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Cultura N° 32 -AGOSTO 2012 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P .A. - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV . IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1 - DCB VR i n VERONA ARENA: CONTENITORE MILLEUSI • 1923: a Selva arriva la luce (Nuova associazione) Cultura e informazione nasce Voltapagina www.veronainblog.it

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Page 1: Verona In 32/2012

Cultura

N° 32 -AGOSTO 2012 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1 - DCB VR

inVERONA

ARENA:CONTENITOREMILLEUSI

• 1923: a Selva arriva la luce

(Nuova associazione)

Cultura e informazionenasce Voltapagina

www.veronainblog.it

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Cultura

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inVERONA

Da gennaio a maggio 2012 abbia-mo pubblicato un giornale in in-ternet con risultati sorprendentiper una startup: 700 visitatori uni-ci giornalieri che tornavano sul si-to più volte nelle 24 ore. Infatti iclick di ingresso sono stati circa 70mila ogni mese, in crescita.

Da alcuni anni pubblichiamo in-chieste, strumento scomodo diindagine giornalistica che ha al-lontanato molti inserzionistipubblicitari, soprattutto quelliistituzionali (gli altri, che ci osti-niamo a chiamare “imprenditoriprogressisti”, hanno mostratoscarso interesse per le nostre ini-ziative editoriali). Un altro moti-vo per cui la pubblicità se n’è an-data è certamente la crisi econo-mica. L’esperimento on line èquindi servito per capire se la retepoteva essere un ambiente nonsolo a basso costo, ma anche piùlibero ed efficiente, su cui investi-re per lanciare questo giornaleverso un futuro brillante.

Ci sono alcuni vantaggi non dapoco. a) Pubblicare on line con-sente l’azzeramento dei costi perla carta e la distribuzione, che perVerona In sono il capitolo di spesapiù importante. b) I tempi per lariflessione e il dibattito sul webnon sono più scanditi dalla perio-dicità del giornale (nel nostro ca-so trimestrale): pubblicandoquotidianamente il dibattito è in-tenso, continuo e anche per que-sto molto costruttivo.

Ci sono anche alcuni svantaggi. a) non tutti leggono il giornale ininternet (ma è sempre meno ve-ro); b) le inchieste sono troppolunghe da leggere sul PC (sempremeno vero anche questo, grazie aitablet e agli e.reader); c) il gior-nale su carta lasciato in un am-biente pubblico lo vedono tutti,anche i più distratti, mentre in in-ternet bisogna cercarlo (molto

vero); d) non c’è ancora a livellolocale una cultura dell’investi-mento pubblicitario on line (po-che decine di euro per un bunnersono ancora considerate cifre as-surde a Verona).Che si fa? Si passa in internet, macon una novità importante che dàla misura della trasformazione.La novità è la nascita dell’associa-zione Voltapagina.

L’appello lanciato in rete dall’edi-tore a maggio 2012, in cui si chie-deva di cercare insieme le risorseper continuare l’avventura on li-ne, non è caduto nel vuoto. Du-rante l’estate, a dieci anni dallapubblicazione del primo numerodi Verona In, alcune persone ge-nerose si sono rese disponibili ehanno lavorato per fondare unanuova associazione, producendoun primo documento di cui pub-blichiamo l’abstract, per capire dicosa si tratta: – «È in crisi un modello culturale

basato sul consumo di beni ma-teriali e lo spreco di risorse, men-tre ne sta crescendo un altro cheidentifica il benessere con laqualità della vita. In questo con-testo la cultura, generando mo-delli di consumo sostenibili, puòdiventare il perno di un nuovosviluppo economico.

– Voltapagina ha due obiettivi dipari dignità: 1. accompagnare espingere questo processo di tra-sformazione con adeguate inizia-tive culturali; 2. sostenere i mezzidi informazione come Verona In,a cui è affidato il compito di tra-ghettare a livello di opinione pub-blica quanto prodotto come labo-ratorio culturale».

L’associazione Voltapagina si pre-senterà alla città a fine estate, su-bito dopo inizierà il tesseramen-to. Anche gli abbonati di VeronaIn, presa visione dell’atto costitu-tivo, potranno iscriversi a Volta-pagina versando la quota, prima

Primo p iano

3

In copertina: foto di Francesco

PassarellaC

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na destinata all’abbonamento, diret-

tamente all’associazione. Le quo-te associative serviranno in parteper garantire un fondo da utiliz-zare per le attività culturali, inparte per sostenere Verona In online (articoli, inchieste, redazione,aggiornamento del sito ecc. ecc).Che fine farà il giornale cartaceo?Non chiuderà i battenti ma saràutilizzato per pubblicare unatantum numeri monotematici ingrado di sostenersi economica-mente.

Ci sono altre novità editoriali. Stanascendo a Verona un altro gior-nale. Si tratta di un foglio di ri-flessione politica, aperto a tutte lecomponenti di centrosinistra, aimovimenti e alla parte progressi-sta della società. Si chiamerà l’an-sa dell’Adige, recuperando il no-me della testata fondata a gennaioin internet e finanziata in parte daalcuni esponenti del Partito de-mocratico. Qui il percorso è dallarete alla carta, perchè il nuovogiornale sarà stampato in 5 milacopie. Direttore responsabile è ilgiornalista professionista MicheleMarcolongo, direttore editoriale èMichele Bertucco a cui, comecandidato sindaco unitario delcentrosinistra alle passate elezio-ni, tocca il compito di moderato-re. L’editore è lo Studio editorialeGiorgio Montolli.

Completa il panorama la nascitadella casa editrice Smart Edizioni,operativa con l’arrivo del Natale.Smart Edizioni vuole occuparsidella città intelligente e creativa,senza barriere ideologiche, demo-cratica, contro gli sprechi e a bassoimpatto ambientale. E’ la città chefatica a emergere ma che fa capoli-no nell’attività dei tanti che ci cre-dono.

g.m

Verona In festeggia i suoi 10 anni di vita

proponendosi inversione web. Accolto

l’appello pubblicatosulla rete dall’editore:

a settembre una nuovaassociazione culturale

e una nuova casa editrice

www.verona-in.it

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Agosto 20124

Torniamo con pazienza a costruireun’alternativa per Verona

di Paolo Ricci

Le elezioni amministrative veronesi hanno inevitabilmentelasciato sul campo vincitori e vinti. Quest’ultimi non sonoriusciti ad anteporre un progetto di città diverso e più cre-dibile di quello del sindaco riconfermato. Ambiente comepre-condizione di qualsiasi politica economica, cultura

come leva di un diverso sviluppo, pianificazione e mobilità urbanacome accesso a più gratificanti stili di vita, trasparenza della pubbli-ca amministrazione come superamento dell’opaco rapporto tra Par-titi (tutti) e mondo degli affari. Niente di tutto questo. La realtà loca-

le è rimasta sullo sfondo fino a sfumare, confondendosi con i “gran-di” temi della politica nazionale. Per il duello si è scelta quindi l’armapiù favorevole all’avversario e si è perso ancora una volta, nettamen-te, anche nella congiuntura più critica per chi governa la nostra cit-tà. L’unica dell’intera tornata amministrativa in cui il partito del sin-daco ha potuto vantare uno schiacciante successo.Difficile ricondurre il silenzio o i timidi accenni alle problematichelocali di maggior impatto ad un semplice errore di valutazione. Si èpreferito insistere tout court sul razzismo e sulle inquietanti frequen-tazioni politiche del sindaco, spostando il confronto unicamente sulterreno ideologico, senza entrare nel merito dei fatti che hanno scan-dito l’amministrazione della città. In realtà, il centro-sinistra, e nonsolo a Verona, non ha una posizione univoca proprio sulle grandiquestioni delle città. Battersi per un’alternativa all’incenerimentodei rifiuti, crea imbarazzo, nonostante la sua concreta fattibilità,quando una “regione amica” (Emilia Romagna) ha realizzato un im-pianto per provincia (o quasi), istituzionalizzando anche il monito-raggio sanitario e ambientale con un progetto autoreferenziale (Mo-niter). E quando il ministro dell’Industria (Bersani) del secondo go-verno Prodi ha denunciato al ministro della Salute (Turco) ed al mi-nistro della Giustizia (Mastella) l’Ordine dei Medici di quella regio-ne per procurato allarme, avendo questo ente espresso preoccupa-zione per gli effetti sanitari riportati dalla letteratura scientifica sul-l’incenerimento dei rifiuti. Ma altri esempi si potrebbero richiama-re. Né è facile prendere posizione sul controllo che i partiti esercita-no nei confronti di partecipate / banche / fondazioni, pensando a fat-ti anche recenti che hanno disvelato un sistema di potere da cui nes-suno è rimasto indenne. Certamente si tratta di evidenze molto di-versificate tra loro, che non giustificano alcun giudizio omologante.Ma è proprio il non voler suturare queste ferite con i punti qualifi-canti di un innovativo e coraggioso programma politico per il go-verno della città che, da una parte, offre il fianco alla critica demago-gica, dall’altra induce gli sconfitti a sgomitare per accaparrarsi le bri-ciole cadute dal tavolo dei vincitori. Le riflessioni non mancheranno, ma a ciascuno la propria responsa-bilità: ad una opposizione che ha mancato per tattica e strategia, aglianchormen “di sinistra” disinteressati alla realtà locale (sempre pocoattraente se non è scandalistica) e soggiogati dal mito del personag-gio (sempre molto spendibile buono o cattivo che sia). Come ci inse-gnano a nostre spese le campagne pubblicitarie (e non solo) la reite-razione del messaggio produce consenso e questo, alla fine, verità.Esse est percepi, diceva il filosofo Berkeley. Ma anche i governati, sa-tolli di senso comune, non sono innocenti. Un’alternativa convincente la si costruisce nel tempo medio-lungo,soprattutto a Verona, e non certo in quello effimero della campagnaelettorale, a prescindere quindi dalla figura del candidato sindaco. L’ostacolo maggiore si trova oggi nella degenerazione del linguaggiodella politica, emblematica di una modalità di proporsi che, ormaidimentica di ogni contenuto più o meno nobile, si risolve nella purainvettiva, nella denigrazione di ogni persona o opera, che ha preval-so sulla dialettica, anche aspra, ma sostenuta da idee e soluzioni aconfronto. Una china molto difficile da risalire che costituisce peròuna via obbligata. (Vedi articolo in tandem a pagina 5, ndr).

L’ostacolo maggiore si trova nelladegenerazione del linguaggio dellapolitica, emblematica di una modalitàdi proporsi che si risolve nella purainvettiva, nella denigrazione di ognipersona o opera e che ha prevalso sulladialettica, anche aspra, ma sostenutada idee e soluzioni a confronto

