitaria-ospedaliera, amministrativa, i servizi territoriali) che si sono confrontati su contenuti inerenti vari aspetti:

- gli aspetti teorici ed organizzativi della conciliazione fra lavoro e famiglia, - la ricognizione sulle buone prassi nazionali ed europee realizzate in contesti sanitari,- l’individuazione delle proposte di sperimentazione e delle strategie di sviluppo per la conciliazione.

15 L. Balbo, 200816 A society for All Ages, Onu 2000

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Il confronto in aula, facilitato dal lavoro in sottogruppi e dalle sollecitazioni proposte con tecniche di simulazione e di animazione, ha messo in evidenza, fin dall’inizio, alcuni temi rilevanti per l’individuazione delle tipologie e delle metodologie di sperimentazione da proporre nei due reparti individuati come “reparti pilota”.Uno dei temi ha riguardato la dimensione dell’accoglienza con le sue diverse valenze: il clima relazionale e le soluzioni operative nei confronti dei rientri dalla maternità e la richiesta di formule orarie più flessibili; l’accoglienza dell’imprevisto e delle situazioni problematiche che fanno parte della normalità in un contesto complesso quale l’azienda socio-sanitaria, che irrompono da varie fonti (gli obblighi di legge, le dinamiche demografiche, la carenza di personale, le patologie..) e divengono occasione di apprendimento diffuso.Le donne, come operatrici maggiormente presenti nelle diverse aree di lavoro e impegnate in vari ruoli professionali, sono tra tutti i soggetti quelle che si trovano più volte a ricominciare in contesti che mutano velocemente e in modo non sempre prevedibile. In questo senso l’accoglienza si propone come una condizione che può permettere alle persone di fare il punto sulle loro trasformazioni. I cambiamenti che intervengono nella vita personale, ad esempio con la nascita di un figlio o le responsabilità di cura di un anziano, e nella vita professionale portano ad interrogarsi sul senso della propria esperienza professionale che non può essere delegata ad altri ma può essere affrontata con gli altri. Come sottolinea Jedlowski, “ognuno lascia tracce nel lavoro che gli altri conservano ed il senso del nostro operare è spesso custodito da ciò che gli altri ricordano”.

Per questa azienda in particolare, l’accoglienza rappresenta, quindi, una dimensione organizzativa da qualificare poiché permette di non separare aspetti della vita personale che non possono più essere disgiunti da quelli professionali e che riguardano tutti, come il benessere e la qualità della vita, i bisogni di conciliazione.Svolgere un lavoro in modo soddisfacente è un modo anch’esso per sentirsi “a casa”, per esprimere le proprie capacità, prendendosi cura di cose e persone, potendo contare sul fatto che altri riconoscono questo impegno. É emersa dal confronto all’interno dei gruppi la necessità di riconoscersi ed essere riconosciuti ed il termine conciliazione ben si adatta ai differenti piani di responsabilità e lealtà che sono importanti per le persone. Un secondo tema di cui sono state dirette testimoni numerose partecipanti al progetto che rivestono tale ruolo, ha riguardato le figure di coordinamento che assumono il ruolo di narratori di una storia al plurale che scorre nel ritmo quotidiano del lavoro di cui sono responsabili. In questo percorso fatto di approfondimenti e confronti su piani diversi e testimonianze, le persone si sono messe in gioco in modo attivo. L’individuazione delle ipotesi di sperimentazione che, pur riguardando le due sole aree di lavoro previste dal progetto, sono state ideate con un approccio generale che ha trovato ispirazione anche nelle buone prassi analizzate durante la formazione.Gli obiettivi della sperimentazione sono stati condivisi in tutti i gruppi i quali, pur in presenza di alcuni cambiamenti nella scelta su cosa sperimentare, che hanno portato all’opzione della sola sperimentazione dello strumento delle riunioni di gruppo, tralasciando la seconda ipotesi sulla flessibilità oraria, hanno continuato a confrontarsi in modo consapevole e competente salvaguardando il merito delle proposte che sono divenute, in fase conclusiva del percorso, le idee e traiettorie di sviluppo per la conciliazione in azienda.

