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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO - LETTERARI, STORICO - FILOSOFICI E GIURIDICI Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito nel corso di Laurea in Giurisprudenza, LMG-01 A.A. 2017/2018 20 Aprile 2018 “La saga Taricco” Studenti: Arianna Perugini, Katia Rapanotti. Relatore: Prof. Carlo Sotis. 1

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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO - LETTERARI,

STORICO - FILOSOFICI E GIURIDICI

Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito nel corso di

Laurea in Giurisprudenza, LMG-01

A.A. 2017/2018

20 Aprile 2018

“La saga Taricco”

Studenti: Arianna Perugini, Katia Rapanotti.

Relatore: Prof. Carlo Sotis.

1

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INDICE

1. La ricostruzione della vicenda

1.1 Il rinvio del GUP di Cuneo…………………………………………………………...….pag. 3

1.2 “Taricco 1”: la pronuncia della Corte di Giustizia………..……………………...………pag. 5

1.3 Giurisprudenza nazionale post Taricco……….……………………………………...…..pag. 6

1.4 La risposta della Consulta: ordinanza n. 24/2017 e la velata minaccia dei controlimiti…pag. 8

1.5 “Taricco-bis”: uno scontro momentaneamente evitato……..……………………..….....pag. 9

1.6 Corte costituzionale: l’udienza del 10 aprile 2018 e il comunicato stampa………......…pag. 9

2. I limiti della pronuncia “Taricco 1”

2.1 Determinatezza della norma penale e attività giudiziaria………………………………pag. 10

2.2 La separazione dei poteri e la riserva di legge……………………………………...…..pag. 13

3. Alcuni interrogativi ……………………………………………………………..….…..pag. 16

3.1 Sulla prima questione: se la pronuncia Taricco fosse stata sufficientemente

determinata?,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,……….....pag. 17

3.2 Sulla seconda questione: se il contenuto della sentenza Taricco fosse, invece, stato trasposto

in una direttiva ……………………………………………………...…………………...pag. 21

3.3 Sulla terza questione: se una direttiva post Taricco avesse integrato il contenuto della

pronuncia in maniera sufficientemente determinata?....................………………..….….pag. 23

4. Conclusioni………………………………………………………………………........pag. 24

5. Bibliografia…………………………………………………………………..……….pag. 26

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LA SAGA TARICCO

1. La ricostruzione della vicenda

1.1 Il rinvio del G.U.P di Cuneo

La “saga Taricco”, vicenda che si snoda al momento attraverso otto provvedimenti giurisdizionali

principali1, è avviata dal G.U.P di Cuneo.

Questi si trova a giudicare alcuni imputati, tra i quali il Sig. Taricco, accusati di associazione per

delinquere allo scopo di commettere reati fiscali (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture

o altri documenti per operazioni inesistenti2 e emissione di fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti3). Nello specifico gli imputati ponevano in essere le condotte tipiche delle c.d. frodi

carosello: evasioni fraudolente dell’Iva attraverso una serie di operazioni volte a realizzare attività

economiche fittizie, al fine di ottenere crediti di imposta, ai quali corrispondono profitti anche molto

elevati. In altri termini, lo scopo della frode è quello di recuperare l’Iva in realtà non versata, per il

tramite di una o più operazioni fittizie ed il ricorso a società di comodo (le c.d. cartiere) 4. Gli

imputati, in base a precisi accordi di vendite nazionali di Champagne, facevano apparire transazioni

comunitarie ove figuravano società interposte, per abbattere il prezzo imponibile della merce. Ciò

consentiva di disporre del prodotto a prezzo inferiore a quello di mercato, inquinando dunque il

mercato stesso. La condotta degli imputati integrava i capi di imputazione per cui si procedeva nei

loro confronti.

Il G.U.P., in modo prognostico e con verosimiglianza, sottolinea come il procedimento de quo sia

destinato a non concludersi prima del decorso dei termini di prescrizione5 e promuove un rinvio

1 Trib. Cuneo, ord. 17/01/2014, GUP Boetti; Conclusioni dell’Avv. Gen. J. Kokott, 30/04/2015, causa C-105/14; Corte di Giustizia, sent. 8/09/2015, causa C-105/14; Cass., sez. III pen., sent. 15/09/2015, n. 2210; Corte d’Appello di Milano, II sez. pen., ord. 18/09/2015; Cass., sez. III pen., ord. 30/03/2016 n. 28346/2016; C. Cost., ord. n. 24/2017; Corte di Giustizia, sent. 5/12/2017, causa C-42/17.2 Art. 2 D.Lgs. 74/2000 Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Art. 2 così modificato dal D.Lgs 158/2015 Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti: 1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria . 3. (Comma abrogato). 3 Art. 8 D.Lgs. 74/2000 così modificato dal Decreto Legge 138/2011 Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti: 1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. 2. Ai fini dell'applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l'emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato. 3. (Comma abrogato).4 Tale meccanismo viene attuato mediante vari passaggi di beni o servizi, in genere all’interno del mercato dell’Unione europea, grazie ai quale l’impresa acquirente detrae l’Iva malgrado il venditore non l’abbia versata.5Trib.Cuneo,ord. 17/01/2014, GUP Boetti; https://www.penalecontemporaneo.it/upload/1391714331rinvio_pregiudiziale_Cuneo.pdf, P. 12: “Sulla base delle date di consumazione dei reati contestati, si può facilmente prevedere, fin da ora con assoluta certezza, che tutti i reati si prescriveranno, al più tardi, in data 8.2.2018”; “soggetti che hanno commesso reati per evadere l’IVA per milioni di euro […] godono e godranno presto di una completa impunità garantita da una norma interna”; p. 27 “in sostanza, lo Stato italiano fa prevalere l’interesse all’impunità dei colpevoli rispetto alla piena attuazione della normativa sovranazionale.”

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pregiudiziale alla Corte di Giustizia, affinché questa, in sostanza, accerti se la disciplina

prescrizionale del reato propria del sistema penale italiano sia, o meno, conforme ad alcune norme

dei trattati istitutivi dell’UE (artt. 101, 107, 119 TFUE).