Opinioni

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di Corinna Albolino

Illuminante, rispetto alla riflessione politica di Paolo Ricci nellapagina a fianco, risulta il testo di Leopardi, scritto nel 1824, daltitolo “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani”,verso il quale la critica ha mostrato negli ultimi anni molto in-teresse. Un saggio che indaga la psicologia sociale degli italiani

nel contesto più ampio della storia degli Stati europei. Va subito rile-vato il significato che il termine “costume” assume nel pensiero del-l’autore. Qui l’éthos non è infatti riducibile alle abitudini o usanze chedefiniscono, per tradizione, il carattere di un popolo, ma rimandapiuttosto ad una forma mentis, un modo di essere, di abitare il mondo.È quella modalità di dimorare la Terra che fonda la cultura di una ci-viltà. Éthos diventa allora la morale che si traduce in determinate con-suetudini di vita, consolidate poi nelle leggi. Éthos, civiltà, culturahanno a che fare con il senso dell’esistenza. Se il tutto, nella sua essen-za, è, come interpreta Nietzsche, caos e divenire delle cose, queste paro-le stanno ad indicare allora le sovrastrutture che l’uomo edifica perdare significato alla sua finitezza. Sono quelle finzioni, quelle masche-re autoillusorie, al dire del filosofo, che ci consentono di sopravvivere. Nel merito Leopardi ricorda come la “gloria” degli antichi sia diventatanei secoli successivi “onore” per trapassare poi con i moderni nel concet-to civico di “stima”, intesa come riconoscimento pubblico del proprioagire. Sono questi i valori fondativi di una società che ne garantisconoanche la coesione. L’Italia, a differenza delle altre nazioni europee, spiegal’autore, non è riuscita a costruire un proprio paradigma di società. Unadeficienza, in effetti, che si è trascinata lungo tutta la storia risorgimenta-le e post-risorgimentale, fino ad influenzare ancora la politica dei nostrigiorni. L’individualismo, “l’amor proprio”, “l’indifferenza profonda, radi-cata ed efficientissima verso sé stessi e verso gli altri” nei confronti di ognigiudizio sociale, sono le connotazioni dell’italiano moderno. Costitui-scono un’ineludibile conseguenza di questa lacuna storica. Leopardi chiama “atteggiamento cinico” questo rapporto che l’italianotiene con il mondo, con il prossimo. “Cinismo d’animo, di pensiero, dicarattere, di costumi, d’opinione, di parole e d’azioni”. Una modalità di

esistere che, avulsa da ogni condivisione sociale, si risolve in compor-tamenti denigratori. “Passano il loro tempo a deridersi, scambievolmen-te, a pungersi fino al sangue[..], a mostrar con le parole e coi modi ognisorta di disprezzo verso altrui[..], a ridere indistintamente e abitualmen-te d’ogni cosa e d’ognuno incominciando da se medesimo”.Il cinismo, una risposta naturale dell’uomo di fronte all’insensatezzadella vita, diventa nell’italiano un tratto psicologico più accentuato, fi-no a qualificare la cifra del vivere politico, proprio perché la “mancan-za di società” non può esprimere quei valori che conferiscono senso al-la dimensione comunitaria della vita.Ritornare oggi a questa analisi psicologica dell’italiano, offerta dalLeopardi, può aiutare a capire la crisi profonda della politica, al di làdelle contingenze. La “mancanza di società” basata sul reciproco rico-noscimento dell’altro, di quella “società stretta” fondata sulla “fratel-lanza” è all’origine di una disaffezione della politica che, salvo rare ebrevi eccezioni, ha percorso come una vena carsica l’intera storia delnostro Paese. Ora è diventata dilagante e domina da tempo la scenapolitica. A mascherarla non sono bastate le grisaglie del governo tecni-co. Sovrastati dall’omologazione, i contenuti della politica hanno pro-gressivamente perso la loro identità. Un linguaggio impoverito, ridot-to a reiterato messaggio pubblicitario, si affanna a promuovere unprodotto non più in grado di sollecitare neppure la semplice attenzio-ne dei cittadini-consumatori. Se il peccato d’origine è la “mancanza di società”, forse è il modo di sta-re nel mondo, di abitare la città, che va ripensato. A questo punto èproprio il concetto di “fratellanza” leopardiana, accennato in questosaggio politico ed esplicitato poi nella Ginestra, che può soccorrerci, invirtù della sua sorprendente attualità.Una morale laica, scevra da ogni a-priori metafisico, “etsi Deus non da-retur”, per usare l’espressione di Grozio, che riconosca la propria ra-gion d’essere nella cura del supremo bene comune, cioè la vita sulla edella Terra. Un’etica da declinare però in nuova politica economica, apartire dalla polis, dalla nostra città.

Indifferenza e “cinismo d’animo”Così Leopardi spiega gli italiani

L’Italia non è riuscita a costruire un proprio paradigma di società.Una deficienza che si è trascinata lungola storia del Risorgimento, fino ainfluenzare la politica dei nostri giorni.Leopardi chiama “atteggiamentocinico” questo rapporto che l’italianotiene con il mondo e con il prossimo

inVERONA

Giacomo Leopardi

Opinioni

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Opinioni

Scuola e tecnologie didattiche

di Stefano Vicentini

Leggi “autonomia scolastica”, intendi scuola moderna e più fun-zionale. È una scommessa attuale, ma anche una prospettivaper l’immediato futuro che non si vuole disattendere. C’è ingioco l’identità di ciascuna scuola che diventa originale rispettoalle altre e, distinguendosi in alcune caratteristiche, permette al-

le famiglie di orientarsi più facilmente nella scelta. Ciò ha fatto scattare, danon molto, la corsa alla modernità, tradotta, tra le varie novità, nell’usosempre più consistente delle cosiddette “tecnologie didattiche”, dove la di-namica insegnamento-apprendimento si avvale di mezzi tecnologici,computer, software specifici, audiovisivi, tutor on line, ecc. Non è questione solo di dotarsi di una nuova strumentazione, magarisemplice e facile da usare – basterebbe un po’ di pratica e il problemaè risolto – ma di ripensare il lavoro in classe, come gli obiettivi o i li-velli di prestazione, sapendo ben calcolare i pro (tanti) e i contro (po-chi, ma ci sono) del mondo multimediale. Accenniamone alcuni: dipositivo, la rapidità di consultazione di dati a livello enciclopedico, larappresentazione simultanea e sintetica delle conoscenze, l’uso dimateriale didattico vario potendosi confrontare anche con ricerchesvolte, esercizi e test preimpostati, esperti di un settore o alunni di al-tre scuole; di negativo, l’incapacità di autogestirsi e organizzarsi inmodo efficace, oppure i tempi lunghi di operatività. Ma apriamo alcuni siti internet, come quelli delle scuole secondarie ve-ronesi, spesso creati insieme da docenti e studenti con spiccate capacitàd’uso del computer. Insieme alla vivacità estetica, balza subito all’occhiol’organizzazione ragionata dell’home page, dove ricorrono le news, lapresentazione dell’istituto col Piano dell’offerta formativa, uno spaziodedicato all’organizzazione interna e ai docenti, nonché uno spazio spe-cifico per gli studenti per inserire l’agenda degli impegni scolastici, ri-cerche per la maturità, corsi e “studi di caso”, esperienze musicali, teatra-li e sportive, foto di gruppo. E poi, croce o delizia, c’è il registro elettro-nico: ottimo per caricare voti, assenze, note, istruzioni per il recupero edaltre osservazioni, in certe scuole si inseriscono anche gli argomenti af-frontati dai singoli docenti giorno per giorno, praticamente una traspo-sizione del registro cartaceo; famigerato per gli alunni che vogliono na-scondere un’insufficienza o una “strana” assenza (il bigiare/marinare lascuola, cioè la famosa berna), cose che non passano inosservate al geni-tore che frequenta il sito della scuola regolarmente. Di fatto il computer è indispensabile: in tutte le scuole, negli ultimi an-ni, si è potenziata la materia “informatica” (anche solo come pacchetto

di ore propedeutico) perché la pratica e la terminologia annessa sono ri-chiesti dal mondo del lavoro. Ma la maggiore scommessa tecnologica diquest’anno è stata la Lavagna interattiva multimediale (LIM), che è an-cora affiancata alla vecchia lavagna nera di ardesia ma è pronta a man-darla in pensione, ovviamente insieme ai gessetti bianchi e al cancellino.La Lim, presente nelle scuole statunitensi dagli anni ‘90, è giunta in Italiasolo ora ma è stata accolta con entusiasmo, in quanto è utile in ogni am-bito: pensiamo, ad esempio, alla possibilità in storia e geografia di con-sultare velocemente i rispettivi atlanti (senza più cercare in giro per lascuola carte ingombranti, pure pronte per la pensione) o vedere docu-mentari e film a supporto di una lezione, oppure ancora trovare dei do-cumenti che aggiornano le conoscenze un po’ datate sui propri manua-li. Certo è che la lavagna interattiva mette in gioco una professionalitàdisposta ad accogliere un sistema nuovo, diverso dalla classica lezionefrontale fatta di dettature e prese degli appunti, più il confronto col librodi testo e poche scritte alla lavagna; qui lo strumento permette di ag-giungere infinità di nozioni e creare percorsi di apprendimento ancheper una fruizione autonoma. Se, alla sua comparsa, la Lim è entrata inpoche aule – generalmente le sale audiovisive –, ora c’è un po’ in tutte leclassi, disponibilità finanziaria permettendo, come potrebbe succederepresto per i pc o addirittura per gli i-Pad. Addio astucci, penne, quaderni? Ancora non è detta l’ultima parola mala strada all’ipertecnologia è spianata: non a caso, sui nuovi dizionari èstato inserito “nativo digitale”, termine che indica un giovane nato in untempo in cui l’informatica e la tecnologia fanno sentire la loro presenzanei comportamenti sociali. In questo caso c’è persino l’incoraggiamen-to dell’istituzione scolastica, così da giustificarne la necessità. E non c’èniente di male – a differenza dei giustamente banditi in aula walkman ecellulare – se un ragazzo accede a un ambiente di apprendimento inno-vativo e comunque in grado di sostenere i suoi studi: si possono crearesituazioni di lavoro in gruppo, risolvere atteggiamenti di timidezza o ti-more verso l’insegnante, realizzare prodotti complessi che servirannocomunque come basi e procedure per la futura professione. Non si trat-terà più di definire “scuola all’avanguardia” quella che farà lo sforzo an-che economico di mettere strumenti e mezzi informatici nei propri spa-zi didattici, ma solo una scuola in cammino coi tempi, dove il rendi-mento dello studente si affina nella pluralità delle esperienze e nella suacapacità di adeguarvisi, con elasticità mentale. Sarà interessante, quan-do le scuole decideranno di farlo, preparare una griglia di valutazione –da condividere tra docenti, genitori e studenti – per stabilire quanto po-sitivo è stato l’utilizzo della tecnologia per la formazione, in stretta rela-zione con le competenze raggiunte a fine anno e le aspettative delle fa-miglie. Questa crescente confidenza con le tecnologie didattiche si indi-rizza insomma a realizzare l’obiettivo che è stato posto, qualche anno fa,in un’interessante sottolineatura sulla “scuola dell’autonomia”: “[Biso-gna] sottrarre l’attività educativa e didattica al regime di predetermina-zione e di rigida uniformità imposto dal governo amministrativo-buro-cratico della scuola, puntando al graduale ma decisivo passaggio dallecompetenze formali a quelle sostanziali e specifiche, dai rapporti in-terni di tipo gerarchico e autoritativo a quelli tipici delle comunitàprofessionali (fondate sulle responsabilità comuni), dalla cultura del-l’adempimento a quella del risultato”.

Sono arrivati la lavagna multimediale e il registro elettronico, vanno inpensione i gessetti e le grandi cartegeografiche. Novità interessanti perl’apprendimento che vanno gestitecogliendo potenzialità e limiti

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O p inioni

di Rino Breoni*

Con soddisfazione stupita di sacerdoti e di operatori pastorali, duran-te le celebrazioni della Settimana Santa, le chiese si sono riempite di fe-deli. Chiaramente, in percentuale, le assenze sono state molto più nu-merose e tra le assenze, quella più vistosa, va riferita al mondo giova-nile. Gli appuntamenti del Natale e della Pasqua esercitano una sugge-stione anche emotiva che riesce a coinvolgere le fasce dell’età adulta,matura ed anziana, ma sembra non esercitare eguale presa sulla sensi-bilità giovanile. Le valutazioni positive della presenza di giovani a talune manifesta-zioni pubbliche religiose come “veglie notturne”, “Via Crucis” e altro,peccano, a mio avviso, di facile ottimismo. La città rimane elementoparadigmatico che anticipa, almeno di un decennio, evoluzionicomportamentali quali si verificheranno poi nella periferia e nellaprovincia.Il fenomeno della disaffezione giovanile dalla pratica religiosa e, gra-dualmente dalla fede, ha radici molteplici e profonde. Consideriamopure l’età giovanile come momento di ribellione, di rottura e rifiuto diquanto può essere considerato consuetudine e tradizione; teniamopure conto della pressione mediatica che potenzia l’atteggiamento cri-tico verso ogni istituzione (non v’è dubbio che la Chiesa venga guar-data in questa luce); non sottovalutiamo anche il crescente desideriodi autonomia e libertà che valuta insegnamenti, precetti e magisteri di