La sperimentazione nei reparti Geriatria Acuti e GastroentorologiaIl coinvolgimento partecipato dei gruppi coinvolti direttamente nella formazione, degli operatori dei reparti e delle loro coordinatrici ha costituito una reale opportunità di crescita delle competenze per la conciliazione che ha permesso di ideare, scegliere e sperimentare.La sperimentazione ha iniziato a delinearsi a partire dai risultati del questionario17 distribuito al personale dei due reparti e dagli spunti scaturiti dall’attività di formazione, come sopra evidenziato. La lettura delle aree di criticità emerse dalle schede raccolte18 rivela, per le donne e gli uomini con problemi di conciliazione (figli età inferiore a 8 anni e genitori/parenti anziani dipendenti) e per coloro che non presentano tali bisogni, una maggior valutazione critica rispetto a:

- la fatica ad essere ascoltati nei bisogni di conciliazione,

17 Indagine svolta in Aprile-Giugno 2010 che ha previsto: interviste, focus group, questionario. 18 n. 3� schede raccolte su 38 distribuite (n.18 nel reparto Geriatria e n. 17 in Gastroentorologia)

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- la definizione dei criteri del quadro orario, - le agevolazione nella turnazione di chi ha familiari a carico, - la permanenza di una cultura ostile verso la maternità e i bisogni di conciliazione.

Accanto alle aree critiche sono indicate le proposte che le persone ritengono utili per migliorare la conciliazione. In questo caso le risposte fornite dal personale, con e senza esigenze di conciliazione, si equivalgono e si orientano in particolar modo su:

- la formazione per lavorare bene in gruppo, - lo strumento delle riunioni per migliorare il lavoro ed il clima relazionale del gruppo,- la flessibilità in entrata dell’orario di lavoro, - le azioni di accompagnamento e supporto la rientro dalla maternità, - l’ampliamento dei servizi aziendali (centri estivi, ampliamento nido aziendale, servizio di doposcuola,

organizzare corsi per qualificare le badanti).

La maggior parte delle risposte dei questionari ha posto la riunione e la formazione per lavorare bene in gruppo come priorità segnalando, in questo, una diffusa volontà di partecipare al processo di lavoro e alle scelte organizzative messe in campo. La comunicazione si presenta, in queste richieste, come uno strumento e una leva per favorire i processi di cambiamento, non formale, ma utile per animare e dare vita a comunità professionali con valori più condivisi.

E’ emerso, inoltre, il diffuso e forte senso di attaccamento nei confronti del lavoro espresso sia dal personale che dalle coordinatrici responsabili che è emerso chiaramente nei colloqui individuali, nelle interviste di gruppo e nelle attività di formazione d’aula.

Le soluzioni per le sperimentazioni individuate si originano proprio nelle pieghe di un rapporto quotidiano con il lavoro molto faticoso e complesso ma vissuto come ambito di realizzazione e di coinvolgimento, che viene attraversato dai mutamenti esterni ed interni e che si sforza di contemperare il benessere di chi lavora e quello di chi è curato.

Pertanto le proposte sulle quali si è lavorato nella sperimentazione hanno considerato questo legame facendolo evolvere attraverso la diretta partecipazione di tutto il personale interessato e delle coordinatrici che hanno accompagnato l’intero processo con forte motivazione personale, competenza professionale e assoluta disponibilità a sperimentare il cambiamento.

In questa direzione è stato proposta la sperimentazione della riunione di lavoro, come strumento per contribuire a migliorare il clima lavorativo del gruppo e la conciliazione, per ampliare la gamma delle soluzioni disponibili e incoraggiare risposte innovative da parte delle lavoratrici e dei lavoratori.

