università degli studi di roma tor vergata · un terzo ostacolo nel praticare la chirurgia...
TRANSCRIPT
Università degli Studi di Roma
"TOR VERGATA"
Facoltà di Ingegneria
Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Medica
Insegnamento di
Tecnologie Chirurgiche Innovative
“Il training in chirurgia laparoscopica determina un reale miglioramento della performance?”
Cristiano Enea
A.A. 2006-2007
La chirurgia mininvasiva
Il termine chirurgia deriva dal greco “cheirourghìa” e letteralmente significa "lavoro manuale”. Fin dalla
preistoria si hanno notizie di interventi chirurgici come di una “attività terapeutica compiuta con le mani e
con l'aiuto di strumenti, finalizzata a operare la riduzione di fratture, lussazioni, curare le ferite, amputare
gli arti, cauterizzare, bendare".
Ovviamente nel corso degli anni la chirurgia e la medicina in generale hanno conosciuto un notevole
sviluppo, al punto che la moderna chirurgia non solo cerca di porre rimedio alla patologia del paziente ma
allo stesso tempo cerca di minimizzare i disagi dovuti all’intervento e massimizzare il successo terapeutico;
si sta evolvendo, quindi, come una disciplina sempre meno invasiva, che tende a limitare la traumaticità
dell’intervento stesso.
Un classico esempio è costituito dalla endoscopia che, nata come tecnica diagnostica e terapeutica
importantissima, permette sia di avere una visione diretta dell’organo da esplorare sia di eseguire, con
appositi strumenti, opportune operazioni chirurgiche.
La prima esplorazione endoscopica della cavità peritoneale fu eseguita dallo svedese Jocobeus che nel 1910
utilizzò un cistoscopio a luce riflessa.
Nel corso di tutto il secolo diverse furono le metodologie e le strumentazioni di indagine endoscopica
adottate; dai nuovi sistemi di luce utilizzati (fibre ottiche, luce fredda, etc) agli strumenti innovativi.
Questo interesse suscitato nel corso degli anni dall’indagine endoscopica ha fatto si che da semplice
indagine diagnostica divenisse tecnica chirurgica vera e propria. Infatti nel 1987, a Lione, Philippe Mouret
eseguì con successo la prima colecistectomia videolaparoscopica nell´uomo.
La chirurgia mininvasiva si propone di raggiungere gli stessi obiettivi delle tecniche chirurgiche classiche
sfruttando però delle vie di accesso agli organi che riducano al minimo il trauma chirurgico per il paziente.
Proprio il fatto di utilizzare vie di accesso alternative, minimamente invasive per il paziente, rappresenta la
grande rivoluzione apportata dalla chirurgia endoscopica tanto che è stata paragonata a quella ottenuta
dall’avvento dell’anestesia generale.
La chirurgia mininvasiva comprende interventi attuati per via laparoscopica (nel caso di organi contenuti
nella cavità addominale e pelvica) e toracoscopica (nel caso di organi contenuti nella cavità toracica).
Inoltre comprende quegli interventi effettuati all’interno di organi cavi, come la chirurgia transanale,
transesofagea e transgastrica.
Nel corso degli anni sono stati messi in luce i vantaggi di questa nuova tecnica chirurgica: dalla notevole
riduzione dei tempi necessari per eseguire l’intervento alle migliori condizioni del paziente. Infatti un
eventuale accesso mininvasivo comporta minor impatto mentale e fisico per il paziente ma anche una
notevole riduzione delle complicanze della ferita operatoria. E ciò si traduce in tempi post-operatori più
brevi con riduzione dei costi.
2
Per questo oggi la chirurgia mininvasiva rappresenta il “golden standard” per interventi quali la
colecistectomia e la chirurgia antireflusso ed inoltre si sta affermando anche in altri settori dove la
tradizionale chirurgia aperta ancora resiste.
Tuttavia la chirurgia mininvasiva non è una pratica del tutto priva di rischi. È infatti possibile l’insorgenza
di complicazioni intraoperatorie, alcune molto gravi, dovute soprattutto ad un’iniziale inesperienza da parte
del chirurgo.
La grande novità per il chirurgo è il trovarsi ad operare con una visione bidimensionale che appiattisce la
profondità del campo operatorio; inoltre l’utilizzo della strumentazione mininvasiva (trocar, etc.) nega al
chirurgo la sensazione tattile caratteristica del gesto operatorio.
Queste limitazioni possono essere superate attraverso un´attività di training che prevede l’utilizzo di
simulatori al pc, box trainer, video didattici, etc.
Lo sviluppo di questi supporti di simulazione ha fatto si che le complicazioni intraoperatorie associate alla
chirurgia mininvasiva siano in percentuali equivalenti a quelle della chirurgia tradizionale.
3
Il training e la chirurgia mininvasiva
“See one, do one, teach one”.
Letteralmente questo dogma può essere tradotto come “Guarda, esegui, insegna”. Questo è un modo per
parafrasare quello che è stato il tradizionale metodo di insegnamento in ambito chirurgico per oltre cento
anni.
Questo dogma di vecchia data, e quindi il training chirurgico, è stato nel corso degli anni modificato da
fattori legali e soprattutto etici relativi alla sicurezza del paziente, alle restrizioni sulle ore settimanali di
training, ai costi legati all’utilizzo della sala operatoria e ad eventuali complicazioni chirurgiche.
Lo sviluppo e la diffusione dei sistemi di simulazione e di training chirurgico offrono una valida
opportunità di insegnare e di provare l’abilità nell’eseguire pratiche laparoscopiche al di fuori dell’ambiente
operatorio.
Tutto ciò costituisce un notevole vantaggio per quanto concerne la sicurezza del paziente, la gestione delle
sale operatorie e la gestione del training stesso.
L’obiettivo del training simulato è quello di aiutare il tirocinante, ma non solo, ad acquisire quella
manualità necessaria per sperimentare alcune procedure chirurgiche mininvasive prima di testarle
direttamente su un paziente.
