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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO DI INGEGNERIA GESTIONALE Gestione Aziendale II 1 Gestione Aziendale II 75 LA PROGRAMMAZIONE DELLA GESTIONE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO IN INGEGNERIA GESTIONALE La funzione di programmazione assume un ruolo centrale nel processo di direzione aziendale perché si propone di regolare, sulla base dell’organizzazione creata, il corso futuro della gestione. Programmare significa predeterminare gli obiettivi, le politiche e le attività da compiere entro un determinato periodo di tempo. Nell’azienda significa assumere in anticipo il complesso di decisioni attinenti alla gestione futura. “Previsione” e “programmazione” hanno due significati diversi. La previsione è un tentativo di anticipare i futuri movimenti di certe variabili economiche, sociali, ecc., ottenendo informazioni essenziali per orientare i comportamenti e le scelte aziendali. Non vi è alcuna predeterminazione di decisioni e di azioni future, ma solo la valutazione anticipata di fenomeni e fatti interessanti la vita d’impresa.Riveste un ruolo fondamentale nei confronti della programmazione. La gestione di tipo programmato ha costituito l’evoluzione di maggiore rilievo avutasi nella conduzione aziendale nel corso degli ultimi decenni. La gestione di tipo tradizionale era attuata secondo le esigenze del momento, in rapporto agli occasionali cambiamenti dell’ambiente esterno e quasi sempre secondo le vedute dei soli organi posti ai livelli elevati di comando. La gestione programmata si fonda sullo studio preventivo ed accurato dei fenomeni di mercato e di quelli politico-sociali, con il contributo di tutti gli organi direttivi. Nella sua accezione generale, la programmazione non rappresenta nulla di nuovo nell’azienda. Ma, nel passato, si trattava di intuizioni, di schemi generali di azione che non si traducevano in documenti scritti, analitici ed articolati sulle varie attività aziendale. Gli aspetti nuovi della programmazione si sono avuti nella “forma” e nel “metodo”.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO DI INGEGNERIA GESTIONALE

Gestione Aziendale II

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Gestione Aziendale II 75

LA PROGRAMMAZIONE

DELLA GESTIONE

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO IN INGEGNERIA GESTIONALE

La funzione di programmazione assume un ruolo centrale nel processo di direzione aziendale perché si propone di regolare, sulla base dell’organizzazione creata, il corso futuro della gestione. Programmare significa predeterminare gli obiettivi, le politiche e le attività da compiere entro un determinato periodo di tempo. Nell’azienda significa assumere in anticipo il complesso di decisioni attinenti alla gestione futura. “Previsione” e “programmazione” hanno due significati diversi. La previsione è un tentativo di anticipare i futuri movimenti di certe variabili economiche, sociali, ecc., ottenendo informazioni essenziali per orientare i comportamenti e le scelte aziendali. Non vi è alcuna predeterminazione di decisioni e di azioni future, ma solo la valutazione anticipata di fenomeni e fatti interessanti la vita d’impresa.Riveste un ruolo fondamentale nei confronti della programmazione. La gestione di tipo programmato ha costituito l’evoluzione di maggiore rilievo avutasi nella conduzione aziendale nel corso degli ultimi decenni. La gestione di tipo tradizionale era attuata secondo le esigenze del momento, in rapporto agli occasionali cambiamenti dell’ambiente esterno e quasi sempre secondo le vedute dei soli organi posti ai livelli elevati di comando. La gestione programmata si fonda sullo studio preventivo ed accurato dei fenomeni di mercato e di quelli politico-sociali, con il contributo di tutti gli organi direttivi. Nella sua accezione generale, la programmazione non rappresenta nulla di nuovo nell’azienda. Ma, nel passato, si trattava di intuizioni, di schemi generali di azione che non si traducevano in documenti scritti, analitici ed articolati sulle varie attività aziendale. Gli aspetti nuovi della programmazione si sono avuti nella “forma” e nel “metodo”.

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Il processo di programmazione è finalizzato alla redazione di un piano o meglio di un “sistema” di piani in cui sono specificati gli obiettivi da perseguire, i “mezzi” da impiegare e le operazioni da compiere entro un certo periodo di tempo. I piani vengono resi noti ed accettati da tutti i responsabili delle attività aziendali e rappresentano lo strumento fondamentale per la guida, il coordinamento e il controllo della gestione nel suo complesso e nei suoi principali segmenti operativi. Grande ausilio nel sostegno di questo processo è venuto dall’affinamento dei metodi previsionali e del complesso di tecniche matematico-statistiche utilizzate per l’ottimizzazione dei problemi di scelta in sistemi notevolmente interrelati.

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La programmazione aziendale

Programmare significa fissare in via anticipata gli obiettivi dell’azione aziendale,definire le linee direttive per il loro conseguimento e sviluppare piani o programmi

scritti circa le sequenze degli atti e dei tempi di esecuzione delle operazioni di gestione.

I piani generali rappresentano un sistema che abbraccia integralmente le varie attività di gestione rapportato a intervalli di tempo che si estendono al di là dell’esercizio annuale. Si può tuttavia parlare di piani settoriali che regolano la realizzazione di particolari attività (piano di vendita, piano di produzione, piano finanziario, ecc.). La programmazione può riguardare la gestione ricorrente (programmazione di esercizio) o promuovere l’innovazione (programmazione di lungo termine).

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Il sistema di piani nell’impresa

PIANOSTRATEGICO

PIANO DIINVESTIMENTI

PIANOORGANIZZATIVO

PIANO DISVILUPPO

PIANO OPERATIVO

PIANO DIESERCIZIO

PIANO DIPRODUZIONE

PIANO DIR & S

PIANO

FINANZIARIO

PIANO DIVENDITA

LUNGO TERMINE5 anni

MEDIO TERMINE3 anni

BREVE TERMINE12 mesi

PIANO STRATEGICO Ha la finalità di predeterminare le linee di sviluppo della gestione sia in senso quantitativo (dimensioni) che in senso qualitativo (campi di attività). E’ a lungo termine e di carattere innovativo, si riferisce alla strategia globale ed è costruito come piano-progetto. Nel definire gli obiettivi, deve rimuovere gli ostacoli che ad essi si oppongono. Le azioni di sviluppo vanno pertanto delineate in funzione delle opportunità di rimozione dei vincoli interni (potenzialità produttiva, organizzativa e finanziaria) e di quelli esterni (domanda-offerta di mercato, regolamentazione pubblica). Il riferimento temporale può variare, anche notevolmente, a seconda dei settori (5-10 anni). Dipende dalla possibilità di condurre previsioni attendibili sul futuro evolversi dell’ambiente e del mercato a cui l’impresa è collegata. Il settore siderurgico ad esempio è caratterizzato da una domanda più regolare (ma anche qui il grado di incertezza è aumentato), mentre quello dell’abbigliamento è condizionato dal fenomeno moda che restringe in misura notevole l’orizzonte della pianificazione. Oggi è più frequente la programmazione triennale. Oltre ai fatti economici e di mercato, oggi incidono fortemente i mutamenti che si verificano sotto l’aspetto socio-politico. Sempre di più, in un mercato turbato da profondi mutamenti di carattere finanziario ed economico, la programmazione a lungo termine tende ad assumere il significato di “programmazione degli imprevisti”. Le aziende si preparano ad affrontare contingenze inattese mediante schemi alternativi di pianificazione, concependo le strategie quali comportamenti intersostitutivi da adattare alle realtà che, di grado in grado, verranno a prendere corpo.

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Il mancato concepimento di strategie alternative di espansione del sistema aziendale può far precipitare le imprese in situazioni di crisi dalle quali occorre molto più tempo, mezzi ed abilità per uscire. E’ pertanto intuibile che, proprio nel momento in cui la programmazione strategica presenta maggiori ostacoli, s’avverte in modo evidente la sua importanza. Il piano strategico rappresenta l’elemento di riferimento di tutto il sistema. Idealmente scomposto in piano di sviluppo (es. concentrazione o diversificazione), piano di investimenti e piano organizzativo, tutti condizionati dalla strategia prescelta). Il piano strategico sarà articolato in piani di medio termine, che costituiranno la base per la programmazione di esercizio. PIANO OPERATIVO E’ un piano di medio-breve periodo centrato prevalentemente sulle funzioni aziendali e costruito come piano-programma. Questo piano viene scomposto in segmenti annuali, il primo dei quali presenterà il grado massimo di analiticità, in quanto deve guidare lo svolgimento delle operazioni correnti d’esercizio. Il grado di dettaglio sarà minore all’allontanarsi del tempo. Il piano di medio termine viene fatto scorrere nel tempo, in modo da coprire sempre un uguale periodo di gestione. La tecnica dello scorrimento consiste nell’aggiungere anno per anno un nuovo segmento annuale, dopo aver eventualmente rettificato i segmenti precedenti in rapporti ai risultati di esercizio consuntivi. Non sempre un piano a lungo termine è strategico e non sempre un piano di breve-medio termine è esclusivamente operativo. La pianificazione strategica implica il cambiamento negli obiettivi e nelle politiche aziendali e richiede la variazione del sistema di risorse, che tende a impegnare per tempi lunghi e spesso in modo irreversibile. PROGRAMMAZIONE DI BREVE TERMINE Ha lo scopo di adattare l’attività corrente ai vincoli interni ed esterni alla gestione aziendale e consiste nel preordinare le operazioni di gestione secondo gli obiettivi fissati per l’esercizio annuale. Si traduce soprattutto nell’amministrare (gestire) le capacità potenziali dell’impresa (capacità di produzione, finanziaria, commerciale, organizzativa, ecc.) in rapporto a determinati obiettivi da raggiungere. La programmazione a breve viene perciò definita di adattamento perché la modificazione di certi vincoli (impianti, organizzazione, ecc.) comporta tempi non brevi e implica che il patrimonio di risorse dell’impresa appaia come vincolo di partenza per la realizzazione delle operazioni di gestione. Ovviamente il piano è caratterizzato anche da nuove iniziative (innovazioni). Esistono casi di assenza di strategia per cui l’unica programmazione attuata è quella di breve termine, con la conseguenza che lo sviluppo sarà il risultato di un processo di aggregazione e di combinazione di scelte orientate sulla distanza temporale dell’esercizio. Questo comportamento si traduce, ovviamente, in uno stato di debolezza e di maggior rischio. La logica del breve periodo (adattamento) contrasta nettamente con quella del lungo periodo (innovazione).