Lo strumento della riunione per la creazione di un “senso comune”La sperimentazione ha necessariamente trovato una coniugazione differente per il singolo reparto e si è sviluppata proponendo le tecniche di comunicazione più adeguate al contesto, alle caratteristiche delle persone, agli stili di lavoro delle operatrici ed operatori ed anche delle coordinatrici. Cosa si è sperimentato? Alcuni modi di intendere il coordinamento, l’accoglienza e la riunione di lavoro, di concepire i tempi, gli orari, le esigenze di conciliazione da affiancare a quelli in uso e questo può aiutare a riconoscere che esiste una sfondo intorno a noi fatto di regole, culture, abitudini, mentalità e persone con le loro caratteristiche.L’accoglienza e il coordinamento ritornano ad essere, come già sottolineato nella formazione, due dei tanti processi organizzativi da gestire al meglio ai fini anche della conciliazione.La metodologia della riunione è di cura: dell’ambiente, dell’orario, il filo del discorso e la sua conclusione, lo spazio per tutti, ascoltare e decidere, darsi tempo, ma anche giungere all’obiettivo e valutarlo. Normalmente si ha l’idea che organizzare è fare, mentre parlare è perdere tempo e rielaborare il problema, preparare il terreno per il fare paiono, invece, azioni deboli. È difficile, ma necessario in questo ordine di idee, valorizzare ciò che 2� - UN EQUILIBRIO DA SPERIMENTARE

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si acquisisce come conoscenza e non solo come azione. La riunione di lavoro può essere uno spazio per accogliere, prestando attenzione ad alcuni accorgimenti tecnici, ad espressioni razionali ed emotive. Conciliare non solo tempi e logiche ma anche conciliarsi con la propria storia che muta, con il contesto che cambia: chi torna da un congedo per un certo tempo è spaesato, quasi estraneo, può non trovare un luogo noto e di ascolto. A volte è sufficiente accogliere, dare spazio e dignità a questi timori perché la persona quieti le proprie ansie e riesca a mediare le proprie esigenze con quelle degli altri. Prestare attenzione all’accoglienza equivale ad uno spazio fisico (una stanza dove incontrarsi, parlare, ascoltare) e mentale (per ascoltare, riflettere, prendere decisioni). L’accoglienza va intesa come dimensione dinamica che caratterizza il rapporto fra l’individuo ed il lavoro, che considera l’imprevisto e che costituisce la premessa per un’autentica collaborazione e partecipazione responsabile. In tema di conciliazione l’accoglienza, come modalità family friendly applicata nel lavoro, aiuta a trovare le soluzioni utili a tutti mettendo in relazione le diverse storie e i bisogni. Così come gli imprevisti del lavoro si originano internamente e/o esternamente all’organizzazione, così anche le competenze, le qualità, le disponibilità di un reparto/ ufficio/servizio territoriale arrivano da dentro e da fuori, da chi ha figli e chi no, da chi è più giovane e da chi ha più esperienza e sempre all’interno di uno scambio di reciproche convenienze: “ la mia storia non è solo mia , ma sporge in quella degli altri”.Oggi non ci sono pregiudizi assoluti, ma opportunità diverse ed il lavoro di cura apre a mondi possibili nel lavoro come nelle relazioni private e le improvvisazioni individuali possono talvolta essere condivise come modelli di possibilità per donne e uomini all’interno di un “senso comune” dove tutti riconoscono che le persone attraversano tante e diverse responsabilità. Le soluzioni spesso dipendono da come i problemi vengono definiti. Le diverse visioni implicano arricchimento reciproco, riconoscimento raggiunto mediante l’attenzione ad altri ed in questa direzione di senso lo strumento della riunione di gruppo gioca un ruolo importante.

Si sostituisce al termine IMMUNITAS 19 quello di COMMUNITAS ovvero:non devo niente a nessuno tutti hanno esigenze specifichene ho diritto reciproco adattamento la presunzione di essere isolati spazio di relazioni