Per i chirurghi addominali, la chirurgia mininvasiva coinvolge tecniche laparoscopiche; ma la chirurgia
mininvasiva si estende anche ad altri ambiti quali la chirurgia toracica, quella ginecologica, la chirurgia
della testa e del collo, laddove le dimensioni dell’incisione e il grado della ferita per il paziente possono
essere minimizzate sfruttando le nuove tecniche e le nuove strumentazioni.
Perciò questo graduale passaggio dalla chirurgia aperta alla chirurgia mininvasiva, tutt’ora in corso, sta
proponendo sul panorama mondiale differenti metodologie di training chirurgico.
Lo sviluppo di queste nuovi sistemi di training è necessario in quanto risulta chiaro che la chirurgia
mininvasiva richiede delle abilità ed una manualità del tutto diverse da quelle richieste dalla tradizionale
chirurgica aperta.
Una prima caratteristica è rappresentata dalla capacità di coordinazione nel maneggiare la strumentazione
laparoscopica nel campo operatorio 3D, basandosi sulla visione 2D offerta dal monitor. L’operatore perde
la percezione della profondità.
Diversi studi hanno dimostrato che il cervello non accetta la perdita della profondità sul monitor creandola
in maniera subconscia. L’angolazione degli strumenti, la parallasse e la conoscenza di alcuni punti di
riferimento contribuiscono alla stima della profondità sullo schermo.
Si è visto che per molti soggetti la necessità di sviluppare una certa manualità ambidestra utilizzando
strumenti laparoscopici con un limitato grado di libertà (dovuto ai ridotti spazi operatori all’interno della
cavità addominale) sembra essere la principale difficoltà incontrata nel campo della chirurgia laparoscopica.
4
Questa difficoltà è associata al concetto di fulcrum (fulcro,punto d’appoggio); essendo i trocar, attraverso
cui passano gli strumenti, ancorati sulla parete addominale,un movimento verso l’alto dell’impugnatura
(esterna all’addome) determina un movimento verso il basso dell’estremità dell’effettore e viceversa.
La consapevolezza dei chirurghi deve essere sviluppata insieme all’abilità di operare con una certa
sicurezza e di identificare le strutture importanti anche se osservate attraverso un monitor. Tutto questo
deve essere realizzato attraverso una strumentazione dedicata che richiede una certa esperienza nella
gestione e nell’utilizzo.
Un terzo ostacolo nel praticare la chirurgia laparoscopica è la perdita di sensibilità tattile nel distinguere
tessuti e altre masse. Per ovviare a questo problema, si utilizzano spesso due strumenti laparoscopici con i
quali si vanno a toccare con una certa frequenza degli oggetti nel campo visivo; ciò fornisce una serie di
input sensoriali.
Per questi motivi la Food & Drug Administration (FDA) nell’aprile del 2004 si è inserita nel dibattito
riguardante le metodologie di training, pretendendo un programma di training basato su dei simulatori, la
cui esperienza fosse opportunamente testata da medici; questo è stato il primo mandato della FDA in
maniera di training.
5
Diverse metodologie di training
Sulla scia della diffusione della chirurgia mininvasiva e della continua evoluzione tecnologica, ma
soprattutto in risposta alla richiesta di un opportuno e necessario programma di training, sono stati
progettati e realizzati diversi e numerosi sistemi di training.
Questi dispositivi sono tali da permettere ai tirocinanti, ma anche ai chirurghi che per la prima volta si
accostano alla chirurgia mininvasiva, di acquisire una certa abilità nel maneggiare la strumentazione
dedicata, del tutto differente da quella utilizzata nella tradizionale chirurgia aperta, e nell’eseguire le
procedure chirurgiche che prevedono un accesso al campo operatorio minimamente invasivo per il paziente.
Vediamo ora brevemente quali sono i principali dispositivi utilizzati per il training. I diversi sistemi di
training possono essere separati in sistemi fisici e sistemi virtuali. I simulatori fisici sono ad esempio il box
trainer e la strumentazione laparoscopica, mentre i simulatori virtuali sono quei sistemi computer-based che
prevedono l’utilizzo di software di realtà virtuale.
Box trainer
Questo tipo di simulatore chirurgico utilizza strumenti chirurgici reali e la strumentazione video
generalmente utilizzata in sala operatoria. E’ costituito da un box delle dimensioni approssimative della
cavità addominale di un soggetto adulto ed è caratterizzato da pareti opache.
Sulla superficie superiore vengono praticate delle aperture attraverso le quali vengono inseriti i trocar (le
porte di accesso al campo operatorio nella normale chirurgia mininvasiva). La strumentazione
laparoscopica viene inserita, attraverso i trocar, all’interno del box.
Fig. 1 – Box Trainer
I vari target presenti all’interno del box vengono manipolati e gestiti sotto l’informazione visiva realizzata
mediante una sorgente video e un monitor.
6
In questa modalità di training, il feedback tattile è ovviamente limitato dall’utilizzo della strumentazione
laparoscopica; ma, allo stesso tempo, la possibilità di impiego dei reali strumenti e del restante
equipaggiamento (ad esempio la colonna laparoscopica), rappresenta il punto di forza del sistema.
Ovviamente all’interno del box i tessuti sui quali ci si esercita sono dei tessuti simulati, realizzati con i
materiali più svariati, come ad esempio della semplice spugna.
A volte tuttavia è possibile inserire all’interno del box dei tessuti di natura biologica per aumentare il
realismo dell’esercitazione; questa è una pratica adoperata ad esempio per esercitarsi sulle suture.
E’ stato dimostrato che l’utilizzo di un box trainer per esercitarsi in diversi task che simulano reali
interventi chirurgici stimola nel soggetto che si esercita l’apprendimento psicomotorio; il feedback
sensoriale offerto dalla strumentazione è equivalente a quello offerto dalla chirurgia.
Il contatto tra lo strumento e la superficie del tessuto, la pressione esercitata nel chiudere l’impugnatura di
un endoclinch, la compliance dei tessuti compressi evoca un feedback sensoriale definito haptico.
Perciò il feedback sensoriale è un altro importante fattore attribuito alla simulazione mediante box trainer.