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Il processo di costruzione dei piani

OBIETTIVI DA

RAGGIUNGERE

POLTICHE DA

ADOTTARE

VALUTAZIONE DEI

VINCOLI E DELLERISORSE DA IMPEGNARE

ATTIVITA’ DA

SVOLGERE

OBIETTIVI DA

RAGGIUNGERE

STIMA DELLE OPPORTUNITA’

DI MERCATO

(vincoli esterni)

DETERMINAZIONE DELLE

POTENZIALITA’ AZIENDALI

(vincoli interni)

VALUTAZIONE DELLE

POLITICHE DA ADOTTARE

FISSAZIONE

DEGLI OBIETTIVI

FASI DEL PROCESSO DI PROGRAMMAZIONE A LUNGO TERMINE

FASI DEL PROCESSO DI PROGRAMMAZIONE A BREVE TERMINE

Programmare a breve o a lungo termine significa sempre prestabilire dei traguardi da raggiungere e delle vie da percorrere per ottenerli. Ma è tuttavia utile distinguere l’un caso dall’altro. Piano strategico: lungo termine E’ fondamentale la valutazione delle risorse disponibili, cioè l’analisi delle compatibilità tra i traguardi da raggiungere e il sistema dei vincoli (risorse interne ed opportunità esterne). Il piano strategico stabilisce le linee fondamentali di evoluzione del sistema aziendale, le risorse da utilizzare, i tempi e le modalità del loro impiego. Questo richiede l’elaborazione di programmi di investimento, cioè la definizione dell’entità dei mezzi da impegnare, la quantità di essi che risulta disponibile per nuove iniziative e la loro ripartizione fra i progetti da realizzare. La procedura che mira a tradurre in termini quantitativi la strategia prescelta prende il nome di capital budgeting. Il piano strategico rappresenta, comunque, un quadro generale di riferimento formulato in termini di politiche, più che di specifiche operazioni da compiere, ed è materia di competenza dell’alta direzione aziendale. Piano operativo: breve periodo Indica le sequenze di decisioni e di operazioni da porre in essere per raggiungere gli obiettivi di breve periodo. Risulta costituito da quattro elementi interconnessi: • obiettivi (traguardi): sviluppo del fatturato, del reddito, dell’organizzazione, delle

quote di mercato, riduzione del coefficiente di rischio, attraverso opportune politiche gestionali (politiche di marketing, finanziarie, ecc.)

• politiche (linee generali di azione): rappresentano l’elemento di traduzione di un sistema di vincoli in un sistema di obiettivi e sono la struttura portante del processo

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di gestione. In altre parole sono delle vere e proprie guide per l’assunzione di future decisioni;

• attività (flussi di operazioni da attuare); • risorse (opportunità-vincoli da rispettare): la valutazione e l’impegno delle risorse

confluiscono nel budget (economico, finanziario, di cassa, che traduce le operazioni stabilite nel piano in termini di costi e ricavi, predeterminando il risultato delle futura gestione. Il budget assume un ruolo di rilievo non solo come strumento di programmazione economico-finanziaria, ma anche come mezzo di controllo della gestione.

La costruzione dei piani coinvolge tutti i settori dell’impresa e richiede la partecipazione di una molteplicità di organi aziendali. Occorre pertanto formalizzare una procedura, che ripartisca chiaramente le responsabilità in ordine al suo compimento. Il tipo di procedura sarà diverso, per quanto concerne l’articolazione degli interventi dei vari responsabili dell’organizzazione, nella definizione del piano strategico o di quello operativo oppure se si tratta di impresa organizzata per divisioni di prodotto, per funzioni o per matrice.Il processo di programmazione tende a seguire le linee di struttura del sistema aziendale. Nel modello multidivisionale il ruolo centrale sarà assunto dai responsabili delle singole divisioni e gli obiettivi globali scaturiranno da una sommatoria di quelli divisionali, più che da una valutazione globale delle opportunità di sviluppo dell’attività aziendale. Nel caso di un modello funzionale, un ruolo chiave sarà esercitato dai responsabili delle funzioni organiche e gli obiettivi deriveranno da un’analisi di compatibilità tra i traguardi raggiungibili dall’impresa e il volume di attività realizzabile all’interno di ciascuna funzione. Difficile quindi definire dei modelli validi in linea generale. Gli assunti (le “premesse”) circa il futuro svolgimento dell’attività aziendale sono di tre tipi: 1. Non controllabili: l’azienda non li può influenzare in alcun modo (sviluppo della

popolazione, inflazione, politica creditizia, imposizione fiscale, ecc.); 2. Semicontrollabili: l’azienda non può tenerli sotto controllo, ma può influire su di essi

in misura più o meno rilevante (turnover degli operai, produttività del lavoro, politica di prezzo, ecc.;

3. Controllabili: dipendono soltanto dal comportamento dell’azienda (espansione in nuovi mercati, adozione di un programma di R&S, ampliamento della gamma di vendita, ecc.).

Su queste premesse l’azienda deve formulare delle previsioni e, successivamente, controllare se esse si stanno in realtà verificando. Tenuto conto delle componenti tecnologiche e sociali (variabili e imprevedibili) che caratterizzano e condizionano le previsioni, i piani non possono assumere un carattere del tutto vincolante per lo sviluppo della gestione, ma devono poter essere opportunamente modificati in funzione del variare degli assunti in base ai quali furono costruiti. La programmazione è rivolta a creare una struttura operativa flessibile, per cui non deve produrre l’effetto di cristallizzare lo sviluppo dell’attività aziendale secondo schemi che, per l’evoluzione delle condizioni interne ed esterne, potrebbero risultare, in parte o del tutto, superati.

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I piani devono quindi essere di tempo in tempo rivisti e, in presenza di particolari ed ampie variazioni delle condizioni ambientali e di mercato, prontamente corretti. La programmazione, insomma, non termina all’atto della formulazione dei piani, ma prosegue anche durante la gestione mediante il controllo concomitante che ad essa deve accompagnarsi. Essenziale per un efficace metodo di programmazione è infine l’adeguatezza del sistema informativo, sul piano della completezza e su quello dell’attendibilità delle conoscenze fornite. La pianificazione è un supporto fondamentale per decidere, anche se l’esito finale delle azioni aziendali sarà legato alla bontà delle decisioni assunte.

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Ciclo di programmazione delle vendite

INDIVIDUAZIONE DELLE

POLITICHE DI MARKETING

VERIFICA DI COMPATIBILITA’CON LE

RISORSE AZIENDALI

DEFINIZIONE EAPPROVAZIONE DEGLI

OBIETTIVI

SVILUPPO DEL

PIANO DI VENDITAAPPROVAZIONE DEL PIANO

STUDIO DEL MERCATO E ANALISI DEI

RISULTATI PASSATI

IPOTESIDI

OBIETTIVI

Il piano di vendita si inquadra nel piano operativo e rappresenta un segmento importante della gestione aziendale. Esso mira a delineare gli obiettivi di mercato da raggiungere, le politiche da adottare, le risorse da impegnare nella funzione di vendita. Le fasi principali della programmazione sono: a) La fissazione degli obiettivi di vendita; b) La definizione delle politiche commerciali; c) La verifica di compatibilità con le risorse aziendali; d) Il coordinamento di obiettivi e politiche nell’ambito del piano operativo generale; e) Lo sviluppo del budget di vendita; f) L’articolazione del piano per i vari segmenti della gestione commerciale. Queste fasi non si susseguono secondo l’ordine descritto, perché le verifiche di congruenza da effettuare tra obiettivi, politiche e risorse richiedono l’attuazione di un processo di approssimazioni successive mediante il quale dalle ipotesi si passi alle scelte e dalle scelte scaturisca il piano di azione da realizzare nell’ambito della direzione commerciale.