In questo processo che consolida l’accoglienza e l’ascolto attraverso lo strumento delle riunioni di gruppo la conciliazione trova un suo respiro collettivo, esce dall’ambito privato-individuale e incontra la responsabilità di tutti.La conciliazione non può esistere senza l’accoglienza delle domande di benessere situate in una cornice di equità. E la conciliazione porta in evidenza i legami con il lavoro, il valore sociale dell’essere al lavoro e dell’essere persone con responsabilità verso molti, verso se stessi, i colleghi, i pazienti, i familiari e altri. La cura del clima aziendale e la cultura del diritto intesa non come accentramento di potere ma come strati comunicanti di possibilità, favoriscono la protezione della qualità della vita delle persone, ed in questa la possibilità di conciliare.Il ruolo delle coordinatrici nella sperimentazione è stato estremamente importante. La loro capacità di legare ora e prima, io e noi, mattina, pomeriggio e notte, casa e lavoro, chi c’era prima e chi c’è adesso (per la presenza di un’intensa mobilità interna) e la necessità di scegliere una opzione e prendere decisioni, si costruisce non solo come gusto di sentire raccontare una storia ma come atteggiamento di ascolto per comprenderla meglio nelle diverse sfumature di linguaggio, gesti, posture, scambi fra culture diverse. Le figure di coordinamento (nell’azienda sono molte le donne coordinatrici) collaborano alla formazione di una comunità dove i vissuti sono ascoltati e accolti e non si esauriscono con l’esecuzione di compiti. Se si struttura l’accoglienza anche il ruolo di coordinamento ne può trarre vantaggio perché riesce a fare una lettura migliore della domanda di conciliazione della lavoratrice e del lavoratore: si dà tempo per riflettere e per prendere decisioni. Quando, ad esempio, la coordinatrice elabora il quadro presenze in un reparto ospedaliero si trova a dover intrecciare presenze e assenze, orari e ritmi, ruoli e regole, chi è dentro e chi è fuori, chi ha figli e chi no, stabilisce un nesso fra la storia del singolo e quella del reparto.

19 R. Esposito in P. Jedlowski, 2009.

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I due reparti che hanno partecipato alla sperimentazione hanno portato il loro contributo all’interno delle riunioni previste su aspetti specifici quali:

- la conciliazione come domanda di benessere,- l’uso della riunione nelle aspettative e nelle pratiche delle lavoratrici e dei lavoratori,- accorgimenti utili per migliorare il clima e l’efficacia di una riunione di lavoro.

I temi sono stati trattati partendo da dati di realtà e non di simulazione per cui gli argomenti presentati e dibattuti all’interno delle riunioni hanno sempre rispecchiato esigenze e scadenze realmente affrontabili.

Il ruolo delle coordinatrici, presenti agli incontri, è stato supportato e monitorato da un’osservatrice esterna che ha presidiato comportamenti, stili di linguaggio, contenuti della comunicazione, attenzioni poste nella relazione e nell’ascolto ed ha fornito indicazioni metodologiche per leggere le dinamiche agite nelle riunioni.

Gli esiti della sperimentazione: la riunione come strumento di partecipazione e propostaGli esiti delle sperimentazioni hanno superato le aspettative attese in quanto, non solo si è adeguatamente utilizzata l’opportunità offerta dalla sperimentazione per verificare nel gruppo la propria capacità di relazione e di ascolto, di mediazione ai problemi di conciliazione e l’esistenza o meno del “senso comune” all’interno del reparto, ma si sono create le condizioni per sperimentare (sperimentazione nella sperimentazione) alcune nuove soluzioni orarie e cambiamenti organizzativi.

Lo strumento della riunione, pensato per il miglioramento del clima del gruppo, ha dimostrato la sua intrinseca validità rivelandosi come il luogo di scambio e relazione richiesto dalle persone per lavorare e conciliare meglio, ma anche come “contenitore di nuova progettazione”.

In particolare i gruppi del reparto Gastroenterologia che si erano orientati a discutere nelle riunioni i criteri di definizione del quadro orario, la tipologia dei turni e la ricerca di agevolazioni per coloro che presentano bisogni di conciliazione per la cura dei figli e delle persone anziane, hanno manifestato interesse anche per la sperimentazione nel reparto di una turnazione a orario ciclico affidando alla coordinatrice il compito di presentare lo sviluppo della proposta alla luce delle caratteristiche organizzative del reparto.

La successiva verifica delle condizioni di vincolo poste dalla mobilità del reparto e dagli organici in forza ha successivamente portato il gruppo a decidere di sperimentare nei prossimi mesi un modello diverso, di turnazione ciclica “modificata”, che comunque sarà applicato e monitorato per verificarne l’impatto in termini di miglioramento delle problematiche di conciliazione e di organizzazione interna.