qualsiasi genere come limite a tale desiderio; potremmo continuare.Egualmente, ogni giovane generazione, presto o tardi, deve fare i con-ti con gli eventuali interrogativi esistenziali, quali emergono dalleesperienze di vita, volute, cercate, impossibili da evitare. Hanno nomiprecisi: l’insuccesso, l’amore, la delusione, la sofferenza, il sesso, le pro-spettive di impegno lavorativo, lo studio, la malattia, la morte, le im-plicanze di ogni relazione e della socializzazione, la considerazione da-ta al danaro e altro. Sono realtà che generano interrogativi ai quali nonsempre si danno o si trovano risposte adeguate, anche perché spesso sipresentano in modo poco chiaro e spesso alterati, come si è già detto,dalla comunicazione mediatica. La Chiesa ritiene di possedere un messaggio che, globalmente, potreb-be essere risposta a questi interrogativi: è la visione della vita qualefluisce dal Vangelo di Cristo. Questo messaggio non è la soluzione deisingoli problemi, ma una visione d’insieme dell’esistenza, dal suo fio-rire al suo concludersi. È a questo punto che diventa inevitabile una domanda: perché questomessaggio ha così scarsa incidenza sulla sensibilità e sull’animo giova-nile? Il problema che si pone è enorme e costituisce motivo di studio eriflessione a livello antropologico e sociale. Io, balbettando, mi per-metto di fare cenno ad un aspetto non trascurabile della proposta cri-stiana fatta dalla Chiesa al mondo giovanile. Si tratta del “linguaggio”.I violenti mutamenti comportamentali sono sempre portatori di un“linguaggio” inteso come espressione verbale di un modo di sentire edi vedere la realtà. Mi esprimo con un esempio. Se io, ormai anziano,dico la parola “peccato”, termine che nel lessico della fede e della teolo-gia ha un suo peso ed un suo significato, posso lecitamente sospettareche per la giovane generazione tale termine sia compreso e valutato inmodo diverso dalla tradizionale sensibilità. Se dico “castità”, “mortifi-cazione”, “autodominio”, termini che appartengono alla dimensionemorale dell’esperienza cristiana, si può lecitamente sospettare che es-si suonino diversamente nell’animo giovanile. È, allora, una questionedi parole? Anche. Nell’immediato dopo Concilio, fece scalpore il caso del “CatechismoOlandese”, denunciato a Roma, contestato, corretto, ma che, altro nonera se non il tentativo di presentare la fede cristiana di sempre con unaterminologia ed una esposizione capace di incrociare la sensibilità del-l’uomo contemporaneo. Già il titolo alludeva ad una “introduzione al-la fede per l’uomo adulto”. Così per il famoso “Catechismo dell’Isolot-to” che si esprimeva con linguaggio biblico.A mio avviso sono state occasioni mancate. Rimango convinto che lastrada da percorrere per fare una proposta di vita cristiana alla giova-ne generazione, una proposta che non la riporti in chiesa, ma che, pri-ma ancora, sia una proposta di vita nella prospettiva evangelica, siaquella di trovare un linguaggio concettuale e verbale, il quale, per dir-la con le parole di Pietro nel suo primo discorso la mattina di Penteco-ste, sia capace di “trafiggere il cuore” (Atti 2,37). Nel linguaggio bibli-co, il “cuore” è la sede delle decisioni vitali, non delle emozioni.

*Rettore di San Lorenzo in Verona

Per parlare ai giovani la Chiesadeve cercare linguaggi nuovi

Occore un modo di esprimersi il quale,per dirla con le parole di Pietro nel suoprimo discorso la mattina di Pentecoste,sia capace di “trafiggere il cuore”.Ricordando che nel linguaggio biblico, il “cuore” è la sede delle decisioni vitali

inVERONA

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DIARIO ACIDOdi Gianni Falcone

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Dopo Rinascita anche la libreria Ghelfi e Barbato, schiacciata dalle vicine Feltrinelli e Fnac, chiude i battenti. Se ne va un altro pezzo della storia di Verona

LA FOTO

(Foto F. Passarella)

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Agosto 201210

Nel gennaio 2009accanto alla

Fondazione Arenanasce Arena Extra, la

società che ha ilcompito di occuparsi

degli eventi extralirici.Direttore è

Gianmarco Mazzi,fondatore della Run

Multimedia che sioccupa di spot e

videoclip per cantanti

Inchie sta

di Michele Marcolongo

Puccini o Pausini? L’Aida di Giu-seppe Verdi o Amici di Maria DeFilippi? Benché una scelta nonescluda l’altra (almeno per il mo-mento) la stagione lirica in Arenasoffre sempre più l’invadenza de-gli eventi extra, ovvero i concertipop e gli spettacoli televisivi asfondo musicale che occupanol’anfiteatro per molte sere anchein prossimità dell’inizio della sta-gione operistica, rendendo diffici-le programmare le prove di coro eorchestra.

Una tendenza che in realtà nasceda lontano e dai migliori proposi-ti di mettere a valore uno degli an-fiteatri più noti al mondo, riem-piendolo durante i mesi di stanca,a partire da quello di settembre.Ma che negli ultimi tempi, visto ilsempre più impellente bisogno diripianare le perdite di bilancio, ri-schiano di rubare letteralmente lascena all’operistica.

Ecco, ad esempio, il quadro dise-gnato da un sindacalista dellaFondazione Arena lo scorso mar-zo al quotidiano L’Arena: «Fino al25 marzo i tecnici si occuperanno

atti interi, come il quarto di Aida». Vista ignorata da parte di Sovrin-tendenza e Comune la richiesta dirimandare gli eventi extra al ter-mine della stagione lirica estiva,alla fine del mese di maggio i sin-dacati erano arrivati a minacciareuno sciopero (poi revocato) in oc-casione del 2 giugno, serata in cuisi registrava il Galà della Lirica,presentazione televisiva della 90stagione operistica con un pro-gramma in Arena condotto daAntonella Clerici.Posto il successo notevole in ter-

dell’impiantistica relativa alle lucie al palcoscenico, mentre dal 27marzo al 15 aprile sarà la volta delmontaggio tecnico delle diverseopere. In seguito Litfiba, TizianoFerro, Amici, Wind Music Awards,il Gran Galà della lirica e LauraPausini “ruberanno” l’anfiteatroal Festival lirico, lasciando ben po-co tempo a tecnici e artisti per pre-pararsi. Dal 9 maggio al 9 giugnonon si potrà provare: la prima èprevista per il 22 giugno. Il tempoè limitato: lo scorso anno siamoandati in scena senza aver provato

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11

Inchie sta

INCHIESTA

inVERONA

mini di audience televisivo di taleprogramma (19% di share cheequivarrebbero a 4 milioni e390mila spettatori), che si ripeteormai da tre stagioni, restano deidubbi sulla reale efficacia di que-sta strategia di promozione e di fi-nanziamento della lirica veronese.

Nel gennaio 2009, anno di costitu-zione della società Arena Extra,diretta emanazione della Fonda-zione Arena e della Giunta comu-nale, il cui compito è occuparsidell’organizzazione degli eventiextralirici, l’allora assessore allaCultura Erminia Perbellini (oggila delega se l’è tenuta il sindaco),aveva assicurato che i soldi ricava-ti da Arena Extra sarebbero servitia risanare i conti della Fondazio-ne. Peccato che al 31 dicembre2011, dopo già due stagioni di “cu-ra televisiva”, gli utili stentino a ve-dersi: il bilancio 2011 di Arena Ex-tra presenta ricavi per circa 1 mi-lione di euro a fronte dei quali cisono solo 125 mila euro di utili(erano ancora meno, circa 2 milaeuro, nel 2010), tutti messi a riser-va e nessuno passato alla Fonda-zione.

Nelle voci che riguardano i costi,spiccano 610 mila euro per nonmeglio identificati “servizi”; 168mila euro per “godimento di benidi terzi” e circa 40 mila euro di co-sti per il personale (la struttura diArena Extra si risolve infatti inGianmarco Mazzi, il direttoreoperativo, il cui compenso non ètuttavia deducibile dal bilancio, equalche segretaria).

Contrariamente alla credenza co-mune, sembrerebbe di dover con-cludere che con i diritti televisivinon si mangia. Per lo meno nonmangia la Fondazione Arena, dicui tra l’altro non si conoscono lesomme anticipate per la produ-zione degli spettacoli extra-lirici.In altre parole, non è mai statochiarito in che modo e a quali con-dizioni il personale della Fonda-zione (orchestra, coro, tecnici)svolga il proprio lavoro in occa-sione di manifestazioni organiz-zate nell’anfiteatro da Arena Ex-tra.

Chi di certo conosce in profonditàlo stato delle cose è Francesco Gi-

ARENA:CONTENITOREMILLEUSI

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Luglio 201212

Inchie starondini, il leghista con la passionedell’arte, dato che è, ad un tempo,sovrintendente della FondazioneArena e amministratore unico diArena Extra. A dir poco curiosa la proceduracon cui viene redatto il bilancio diArena Extra: l’amministratore uni-co (Girondini) recita il bilancio da-vanti ai soci, che sono la Fondazio-ne Arena, la quale per l’occasioneviene rappresentata dal suo re-sponsabile amministrativo, ovveroun funzionario alle dirette dipen-denze dello stesso Girondini. Per ilresto, in Arena Extra non esiste col-legio sindacale. Tutto regolare, per carità, ma vistoche di soldi pubblici si tratta, nonsi può fare a meno di osservare lamancanza di un sistema di con-trappesi che consenta controlli everifiche più puntuali. Non de-v’essere un caso che, per protegge-re i vertici dagli strali delle opposi-zioni, a gestire l’ufficio stampadella Fondazione sia stato messoRoberto Bolis, il noto e inflessibile

Sui rapporti traFondazione e Arena

Extra esiste unfascicolo aperto in

Procura sulla base diun esposto presentato

da alcuni esponentidel Partito

Democratico

portavoce del sindaco Flavio Tosinonché capo ufficio stampa delComune.

Di Gianmarco Mazzi, posto findall’inizio alla direzione artistica eoperativa di Arena Extra, le crona-che raccontano gli esordi come“factotum” della Nazionale Can-tanti, nel cui giro lo avrebbe intro-dotto il paroliere Mogol. Mazziviene inoltre indicato vicino aiparlamentari veronesi ex An e apersonaggi politici della stessacorrente di rilievo nazionale, co-me Gasparri e La Russa. Il grande salto lo ha fatto tra il 2003e il 2004 diventando consulente ar-tistico dell’allora direttore generaledella Rai, Flavio Cattaneo, che gliha spalancato le porte del Festivaldi Sanremo, di cui è diventato di-rettore artistico macinando suc-cessi e ascolti per diversi anni. La Run Multimedia, che Mazzi hafondato proprio in quegli anni as-sieme al regista pubblicitario emusicale Gaetano Morbioli, è una

società di Verona dedicata allaproduzione di spot e videoclip chelavora per decine di cantanti popdi grido, compresi molti dei pro-tagonisti di Sanremo, e molti traquelli che in questi mesi si sonoesibiti in Arena, compresi gli“amici” di Maria De Filippi, con laquale da tempo Mazzi ha strettoun solido rapporto professionale.La Run Multimedia risulta avereottenuto incarichi per la produ-zione dei Wind Music Awards del27 e 28 maggio 2011 in Arena, peril Galà della lirica del 1° giugno2011 e dell’Opera on Ice del 1°ot-tobre 2011. Almeno due di questetre circostanze hanno ricevutoconferma diretta dallo stesso so-vrintendente Girondini, il qualeperò ha precisato che i MusicAwards in Arena sono stati asse-gnati a Run Multimedia da Winde gli spot del Galà della Lirica di-rettamente dalla Rai, e non daArena Extra.Sui rapporti tra Fondazione e Are-na Extra esiste peraltro un fascico-

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lo aperto in procura sulla base diun esposto presentato da alcuniesponenti del Partito Democrati-co di Verona.

