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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA Ufficio stampa Rassegna Stampa 2 novembre 2016 1 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it [email protected]

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Page 1: VERBALE DI ASSEMBLEA del 22-23-24 marzo 2002 · Web view2016/11/02  · Ufficio stampa Rassegna Stampa 2 novembre 2016 Responsabile: Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – email: claudio.rao@oua.it)

ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA

Ufficio stampa

Rassegna

Stampa

2 novembre 2016

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Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431www.oua.it – [email protected]

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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA

Responsabile: Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – email: [email protected])

SOMMARIO

PAG. 3 AVVOCATI: Civilisti, per i periti serve la selezione (Il Sole 24 Ore)PAG. 4 AVVOCATI: Ausiliari dei giudici, professionalità da garantire (Italia Oggi)PAG. 5 AVVOCATI: Forlì. Scatta lo sciopero degli avvocati (Mondoprofessionisti)PAG. 7 AVVOCATI: Processi inutili avvocati in rivolta (Il Mattino di Padova)PAG. 9 PROCESSO CIVILE: Cassazione, più decisioni in camera di consiglio (Il Sole 24 Ore)PAG.11 PROCESSO CIVILE: Dalle pensioni ai tirocini, le misure «organizzative» (Il Sole 24 Ore)PAG.13 ANM: Davigo (Anm): "per far funzionare la giustizia serve il numero chiuso a Giurisprudenza" (La Repubblica)PAG.14 ANM: Legge di bilancio, test Anm-governo (Il Sole 24 Ore)PAG.16 L’INTERVENTO: La confusione normativa che frena la giustizia di Marino Longoni (Milano Finanza)PAG.18 MINISTERO GIUSTIZIA: Best practice col fiatone (Italia Oggi Sette)PAG.20 FISCO: L’integrativa non riapre i controlli (Il Sole 24 Ore)PAG.22 FISCO: Per le note di variazione arriva la retromarcia (Il Sole 24 Ore)PAG.23 FISCO: Confronto senza forzature (Il Sole 24 Ore)PAG.25 FISCO: Liti fiscali, pesano come indizi le dichiarazioni rese da terzi (Il Sole 24 Ore)PAG.27 FISCO: Iva indetraibile se c’è legame con la frode (Il Sole 24 Ore)PAG.29 PROFESSIONI: Commercialisti al voto: sfida a Bari e Torino Lista unica a Napoli (Il Sole 24 Ore)PAG.31 PROFESSIONI: Fondi Interprofessionali, sul decreto tutto ancora tace di Patrizia Del Prete - amm. Unico Consophia  (Italia Oggi)PAG.33 PREVIDENZA: Consiglio nazionale: elezioni rinviate al 9 gennaio 2017 (Il Sole 24 Ore)PAG.33 PREVIDENZA: Sulle Casse dei professionisti 550 milioni di tasse e balzelli (Italia Oggi Sette)PAG.35 PREVIDENZA: Spending review, 10 mln allo Stato (Italia Oggi Sette)PAG.37 PREVIDENZA: Notai, redditi in crescita nel 2015 (Il Sole 24 Ore)PAG.39 PREVIDENZA: Per i notai calano i redditi, non i costi (Il Sole 24 Ore)PAG.41 CARCERI: Celle piccole (a volte) ammesse (Italia Oggi Sette)

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PAG.42 APPALTI: Valida l’offerta con carte superiori ai limiti del bando (Il Sole 24 Ore)PAG.44 CONDOMINIO: Portiere, niente ordini dai condòmini (Il Sole 24 Ore)PAG.46 CASSAZIONE: Concordato, «rate» senza relazione (Il Sole 24 Ore)PAG.48 CASSAZIONE: Correo chi beneficia della «distrazione» (Il Sole 24 Ore)PAG.50 CASSAZIONE: Revoca donazione, tempi certi (Italia Oggi Sette)

IL SOLE 24 OREL’assemblea di Firenze. Ordini in prima linea

Civilisti, per i periti serve la selezioneSab. 29 - Firenze. Dal consulente tecnico agli ausiliari del giudice. L’assemblea nazionale dell’Unione delle camere civili, in corso a Firenze, si è concentrata su un elemento sempre più importante, e tuttavia sottovalutato, del processo: l’ingresso di conoscenze esperte in ambito processuale. Un tema affrontato, dopo l’introduzione della presidente Laura Jannotta, potendo contare su una pluralità di approcci e punti di vista. Quello degli studiosi certo, come Claudio Consolo, docente di procedura civile alla Sapienza di Roma, e di Angelo Dondi, ordinario di procedura civile a Genova, ma anche di magistrati come le presidenti del Tribunale di Firenze, Marilena Rizzo, e della Corte d’appello fiorentina, Margherita Cassano, e di avvocati come Andrea Mascherin, presidente del Consiglio nazionale forense. Di certo il tema ha assunto una rilevanza sempre maggiore, alla luce dei troppo frequenti episodi di malaffare assurti a loro modo al disonore delle cronache. Ma non solo a quelli si può ridurre, è emerso con evidenza, il ruolo e il peso di quel soggetto diverso dai classici protagonisti della classica giurisdizione che, di volta in volta, può essere perito, consulente, ausiliario, curatore, commissario, liquidatore. Diverse parti in commedia, ma unico comune denominatore nell’ingresso con pieno di diritto di cittadinanza di competenze diverse, non giuridiche quindi, nel processo. Con la necessità quindi di chiarire un ruolo che non può

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poi essere solo ancillare dell’autorità giudiziaria. Di sicuro a porsi con una certa evidenza è l’obbligo della massima trasparenza. E in questa direzione il Csm, per bocca del consigliere Antonio Leone, ha rivendicato di essersi mosso per tempo. A farne fede sono da ultimo le linee guida del Consiglio per l’assegnazione degli incarichi per quanto riguarda le esecuzioni immobiliari, con il tetto del 10 per cento degli incarichi complessivi che non potrà essere superato nelle assegnazioni al singolo professionista. In questo senso è stato ampio il consenso sulla pubblicità che dovrà essere data ai criteri per l’assegnazione all’interno di ogni singolo ufficio giudiziario e nello stesso tempo un cardine non potrà non essere quello della massima rotazione degli incarichi.Una funzione importante dovrà, però, essere svolta dagli stessi Ordini professionali, sia sotto il profilo della selezione dei professionisti migliori sia sotto quello della preparazione anche specifica a operare in un contesto dotato di chiare specificità come quello giudiziario. Serve quindi una formazione che dovrà anche essere di natura giuridica.

ITALIA OGGI

Uncc-mingiustiziaAusiliari dei giudici, professionalità da garantire

Sab. 29 - Ministero della giustizia al fianco degli avvocati civilisti per garantire la professionalità degli ausiliari del giudice e la loro scelta secondo criteri di trasparenza. Questo il messaggio che, ieri, a Firenze nel corso della giornata di apertura dei lavori dell'Assemblea nazionale dell'Unione delle camere civili che si chiuderà domani, ha inviato il numero uno di via Arenula, Andrea Orlando.

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«La scelta trasparente dell'ausiliario, il controllo costante sul suo operato e la ponderata valutazione delle conclusioni raggiunte», ha sottolineato Orlando, «costituiscono momenti chiave per la riuscita del processo civile, al cui miglioramento abbiamo lavorato fin dall'inizio del mandato. La crescente complessità della società contemporanea», ha precisato il ministro, «rende anacronistica l'idea di una scienza giuridica autosufficiente e autonoma rispetto alle scienze altre delle quali il diritto, invece, richiede l'ausilio». Messaggio del quale non ha potuto che dirsi soddisfatta la presidente dell'Uncc, Laura Jannotta che, nel corso dei lavori, ha puntato l'accento sulle proposte che arriveranno proprio dai civilisti a conclusione dell'assemblea nazionale di Firenze (si veda ItaliaOggi di ieri).«Proposte», ha concluso la Jannotta, «tese a migliorare la qualità degli ausiliari del giudice nel loro aggiornamento professionale e nell'individuare il rispetto della rotazione degli incarichi in tutti i fori, tema delicato di cui si sta occupando il Csm». Beatrice Migliorini 

MONDOPROFESSIONISTI

Forlì. Scatta lo sciopero degli avvocati

Lun.31 - Gli avvocati di Forlì-Cesena faranno sciopero per ben 5 giorni, dal 14 al 18 novembre prossimi, per protestare contro una riorganizzazione interna alla Procura della Repubblica che impedisce, secondo la loro protesta, di svolgere il loro ruolo di difesa in modo tempestivo. Da tempo, infatti, in Procura è in funzione una porta che si apre solo dopo aver citofonato ed essersi

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palesati. Questo permette maggiore sicurezza dei magistrati, ma anche dei fascicoli della Procura, che sono generalmente coperti da segreto istruttorio.  Tuttavia a questa porta hanno di fatto libero accesso (citofonando come tutti e presentandosi) gli avvocati, che in questo modo potevano raggiungere l’ufficio “Dibattimento” per fare le copie dei fascicoli ormai chiusi nelle indagini che riguardano i loro clienti. Tuttavia da agosto è cambiata l’organizzazione, anche per carenza di organico. L’avvocato, ora, deve inviare una e-mail il giorno prima e il fascicolo da fotocopiare viene reso disponibile in portineria, pronto per la copia, sotto sorveglianza del personale amministrativo. Questa nuova organizzazione piace poco ai penalisti di Forlì-Cesena che lamentano: “E' estremamente difficile, per non dire impossibile, la disponibilità dei fascicoli per le urgenze come le direttissime o l'applicazione di misure cautelari". Inoltre questo allungherebbe i tempi per gli avvocati di "almeno due giorni", senza considerare che gli avvocati provenienti da fuori città sarebbero spesso "costretti a duplicare la trasferta", secondo quanto spiega una lettera della Camera Penale della Romagna. Continuano gli avvocati: "Non possiamo ignorare, inoltre, il forte disagio provocato dall'impossibilità di rapportarci direttamente con il personale amministrativo ed in particolare coi segretari dei sostituti, il cui contributo spesso risolve problemi pratici in maniera rapida e sovente proficua per la stessa Procura". Infine si sostiene che, pur con uguali carenze di organico, nessuna Procura ha attualmente "un regime di chiusura analogo". La protesta ha ricevuto la solidarietà dell’Unione delle Camere Penali Italiane e dell’Ordine degli Avvocati ed è stato proclamato lo stato di agitazione permanente con astensione dalle udienze nei giorni dal 14 al 18 novembre “in ragione della persistenza delle gravi carenze organizzative degli uffici della Procura della Repubblica di Forlì-Cesena, più volte denunciate e mai risolte”. Infine, si invitano “le competenti Autorità istituzionali ad intervenire sollecitamente per rimuovere le gravi disfunzioni che minano la effettività della difesa”.  Da parte sua, la Procura obietta le esigenze primarie di sicurezza delle carte che si trovano negli uffici deputati alle indagini, carte che si trovano anche in originale, e ricorda che più di un terzo dell’organico della struttura è attualmente vacante e la nuova

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organizzazione permette una gestione più efficiente delle poche risorse possibili.