Le stesse dinamiche, pur partendo da obiettivi ed argomenti diversi, si sono presentate nel reparto Geriatria Acuti che, come l’altro reparto, ha superato gli obiettivi previsti dalla sperimentazione sulle riunioni di lavoro proponendo di variare l’orario del personale OSS in entrata e uscita ed una riorganizzazione del lavoro tale da permettere alle lavoratrici coinvolte di migliorare la propria conciliazione familiare e la qualità stessa del lavoro in reparto.

Entrambe le coordinatrici hanno espresso una valutazione positiva dell’esperienza: hanno verificato un miglioramento del clima interno, una miglior comunicazione tra loro e il gruppo e nel gruppo, una diversa sensibilità e attenzione ai bisogni di conciliazione delle persone. Sentono di aver appreso nuove conoscenze e indicazioni per migliorare la comunicazione all’interno del gruppo che si sentono in grado di trasferire all’interno del loro lavoro.

Lo stesso vale per le operatrici e operatori che hanno partecipato sempre in modo propositivo, cercando anche altre strategie, discutendo sulle prassi più utili da mettere in atto per accogliere i nuovi arrivati

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nel reparto o sollecitare la partecipazione al gruppo di colleghe/i di origine straniera e condividere tutti le tematiche inerenti la conciliazione.

Quali conclusioni trarre? Utilizzando le parole delle coordinatrici e del gruppo si è potuto osservare che attraverso lo strumento delle riunioni di lavoro il gruppo:

- ha cercato soluzioni che potessero conciliare lavoro e vita personale ed una mediazione organizzativa - relazionale al proprio interno,

- ha ricercato soluzioni per favorire, discutere e condividere tematiche inerenti la conciliazione,- nella “crisi” per carenza di personale il gruppo ha risposto in modo propositivo,- ha potuto confrontarsi con i problemi delle singole persone facendosene carico

La conciliazione per le persone, come hanno efficacemente descritto le coordinatrici nelle loro presentazioni sui risultati delle sperimentazioni, si presenta come un puzzle fatto di incastri quotidiani (non sempre perfettamente combacianti) che le persone, con le loro diversità e appartenenze, ricercano per conciliare la vita lavorativa e personale, le aspettative di progressione di percorsi di carriera con le responsabilità di cura di figli e anziani.

Alla luce degli esiti positivi delle sperimentazioni sembra possibile affermare che il puzzle per non disgregarsi richieda quel “buon clima lavorativo” come terreno fertile che produce benessere e favorisce la trasmissione di idee per un cambiamento possibile, frutto della partecipazione di tutti.

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LE PAROLE PER DIRLOClara Bassanini, Pina Madami

Abbiamo chiesto nell’ultimo incontro formativo di scrivere una frase che significasse “cosa è per me conciliazione”. Dagli scritti sono emerse tante ed efficaci “parole per dirlo”, frutto di riflessioni maturate all’interno dei gruppi di lavoro, ma, anche, con riferimento a situazioni reali derivanti da comportamenti propri o famigliari e da aspettative ideali di cambiamento nel lavoro. E’ stato colto il legame complesso tra sé e gli altri, la necessità di mediazioni, l’importanza di non lasciare ad una singola contrattazione individuale i bisogni reali ma di coinvolgere le persone con cui si lavora. Ed inoltre si indicano la ricerca di soluzioni collettive non mortificanti, l’esplicitazione di richieste personali pur con la coscienza della complessità di rendere sociali i problemi della cura dei figli e dei genitori anziani che sono spesso confinati ad una propria solitudine che genera sensi di colpa. Ci è sembrato efficace riportare le frasi per condividere un’esperienza sicuramente positiva. Ed ecco le parole utilizzate per rappresentare la conciliazione:

“PERMECONCILIAZIONEFAMILIAREÈ…”

Ascoltoreciprocoemediazionecontinua

Concordarespazioedignità

Ungiocodiincastri

Altruismo

Collaborazione

Fatica

Serenità

Ascoltoemediazione

Unostress

Ricercadibenessere

Viverepiùserenamenteilproprioambientelavorativo

Ed ancora altre definizioni che indicano strategie personali e organizzative:

Trovareunpuntodiincontrotralalavoratrice,illavoratoreel’organizzazione

Essereliberanellagestionedellamiagiornatasenzasentirmiincolpa

Possibilitàdivederericonosciuteleesigenzeditutti

Unequilibrioaccettabile

Ascoltarsireciprocamentepervenirsiincontro

Perconciliarelavoroefamigliaunadonnachelavoraquotidianamentecostruisceunpuzzle

Raggiungereunacondizionedibenesseretralagestionedegliimpegnilavorativiefamiliari

Lavorareinunclimadicollaborazioneconilgruppodilavoro

Intrecciareconarmoniabisognidipiùlivelli:“io”,“noi”,“ilgruppo”,“l’organizzazione”,trovandomodalitàdicontenimentoquandoiduelivellinonpossonoandareindirezionetroppodifferenti

Poter conciliare la famiglia può anche significare trovare un equilibrio

traaspettioggettivi(comefare)esoggettivi(comelovivoelotollero)

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Dedicarepiùtempoall’ascoltodeiproblemidelpersonale

Accettareproposteinnovative”fuoristandard”perlarisoluzionedeiproblemi

Conciliazioneancheperisingleconanzianiincasa

Ilproblemagenitorianzianiancheinvistadelfuturo

Unamaggiorattenzioneallemammeeaglianzianiacarico

Oggi:grandiproblemiperlamancanzadipersonale,sicercadisopperireconlabuonavolontà

Ed infine:

Lebuoneprassisuggerisconochetuttoèpossibilità,bastavolerlo

Come risulta evidente dalle definizioni raccolte, le descrizioni si muovono e oscillano, necessariamente, tra il riconoscimento della fatica individuale del lavoro di cura, spesa soprattutto dalle donne, e la tensione/desiderio di trovare soluzioni organizzative e sociali, anche innovative e non tradizionali, che favoriscano una miglior conciliazione capace di produrre più benessere per tutti. Le frasi dimostrano, inoltre, come sia stata compresa fino in fondo e fatta propria l’essenza e la filosofia del progetto. Non viene tralasciata, infatti, la complessità originata dalla ricerca di equilibrio tra la sfera personale-privata e l’ambito collettivo-organizzativo del lavoro.Si ricorda e sottolinea la novità di trovare risposte anche per le responsabilità della cura degli anziani di cui si occupano donne e uomini ancora inseriti nei processi produttivi ed, infine, si riconosce l’impatto positivo che la conciliazione può esercitare sulla qualità delle condizioni di benessere delle persone che lavorano. Le parole per dirlo sono state trovate, quindi, e possono costituire anch’esse un contributo alla costruzione di percorsi possibili e praticabili in azienda. La frase che chiude il lungo elenco esprime una convinzione positiva che utilizziamo da esempio e da buon auspicio per l’azienda: la conciliazione si può fare ed è possibile.

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TRAIETTORIE DI SVILUPPO PER UNA AZIENDA FAMILY FRIENDLYNuove idee pensando al futuro di una conciliazione possibile

Clara Bassanini, Elisabetta Donati, Pina Madami

L’individuazione di nuove idee per la conciliazione e di iniziative family friendly all’interno dell’Azienda USL ha rappresentato uno degli obiettivi pienamente raggiunti nel percorso formativo e nella sperimentazione, a testimonianza dell’efficacia di una metodologia che ha attivato un percorso di condivisione e di partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nel progetto.

Il confronto tra le persone è stato un terreno fertile dal quale sono emerse molte indicazioni per promuovere politiche per la conciliazione che, se condivise e inserite all’interno delle scelte gestionali aziendali verificandone i tempi e le risorse necessarie, costituiscono un ampia scelta di azioni positive di sicura fattibilità in un prossimo futuro.

I gruppi di lavoro hanno elaborato le idee mettendo a frutto sia gli approfondimenti tematici presentati nella formazione, sia il lavoro di analisi delle buone prassi nazionali e internazionali precedentemente illustrate che i risultati delle sperimentazioni. Lo studio delle buone prassi ha permesso, infatti, di porre a confronto la propria specifica realtà con leazioni positive realizzate in contesti aziendali differenti, traendo da esse spunti utili di policy per elaborare nuove proposte.Altre idee sono il prodotto originale di una propria elaborazione di gruppo scaturita dal dibattito all’interno della formazione e della sperimentazione.