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Piano di vendita a breve termine

PIANO E BUDGET DEFINITIVI

GESTIONE DEL PIANO

(REPARTO VENDITE)

ATTUAZIONE DEL PIANO

(FILIALI E AGENZIE)

RETTIFICA DEL PIANO

(DIREZIONE GENERALE)

APPROVAZIONE DEL PIANO

E DEL BUDGET

INDICAZIONI PER LO SVILUPPO DEL PIANO COMMERCIALE

SVILUPPO E

ARTICOLAZIONE DEL

PIANO COMMERCIALE

(REPARTO PROGRAMMAZIONE)

QUOTE LOCALI DI VENDITA

(FILIALI E AGENZIE)

COORDINAMENTO DEGLI

OBIETTIVI E DELLE POLITICHE

DI SETTORE

(COMITATO DI PROGRAMMAZIONE)

DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI E DEL BUDGET PROVVISORIO

VALUTAZIONE DELLA DOMANDA

(REPARTO STUDI DI MERCATO)

VALUTAZIONE RISORSE PRODUTTIVE E FINANZIARIE

(ALTRE DIREZIONI DI SETTORE)

IPOTESI DI OBIETTIVI

E POLITICHE DI VENDITA

PREVISIONI VENDITE

(REPARTO VENDITE)

PREVISIONI TERRITORIALI

DI VENDITA

(FILIALI E AGENZIE)

ORGANI ESTERNI DELLA DIREZIONE COMMERCIALEDIRETTORE COMMERCIALE

ORGANI CENTRALI DELLA DIREZIONE COMMERCIALE

ORGANI PERIFERICI DELLA DIREZIONE COMMERCIALE

1 2 3

42

5

67

8

9

10

1112

Dal grafico si può notare il percorso del processo di costruzione di un piano di vendita e la sua evoluzione dalle previsioni di vendita alle ipotesi di obiettivi, da queste alla valutazione delle politiche e, solo dopo aver verificato la congruenza tra politiche e risorse, si perviene alla determinazione definitiva degli obiettivi, evidentemente coordinati con gli obiettivi delle altre aree funzionali. Oltre alla necessità di coordinamento interfunzionale, emerge anche la necessità di scomposizione degli obiettivi in quote locali di vendita. Dall’analisi delle varie fasi di programmazione si percepiscono chiaramente sia la partecipazione di più livelli gerarchici e di posizioni organizzative responsabili di funzioni differenti, sia lo sviluppo, tra i vari organi coinvolti, di un processo di contrattazione in merito alla fissazione degli obiettivi e all’attribuzione delle risorse. Ad esempio nella determinazione delle quote di vendita (target) da assegnare alle varie organizzazioni periferiche la contrattazione è necessaria per l’esistenza di un conflitto di interessi fra centro e periferia: il primo tende infatti a fissare delle quote non troppo modeste per stimolare la produttività dei responsabili di vendita, la seconda invece ha interesse a mantenerle basse, in modo da poter poi dimostrare una maggiore efficienza operativa. Questa tendenza da parte delle forze di vendita ad abbassare le previsioni commerciali può creare serie difficoltà per gli equilibri della gestione. Se le stime di mercato si rivelassero di gran lunga inferiori ai risultati successivamente raggiunti dall’organizzazione commerciale, si potrebbe determinare l’impossibilità di rifornire la clientela con conseguente perdita di posizioni di mercato. Infatti ci troveremmo di fronte a livelli di approvvigionamento e di produzione insufficienti, impedendo la necessità di recuperi nel corso della gestione. Anche forzature nel senso opposto sarebbero pericolose in termini di programmazione aziendale. Nello schema il problema è risolto mediante un duplice intervento degli organi periferici: il primo in fase di previsione e il secondo in fase di articolazione del piano. Nel nostro

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caso il coordinamento dei piani è attribuito ad un apposito Comitato di programmazione e lo sviluppo e l’articolazione del piano globale sono affidati ad un Reparto Programmazione in collaborazione con i reparti esecutivi di vendita. E’ utile ricordare come il processo di contrattazione investa sempre il duplice aspetto degli obiettivi da raggiungere e delle risorse di cui disporre. Ogni responsabile aziendale vorrebbe conseguire un equilibrio di tutta tranquillità tra la dotazione di risorse di cui si troverà a disporre (uomini, attrezzature, fondi,…) e gli obiettivi che gli verranno assegnati. Poiché si tratta di ripartire risorse non sovrabbondanti rispetto ai traguardi globali dell’impresa, s’innesca un processo interno di contrattazione che vede impegnati su linee contrapposte gli organi della direzione centrale e settoriale (produzione, vendite, …) e quelli operanti al centro e in periferia (direttori di stabilimento, di filiali di vendita, ecc.). Da qui il ruolo essenziale di coordinamento affidato alla programmazione: sviluppare la motivazione verso i risultati (obiettivi), minimizzando l’area dei conflitti aziendali.

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Tecniche di previsione delle vendite

Coefficienti di incertezza

a) Fattori di controllabilità e di conoscibilità b) Orizzonte temporale

Le fasi della previsione

1. Previsioni di mercato2. Previsioni di vendita

3. Obiettivi di vendita

Le tecniche previsionali

1. Metodi temporali2. Metodi causali

3. Metodi qualitativi

FATTORI DI INCERTEZZA DELLE PREVISIONI IN GENERALE Le previsioni presentano sempre un coefficiente d’incertezza o di probabilità, dovuto all’impossibilità di tenere sotto controllo le variabili considerate. La maggior parte delle premesse su cui si fonda la gestione rientra, infatti, tra quelle incontrollabili e semi-controllabili, per le quali le opportunità di influenza sono del tutto inesistenti o limitate. Oltre all’aspetto della controllabilità dei fatti da prevedere, si evidenzia anche quello della conoscibilità delle cause che determinano i fenomeni influenzanti la gestione. Soprattutto per variabili non controllabili, l’analisi delle cause e la rilevazione degli andamenti passati possono fornire delle indicazioni circa le tendenze future. • E’ chiaro che la stima delle vendite di un prodotto da più anni su un mercato si

può fondare • sull’analisi storica dei risultati avutisi in passato, oppure • sull’analogia rispetto alla domanda di prodotti correlati.

• Nell’ipotesi di un prodotto nuovo non esistono precedenti e la previsione dovrà appoggiarsi su altri metodi:

• Se il prodotto è considerato analogo ad un prodotto lanciato in precedenza, si prende come riferimento attendibile il suo andamento di vendita per valutare i risultati di mercato dell’innovazione da lanciare (macchine fotografiche digitali rispetto a quelle analogiche);

• Se non vi sono precedenti, la previsione si fonderà sulle tecniche di analisi del comportamento del consumatore (ricerche di mercato) o su giudizi prevalentemente intuitivi dell’imprenditore e dei responsabili di vendita.

Il grado di attendibilità delle previsioni si riduce drasticamente all’ampliarsi dell’orizzonte temporale considerato. In rapporto ai fenomeni di mercato, difficilmente controllabili dall’impresa, esse serbano un elevato grado di accuratezza solo nel tempo

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breve (uno-due anni), mentre rappresentano delle ipotesi di lavoro, da rivedere costantemente, se proiettate nel medio-lungo termine. Anziché una previsione precisa, del tutto improbabile, spesso si richiede di conoscere quali sono le condizioni di minimo occorrenti perché una determinata scelta aziendale non si traduca in una perdita. E’ il caso classico del lancio di un nuovo prodotto, per cui – oltre a formulare delle previsioni di sviluppo delle vendite – è interessante conoscere se l’impresa riuscirà comunque a realizzare il volume minimo di affari in grado di coprire le spese sostenute. Per fortuna la vita aziendale è caratterizzata di solito da schemi di regolarità che ne consentono la previsione in funzione delle vicende passate, anche se l’ipotesi del perpetuarsi di alcune regolarità di base ha una sua maggiore fondatezza in lassi brevi di tempo. PREVISIONE DELLE VENDITE Con le previsioni di vendita l’impresa intende stimare quale potrà essere l’assorbimento dei suoi prodotti in modo da programmare gli investimenti , i cicli di lavorazione, l’approvvigionamento delle risorse, l’attività di distribuzione commerciale, ecc. Tale assorbimento sarà legato: • A variabili esterne: aumento del reddito medio pro-capite, sviluppo della

popolazione, congiuntura interna ed internazionale, ecc. • All’azione che l’impresa stessa e le altre imprese concorrenti promuoveranno nei

confronti del mercato. Le previsioni prescindono dalle politiche e dagli sforzi di marketing programmati dall’azienda. Esse rappresentano un fatto oggettivo legato a variabili esterne. Gli obiettivi rappresentano invece determinazioni soggettive, collegate non solo alla previsione ma anche alle politiche aziendali. La previsione delle vendite è frutto solitamente di un processo di approssimazioni successive che si sviluppa in tre fasi fondamentali: 1. Analisi della domanda (Previsioni di mercato): valutazione delle tendenze

espansive-recessive dei consumi e quantificazione della domanda globale; 2. Previsioni di vendita: individuazione della fetta di mercato globale che l’impresa è in

grado di soddisfare, in base alle scelte correnti di marketing (prodotti, prezzi, promozione, ecc.);

3. Obiettivi di vendita: definizione, in base alle nuove scelte di marketing, del volume di vendita effettivamente raggiungibile. Gli obiettivi così determinati sono comunque provvisori, da valutare in rapporto alle interrelazioni con quelli delle altre funzioni aziendali (produzione, finanza, ecc.), oltre che da verificare

TECNICHE PREVISIONALI Richiamiamo ora le tecniche più diffuse nel campo previsionale e alcune indicazioni di scelta in casi concreti. Metodi temporali Si basano sull’analisi storica e sulla prospezione di serie temporali di dati. Il principio è quello della continuazione tendenziale di certi fenomeni. Si parte dai dati passati per prevedere i valori che tali fenomeni assumeranno negli anni a venire.