IL MATTINO DI PADOVA

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Processi inutili avvocati in rivoltaStranieri irrintracciabili condannati a pagare multe da 15 mila €

Ma nessuno salda. Il presidente dell’Ordine: «Leggi demagogiche»

Lun. 31 - Il reato è immigrazione clandestina e l’imputato è condannato dal Giudice di Pace a pagare 15 mila euro di multa. Lui è Jovan Nicolic serbo di 55 anni, fermato dalla polizia in città. Da un controllo era emerso che non aveva ottemperato all’ordine del questore di lasciare l’Italia entro 7 giorni dalla firma del provvedimento stesso. La sentenza è di qualche giorno fa e l’avvocato Vito Alagna, che lo difendeva d’ufficio, ha riferito al giudice che non è mai riuscito a contattare il suo assistito. Un caso isolato? No. Una sentenza come decine ne vengono emesse ogni settimana in città. Quasi nessuno ovviamente paga la multa, visto che, se lo straniero dovesse essere fermato dalle forze dell’ordine dopo questa sentenza, gli verrebbe soltanto notificato il provvedimento e tanti saluti. Libero come prima di rimanere anche a Padova in barba al provvedimento. Diverso se gliene venisse notificato un secondo. In questo caso comunque, se lo straniero volesse mettersi in regola con la giustizia italiana potrebbe tranquillamente chiedere la libertà vigilata e dopo un periodo calcolato in base alla multa estinguerebbe il reato.

Nel caso di Nicolic il provvedimento del questore era giunto dopo alcuni precedenti penali per furti. E dopo la lettura della sentenza tra alcuni avvocati ne è nata una discussione: il motivo, l’assoluta inefficacia di questa sentenza - e come detto di decine d’ altre, settimanalmente - visto che non verrà mai pagata. Oltre al mancato introito, infatti, vanno calcolate le spese di un processo del genere: il costo del giudice di Pace (pagato per ogni singola udienza), a quello dell’istruzione della pratica, per finire con l’avvocato che, quasi sempre chiede il gratuito patrocinio e quindi viene rimborsato dallo Stato.

«Sono processi fotocopia che scaturiscono da norme demagogiche che servono a ben poco e non al fine per il quale erano state pensate». Francesco Rossi, presidente dell’Ordine degli Avvocati

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non esita a definire inutili i procedimenti penali che puniscono questi reati con sanzioni da 5 a 15 mila euro. «Si tratta di una norma ritenuta dai più senza alcuna efficacia» aggiunge Rossi «e parlo sia dell’opinione degli avvocati che di quella dei magistrati. I legali non sono quasi mai pagati e spendono energie senza avere nessun compenso visto che in molti casi non riescono a contattare il loro assistito. In prevalenza nemmeno iniziano la trafila del gratuito patrocino, molto farraginosa per ricevere poco. Quasi sempre l’imputato non sa che c’è stato un procedimento e una condanna contro di lui. Da più parti si è detto che sono norme dannose e si ipotizza a livello nazionale di abolire questi reati, ma poi puntualmente non se ne fa nulla». Le norme che cita Rossi sono l’articolo 10 bis del Testo unico sull’Immigrazione clandestina e l’articolo 14, comma quinto ter, del d.lgs. 286 del 1998, Carlo Bellotto

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IL SOLE 24 ORE

Procedura civile. La legge di conversione del Dl 168 estende le decisioni a porte chiuse

Cassazione, più decisioni in camera di consiglio

Lun.31 - Più celerità e meno formalità in Cassazione, più memorie scritte, meno udienze e discussioni orali. Un terzo grado sprint è l’ambizione della legge di conversione del Dl 168 del 2016, che ha inserito, nel maxi-emendamento governativo votato con la fiducia, un articolo 1-bis con il proposito - dichiarato in rubrica - di introdurre «Misure per la ragionevole durata del procedimento per la decisione del ricorso per Cassazione». Le novità si applicano ai ricorsi depositati in Cassazione da oggi (dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del Dl 168) e a quelli già depositati ma per cui non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio. La legge modifica diversi articoli della sezione del Codice di procedura civile che disciplina il procedimento in Cassazione e tenta di semplificarlo per arrivare prima a un provvedimento definitorio. Anche contingentando gli spazi di intervento delle parti.In primo luogo, vengono estese le possibilità per la Cassazione di decidere con rito semplificato, vale a dire con ordinanza in camera di consiglio, anziché in udienza pubblica con sentenza. Viene infatti inserito un comma all’articolo 375 in base al quale la Corte, a sezione semplice, si può pronunciare con ordinanza non solo nei casi già previsti di inammissibilità del ricorso per mancanza dei motivi, di accoglimento o di rigetto per manifesta fondatezza o infondatezza e di istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione, ma anche «in ogni altro caso». La decisione con ordinanza resta preclusa se la trattazione in pubblica udienza è resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto; si tratta ovviamente di una valutazione discrezionale del collegio.

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Ma vi è un’altra ipotesi che impedisce alla sezione semplice di usare la procedura semplificata. La si comprende alla luce della modifica dell’articolo 376, che disciplina la sezione-filtro, chiamata a verificare se sussistono i presupposti per dichiarare il ricorso inammissibile o manifestamente fondato o infondato. Si prevede che, se a un sommario esame del ricorso, la sezione-filtro non ravvisa quei presupposti, il presidente lo trasmette senza formalità alla sezione semplice, che può decidere in camera di consiglio. Ma la sezione semplice deve procedere con trattazione pubblica se il ricorso non supera il «sommario esame» e se la sezione-filtro, riunitasi in camera di consiglio, non riesce a definire il giudizio dichiarandolo inammissibile o manifestamente fondato o infondato.Notifiche e contraddittorio Cambia anche l’articolo 377 che attribuisce direttamente al primo presidente o al presidente della sezione assegnataria il compito di emettere l’ordine di integrazione del contraddittorio o di rinnovare la notificazione, con il decreto di fissazione dell’udienza. Finora, per ordinare alle parti questi adempimenti era prevista (dall’articolo 375, numero 2) una pronuncia collegiale in camera di consiglio, che la legge abroga.Il procedimento dinanzi alla sezione-filtro, previsto dall’articolo 380-bis, viene ancora semplificato. Su proposta del relatore, il presidente fissa con decreto l’adunanza della Corte, indicando se è stata ravvisata un’ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o fondatezza del ricorso. Il decreto viene notificato agli avvocati delle parti almeno 20 giorni prima della data stabilita per l’adunanza e non oltre cinque giorni prima essi possono presentare memorie. Quindi la sezione-filtro decide con ordinanza oppure, se ritiene che non ricorrano i presupposti indicati dall’articolo 375, numeri 1 e 5, rimette direttamente la causa alla pubblica udienza della sezione semplice. Vengono meno, quindi, sia la notifica agli avvocati della relazione con l’esposizione delle ragioni che possono giustificare la pronuncia con ordinanza, sia la possibilità per le parti di chiedere di essere sentiti.Un nuovo rito camerale Con il nuovo articolo 380-bis.1, si introduce un secondo rito in camera di consiglio, che deve essere seguito per «ogni altro caso» dalla sezione semplice in base al nuovo comma dell’articolo 375. In queste ipotesi la fissazione dell’udienza in camera di consiglio è

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comunicata agli avvocati delle parti e al pubblico ministero almeno 40 giorni prima. Quindi il Pm può depositare in cancelleria le sue conclusioni scritte non oltre 20 giorni prima dell’adunanza, mentre le parti possono farlo non oltre 10 giorni prima. La camera di consiglio si svolge senza l’intervento degli avvocati e del Pm.Analoga procedura semplificata prevede il nuovo articolo 380-ter per la decisione su regolamento di competenza e di giurisdizione: termini più brevi, solo memorie e nessuna discussione. Anche per l’udienza pubblica una severa riscrittura dell’articolo 379 prevede che, dopo l’esposizione orale delle conclusioni del Pm e lo svolgimento delle difese da parte degli avvocati, non siano ammesse repliche. Giovanbattista Tona

IL SOLE 24 ORE

Le altre novità. Stage anche alla Suprema corteDalle pensioni ai tirocini, le misure «organizzative»

Lun.31 - Non solo norme di procedura. Il Dl 168/2016 interviene anche in altri settori della giustizia civile. E questo al di là della disposizione - bersagliata dalla polemiche - che ha prorogato a fine 2017 il trattenimento in servizio dei magistrati apicali della Cassazione (articolo 5, comma 1). Il Dl 168 (articolo 2, comma 1) ha anche ammesso in Cassazione e nella Procura generale presso la stessa Corte il tirocinio dei giovani laureati, previsto dall’articolo 73 del Dl 69/2013. Si tratta dello stage formativo di 18 mesi, che - secondo la prassi che si è affermata nei primi anni di applicazione dell’istituto negli uffici giudiziari di merito (giudicanti e requirenti) - permette al giovane di partecipare alle udienze tenute dal magistrato a cui è affidato, e quindi di assistere lo stesso magistrato nelle ricerche

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giurisprudenziali e dottrinali e nella preparazione dei provvedimenti. Novità per i magistrati da assumere dopo la chiusura del concorso. In base all’articolo 2, comma 2, del Dl 168, entro cinque giorni dall’ultima seduta delle prove orali, il ministro della Giustizia «richiede al Consiglio superiore della magistratura di assegnare ai concorrenti risultati idonei, secondo l’ordine della graduatoria, ulteriori posti disponibili o che si renderanno tali entro sei mesi dall’approvazione della graduatoria medesima». Questi posti «non possono superare il decimo di quelli messi a concorso». Il Csm provvede «entro un mese dalla richiesta».Ridotto il tirocinio dei magistrati che hanno vinto i concorsi banditi nel 2014 e 2015: in deroga a quanto disposto dal Dlgs 26/2006, per l’articolo 2, comma 3, del Dl 168, la loro pratica durerà 12 mesi (anziché 18); ciò per «consentire una più celere copertura delle vacanze nell’organico degli uffici giudiziari di primo grado».L’articolo 4, commi 2 e 3, del Dl 168 blocca, sino al 31 dicembre 2019, la possibilità che il personale dell’amministrazione della giustizia, a eccezione dei dirigenti, sia comandato, distaccato o assegnato ad altre pubbliche amministrazioni. Ma la norma non si applica ai provvedimenti in corso e ai comandi presso organi costituzionali.Cambia il periodo minimo che deve trascorrere dalla presa di possesso in un ufficio, prima che il magistrato possa essere trasferito. L’articolo 3 del Dl 168 lo ha aumentato da tre a quattro anni. Ma in sede di conversione si è previsto che la modifica non si applica ai magistrati assegnati in prima sede dopo il tirocinio, purché il possesso dell’ufficio sia stato assunto da almeno tre anni alla data di entrata in vigore del decreto. Così come non si applica neanche «alle procedure di trasferimento ad altra sede o di assegnazione ad altre funzioni già iniziate alla data di entrata in vigore» dello stesso decreto.Infine, l’articolo 5, comma 2, del Dl prevede che, per ottenere alcuni incarichi direttivi, il magistrato debba assicurare un certo numero di anni di servizio prima del pensionamento, riferito «alla data della vacanza del posto messo a concorso»: quattro, per presidenti e procuratori degli uffici di primo e secondo grado e per il procuratore nazionale antimafia; tre, per i presidenti di sezione

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della Cassazione e per l’avvocato generale presso la Corte. Antonino Porracciolo

LA REPUBBLICA

Davigo (Anm): "per far funzionare la giustizia serve il numero chiuso a Giurisprudenza"

Mar.1 - Il presidente dell'Anm a Bologna per presentare il libro scritto con Gherardo Colombo: "La politica non riesce a incidere sulla lobby degli avvocati".La prima cosa da fare per far funzionare meglio la giustizia in Italia? "Il numero chiuso nelle facoltà di giurisprudenza". Lo

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sostiene Piercamillo Davigo, presidente dell'Associazione nazionale magistrati che, a Bologna, ha presentato il libro "La tua giustizia non è la mia. Dialogo fra due magistrati in perenne disaccordo", scritto a quattro mani con l'amico Gherardo Colombo, con il quale ha anche condiviso l'esperienza del pool di Mani pulite."Per far funzionare meglio la giustizia - ha detto Davigo - serve una massiccia depenalizzazione, ma bisogna disincentivare chi fa girare a vuoto la macchina della giustizia. Se dimezzassimo il numero dei processi, si dimezzerebbe anche l'onorario degli avvocati: la politica non è riuscita ad avere ragione della lobby dei tassisti, figuriamoci con gli avvocati. Un terzo degli avvocati dell'Unione Europea sono italiani e oggi il 92% dei laureati in giurisprudenza, visto che la pubblica amministrazione non assume da venti anni e che nelle aziende private ci sono sempre meno sbocchi per i giuristi, diventano avvocati".Per Davigo e Colombo, comunque, la serata bolognese è stata un bagno di folla. Nel loro libro ripercorrono le tappe della loro carriera, ma tracciano anche molte idee per la riforma della giustizia, confrontando i loro due punti di vista diversi in una presentazione nella quale si punzecchiano affettuosamente. "Gli esseri umani - ha detto Davigo - agiscono in base alle loro convenienze e in Italia rispettare la legge non conviene. È vero che all'estero si rispettano di più le regole perché le persone sono più educate.Ma forse lo sono perché sono state educate a forza di sberle". Una posizione contestata da Colombo, che ormai da anni ha lasciato la magistratura. "Condividiamo - ha detto, riferendosi a Davigo - il fatto che la giustizia funzioni male e potrebbe funzionare meglio. Ci divide lo scopo: secondo Davigo la giustizia dovrebbe essere repressiva, io credo che dovrebbe essere inclusiva, dovrebbe cioè far sì che le persone siano recuperate a vivere positivamente con gli altri".