In una intervista rilasciata al Gior-nale di Brescia lo scorso 28 marzo,Umberto Fanni, ex direttore arti-stico della Fondazione Arena licen-ziato da Girondini dopo la scoper-ta del suo doppio incarico con laFondazione e con il Teatro Grande

di Brescia, ha dichiarato che nonsolo il sovrintendente era perfetta-mente a conoscenza della sua colla-borazione con Brescia, ma che gliavrebbe pure proposto una buo-nuscita per chiudere lo scandalo invia bonaria. Stante a quanto affer-mato da Fanni, che dice di avere inmano delle carte, la somma propo-sta avrebbe dovuto essere liquidataproprio da Arena Extra. Affermazioni che Girondini

smentisce ma che costituisconol’oggetto dell’indagine tuttora incorso. In particolare, il Pd chiedealla Magistratura di rispondere atre domande: 1) Se nel revocarel’incarico a Fanni la FondazioneArena era nel giusto, per qualemotivo allora offrire denaro perun accomodamento bonario, co-me sostiene Fanni, che testual-mente dichiara: «Non si voleva farsapere che l’ente mi pagava per

INCHIESTA

13inVERONA

Una lenta mainesorabile mutazione

della FondazioneArena: sempre meno

basata suprogrammazioni e

compagini stabili diartisti e sempre più

orientata agli eventi,magari mediatici, daorganizzare tramite

società terze

Inchie sta

Giugno 2010. Manifestazione deilavoratori della Fondazione

Arena contro i tagli del decretoBondi e per ribadire

l'importanza della cultura(Foto di Antonella

Giovampietro)

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l’interruzione anticipata del miorapporto?»; 2) Come avrebbe giu-stificato Arena Extra il conferi-mento di denaro a Fanni, dal mo-mento che quest’ultimo aveva in-trattenuto rapporti con la Fonda-zione ma non con Arena Extra?; 3)Supposti scambi di denaro di que-sto tipo tra Fondazione e ArenaExtra erano forse usuali?

In questo intreccio di circostanze enel fragore della polemica politicache ne consegue sembra perdersisullo sfondo il dato di una lenta mainesorabile mutazione geneticadella Fondazione Arena: sempremeno basata su programmazioni ecompagini stabili di artisti e sem-pre più orientata agli eventi, maga-ri mediatici, da organizzare all’oc-casione, demandando a società ter-ze il compito di farlo.

Un tipo di organizzazione, que-st’ultima, che non è sconosciuta

nell’industria culturale, anzi, mache poco sembra adattarsi ad unacittà come Verona che sulla base diuna tradizione lirica e teatrale haimpostato istituzioni importanti,come il Conservatorio e l’Accade-mia.

A giudicare dalla loro assenza neldibattito pubblico, le stesse cate-gorie economiche (industriali,commercianti e artigiani) checompartecipano alla Fondazionemediante la Camera di Commer-cio e che pure beneficiano dellecentinaia di milioni di euro di in-dotto annui che la lirica riversa sulterritorio, sembrano essere pococonsapevoli o poco interessate alrisultato di tale evoluzione. Eppure i segni della mutazione cisono tutti: la cronica carenza diorganico dell’orchestra, da cui lapratica, più volte denunciata dasindacati e maestranze artistiche,di sopperire attraverso il posizio-

namento di microfoni. Il fatto chegli stessi laboratori di scenografiainterni, dove lavorano decine diprofessionisti molto qualificati,vengano snobbati a favore di inca-richi assegnati a ditte esterne (èaccaduto anche per le scenografiedel Don Giovanni, l’opera con cuisi è aperta questa stagione). L’as-senza di qualsivoglia impegno perportare le “nostre” opere (quindi ilnostro coro e la nostra orchestra)in turnee quantomeno nei territo-ri limitrofi del Veneto. Da ultimo,e ancora più allarmante, le voci se-condo cui il Teatro Filarmonicostarebbe conoscendo una dimi-nuzione di pubblico e di abbona-menti. Grave perché dal successodella stagione invernale dipendela possibilità di avere un’orche-stra, un coro e un corpo di ballostabili. Il modello organizzativoalternativo sarebbe quello di in-gaggiare compagnie di giro alla bi-sogna, spettacolo per spettacolo,

che è pure la filosofia delle produ-zioni televisive.

Molti dunque gli elementi di in-certezza. La risonanza mediaticadata dalla televisione può certoservire in fase di promozione epuò favorire la carriera di moltepersone ai vertici che possono en-trare nei giri “buoni” della società,ma può bastare da sola per riem-pire ogni sera della stagione lirica i14 mila posti dell’Arena e il teatroFilarmonico nel resto dell’anno? Egarantisce di per sé i 450 euro diricaduta media per spettatore at-tualmente stimati? Se lo spettaco-lo è principalmente televisivo e sipuò guardare comodamente dacasa, che differenza fa che si svolgain Arena oppure in qualunque al-tro teatro? Domande buone per i posteri se,come sembra, i contemporaneiche potrebbero farlo non se ne vo-gliono occupare.

La risonanzamediatica data dalla

televisione può servirea promuovere l’Arena

e può favorire lacarriera di molte

persone ai vertici chepossono entrare nei

giri “buoni” dellasocietà, ma è

sufficiente perriempire ogni sera

della stagione lirica i14 mila posti

dell’anfiteatro?

Agosto 201214

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15inVERONA

di Fabiana Bussola

Sta per nascere una casa, a Vero-na, con la porta sempre aperta.Sarà così per volere dei suoi pro-prietari e dei sostenitori del pro-getto, decine di persone che inpassato avevano già sperimentatoquanto possa fare un luogo acco-gliente e disponibile, rispetto allarealtà imperante che si nascondedietro serrature e chiavistelli, fisi-ci e mentali. Il campanello da suonare saràquello della Mag, la Società mu-tua per l’autogestione che dal1978 propone un modo diverso

Attualità

«UNA CASATUTTA NOSTRA»

Apre a ottobre in zona Stadio uno spazio dove s’imparano lavoro e condivisione. È la nuova sede della Mag, la Societàmutua per l’autogestione, in cui troveranno posto anche le associazioni senza fissa dimora. Un mattone costa 500 euro

NUOVA ECONOMIA

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Agosto 201216

Attualitàdi fare economia e solidarietà. Inquesti anni il lavoro di tante don-ne e uomini, impegnati a cercaredi cambiare il mondo un progettoalla volta, si è svolto (e continueràfino al trasloco previsto per metàottobre, ndr) al Chievo, in via Ae-roporto Berardi 9/A. Ma dopomolto tempo è sopraggiunto losfratto e l’esigenza di trovare unnuovo stabile si è fatta stringente.«All’inizio ci siamo messi in cercadi un appartamento in affitto –afferma Loredana Aldegheri, so-cia fondatrice della Mag –, ma cisiamo resi subito conto che ilmercato non ci veniva affatto in-contro. Per poter svolgere il no-stro lavoro abbiamo bisogno diun po’ di spazio, per dare una se-de ai diversi sportelli di consulen-za, quindi non siamo riusciti atrovare qualcosa di accettabile perle nostre necessità e le nostre ta-sche».

comune sarà anche a disposizio-ne di tutti i sostenitori, coop, on-lus, associazioni, che avessero bi-sogno di uno spazio per attivitàaggregative, come conferenze, ri-unioni, laboratori. La nuova sede metterà a disposi-zione anche una cucina. Ma c’èsoprattutto un progetto nel pro-getto, l’Incubatore solidale, ovve-ro uno spazio fisico, con tavoli epc, pensato per chi ha idee mamanca di mezzi e per chi inveceha risorse ma non ha eredi. «Ab-biamo presentato l’idea in Came-ra di commercio, che si è dimo-strata molto interessata – conti-nua la fondatrice -, perché conquesto progetto vogliamo aprircianche al profit sano, quello dota-to di conoscenze e passione, cheperò non riesce a trasferire le suecompetenze ai giovani. I ragazzi,dal canto loro, potranno acquisi-re il saper fare delle generazioniprecedenti e adeguarle alla realtàdi oggi, senza dover investire ri-sorse che non hanno».Sarà la crisi, che sembra senzauscita, sarà che certi cambiamentirichiedono tempo e maturazione,fatto sta che, nonostante Veronasia una città contraddittoria espesso a compartimenti stagni,qualcosa sta cambiando. «Notia-mo una progressiva apertura neinostri confronti – evidenzia Alde-gheri –, grazie anche alla nostracostante voglia di confrontarcicon tutti. Siamo radicati nella no-stra esperienza, desideriamo in-contrare tutti ed essere a disposi-zione, ma non abbiamo mire diconversione né facciamo proseli-tismo ideologico. Continuando afarci conoscere, abbiamo capitoche questa è la strada giusta, co-me stiamo sperimentando con laCasa comune. Altre strade più fa-cili non ci sono».

UN’ECONOMIA PER TUTTI

Tornando a quel 1978, sembra divedere una città diversa da oggi,forse più capace di organizzarsi emantenere uno sguardo lungo.Allora, esponenti del sindacato edell’associazionismo si erano at-tivati per segnare un nuovo per-corso, in cui lo spirito di autoim-presa, di autogestione e di econo-mia solidale potessero diventare i

Ma a volte, come si dice, la solu-zione è proprio sotto al proprionaso. E così la struttura, che già inpassato aveva aiutato diverse real-tà dell’economia solidale cittadi-na ad acquistare il proprio immo-bile per lavorare, ha pensato cheera giunta l’ora di provare a fareun salto e cercare anch’essa dicomprare casa, grazie all’aiutodelle persone. «Abbiamo deciso di attivare unacampagna di azionariato popola-re per comprare un appartamen-to in zona Stadio di circa 300 me-tri quadri, ammodernarlo e met-terlo poi a disposizione dei quar-tieri vicini, del Terzo settore e del-l’associazionismo». L’iniziativa, adir poco coraggiosa in questo pe-riodo di immobilismo economi-co e di crescente impoverimento,chiede ad ogni persona, fisica ogiuridica, l’acquisto di un matto-ne al costo di 500 euro. «Siamoarrivati a 462 mattoni, ne manca-no altri 488 – sottolinea Aldeghe-ri –. Ogni azionista, diversamenteda quanto accade nella finanzatradizionale, non trae vantaggimonetari, ma matura un interes-se sul futuro. In questi trent’annidi attività è quello che abbiamofatto, insieme a molte persone chesono riuscite a dar vita ad attivitàdivenute poi rivoluzionarie. Bastipensare a quanto l’agricolturabiologica stia crescendo: quandoaiutammo le cooperative Ca’ Ver-de e Ca’ Magre a nascere, eranodavvero delle pioniere, ma adessosi può dire che la rotta è stataquella giusta. Senza la volontà e lafiducia nel cambiamento anchequesta campagna di azionariatopopolare non potrebbe vivere,però diciamo che invece di lascia-re i soldi in banca, nelle finanzia-rie o in borsa, è più saggio pensa-re all’economia locale». Una voltaultimati i lavori di adeguamento,che prevedono anche un interes-sante lavoro artistico, grazie al-l’architetta Daria Ferrari che haraccolto diverso materiale di re-cupero e sta realizzando dei mo-saici ispirati all’estetica di Frie-densreich Hundertwasser, la Casa

«Crediamo nellapossibilità di costruire

una società più equain cui tutti abbiano la

possibilità di essereprotagonisti e

responsabili dellapropria esistenza.

Riteniamo chel’economia debba

essere a servizio delledonne e degli uomini

che attraverso il lavoroautogestito possonorealizzare le proprie

aspirazioni»

Enti no profit, associazioni, onlus, cooperative mutualistiche, fon-dazioni, progetti di economia solidale e di autoimpresa: per farlinascere e sviluppare occorrono specifiche conoscenze legislative, fi-scali, di accesso al credito che si possono reperire alla Mag. Il sup-porto può riguardare già la nascita dell’impresa sociale, a partiredall’impostazione aziendale e finanziaria dell’attività, per favo-rirne crescita e sviluppo. È possibile beneficiare anche del mento-ring, cioè l’accompagnamento nella fase di avvio da parte diun’impresa sociale più matura. Un altro aspetto che viene seguito riguarda la consulenza per le re-tribuzioni di soci e collaboratori: si vagliano le caratteristiche, i co-sti e i benefici di ogni tipologia contrattuale di lavoro, valutandoinsieme ai responsabili delle imprese sociali i rapporti con i soci la-voratori, i dipendenti, i collaboratori e le associazioni di parteci-pazione.Per le strutture non profit, come le cooperative di lavoro, le coopsociali, di consumo, agricole, di servizi, le associazioni di promo-zione sociale, le onlus, le associazioni sportive dilettantistiche, lepro loco, le fondazioni possono usufruire di servizi pensati per lagestione d’impresa sociale ed è possibile anche avere una consulen-za a distanza.Formazione e cultura sono elementi costitutivi della Mag, che èaccreditata presso la Regione Veneto per la formazione continua.Infatti l’ufficio studi e formazione Mag, insieme alla Libera uni-versità per l’economia sociale (Lues), promuove incontri sul lin-guaggio dell’economia sociale, sul lavoro in rete e il rapporto traeconomia locale e mondiale. Corsi specifici sono attivati anche perle tematiche di genere, con particolare attenzione al mondo del la-voro, le relazioni pubbliche e sociali. Le nuove povertà, il “saper fa-re” pratico e tecnico sono altri temi di forte attualità, su cui si pro-gettano corsi e seminari, anche finanziati dal fondo sociale euro-peo, di approfondimento e di confronto. Dal 1993 il trimestrale AP – Autogestione e politica, informa sulleattività intraprese, sul terzo settore e offre spunti critici su temi diparticolare interesse sociale. (F.B.)