Viene dunque in rilievo l’istituto della prescrizione, che è necessario analizzare in breve per la centralità che questo

riveste sin dall’inizio della vicenda processuale. La prescrizione si annovera tra le cause di estinzione del reato: un reato

è estinto per prescrizione quando dalla sua consumazione sia decorso un determinato periodo di tempo ritenuto dal

legislatore idoneo a giustificare il venir meno della pretesa punitiva. La previsione dell’effetto estintivo per decorso del

tempo riconosce che c’è un tempo dell’oblio, più o meno lungo. Solo per delitti molto gravi, puniti con l’ergastolo, si

prevede l’imprescrittibilità.

Si pone, nel dettaglio, l’attenzione sulla disciplina dell’interruzione della prescrizione. L’art. 160

del nostro codice penale elenca le cause di interruzione della prescrizione6. L’articolo successivo ne

disciplina gli effetti, stabilendo che “in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare

l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere” 7.

Sulla base di un’applicazione prognostica delle norme in materia di prescrizione, del suo concreto

computo, alla luce degli atti interruttivi e della relativa disciplina8, dunque, il G.U.P. di Cuneo

conclude, guardando alle date di consumazione dei reati contestati, che si può prevedere “con

assoluta certezza che tutti i reati si prescriveranno fra 4 anni”9. Rimarcando la circostanza per cui

alcuni reati, quali quelli fiscali, sono caratterizzati da una lunga durata della fase delle indagini

preliminari, che occupa tutto o quasi il tempo di prescrizione, il G.U.P. rivolge una dura critica al

regime prescrizionale vigente10 al tempo del fatto, e ne demanda alla Corte di Giustizia la verifica di

6 Interruzione del corso della prescrizione, art. 160 c.p.: Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna. Interrompono pure la prescrizione l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto, l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, o al giudice, l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio.La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre i limiti di cui all'art 161 secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all'articoli 51, commi 3 bis e 3 quater, del codice di procedura penale.7 Effetti della sospensione e della interruzione, art. 161 c.p.: L’interruzione della prescrizione ha effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato. La sospensione della prescrizione ha effetto limitatamente agli imputati nei cui confronti si sta procedendo.Salvo che si proceda per i reati di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater c.p.p. in nessun caso l'interruzione della prescrizione può comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà per i reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322-bis, limitatamente ai delitti richiamati dal presente comma, e 640-bis, nonché nei casi di cui all'articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all'articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103, 105.8 Disciplina oggi mod. dalla Riforma Orlando, Legge n. 103/2017, recante "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario".9 Trib. Cuneo, ord. 17.01.2014, GUP Boetti, cit.10 Legge n. 251/2005 (nota come ex Cirielli)

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compatibilità con gli artt. 10111, 10712, 10813, 10914 e 11915 TFUE, nonché con la direttiva

2006/112/CE16. Verifica che si spiega alla luce del fatto che alla base armonizzata dell’IVA 17 di

ogni Stato membro si applica un’aliquota uniforme che costituisce “risorsa propria” del bilancio

dell’UE. Grava dunque su ogni Stato membro l’obbligo di effettuarne i versamenti all’UE: la

rilevata impunità degli imputati determinerebbe, per il giudice del rinvio, un inadempimento

dello Stato italiano, che offrirebbe così aiuto ad una classe di imprenditori senza scrupoli, la cui

condotta è nociva per la concorrenza, potenzialmente colpevoli di un’ingente evasione; di fatto

venendo meno all’obbligo di prevenire evasione, elusione ed abusi, perciò, indirettamente,

ledendo gli interessi finanziari dell’UE.

1.2 Taricco 1: la pronuncia della Corte di Giustizia

La causa giunge quindi davanti ai giudici di Lussemburgo e, nel corso del procedimento,

l’Avvocato generale propone alla Corte un differente inquadramento giuridico della questione

promossa dal G.U.P., suggerendo come parametro di legittimità delle norme nazionali sotto accusa

l’art. 325 TFUE18, considerato più pertinente, norma dotata di diretto effetto19 – dunque, secondo la

logica della Corte, norma direttamente applicabile20– posta a tutela degli interessi finanziari

dell’Unione. Questi ultimi costituirebbero il bene giuridico ritenuto violato, secondo il giudice del

rinvio, dalla normativa nazionale in materia di prescrizione.

La Corte si pronuncia concordando con le conclusioni tratte dal giudice a quo: una normativa

nazionale in materia di prescrizione del reato come quella ex artt. 160 ultimo comma c.p. e art. 161

11 Art. 101 TFUE: sono incompatibili col mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese e le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno.12 Art. 107 TFUE: le misure di sostegno finanziario concesso attraverso risorse pubbliche che siano idonee ad attribuire un vantaggio economico a talune imprese e ad incidere sulla concorrenza sono in principio incompatibili con il diritto dell’Unione.13 Art. 108 TFUE: attribuisce alla Commissione un ruolo di controllo sui regimi di aiuti esistenti presso gli Stati membri nonché di verifica dei progetti di nuovi aiuti o di modifica degli aiuti esistenti. Allorché riscontri un’incompatibilità dell’aiuto, essa può adottare una decisione con cui viene ordinato allo Stato di sopprimere o modificare la misura. 14Art. 109 TFUE: Il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può stabilire tutti i regolamenti utili ai fini dell'applicazione degli articoli 107 e 108 e fissare in particolare le condizioni per l'applicazione dell'articolo 108, paragrafo 3, nonché le categorie di aiuti che sono dispensate da tale procedura.15 Art. 119 TFUE: enuncia il p. delle finanze pubbliche sane. 16 Relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.17 IVA: imposta generale sui consumi, introdotta in Italia con DPR n. 633/1972.18 Art. 325 TFUE: l’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell’UE. Gli stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari. 19 L’effetto diretto consiste nella capacità della norma di creare diritti ed obblighi direttamente in capo ai singoli, senza che lo Stato realizzi alcuna procedura formale per riversare su essi gli obblighi e i diritti prefigurati da norme esterne al sistema giuridico nazionale.20 Consente, con l’effetto diretto, l’immediata applicabilità della norma sovranazionale nello Stato membro con conseguente disapplicazione della norma interna con essa contrastante.