IL SOLE 24 ORE

Giustizia. Le toghe in stato di agitazione per la riforma penale, il Dl sulla proroga delle pensioni e le carenze di personale

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Legge di bilancio, test Anm-governo

Sab. 29 - ROMA. Aspettando la legge di bilancio... il primo «banco di prova» degli impegni assunti dal premier Renzi nei confronti dell’Anm. Che ieri ha deciso di proseguire lo stato di agitazione in corso per protestare contro alcune norme della riforma della giustizia penale, contro la fulminea conversione in legge (con fiducia) del decreto che ha prorogato di un anno l’età pensionabile delle sole posizioni apicali della Cassazione e contro la carenza di risorse umane e materiali che stanno portando gli uffici giudiziari alla «paralisi». «Credo che la disponibilità del Presidente del Consiglio sia stata vera ma non possiamo abbassare la guardia» ha detto ieri il Presidente dell’Anm Piercamillo Davigo durante la riunione del Comitato direttivo centrale convocato per fare il punto della situazione e delle iniziative di protesta alla luce dell’incontro dello scorso 24 ottobre con Renzi e il ministro della Giustizia Andrea Orlando. «Le aperture ci sono state - ha confermato il segretario Francesco Minisci - è indubbio, ora aspettiamo risposte in tempi rapidi».La legge di bilancio è considerata un «banco di prova» anche in via Arenula, dove si attende che nell’articolato trovino posto non solo alcune misure già passate in Consiglio dei ministri per implementare l’efficienza della giustizia (come il Fondo strutturale di un miliardo e mezzo per tre anni per la modernizzazione tecnologica e informatica degli uffici) ma anche quelle «aperture» fatte da Renzi all’Anm per sbloccare le assunzioni del personale amministrativo (mancano 9mila cancellieri) dal vincolo della mobilità obbligatoria. «La legge di bilancio può essere un veicolo» si dice nell’entourage del ministro Orlando. Quanto agli altri due capitoli del contenzioso: sulla proroga dei vertici della Cassazione (fatta per decreto, per di più convertito in legge con la fiducia, quattro giorni prima dell’incontro con l’Anm, che l’ha presa come «uno schiaffo in faccia» - Renzi e Orlando hanno parlato di un possibile «aggiustamento», inserendo eventualmente un’apposita norma nel ddl sulla giustizia penale (peraltro bloccato da mesi, e forse fino a dicembre, a causa del referendum); sull’avocazione obbligatoria da parte del procuratore generale delle inchieste in

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cui il pm non abbia esercitato l’azione penale «entro tre mesi» dal deposito degli atti, l’ipotesi indicata è una modifica da presentare con un emendamento del governo o da «discutere» rimandando il ddl sulla giustizia penale in commissione (il tema è politicamente delicato: basti pensare che l’avocazione obbligatoria è stata introdotta in Parlamento da un emendamento del Pd, poi difeso a spada tratta anche da Ncd). Su quest’ultimo punto, peraltro, Renzi e Orlando hanno chiesto all’Anm di fare una controproposta che, stando a quanto ha riferito ieri Davigo, potrebbe essere quella di far scattare l’avocazione soltanto quando «il ritardo è senza giustificato motivo». Quanto alla fiducia su quel provvedimento «resta l’incertezza».«Io penso che la disponibilità manifestataci sia stata vera - spiega Davigo - ma poiché non tutto dipende dal governo, perché alcune norme vanno approvate dal Parlamento, non dobbiamo abbassare la guardia». L’«arma più potente e di maggiore deterrenza», dice Davigo, è l’«appoggio» dell’Anm ai ricorsi al Tar dei magistrati discriminati dall’abbassamento drastico e repentino dell’età pensionabile (da 75 a 70) deciso due anni fa dal governo e dalle successive proroghe, in particolare l’ultima, contro l’ultima proroga, sollevando la «pregiudiziale comunitaria per far disapplicare le norme di questi provvedimenti. E siccome c’è già un precedente della Corte Ue favorevole su casi analoghi (riguardante l’Ungheria, che è stata condannata), Davigo prevede «conseguenze dirompenti». In ogni caso, il Parlamentino dell’Anm si rivedrà il 18 novembre per verificare se alle parole sono seguiti i fatti. Parole come quel «Non mi sembra giusto» detto da Renzi quando ha saputo che i magistrati ordinari guadagnano meno dei colleghi amministrativi e contabili, e che il premier ha autorizzato l’Anm a riferire.Il comunicato finale dell’Anm contiene però un punto inedito, destinato a infuocare i rapporti con gli avvocati, oltre che con Renzi e Orlando: il no netto alla partecipazione degli avvocati ai Consigli giudiziari per le valutazioni professionali dei magistrati. Un’«apertura» che Renzi e Orlando avevano fatto, stavolta, agli avvocati, ma che non piace assolutamente alle toghe. Donatella Stasio

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MILANO FINANZA

La confusione normativa che frena la giustizia

di Marino Longoni

Ven.28 - Il decreto legge sull'efficienza della giustizia (dl n. 168), convertito in legge dal Senato mercoledì 19, contiene una serie di misure tese a sveltire i processi in Cassazione (come la possibilità di decidere direttamente in camera di Consiglio la maggior parte dei processi civili), regole sul processo amministrativo telematico, che diventa obbligatorio dall' 1 gennaio 2017, e una serie di disposizioni organizzative volte a rendere più efficiente la burocrazia di Cassazione e tribunali amministrativi.

Un ulteriore piccolo passo di un percorso che, a prescindere dal colore politico dei governi degli ultimi anni, intende rendere più efficiente e rapida l'amministrazione della giustizia. In altri termini: evitare che una barca un po' antiquata e stracarica di incombenze naufraghi sotto il peso di un numero sempre crescente di cause che si trascinano con tempi spesso non più tollerabili. Le strategie attuate per raggiungere l'obiettivo sono state diverse: aumento dei costi di accesso alla giustizia (per scoraggiare cause meramente strumentali), riduzione di formalità e procedure,

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espulsione dal processo penale dei reati bagatellari, adozione del processo telematico, limiti precisi alla prolissità degli atti di avvocati e magistrati, obbligo di addebitare le spese alla parte soccombente (per limitare le cause vessatorie o dilatorie).Misure che hanno contribuito a evitare il collasso del sistema giudiziario. È indubbio però che lo strumento principe individuato per migliorare la qualità del servizio (cosa indispensabile per rendere il Paese più attraente per gli investitori stranieri) sia l'esternalizzazione. A piccoli passi, tutto ciò che non è vitale tenere sotto il controllo diretto del ministero della Giustizia è sempre più spesso gestito in outsourcing. Scelta obbligata, che ha già visto l'introduzione della mediazione obbligatoria, di quella facoltativa, della negoziazione assistita dagli avvocati nel diritto civile, delle procedure conciliative per i consumatori.Il decreto 168 fa un piccolo passo anche in tal senso con la creazione dell'ufficio del processo, che coadiuverà i giudici amministrativi in compiti non giudicanti come la ricerca della giurisprudenza o la preparazione di alcuni atti. Va riconosciuto che, in materia processuale, gli sforzi fatti seguono una linea abbastanza coerente e dovrebbero essere in grado, nel medio periodo, di velocizzare la macchina giudiziaria. Ma quasi nulla si è fatto per migliorare la legislazione nel merito, che resta spesso del tutto disorganica, tanto che, anche per i legali più preparati, spesso non è facile prevedere l'esito della controversia.La confusione normativa aumenta il flusso delle cause in entrata (non potendo prevedere cosa deciderà il giudice, perché non provarci?) Si potrebbero citare i limiti di un'organizzazione giudiziaria antistorica nella distinzione tra giudice amministrativo e civile: perché la P.A. deve avere un giudice particolare? Oltretutto il giudizio amministrativo è l'unico a non avere ancora il giudice unico, si decide sempre collegialmente. Con tutti gli sprechi che ciò comporta. E ancora: perché non pensare all'unificazione del rito civile, ancora differenziato nei vari processi del lavoro: sommario, cognizione, le sanzioni amministrative e così via? Sarebbe una bella semplificazione.

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ITALIA OGGI SETTE

Allarme di Orlando sulle innovazioni non promosse e mal coordinate

Best practice col fiatoneRischio di dispersione delle conoscenze

Lun.31 - Tante best practice non promosse e coordinate dal Ministero sono a rischio di dispersione di conoscenze e svuotamento di funzioni. Lo scrive il ministro della Giustizia Andrea Orlando nell'atto di indirizzo che firma per individuare le priorità politiche da raggiungere nel 2017. L'anno di una buona sterzata verso una più efficiente organizzazione degli uffici in termini di innovazione e informatizzazione, della revisione delle piante organiche della magistratura e del primo concorso di assunzione di centinaia di cancellieri in vent'anni di nevralgico scoperto del personale del comparto Giustizia tra commessi, assistenti, cancellieri e persino dirigenti. E proprio su organizzazione ed efficienza mette l'accento visto che l'incremento

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e la diffusione dei progetti di innovazione tecnologica nei procedimenti giudiziari, civili e penali è una delle 14 direttrici portanti della direttiva del ministro per la costruzione degli obiettivi strategici per il 2017.

INNOVAZIONE. Nell'ambito della cooperazione inter-istituzionale, sarà importante la Convenzione quadro firmata a gennaio scorso con il presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane che punta a una sinergia fra il mondo della giustizia e quello universitario per collaborare a progetti di innovazione organizzativa, digitalizzazione e a dare impulso a progetti finalizzati a migliorare le condizioni di trattamento e reinserimento sociale dei detenuti. In merito, invece, alle buone prassi e sulla scia della precedente programmazione 2007-2013 del progetto Best practice, Orlando rivendica un ruolo centrale per il ministero, ruolo che oggi passa attraverso la costituzione presso l'Ufficio di gabinetto del servizio di «Programmazione delle politiche di innovazione e di controllo del Ministero della giustizia» nel 2014 e di un'apposita direzione generale per il coordinamento di tutte le attività inerenti alla programmazione regionale, nazionale e comunitaria istituita con il nuovo regolamento del ministero approvato a giugno 2015. Servono standard uguali per tutti senza più il gap tra un'Italia fatta di eccellenza e un'altra Italia fatta di assenza innovativa negli uffici. «Quella prima esperienza», si legge nell'atto in riferimento al progetto Best practice, «ha fatto maturare la consapevolezza che la progettualità con la quale il Ministero si relaziona agli uffici, necessiti di un maggior coordinamento e di una maggiore promozione dal centro, soprattutto per quanto attiene alle azioni in tema di organizzazione degli uffici giudiziari, così da sottrarre gli sforzi al rischio di dispersione cognitiva e di svuotamento funzionale». Il dirigente chiamato a individuare e diffondere buone prassi, sarà invece sostenuto dall'ispettorato del ministero tenuto a intervenire con azioni disciplinari anche nel caso in cui il ritardo nel deposito di una sentenza sia conseguenza di carenze materiali od organizzative dell'ufficio piuttosto che di negligenza del singolo magistrato.