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La tecnica principale è quella dell’estrapolazione del trend, che si fonda sull’individuazione mediante interpolazione (generalmente con il metodo dei minimi quadrati) della tendenza (lineare o curvilinea) del fenomeno esaminato (nel nostro caso la domanda di un bene) allo scopo di determinare i valori che esso raggiungerà nel periodo cui si riferisce la previsione. E’ una tecnica semplice che tuttavia presenta alcuni limiti di applicazione: • Occorre disporre di una serie storica lunga a sufficienza per poter ricavare una

tendenza attendibile della domanda; • Nell’ipotesi di sviluppo esplosivo, la domanda non può essere stimata sulla base di

una sua prosecuzione nel tempo. Questa tecnica si fa preferire per la sua facilità di applicazione, ma il suo limite principale sta nelle caratteristiche “meccanicistiche” su cui si fonda. Viene pertanto utilizzata prevalentemente per previsioni di breve termine e per prodotti giunti ad uno stadio di maturazione della domanda. I problemi principali di applicazione sono rappresentati dalla depurazione dei dati di partenza da fenomeni casuali, dalla necessaria omogeneità dei valori compresi nella seriazione, dalla scelta del periodo su cui fondare l’estrapolazione e dall’individuazione della curva interpolatrice. Metodi causali I modelli causali sono frequentemente usati in quanto tentano di pervenire alle stime di vendita in base al movimento di una serie di fattori (cause). Si tratta di modelli matematici composti da più variabili mediante i quali si stabiliscono dei nessi di interdipendenza tra i valori di un fenomeno (domanda del prodotto) e le sue cause determinanti (es. reddito, ampiezza della famiglia, ecc.). Le tecniche più conosciute sono la correlazione e la costruzione di matrici input output (matrice delle interdipendenze funzionali o del Leontieff). Il ricorso a quest’ultima matrice comporta procedimenti complessi e molto costosi, che la rendono applicabile più a livello di organi pubblici che nell’ambito delle aziende di produzione. La tecnica della correlazione invece è molto diffusa nelle aziende e si basa sul concetto di analogia poiché mira a valutare l’andamento di un fenomeno in rapporto ad uno o più fenomeni correlati al primo. Non è necessario che vi sia un rapporto di causa ed effetto, ma deve sussistere una relazione logica. E’ possibile infatti trovare un’elevata correlazione, ad esempio, tra la domanda di vernici marine e quella di costruzioni navali. (fenomeni interdipendenti) oppure tra consumo di cemento e consumo di acciaio grezzo (fenomeni indipendenti). La correlazione è misurata da un indice che può variare tra ±1: se uguale a 1 esiste tra i fenomeni considerati la massima correlazione diretta, se è pari a -1 si ha la massima correlazione inversa, e, infine, se si avvicina allo zero non si ha alcuna correlazione. La tecnica si applica in due tempi. Dapprima si verifica in via grafica (diagramma di dispersione) o analitica (indice di Pearson) se tra i due fenomeni esiste un elevato grado di correlazione e poi bisogna individuare la retta o curva di regressione per misurare i rapporti di variazione (relazione funzionale) tra di essi. Anche per la correlazione è necessario disporre di serie storiche sufficientemente lunghe per poter valutare il grado di associazione esistente tra le successioni temporali.

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La correlazione è sovente utilizzata a livello di classi di prodotto (domanda globale di mercato) e soprattutto per beni industriali. I problemi che presenta sono nella scelta dei fattori da correlare al fenomeno che interessa, nella valutazione della prevedibilità dei fattori selezionati, nella determinazione della natura della relazione (lineare o curvilinea), nella stima della stabilità nel tempo del rapporto funzionale individuato. Metodi qualitativi Sono utilizzati quando non è possibile ricorrere ad altre vie (es. per mancanza di dati), oppure in aggiunta ai metodi matematico-statistici visti in precedenza. Si tratta di stime da parte del personale di vendita o attraverso indagini di mercato sui consumatori. Sono utili nel fornire elementi preziosi per confermare gli studi condotti su basi quantitative e, nel contempo, per rendere più analitico il quadro delle previsioni disegnate. In certi casi il ricorso a questi metodi è imposto dalle circostanze, coma la necessità di valutazione sul mercato potenziale di un nuovo prodotto o di un nuovo mercato territoriale, in assenza di alternative valide sotto il profilo puramente quantitativo. In questa categoria rientrano anche tecniche che ricorrono al parere di esperti esterni all’azienda: • Metodo Delphi, basato su valutazioni della domanda, formulate da più esperti

interpellati successivamente, con un’integrazione progressiva dei giudizi raccolti; • Panel degli esperti, basato sulla formulazioni di pareri durante apposite riunioni

collegiali. L’uso di tecniche qualitative si presenta opportuno per valutare l’andamento di mercati in rapido sviluppo, con potenziali molto variabili in funzione dei diversi segmenti di vendita e quindi con prospettive particolari di espansione delle quote di mercato. Esso è possibile per previsioni a breve e, soprattutto, per quelle a lunga scadenza, in quanto tali metodi, pur peccando in accuratezza, riescono a fornire delle indicazioni di tendenza, utili per orientare le strategie aziendali.

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IL CONTROLLO DIREZIONALE

DELLA GESTIONE

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A cosa serve il controllo? • Assicurare che le scelte della direzione siano correttamente attuate da parte degli

organi esecutivi; • A valutare la bontà delle decisioni prese; • A valutare la bontà delle decisioni da formulare In via generale si può affermare che il controllo è necessario per assicurare l’ordinato svolgimento dell’attività aziendale. Esso rappresenta una funzione che si diffonde a qualsiasi livello e a qualsiasi posizione organizzativa. La sua lettura in chiave moderna lo posiziona in uno strumento di “indirizzo” dell’attività gestionale, non di disciplina e di vincoli. Un mezzo per individuare le eventuali insufficienze dell’azione allo scopo di stimolare automaticamente gli interventi di correzione, un mezzo di guida del lavoro e delle funzioni svolte a qualsiasi piano della struttura. Si usa distinguere il controllo direzionale da quello esecutivo. Il controllo direzionale si riferisce soprattutto al processo decisorio, in quanto fornisce gli elementi per assumere o correggere le scelte definite in sede di organizzazione e di programmazione della gestione. Il controllo esecutivo si attua invece sulla base di misurazioni strettamente quantitative e non comporta solitamente analisi complesse sulle cause delle disfunzioni e sulle aree di attribuzione delle stesse (i centri di responsabilità sono facilmente identificabili). Si basa su meccanismi pressochè automatici di verifica rispetto ai quali non interviene il giudizio soggettivo. Si impernia sulla fissazione di regole precise per lo svolgimento di compiti specifici e si traduce, quindi, nella constatazione del rispetto o meno di tali regole.

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Es. nei confronti di un addetto ad una macchina operatrice, il controllo esecutivo consiste nel verificare il rispetto delle quantità di produzione attribuite alla macchina, del tempo di funzionamento della macchina, della quantità degli scarti di lavorazione, del rapporto tra tempo produttivo e improduttivo (manutenzione, guasti, ecc.). Il controllo esecutivo si basa su standard, generalmente espressi in prestazioni quantitative non monetarie, e sfocia in interventi di correzione soltanto in casi eccezionali, allorchè le deviazioni dagli standard eccedono i limiti prefissati di tolleranza. In ultima analisi il sistema di controllo procura una struttura per la formulazione delle decisioni e per gli interventi direzionali. Il fine ultimo è quello di correggere decisioni passate o azioni in coso di svolgimento (tempestività).

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Tipologie di controllo

Analisi strategica

Analisi organizzativa

Controllo

strategico

Misurazione di efficacia

Misurazione di efficienza

Valutazioni di

rendimento

Preventivo

Concomitante

Controllo operativo

CONTROLLO

DI DIREZIONE

Articolazione del controllo di direzione

Il processo di controllo si svolge in tre momenti successivi e complementari: a) In via antecedente, rispetto all’azione (analisi di mercato, tecniche di ricerca

operativa, ecc.); Serve a valutare preventivamente la bontà di certe scelte. Nel processo di programmazione rappresenta una forma di controllo anticipato delle future linee di gestione.

b) In via concomitante allo svolgimento dell’azione (analisi degli scostamenti tra

prestazioni realizzate e obiettivi di programmazione); Si lega alla programmazione perché ha lo scopo di guidare, a tutti i livelli dell’organizzazione, l’attuazione dei piani formulati.

c) In via susseguente attraverso la costruzione di indici di rendimento o di efficienza

aziendale; Va inteso come valutazione dell’efficienza e dell’efficacia della gestione, cioè come strumento di indirizzo per la formulazione delle decisioni future.