E’ necessario sottolineare anche il lato economico del sistema di simulazione; i costi non eccessivi di un
box trainer, associati alle caratteristiche prima citate, fanno di questo dispositivo un simulatore ampiamente
diffuso ed estremamente valido per la simulazione e per il training in campo laparoscopico.
L’utilizzo di questi box trainer è stato ampiamente studiato e documentato come una componete del
“McGill Inanimate System for Training and Evaluation of Laparoscopic Skills (MISTELS), un sistema
analizzato, validato e sviluppato nel corso e nel sistema di valutazione della “Society of Gastrointestinal
and Endoscopic Surgeons (SAGES) Fundamentals of Laparoscopic Surgery (FLS)”.
Modelli animali
Esistono dei simulatori che prevedono l’utilizzo di animali vivi, anestetizzati. Questa è la pratica per il
training laparoscopico maggiormente realistica che non prevede il coinvolgimento diretto dei pazienti. Ad
esempio l’addome di un maiale è estremamente comparabile a quello di un essere umano.
Tuttavia anche con l’utilizzo di animali si va incontro a problemi di tipo etico ed economico.
Realtà virtuale
I simulatori chirurgici che utilizzano la realtà virtuale sono l’ultimo ritrovato in fatto di training chirurgico.
Sono stati sviluppati software sofisticati in grado di riprodurre procedure chirurgiche laparoscopiche.
Ciascun tirocinante può registrare le proprie prove; questo rende più semplice l’eventuale valutazione dei
risultati ottenuti e il confronto dei dati con quelli relativi ad altri soggetti.
Inoltre esiste la possibilità di aggiornare questi software per creare task più complessi e realizzare così
nuove procedure.
Le piattaforme disponibili in commercio più diffuse sono ad esempio:
7
1. Procedicus MIST (Minimally Invasive Surgical Trainer);
2. Haptica ProMIS;
3. METI SurgicalSIM;
4. Surgical Science LapSim.
In particolare il sistema LapSim è caratterizzato dall’utilizzo di strumenti laparoscopici connessi al
computer. Il LapSim focalizza l’attenzione prevalentemente alla realizzazione di suture e alle pratiche
laparoscopiche base.
Fig.2 – Schermata del simulatore LapSim
Simulatori di procedure chirurgiche
Altri simulatori, sempre computer-based, permettono la realizzazione e la pratica di intere pratiche
chirurgiche, non limitandosi a semplici task come altri simulatori. Il vantaggio derivante dall’utilizzo di
questi simulatori è chiaro; il soggetto interessato può acquisire una formazione più completa, che coinvolga
l’anatomia, la manualità dell’atto chirurgico in tutte le sue sfumature in un ambiente in cui un eventuale
errore non porti a complicazioni o conseguenze.
Questi appena presentati sono i principali sistemi di training in campo chirurgico e laparoscopico.
Ovviamente ciascuno presenta dei punti forti e dei punti di debolezza.
La diffusione della tecnologia tende ad evidenziare la validità dei sistemi computer-based. I simulatori
virtuali riescono a riprodurre con notevole realismo il campo operatorio e la procedura chirurgica da
eseguire. Tuttavia la realtà virtuale non riesce a fornire all’operatore alcune informazioni fondamentali
quale può essere la sensibilità tattile.
Inoltre uno svantaggio dei simulatori virtuali può risultare alla lunga la limitatezza dei task da eseguire;
sarebbe necessario un continuo aggiornamento dei software per acquisire pacchetti relativi a nuove
esercitazioni. Tutto ciò a discapito dei conti, tutt’altro che contenuti.
8
Questi problemi non si presentano mediante l’utilizzo di un box trainer; infatti mediante questo sistema è
possibile eseguire un numero elevato di esercizi, diversi tra loro.
Inoltre il soggetto si trova a lavorare direttamente con la reale strumentazione laparoscopica. Il tutto a costi
estremamente ridotti; utilizzando infatti materiali comuni quali spugne, elastici, garze si riesce a riprodurre
un sistema che mima il campo operatorio in maniera ampiamente soddisfacente.
Il tirocinante con l’utilizzo di un box trainer può acquisire anche informazione tattile, migliorando
realmente le proprie capacità e la propria manualità.
Tuttavia il passaggio da un “dry-lab” ad un “wet-lab” sembra essere, se non necessario, molto utile per
aumentare realmente le proprie abilità in campo laparoscopico; dovrebbe essere uno step molto importante
nel processo di training per un chirurgo.
I modelli di training animali o da cadavere offrono un ampio range di applicazioni per testare procedure
laparoscopiche, ed eventuali complicazioni, in vivo.
Tuttavia la pratica su animali vivi è in molti paesi vietata, soprattutto per motivi etici. Ma questo problema
potrebbe essere risolto utilizzando altri materiali di natura biologica.
9
Efficacia del training
Il training in laparoscopia è ancora un campo aperto e soggetto ad enormi cambiamenti; ciò è dovuto sia
alla giovane età di questa metodologia chirurgica sia alle continue innovazioni tecnologiche.
Sono stati sviluppati diversi programmi per il training laparoscopico, ma la loro efficacia è ancora oggi
oggetto di discussione e di dubbi.
Non è ancora infatti chiaro se i chirurghi hanno sufficiente accesso a questi programmi e se questi stessi
programmi siano realmente in grado di sviluppare nel soggetto le capacità richieste.
Ci si chiede inoltre se il chirurgo è in grado di trasferire queste capacità acquisite con il training in
laboratorio nella sala operatoria; cioè un miglioramento delle proprie capacità in laboratorio determina un
miglioramento nell’esecuzione dell’intervento sul paziente.
Allo stesso tempo, risulta chiaro che le nuove sale operatorie non sono il luogo ideale per l’apprendimento a
causa dei costi, dello stress e di problemi di carattere etico.
In letteratura sono presenti numerosi lavori che mirano a dimostrare l’efficacia dei sistemi di training, siano
essi fisici o virtuali.