INFORMATIZZAZIONE. Informatizzato prima il processo civile di primo grado e l'appello dal 30 giugno 2015, dal 15 febbraio 2016,

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sono state attivate in Cassazione anche le comunicazioni e notifiche telematiche: «Un primo passo verso la completa informatizzazione anche del giudizio di legittimità», annuncia Orlando. Entro il prossimo 31 dicembre, entrerà in funzione il «portale delle vendite pubbliche», un marketplace unico nazionale per la pubblicazione e la messa in vendita di tutti i beni, mobili e immobili così da garantire lo svolgimento online dell'intera procedura di vendita, garantendo, così, anche la partecipazione alle aste di acquirenti stranieri. Allo studio anche la realizzazione del portale dei creditori: un registro elettronico delle procedure di espropriazione forzata immobiliari, delle procedure di insolvenza e degli strumenti di gestione della crisi che potrà rispondere al problema dei crediti deteriorati. La grande sfida resta però l'informatizzazione del penale, il Sicp completato nell'ultimo anno presso tutti gli uffici giudiziari di primo grado. Il prossimo passo sarà la costituzione del data warehouse nazionale della giustizia penale e integrare in maniera sempre più efficace gli applicativi del penale, come si sta già facendo per il civile. LE PIANTE ORGANICHE DEI MAGISTRATI. A luglio scorso Orlando ha trasmesso al Consiglio superiore della Magistratura, per il previsto parere, lo schema di decreto per la revisione delle piante organiche giudicanti e requirenti di primo grado e da poco è iniziata la riflessione per gli uffici giudiziari di secondo grado. «Un più corretto dimensionamento degli organici delle sedi giudiziarie risulta un fondamentale passaggio di ogni strategia di modernizzazione e potenziamento dell'organizzazione giudiziaria», considera nel documento il ministro.  Marzia Paolucci 

IL SOLE 24 ORE

Decreto fiscale. Da lunedì scorso è possibile presentare le rettifiche «a favore» entro il quinto anno dall’invio della

dichiarazioneL’integrativa non riapre i controlli

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Lun.31 - La possibilità, introdotta dall’articolo 5 del decreto fiscale (Dl 193/2016) e operativa da lunedì scorso, 24 ottobre, di presentare la dichiarazione integrativa “a favore” fino alla scadenza del termine di decadenza dell’azione accertatrice ha anche la conseguenza di allungare questo termine, che decorre dalla presentazione della dichiarazione stessa. Ma il Dl 193 introduce l’importante precisazione, che riguarda anche le dichiarazioni integrative Iva e quelle “a sfavore”, per cui il nuovo termine di decadenza decorre limitatamente «ai soli elementi» oggetto di integrazione (anziché «agli elementi», come recitava prima l’articolo 1, comma 640, lettera b), della legge 190/2014).Il nuovo termine La precisazione circa la decorrenza del nuovo termine per l’accertamento ha consentito di superare l’orientamento delle Sezioni unite della Cassazione che, nella sentenza 13378/2016, hanno riconosciuto il diritto di utilizzare in compensazione il credito risultante dalla dichiarazione integrativa solo se la stessa fosse stata presentata entro il termine stabilito per la dichiarazione del periodo d’imposta successivo; negli altri casi il contribuente avrebbe potuto chiedere solo il rimborso. La Cassazione si è, evidentemente, preoccupata che per gli uffici diventasse troppo difficile effettuare i controlli se il contribuente rettificasse a proprio favore la dichiarazione a ridosso del termine di decadenza indicato dall’articolo 43 del Dpr 600/73. Peraltro, il problema si sarebbe potuto risolvere anche in via amministrativa, come ha fatto la circolare 31/E del 2013 sugli errori contabili, per i quali era stata prevista un’analoga “ripartenza” del termine.L’articolo 5 del Dl 193 ora risolve la questione, ampliando il termine dell’azione accertatrice dell’agenzia delle Entrate e riconoscendo al contribuente l’utilizzo in compensazione del credito risultante dalla dichiarazione integrativa, sia pure con alcune rilevanti limitazioni.I limiti all’accertamento La precisazione che i termini per l’accertamento decorrono dalla presentazione della dichiarazione integrativa ma limitatamente «ai soli elementi» oggetto dell’integrazione è importante perché fuga il

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dubbio che la dichiarazione che integra quella originaria aggiungendo, eliminando o modificando un determinato componente di reddito possa comportare la riapertura del termine di accertamento anche per elementi diversi dello stesso “tipo” (ad esempio, i ricavi) o per l’intera categoria reddituale interessata. L’Assonime ha osservato, nella circolare 15/2015 relativa alla precedente formulazione normativa, che se un contribuente «si ravvede in merito alla mancata rilevazione dei ricavi derivanti da una compravendita (...) gli organi accertatori potranno fruire della proroga dei termini non per accertare ulteriori e diverse violazioni, bensì solo per verificare se il contribuente si è correttamente ravveduto in merito alla fattispecie cui si riferisce la violazione». Il Dl 193 ha sancito la correttezza di questa conclusione, anche per non disincentivare il ricorso al ravvedimento, in contrasto con le finalità che ne avevano ispirato la recente riforma. Inoltre la norma sul potere di accertamento, oltre a operare per le imposte sui redditi e l’Irap, è stata estesa all’Iva. Gli elementi oggetto dell’integrazione sono quelli omessi o non indicati correttamente nella dichiarazione originaria o rettificati con quella integrativa.In alcuni casi dalla rettifica di un elemento può conseguire quella di altri componenti per la cui quantificazione la norma fiscale fa riferimento a quello oggetto di ravvedimento; questa rettifica può, ad esempio, assumere rilevanza anche per la deducibilità delle spese di rappresentanza, se si tratta di componenti positivi dell’attività caratteristica, che vanno assunti nell’ammontare rilevante ai fini fiscali. Il contribuente dovrebbe tenere conto di questi effetti “derivati” in sede di ravvedimento; in caso contrario, può provvedere l’ufficio. Pagina a cura di Gianfranco Ferranti

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PROCEDURE CONCORSUALIPer le note di variazione arriva la retromarcia

Lun.31 - Il progetto di legge di bilancio riscrive la disciplina dell’emissione delle variazioni Iva in diminuzione in caso di procedure concorsuali azzerando, per questo specifico aspetto, il testo dell’articolo 26 del Dpr 633/1972 nella versione modificata dalla legge di Stabilità 2016 (testo che peraltro non ha mai operato finora).La prima novità prevista riguarda l’eliminazione delle regole per l’individuazione del momento a partire dal quale, in presenza di procedure concorsuali, sarebbe stata consentita l’emissione delle note di variazione prescindendo dal definitivo accertamento dell’infruttuosità. In particolare, vengono eliminati i riferimenti:alla data in cui il cliente si considera assoggettato a una procedura concorsuale; alla data del decreto che omologa l’accordo di ristrutturazione dei debiti; alla data di pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato di risanamento. Secondo il Ddl, inoltre, è prevista l’abrogazione del secondo periodo del comma 5 che avrebbe previsto per il cessionario/committente, assoggettato a una procedura concorsuale, la mancanza dell’obbligo di annotare nel registro delle fatture e in quello dei corrispettivi le note di variazione ricevute e di computare la relativa imposta a debito nella liquidazione. Come detto, le previsioni che il progetto di legge di bilancio punta a cancellare non hanno mai operato, in quanto le norme della legge di Stabilità 2016 regolano i casi in cui il cessionario/committente sia assoggettato a una procedura concorsuale dopo il 31 dicembre 2016. Giuseppe Carucci Barbara Zanardi

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IL SOLE 24 ORE

Confronto senza forzatureL’amministrazione non deve prevedere termini troppo stringenti

Sab. 29 - Se è previsto il contraddittorio preventivo per la validità dell’accertamento, il giudice di merito deve verificare anche che l’Ufficio abbia concretamente reso possibile tale adempimento, risultando irragionevole un termine troppo breve per rispondere. A fornire questo chiarimento è la Corte di cassazione con la sentenza 21822/16 depositata ieri. Ad una società veniva notificato un avviso di accertamento con il quale si rettificava induttivamente il reddito dichiarato: la pretesa era fondata sul confronto con gli studi di settore. L’Ufficio, prima dell’emissione dell’atto, aveva convocato la contribuente in contraddittorio mediante notifica di un invito a comparire, chiedendo contestualmente di produrre la documentazione giustificativa del divario tra ricavo dichiarato e risultato di Gerico.Il provvedimento veniva impugnato lamentando, tra i diversi motivi, la mancanza di contraddittorio preventivo e l’illegittimità del metodo induttivo applicato. Nella specie l’invito a comparire concedeva solo quattro giorni lavorativi per rispondere e produrre la documentazione e la ristrettezza di tale termine, di fatto rendeva impossibile la concreta instaurazione del contraddittorio.La Ctp accoglieva il ricorso, ma la decisione veniva riformata dal giudice di appello, secondo cui l’operato dell’Ufficio era legittimo e la società con il proprio comportamento aveva dimostrato «scarsa collaborazione».

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La contribuente ricorreva quindi in Cassazione. I giudici di legittimità, accogliendo il ricorso sul punto, hanno precisato che mentre il collegio di prime cure aveva rilevato come i termini perentori concessi dall’Ufficio nel suddetto invito ledessero il diritto di difesa, la Ctr si era limitata a rilevare una «scarsa collaborazione» del contribuente. La Corte di legittimità evidenzia pertanto che è necessaria la verifica da parte del giudice di merito della rituale attivazione del contraddittorio con il contribuente poiché nell’ipotesi di accertamento standardizzato, come nella specie, tale fase preliminare è a pena di nullità. La decisione appare particolarmente interessante poiché dà importanza al riscontro da parte del giudice dell’effettività del contraddittorio, ossia che non sia attivato solo “cartolarmente” e soprattutto, come di sovente accade in questo periodo con riferimento all’anno di imposta 2011, che l’Ufficio non pretenda che le proprie richieste siano esaudite in pochi giorni. Si verificano peraltro frequentemente notifiche anomale dell’invito: è il caso, ad esempio, di inviti al solo legale rappresentante e non alla società, al quale, per le più diverse ragioni (dimissione dall’incarico, irreperibilità, ecc.) potrebbe essere conseguita una “mancata” risposta. Seguendo il principio affermato dalla Cassazione, dinanzi al silenzio del contribuente occorre verificare concretamente che il contraddittorio fosse attuabile e quindi va riscontrata non solo la regolarità della notifica, ma anche che i termini e le modalità indicate dall’Ufficio siano realmente possibili per il contribuente. Laura Ambrosi

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IL SOLE 24 ORE

Liti fiscali, pesano come indizi le dichiarazioni rese da terzi

Sab. 29 - Valore indiziante ai fini accertativi per le dichiarazioni rese da terzi anche in assenza di contraddittorio congiunto con il contribuente. Intanto il divieto di prova testimoniale nel processo tributario non riguarda le dichiarazioni rese dai terzi nella fase procedimentale, le quali costituiscono mere informazioni. Poi possono ugualmente assumere valore di indizio in quanto i verificatori non sono obbligati a verbalizzarle in forme dialettiche con il contribuente. Così la sentenza n. 21809-2016 della Corte di cassazione, sezione tributaria civile depositata ieri (presidente Greco, relatore La Torre).Una Spa sulla scorta di una verifica tributaria è accertata per il 1996 ai fini lrpeg ed Ilor per avere contabilizzato sia fatture per presunte operazioni inesistenti sia costi indeducibili. Secondo l’Amministrazione, infatti, la contribuente ha attuato un “carosello fiscale” per evadere le imposte. Ciò emerge dalle risultanze del procedimento penale avviato nei confronti dei propri