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c.p. è “idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 325 TFUE” 21, qualora

impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode

grave che ledono gli interessi finanziari dell’UE, o in cui non disponga misure equivalenti a quelle

adottate per la lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari nazionali.

È in forza del “principio di assimilazione” che gli interessi finanziari comunitari vengono assimilati a quelli nazionali,

con la conseguenza che gli Stati membri devono adottare, in entrambi i casi, analoghe misure, preventive e

sanzionatorie, per la loro tutela. Alla luce di tale principio, la Corte vaglia la sussistenza dell’equivalenza tra la tutela

apprestata dall’ordinamento nazionale agli interessi finanziari dell’UE, e quella agli interessi finanziari nazionali,

assumendo quale norma parametro per l’attività valutativa l’ art. 291-quater DPR n. 43/1974 (T.U. doganale), dunque

impiegato quale “tertium comparationis” per evidenziare, secondo l’impostazione dei giudici di Lussemburgo, la

sperequazione sanzionatoria tra le fattispecie, ritenute tra loro omogenee. Il summenzionato articolo disciplina il reato

di “associazione allo scopo di commettere delitti in materia di accise sui prodotti del tabacco”22 – il quale si considera

posto a tutela degli interessi finanziari nazionali – e che non soggiace ad alcun termine assoluto di prescrizione,

diversamente dalle norme incriminatrici oggetto del procedimento penale da cui la vicenda nasce, che soggiacciono,

invece, al regime prescrizionale ex artt. 160,161 c.p. Secondo la Corte, la norma assunta quale tertium sarebbe dunque

capace di assicurare una repressione dissuasiva ed effettiva dei fatti lesivi del bene giuridico che si intende tutelare.

Occorre, però, sottolineare come, in un simile giudizio di equivalenza tra norme, sia indispensabile l’individuazione di

una fattispecie comparativa pertinente, che consenta di misurare la dissimmetria sul piano sistematico. Ed è lecito

dubitare che l’art. 291-quater DPR n. 43/1974, ovvero una norma speciale possa fungere da tertium comparationis di

una norma generale come l’art. 161 c.p.?

In conclusione, di fatto, il giudice nazionale è chiamato, in forza dei principi di primauté del diritto

eurounitario, dell’effetto diretto e della diretta applicabilità della citata norma del TFUE, a

disapplicare la normativa interna contrastante, quando dovesse valutare che in un “numero

considerevole di casi” a fronte di fatti costitutivi di “frodi gravi”, i procedimenti sono destinati a

prescriversi. Godrebbe, evidentemente, di ampia discrezionalità nell’esercizio della sua funzione

giudicante – che si riverbera, per definizione, sulla vita e sulla libertà personale dell’imputato – nel

compiere le valutazioni esposte. Allora, spetterebbe unicamente al giudice penale risolvere le

antinomie in malam partem tra norme di legge nazionali e norme di diritto UE dotate di effetto

diretto, disapplicando le prime a favore del secondo, senza alcun intervento legislativo e senza

l’avvio di alcun procedimento costituzionale23. Ma può davvero ritenersi tale circostanza

compatibile con il principio della separazione dei poteri e con quello di riserva di legge penale?

1.3 Giurisprudenza nazionale post Taricco

21 Sentenza della Corte (Grande Sezione), 8 Settembre 2015, C-105/14, conclusioni. 22 Testo unico doganale: DPR n. 43/1974, art. 291-quater.23 Sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, 8/09/2015, C-105/14, § 49, cit.

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Il dichiarato contrasto tra la normativa italiana sulla prescrizione dei reati e le norme dei trattati

dotate di effetto diretto e poste a tutela degli interessi finanziari dell’UE poneva gli operatori di

fronte a drastiche questioni. Dovendosi accordare primazia al diritto dell’Unione, conseguentemente

disapplicando le norme interne contrastanti con esso, si può giungere a condannare imputati che,

diversamente, avrebbero visto dichiarata l’estinzione del reato. È proprio questa la soluzione

adottata dalla C. Cass. Sez. III pen. n. 2210/201524. Con questa decisone la III sez. penale della S.C.

disapplicava gli art. 160,161 c.p. nel caso sottoposto al suo esame, in ossequio alla citata pronuncia

dei giudici europei, con conseguenti effetti sfavorevoli per gli imputati nel procedimento sottoposto

alla sua attenzione.

Di diverso avviso si dimostrano, invece, la Corte d’Appello di Milano25 e la medesima III sez.

penale S.C., nell’anno successivo, sollevando entrambe, pur prospettando diversi profili di

illegittimità, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della l. n. 130/200826 che ordina

l’esecuzione del TFUE nella parte che impone di applicare l’art. 325 TFUE. In particolare, i giudici

remittenti, prospettano l’azionabilità dei c.d. controlimiti27, vale a dire quei diritti fondamentali e

quei principi supremi dell’ordinamento costitutivi dell’identità costituzionale dello Stato, il cui

rispetto e la cui tutela risultano imprescindibili ed irrinunciabili sino a costituire l’assoluto vertice

della gerarchia delle fonti, inattaccabile, che funge da argine rispetto a possibili violazioni dei valori

alla cui tutela sono posti. Nel dettaglio, entrambi i giudici a quibus concordano sulla violazione del

principio di legalità28, garanzia dal nullum crimen, nulla poena sine lege, che coprirebbe, secondo il

nostro impianto costituzionale, anche il profilo della punibilità, al quale attiene l’istituto della

prescrizione.