Come ha efficacemente descritto una operatrice sanitaria, la ricerca di nuove traiettorie di sviluppo per la conciliazione deve essere considerata come un processo dinamico “la conciliazione per me è a tutto tondo: benessere lavorativo e benessere individuale”. È proprio partendo da questo duplice obiettivo di convenienza reciproca che richiede la collaborazione e la messa in campo di risorse da parte di tutti i soggetti coinvolti - azienda, lavoratrici, lavoratori e nel caso specifico dell’azienda sanitaria, anche le persone bisognose di cura - che si sono delineate le proposte e le nuove idee per la conciliazione in azienda.

La conciliazione possibile si è delineata con uno sguardo attento non solo alla dimensione privata e individuale dei bisogni ma, anche, alla dimensione più ampia e collettiva della comunità aziendale. L’azienda è stata considerata nella sua realtà composita, come insieme dinamico di elementi culturali, sociali, economici ed organizzativi che presentano, soprattutto nelle fase attuale, condizioni di vincolo derivanti dalla crisi economica e dal contenimento generale delle risorse.

Alla luce di queste attenzioni presenti nella fase di elaborazione, le proposte per la conciliazione hanno necessariamente tenuto conto delle testimonianze derivanti dalle molteplici esperienze di conciliazione vissute nella quotidianità dalle persone che lavorano in azienda e sono state ritenute praticabili nei reparti, uffici e aree di lavoro (dell’ambito ospedaliero e dei servizi territoriali) e possono realmente permettere la costruzione o il rafforzamento di traiettorie di sviluppo verso le quali indirizzare le risorse e le scelte strategiche aziendali per affermare una dimensione di maggior benessere per le persone.

Il catalogo delle proposte è suddiviso per aree e le singole iniziative sono da considerarsi come idee-base a cui riferirsi per lo specifico contesto nel quale si intende agire, utili per coloro che hanno responsabilità organizzative e di gestione delle risorse e che intendono valorizzare e consolidare nel tempo le politiche di conciliazione in azienda, contribuendo in questo modo a tracciare quella linea strategica di sviluppo centrata sulle persone, sulle loro competenze, sui legami e le relazioni con il lavoro, così come si vengono ad articolare nell’intreccio fra cambiamenti, necessità personali e mutamenti organizzativi.

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LA CONCILIAZIONE POSSIBILE

FAVORIRE LA PARTECIPAZIONE ATTIVA IN AZIENDA SUI TEMI DELLA CONCILIAZIONE FAMILIARE

LA RIUNIONE COME STRUMENTO DI PARTECIPAZIONE ATTIVA

Riunioni di gruppo di reparto/area di lavoro incentrate al confronto e alla creazione di un senso comune del lavoro e della conciliazione familiare, utili a migliorare il clima lavorativo del gruppo, ampliare la gamma delle soluzioni disponibili e incoraggiare risposte innovative da parte del personale coinvolto.

WORkING PARENTS GROUP (GRUPPI PER LA CONCILIAZIONE)

Incontri periodici tra le/i dipendenti che vivono responsabilità di conciliazione, adottando una organizzazione leggera e non burocratica,per verificare problemi, idee, proposte, iniziative e valutare l’efficacia degli interventi in corso di realizzazione o realizzati in azienda.Le riunioni sono presiedute da una/un rappresentante aziendale delle politiche di genere oppure a turno dagli stessi partecipanti.

RAFFORZARE L’ INFORMAZIONE E LA COMUNICAZIONE SULLE POLITICHE PER LA CONCILIAZIONE E LE PARI OPPORTUNITÀ

Garantire informazioni periodiche all’interno dei notiziari/news aziendali utilizzando i metodi e gli strumenti di comunicazione più adeguatifruibili in tempi rapidi da tutti.

RAFFORZARE LA CULTURA AZIENDALE FAMILY FRIENDLY

POLITICHE DI GESTIONE DEL PERSONALE PER UNA CULTURA AZIENDALE FAMILY FRIENDLY

Sensibilizzazione periodica del personale direttivo dell’azienda, dei primari ospedalieri, del personale medico e specialistico per favorire il rafforzamento e la diffusione di una cultura di pari opportunità e condivisione delle buone pratiche di conciliazione in azienda.