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amministratori nonché dalle dichiarazioni rese da terzi e raccolte in base al pvc in assenza di contraddittorio.La società ricorre in Ctp con due motivi: innanzitutto la prova testimoniale non è valida ai fini probatori in quanto non è ammessa nel processo tributario; in ogni caso essa non è utilizzabile neppure come indizio in quanto trattasi di dichiarazioni di terzi raccolte durante l’istruttoria in assenza di un contraddittorio con il contribuente.L’Amministrazione resiste argomentando che anche se non ammessa nel processo tributario, la prova testimoniale ha valore indiziante in grado di concorrere a formare il convincimento del giudice; inoltre anche se le dichiarazioni sono state rese da terzi in assenza di contraddittorio mantengono in ogni caso valore indiziario.Nonostante la rilevanza nella ricostruzione dei fatti, i giudici di merito disconoscono il valore probatorio delle dichiarazioni acquisite dai terzi e danno ragione al contribuente costringendo così l’Amministrazione ad andare in Cassazione, la quale accoglie il ricorso e cassa con rinvio la sentenza impugnata per i seguenti motivi.Il divieto di prova testimoniale nel giudizio tributario - dice la sentenza - non comporta l’inutilizzabilità processuale delle dichiarazioni dei terzi raccolte nella fase procedimentale. Questo in quanto esse non rivestono natura di prova testimoniale bensì di mere informazioni acquisite durante le indagini amministrative. Inoltre, proseguono i giudici di Piazza Cavour, le dichiarazioni di terzi, quali mere informazioni, anche se non raccolte in contraddittorio con il contribuente, sono comunque utilizzabili quali elementi di prova. Questo in quanto i verificatori non sono obbligati a verbalizzarle in forme dialettiche con il contribuente e dunque assumono valore di indizio.Ferruccio Bogetti Gianni Rota

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IL SOLE 24 ORE

Giustizia tributaria. Sulla responsabilità oggettiva lettura della Ctr Milano in linea con i dettami europei

Iva indetraibile se c’è legame con la frode

Mer.2 - Gli accertamenti basati su «fatture soggettivamente inesistenti» colpiscono l’Iva del soggetto accertato, rendendola indetraibile. Stante il fatto che si parla di un tributo armonizzato, lo sguardo va rivolto in primis alla Corte di giustizia europea. Nell’ambito europeo uno dei postulati cardine in cui si incentra il funzionamento dell’Iva è l’illegittimo addebito di una responsabilità oggettiva in capo al contribuente. Infatti, se così non fosse, si renderebbero vani i principi della certezza del diritto e del

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legittimo affidamento (ex multis: Mahageben Kft/Peter David C-142/11). Del resto, «se ci si rifiutasse di ammettere in tal caso un diritto alla detrazione si potrebbe del pari negare questo diritto ogni volta che il primo soggetto passivo si sia astenuto dal versare all’erario un importo dovuto per legge e correttamente calcolato» (conclusioni dell’avvocato generale con riferimento alla sentenza Genius Holding – Causa C-342/87). Orbene, su tale importante aspetto si è soffermatala Commissione tributaria regionale Milano , sez 65 (sezione distaccata di Brescia) con la sentenza 4754/16 (depositata il 15 settembre). Nel caso di specie, l’Ufficio non aveva provato alcun legame tra il contribuente verificato e la frode carosello esistente a monte (ovvero perpetrata dai fornitori di quest’ultimo). Partendo da questo presupposto, i giudici lombardi arrivano ad affermare che «nel caso di specie, aderire alle modalità di contestazione ed accertamento come effettuata dall’Ufficio, significherebbe statuire l’indetraibilità tout court dell’Iva addossando all’acquirente della merce una sorta di responsabilità oggettiva dell’illecito contestato, e ciò per il sol fatto di aver concluso operazioni commerciali con i cedenti». Curiosamente, la Commissione arriva a tale conclusione, perfettamente aderente ai dettami europei, senza considerare le predette indicazioni della Corte di giustizia. Difatti, secondo i giudici, «siffatta ricostruzione è senz’altro illegittima in quanto assunta in spregio ai fondamentali principi in materia di illecito, per la totale assenza di apprezzabile rilievo in ordine al requisito soggettivo, essendo unilateralmente determinata, senza nemmeno permettere al ricorrente di poter addurre la propria estraneità alla condotta fraudolenta». Stabilita dunque l’impossibilità di attribuire una responsabilità oggettiva, in quali casi l’amministrazione finanziaria può legittimamente “punire” il contribuente a valle della frode? La Corte di giustizia fornisce un chiaro inquadramento sull’onere della prova a carico dell’amministrazione finanziaria, dettando allo stesso tempo precisi limiti all’obbligo di verifica e di controllo a carico del contribuente sulla “bontà” dei propri fornitori. Più precisamente, le sentenze della citata Corte impongono in prima battuta un onere della prova in capo all’Ufficio, il quale deve

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dimostrare l’esistenza di elementi “oggettivi” (non bastano mere presunzioni), alla base dell’accusa formulata. In un secondo momento – se e solo se l’Ufficio è stato in grado di provare l’esistenza di detti “elementi oggettivi” - il contribuente è tenuto a dimostrare di aver effettuato, sui propri fornitori incriminati, tutti i controlli ragionevolmente richiedibili a quest’ultimo. Su tale suddivisione dell’onere della prova tra Ufficio e contribuente si richiamano, a titolo esemplificativo, le sentenze Kittel e Recolta (cause riunite c-439/04 e c-440/04), Bonik (c-285/11), Stroy Trans (c-642/11). Medesimo approccio è seguito dalla Cassazione (tra le sentenze più recenti: n. 6229 del 13/03/13, n. 7900 del 28/03/13, n. 4353 del 4/03/16). All’atto pratico, in cosa deve consistere l’onere della prova a carico dell’agenzia delle Entrate? Senz’altro quest’ultima non può basarsi esclusivamente sulla prova dell’esistenza di una frode a monte poiché così facendo, come è stato appena ricordato, si incorrerebbe nell’attribuzione di una responsabilità oggettiva in capo al contribuente “a valle”. L’Ufficio deve fare qualcosa in più, ovvero provare il coinvolgimento di quest’ultimo alla frode in predicato, o quantomeno l’esistenza di elementi oggettivi che provino la conoscenza o conoscibilità da parte dello stesso. Tale concetto è stato recentemente confermato dalla stessa Ctr Milano, sezione 27, con la sentenza 5031/2016 (deposito avvenuto il 3 ottobre) secondo la quale l’amministrazione finanziaria non deve solo provare l’esistenza del meccanismo fraudolento, «ma anche la prova di analoga consistenza del coinvolgimento del cessionario/fruitore dei servizi». Enrico Holzmiller

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Professioni. Giovedì e venerdìCommercialisti al voto: sfida a Bari e Torino Lista unica a

Napoli

Mar.1 - Questa settimana i commercialisti sono chiamati al voto per eleggere gli Ordini territoriali. Gli Ordini che usciranno vincitori dalle urne del 3 e 4 novembre saranno chiamati ad eleggere i nuovi rappresentanti del Consiglio nazionale il 9 gennaio. In questi giorni abbiamo presentato le liste che si contendono il territorio a Roma (si veda il Sole 24 Ore del 28 ottobre) e a Milano (si veda il Sole 24 Ore del 29 ottobre).Oggi concludiamo questa panoramica tra gli Ordini dei commercialisti più numerosi d’Italia vedendo nel dettaglio cosa succede a Torino (3.641 iscritti nel 2015), Bari (3.156) e Napoli (4.734). L’ordine di Torino negli ultimi due decenni è stato abituato a elezioni “tranquille”, c’è sempre stata una lista unica guidata da Aldo Milanese, che è rimasto alla guida per quasi vent’anni. Quest’anno invece si torna al brivido del confronto con due liste. Una di continuità e l’altra di rottura.La lista che prosegue metaforicamente quanto fatto fino ad ora da Milanese è «Il modello Torino continua», che vede come candidato presidente Luca Asvisio, già segretario dell’ordine dal 1997 al 2012. «In questi venti anni l’Ordine è molto cambiato – racconta Asvisio – e ha coinvolto molti colleghi attivi sul territorio». Un’attività sottolineata nella mail che la lista guidata da Asvisio ha scritto ai commercialisti di Torino-Ivrea-Pinerolo ricordando che «Oggi l'Ordine di Torino può contare su oltre 600 colleghi che, quotidianamente, vivono la sede di via Carlo Alberto, organizzando corsi, tenendo conferenze, producendo documenti, contribuendo – in sintesi – a rendere l’Ordine baricentrico alle esigenze e alle necessità di tutti i commercialisti che possono così godere gratuitamente di un supporto unico in Italia». La lista contrapposta è guidata da Marco Ziccardi e si chiama «Commercialisti per il cambiamento». La nostra idea – spiega Ziccardi – è di aumentare il lavoro dei colleghi sul territorio attraverso sinergie e accordi con

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enti e istituzioni, come già accade in altri territori e spingere l’Ordine a impiegare le sue risorse in attività che non siano solo istituzionali». Il programma completo si trova sul sito www.commercialistiperilcambiamento.it.Anche Bari vede due liste sfidarsi per la guida dell’Ordine, «Le radici del futuro» guidata da Emanuele Veneziani (detto Lello) e «Lavoriamo uniti per crescere insieme» con candidato presidente Elbano de Nuccio, attuale segretario dell’Ordine del capoluogo pugliese. La lista guidata da Veneziani pone come fulcro del proprio programma il codice etico e la trasparenza. Il programma prevede un cambio di organizzazione dell’Ordine rispetto a quella attuale e una maggior attenzione ai giovani e al rafforzamento dei rapporti con enti e istituzioni. La lista concorrente, racconta Elbano de Nuccio, «è un giusto mix di esperienza ed età anagrafica» (l’età media della lista è 48 anni). E aggiunge: «Per aiutare la categoria bisogna rinnovare servizi e processi e dare risposte concrete a problemi concreti, che non sono pochi». Napoli è l’unica delle grandi città che va al voto con un’unica lista che vede candidato l’attuale presidente Vincenzo Moretta. «In questi quattro anni di mandato la categoria ha acquistato agli occhi dei cittadini e delle istituzioni – racconta Moretta – una visibilità che prima non aveva. Oggi siamo presenti e attivi nelle scuole (per l’alternanza scuola-lavoro), all’università, presso i tribunali, gli enti e le istituzioni». E aggiunge, a dimostrazione del ruolo che viene oggi loro riconosciuto, «la Regione ci ha interpellato per la stesura della legge regionale che consenta anche ai professionisti l’accesso ai fondi europei». Federica Micardi

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ITALIA OGGI

Fondi Interprofessionali, sul decreto tutto ancora tace

 di Patrizia Del Prete amm. Unico Consophia 

mar.1 - Come già illustrato negli articoli pubblicati l'11 ottobre, a oggi il ministero del lavoro non ha ancora emesso una circolare esaustiva e soprattutto non è stato emesso un decreto di riordino dei Fondi Interprofessionali, come annunciato con il resoconto del 4 agosto 2016.