Sul punto, ricordiamo come l’alibi29 dietro il quale la Corte di Giustizia si ripara in “Taricco 1”, per sostenere la non

violazione dei diritti degli imputati nell’eventualità della disapplicazione del diritto nazionale (gli artt. 160, 161 c.p.), sia

quello della natura processuale e non sostanziale dell’istituto della prescrizione, che le consente di sottrarre

agevolmente la disciplina dei termini prescrizionali alle garanzie del nullum crimen sine lege. Infatti, nell’ottica dei

giudici europei, la citata garanzia coprirebbe il reato e la pena, tutti elementi che, nel caso in analisi, resterebbero

inalterati. A corroborare la posizione, leggiamo nelle conclusioni dell’Avvocato Generale J. Kokott che, per quanto

riguarda il termine prescrizionale, “non sussiste, per l’individuo, un affidamento meritevole di tutela” a “che le norme

applicabili sulla durata, il decorso e l’interruzione della prescrizione debbano necessariamente orientarsi sempre alle

disposizioni di legge in vigore al momento della commissione del reato”30. Tuttavia, in una posizione diametralmente

24 Cass. Pen., Sez. III, ord. 30 marzo 2016, n. 28346, est. Riccardi.25 Corte App. Milano, ord. 18 settembre 2015, n. 6421/14 R.G.A., est. Locurto.26 Come mod. dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 2007 (TFUE)27 La teoria dei c.d. controlimiti, elaborata dalla C. Cost. A titolo esplicativo, sentenze n. 48/1979; n. 73/2001; n. 238/2014 C. cost.28 Art. 25 c.2 cost.29 Così C. CUPELLI, “Il caso Taricco e il controlimite della riserva di legge in materia penale”, in rivista AIC n. 3/2016, pag. 5.30Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, C-105/14; CURIA Documenti http://curia.europa.eu/juris/document, § 119

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opposta, la nostra giurisprudenza costituzionale sostiene una lettura sostanzialistica dell’istituto della prescrizione: nella

garanzia del nullum crimen ricomprende la percezione – del destinatario della norma penale al momento del fatto –

sufficientemente chiara ed immediata non solo di quale sia il fatto punibile e del suo trattamento sanzionatorio, ma

anche del limite temporale entro il quale il fatto potrebbe essere perseguito. Dunque, l’intera disciplina della

prescrizione, compresa quella sulla sua sospensione ed interruzione, è coperta dalle garanzie ex art. 25 c.2 Cost.31.

A seguito della statuizione della Corte di Giustizia si ritiene violato, infatti, il presupposto per cui

solo il procedimento legislativo sia lo strumento adeguato alla salvaguardia del bene della libertà

personale. Accanto a questo, è ravvisata la lesione di ulteriori ed altrettanto pregnanti principi

costituzionali32, che non potranno essere esposti nel dettaglio in questo lavoro.

1.4 La risposta della Consulta: l’ordinanza n. 24/2017 e la velata “minaccia” dei

controlimiti

Investita del caso Taricco, la Corte Costituzionale sospende il giudizio e, a sua volta, promuove

rinvio pregiudiziale33 alla Corte di Giustizia. La Consulta non mette in discussione la decisione resa

dai giudici europei, non contestando né l’effetto diretto dell’art. 325 TFUE, né la possibile

ineffettività dell’apparato sanzionatorio predisposto nel nostro Paese. Tuttavia, manifesta

esplicitamente (ed astutamente) una serie di perplessità sulla compatibilità delle ricadute della

Sentenza Taricco nel nostro ordinamento. Traendo spunto dalla necessità del rispetto dei diritti

fondamentali degli interessati (ravvisata dalla stessa Corte di Giustizia nella sentenza resa),

prospetta l’eventualità di poter azionare i c.d. controlimiti, quale meccanismo di difesa e protezione

del nocciolo duro dei principi espressivi dell’identità costituzionale. Visto quanto premesso, la

Consulta interroga, retoricamente e con sottile scaltrezza, i giudici di Lussemburgo in ordine, in

primo luogo, all’assenza di una base legale sufficientemente determinata quale guida dell’attività

del giudice nazionale chiamato a disapplicare la normativa nazionale contestata; in secondo luogo,

al rispetto del principio di legalità penale, data la natura sostanziale della prescrizione; in ultimo,

all’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro e dei diritti

inalienabili della persona costituzionalmente riconosciuti, date le concrete ripercussioni della

31 V. sent. n. 324/2008 C. cost., nei giudizi di legittimità cost. di alcuni commi degli artt. 6 e 10 L. 251/2005 (“ex Cirielli”), in cui la Consulta afferma “la l. n. 251/2005 […] ha confermato la tendenziale correlazione tra il tempo necessario a prescrivere e la gravità del reato, ancorando il criterio per la determinazione del termine di prescrizione del reato alla sanzione per esso prevista, indice del suo maggiore o minore disvalore”, a conferma della concezione sostanziale e non meramente processuale dell’istituto; v. anche sent. n. 143/2014 C. cost., nel giudizio di legittimità cost. dell’art. 157 c.6 c.p. “la prescrizione costituisce un istituto di natura sostanziale, la cui ratio si collega, da un lato, all’interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo termine decorso abbia fatto venir meno o attenuato l’allarme della coscienza comune, dall’altro al diritto all’oblio del cittadino. […] tali finalità si riflettono nella scelta di correlare alla gravità del reato il tempo necessario a prescrivere, ancorandolo al livello quantitativo della sanzione, che è indice del suo maggior o minor disvalore”. 32 Artt. 3, 11, 24, 27 c.2, 101 Cost. 33 Meccanismo di dialogo tra Corti, con cui il giudice remittente solleva questione interpretativa su una norma euro unitaria, attività di esclusiva competenza della Corte di Giustizia, che rende provvedimenti giurisdizionali vincolanti per i giudici nazionali. Norma di rif.: art. 267 TFUE

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disapplicazione demandata ai giudici nazionali.34

1.5 Taricco bis: uno scontro momentaneamente evitato.

La Corte di Giustizia, nella sentenza35 resa in risposta ai quesiti sottoposti alla sua attenzione, ha

ribadito l’interpretazione, offerta nella precedente pronuncia sul medesimo caso, dell’art. 325

TFUE. Essa ha, al contempo, precisato che il contrasto del diritto nazionale con la predetta norma

può non determinare la disapplicazione del diritto interno, se questa comporti una violazione del

principio di legalità dei reati e delle pene. Dunque, a tale principio viene accordato espressamente

un valore prevalente sulla disapplicazione. L’approccio rispetto alla prima sentenza Taricco è

capovolto: ora, i giudici europei affermano, aderendo all’impostazione della Corte Costituzionale,

che è il giudice nazionale a dover garantire il rispetto del principio di legalità e, dato che

nell’ordinamento giuridico italiano la prescrizione è coperta dal citato principio, i requisiti che lo

compongono non possono che essere applicati anche al termine prescrizionale.