Il centro servizi Mag

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17inVERONA

lineamenti costitutivi del lavoro.Primo fra i partecipanti fu l’av-vocato Giambattista Rossi, checon Lino Satto, Maria TeresaGiacomazzi e Loredana Aldeghe-ri, ancora oggi referenti princi-pali del progetto Mag, aveva de-dicato passione e competenza al-la nascita della società di mutuosoccorso. Si iniziò quindi a raccogliere i ri-sparmi dai soci per dare fiato aprogetti nuovi di cooperazione,modello poi seguito negli annidalle altre sei Mag presenti a Mi-lano, Reggio Emilia, Torino, Ve-nezia, Roma, Firenze, e anche dalmovimento nazionale della Fi-nanza Etica. In pochi anni sicomprese che era necessario dareun sostegno robusto al desideriodi segnare una strada differente,così nel 1982 nacque la coopera-tiva Mag Servizi, un centro diservizi associati promosso in re-lazione con Legacoop Veneto,che tuttora offre alle nuove im-prese sociali competenze e consi-gli pratici per farle crescere incultura, spirito d’impresa, com-petenza amministrativa e forzaeconomica.

mia debba essere a servizio delledonne e degli uomini che attra-verso il lavoro autogestito posso-no realizzare le proprie aspira-zioni”, si legge nel documento re-lativo alla mission costitutiva.Un’identità che viene ribadita eattualizzata anche nell’ultimoeditoriale di AP – Autogestionepolitica prima, il trimestrale concui la Mag informa soci e sosteni-tori, firmato da una delle animefondatrici, Maria Teresa Giaco-mazzi. «Anche ora possiamouscire dalla follia collettiva se dif-fusamente re-iniziamo ad inter-rogarci sul perché il nostro dena-ro tentiamo di metterlo al sicuronei posti oggi più incontrollabilidel mondo». L’invito ai gesti“concreti, liberatori, felici” per“avviare un progetto sociale, unlavoro, una micro-impresa, diret-tamente, senza intermediazioni,riscoprendo la gioia della fiducianelle possibilità concrete di untessuto relazionale di prossimitàe di mutualità”, steso nell’edito-riale, non è un richiamo utopico,anche se di un po’ di sogno ci sideve pur nutrire, ma una scom-messa spesso vinta.

Con Mag Mutua per l’autoge-stione, inoltre, si è offerta unaformazione professionale di qua-lificazione e riqualificazione rela-tiva all’impresa sociale, degli in-contri di approfondimento cul-turale, grazie alla collaborazionecon la LUES, la Libera universitàdell’economia sociale, specie sutemi relativi al lavoro di rete e ilsupporto tra economia locale edeconomia globale, le nuove po-vertà e le differenze di genere nelmondo del lavoro. Oggi sono cir-ca 250 le persone fisiche e 350 leimprese sociali, cooperative, as-sociazioni, onlus, comitati, fon-dazioni, per un totale di circa2300 persone attive in diversi set-tori (come la finanza etica, i ser-vizi di cura, l’agricoltura biologi-ca, la produzione manifatturiera,il commercio equo, le attivitàculturali e di welfare), messe inrete grazie al supporto culturale epratico dei servizi Mag.“Crediamo nella possibilità dicostruire una società più equa epiù giusta in cui tutti abbiano lapossibilità di essere protagonistie responsabili della propria esi-stenza. Riteniamo che l’econo-

AttualitàSono circa 250 le

persone fisiche e 350 le imprese sociali,

cooperative,associazioni, onlus,

comitati, fondazioni,per un totale di circa

2300 persone attive indiversi settori, messi inrete grazie al supporto

culturale e pratico dei servizi Mag

L’architetta DariaFerrari al lavoro

durante la posa di unmosaico nella nuova

sede della Mag in zona Stadio

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Agosto 201218

Attualitàpossono finanziare le persone fi-siche per un minimo di 500 eurofino a un massimo di 3.500,mentre le attiv ità produttivepossono arrivare fino a 20.000euro, da destinarsi o all’avviodell’impresa o al suo rinnovo.Inoltre, è possibile ricevere unprestito d’emergenza per le per-sone e le famiglie che attraversa-no una difficoltà temporanea. Lo scopo del microcredito èmolteplice, perché se pone alcentro l’individuo e il suo biso-gno, con il fine di promuovernele capacità personali e limitare,se non eliminare completamen-te, l’accesso all’assistenza sociale,favorisce e incrementa la reted’aiuto. Le relazioni umane diventanoquindi il vero capitale intangibileche permette al denaro di valu-tarsi: infatti, accanto al benefi-ciario c’è sempre una figura, daindividuare tra le amicizie o irapporti di vicinanza, che garan-tisce la metà del prestito conces-so. Così non solo si tutela l’ero-gazione del prestito, perché lamancata restituzione comporte-rebbe una diminuzione del fon-do di garanzia presso le bancheconvenzionate, ripercuotendosiquindi sulla stessa attività delmicrocredito, ma si fa capire albeneficiario che non è solo difronte al suo impegno. Le perso-ne garanti, dal canto loro, noncompartecipano soltanto al ri-schio, ma soprattutto condivido-no il raggiungimento di unobiettivo importante.Nel 2011 sono stati 282 i colloquiallo sportello del microcredito,con 208 nuovi casi di cui 62 perl’avvio di impresa e 143 per pre-stiti d’emergenza. Sono stati ero-gati 11 prestiti per un totale di23.510 euro. Dal 2005 lo sportel-lo ha incontrato 1434 persone ederogato 111 prestiti, per un am-montare di 323.510 euro.È ancora più vero allora che laMag «non è la crocerossina delsistema – conclude Aldegheri -.Le cose che facciamo sono pen-sate per il cambiamento dellostile di vita e dell’economia glo-bale, che metta a centro il valoredi cura, sociale e umano». E ildesiderio di un nuovo corso puòtrovare accoglienza in una casaaperta e solidale.

FINANZA ETICA E MICROCREDITO

Dare gambe alle capacità indivi-duali significa anche finanziarle.A fronte di una realtà sociale incui l’impoverimento tocca fascetrasversali, si è scelto di dare av-vio nel 2005 al progetto “EqualEc.co.mi”, grazie al quale è statoaperto uno sportello di micro-credito. Il servizio è nato graziealla collaborazione di alcune as-sociazioni veronesi, come Acli,Arci, Ronda della Carità, e l’as-sessorato cittadino ai Servizi so-ciali, e attualmente l’attività ècondotta da un’operatrice e daun gruppo di volontari. La convenzione sottoscritta conla Banca del Credito Cooperati-vo della Valpolicella e Banca diVerona BCC di Cadidavid per-mette di offrire a persone e pic-cole imprese piccoli finanzia-menti, che il circuito bancariotradizionale non eroga, classifi-cando una grande fetta della so-cietà tra i “non bancabili”. Con il microcredito invece siLoredana Aldegheri, socia fondatrice Mag Verona

Possono richiedere un servizio di microcredito lepersone, fisiche o giuridiche, che vivono od opera-no nel comune di Verona, nei comuni immediata-mente limitrofi e nella provincia. Si può essere diqualunque nazionalità, ma occorre il permesso disoggiorno in corso di validità e/o la cittadinanzaitaliana. A motivare la richiesta possono esseredifficoltà economico-finanziarie, causate da unbasso reddito, e nel caso si debbano affrontare si-tuazioni di emergenza, oppure l’intenzione di rea-lizzare un progetto lavorativo – o di ampliarlo –per diventare autonomi e risolvere una situazionedi precarietà. Il percorso per giungere all’erogazio-ne del prestito deve passare diverse fasi, dall’acco-glienza della richiesta, passando per l’istruttoriasociale ed economica, la condivisione del percorsod’accompagnamento con le garanzie solidali (lapersona che si coinvolge come garante del presti-to), la presentazione del mutuarlo all’istituto dicredito, che dovrà quindi deliberare il prestito e poierogarlo. Infine, ma fondamentale, il monitorag-gio del percorso con periodici incontri di valuta-zione.

– Si finanziano i soggetti in base ai criteri stabilitidal progetto ed entro le cifre massime di € 3.500

per le persone fisiche e € 20.000 per l’avvio o perla riqualificazione di un’attività lavorativa

– La durata del prestito è definita con il richieden-te in base all’entità del prestito e alle possibilitàdi restituzione, con un massimo di 5 anni perl’avvio d’impresa, un massimo di 3 anni per ilprestito al consumo

– Le rate di rientro possono essere mensili, bime-strali o trimestrali

– In casi specifici è possibile un periodo, della du-rata massima di sei mesi, in cui si versa la solaquota interessi e non la quota capitale

– Tasso d’interesse annuale intorno al 5% o 6.5%– Spese di istruttoria pratica di 50 € qualora il pre-

stito venga erogato.– I prestiti non sono elargizioni a fondo perduto,

richiedono pertanto forme di garanzia compar-tecipate con l’aiuto della rete di relazioni. Unfondo di garanzia è stato costituito nel 2008 gra-zie ad un contributo della Fondazione CariVero-na e dell’Assessorato al Bilancio del Comune diVerona.

Coloro che sono interessati possono contattare laMag all’indirizzo e-mail: [email protected] (F.B.)

Chi può accedere al microcredito

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di Luca Comoretto

www.q-cumber.org è l’indirizzointernet del nuovo social-forumdell’ambiente che permette diconfrontare gratuitamente – unavolta iscritti – disagi, problemiterritoriali, emergenze e impres-sioni sulla propria città e regione.

AMBIENTE

La sentinella ambientalesi chiama Q-Cumber

Integrato con la tecnologia di Google Maps, questo sistema che gira sulla rete e a disposizione di tutti è nato 14 anni fa da un’idea dell’ingegnere Giuseppe

Magro, presidente IAIA Italia (International association for impact assessment)

Integrato con la tecnologia diGoogle Maps, Q-Cumber è nato14 anni fa da un’idea dell’inge-gnere Giuseppe Magro presiden-te di Iaia (International associa-tion for impact assessment) Italia,che negli ultimi tre anni ha lavo-rato alla sua realizzazione pun-tando non solo a creare uno stru-

mento per poter condividere datiambientali, ma anche un sistemaveloce e capillare per leggere i pia-ni regionali e comunali del pro-prio territorio.Una volta creato il proprio ac-count, infatti, è subito possibileutilizzare la categoria “Geopost”:cliccando sulla mappa della zona

Agosto 201220

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21inVERONA

Attualità«L’idea di Q-Cumber

l’ho avuta fin dagiovanissimo quandoero vice sindaco di un

paesino» spiegal’ingegnere Magro.