Il processo di controllo assumerà aspetti diversi da impresa a impresa, per via delle differenti strutture e situazioni. Tuttavia alcuni controlli sono diffusi in ogni tipologia d’impresa: organizzativi (studio dei tempi e metodi, analisi delle procedure, ecc.), contabili (rilevazioni sistematiche), operativi (su prestazioni lavorative, attraverso statistiche, rapportini, ecc.) sugli obiettivi (analisi periodica degli scostamenti, ecc.). Sulla base dei processi direttivi ed operativi specifici dell’impresa, si costruirà un vero e proprio sistema di controlli di gestione, il cui fine dovrà essere il miglioramento dell’efficienza aziendale.

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Per fare questo bisogna assumere una serie di scelte riguardanti: le aree e le attività da controllare, i tipi di controllo da esercitare in ciascuna area o attività, modalità di attuazione dei controlli (tempi, luoghi e standard di riferimento per i riscontri da effettuare), gli organi cui affidare il controllo, i sistemi di comunicazione e di informazione. Nel controllo economico si può inserire, con carattere di eccezionalità, il controllo strategico. Esso è rivolto a valutare le prospettive di sviluppo dell’azienda, in funzione della strategia adottata, per incontrare la futura evoluzione dell’ambiente. Il controllo direzionale comprende, come si vede nella figura, tre tipi di controllo: 1. Controllo operativo: può essere antecedente o concomitante e riguarda la verifica

del raggiungimento dei risultati di gestione; 2. Le valutazioni di rendimento rientrano nel controllo susseguente allo svolgimento

delle prestazioni e misurano l’efficacia e l’efficienza delle politiche e delle risorse impiegate nell’azienda;

3. Il controllo strategico è il controllo globale della strategia e della struttura aziendale, inteso a verificare la congruenza interna ed esterna dell’azione imprenditoriale.

Il controllo preventivo può essere definito un controllo di realizzabilità in quanto teso a verificare la raggiungibilità degli obiettivi, prima di assumere le decisioni atte al loro conseguimento. Si verifica in modo anticipato la congruenza tra obiettivi, decisioni e attività programmate, tenuto conto dei risultati già ottenuti e dell’evoluzione dell’ambiente esterno all’impresa. Appare strettamente legato a quello concomitante perchè accresce la sua efficacia segnaletica.

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Sistema di controllo operativo

OBIETTIVIDA RAGGIUNGERE

RILEVAZIONE DEIRISULTATI

ANALISI CAUSALEDEGLI SCOSTAMENTI

INTERVENTI DI CORREZIONE

Una gestione programmata rende necessaria l’attivazione di una funzione “concomitante” di controllo operativo, allo scopo di assicurare, nei limiti del possibile, il rispetto degli obiettivi fissati in sede di costruzione dei piani. La programmazione fornisce gli elementi di riferimento o standard su cui applicare i controlli, cioè gli obiettivi. Attraverso l’articolazione del piano, gli obiettivi vengono scomposti tra i principali segmenti operativi (centro di produzione, filiale, singolo operatore, ecc.) e nel tempo. In base ai risultati effettivamente ottenuti, sarà poi possibile analizzare gli eventuali scostamenti verificatisi e proporre le opportune misure correttive. Il controllo preventivo si sostanzia nel raffronto, a scadenze ravvicinate, fra obiettivi programmati e prestazioni ottenute e serve, quindi, ad indirizzare l’azione futura in base ai risultati prefissati. In questo senso il controllo preventivo di certi fenomeni (produzione, vendita, scorte, ecc.) non è “a posteriori”, bensì concomitante, in quanto inteso a modificare il corso futuro dei fenomeni controllati nell’ipotesi di una loro deviazione dall’andamento programmato. L’analisi degli scostamenti può infatti rivelare, oltre ad eventuali inefficienze organizzative, la necessità di modificare gli obiettivi e le politiche di gestione. Ogni sistema di controllo si compone di 4 elementi (vedi figura): 1. Obiettivi da sottoporre a controllo:

Possono essere obiettivi di produzione, di vendita, di costo, ecc. Vengono desunti dalla programmazione formulata o fissati in fase di attuazione di specifiche politiche o azioni operative. Devono essere realistici e chiaramente definiti, altrimenti vanificano l’efficacia delle successive fasi di misurazione e di analisi dei risultati conseguiti.

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2. Rilevazione dei risultati:

Per rilevare i dati è necessaria una organizzazione efficiente. Occorre infatti ottenere tempestivamente i dati sulle prestazioni, raccogliendoli dove si generano e sottoponendoli al necessario processo di elaborazione. Bisogna infatti realizzare un sistema di reporting in grado di far giungere con regolarità i dati sui risultati di gestione ai dirigenti interessati.

3. Analisi degli scostamenti: Si tratta di una fase molto importante perché deve fornire elementi preziosi sulla genesi delle deviazioni rilevate. Un’analisi non corretta può, ovviamente, orientare in modo sbagliato gli interventi di gestione.

4. Interventi di correzione: Servono a controllare e verificare la concordanza tra obiettivi e risultati, preservandola o ristabilendola qualora dovessero crearsi delle difformità. E’ chiaro che il controllo operativo, quale completamento della programmazione, deve assicurare il mantenimento dell’equilibrio tra obiettivi e risorse impiegate nell’attività di gestione. In tal senso esso si traduce in un controllo preventivo o antecedente nei confronti delle prestazioni ancora da realizzare.

L’attuazione del controllo operativo è stata notevolmente agevolata, specialmente nelle grandi imprese o gruppi dotati di una molteplicità di sedi di produzione e di vendita, dalle potenti tecnologie dell’ Information Communication Technology e dalle sofisticate ma “amichevoli” soluzioni applicative in formato ASP (Application Solution Provider).

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Es. controllo rapporto costi di produzione/ricavi

+ 4

- 1

0

+ 1

+ 2

+ 3

intervento di emergenza dell’alta direzione

intervento della direzione operativa

intervento di primo livello

variazione tollerata

tempo

sc

art

i(6

0%

)

Per rendere più automatico il sistema di controllo, si usa spesso prevedere delle fasce di tolleranza degli scostamenti e dei livelli successivi di intervento in rapporto alla misura delle deviazioni verificatesi. Ad esempio si può determinare di accettare uno scarto massimo del 5% tra quota teorica di vendita e quota effettiva e, allo stesso tempo, stabilire dove dovranno essere impostate le azioni di correzione nelle ipotesi di scostamenti via via crescenti. Il grafico si riferisce al caso di un’impresa che ha posto sotto controllo il rapporto tra costo di produzione e ricavi di vendita, stabilendo il livello normale al 60% e la necessità di interventi di sempre maggiore impegno allorchè l’indice superi il 61%. Dal grafico si rileva che per scarti tra l’1 e il 2% gli interventi saranno promossi al primo livello di supervisione; per scostamenti maggiori qualsiasi misura dovrà essere invece assunta al livello della direzione operativa e, in casi di emergenza, a quello dell’alta direzione. Da azienda a azienda il controllo operativo può essere attuato a intervalli diversi di tempo: in alcune imprese (soprattutto nel settore dei beni di largo consumo) esso è realizzato settimanalmente, in altre mensilmente. Quest’ultima è la ricorrenza più frequente, in quanto la rilevazione mensile dei dati sulle attività svolte non appesantisce eccessivamente il sistema informativo aziendale e consente, allo stesso tempo, di adottare interventi efficaci su azioni in corso. Come detto, la difficoltà del controllo operativo non consiste tanto nella tempestiva rilevazione dei dati necessari per i riscontri da effettuare periodicamente, quanto piuttosto nell’analisi degli scostamenti verificatisi. Le cause degli scostamenti possono essere di diversa origine. Esempio:

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Se le vendite risultano inferiori alle quote stabilite, ciò può essere dipeso dall’inefficienza dell’organizzazione di vendita, da eventi sfavorevoli presentatisi sul mercato, dall’insuccesso di certi prodotti o forme distributive, da errori di valutazione compiuti nella redazione del piano. A seconda della causa, bisogna adottare provvedimenti diversi ed appropriati. Come migliorare l’organizzazione e la produttività del lavoro di vendita, lanciare campagne promozionali, ribassi di prezzo, oppure rettificare il piano data l’impossibilità di porre rimedio in tempi brevi ad errori di marketing o ad errate valutazioni previsionali. Gli interventi di correzione quindi possono incidere sul livello delle prestazioni ottenibili dall’organizzazione (gli obiettivi prefissati rimangono confermati e si tende a riportare l’attività in linea con la programmazione) oppure direttamente sui piani (riadeguamento alle condizioni interne ed esterne di svolgimento della gestione).