La diplomatica minaccia dell’impiego dei controlimiti da parte della nostra Consulta si è rivelata

strategia vincente, evitando uno scontro diretto sui temi controversi e rendendo possibile una

conclusione ben più cauta e rispettosa dei principi costituzionali in gioco. Tuttavia, la partita non si

chiude certamente qui.

1.6 L’udienza del 10 Aprile 2018 e il comunicato stampa

Lo scorso 10 Aprile ha avuto luogo l’udienza, presso la Consulta, relativa ai due atti di

promovimento di cui si è accennato in questa sede: le questioni di legittimità costituzionale della

legge di ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona36, nella parte che impone di applicare l’art.

325 TFUE, sollevate dalla Corte di Appello di Milano37, prima, e dalla Corte di Cassazione38, poi.

La Corte costituzionale, nella data dell’udienza, ha dichiarato, con comunicato stampa,

l’inapplicabilità della “regola Taricco” sul calcolo della prescrizione, stabilita dalla Corte di

Giustizia in Taricco 1, mantenendo dunque ferma l’applicabilità degli artt. 160 e 161 del Codice

penale. Contestualmente, la Consulta ha dichiarato infondate le questioni di legittimità

costituzionale sollevate, affermando che il presupposto del contrasto con i principi dell’ordinamento

costituzionale, in particolare con il principio di legalità in materia penale (art. 25 Cost.), sia caduto

con la sentenza Taricco-bis, che ammette la non applicabilità dell’art. 325 TFUE quando il giudice

nazionale ravvisi un contrasto con il principio di legalità in materia penale. Per la lettura delle

motivazioni però non resta che attendere la pubblicazione della sentenza.

34 Ord. n. 24/2017 C. Cost. cit.35 C-42/17 Corte di Giustizia, Grande Sezione, cit.36 Legge n. 130/2008.37 Ord. 339/2015 C. App. Milano. Cit.38 Ord. 212/2016 C. Cass. Cit.

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2. I limiti della pronuncia “Taricco 1”

2.1 Determinatezza della norma penale e attività giudiziaria

Il “principio di determinatezza” esprime l’esigenza che le norme penali descrivano fatti suscettibili

di essere accertati e provati nel processo; è corollario del principio di separazione dei poteri e

presupposto di conoscibilità della legge in funzione di libertà, nonché precipitato del principio di

riserva di legge39. La Corte Costituzionale ha evidenziato come “nella dizione dell’art. 25 co. 2

Cost. […] deve logicamente ritenersi anche implicito l’onere di formulare ipotesi che esprimano

fattispecie corrispondenti alla realtà”40. La ratio del menzionato principio risiede nella protezione

del cittadino dagli arbitri del giudice: non è sufficiente l’intelligibilità del contenuto della norma,

ma è altresì necessario che essa rispecchi una fenomenologia empirica verificabile nel corso del

processo sulla base di massime d’esperienza o di leggi scientifiche. Questo è l’indefettibile

presupposto affinché il giudizio di conformità del caso concreto alla previsione astratta non sia

abbandonato all’arbitrio del singolo giudice. Il valore del principio si comprende ancor più

profondamente se si guarda alla natura del diritto penale: complesso di norme che, vietando o

obbligando determinati comportamenti umani e minacciando una specifica sanzione a contenuto

particolarmente afflittivo, tutelano i valori fondanti di una comunità. È la pena detentiva il tipo più

frequentemente utilizzato negli ordinamenti contemporanei, sanzione tipica dell’ambito penale:

consiste nella privazione della libertà personale dell’individuo. Essa incide, evidentemente e senza

dubbio, sulla materiale possibilità di disporre in via esclusiva del proprio essere fisico, comportando

la rinuncia obbligata anche alla propria libertà di movimento. Colpisce inoltre, intimamente, la sfera

psico-emotiva del soggetto detenuto, naturalmente degradando la sua condizione psicologica. Ed è

proprio questa specie di pena – quella privativa della libertà personale – ad essere esplicitamente

richiesta dalla normativa europea in materia di tutela degli interessi finanziari41. Essendo manifesta

ed indiscutibile l’incidenza della pena sul soggetto di questa destinatario, è evidente che mai, in un

sistema che tuteli i diritti fondamentali della persona, possa essere rimessa alla mera discrezionalità

del giudice (rischiosa per definizione e peraltro già fisiologica nell’attività ermeneutica)

l’individuazione degli elementi sostanziali del reato. Applicando il concetto al caso in analisi e

sostenendo la natura sostanziale della prescrizione nonché della sua sospensione ed interruzione,

per tutto quanto esposto nel capitolo precedente, è ravvisabile violazione del principio di

39 G. RICCARDI, “Patti chiari, amicizia lunga”. La Corte Costituzionale tenta il “dialogo” nel caso Taricco, esibendo l’arma dei controlimiti; in Diritto penale contemporaneo, 2017, pag. 12.40 G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Giuffrè Editore, V edizione (2015); pag. 70.41 Art. 2, c. 1 Convenzione PIF, relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (95/C 316/03), 27 novembre 1995.

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determinatezza nella statuizione resa dalla Corte di Giustizia in “Taricco 1”, nella misura in cui il

giudice nazionale è chiamato a verificare la sussistenza dei requisiti della “gravità” delle frodi che

ledono gli interessi finanziari dell’UE, e il numero di casi (“considerevole”) in cui la normativa

interna determini l’impossibilità di sanzioni effettive e dissuasive, per poter procedere alla

disapplicazione del diritto interno42. Quindi, i criteri guida dell’attività disapplicativa del giudice

interno – forniti dai giudici europei – la cui scelta concreta si esplica nell’ambito di procedimenti

penali che ben potrebbero condurre alla condanna di imputati, sono assolutamente evanescenti,

indeterminati.