Intanto si rileva, a quasi un anno dalla prima lettera dell'Anac a Poletti e dopo sei mesi dal parere Antitrust sui Fondi, il protrarsi di una sofferenza delle imprese, soggette a obblighi formativi, con sospensioni e irrigidimenti procedurali non imputabili alle Autorità, ma alle decisioni arbitrarie assunte dai Fondi, con poche eccezioni. Si evidenzia poi il permanere di una mancata trasparenza nei flussi tra Inps e Fondi (lo 0,30% trattenuto dagli stipendi vale ufficialmente circa un miliardo di euro) che a oggi nessuna Autorità sembra aver affrontato con adeguati approfondimenti, suggerendo opportuni correttivi, pur avendo il Consiglio di stato ribadito l'evidente natura pubblica delle risorse. A oggi il trattenuto lordo dagli stipendi dei dipendenti per corsi, poi versato dall'Inps ai Fondi, a cui le aziende devono obbligatoriamente

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iscriversi per recuperarlo, non può essere controllato dalle stesse. Il quantum non è accessibile informaticamente, come avviene per altri dati Inps, né è ricostruibile ex post. Presso l'Istituto risiedono da mesi istanze legali per gli accessi ai dati di flusso dei Fondi, negati anche ai legittimi delegati delle imprese. Il temporeggiamento sarebbe, a detta dell'Istituto, imputabile all'avvocatura di stato, presso la quale risiederebbe la richiesta di un parere. Il tema forse richiederebbe però un definitivo intervento da parte della Corte dei conti, vista la trasparenza, negata dei flussi, e assume connotati ancor più gravi in mancanza di un decreto che renda obbligatorio il rilascio di contratti che rendano chiare le condizioni applicate per commissioni ecc. trattenute dai Fondi. Contratti a oggi negati per prassi a imprese ed enti formativi e che anche l'Antitrust reputa legittimi, anche al fine di regolare opportunamente gli aspetti operativi e concorrenziali.In attesa che il Ministero emani un decreto al fine di rappresentare le reali esigenze delle imprese in istanze atte a normare congruamente e velocemente, è in progettazione una nuova associazione indipendente, di cui vi daremo opportuna comunicazione nelle prossime settimane. Si rivolgerà a chiunque voglia supportare politiche innovative e virtuose di formazione, lavoro, welfare, nell'interesse trasparente e legittimo della collettività, con la partecipazione dei professionisti degli Ordini professionali più attenti a questi temi, come consulenti del lavoro e commercialisti.

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ITALIA OGGI SETTE

In un documento Adepp il punto sulle imposte che pesano sul risparmio previdenziale

Sulle Casse dei professionisti 550 milioni di tasse e balzelli

 

Lun.31 - Il risparmio previdenziale dei professionisti rende allo Stato circa mezzo miliardo di euro l'anno. Merito di Imu, Tasi, rendite finanziarie, imposte di registro sui contratti, Imu, Tasi, tasse e tributi vari sulla gestione immobiliare, spending review. Che nel 2015 hanno garantito all'Erario entrate per 544 milioni e 737 mila euro, stando ad una rilevazione dell'Associazione degli enti di previdenza privatizzati e privati (Adepp).

Fra gli enti più munifici, in quanto con i patrimoni più importanti, ci sono l'Enpam (medici) con 123 milioni e 406 mila euro, Inarcassa (ingegneri e architetti) con 105 milioni e 368 mila euro,

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Enasarco (agenti di commercio) con 53 milioni e 370 mila euro e Cassa forense (avvocati) con 44 milioni e 103 mila euro.

Fra i contribuenti minori, ma solo per quantità e non in percentuale, l'Enpav (veterinari) con 3 milioni e 755 mila euro e l'Enpab (biologi) con 1 milione e 900 mila euro.

Rendite salate. Con un patrimonio di circa 70 miliardi di euro, investito per oltre il 60% nei mercati finanziari, è la fiscalità sulle rendite ad occupare la casella delle uscite più importante per tutte le casse: 365 milioni e 378 mila euro in tutto.

È stata la legge di Stabilità per il 2015 a garantire un extra gettito allo Stato con l'aumento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 26% per il comparto.

Un aumento indigesto poiché le gestioni previdenziali, oltre a lamentare l'iniqua tassazione già in corso, hanno fatto sempre notare di gestire risparmi finalizzati a garantire le pensioni degli iscritti e di non essere dei Fondi di investimento orientati a fare plusvalenze da restituire agli investitori. Una partita chiusa con la possibilità per gli enti di recuperare una parte della maggiore tassazione con un bonus fiscale di 80 milioni (da spartire con i fondi di previdenza complementare su investimenti su aziende e progetti made in Italy).

A questo bonus i Fondi pensionistici hanno attinto per 28 milioni di euro (si veda tabella). Gli enti più interessati sono stati Inarcassa con 10 milioni e 317 mila euro ed Enpam con 10 milioni e 78 mila euro.

Fra le casse di vecchia generazione solo l'Inpgi (giornalisti) non ne ha usufruito per assenza di quegli investimenti previsti dalla legge. A quota zero anche Enpap (psicologi), Enpaia (periti agrari e agrotecnici), Epap (agronomi e forestali, attuari, geologi e chimici), Onaosi (ente di assistenza agli orfani dei medici).

Le altre uscite. Le altre uscite più importanti, dopo quelle per le rendite finanziarie, sono per il pagamento dell'Ires: 92 milioni e 391 mila euro. Gli enti più esposti su questa imposta sono stati l'anno passato Enpam con 22 milioni e 203 mila euro e Inarcassa con 13 milioni e 928 mila euro.

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Altra voce consistente è quella sull'Imu con un totale di 57 milioni e 402 mila euro (ne pagano di più Enasarco ed Enpam).Oltre 10 milioni vanno in spending review (si veda altro articolo); quasi 8 milioni in Irap, 4,3 milioni in tasse sulla gestione immobiliare e oltre 3 milioni per imposte sulla registrazione dei contratti e altri tre per la Tasi. Bruno Fioretti 

ITALIA OGGI SETTE

Le Casse sono obbligate a partecipare alla previsione di risparmio del bilancio del paese

Spending review, 10 mln allo Stato

Lun.31 - Non è certo la voce più rilevante fra le uscite delle Casse di previdenza quella sulla spending review: poco più di 10 milioni di euro. Ma è probabilmente quella più fastidiosa all'interno delle gestioni previdenziali. Primo, perché gli enti sono costretti a partecipare ad una previsione di risparmio per il bilancio dello Stato pur non partecipando alle voci di spesa dello stesso.

Secondo, perché trattandosi di versamenti a fondo perduto, a maggior ragione, potrebbero, secondo gran parte delle Casse,

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essere utilizzati per migliorare o più semplicemente avviare la costruzione di un welfare integrativo per i professionisti. In questo modo 10 milioni avrebbero un valore reale ben maggiore perché, con l'acquisto di servizi, migliorerebbero le tutele assistenziali e si immetterebbero questi denari nell'economia reale.

Spending review ogni anno più salata. È una vicenda vecchia quella della revisione della spesa pubblica. Tutto inizia con l'art. 8, comma 3, del decreto legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012 n.135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», che ha disciplinato il versamento annuo ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato delle somme derivanti dalla riduzione delle spese per consumi intermedi rispetto a quelle sostenute allo stesso titolo nell'anno 2010.

Successivamente, il comma 417 dell'articolo unico della legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di Stabilità 2014), ha stabilito la possibilità per le Casse di «assolvere alle disposizioni vigenti in materia di contenimento della spesa dell'apparato amministrativo effettuando un riversamento a favore dell'entrata del bilancio dello stato entro il 30 giugno di ciascun anno, pari al 12% della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. Per detti enti, la presente disposizione sostituisce tutta la normativa vigente in materia di contenimento della spesa pubblica».

Il decreto legge n. 66 del 24 aprile 2014 è tornato sulla materia. Con il comma 3 dell'articolo 50, infatti, si prevede l'obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni dell'elenco Istat (quindi anche le Casse) di un'ulteriore riduzione del 5% su base annua della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. Con il comma 5, invece, è stata variata in aumento la percentuale del 12% e portata al 15%.

Chi versa di più e chi di meno. Viste le dimensioni (oltre 360 mila iscritti e un patrimonio di circa 17,6 miliardi) è ancora una volta l'Ente dei medici quello che in base ai risparmi previsti versa allo stato più di tutti gli altri: oltre due milioni di euro. Seguono Inarcassa (160 mila iscritti e un patrimonio di 9 miliardi) con 1,3 milioni di euro e Cassa forense (235 mila iscritti e un patrimonio di 9,8 miliardi) con 1,2 milioni di euro.

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Tutti gli altri sono sotto quota 800 mila euro. In coda ci sono la cassa dei notai (4.800 iscritti e un patrimonio di 1,5 miliardi di euro) con 180 mila euro circa e l'Enpab dei biologi (13.700 iscritti e un patrimonio di 533 mila euro) con 100 mila euro.

Casse: risorse al welfare. Con la più recente legge di Stabilità, il governo ha inciso sulla defiscalizzazione del welfare aziendale, con un duplice obiettivo: aumentare il potere d'acquisto di beni e servizi da parte dei dipendenti e incrementare la produttività aziendale. Il grande interesse dimostrato fino ad oggi da parte di molte aziende, anche di medio-piccole dimensioni, potrebbe spingere il governo stesso a migliorare ulteriormente l'attuale vantaggio fiscale. Anche in considerazione di ciò, secondo le Casse potrebbe essere questa quindi un'occasione per valorizzare anche il lavoro autonomo, comprese le libere professioni.A differenza del welfare aziendale, in cui è la fiscalità generale a contribuire, nel caso dei professionisti sarebbero le Casse a finanziare i trattamenti integrativi se avessero l'opportunità di continuare a risparmiare (come da previsione della spending review) ma vincolando le somme al sostegno dei professionisti iscritti.

IL SOLE 24 ORE

Il presidente della Cassa nazionale del notariato al 51° Congresso della categoria

Notai, redditi in crescita nel 2015Raggiunti i 240 mila euro. Ma aumenta il peso dei costi

 

da Verona Simona D'Alessio 

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sab. 29 - L'1% dei notai italiani guadagna «notevolmente di più» del restante 99% della categoria. E se i redditi subiscono (nel 2015) una lieve impennata, arrivando mediamente a circa «240 mila euro», sui ricavi dei professionisti continuano a gravare consistentemente i costi, giacché «sul fatturato il 56% se ne va via in spese per mantenere il servizio». È l'istantanea scattata dalla Cassa previdenziale del Notariato sulla condizione dei propri iscritti, e resa nota ieri, a Verona, nel corso del 51° congresso dal presidente Mario Mistretta che, ha detto a ItaliaOggi, «nel 2006», prima, cioè, che divampasse la crisi economica globale, «1.100 colleghi (il 22%) potevano vantare un reddito medio mensile netto di circa 5.000 euro, mentre nel 2014 il 70% (3.400) ha entrate mensili nette pari a 5 mila euro. E su queste somme pesano il nostro rischio d'impresa e gli investimenti per la gestione dell'attività che superano della metà i nostri rendimenti», ha proseguito, parlando di un dato «che deve far riflettere, in tempi nei quali persistono pregiudizi legati a presunti nostri privilegi»; inoltre, se nel 2006 la percentuale della platea «con un reddito netto inferiore ai 2 mila euro era del 4%, pari a 180 notai», nel 2014 è salita fino all'«11%», comprendendone 564, mediamente con 48 anni d'età. «È il dato che fotografa il nostro impoverimento», ha osservato il numero uno dell'Ente pensionistico, «e la collocazione geografica degli iscritti con redditi più o meno buoni segue il pil nazionale», ossia con un vantaggio di chi esercita nelle regioni settentrionali, rispetto al resto del Paese. La performance dell'anno passato rilevata dalla Cassa aveva già messo in luce una regressione consistente, visto che 5 notai su 10 nel 2014 avevano dichiarato «un reddito medio non superiore ai 4 mila euro al mese per 12 mensilità» (si veda ItaliaOggi del 10/11/2015); a pagare il conto più salato è, come facilmente intuibile, la componente giovanile di una categoria che, è stato evidenziato durante l'assise veronese dal presidente del Consiglio nazionale Salvatore Lombardo, conta 4.819 professionisti e ha il picco nella fascia anagrafica fra i 41 e i 55 anni (2.003 unità in servizio). La Cassa, ha sottolineato ancora Mistretta, ha raggiunto una quota di patrimonio totale pari a «circa 1,5 mld di euro» e «chiuderemo l'anno con i conti in perfetto equilibrio»; i beni detenuti sono «per oltre il 50% immobili» e, in generale, la

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stragrande maggioranza delle operazioni finanziarie resta all'interno dei confini nazionali, poiché «circa l'80% degli investimenti è effettuata in Italia», ha chiarito il presidente, che ha poi escluso di partecipare all'acquisto di quote del capitale della Banca d'Italia, sulla scia di quanto fatto da altri Enti previdenziali privati a partire dallo scorso anno. «Quella del Notariato è una piccola Cassa dal punto di vista patrimoniale e la nostra «policy» d'investimento prevede una diversificazione».