Con i moderni sistemi di training chirurgico, le capacità vengono acquisite attraverso un processo didattico
di osservazione, assistenza e esecuzione di procedure chirurgiche sotto supervisione.
Gli schemi di valutazione del training sono estremamente differenti nella varie parti del mondo; alcuni
sono infatti basati sul tempo, altri sulla competenza del soggetto. Altre volte vengono stabiliti dei parametri
ai quali viene conferito un punteggio variabile in un certo range.
Molti studi recenti hanno basato la valutazione dei soggetti impegnati nel training sull’analisi delle “curve
di apprendimento”.
Il concetto di “curva di apprendimento” è un concetto sviluppato da poco in seguito alla diffusione di nuove
tecnologie. Si basano sul principio che la qualità del risultato aumenta con l’esperienza. Questo implica che
la conoscenza non può essere appresa pienamente o trasferita dall’insegnante al tirocinante senza che si
verifichi una certa perdita, e che ciascuno deve costruire la propria esperienza imparando dai propri errori.
Perciò in campo chirurgico l’obiettivo dell’insegnante è quello di ridurre il numero di pazienti necessari per
acquisire una certa esperienza.
Il termine “curva di apprendimento” viene talvolta usato in maniera impropria.
In primo luogo si potrebbe indicare la curva di apprendimento come il numero medio di procedure che un
chirurgo dovrebbe eseguire per essere in grado di praticare una certa procedura chirurgica senza rischi.
Tuttavia questa definizione non è estremamente corretta in quanto richiede la necessità di definire il
“chirurgo medio”.
Nel definire una curva di apprendimento è necessario tener conto di diversi fattori quali il tempo impiegato
per realizzare un determinato esercizio, la frequenza con cui la procedura viene ripetuta. Ne consegue che la
forma delle curve di apprendimento potrebbe risultare diversa a seconda delle varie procedure chirurgiche
eseguite.
10
Curva di Apprendimento
0
10
20
30
40
50
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
Prove
Tem
po
Operatore 1
Operatore 2
Operatore 3
Fig. 3 – Esempio di curva di apprendimento
In figura 3 viene mostrato un esempio di curva di apprendimento in cui il numero di prove viene rapportato
al tempo impiegato per ciascuna ripetizione; è possibile notare una prima porzione della curva (in
corrispondenza delle prime prove) che risulta essere monotona decrescente. In seguito, all’aumentare del
numero delle prove eseguite, il tempo richiesto per eseguire un dato esercizio si riduce e la curva forma un
plataeu.
Ciò significa che ripetendo più volte un esercizio, il soggetto acquisisce una certa abilità che lo porta ad
eseguire la stessa azione in un tempo minore.
Altre volte durante ciascuna prova gli operatori vengono valutati da chirurghi ritenuti esperti nella
procedura laparoscopica che si va ad eseguire e viene assegnato loro un punteggio sull’analisi di parametri
quali la velocità, la padronanza degli strumenti, etc.
Nella figura 4 sottostante viene riportata una diversa curva di apprendimento in cui si mostra come
all’aumentare del numero delle ripetizioni il punteggio dell’operatore, e quindi la sua abilità, aumenta.
Curva di apprendimento
0
400
800
1200
1600
2000
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
Prova
Pun
tegg
io t
otal
e
Fig. 4 – Curva di apprendimento
11
E’ comune credenza che le curve di apprendimento relative alla chirurgia mininvasiva sono più lunghe
rispetto a quelle relative a procedure di chirurgia open. Questa è una convinzione prevalentemente di molti
chirurghi senior, ma manca di qualsiasi prova obiettiva in quanto non sono stati condotti studi per validare
questa ipotesi.
Ancora oggi è aperta una discussione relativamente al numero di prove necessarie per raggiungere una
performance soddisfacente. La EAU (European Association of Urology) nel 2002 ha presentano un
documento in cui si fissava in 50 il numero di procedure richieste prima di notare un plateau nell’incidenza
della complicazioni associate ad una certa procedura. Solo dopo aver eseguito almeno 50 interventi un
chirurgo poteva essere ritenuto competente in laparoscopia.
Nel Regno Unito, la Società Endourologica stabiliva la soglia di almeno 40 procedure laparoscopiche.
Tralasciando momentaneamente i numeri, si capisce come il numero dei casi è sempre relativo, e il grado di
competenza ed abilità dipende da diversi fattori quali l’assistenza durante l’intervento, l’aiuto o meno di un
mentor, la quotidiana pratica.
Risulta difficoltoso e problematico definire un numero universale di procedure laparoscopiche per la
certificazione. Ogni tentativo di stabilire il livello di competenza tecnica si scontra con la necessità di
definire cosa si intende per competenza.
A questi dubbi e al generale scetticismo relativo all’efficacia di questi simulatori rispondono numerosi studi
in cui viene evidenziato come un costante training sia realmente efficace e permetta a chirurghi o tirocinanti
di acquisire una certa dimestichezza con le normali procedure laparoscopiche.
Fondamentale è stato il contributo di Derossis et al1 i quali hanno messo a punto un programma di training
diviso in 7 task (spostare un oggetto, tagliare, applicare una clip e taglio, posizionare un nodo scorsoio,
posizionare una mesh su un difetto, realizzare un nodo intracorporeo e un nodo extracorporeo). Ciascuno di
questi esercizi veniva valutato in base alla precisione e alla velocità con cui il soggetto realizzava la prova.
Per lo studio sono stati selezionati 12 medici chirurghi i quali sono stati suddivisi in due gruppi. Il primo
gruppo (gruppo A) è stato sottoposto a 5 sessioni di training per una settimana, mentre il secondo gruppo
(gruppo B) non ha beneficiato di questo allenamento.
Quello che si evince dai risultati ottenuti è che il gruppo A ha acquisito una maggior padronanza delle
procedure, riportando punteggi più alti rispetto al gruppo B e presentando un miglioramento in ciascuno dei
task eseguiti. Nel gruppo B si riscontrano invece miglioramenti meno significativi e solo per alcuni task.