In particolare, mentre l’accertamento della “gravità” delle frodi è stato in qualche modo ancorato a

parametri normativi conosciuti – la configurabilità, nel caso concreto, dell’aggravante del “danno

patrimoniale di rilevante gravità”43 e il riferimento all’art. 2 par. 2 della Convenzione PIF44 – la

verifica del “numero considerevole” di frodi gravi che resterebbero impunite è del tutto improba. Il

problema è legato alla limitatezza dell’orizzonte conoscitivo del singolo giudice45, che non dispone

certo dei mezzi probatori per compiere una verifica di questo tipo: il presupposto del “numero

considerevole di casi” potrebbe, in astratto, desumersi soltanto da rilevazioni statistiche, di per sé

estranee agli accertamenti compiuti nel singolo processo. In sostanza, all’organo giudiziario

sarebbe, in questi termini, permessa una valutazione che esula dai limiti propri dell’attività

giudiziaria: ciascun giudice italiano, da quanto emerge in “Taricco 1”, è chiamato a disapplicare il

regime di prescrizione del reato ex artt. 160 e 161 c.p. nel caso in cui concluda che

dall’applicazione di questa normativa consegua, in un numero considerevole di casi, l’impunità

penale a fronte di fatti costitutivi di frode grave, perché questi risulteranno generalmente prescritti

prima dell’inflizione della sanzione penale46. Il giudice, in tal modo, godrebbe di ampi poteri

valutativi, segnatamente sarebbe chiamato a constatare che le misure previste dal diritto nazionale

per combattere la frode e le altre attività che ledono gli interessi finanziari dell’UE non possono

essere considerate effettive e dissuasive, quindi adeguate alla tutela del bene giuridico “interessi

finanziari dell’UE”, così da porsi in contrasto con l’art. 325 TFUE. Gli si chiede, allora, di valutare

se una certa norma penale interna, secondo la sua complessiva applicazione al Paese interessato,

risponda a caratteristiche di effettività e dissuasività. In conclusione, si chiede al giudice, tout court,

42 Corte di Giustizia, sent. 8/09/2015, causa C-105/14; par.49., cit.43 Art. 61 n. 7 c.p.; Cass. IV Sez. pen. Sent. 7914/2016.44 Ogni Stato membro prende le misure necessaria affinché le condotte di cui l’art. 1 nonché la complicità, l’istigazione o il tentativo relativi alle condotte descritte all’art. 1, par. 1, siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno, nei casi di frode grave, pene privative della libertà, che possono comportare l’estradizione, rimanendo inteso che dev’essere considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non può essere superiore a 50000 ECU.45 F. VIGANÒ, “Le parole e i silenzi”, osservazioni sull’ordinanza 24/2017 della C. Cost. sul caso Taricco , in Diritto Penale Contemporaneo; 2017, pag. 8.46 Corte di Giustizia, sent. 8/09/2015, causa C-105/14, cit.

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una valutazione di sistema avente natura politico-criminale: richiesta che può definirsi deprecabile e

preoccupante, certamente lesiva del sistema di garanzie incardinato nella riserva di legge in materia

penale. Perciò, nel caso Taricco, la disapplicazione è il rimedio che la Corte di Lussemburgo indica

per sanare un difetto di adeguatezza (da cui, nella sua ottica e in quella del GUP di Cuneo, è affetta

la disciplina ex artt. 160, 161 c.p.) rispetto ad uno standard di tutela generico, indefinito, ricavabile

dall’art. 325 TFUE. Questa operazione si tradurrebbe nel conferimento al giudice del potere di

compiere un’operazione manipolativa e creativa (la verifica dei presupposti della disapplicazione),

volta a potenziare in termini di effettività un presidio esistente, ma ritenuto blando (il regime della

prescrizione “incriminato”), procrastinando il tempo di prescrizione dei reati trattati in questa

sede47. Per citare alcuni passi della Consulta nell’ord. 24/2017 “non è possibile che il diritto

dell’UE fissi un obiettivo di risultato al giudice penale e che, in difetto di una normativa che

predefinisca analiticamente casi e condizioni, quest’ultimo sia tenuto a raggiungerlo con

qualunque mezzo rinvenuto nell’ordinamento”, “l’attività del giudice deve dipendere da

disposizioni legali sufficientemente determinate. Gli ordinamenti costituzionali di civil law non

affidano al giudice il potere di creare un regime legale penale, in luogo di quello realizzato dalla

legge approvata dal Parlamento, e in ogni caso ripudiano che i Tribunali siano incaricati di

raggiungere uno scopo, pur legalmente definito, senza che la legge specifichi con quali mezzi e in

quali limiti ciò possa avvenire”. Infatti, dalla posizione assunta dalla Corte di Giustizia in “Taricco

1”, si evince proprio come il giudice, eletto a “legislatore” del caso singolo48, sia incaricato del

raggiungimento di un obbligo di risultato, peraltro economico – la salvaguardia del gettito delle

imposte destinate all’UE49 – con effetti in malam partem sull’imputato, causati dalla disapplicazione

del regime prescrizionale nazionale, non in forza di una legge, bensì del solo giudizio di

opportunità del singolo giudice!

Allora, cosa sarebbe accaduto se la nostra Corte Costituzionale, nell’ordinanza n. 24/2017, non

avesse espresso la ferma ripulsa all’idea di un giudice di scopo, collegando ad essa la premonizione

dell’eventuale controlimite? E se i giudici europei non avessero, in risposta, desistito dalle loro

conclusioni? Sarebbe stata astrattamente protratta la consegna dell’an della punibilità al giudice

comune, il quale avrebbe assunto le vesti di arbitro dell’adeguatezza della disciplina nazionale,

oltrepassando i limiti intrinseci dell’attività giurisdizionale e violando il principio della soggezione

del giudice alla legge. Sarebbe stata confermata, nello scenario giuridico, una posizione per cui la

legalità avrebbe slittato verso il potere giudiziario e gli spazi di discrezionalità si sarebbero dilatati

47 V. MANES, “La svolta Taricco e la potenziale sovversione di sistema: le ragioni dei controlimiti”; in Diritto penale contemporaneo; 2016, pag. 12. 48 V. MANES, La Corte muove e, in tre mosse, dà scacco a “Taricco”; in Diritto penale contemporaneo; 2017, pag. 8.49 L. EUSEBI, “Nemmeno la Corte di Giustizia dell’UE può erigere il giudice a legislatore” ; Diritto penale contemporaneo, in Rivista trimestrale- 2/2015, pag. 45.