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Il congresso di Verona. Il presidente della Cassa fornisce i dati sugli iscritti: valore medio annuo a 240mila euro

Per i notai calano i redditi, non i costi

Sab.29 – Verona. Se nel 2006 “solo” il 22% dei notai guadagnava 5mila euro al mese, nel 2014 i notai ad avere il netto mensile dei 5mila sono il 70 per cento. Sempre nel 2014 è andata decisamente peggio per l’11% dei notai che ha guadagnato 2mila euro netti al mese, cifra che nel 2006 riguardava il 4% della categoria. Il presidente della Cassa del notariato Mario Mistretta, al 51° Congresso del Notariato che si chiude oggi, assesta un duro colpo all’immaginario collettivo che vede il quale il notaio come un nababbo.«La crisi non ha risparmiato la categoria – dice Mistretta – ma con 2 mila euro al mese e i costi che si assestano sul 56% dei ricavi è difficile tenere in piedi una struttura costosa. I costi pesavano per il 60% nel 2012, picco della crisi, ma comunque si mantengono pressoché costanti, assestandosi al 58% nel 2014 e al 56% nel 2015». L’accento è sul peso economico delle strutture, circa 40mila dipendenti non sacrificati in questi anni: «Di fatto non esiste l’ufficio del giudice, ma quello del notaio e l’efficienza ha un costo, difficile da sostenere con 2mila euro al mese». Un fatto probabilmente confermato dal calo di “vocazioni”. In ogni caso il reddito medio è circa di 240mila euro l’anno, ma c’è un 1% dei notai che guadagna molto più del restante 99 per cento.I notai peraltro devono fare i conti con le novità di una legislazione sempre in movimento. Come sul fronte della famiglia che è stata al centro di lavori di ieri del congresso. La categoria ipotizza una collaborazione con gli avvocati per gestire i contratti prematrimoniali. I notai si propongono in una funzione super partes, analoga a quella del giudice, e gli avvocati dovrebbero essere “consulenti” dei diretti interessati. Sul fatto che i tempi in Italia siano maturi sono tutti d’accordo. Per il giudice del Tribunale di Torino, Giacomo Oberto, c’è un fil rouge che lega i patti prematrimoniali con i patti di convivenza: «Nella legge Cirinnà, col contratto di convivenza si potevano prevedere le conseguenze della rottura ed erano presenti i patti successori, tutto è stato cancellato

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con un intervento politico». Per Oberto i notai non devono temere la responsabilità deontologica: non c’è una legge che vieti i contratti prematrimoniali e «i patti fanno parte della nostra tradizione, c’erano già nel diritto romano». Per il vice presidente dei notai, Albino Farina, «i patti - che non sono solo prematrimoniali, perché possono avvenire, come prevede il disegno di legge fermo alla Camera, fino al momento del ricorso per la separazione – non trovano alcun ostacolo neppure nella giurisprudenza di legittimità, che afferma il solo limite dell’ordine pubblico».Altro tema caldo le successioni. I notai invitano a colmare il vuoto della legge Cirinnà, che non considera i conviventi. L’eccessiva rigidità della norma sulle successioni che vieta i patti successori ingabbia poi gli imprenditori, che non sanno, nel 53,4% dei casi, come garantire un passaggio generazionale che salvi l’impresa. Problema attuale, visto che in Italia ci sono più di 5 milioni di Pmi, di cui il 60% individuali, gestite da persone che nel 13% dei casi hanno più di 65 anni, nel 24% tra i 55 e i 35 e solo nel 6% da under 35. «Oggi l’unico strumento per superare il divieto di patti successori è il patto di famiglia – spiega Enrico Sironi, componente del Consiglio nazionale del notariato – ma è una strada poco percorsa perché c’è il limite della stabilità: il patto vincola solo chi lo ha sottoscritto al momento. Interessante il modello tedesco, che ha abbandonato il criterio della tutela reale per imboccare la via quantitativa».Il ministro degli Affari regionali con delega alla famiglia, Enrico Costa, ha promesso un interessamento sulle successioni ma ha escluso che nel testo unico sulla famiglia possa trovare spazio la disciplina ereditaria. E Maura Simone della direzione Istat ha annunciato un dato a sorpresa: le nuove rilevazioni del 2015, disponibili a metà novembre, farebbero registrare un aumento del numero dei matrimo ni. Patrizia Maciocchi

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ITALIA OGGI SETTELa Corte europea dei diritti umani: permanenze brevi da valutare

caso per casoCelle piccole (a volte) ammesse

È inumano far trascorrere 27 giorni in meno di 3 mq  Lun.31 - Ventisette giorni in cella in uno spazio di meno di 3 metri quadrati rappresentano un trattamento inumano. I giudici di Strasburgo tornano sulla questione dello spazio minimo che deve essere assicurato ai detenuti affinché non possa ritenersi violato l'articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani che proibisce la tortura e ogni trattamento inumano o degradante. Il caso deciso dalla Grande camera della Corte europea dei diritti umani lo scorso 20 ottobre riguarda la Croazia (caso Muric) ma condizionerà anche gli altri Stati. La Grande Camera è dovuta intervenire sul tema in quanto i precedenti della Corte non erano proprio omogenei e ha dunque cercato di fare chiarezza. Vi erano infatti sentenze nelle quali si affermava che nel caso in cui un detenuto disponesse di meno di 3 metri quadri vi era automaticamente violazione dell'articolo 3 della Cedu e sentenze dove il principio era attenuato. Va ricordato che l'Italia nel maggio del 2013 aveva subito una sentenza pilota nel caso Torreggiani, decisione che aveva costretto il nostro Paese a varare un pacchetto di riforme.

La Corte, presieduta dal giudice italiano Guido Raimondi, ha deciso che nel caso di un periodo di 27 giorni di permanenza in meno di 3 metri quadri vi è inequivocabilmente un trattamento inumano e degradante; invece nel caso di reclusione in celle con meno di 3 metri quadri a disposizione pro-capite per periodi più brevi bisogna guadare anche ad altri fattori, come la libertà di movimento fuori

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dalla camera di pernottamento o le più generali condizioni di detenzione. Non è chiarissimo quale sia il tempo che fa scattare la presunzione di violazione. Nel caso di reclusione tra i 3 e i 4 metri quadri vanno invece sempre verificate le condizioni fisiche di detenzione con uno sguardo alla possibilità di esercizio all'aria aperta, alla disponibilità di luce naturale, ventilazione, riscaldamento, servizi igienici riservati. Al di là se la sentenza sia un passo in avanti o indietro nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sicuramente arriva un messaggio forte alle autorità penitenziarie, comprese quelle italiane: per evitare l'umiliazione di una condanna va rispettata la dignità dei detenuti, va organizzata una sorveglianza di tipo dinamico, vanno offerte opportunità trattamentali fuori dalla cella. Patrizio Gonnella 

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Valida l’offerta con carte superiori ai limiti del bando

Mar.1 - In sede di gara di appalto, l’amministrazione non può rifiutare un documento le cui dimensioni eccedano le previsioni del bando: lo sottolinea il Tar di Firenze con la sentenza 24 ottobre 2016 n. 1524, che offre spunti interessanti anche per le comunicazioni telematiche, come quelle previste dalla nuova legge 197/2016 sulla giustizia civile ed amministrativa. Il caso esaminato riguardava una gara per lavori edili: un candidato contestava l’aggiudicazione a un concorrente che aveva fornito una relazione di consistenza superiore alle tre pagine previste dal bando. Esso prevedeva inoltre invii telematici di documenti con dimensione massima di 20 MB in un unico file.Secondo l’impresa ricorrente, accettare dimensioni superiori avrebbe alterato la situazione di parità (par condicio) tra concorrenti, dando maggiori possibilità di chiarire la propria offerta. Opinione non condivisa dal Tar, che ha invece applicato il principio di tassatività delle cause di esclusione, ritenendo che il

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superamento dei limiti fisici di un’offerta (cartacea o digitale) non può costituire di per sé motivo per l’estromissione dalla procedura dell’impresa che non si sia attenuta ai limiti.Sul principio, la giustizia amministrativa applica infatti il favor partecipationis, ritenendo che un’ampia platea di concorrenti dia all’ente pubblico la possibilità di selezionare la migliore offerta: applicando tale principio, è stata tollerata un’eccedenza di tre pagine rispetto alle 19 previste dal bando (Consiglio di Stato, sentenza 3677/2012) e persino una relazione di centinaia di pagine invece delle 30 previste da un bando che si esprimeva solo in termini di preferibilità delle più contenute dimensioni (Tar L’Aquila, sentenza 344/2016). La parte più innovativa della sentenza fiorentina riguarda il limite di un unico file di 20 MB per l’offerta tecnica: il giudice ha ritenuto valutabile l’offerta anche se difforme dal bando, in quanto l’amministrazione non aveva espressamente previsto una clausola di esclusione.In ogni caso, si sottolinea poi, non spetta alla piattaforma informatica rifiutare di caricare file di dimensioni maggiori di quelle indicate nella lettera di invito: il potere di esclusione spetta alla commissione di gara.Sull’estensione di tali princìpi si interrogano di recente gli avvocati, che hanno problemi analoghi nell’applicare la legge 197/2016, il cui articolo 7 prevede rigide modalità telematiche nella trasmissione di documenti. La modifica l’articolo 13 del Dlgs. 104/2010 (sul processo amministrativo), prevedendo che il segretario generale della giustizia amministrativa possa stabilire limiti di dimensioni dei singoli file allegati al modulo di deposito, salvo casi eccezionali da autorizzare da parte del singolo magistrato. Attualmente, la dimensione prevista (in sperimentazione) per i files è di 30 Mb, peraltro superabili ricorrendo ad invii plurimi.Di fatto, tuttavia, non vi è solo il rischio di una mancata accettazione da parte del sistema digitale, ma anche di un’omessa valutazione da parte del giudice: già per gli scritti difensivi opera l’articolo 120 del Dlgs 104/2010, che li limita a 30 pagine in caso di appalti, abilitando il giudice a trascurare ciò che gli avvocati scrivono in eccedenza. E non è tutto, perché vi sono anche le incertezze sugli stili di scrittura: la Cassazione civile ammette il

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Times New Roman, ma le sezioni penali (protocolli 18 dicembre 2015) preferiscono il Verdana. Guglielmo Saporito

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Rapporto di lavoro. I singoli proprietari non dispongono di poteri diretti sui dipendenti dello stabile