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Controllo operativo del piano di vendita

ORGANI PERIFERICIDI VENDITA

REPARTOPROGRAMMAZIONE

E CONTROLLO

REPARTOVENDITE

REPARTO AMMINISTRAZIONE

VENDITE

REPARTOPROMOZIONE

VENDITE

REPARTO PROGRAMMAZIONE

E CONTROLLO

REPARTO

VENDITE

ALTRE LINEEFUNZIONALI

ORGANICIPERIFERICI

DI VENDITA

DIREZIONECOMMERCIALE

Analisi degli scostamenti

Interventi organizzativi Modifiche ai programmi Interventi promozionaliInformazioni per la predisposizione diinterventi di correzione

Dati analitici di vendita Dati riassuntivi di vendita

Dati sui costi e ricavi di vendita

feed- back

La procedura schematizzata nella slide mostra il flusso dei dati e degli interventi previsti per tenere sotto controllo lo svolgimento dell’attività commerciale. • Invio periodico dei dati riguardanti i contratti di vendita stipulati e i relativi costi –

ricavi all’organo incaricato del controllo operativo (Reparto programmazione e controllo) da parte del Reparto Vendite e del Reparto Amministrazione Vendite;

• Analisi degli scostamenti rispetto al piano e al budget e trasmissione dei risultati alla Direzione commerciale;

• In caso di scostamenti che richiedono azioni correttive, sono possibili tre ipotesi di intervento:

• di natura organizzativa (Reparto vendita – organici) • di natura promozionale (Reparto promozione vendita) • di modifica degli obiettivi programmati (Reparto programmazione e controllo)

Come si vede la Direzione Commerciale attiva un flusso di informazioni di ritorno, inteso a riportare il sistema in equilibrio (meccanismo di feed-back o retroazione). L’attuazione della programmazione e del controllo operativo consentono di realizzare la direzione per obiettivi e il controllo per risultati (M.B.O. = Management by Objectives).

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La misurazione di efficienza della gestione

Ricavi e Costi relativi allagestione caratteristica

Proventi e oneri relativi allagestione patrimoniale che integra quella caratteristica

RISULTATO DELLAGESTIONE OPERATIVA

CARATTERISTICA

RISULTATO DELLAGESTIONE OPERATIVA

PATRIMONIALE

RISULTATO DELLA GESTIONE OPERATIVA

AZIENDALE

RISULTATO LORDODELLA GESTIONEDI COMPETENZA

GESTIONE STRAORDINARIA

RISULTATI ESTRANEI

ALLA GESTIONE CARATTERISTICA

REDDITOANTE-IMPOSTE

Fatti non imputabili alla gestioneoperativa dell’esercizio e fatti dicompetenza di passati esercizi

Oneri per finanziamento

attività svolte nella gestioneoperativa

a) c)

b)

d)

La funzione di controllo della gestione non si esaurisce nello svolgimento del controllo operativo concomitante, ma si completa con l’attuazione delle valutazioni di efficienza-efficacia sulla gestione aziendale. Queste vengono compiute solitamente a conclusione dell’esercizio annuale o dei cicli fondamentali di gestione e rappresentano dei controlli “a posteriori” del rendimento dei vari fattori impegnati nella combinazione produttiva. Efficienza Capacità di rendimento o attitudine a svolgere una certa funzione. E’ misurata dal rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse impegnate. Efficacia Grado di raggiungimento degli obiettivi aziendali. E’ misurata dal rapporto tra gli obiettivi ottenuti e quelli che si sarebbe dovuto conseguire. Noi, per comodità, attribuiremo al concetto di efficienza un significato più ampio che abbraccia anche quello dell’efficacia, per affrontare il problema del controllo susseguente (post-azione) in modo unitario. Non è facile misurare l’efficienza, perché comprende una molteplicità di aspetti da valutare in modo distinto. Si può parlare di efficienza interna od organizzativa, efficienza esterna o di mercato, ma anche di efficienza della funzione di produzione, finanziaria, di vendita, oppure ancora dell’efficienza degli uomini, degli impianti, delle tecnologie impiegate dall’impresa, ecc. E’ pertanto difficile trovare un indice, un valore che sia rappresentativo del risultato della gestione aziendale. Il reddito di esercizio?

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Solo in apparenza il reddito d’esercizio può risultare il valore di sintesi ricercato. In realtà è soltanto un valore residuale di natura contabile, espressivo delle politiche di bilancio e condizionato dalle scelte passate e dalle prospettive di gestione. Il reddito infatti è un elemento significativo solo nel lungo periodo, al limite solo in riferimento all’intera vita dell’azienda. Nella realtà esso rappresenta il risultato economico di un segmento annuale, difficilmente enucleabile dai segmenti precedenti e da quelli successivi, condizionato dai criteri di valutazione e dalle finalità del bilancio. Anche se la redazione del bilancio deve attenersi a corretti principi contabili, bisogna pur affermare che il reddito d’esercizio è sempre un valore residuale, decisamente influenzato dalla previsione dei futuri eventi di gestione. In particolare gli accantonamenti e gli ammortamenti incidono sulla misura finale del reddito. Quali elementi di valutazione dell’efficienza aziendale, si considerano più significativi il cash-flow e il margine (o utile) operativo. COMPONENTI DELLA GESTIONE AZIENDALE a) Gestione tipica o caratteristica: costituita da tutte le operazioni destinate a

raggiungere l’obiettivo finale per cui l’impresa stessa è stata creata; b) Gestione finanziaria: è rappresentata dalle operazioni di reperimento e di impiego

dei fondi occorrenti o prodotti dall’attività aziendale. E’ comune tanto alla gestione caratteristica quanto alla gestione patrimoniale;

c) Gestione patrimoniale (o accessoria): è riferibile all’impiego dei capitali disponibili in attività diverse da quelle della gestione caratteristica e di beni non strumentali per l’esercizio della gestione tipica (es. un immobile dato in locazione a terzi, capital-gains all’atto dei disinvestimenti di partecipazioni di gruppo, ecc.);

d) Gestione straordinaria: è composto dagli eventi estranei alla gestione operativa ed imprevedibili nel loro verificarsi o nella misura degli effetti prodotti, destinati ad alterare la situazione reddituale e patrimoniale dell’impresa (sopravvenienze, insussistenze, plusvalenze e minusvalenze).

Ciascun tipo di gestione è destinato dunque a produrre dei risultati e questi ultimi andranno a comporre il risultato globale dell’attività aziendale. L’indice più significativo è il risultato relativo alla gestione operativa, cioè quello scaturente dall’attività tipica o propria dell’impresa, anche se in non pochi casi questo risultato potrà essere modificato per il verificarsi di eventi non ordinari (gestione straordinaria), per la messa a frutto del patrimonio non impiegato strumentalmente nell’attività caratteristica e per gli esiti della gestione finanziaria. Specie nelle attuali condizioni di mercato dei capitali, è infatti importante determinare quanta parte del risultato di esercizio scaturisca dalla gestione industriale e quant’altra da quella finanziaria e accessoria. In molti casi la situazione di sottocapitalizzazione dell’impresa (forte squilibrio tra mezzi propri e di terzi) può pregiudicare l’esito dell’attività puramente industriale. Il margine operativo (a) rappresenta il risultato della gestione caratteristica dell’impresa (uguale alla differenza tra ricavi e costi dell’attività tipica aziendale, al lordo degli oneri fiscali). Gli effetti negativi dell’indebitamento si leggono nella gestione finanziaria.

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Margine operativo e cash flow

= Cash-flow finanziario

+ Accantonamenti

= Cash fow reddituale

+ Ammortamenti

Risultato netto d’esercizio

Risultato lordo di gestione=

Quote di ammortamento-

Cash-flow reddituale=

Quote di accantonamento-

Cash-flow finanziario=

Costi commerciali,

amministrativi e finanziari

Margine lordo industriale

Costi di produzione

(esclusi gli ammortamenti)

Ricavi d’esercizio

Margine netto industriale o

margine operativo

Costi commerciali e amministrativi

dell’attività tipica (esclusi gli oneri finanziari e inclusi gli ammortamenti)

Margine lordo industriale

Costi di produzione attività tipica

(esclusi gli ammortamenti)

Ricavi dell’attività tipica

=

--

==

--

CASH-FLOWMARGINE OPERATIVO

CASH FLOW E’ la sommatoria dell’utile netto, degli ammortamenti e degli accantonamenti (cash-flow finanziario), oppure la somma dell’utile netto e degli ammortamenti (cash-flow reddituale). Indica l’ammontate delle disponibilità di gestione da cui trarre le quote di ammortamento, quelle di accantonamento e il reddito da distribuire ai titolari dell’impresa. Si ritiene più significativo del reddito d’esercizio perché spesso, proprio mediante la dilatazione o la compressione delle politiche di ammortamento o di accantonamento, si determina il risultato di esercizio, che, se esaminato a sé stante, può trarre in inganno sull’efficienza economica della gestione. In altri termini il cash-flow vuole essere un valore indicativo dell’autofinanziamento aziendale e, in quanto tale, è considerato meglio espressivo del risultato della gestione, anche se risente dei criteri di valutazione applicati nella redazione del bilancio d’esercizio e dalla presenza di componenti estranee alla gestione tipica o caratteristica. Il cash-flow può essere ricavato sommando al risultato netto dell’esercizio tutte le quote d’ammortamento, al netto degli usi e tutte le quote di accantonamento, sempre al netto degli usi (TFR, svalutaz. crediti, rischi diversi). Oppure detraendo dai ricavi di esercizio tutti i costi che comportano l’erogazione di mezzi finanziari (esclusi i costi di ammortamenti e gli accantonamenti). I valori sintetici ora richiamati non rivelano tuttavia la misura dell’efficienza interna ed esterna e poco dicono sul contributo della struttura al raggiungimento degli obiettivi di gestione. Il management ha interesse ad approfondire le analisi per tenere distintamente sotto controllo l’efficienza organizzativa, economica e di mercato dell’azienda:

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1) EFFICIENZA ORGANIZZATIVA Si riflette sul livello di produttività del lavoro aziendale. Riguarda la struttura, le procedure e gli uomini impegnati nel sistema aziendale. Il rendimento dell’organizzazione può essere infatti influenzato dal modello di organigramma adottato, dalle procedure definite per l’attività direzionale ed esecutiva e dalle capacità del fattore umano disponibile. La misurazione di questo tipo di efficienza va dunque condotta sia mediante la misurazione del rendimento del personale sia per mezzo di appropriate analisi organizzative. a) Il rendimento del personale si può misurare:

� con indici quantitativi , tra cui il più importante è l’indice di produttività, cioè il rapporto tra risultato conseguito e sforzo sostenuto: es. per un operaio addetto allo stampaggio di pezzi di lamiera, il raffronto sarà tra il numero dei pezzi stampati (risultato) e il tempo impiegato (sforzo). Se lo stampaggio dovesse essere automatico, senza l’intervento dell’uomo, lo stesso rapporto si potrebbe costruire per il rendimento della macchina operatrice. Utile è la comparazione della produttività per i vari addetti agli stessi lavori e la valutazione delle variazioni dell’efficienza lavorativa all’interno dell’impresa.

� con indici qualitativi. La produttività non rivela nulla sulla qualità delle prestazioni rese. Si potrebbe ad esempio verificare che l’operaio A stampi in un’ora 60 pezzi mentre l’operaio B ne stampo 50, ma che il primo abbia una percentuale di sfridi del 10% e il secondo del 5%. Ciò significa in altri termini che ad una più elevata produttività dell’operaio A fa riscontro una migliore resa di lavorazione dell’operaio B. Quali aspetti qualitativi andrebbero tenuti sotto controllo? La quantità di materie prime impiegate, il corretto impiego di macchine e utensili, i costi sostenuti per ottenere i risultati, ecc.)

b) le analisi organizzative attengono alla struttura e alle procedure di lavoro. Non

originano indici. Sono condotte attraverso analisi piuttosto complesse, mediante interviste ai responsabili dei servizi o delle divisioni amministrative, valutazione delle mansioni, ricostruzione delle procedure mediante diagrammi di flusso. Sono analisi che generalmente richiedono l’impiego di specialisti in organizzazione aziendale, in grado di valutare l’adeguatezza della struttura alle strategie che l’impresa intende attuare, con particolare riguardo al corretto impiego delle capacità personali presenti nell’azienda.

2) EFFICIENZA ECONOMICA Può essere misurata con riferimento a tre parametri fondamentali: costi, ricavi, reddito. Gli indici quantitativi più frequentemente usati sono:

• L’indice di economicità: al numeratore i costi afferenti a singole funzioni o all’intera attività aziendale, al denominatore i ricavi della gestione. Viene così valutata in modo sintetico la situazione di equilibrio o di squilibrio esistente nel conto economico dell’azienda. Il suo valore è sempre più positivo quando più si attesta al di sotto dell’unità;

• L’indice di redditività: al numeratore il reddito registrato dall’impresa, al denominatore il capitale investito. Ne parleremo più avanti.

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3) EFFICIENZA DI MERCATO (O ESTERNA) L’indice che meglio fornisce valutazioni sintetiche è la quota di mercato. Infatti il solo tasso di sviluppo delle vendite non dice nulla circa il mutamento di posizione rispetto ai diretti concorrenti. Pere ottenere questa misurazione, come si deve definire il mercato dell’impresa? Quali marche includere, quali tipologie produttive, quale area geografica considerare per determinare il denominatore del rapporto? In realtà la quota di mercato è più indicativa nell’ipotesi di prodotti del tutto similari (automobili, abiti confezionati, elettrodomestici, detersivi, ecc.) e per marche che coprono l’intero mercato nazionale, meglio se in presenza di un elevato grado di concentrazione dell’offerta. Un’impresa piccola avrà scarso interesse a conoscere la propria quota di mercato molto frazionato o addirittura locale. A differenza degli indici di efficienza illustrati in precedenza, che risultano costruibili su dati interni, la determinazione della quota di mercato comporta la conoscenza di un dato esterno (vendite globali) che spesso richiede apposite indagini di mercato. Di fronte alla difficoltà di reperire i dati esterni, le aziende spesso si limitano a valutare l’efficienza esterna in rapporto a dati prevalentemente interni (incremento globale del fatturato, immissione di nuovi prodotti nel mercato, acquisizione di nuovi segmenti di clientela, ampliamento degli sbocchi distributivi raggiunti, ecc.). Si costruiscono pertanto indici di sviluppo del fatturato nel suo complesso, per classi di prodotti e di clienti, di penetrazione distributiva, di ampliamento della clientela. Sono indici utili nel valutare l’efficienza commerciale, ma non hanno lo stesso grado di significatività della quota di mercato. Bisogna infine distinguere l’incremento reale da quello puramente monetario. In un’epoca di sostenuta inflazione, la crescita del fatturato può dipendere più dalla dinamica dei prezzi di vendita che non da quella delle quantità vendute.

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Diagramma di redditività

AREA DEI PROFITTI

AREA DELLEPERDITE

COSTI VARIABILI

COSTI FISSI

QUANTITA’

CO

ST

I E

RIC

AV

I

F

O

L

L’

P

G’

G

V’

F’

R

q’ q q’’

C’

C

Ricordiamo ancora una volta che l’efficienza gestionale in senso stretto consiste nel rapporto tra risultato e sforzo. L’efficacia consiste nel rapporto tra risultati conseguiti e conseguibili. Raccogliendo entrambi i concetti, parleremo di efficienza in senso lato. Per misurare aspetti specifici della funzionalità di parti o dell’intero sistema aziendale, analizziamo le tecniche per:

a) Misurare la potenzialità economico strutturale dell’impresa; b) Valutare la redditività e l’economicità della gestione; c) Valutare l’efficienza della funzione di vendita.

a) La misurazione della potenzialità economico-strutturale mediante il

diagramma di redditività La capacità di reddito di un’impresa deriva, oltre che dai comportamenti che essa attua nei confronti del mercato, dai vincoli entro cui si svolge la sua gestione. I vincoli si collegano alla struttura stessa dell’impresa e a quella dell’ambiente esterno. Tra le condizioni vincolanti interne, si ricorda:

• La capacità di produzione (sia quantitativa che qualitativa); • La capacità finanziaria; • La capacità organizzativa; • La potenzialità economico-strutturale.

Quest’ultima dipende dalla struttura dei costi e dei ricavi aziendali, per quanto attiene in particolare al rapporto che intercorre tra costi fissi, costi variabili e ricavi. Lo strumento per misurare la potenzialità economico-strutturale è il diagramma di redditività, utilizzato per valutare in via preventiva o consuntiva gli effetti delle scelte aziendali sulle relazioni costi-volumi-risultati.