Altro lavoro estremamente interessante è quello di Fried et al [7] nel quale viene valutata l’efficiacia del
MISTELS (McGill Inanimate System for Training and Evaluation of Laparoscopic Skills), un simulatore
fisico introdotto dalla SAGES (Society of American Gastrointestinal and Endoscopic Surgeons) nel loro
programma FLS (Fundamentals of Laparoscopic Surgery).
Con un organico di oltre 200 chirurghi (senior, intermedi e junior) ai quali è stato chiesto di eseguire diversi
esercizi utilizzando questo simulatore, si è registrato un notevole aumento del livello di preparazione e di
abilità dei soggetti interessati. 1 Derossis AM, Botwhell J, Sigman HH, Fried GM – The effect of practice on performance in a laparoscopic simulator – Surg Endosc (1998) 12; 1117-1120.
12
Datta [4] sottolinea l’importanza di quei concetti che lui definisce “massed pratice” e “distributed practice”,
ovvero l’importanza di un programma di training ampio (massed) e soprattutto continuativo (distributed)
nel tempo. Solo in questo modo infatti l’operatore può acquisire l’abilità psicomotoria necessaria per
eseguire le procedure laparoscopiche in sicurezza.
Nel lavoro di Risucci et al [8] viene mostrato come un normale programma di training possa incrementare
la performance dei soggetti analizzati. La novità è introdotta dalla possibilità, per il tirocinante, di ricevere
delle istruzioni dinamiche durante le esercitazioni. La presenza di una figura esperta che interagisce con il
soggetto durante la pratica stessa, fornendogli istruzioni, comporta un ulteriore miglioramento della
prestazione e la qualità dell’acquisizione delle capacità laparoscopiche da parte dell’operatore.
Chung e Suckier [3] mostrano come un buon programma di training sia una componente fondamentale della
preparazione di un chirurgo laparoscopico, in quanto fornisce la possibilità di migliorare la propria
performance.
13
Analisi del programma di training
Durante l’insegnamento di Tecnologie Chirurgiche Innovative si è deciso di eseguire un programma di
training utilizzando un pelvic trainer e la normale strumentazione laparoscopica per mostrare come la
ripetuta esecuzione di un esercizio sia determinante al fine di acquisire una certa abilità e quindi migliorare
la propria performance.
Soggetti
Il gruppo oggetto di studio è costituito da 11 elementi. Tutti i partecipanti sono studenti di Ingegneria
Medica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.
Lo studio è stato condotto durante il corso di “Tecnologie Chirurgiche Innovative” tenuto dal dott. F. Rulli,
con la collaborazione del dott. G. Galatà.
Tutte le prove sono state eseguite presso il laboratorio allestito nel dipartimento di Ing. Civile, nel periodo
compreso tra il 23 marzo 2007 e il 27 aprile 2007.
Task delle esercitazioni
Sono stati eseguiti 5 diversi esercizi, in ordine di difficoltà. Alcuni di questi esercizi mirano a migliorare
l’abilità dell’operatore nell’eseguire il gesto operatorio; mediante altri si cerca di far prendere confidenza
con la strumentazione laparoscopica. Infine altri esercizi si focalizzano su particolari tecniche
laparoscopiche.
Agli operatori è stato mostrato preliminarmente l’esercizio da eseguire. Di seguito viene riportato l’elenco
dei task eseguiti in laboratorio.
1. Posizionamento di clip emostatiche e taglio
All’operatore è stato richiesto di applicare due clip emostatiche su un corpo elastico e di tagliare in
seguito il corpo nella porzione intermedia tra le due clip applicate. Lo scopo è quello di ripetere la
procedura chirurgica quando è necessario applicare clip emostatiche in maniera accurata e sicura.
2. Rimozione di uno specimen mediante EndoBag e riposizionamento dello stesso
L’operatore deve catturare attraverso l’endoclinch uno specimen, posizionarlo all’interno
dell’EndoBag, chiudere l’EndoBag. In seguito è richiesto di riaprire l’EndoBag e riposizionare lo
specimen nel punto di partenza.
3. Taglio lungo un percorso prestabilito
L’operatore deve tagliare un foglio di carta (10cm x 10cm) lungo la linea mediana dello stesso,
opportunamente evidenziata utilizzando una forbice curva.
4. Posizionamento dell’ago
Al soggetto è chiesto di posizionare l’ago da sutura su di una spugna, utilizzando il porta-aghi e il
controporta-aghi.
14
5. Nodo intracorporeo
Il soggetto, subito dopo aver posizionato l’ago nella spugna, deve eseguire un nodo (semplice)
intracorporeo, sempre sfruttando porta-aghi e controporta-aghi.
La performance di ogni task è stata valutata unicamente in base al tempo impiegato; non è stata posta
invece alcuna attenzione agli aspetti relativi alla sicurezza per il paziente.
Statistica
I dati raccolti in laboratorio sono stati analizzati e diagrammati mediante software Excel, ipotizzando che
fossero distribuiti secondo una distribuzione normale (gaussiana) e secondo la distribuzione t di Student.
E’ stata utilizzata la cosiddetta “verifica delle ipotesi” per evidenziare il miglioramento della performance
dei singoli operatori nel provare e nel ripetere successivamente un determinato task.
Per effettuare la verifica delle ipotesi è stato necessario preparare due ipotesi, tra loro opposte:
1. l’ipotesi nulla, detta ipotesi H0;
2. l’ipotesi alternativa, detta HA.
Nel nostro studio si è andati a calcolare il tempo medio impiegato dagli 11 operatori per compiere ciascuna
prova; in seguito è stato calcolato il ∆ (delta) tra le singole prove, ovvero la differenza tra i tempi medi
impiegati.
Di seguito, in tabella 1, viene mostrato un esempio di questo calcolo:
Operatore Prova 1 Prova 2 Prova 3 ∆ 1/2 ∆ 2/3 ∆ 1/3
t (sec) t (sec) t (sec) t (sec) t (sec) t (sec)
1 50 41,2 23 8,8=50-41,2 18,2=41,2-23 27=50-23
2 45 33 12 12 21 33
3 51,3 45,7 32 5,6 13,7 19,3
4 38,9 34,7 21,9 4,2 12,8 17
Media 46,3 38,65 22,225 7,65 16,425 24,075
Tabella 12
Vediamo cosa rappresenta il ∆1/2. Questo valore costituisce la differenza tra il tempo medio impiegato dagli
operatori per eseguire la prima prova e il tempo medio impiegato dagli stessi operatori per eseguire la
seconda prova.