Portiere, niente ordini dai condòmini

Mar.1 - «Si metta sotto a fare il suo dovere e pulisca le scale!». Queste parole sono state indirizzate di recente da un condòmino alla portinaia del proprio palazzo, da lui accusata di lavorare poco e male. Non è però incarico di chi vive nel condominio quello di dare ordini al portiere: sarebbe insostenibile se tutti gli abitanti

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della proprietà questionassero sull’operato del lavoratore, ma soprattutto si andrebbe contro le norme di legge.Chi può impartire disposizioni nei confronti di portiere, giardiniere, addetto alle pulizie o tecnico della manutenzione è solo il l’amministratore pro tempore. Il condominio è infatti comparabile a un’azienda o unità produttiva nel momento in cui al suo interno viene svolta un’attività di lavoro di tipo subordinato e, in tale caso, l’amministratore viene ad assumere il ruolo di datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 2 comma 1 lett. B) del Dlgs 81/2008. In tale veste, egli detiene i poteri direttivo e organizzativo (poteri che caratterizzano tutti i datori di lavoro) esercitati per conformare la prestazione lavorativa del dipendente alle esigenze dell’organizzazione d’impresa (il condominio nel caso specifico). Ma questa frase non è la sola che tipicamente risuona negli androni.«Riceverà una lettera di richiamo». Il condòmino non può indirizzare lettere al portinaio. Come nel caso del potere direttivo e organizzativo, anche il potere disciplinare è in mano dell’amministratore di condominio, in qualità di datore. Sarà lui, nel caso, a richiamare il lavoratore inadempiente (verbalmente o per iscritto) qualora lo ritenga opportuno o nel caso emerga tale necessità in sede di assemblea. Il potere disciplinare non è indiscriminato naturalmente, ma va esercitato seguendo i limiti di legge imposti a garanzia di una corretta applicazione. «Già che c’è, perché non innaffia le piante?». I compiti del portiere vanno stabiliti alla stipula del contratto di assunzione. Una volta fissate le mansioni del lavoratore, non sarà possibile per il condòmino pretendere che il portiere si occupi del verde, se il contratto non lo prevede. In tale caso, il condòmino potrà esprimere in assemblea la necessità che il portiere svolga un compito ulteriore, in modo che si possa verificare la fattibilità della richiesta, che se approvata, andrà comunicata dall’amministratore al lavoratore, insieme al quantum corrisposto per la nuova prestazione (spettano infatti delle indennità per ogni prestazione eccedente). Va ricordato, a tal proposito, che il decreto legislativo n.81 del 15 giugno 2015 (che ha sostituito l’articolo 2103 del Codice civile) riconosce al datore di lavoro il potere di variazione di mansione, purché riconducibile allo stesso livello di inquadramento del lavoratore.

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«L’amministratore non c’è. Faccia riferimento a me». I poteri del datore di lavoro non sono delegabili ad altri, nemmeno ai membri del consiglio d’amministrazione. Perciò, non possono esserci accordi in tal senso tra amministratore e consigliere; e il condòmino non può interferire nel rapporto di lavoro tra il condominio e il portiere. Vincenzo Di Domenico

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Cassazione. La stima giurata dei beni irrilevante quando la proposta prevede il pagamento integrale ma dilazionato

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Concordato, «rate» senza relazione

Mar.1 – Roma. Nel concordato fallimentare se il pagamento è integrale ma dilazionato si deve garantire la partecipazione del creditore al voto, ma non è necessario acquisire la relazione del professionista per la stima dei beni. Inoltre la partecipazione al voto del creditore privilegiato deve restare determinata nella percentuale di perdita dovuta al ritardo e non va estesa all’intero credito considerato di rango privilegiato. La Cassazione, con la sentenza 22045 depositata ieri, accoglie i motivi principali del ricorso di una società fallita contro la decisione della Corte d’appello di avallare il no all’omologazione del concordato fallimentare, al quale si era opposto un socio-azionista. I giudici di seconda istanza avevano infatti considerato irregolare la procedura per due ragioni: la mancata ammissione al voto dei privilegiati e la mancata acquisizione della relazione giurata del professionista (articolo 124 comma terzo della legge fallimentare). La Suprema corte condivide solo la premessa dalla quale è partita la Corte territoriale ma giudica errata la conclusione. È corretto affermare che il pagamento integrale e immediato non è assimilabile al pagamento integrale ma dilazionato e comprensivo di interessi. Ed è giusto che nel secondo caso i creditori privilegiati partecipino al voto sulla proposta di concordato nei limiti della perdita consequenziale. La tesi sostenuta dalla corte d’Appello non è però corretta per quello che riguarda la necessità del deposito anche della relazione giurata del professionista. L’incombenza - sottolineano i giudici - è giustificata dalla necessità di stabilire il valore di mercato da attribuire ai beni o ai diritti soggetti alla causa di prelazione, in modo che la soddisfazione del creditore avvenga in misura pari o superiore a quanto sarebbe possibile ottenere con la liquidazione.La relazione diventa dunque irrilevante quando la proposta è stata “confezionata” prevedendo il pagamento del credito in modo conforme al titolo ma con una semplice dilazione. In tal caso la misura del soddisfacimento del credito non è legata al valore dei beni o dei diritti suscettibili di liquidazione ma molto più

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semplicemente all’incidenza del decorso del tempo: una valutazione che può essere effettuata dagli organi della procedura. La Corte d’appello, nell’accogliere l’affermazione che non era stata assicurata la partecipazione al voto dei creditori privilegiati, aveva considerato ininfluente il fatto che ci fosse un solo creditore privilegiato, destinatario del pagamento dilazionato, sulla base delle disponibilità liquide esistenti e di quelle che sarebbero maturate alla data prevista di omologazione. Per la Corte d’appello, il creditore aveva sì partecipato al voto ma in veste di chirografario, mentre avrebbe dovuto partecipare con la quota chirografaria del credito privilegiato.La Cassazione spiega che non è così. Ciò che rileva ai fini del rispetto della procedura era che quel creditore fosse stato messo nelle condizioni di esprimere un voto contrario alla proposta. Una possibilità che avrebbe consentito di dare il parere anche in relazione alla parte del credito la cui soddisfazione non era integrale per via della dilazione. La Cassazione annulla con rinvio. La Corte d’appello dovrà verificare se davvero esisteva un solo creditore privilegiato da pagare con dilazione. In tal caso non si poteva negare l’omologazione, visto che questo aveva comunque partecipato al voto come chirografario, avendo così la possibilità di esprimersi anche il relazione al credito privilegiato da considerare non del tutto soddisfatto. E quindi per la parte residua corrispondente alla perdita rispetto alla quale era da considerare ai fini del voto. Patrizia Maciocchi

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Cassazione. Corresponsabile nella bancarotta il manager che incamera i beni sottratti alla fallita anche se non è al corrente del

dissestoCorreo chi beneficia della «distrazione»

Mer.2 - Roma. Concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per l’amministratore della Srl che beneficia dell’attività distrattiva messa in atto dall’amministratore unico di una Spa. La Cassazione (sentenza 46645) conferma la condanna a carico dell’amministratore di una società a responsabilità limitata verso la quale erano confluiti, senza corrispettivo, i beni di una Spa gestita da un amministratore unico, condannato per bancarotta per distrazione in un altro processo. Secondo il ricorrente non c’erano elementi per affermare la sua responsabilità, visto che la condanna si era fondata su documenti rinvenuti presso la Spa dichiarata fallita e gestita da un “manager” condannato, a suo volta, per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale. Ad avviso della difesa doveva considerarsi perlomeno plausibile che il materiale “probatorio” fosse non solo di parte ma anche non veritiero perché fornito da un bancarottiere. Di contro nel processo non c’erano documenti della “beneficiaria” delle distrazioni, che con la società “svuotata” dei capitali condivideva oggetto sociale e sede legale. Carte che avrebbe dovuto fornire il suo successore del ricorrente. Per la difesa la condanna per concorso nel reato si basava solo sulla carica rivestita nella Srl, elemento però non sufficiente senza la prova certa e inconfutabile della responsabilità dell’amministratore: il momento consumativo del reato coincide, infatti, con il compimento dei singoli atti distrattivi. Per finire mancava anche l’elemento soggettivo: la volontà di porre in essere

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operazioni di carattere distrattivo e la consapevolezza di recare un pregiudizio ai creditori. Per la cassazione le prove della distrazione sono evidenti e non hanno bisogno di altri riscontri. La Spa aveva ceduto alla Srl risorse attive per centinaia di migliaia di euro oltre a immobilizzazioni immateriali per più di un milione di euro: tutto senza alcun canone di utilizzo. Nel “pacchetto” passato di mano c’erano anche merci e beni per un ammontare superiore ai 2 milioni di euro, oltre a compensazioni di credito per forniture che non costituivano pagamenti reali, ma semplici alchimie contabili. A queste si univano “sconti” del 30% praticate dalla fallita, in situazione di sofferenza, alla Srl. Per la Suprema corte basta per affermare la responsabilità, le “prove” non si fondavano, infatti, solo sui dati contabili della Spa, ma sulla lettura di questi incrociati ad altri elementi e alle perizie. Accertamenti esaurienti che rendevano superfluo acquisire la documentazione della Srl. La Cassazione precisa che per il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione «il ruolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore». Mentre non è richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società. Ogni atto distrattivo è rilevante in caso di fallimento a prescindere dalla rappresentazione di quest’ultimo. Da ultimo la Cassazione respinge la tesi del ricorrente, secondo il quale la sua società si era impegnata a pagare i creditori della fallita tentando una politica di reinvestimento. Affermazione smentita dalle sentenze di merito. Patrizia Maciocchi

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ITALIA OGGI SETTE

I paletti fissati dalla Corte di cassazione nel caso di ingratitudine del donatario

Revoca donazione, tempi certiÈ l'ingiuria intollerabile a far decorrere la prescrizione

Lun.31 - La prescrizione per la revoca della donazione decorre dal momento nel quale gli atti ingiuriosi sono diventati intollerabili: lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza n. 21010/2016.

Intervenuta sul ricorso del donatario avverso la decisione di merito con la quale veniva revocata la liberalità che la madre aveva fatto nei suoi confronti (lasciandogli la nuda proprietà dell'immobile coniugale e riservandosi il diritto di usufrutto sul medesimo), la seconda sezione civile, nel definire il giudizio della Corte d'appello «congruamente motivato», ha sostenuto che «in presenza di una pluralità di atti offensivi fra loro strettamente connessi, perché possa iniziare a decorrere il termine decadenziale previsto dall'art. 802 c.c. – in base al quale «la domanda di revocazione per causa d'ingratitudine deve essere proposta dal donante o dai suoi eredi, contro il donatario o i suoi eredi, entro l'anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consegue la revocazione» – deve guardarsi al momento in cui questi raggiungono un livello tale da non poter essere più ragionevolmente tollerati secondo una valutazione di normalità».

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Così come in sede di merito, anche per i giudici di legittimità, benché l'ingratitudine del donatario si fosse concretizzata in una progressione di atti ingiuriosi, era dal giorno in cui tale progressione era arrivata al suo culmine che occorreva computare il termine di decadenza, cosa che, nella specie, era avvenuta e, quindi, poteva dirsi rispettata la scadenza annuale per l'esercizio dell'azione di revocazione tanto con riferimento al momento in cui il comportamento ingiurioso del donatario aveva raggiunto il proprio culmine, quanto con riferimento a quello nel quale tale comportamento ingiurioso aveva raggiunto un grado così significativo da indurre la donataria a esperire un'azione di manutenzione del possesso.A nulla sono valse le censure dell'uomo, il quale lamentava il fatto che la corte territoriale non avesse valutato il materiale istruttorio in maniera adeguata e conforme ai principi giurisprudenziali: per gli Ermellini il ricorso andava rigettato e il ricorrente condannato alle spese di giudizio.  Adelaide Caravaglios 

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