«Un mezzo come Q-Cumber è un ponteconcreto tra la politica

e i cittadini, chepermette a tutti di

interveniredemocraticamente su

un tema tantoimportante come

l’ambiente»

interessata, l’utente può segnalarecon commento e foto un proble-ma ambientale a sua discrezionevisibile da tutti gli altri iscritti chepossono replicare liberamente sein disaccordo. Altra funzione disponibile sono isegnalatori delle “puzze”, ovveroodori insoliti presenti nell’aria diuna particolare zona abitativa olavorativa che gli internauti pos-sono descrivere, e degli “stressor”,cioè impianti e infrastrutture cheimpattano negativamente sul-l’ambiente, sulle scuole e gli asili.On line dal 3 febbraio, Q-Cumberper ora contiene circa 15 milionidi dati sulla Lombardia ma anchea Verona cominciano a comparirei primi internauti interessati a ca-ricare informazioni su città e pro-vincia, riguardo temi quali il trafo-ro e l’inceneritore di Ca’ del Bue.«L’idea di Q-Cumber l’ho avuta finda giovanissimo quando ero vicesindaco di un paesino» spiega l’in-gegnere Magro. «Un mezzo comeQ-Cumber è un ponte concretotra la politica e i cittadini, che per-mette a tutti di intervenire demo-craticamente su un tema tanto im-portante come l’ambiente».Attualmente Q-Cumber è utiliz-zato anche dalla Provincia di Bre-scia e dalla Regione Lombardia,dove gli amministratori possonoleggere commenti e suggerimenti

dei cittadini con un semplice clic.«Il fatto che i comuni comincino ainteressarsi a un mezzo come Q-Cumber è un traguardo enorme»continua Magro. «La gente provagrande sfiducia per il mondo dellapolitica e questo è un male, pur-troppo. Ogni cittadino è interessa-to all’ambiente, forse oggi più chemai, ma spesso proprio la politicaignora la voce di chi protesta peruna discarica o per delle strutturedannose per tutti. Con Q-Cumbersperiamo di aiutare chi governa afare sempre meglio per ascoltare ibisogni reali delle persone».Il cetriolo (questa la traduzione

dall’inglese di Q-cumber) guardaanche oltre l’Italia: a interessarsi aquesto nuovo social forum am-bientale, infatti, ci sono anche altriPaesi. «Un forte interesse è arriva-to da Argentina e Africa, tanto perdirne due» rivela Magro. «La cosaa cui però tengo di più sono i con-tatti che con Q-Cumber si posso-no creare: possono nascere rela-zioni tra città e città, tra paese epaese, tra stato e stato. Questo perl’ambiente vuol dire molto, per-ché se tutti ci interessiamo diquello che ci circonda di sicuro lecose non possono che andare me-glio».

Come si presenta in rete il sistema ideato dall’inge. Giuseppe Magro

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Di Isabella Zacco

La cattiva notizia è che l’Italia nel2011 è scesa dal 72° al 75° posto nel-la classifica mondiale sulla libertà diinformazione; in poche parole sia-mo una “democrazia a parziale li-bertà di stampa”. Ma c’è anche chirischia ogni giorno per portare allaluce alcune scomode verità, lavo-rando sul campo, attraverso inchie-ste e reportages, andandosela a cer-care questa verità, al di là dei como-di salotti dei talk show, al di là delleparole strillate e accavallate a quelledegli avversari. Quale è dunque lavia alla corretta informazione? Neparliamo con l’organizzatore del ci-clo di incontri Vedo, sento…parlo eracconto?, Pierpaolo Romani, Coor-dinatore nazionale di Avviso Pub-blico. Enti Locali e Regioni per laformazione civile contro le mafie.– Cominciando da un tema attuale,che sta coinvolgendo anche l’infor-mazione: quale dovrebbe essere l’e-tica aziendale per un buon giornali-sta? occultare la verità se questa por-ta a danneggiare l’azienda?«Con riferimento all’articolo 41della Costituzione, l’azienda nondeve pensare esclusivamente al suointeresse, al profitto, ma soprattuttoall’utilità sociale. Per quanto riguar-da la RAI questo significa garantireun’informazione di qualità, adesempio attraverso inchieste chemettano in luce le verità nascoste».– Ci sono stati casi “storici” di epu-razioni, come quelle di Biagi e diSantoro: giornalisti divenuti sco-modi, pur essendo di grande talen-to…«Il giornalista scomodo non è unaprerogativa italiana, lo troviamoanche in altri Paesi (Ungheria, Rus-sia, etc); meglio va in questo mo-mento in Germania: mentre in Ita-lia si discuteva della legge-bavaglio,là approvavano una legge che eraproprio l’opposto. Il giornalista sco-modo è spesso un professionistacompetente e sensibile, che non si li-mita a raccontare i fatti, ma tentaanche un’analisi, è documentato, eproprio per questo va a toccare inte-ressi politici e finanziari. Contro l’e-purazione l’arma vincente è la mo-bilitazione».

– L’informazione, per essere buona,deve essere corretta, plurale e libe-ra. Ma proprio quel plurale ha ge-nerato a volte confusione. Non c’èeccessiva ingerenza, non c’è abuso edistorsione del concetto di “parcondicio” in molti programmi tele-visivi di informazione?«Se il pluralismo è inteso come parcondicio e l’informazione diventa

Inte rv ista

Agosto 201222

GIORNALISTI

La schiena sempre dritta

Pierpaolo Romani: l’informazione tra coraggio e coscienza civile: «Se sappiamo di più siamo più

liberi e capaci di scegliere, di rispettare valori comel’impegno, la partecipazione, la cultura»

critica a monte. La pluralità è quindi,oggi, qualcosa che bisogna andarsi acercare, e questo vale soprattutto peri giovani».– Svolgere inchieste comporta unrischio. Quanto questo rischio spa-venta (vale come esempio l’espe-rienza sul campo di Anna Politkov-skaja) e quanto invece stimola adandare avanti e rompere muri diomertà?«È emblematico il caso di GiovanniTizian, un giovane e bravo giornali-sta di 29 anni, precario, ma capace difare il suo mestiere fino in fondo: vi-ve e lavora a Modena, ma è nato inCalabria, da dove è dovuto andarse-ne. In questi casi bisogna chiedersi:cosa abbiamo fatto perché questonon accadesse? Esiste una rete a tu-tela del giornalismo di inchiesta,“Ossigeno per l’informazione”, di-retta da Alberto Spampinato, chestila un rapporto annuale sui gior-nalisti minacciati. Anche qui occor-re sentirsi co-responsabili: è impor-tante che i giornalisti coinvolti neivari casi si mantengano vicini».– Informazione e conflitto di inte-ressi…«Sicuramente un governo senza ilproblema del conflitto di interessi èil presupposto per una migliore in-formazione. La via da seguire è sem-pre quella: promuovere la cultura, lacrescita civile, la lotta all’evasione fi-scale e alla corruzione. Non dobbia-mo aspettare domani ma fare oradei passi, assumerci delle responsa-bilità, dare dei modelli ai giovaniperché capiscano che non sono lafurbizia o la raccomandazione ilmotore del cambiamento».– Come mai sono pochi i buoniprogrammi di informazione: per lapaura dei giornalisti di riceverequerele?«È un problema di impostazionegenerale del sistema radio-televisi-vo italiano. La BBC, ad esempio,manda in onda alle 20 i documenta-ri su come vivono i bambini in Pale-stina, anziché il gioco dei pacchi o latelenovela. La differenza sta qui: nelparlare di problemi reali. Se sappia-mo di più siamo più liberi e capacidi scegliere, di rispettare valori co-me l’impegno, la partecipazione, lacultura».

Pierpaolo Romani

«Il giornalista scomodo è spesso un professionistacompetente e sensibile, che non si limita a raccontare

i fatti, ma tenta anche un’analisi, è documentato, e proprio per questo va a toccare interessi

politici e finanziari. Contro l’epurazione l’armavincente è la mobilitazione»

anche spettacolo, quello che ne con-segue sono quelle infinite risse ediatribe inutili, in cui vince chi urladi più. Ma oggi l’ascoltatore disponedi Internet e dei social network, hapiù informazioni, può andarsi a sce-gliere l’informazione con più sensocritico. Occorre capire chi sono i“proprietari” di certa stampa e certiprogrammi e compiere una scelta

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23inVERONA

di Cinzia Inguanta

La storia della veronese AntonellaMascia, avvocato giurista presso laCorte europea dei diritti dell’Uo-mo di Strasburgo, è emblematicaper molte ragioni.Prima di tutto è la storia di unadonna, con una forte passione civi-le, che da sola è riuscita a costruireun percorso professionale di altis-sima rilevanza, che per riuscire adesprimere le sue potenzialità hadovuto lasciarela sua città, che tramille difficoltà è riuscita a conci-liare la vita familiare con quellaprofessionale, che continua adamare il suo paese e a combattereper i valori in cui crede.La sua storia professionale inizia aVerona, dove apre uno studio legaleoccupandosi principalmente di di-ritto civile, diritto di famiglia, dirit-to ambientale e diritto dei migranti.Per motivi personali si trasferisce aStrasburgo.«A Strasburgo – racconta Mascia –ho iniziato tutto daccapo, con il so-gno di avere un altro figlio, che poinon è arrivato, e di stare vicino aquello che avevo. A Verona non ri-uscivo a fare bene, contemporanea-mente, la mamma e l’avvocato. Misentivo lacerata tra due realtà chemi appassionavano e in cui credevoprofondamente. Dopo un paio

ti i pro e contro. Per la prima voltalavoravo con tante persone, ero par-te di un meccanismo. Mentre ero al-la Corte ho conseguito anche unmaster in diritto internazionale, di-ritti dell’Uomo, presso l’UniversitàR. Shuman di Strasburgo. È statauna bella esperienza, ho potuto co-noscere delle persone eccezionali,speciali perché si occupavano di di-ritti umani».Dal luglio 2007 fino a dicembre2009, Mascia lavora al Consigliod’Europa, al CPT (Comitato Pre-venzione Tortura), alla divisionepenale del servizio legale del Consi-glio d’Europa. Infine, diventa giuri-sta presso il Segretariato dellaCom-missione europea per la Democra-zia attraverso il diritto (la Commis-sione di Venezia), dove svolge attivi-tà di ricerca giuridica, predisponerapporti e coordina, in qualità di re-sponsabile, i seminari UniDemCampus a Trieste. Ma non è ancora abbastanza perchécome ci spiega «Nel frattempo hocoltivato un altro sogno. Quello di

d’anni di permanenza a Strasburgoho ripreso a lavorare. Nel frattempoavevo imparato il francese, avevoconosciuto qualche amico/a, avevotrovato casa e amici per il mio bam-bino. Avevo speso tutte le mie ener-gie e il mio entusiasmo per fare inmodo che la mia famiglia si am-bientasse bene nella nuova città».Nel 2003, la svolta con uno stage ditre mesi alla Corte europea dei di-ritti dell’Uomo: «Avevo 42 anni, erostata avvocato per 11 anni, l’am-biente era fatto di gente più giovanee senza la mia esperienza. Penso chela mia umanità e le mie capacità miabbiano aiutato in quei tre mesi. Inseguito infatti, ho avuto la possibili-tà di essere assunta, anche se a tem-po determinato, ininterrottamentesino al luglio 2007. Ho lavoratomolto, ho conosciuto bene il siste-ma della Convenzione, la Corte. Fa-cevo parte della Cancelleria, unabella “macchina da guerra”, con tut-

PROFESSIONE AVVOCATO

Da Verona a StrasburgoLa storia professionale dell’avvocato Antonella Mascia inizia in riva

all’Adige, dove apre uno studio legale occupandosi di diritto civile, diritto di famiglia, diritto ambientale e diritto dei migranti. Poi il grande salto

tornare a fare l’avvocato. Nel 2008,ho aperto un blog sui diritti fonda-mentali, perché, per me, era impor-tante mettere “in circolo” quello chesapevo. Il blog si chiama “Dirittifondamentali, quale tutela?”(www.antonellamascia.com). Nel2010 ho ricominciato a fare l’avvo-cato. Una nuova strada e tante in-certezze. Ero sulla soglia della cin-quantina, di nuovo tutto daccapo. Anovembre 2010 ho aperto lo studiolegale a Strasburgo e ho iniziato acollaborare con lo studio ALV Av-vocati Associati di Verona. Mi occu-po di diritti fondamentali, presentoricorsi alla Corte europea su que-stioni diverse, nuove, che sono im-portanti, che possono permettere almio Paese di migliorare, che posso-no dare la percezione che non si puòrinunciare, mai, al rispetto della di-gnità umana. È un lavoro tutto nuo-vo, che invento tutti i giorni, su basicompletamente diverse dagli sche-mi classici imposti normalmentedall’ambiente professionale da cuiprovengo, che trovo molto soffo-cante per certi aspetti. Sono unadonna, voglio lavorare con i mieitempi, le mie sensibilità, la mia fem-minilità, la mia intelligenza. Vogliotrasmettere le mie conoscenze aipiù giovani, perché è questo l’unicomodo per contribuire al cambia-mento».