In maniera analoga, il coefficiente ∆1/3 non è altro che la differenza tra i tempi impiegati per eseguire le
prove 1 e 3.
In altre parole questo coefficiente mostra la variazione di tempo necessario per eseguire un determinato
esercizio in funzione del numero di esecuzioni dell’esercizio stesso.
2 Questi dati NON sono relativi ad alcuna prova. Sono unicamente dati inseriti per mostrare la metodologia di calcolo dei coefficienti ∆.
15
In teoria, ripetendo lo stesso esercizio più volte, l’operatore dovrebbe acquisire una certa abilità e
manualità; ciò comporta quindi un minor tempo per eseguire l’esercizio.
Ne consegue che, nel caso ideale, questo coefficiente, ∆x/y, è un coefficiente positivo; infatti ciò sta ad
indicare che l’operatore nell’eseguire la prova y ha impiegato un tempo minore rispetto a quello impiegato
per eseguire la prova x.
Nel nostro studio abbiamo supposto che il ∆ tra le prove fosse nullo; questa è la nostra ipotesi H0. Supporre
che il ∆ tra le prove sia nullo equivale a dire che non c’è stato alcun miglioramento per ciò che riguarda il
tempo impiegato nell’eseguire più prove.
Riuscendo però a rifiutare questa ipotesi nulla H0 andiamo a validare in maniera automatica l’ipotesi
alternativa HA secondo cui questo ∆ è un numero positivo3 (e quindi c’è stato un miglioramento tra una
prova e l’altra).
Risultati
Un primo risultato delle prove eseguite in laboratorio viene mostrato nei diagrammi sottostanti. Sull’asse
delle ascisse vengono riportate le prove eseguite, mentre sulle ordinate vengono riportati i tempi impiegati
da ciascun operatore per eseguire i task.
Posizionamento delle clip emostratiche e taglio
0,0
40,0
80,0
120,0
160,0
0 1 2 3
P rove
4
Fig. 5- Posizionamento delle clip emostatiche e taglio
Rimozione tramite endobag e riposizionamento
0,0
70,0
140,0
210,0
280,0
350,0
0 1 2 3 4
Prova
Tem
po im
pieg
ato
(sec
)
Fig. 6 – Rimozione di uno specimen tramite EndoBag e riposizionamento
3 Stiamo eseguendo un test ad una coda (coda destra). Rifiutare perciò l’ipotesi nulla H0 secondo cui il delta è nullo equivale a dimostrare che il delta è positivo (>0). Nel caso in cui avessimo eseguito un test ad una coda (sinistra), il rifiutare l’ipotesi nulla H0 equivaleva ad affermare che il delta fosse negativo (<0).
16
Taglio della carta
0,0
150,0
300,0
450,0
600,0
750,0
0 1 2 3 4
Prova
Tem
po im
pieg
ato
(sec
)
Fig. 7– Taglio della carta mediante forbice curva
Posizionamento dell'ago
00.00,0
00.43,2
01.26,4
02.09,6
02.52,8
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5
Prova
Tem
po im
pieg
ato
Fig. 8 – Posizionamento dell’ago
Nodo intracorporeo
00.00,0
00.43,2
01.26,4
02.09,6
02.52,8
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5
Prova
Tem
po im
pieg
ato
Fig. 9 – Nodo intracorporeo
Come è gia possibile osservare dal semplice andamento dei grafici sopra riportati nell’eseguire le tre prove
di ciascuna task si nota una tendenza al miglioramento. I soggetti acquisiscono una maggior capacità nel
maneggiare gli strumenti, impiegando così un tempo inferiore per portare a termine l’esercizio.
Questa tendenza al miglioramento è netta tra la prova 1 e la prova 2 e tra le prove 1 e 3, mentre è ridotta nel
passare dalla prova 2 alla prova 3.
17
Questi risultati vengono confermati anche dall’analisi statistica eseguita. Nella tabella 2 sottostante vengono
riassunti i p-value calcolati nelle varie prove.
Posizionamento
clip e taglio
Rimozione specimen
tramite EndoBag Taglio
Posizionamento
dell’ago Nodo intracorporeo
Distr.
normale
Distr.t-
Student
Distr.
normale
Distr.t-
Student
Distr.
normale
Distr.t-
Student
Distr.
normale
Distr.t-
Student
Distr.
normale
Distr.t-
Student
p-value p-value p-value p-value p-value p-value p-value p-value p-value p-value
∆
1/2 0,015 0,02776
0,041528 0,0568 0,0000617 0,0016
0,076 0,09 0,0517 0,0686
∆
2/3 0,0000478 0,00147 0,7 0,75 0,377 0,38 0,6628 0,65 0,53 0,5326
∆
1/3 0,000003 0,00055 0,00807 0,004855 0,000082 0,0018 0,046 0,063 0,036 0,052
Tabella 2
Come si può osservare dalla tabella 2 in ciascuna task si nota un miglioramento della performance degli
operatori.
Un notevole miglioramento si evidenzia per gli esercizi 1 (posizionamento clip) e 3 (taglio), con dei valori
del fattore p estremamente bassi.
Il p-value rappresenta la probabilità che si verifichi l’ipotesi nulla H0 (ovvero NON si ottiene alcun
miglioramento).
Il coefficiente α rappresenta invece l’affidabilità del test; un coefficiente α pari a 0,02 significa che il test è
affidabile al 98%. In tutte le prove è stato assunto un coefficiente α variabile tra 0,02 e 0,05 (affidabilità tra
il 95% e il 98%).
Per ciò che riguarda la prova relativa al posizionamento delle clip emostatiche, il miglioramento risulta
essere graduale, passando dalla prova 1 alla 2 (p=0,015) ed in seguito alla 3 (p=0,0000478).