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enormemente, tanto da mettere a rischio la tenuta del sistema penale nel suo complesso. Ma, con

quasi assoluta certezza, la Corte Costituzionale, se tutto ciò si fosse verificato, avrebbe –

opportunamente e per dovere – azionato i controlimiti “minacciati” nella sua ordinanza.

2.2 La separazione dei poteri e la riserva di legge

Il principio di separazione dei poteri è uno dei principi cardine del costituzionalismo liberale, tale da

connotare in buona parte le stesse democrazie costituzionali. Esso è riconducibile, principalmente, a

Montesquieu, il quale aveva messo in evidenza la necessità che la funzione legislativa, esecutiva e

giudiziaria fossero affidate ad organi diversi, in posizione di reciproca indipendenza tra loro, come

garanzia della libertà, intesa dal filosofo come “il diritto di fare tutto quello che le leggi

permettono”50.

Se il principio di legalità è inteso nella sua configurazione generale di garantire i destinatari delle

norme penali da abusi in cui potrebbero incorrere i pubblici poteri titolari del magistero punitivo, la

riserva di legge è in particolare rivolta a selezionare in modo rigoroso le fonti delle norme

incriminatrici. In tal modo la relativa potestà normativa è riservata all’organo statuale legittimato a

prendere decisioni politiche, maggiormente sensibile all’esigenza di contemperare la tutela della

pacifica convivenza sociale con il necessario riguardo alla libertà dei singoli. Fin dagli esordi della

teoria della separazione dei poteri, tale condizione è stata ravvisata nel potere legislativo: la diretta

contiguità che esso manifesta nei confronti della sovranità popolare e, in particolare, la

rappresentanza nelle assemblee elettive della varietà di orientamenti politico-culturali presenti nella

comunità, nonché la trasparenza del procedimento legislativo, dovrebbero garantire che il delicato

strumento dello ius puniendi sia adoperato nel necessario rispetto di canoni di proporzione,

necessità, equilibrio51; e che le scelte incriminatrici, data la loro diretta incidenza sul bene

costituzionale “libertà personale” degli individui, siano adottate da un organo a legittimazione

democratica.

Applicando tali assunti alla situazione delineatasi post “Taricco 1” – i giudici nazionali che, una

volta valutata la sussistenza del “numero considerevole di casi” e della “frode grave”, nonché

dell’inefficienza del regime prescrizionale nazionale accusato52, quando l’applicazione di questo si

traduca in impunità, allora sono tenuti a disapplicarlo – si rileva come il giudice si atteggi quale

coprotagonista nell’opera di produzione del diritto. Infatti, è manifesto come l’indeterminatezza dei

presupposti che fondano la disapplicazione ponga il giudice nella condizione di svolgere un’attività

semi-creativa: si verifica un’oscillazione dell’asse decisionale dal nucleo politico (il solo legittimato 50MONTESQUIEU,“De l’esprit des lois”, Libro XI, cap. III., 1967, Rizzoli Editore, http://www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Spirito_leggi_1967.pdf51 http://www.giappichelli.it/stralci/3480926.pdf52 Artt. 160, 161 c.p.

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a compiere scelte di diritto penale sostanziale) a quello giudiziario. Lo spostamento del baricentro

della scelta incriminatrice – per ciò che attiene al profilo della punibilità, in cui rientra il regime

prescrizionale – è dovuta alla circostanza per cui il giudice, in assenza di intervento legislativo o

procedura costituzionale, disapplica il regime ex artt. 160, 161 c.p.. La concreta conseguenza della

disapplicazione delle citate norme del codice penale è l’aggravamento della posizione processuale

dell’imputato, venendo meno il limite massimo all’aumento del tempo di prescrizione da queste

previsto53: la modifica peggiorativa, dovuta all’applicazione di un diverso e più severo regime

prescrizionale54, si ripercuote direttamente sulla punibilità.

Infatti, come precedentemente evidenziato, i giudici europei fanno leva sul principio di

assimilazione, per affermare che, in forza di questo, lo Stato nazionale è tenuto a prevedere, per la

tutela degli interessi finanziari dell’Unione, misure dissuasive e sanzionatorie equivalenti a quelle

previste nelle norme poste a tutela dei propri interessi finanziari. Allora, data l’identificazione, da

parte della Corte di Giustizia, della fattispecie “omogenea”, assunta come tertium comparationis per

il test di equivalenza, nel reato di “associazione allo scopo di commettere delitti in materia di accise

sui prodotti del tabacco”, si finisce per ammettere e richiedere il ricorso all’analogia tra fattispecie

profondamente diverse55.

Sul punto, da sottolineare come, innanzitutto, sia indiscussa l’estraneità del giudizio di comparazione tra diverse

fattispecie penali all’esercizio della funzione giurisdizionale: solo il giudice delle leggi, in sede di controllo di

costituzionalità, è legittimato a svolgere il suddetto giudizio, accertando l’omogeneità o la disomogeneità tra norme. Per

l’appunto, soltanto la Corte Costituzionale può sindacare l’an e il quomodo della pena, alla luce del canone della

uguaglianza ragionevolezza. Inoltre, è opportuno qui indagare brevemente la norma utilizzata come tertium

comparationis (reato di “associazione allo scopo di commettere delitti in materia di accise sui prodotti del tabacco”),

alla luce del principio di assimilazione. La fattispecie viene introdotta dalla l. n. 92/2000, come chiara risposta

all’allarme sociale provocato dall’attività sanzionata, che costituiva una delle fonti di profitto più importanti della

criminalità organizzata negli ultimi tempi56. Infatti, la previsione di una prescrizione immune dai limiti massimi è legata

all’attribuzione della competenza a svolgere le indagini ed esercitare l’azione penale alla direzione distrettuale

antimafia, che può, per la natura delle sue funzioni, gestire operazioni investigative estremamente complesse.