Inte rv ista

«Sono una donna, vogliolavorare con i miei

tempi, le mie sensibilità,la mia femminilità, la

mia intelligenza. Vogliotrasmettere le mieconoscenze ai più

giovani, perché è questol’unico modo per

contribuire alcambiamento»

Antonella Mascia

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L’ARTE DEL FABBRO

Il ferro si piega sotto le mani del maestro

La prima scultura che Gino Bonamini ha firmato raffigura Giulietta e Romeo e ora si trova in Russia. Un'altra creazione è finita nelle mani di Giovanni Paolo II

di Marta Bicego

Figure esili che sembrano quasi flut-tuare nell'aria, con un'assoluta legge-rezza. Sono animali o corpi umanidalle delicate movenze che si espri-mono quasi danzando nella torsionedi un busto, nell'allungarsi di unbraccio, nel reclinarsi del capo. A vo-ler ben guardare, non sembra nem-meno ferro la materia che dà originealle creazioni di Gino Bonamini.Scultore-artigiano settantaseienne,vive e opera a Cogollo di Tregnagodove prosegue la vita di bottega eporta avanti con passione (ricono-sciuta da numerosi premi e ricono-scimenti) il mestiere imparato da unmaestro illustre quale era Berto daCogollo.Nella «fucina di Vulcano» Bonaminiha messo piede concluse le scuoleelementari, quando era appena do-dicenne, dopo aver visto alcuni lavo-ri firmati dall'artista della vallata.«Allora le professioni tra cui sceglie-re non erano molte: falegname, cal-zolaio, fabbro... Riconosco di esserestato fortunato ad aver avuto questaopportunità» esordisce lo scultore,con fare riservato. Prosegue nel sot-tolineare che «erano altri tempi, sen-za troppe complicazioni, nei qualitra apprendisti ci si trovava addirit-tura in diciassette a lavorare sotto losguardo attento del maestro. "Fai co-sì!", diceva. E già a diciotto anni sa-pevo realizzare tabernacoli». An-dando a bottega, infatti, c'era moltoda imparare: non si guadagnava nul-la, certo, ma la preparazione era il

che trae ispirazione dalla fede, dal-l'arte oppure dalla vita di tutti i gior-ni: dal busto di San Giovanni Cala-bria visibile al Centro don Calabriaal Monumento El Bogon che accogliei visitatori che arrivano a Sant'An-drea di Badia Calavena; dall'urnacontenente le spoglie della BeataMadre Maria Domenica Mantovania Castelletto di Brenzone al Monu-mento alla castagna che si trova a SanMauro di Saline; dal Soldato feritodel Monumento ai caduti di Bolcaall'opera grandiosa Beato Fra Clau-dio Scultore di Chiampo. È l'abilitàdello scultore che vince sulla durezzadella materia, rendendola malleabi-le, con effetti sorprendenti. www.ginobonamini.it

un'altra sua creazione è stata conse-gnata nelle mani di Giovanni PaoloII, a Roma.«È la mano che lavora per modellare,oltre al ferro, anche argento, rame,ottone» ci tiene a precisare Gino Bo-namini mostrando una fotografia inbianco e nero scattata quando (era il1951) le telecamere della Rai aveva-no raggiunto la vallata veronese perfilmare l'abilità degli artigiani di Co-gollo. Compreso quel ragazzo con ilbasco in testa e la camicia dalle ma-niche arrotolate sopra ai gomiti, chesapeva già maneggiare abilmente ilmartello. «È la mano che lavora – ri-pete – e non la macchina, come acca-de purtoppo ai giorni nostri. Per es-sere del mestiere servono tecnica, in-tuito, precisione che si acquisisconocon pazienza e quotidiano impe-gno» spiega. Non deve mancareneppure la capacità di saper trasfor-mare in scultura – dallo stile piùclassico a quello moderno – un'idea

punto di partenza fondamentale perqualsiasi giovane motivato a padro-neggiare la professione. A scandire legiornate era soprattutto l'entusia-smo, grazie al quale la decorazionedi una chiave diventava per il grup-petto di aspiranti artigiani un eserci-zio di precisione: nel realizzare ric-cioli, nel disegnare trame geometri-che, nel creare motivi originali chepotessero attirare l'attenzione delmaestro. «Non c'è nulla che non si possa farecon il ferro» dice, ma nel forgiare lamateria a caldo ci vuole mano preci-sa. Altrettanta abilità è necessarianella tecnica dello sbalzo e del cesel-lo, che si pratica con piccoli scalpelliper definire i minimi particolari diuna creazione, proprio come avvie-ne per gli oggetti di oreficeria. Che sitratti delle piume di un'imponenteaquila dalle ali spiegate (come quellarealizzata per il Monumento ai ca-duti alpini di Bovolone) o dei parti-colari visibili sul volto di un Croci-fisso (per esempio il Cristo morentenella parrocchiale di Cogollo o quel-lo nella cattedrale di Kampala inUganda). Alcune opere realizzate da Bonami-ni, di soggetto prevalentemente sa-cro, sono rimaste in Italia e nel Vero-nese, altre hanno varcato i confininazionali per raggiungere America,Francia, Svezia, Germania. In Russiaè finita la prima scultura che l'arti-giano del ferro ha firmato: raffiguraGiulietta e Romeo ed è un primoesempio del linguaggio originalematurato dall'artista di Cogollo;

Cultura

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Gino Bonamini

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Cultura

di Marta Bicego

Grazie al colore, Alberto Fiocco,ha ritrovato la voglia di vivere. Uncolpo di pennello sulla tela si tra-sforma così in un efficace antidotocontro la distrofia muscolare diDuchenne che da diversi anni co-stringe il ventiseienne su una sediaa rotelle, con un ventilatore che loaiuta a respirare meglio. Non è una convivenza facile quel-la tra un giovane pieno di interessicome Alberto e la terribile patolo-gia che, giorno dopo giorno, gli haimmobilizzato gambe e braccia.Ma non i pensieri, che trovanoespressione nella pittura oltre chetra le righe di scritti e poesie. «Conil colore ho ritrovato la voglia divivere e i miei semplici quadriparlano di serenità e amore per lanatura. Di tutto ciò che sento nel-lo scorrere dei miei giorni, ognu-no diverso dall'altro, ma tutti im-portanti per me» esordisce Alber-to. A riempire la sua casa ci sonoinfatti alberi in fiore, prati e pae-saggi della Lessinia, cieli azzurrisolcati da grandi nuvole biancheche lasciano spazio al blu dellanotte: particolari scrutati dal fine-strino dell'auto o dalla finestra dicasa per poi essere tradotti in ope-re a olio, su cartoncino telato. Intutto una trentina di creazioniche, già in due occasioni (una col-lettiva nelle sale parrocchiali delquartiere borgo Santa Croce, nel2010, e una personale a Castelvec-chio, a marzo dello scorso anno),

successiva revisione». È una rac-colta di testi e poesie che, anticipaAlberto con emozione, verrà pre-sto consegnata alle stampe. Paroleche si aggiungono al colore, crean-do un connubio straordinario:«Colorare la vita, nella mia situa-zione, non è da tutti» confessa, re-galandoci qualche frase rubatadalle bozze della sua prossimapubblicazione. Ma, conclude,«vorrei continuare a dipingere, af-finchè la mia avventura arrivi altraguardo, nel migliore dei modi».

doti artistiche di Alberto facendo-gli impugnare i primi pastelli. Inseguito ha iniziato a utilizzare ipennarelli e la china, quindi gli ac-querelli, infine le tinte a olio. Conla pratica, ha imparato a crearesfumature, ombre e luci, tracce lu-cide e opache per delineare pae-saggi, nature morte, disegni geo-metrici o stilizzati. Un universo disegni e macchie variopinte realiz-zate, talvolta, soffiando il colorecon una cannuccia sulla tela quan-do le condizioni fisiche gli impe-divano di servirsi delle mani. Al fianco di Alberto, ci sono ognigiorno papà Daniele e il fratelloMichele, oltre a un'assistente chenon esita a definire speciale: èmamma Rosanna. «A lei devo tut-to: non la disperazione, ma la sere-nità. Insieme, con forza e corag-gio, abbiamo superato momentidifficili della malattia. Ce l'abbia-mo fatta in tante occasioni, tro-vando ogni volta qualcosa di nuo-vo da fare che mi stimolasse a vi-vere. Con lei ho studiato, mi sonodiplomato e iscritto all'università.Assieme a lei dipingo». E, in tantenotti insonni trascorse nella stan-za del figlio, è stata proprio Rosan-na a battere pazientemente sullatastiera del computer fogli e fogliche raccontano la vita di Alberto.«È un'autobiografia, che ho ini-ziato a scrivere ancora quando fre-quentavo le scuole superiori. Pri-ma registrando con un microfo-no, poi facendomi aiutare da miamamma nella trascrizione o nella

PITTURA

Il talento e i coloriper vincere la malattia

Non è una convivenza facile quella tra un giovane pieno di interessi come Alberto e la terribile patologia che, giorno dopo giorno,

gli ha immobilizzato gambe e braccia. Ma i pensieri restano liberi...

hanno raccontato ai visitatori lastoria di Alberto. Un percorso co-stituito attraverso molteplici tap-pe: dalla scoperta della malattiaall'accettazione, dalla lotta control'indifferenza delle persone («misento abbandonato dalla societàche mi fa sentire handicappato escomodo» dice, senza usare mezzi

termini) alla sofferenza fisica, dal-la denuncia della mancanza diluoghi adeguati all'assistenza dichi soffre di patologie neuromu-scolari alla solitudine, fino alla se-renità che per il giovane creativocoincide anche con scoperta del-l'arte. L'incontro con la creatività è statoquasi casuale, racconta: compliceun album che ha iniziato a colora-re sui banchi di scuola, alle medie"Giuseppe Verdi", con l'aiuto diuna professoressa che ha intuito le

Alberto Fiocco

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di Francesco Passarella

Endre Ern Friedmann, alias Ro-bert Capa, fondatore con gli amiciCartier-Bresson, Seymour e Rod-ger dell’agenzia fotografica Ma-gnum, è a pieno titolo annoveratotra i grandi della fotografia, anchese voleva fare lo scrittore. La sua passione per la narrazionel’ha reso uno dei grandi del foto-giornalismo: le sue foto, prima ditutto, raccontano, con acume equel giusto equilibrio tra pathos,realismo e rispetto per l’umanità,

legge l’origine, l’intuizione, il mo-dello per i milioni di scatti del fo-togiornalismo dopo di lui. Il suo approccio alla ripresa, con-densato nella celeberrima frase “sele tue fotografie non sono abba-stanza buone, non sei abbastanzavicino”, non va banalizzato, per-ché chiama in causa le responsabi-lità del giornalista nei confrontidei lettori e della società in gene-rale. La scelta di raccontare laguerra vivendola, da “dentro”, ciha restituito grandi capolavori dinarrazione dove ciò che sconcerta

che contraddistingue il giornali-smo d’eccellenza. Condensano inun istante un evento intero nelmomento del proprio culmine. Eperciò molti suoi capolavori sonodiventati il simbolo della guerra,attraverso le copertine di testatecome Life e Picture Post.Bob Capa non era un fotografo,ma un fotogiornalista. Certo, isuoi famosi ritratti agli amici Ma-tisse, Picasso, Hemingway dimo-strano tutto il suo talento fotogra-fico. Ma, più di tutto, Capa sapevaraccontare. Nelle sue immagini si

SCAVI SCALIGERI

Capa: alle originidel fotogiornalismo

Il più grande fotografo di guerra di ogni tempo è riuscito nel difficilissimo compitodi raccontare orrori e atrocità senza cadere nel macabro