Analogo risultato si ottiene per la prova relativa al taglio lungo un percorso prestabilito.
Relativamente alle altre prove, risultati significativi si ottengono tra le prove 1 e 2 e tra le prove 2 e 3. Tale
significatività non si ottiene però nel passare dalla prova 2 alla prova 3.
Nelle celle evidenziate vengono riportati in casi in cui i dati non hanno dimostrato alcuna significatività ed
in particolare i casi in cui non si è avuto alcun miglioramento della prestazione.
Come si può notare tale situazione si è verificata nel passaggio dalla prova 2 alla prova 3; tale andamento
può essere attribuito a fattori, tra cui anche la stanchezza dell’operatore.
Ovviamente tali risultati non sono assoluti; infatti sono il risultato di un numero limitato di prove (3 per
ciascun task). Qualora fosse stato possibile eseguire un numero maggiore di prove, l’analisi sarebbe stata
18
sicuramente più completa e soddisfacente. In tal caso anche le curve di apprendimento riportate nelle figure
1, 2, 3 sarebbero state più complete.
I risultati dell’analisi statistica sono comunque concordi ai risultati derivanti da una preventiva analisi
unicamente temporale e perciò utili a validare la teoria iniziale dell’utilità del training al fine di migliorare
la propria performance in campo laparoscopico.
Fig. 10 – Esempio dell’analisi statistica. Risultati accettabili
19
Conclusioni
Negli ultimi anni, molti programmi chirurgici hanno incrementato l’utilizzo di simulatori laparoscopici in
maniera da includere la laparoscopia nel curriculum chirurgico ma anche per eliminare alcuni step di
training dalla sala operatoria. La spinta ad agire in questa maniera è venuta dalla continua diffusione della
laparoscopia in campo chirurgico ma anche da motivazioni di carattere economico ed etico.
Questo lavoro ha avuto una duplice funzionalità; in primo luogo si è andati ad eseguire delle comuni
procedure laparoscopiche per mostrare come la performance di un soggetto viene effettivamente migliorata
all’aumentare del numero di ripetizioni.
Dall’analisi dei dati ottenuti si vede come i tempi di esecuzione dalla prima prova alle successive vengono
totalmente dimezzati. Questo risultato è qualitativamente concorde ai risultati riportati in numerosi studi in
letteratura.
Il fatto che i tempi di esecuzione subiscano una notevole riduzione e quindi che l’operatore acquisisca una
maggior esperienza è ulteriormente validato dal fatto che i soggetti coinvolti nello studio non sono né
chirurghi né tirocinanti o studenti di medicina. Sono infatti studenti del corso di ingegneria medica che, mai
prima di questa esperienza, avevano avuto l’opportunità di interfacciarsi con un box trainer o con degli
strumenti laparoscopici.
Proprio da questa considerazione nasce l’ulteriore aspetto, molto interessante, di questo progetto. Inserire
un programma di training laparoscopico all’interno dei corsi in ingegneria medica. Ciò potrebbe destare
stupore in molte persone: quale è l’utilità di un simile insegnamento per gli studenti di ingegneria?
Ovviamente il training non dovrebbe mirare a sviluppare quella manualità tipica di un chirurgo, in quanto
nessuno mai chiederà ad un ingegnere medico di operare un paziente.
Ma non dimentichiamo che uno degli obiettivi di un ingegnere medico è quello di collaborare con il
chirurgo; e allora quale migliore possibilità di avvicinarsi al mondo della chirurgia laparoscopica se non
quella di utilizzare direttamente gli strumenti del chirurgo?
All’interno di un dry-lab uno studente ha la possibilità di maneggiare una suturatrice meccanica, smontarla
ed analizzarla in tutti i suoi componenti; ma questo non è altro che il primo step, del tutto necessario, per
capire quali sono le potenzialità e soprattutto i limiti di uno strumento. E magari ideare delle possibili
migliorie.
Applicare una clip su un tubo di gomma rappresentante un vaso o individuare una vena perforante
all’interno di un gamba artificiale può solo aiutare a capire la difficoltà e la ristrettezza dell’ambiente in cui
un chirurgo laparoscopico si trova ad operare. Tutto ciò può portare a capire meglio le esigenze del
chirurgo.
Ovviamente non si sta dicendo che al termine del corso lo studente di ingegneria è pronto per entrare in sala
operatoria, interfacciarsi con il chirurgo o è diventato un progettista. Sicuramente ha avuto la possibilità di
conoscere, in maniera pratica e non solo teorica, un nuovo mondo, quello della laparoscopia, ed ha avuto la
possibilità di compiere un ulteriore passo nel processo di maturazione personale e professionale.
21
Bibliografia
1. Derossis AM, Fried GM, Abrahamowicz, Sigman HH, Barkun JS, Meakins JL - “Development of a
model for training and evaluation of laparoscopic skills” – Am J Surg (1998) 175: 482-487.
2. Derossis AM, Botwhell J, Sigman HH, Fried GM – “The effect of practice on performance in a
laparoscopic simulator” – Surg Endosc (1998) 12: 1117-1120.
3. Chung JY, Sackier M - “A method of objectively evaluating improvements in laparoscopic skills” -
Surg Endosc (1998) 12: 1111–1116.
4. Datta V, Mackay S, Morgan P, Chang A, Darzai A – “Practice distribution in procedural skills
training” – Surg Endosc (2002) 16; 957-961.
5. Derossis AM, Antoniuk M, Fried GM: “Evaluation of laparoscopic skills: a 2-year follow-up
during residency training”. Canadian Journal of Surgery 1999; 42:293-296.
6. Roberts KE, Bell RL, Duffy AJ – “Evolution of Surgical Skills Training” – World J Gastroenterol
2006 May 28; 12(20), 3219-3224.
7. Fried GM, Feldamn LS, Vassiliou MC, Fraser SA, Stanbridge D, Ghitulescu G, Andrew CG -
"Proving the value of simulation in laparoscopic surgery” – Ann Surg 2004; 240:518-528.