SESSIONI ANNUALI DI FEED BACk PER LA VERIFICA DELLE POLITICHE PER LA CONCILIAZIONE E LE AZIONI POSITIVE MESSE IN ATTO IN AZIENDA

Riunioni annuali di monitoraggio, valutazione, verifica di tutte le iniziative condotte a favore della conciliazione per raccogliere opinioni, suggerimenti, modificare obiettivi. La convocazione dell’incontro annuale sarà a cura della Direzione Aziendale USL con il coinvolgimento dei referenti delle politiche di genere.

INIZIATIVE A SOSTEGNO DELLA PATERNITÀ

Organizzare specifiche iniziative rivolte ai papà a sostegno della genitorialità e per incentivare la condivisione e la conciliazione familiare.

FORMAZIONE

FORMAZIONE AI RIENTRI DALLA MATERNITÀ E PATERNITÀ

Consolidare l’esperienza dei corsi di formazione per le lavoratrici e lavoratori rientrati al lavoro

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TRAIETTORIE DI SVILUPPO PER UN’AZIENDA FAMILY FRIENDLY- 30

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dopo la maternità,i congedi di paternità e congedi parentali lunghi per offrire un’accoglienza ed un accompagnamento family friendly al reinserimento lavorativo.

FORMAZIONE DEL PERSONALE DI COORDINAMENTO DEI REPARTI E DEI RESPONSABILI DI AREA/UFFICIO

Promuovere un ciclo di formazione per “Organizzare la conciliazione” rivolto in particolare al personale di coordinamento e alle/ai responsabili di area di lavoro/ufficio per sollecitare soluzioni organizzative attente alla conciliazione familiare e verificare eventuali criticità gestionali.

ORARI DI LAVORO

ORARIO FLESSIBILE IN ENTRATA E USCITA

Estendere, verificando le possibilità organizzative e professionali, la possibilità di formule orarie flessibili in entrata e uscita per tutti in risposta alle necessità di emergenza quotidiana.

ORARIO DI LAVORO A TURNI BREVI/TURNI LUNGHI

Possibilità di optare per un turno o l’altro secondo uno schema di offerta predisposto da parte dell’azienda di massima flessibilità (orari “a menù”) verificando le condizioni di fattibilità organizzativa e professionale.

ORARIO DI LAVORO/TURNI POMERIDIANI E SERALIPER LE PERSONE VICINE ALLA PENSIONE

Verifica della disponibilitàdelle persone vicine al pensionamento di lavorare con flessibilità orarie e/o a modificare il proprio orario di lavoro per favorire le persone con problemi di conciliazione presenti all’interno del proprio gruppo/area di lavoro.

ATTIVAZIONE DELLA BANCA DELLE ORE

Organizzazione della Banca delle ore prevista dal Contratto Collettivo di Lavoro per una gestione modulata e personalizzata delle ore di lavoro accantonate come credito orario dal personale utili a favorire la loro conciliazione familiare.

SERVIZI

SERVIZIO DI COUNSELLING INDIVIDUALE PER TUTTI

Istituire un servizio di counselling individuale con la presenza di persone esperte per usufruire di confronto/supporto ai problemi soggettivi derivanti dalle problematiche di conciliazione e più in generale dai temi derivanti dal rapporto con il proprio lavoro e le responsabilità professionali.

INIZIATIVE INTERNE ALL’OSPEDALE PER PARENTI ANZIANI

Promuovere iniziative utili per coloro che hanno responsabilità di cura di parenti anziani (informazioni utili, formazione badanti qualificate, interventi specifici).

SALA RELAX

Istituire all’interno dell’Azienda ospedaliera e delle diverse sedi spazi dedicati e attrezzati per il relax del personale, adeguando gli spazi esistenti e migliorando il loro utilizzo.

32 - TRAIETTORIE DI SVILUPPO PER UN’AZIENDA FAMILY FRIENDLY

Page 32: UN EQUILIBRIO DA SPERIMENTARE - auslvda · lavoro domestico (17’ per le occupate) e cresce, anche se lievemente, il tempo per la cura dei bambini fino a 13 anni: in ogni caso per

Assessorat de la Santé,du Bien-être et desPolitiques sociales

Assessorato Sanità,Salute e Politiche sociali