La scelta di raccontarela guerra da “dentro”,ci ha restituito grandi

capolavori dinarrazione dove ciòche sconcerta di piùsono l’intensità e la

quotidiana semplicitàdi vite intere

sintetizzate in unsingolo scatto

Agosto 201226

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27inVERONA

di più sono l’intensità e la quoti-diana semplicità di vite intere sin-tetizzate in un singolo scatto. A di-spetto dei paparazzi che, con i loroteleobiettivi, ritraggono fatti de-stinati a rimanere lontani da sé edal lettore. I passanti che corrono verso il ri-fugio antiaereo, guardandopreoccupati verso il cielo funesta-to dai bombardieri, sono così tra-gicamente veri perché Capa eratra loro, a pochi metri, anche lui in

tuito da pochi anni molti scattiche si credevano perduti, ha volu-to che quasi tutte le sue foto diquel momento svanissero. La cro-naca parla di errore di asciugaturadi un tecnico maldestro. Chi haesperienza di camera oscura puòpensare più probabile un errorecausato dall’emozione di chi sitrova di fronte ad immagini uni-che e formidabili.Il complesso dell’esposizione agliScavi Scaligeri è molto emozio-nante: la mostra è ben curata e al-lestita, con stampe di altissimaqualità e luci opportunamentegestite. Condivisibile ed efficacela scelta dell’ordine cronologicoper le foto di cronaca che consen-te di seguire la produzione di Ca-pa con le sue evoluzioni tecnichee artistiche.Molto emozionante l’ultima salariservata agli scatti “familiari”, i ri-tratti dell’artista e di amici famosi,piccoli scampoli di vita ordinariain un’esistenza tumultuosa.Unico neo, l’assenza di cenno, nel-l’esposizione, alla polemica checirconda la famosa foto del mili-ziano morente nella guerra civilespagnola che, secondo alcuni, sa-rebbe stata costruita ad arte. Capastesso affermò: “Per scattare fotoin Spagna non servono trucchi,non occorre mettere in posa. Leimmagini sono lì, basta scattarle.La miglior foto, la miglior propa-ganda, è la verità”. Chi ha visto lesue opere non fatica a capirequanto tale episodio sia margina-le, ma, per rispetto allo stesso au-tore e alla dignità che ha regalatoal fotogiornalismo, sarebbe statogiusto darne conto nella mostra, enon solo nelle cartelle stampa.Magari nella didascalia. Sarebbemolto interessante, se Capa fosseancora vivo, quasi centenario,sentire la sua opinione sul foto-giornalismo nell’era del digitale.Quel giornalismo responsabileche ha fatto storia e che ha contri-buito a costruire.L’esposizione, da vedere almenouna volta, sarà agli Scavi Scaligerisino al 16 settembre. Molte le ini-ziative a corollario organizzate daAster per tutto il periodo. Unaproroga sarebbe auspicabile perconsentire alle scuole di usufrui-re di questi splendidi capolavoriche fanno riflettere, commuo-vendo.

cerca di riparo. Un occhio alla fo-tocamera e l’altro a scoprire comemettersi al riparo. Il ruolo del fotogiornalista, perCapa, era quello di chi si cala nellarealtà, la vive e, solo allora, la rac-conta. A dispetto di chi lo bolla ditemerarietà, Capa amava la vita,l’amava e la rispettava, come è evi-dente nelle sue istantanee. Però,ha assunto fino in fondo il ruoloche il destino gli ha affidato, e hadeciso di raccontare a tutti l’orro-re della guerra da dentro. Sino arestarne vittima. Come scrisse il suo amico Stein-beck, Capa “sapeva che non sipuò fotografare la guerra, perchési tratta per lo più di un’emozio-ne. Ma lui riuscì a catturare quel-l’emozione scattando accanto aessa”.Il più grande fotografo di guerradi ogni tempo, è riuscito nel diffi-cilissimo compito di raccontareorrori e atrocità senza cadere nelmacabro, nel disgustoso, mante-nendo quel rispetto per le vittimeche non può essere subordinato aldovere di cronaca. Quando decidedi fotografare l’artigliere appenaucciso sul balcone davanti a lui,sceglie di restituirgli la dignità dipersona, limitandosi a raccontarei fatti, senza aggiungervi nulla: in-quadratura asettica, quasi distac-cata, ferma. Quando, molto più frequente-mente, fotografa i vivi, invece, uti-lizza inquadrature soggettive, co-involgenti, che invitano ad entrarenegli eventi e a viverli. Lasciandoal lettore l’ultimo giudizio. Pur avendo visto la morte da vici-no non ci si è mai abituato. E perquesto si rifiuta più volte di foto-grafare i campi di concentramen-to, perché non riesce sopportare,da uomo, da ebreo, l’orrore dellatragedia umana che vi ha abitato. Molto emozionanti, tra i suoiscatti più famosi, le fotografie del-lo sbarco in Normandia. Capa,estremamente coraggioso, è scesodalle navi con i soldati, con l’acquasino al petto, tra il sibilare impie-toso dei proiettili, armato solodella sua fotocamera. Sarebbe ri-duttivo bollare questo come attodi incoscienza: il fotografo ha scel-to di essere lì perché stava facendoil suo dovere, esattamente come isoldati attorno a lui. Il destino, lo stesso che ci ha resti-

CulturaLa collocazione agli Scavi Scaligeri, splendido

“scantinato” di Verona, è particolarmente opportuna: Robert Capa ha iniziato la sua carrierain camera oscura e, come sanno bene molti fotografinon più giovanissimi, le camere oscure stavano negliscantinati, bui e umidicci, odoranti di acido aceticoe sviluppi, illuminati dalla fioca lampadina rossa o ambra che gettava sinistre ombre su bacinelle, ingranditori e stampe appese: roba d’altri tempi

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L’ENERGIA DI VERONA

PER I VERONESI

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29inVERONA

Territo rio

I fratelli Branzi e il miracolo della luce

L’anno è il 1923. Dall’esperienza in America nasce l’idea di una centrale elettrica in Val D’Illasi. Detto e fatto da Milano arriva la turbina mentre l’acqua non manca

di Aldo Ridolfi

Occhi azzurri, sguardo profondo,come di chi viene da lontano, dichi qualche certezza nella vita l’hamessa insieme.Volto ben rasato, colorito abbron-zato, come di chi sta spesso all’a-perto, d’inverno come d’estate.Carattere fiero ma con una sottiledolcezza di fondo. Ricordi nitidis-simi. Se glielo chiedi, ti racconta

che ha smesso di fumare da ungiorno all’altro: “Petar lì de fumarese pol, sensa far tanti discorsi!” E siricorda la data, era il 9 di marzo del1983: alle quattro pomeridiane haregalato sigarette e fumenanti, sen-za remore: è bastato che il medicogliel’abbia chiesto una sola volta.Questo è Rino Branzi, classe 1926.Abita a Selva di Progno, nei localidella vecchia centrale elettrica. E civive bene anche, perché attorno c’è

l’orto e dietro casa il bosco forni-sce abbondante materia prima percostruire sesti, derli e rostei. A luisono arrivato per interposta per-sona: Walter Fostari, di Cogollo,suo coetaneo e cultore straordina-rio delle nostre tradizioni.Incomincia a raccontare partendodal 1923, quando lui non era anco-ra nato, quando gli zii Luigi e Giu-seppe e papà Vittorio, ritornanti,con qualche risparmio, dall’emi-

Da sinistra: il signor Walter Fosta-ri di Cogollo, appassionato cultoredi numerose memorie locali, e, inprimo piano, il signor Rino Branziche ci ha raccontato la storia del-l'arrivo “de la luce” in Val d'Illasi enon solo.

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grazione – chi negli States, chi inBelgio, chi in Germania – compio-no un gesto di estremo coraggioimprenditoriale: quello di dare lacorrente elettrica, la luce come sidiceva allora, ai propri compaesa-ni. Il leader riconosciuto è Luigi;Vittorio, Giuseppe e Ottavio sonovalidissimi collaboratori. In giroper il mondo avevano imparatoche se si dispone di una congruaquantità d’acqua e di un dislivellosignificativo si poteva generareenergia (senza inquinare, ma allo-ra questo non era un problema).Imprenditori, certo, ma anche or-gogliosi di dimostrare quanto erastato utile uscire dal proprio orti-cello e quanto di buono poteva es-sere fatto per la gente. E allora avanti! Dal ’23 al ’25 è tut-to un lavorio: si costruiscono ca-nali, si posano tubi, si allestiscono

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Territo rio

Rino Branzi davanti alla prima centrale elettrica della Val d’Illasi. Rino riferisce che una centrale con una facciata simile si trova «dalle parti di Innsbrook»

condotte, si tendono cavi, si edificala centrale in contrada Dossi diSelva; lassù, oltre quelle piante gi-gantesche, si costruisce il grandeserbatoio; da Milano arriva la tur-bina; il salto dell’acqua è di 250metri, arriva giù a 25 atmosfere,che non è poco, e riesce ad accen-dere assieme alle lampadine anchesignificative speranze. Ed ecco cheil 5 luglio del 1925 (III dell’epocafascista, ma questo non depone avantaggio del Duce) si illumina laPiazza di Selva in un tripudio dientusiasmo, tra balli, canti e ab-bondanti bicchieri di vino. Se cifosse stata, sarebbe venuta anche latelevisione!E subito dopo la luce entra nellecase a sostituire candele e lucerne apetrolio. È un successo. La fornitu-ra della corrente dei fratelli Branziprocede alacremente e negli anni

successivi arriva a San Bortolo, aSprea, ai Cracchi, a Villa di Bolca, aVelo... È un fiume in piena RinoBranzi. Quell’epopea gli passa da-vanti agli occhi con una nitidezzaesemplare e racconta manifestan-do un entusiasmo contagioso, dif-ficile da trovare in odierne “sobrie-tà”, così apprezzate... Si arrivava fi-no a Camponogara, Camposilva-no, San Francesco. E ci sono tantodi lettori e tanto di esattori. Questi,nei tempi eroici, prima della guer-ra, si chiamano El Piero da SanBortolo, Luciano del Croce, El Be-pi... Si paga in contanti, senza in-termediazioni, senza agenzie. Ilprezzo della corrente, però, vienestabilito dalla Finanza.È anche una storia di collaborazio-ni, secondo il metodo antico delbaratto e della sacralità della paro-la data: io ti porto la luce, tu mi fai

In giro per il mondoavevano imparato che

se si dispone di unacongrua quantità

d’acqua e di undislivello significativo

si poteva generareenergia. Imprenditori,

certo, ma ancheorgogliosi di

dimostrare quanto erastato utile uscire dal

proprio orticello equanto di buono

poteva essere fatto per la gente

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ancora che lui nascesse, scorrevanelle canalette.“Ma come mai la luce dele lampadi-ne la se sbasava dopo le nove de se-ra?”, si inserisce Walter Fostari, ri-cordando che a quell’ora, nell’o-staria de la Casa del Diaolo la zonapiù a sud raggiunta dai FratelliBranzi l’illuminazione si affievoli-va. Che i fratelli Branzi facilitasse-ro, con le luci soffuse, possibili ap-procci amorosi? Il sorriso di Rino ècomplice, ma la risposta è tecnica:la sempre maggiore richiesta dicorrente, dal ’45-’46 in poi, chie-deva che alla sera si abbassasse l’ar-

piantare il pilone della linea nelbosco o nel prato. Bene, e così sia!Poi è venuto il 1965, anno infausto,anno della statalizzazione. “È rivàl’enel e la sa porta ia tuto”. Ma perquarant’anni sono stati loro, i fra-telli Branzi, tornati dall’emigra-zione, a fornire corrente alle casu-pole dell’alta valle d’Illasi, a riscal-dare i primi ferri da stiro elettrici,messi da parte quelli che funziona-vano con i mosegoti del granotur-co. E se l’ENEL è riuscita a portarsivia tutto, non c’e l’ha fatta con i ri-cordi di Rino che sono lì, nitidi co-me l’acqua che tanti anni fa, prima

Territo rio

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STUDIOeDITORIALEGiorgio Montoll i

rivo dell’acqua in centrale per ri-costituire la scorta da usare nellagiornata successiva, alla ripresadelle attività lavorative.Ora Rino Branzi guarda, come tuttinoi, con una certa preoccupazione,i nostri tempi grami, e si lascia an-dare in qualche infausta previsione,ma è questione di un attimo, poi cimostra el faso de sangoenele sbondèe ci indica la fertile e ben concimataterra del suo orto: allora ritorna se-reno, fiducioso e sicuro com’è nellasua natura, come si conviene a chiha interessanti programmi per tut-to l’anno successivo.

Cabina elettrica all’ingresso delpaese di Velo Veronese, a testimo-nianza della diffusione geografica

dell’iniziativa dei fratelli Branziall'inizio del Novecento. Dietro, il

profilo del monte Purga.

Poi è venuto il 1965,anno infausto, anno

della statalizzazione.“È rivà l’enel e la sa

porta ia tuto”

inVERONA

ERRATA CORRIGE. Sul numero 31di Verona In, a pagina 19, per un erro-re è stato pubblicato il nome di GinoBeltramini al posto di Gino Bonami-ni. Ce ne scusiamo con i lettori.

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