8. Risucci D, Cohen JA, Grabus JE, Goldstein M, Cohen MG – “The effect of practice and Instruction
on Speed and Accuracy during Resident Acquisition of Simulated Laparoscopic Skills” – Curr
Surgery 2001, Vol.58, No. 2.
9. Feldman LS, Sherman V, Fried GM – “Using simulators to assess laparoscopic competence: ready
for widespread use?” – Surgery 2004; 135:28-42.
10. Scott DJ, Young WN, Tesfay ST, Frawley WH, Rege RV, Jones DB – “Laparoscopic skills
training” – The American Journal of Surgery 182 (2001) 137-142.
11. Ahlberg G, Heikkinen T, Iselius L, Leijonmarcj E, Rutquist J, Arvidsoon – “Does training in a
virtual reality simulator improve surgical performance?” – Surg Endosc (2002) 16: 126-129.
12. Hunter JG – “Advanced laparoscopic surgery” – The American Journal of Surgery 1997 Vol 173.
13. Rulli F, Galatà G, Pompeo E, Farinon AM – “A camera handler for Miccoli’s minimally invasive
video-assisted thyroidectomy and paratiroidectomy procedures” – Surg Endosc (2006).
14. Traxeer O, Gettman MT, Napper CA, Scott DJ, Jones DB, Roehrborn CG, Pearle MS, Cadeddu JA
– “The impact of intense laparoscopic skills training on the operative performance of urology
residents” – The Journal of Urology 2001, Vol 166, 1658-1661.
15. Grantcharov TP, Bardman L, Funch-Jensen P, Rosenberg J – “learning curves and impact of
previous operative experience on performance on a virtual reality simulator to test laparoscopic
surgical skills” – The American Journal of Surgery 185 (2003) 146-149.
16. Hylthander A, Liljegren E, Rhodin PH, Lonroth H – „The transfer of basic skills learned in a
laparoscopic simulator to the operating room” – Surg Endosc (2002)16; 1324-1328.
22
17. Firgert PL, Park AE, Witzke DB, Schwartz RW – “Transfer of training in acquiring laparoscopic
skills” – J American Coll Surg 2001.
18. Korndorffer JR, Stefanidis D, Scott DJ – “Laparoscopic skills laboratories: current assessment and
a call for resident training standards” - The American Journal of Surgery 191 (2006) 17-22.
19. Melvin WS, Johnson JA, Ellison CE – “Laparoscopic skill enhancement” - The American Journal
of Surgery 172 (1996).
20. Subramonian K, DeSylva S, Bishai P, Thompson P, Muir G – “Acquiring surgical skills: a
comparative study of open versus laparoscopic surgery” – European urology 45 (2004) 346-351.
21. Nataraja RM, Ade-Ajayi N, Curry JL – “Surgical skills training in the laparoscopic era: the use of a
helping hand” – Pediatr Surg Int (2006) 22:1015-1020.
22. Moschos E, Coleman RL – “Acquiring laparoscopic skill proficiency: does orientation matter?” –
American Journal of Obstetrics and Gynecology (2004) 191, 1782-7.
23. Smith CD, Farrell TM, McNatt SS, Metreveli RE – “Assessing laparoscopic manipulative skills” -
The American Journal of Surgery 181 (2001) 547-550.
24. Bholat OS, Haluck RS, Murray WB, Gorman PJ, Krummel TH – “Tactile feedback is present
during minimally invasive surgery”- J Am Coll Surg 1999; 189:349-355.
25. Stolzenburg J, Truss MC, Rabenalt R, Do M, Schwalenberg T, Katsakiori PF, McNeill A, Liatsikos
E – “Training in laparoscopy” – European Association of urology and European Board of urology
2007.
26. Vassilious MC, Ghitulescu GA, Feldam LS, Standbridge D, Leffondrè K, Sigman HH, Fried GM –
“The MISTELS program to measure technical skill in laparoscopic surgery” – Surg Endosc (“006)
20; 744-747.
27. Cundiff GW – “Analysis of the effectiveness of an endoscopy education program in improving
resident’s laparoscopic skills” – Obstet Gynecol 1997; 90: 854-9.
28. Aggarwal R, Hance J, Undre S, Ratnasothy J, Moorthy K, Chang A, Darzi A – “Training junior
operative residents in laparoscopic suturing skills is feasible and efficacious” – Surgery 2006; 139:
729-34.
29. Madan AK, Frantzides CT, Tebbit C, Quiros RM – “Participant’s opinions of laparoscopic training
devices after a basic laparoscopic training course” – The American Journal of Surgery 189 (2005)
758-761.
30. Keehner MM, Tendick F, Meng MV, Anwar HP, Hegarty M, Stoller ML, Duh QY – “Spatial
ability, experience, and skill in laparoscopic surgery” - The American Journal of Surgery 188
(2004) 71-75.
31. Peters JH, Fried GM, Swanstrom LL, Soper NJ, Sillin LF, Schrimer B, Hoffmann K –
“Development and validation of a comprehensive program of education and assessment of the basic
fundamentals of laparoscopic surgery” – Surgery 2004; 135:21-27.
23
32. Ali MR, Mowery Y, Kaplan B, DeMaria EJ – “Training the novice in laparoscopicy” – Surg
Endosc (2002) 16; 1732-1736.
33. Sacker SK, Chang A, Vincent C, Darzi AW – “Development of assessing generic and specific
technical skills in laparoscopic surgery” – The American Journal of Surgery 191 (2006) 238-244.
34. La chirurgia laparoscopica – Centro Osservatorio Assobiomedica 2002.
35. Al-Qadhi HA, Sherman V, Feldman LS, Stanbridge D, Fried GM. “Efficacy of LapSim and
MISTELS in improving laparoscopic skills in novice surgeons”.
36. Feldman LS, Hagarty SE, Ghitulescu G, Stanbridge D, Fried GM. “Relationship between objective
assessment of technical skills and subjective in-training evaluations in surgical residents”. J Am
Coll Surg 2004; 198:105–110.
24