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Il grafico si costruisce rilevando o stimando l’altezza dei ricavi e dei costi fissi e variabili al livello massimo della potenzialità produttiva o di vendita dell’azienda. La cifra dei ricavi è desumibile abbastanza agevolmente dalla contabilità (se la misurazione è consuntiva) ed è stimabile, seppur con un cero grado di approssimazione, in relazione alle presunte quote di vendita dei vari prodotti. Più difficile è la determinazione dei costi fissi e dei costi variabili, sia in via preventiva che consuntiva. Per farlo è necessario analizzare il comportamento durante un periodo non breve di tempo (cinque-dieci anni). Dalle situazioni economiche relative a questo intervallo possono dapprima enuclearsi i costi fissi e, successivamente, i costi variabili. Per costruire il grafico bisogna tuttavia determinare il coefficiente di variabilità di tali costi in funzione di una certa unità di misura, che può essere ad esempio la quantità prodotta o venduta nei vari anni del periodo considerato. In questo modo è infatti possibile controllare se il coefficiente di incidenza dei singoli costi variabili rispetto all’unità di misura prescelta, sia rimasto costante al variare dei valori da questa assunti oppure se sia mutato, ed entro quali limiti. La determinazione della potenzialità economico-strutturale viene pertanto tutta a poggiare sull’identificazione della variabilità del costo rispetto al volume di attività. Il rischio, in caso contrario, è quello di appoggiarsi su stime largamente empiriche ed arbitrarie. L’analisi della variabilità dei costi si complica in periodi di elevata inflazione. Poiché questa non si abbatte in modo omogeneo sui vari tipi di costo, è intuibile la maggiore difficoltà connessa con l’individuazione di rapporti tendenziali di variabilità per ciascuno di essi. Su un diagramma cartesiano ora si pone sull’asse delle ordinate i costi ed i ricavi (in termini monetari o in percentuale del volume massimo del fatturato, sull’asse delle ascisse la base di riferimento di tali costi, che può essere il grado di utilizzazione degli impianti o, come accade più frequentemente, il volume di produzione o di vendita espresso in termini monetari o di quantità fisiche di prodotti (volume di attività). La line FF’ parallela all’asse delle ascisse rappresenta l’ammontare complessivo dei costi fissi. L’andamento dei costi variabili è rappresentato dalla linea OV’ con una inclinazione influenzata dal coefficiente di proporzionalità rispetto al volume. La linea C C’ rappresenta i costi totali dell’azienda. I ricavi sono rappresentati dalla linea OR, che esce dall’origine degli assi, anch’essa con una certa inclinazione, variando i ricavi proporzionalmente al variare del volume di vendita. Il punto P di incontro dei costi complessivi e dei ricavi complessivi è chiamato punto critico o punto di pareggio (break even point) e segnala la grandezza del volume produttivo o di vendita per la quale costi e ricavi si eguagliano, cioè il profitto è pari a zero. Il punto P definisce due triangoli che rappresentano rispettivamente l’area delle perdite (triangolo OCP’) e l’area dei profitti (triangolo PRC’). Con la quantità di produzione o di vendita uguale e q’ l’azienda subirebbe una perdita pari al segmento LL’. Se il volume fosse invece uguale a q il profitto conseguito sarebbe uguale al segmento GG’. Dalla posizione del punto di pareggio si può dunque evincere il grado di potenzialità economico-strutturale dell’azienda. Esso delimita infatti l’ampiezza dimensionale dell’area delle perdite e dei profitti.

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Un incremento dei costi o una diminuzione dei ricavi sposta il punto di pareggio a destra, riducendo l’area dei profitti e ampliando quella delle perdite. Effetto contrario si crea diminuendo i costi e aumentando i ricavi. Più il punto di pareggio si sposta verso sinistra più migliora la potenzialità economico-strutturale, in quanto si amplia l‘area dei profitti. Se si muove verso destra , cioè si avvicina al punto di massimo sfruttamento degli impianti, minore risulta la potenzialità economico-strutturale dell’azienda, la quale corre in questa situazione il rischio di trovarsi, anche per una lieve flessione delle vendite, immediatamente nell’area perdite Al punto di pareggio è legato in sostanza il concetto di leva operativa, intesa come il rapporto tra la variazione percentuale del reddito operativo e quella delle unità vendute. Può essere definita come il grado in cui vengono sfruttati i costi fissi nell’attività operativa. In sostanza un’azienda che ha una elevata proporzione di costi fissi rispetto ai costi totali e ai ricavi ha un’alta leva operativa, perché, al crescere della quantità prodotta, vede crescere più rapidamente il suo reddito operativo rispetto ad un’altra azienda con una leva operativa più bassa. Il concetto di leva operativa si collega, quindi, alla struttura dei costi e misura le conseguenze di un miglior sfruttamento dei costi fissi sul risultato operativo aziendale. E’ chiaro del resto che un’azienda con alti costi fissi sopporta un rischio più elevato rispetto ad un’impresa con minore incidenza di tali costi, perché i costi fissi globali sono indipendenti dal volume di produzione, mentre l’incidenza di questi costi sulle unità prodotte diviene sempre più bassa all’aumentare dei volumi prodotti con le potenzialità di produzione disponibili. Variazione percentuale del reddito operativo Leva operativa = ----------------------------------------------------- Variazione percentuale delle vendite Oltre che graficamente, il punto di pareggio può essere determinato anche in via analitica: x = ricavi y = volume produttivo o di vendita (nell’ipotesi di una perfetta uguaglianza tra valore del volume di produzione e di vendita e valore di ricavi) La linea dei costi complessivi può essere espressa da n’equazione del tipo: x’ = ay + k x’ = costo complessivo a = coefficiente angolare della linea dei costi variabili (rapporto tra costi variabili totali e ricavi complessivi) k = costi fissi Per avere il punto di equilibrio è necessario che i ricavi siano uguali ai costi, cioè: y = ay + k da cui si ottiene:

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k y = ------ 1 – a Analiticamente dunque, il volume di produzione o di vendita, corrispondente al punto di equilibrio espresso in volume monetario di produzione e di vendita, è dato dal rapporto tra costi fissi e la differenza tra i ricavi unitari ed il coefficiente di variabilità dei costi variabili (questa differenza è denominata “margine di contribuzione” , in quanto sta ad indicare in quale misura i ricavi di vendita “contribuiscono” all’assorbimento dei costi fissi). Nell’ipotesi di produzioni omogenee la determinazione del punto di equilibrio può essere ottenuta sulla base di valori totali, partendo dalla cosidetta “equazione del profitto”. Questa si esprime ponendo i ricavi complessivi pari ai costi complessivi più il profitto. Cioè: RQx = Cf + CvQx + PQx Qx = volume di produzione o di vendita; R = ricavo per unità di prodotto; Cf = costi fissi complessivi; Cv = costi variabili per unità di prodotto; P = profitto per unità di prodotto. Il punto di pareggio si ha quando PQx è uguale a zero; cioè l’equazione diventa RQx = Cf + CvQx da cui si ottiene Cf Qx = -------- R - Cv Qx esprime il volume di produzione o di vendita (misurato questa volta in termini di unità di prodotto) al quale corrisponde il punto di pareggio: volume che si ottiene dal rapporto tra i costi fissi complessivi e la differenza tra ricavi e costi variabili unitari. In questo modo non è necessario il calcolo dei coefficienti di variabilità, potendosi utilizzare direttamente i valori unitari dei ricavi e dei costi variabili. Il grafico di redditività serve, oltre che come strumento di budget flessibile (fornisce per qualsiasi volume di produzione e di vendita, sempre nei limiti della capacità massima degli impianti,il previsto risultato reddituale) , per valutare gli effetti delle scelte aziendali sul rapporto costi-volumi-risultati. In quest’ultimo caso è utile per stimare, in via anticipata o posticipata, i risultati in termini di equilibrio economico-strutturale di ciascuna decisione aziendale. Questa infatti può incidere sia sui costi fissi che su quelli variabili o ancora sull’altezza dei ricavi, di modo che la sua attuazione finisce per spostare il punto di pareggio in senso più favorevole o sfavorevole per l’impresa. L’impiego del diagramma, oltre che offrire un elemento di giudizio ai fini decisionali, risulta ancor più utile nell’ipotesi di comparazione di soluzioni alternative, dato che, a

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parità di reddito futuro e di altre condizioni, all’azienda conviene scegliere il comportamento che migliora la sua potenzialità economico-strutturale. Nel costruire il grafico si è fatto ricorso alle tre seguenti semplificazioni: 1. La costanza dei ricavi unitari di vendita, ossia la diretta proporzionalità dei ricavi

complessivi rispetto al volume venduto. Si riscontra nella realtà solo quando l’impresa rimane nelle sue decisioni di prezzo, sconti e abbuoni per qualsiasi volume di vendita: in questo caso il ricavo resta infatti sempre lo stesso per ciascuna unità di prodotto e la proporzionalità dei ricavi complessivi rispetto al volume venduto diviene un dato di fatto. Ma di solito accade che l’impresa modifica queste due scelte e allora la linea dei ricavi tracciata nel grafico non corrisponde alla realtà e se ne discosta tanto più quanto più marcata è la siffatta modificazione.

2. L’invariabilità della composizione quali-quantitativa della gamma di produzione realizzata: Nel caso della produzione e della vendita di una gamma di prodotti, la determinazione dei costi è operata o stimata in funzione di una certa struttura della produzione e, quindi, si ipotizza che tale struttura rimanga inalterata nel periodo durante il quale il grafico sarà utilizzato. E’ chiaro che una variazione della gamma si riflette sui costi, potendo provocare un’alterazione del rapporto tra costi fissi e variabili.

3. Assumendo l’esistenza di soli costi variabili proporzionali in tutto l’insieme di costi variabili tipici di ciascuna azienda, si opera una considerevole forzatura della realtà, dimenticando tra i costi variabili quelli che mutano in misura più o meno proporzionale al variare di una certa unità di misura. La semplificazione consiste nel riportare nel grafico una linea di costi variabili totali al posto di una curva di costi variabili complessivi risultante dalle curve dei diversi tipi di costi variabili.

L’utilizzazione del grafico di redditività è possibile solo nel tempo breve perché è difficile che le grandezze che sono alla base della sua costruzione (costi fissi, ricavi, ecc.) si mantengano invariate nel medio-lungo termine. In conclusione, va sottolineato che i limiti descritti non annullano i vantaggi del ricorso a questo strumento di controllo, ma restringe soltanto la portata indicativa delle sue risultanze.