Allo stesso modo, nei lavoratori preparatori alla l. 251/2005 sulla prescrizione (da cui gli artt. 160, 161 c.p. vigenti al

tempo del fatto in esame) il senatore Centaro che ha proposto l’emendamento volto all’introduzione della deroga per i

reati di cui all’art. 51 c. 3-bis e 3-quater c.p.p. afferma di voler “creare un doppio binario di prescrizione per i reati di

mafia e di terrorismo”. Infatti, accanto all’ipotesi generale degli artt. 160 e 161 c.p., che prevedono un tetto massimo

all’aumento del tempo necessario a prescrivere quando si verifichino atti interruttivi, si prevede – sorretta da diversa

53 Aumento di massimo un quarto del tempo necessario a prescrivere in caso di atti interruttivi.54 Si applicherebbe, di fatto, la disciplina prevista dall’art. 51, c. 3bis e quater c.p.p. che non prevede alcun limite massimo all’aumento dei termini di prescrizione. 55 I. PELLIZZONE, Tutela degli interessi finanziari dell’UE, disapplicazione di norme interne in bonam partem e principio di uguaglianza. Riflessioni a margine del caso Taricco, in Forum costituzionale; 2016, pag. 6.56 Camera dei Deputati, relazione dell’on. Miraglia del Giudice, presentata alla Presidenza il 7/12/2000.

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ratio – una categoria speciale (i reati all’art. 51 c.3bis e quater c.p.p.) che non soggiace ad alcun limite massimo del

termine prescrizionale. L’intenzione del legislatore del 2005 pare allora rendere evidente la forzatura operata dalla

Corte di Giustizia: è vero che le frodi all’IVA sono spesso commesse in forma associativa e certamente pericolose per

l’Unione, intaccandone il bilancio, ma non sono certo paragonabili per allarme sociale a mafia e terrorismo57.

Disapplicata la normativa controversa, il solo scenario plausibile sembra quello della

imprescrittibilità di fatto dei reati contestati agli imputati.

Quindi, sulla punibilità in questo modo decide il giudice, nonostante l’esistenza di una chiara scelta

legislativa a monte, per di più dovrebbe decidere sulla base di criteri generici ed evanescenti: egli è

chiamato a disattendere la legge, per adempiere agli obblighi imposti dalla statuizione dei giudici

europei. Il tipo di valutazione che si demanda all’organo giudiziario, in conclusione, compete

invece esclusivamente al legislatore, in base al principio di separazione dei poteri sopra richiamato,

insuperabile, ex art. 25 Cost., con riguardo al rapporto tra giudice e legislatore, cioè della riserva di

legge. Nel dictum della Corte UE “i rapporti tra legge e giudice comune vengono alterati a tal punto

da consegnare a quest’ultimo una valutazione di merito sull’adeguatezza della prima58;

l’attribuzione al giudice nazionale di un potere di disapplicazione di norme vigenti, ritenute non

consone a esigenze preventive e sanzionatorie, è stata definita da Eusebi “una sorta di opposto in

malam partem del giudizio di offensività”: è, di fatto, in gioco un potere che eccede quello del

giudice interprete della legge e responsabile del giudizio sul fatto. Per utilizzare un’espressione

efficace, si tratta dell’“apogeo della giurisprudenza fonte”, che fa venir meno la certezza del diritto,

la sua prevedibilità, in danno di imputati, persone, della loro libertà. La trama unificante del

problema analizzato– momentaneamente risolto, grazie al mutamento delle posizioni dei giudici

europei sul punto59 a seguito dell’intervento della Consulta60 – è la delicata questione del rapporto

tra formante legislativo e formante giurisprudenziale rispetto alla genesi del diritto penale e delle

sue ricadute sul principio di legalità. Diversi sono i fenomeni in atto nel nostro ordinamento che

inducono a rinnovare la riflessione sul significato di legalità penale e ad interrogarsi sulla sua

idoneità a realizzare la sua autentica funzione di garanzia: da un lato, la complessità del sistema

multilivello di fonti e la parallela crisi della riserva di legge, intesa come centralità del confronto

dialettico tra le forze politiche rappresentative nelle scelte di incriminazione, dall’altro, il

mutamento del ruolo del giudice, da bocca della legge a vero e proprio coprotagonista nell’opera di

57 I. PELLIZZONE, Tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, disapplicazione di norme interne in bonam partem e principio di uguaglianza. Riflessioni a margine del caso Taricco, in Forum costituzionale, 2016, p. 7.58 F. CONSULICH, La prescrizione della legalità. Il rapporto tra diritto penale tributario e diritto dell’Unione europea dopo la sentenza della Corte di Giustizia sul caso Taricco, in Diritto e pratica tributaria internazionale, 2016, p. 32.59 Corte di Giustizia, 5/12/2017, C-42/17, cit.60 C. Cost., ord. n. 24/2017, cit.

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produzione del diritto61. In conclusione, la circostanza appena esposta è sintomo di una macro-

tendenza consolidata negli ultimi tempi: si assiste sempre più ad una concezione antagonistica del

rapporto intercorrente tra legge e giudice, della quale si auspica, però, un mutamento. Quest’ultimo

dovrebbe far sì che si volga all’accettazione dell’idea di sintonia e compliance tra i due detentori di

poteri – quello legislativo e quello giudiziario – pur senza degenerazioni (rischiose per il cittadino e

per il diritto) che comportino la sovrapposizione e l’usurpazione delle funzioni cui essi sono

preposti.

3. Alcuni interrogativi

Sulla base dell’analisi dei principali nodi problematici della questione “Taricco” svolta fino ad ora,

è lecito porsi degli interrogativi circa altri ipotetici eventuali sviluppi, alcuni dei quali non

intervenuti, altri invece parzialmente, seppur in un momento successivo rispetto alla vicenda

processuale sin qui trattata.

La prima domanda riguarda l’eventualità in cui i giudici europei, in Taricco-bis, avessero mutato le

proprie determinazioni nel senso di specificare il concreto contenuto dell’obbligo di disapplicazione

incombente sul giudice nazionale a seguito della statuizione della c.d. regola Taricco, rendendola in

tal modo conforme al principio di determinatezza. La seconda concerne, invece, una diversa

prospettiva: e se i medesimi obblighi posti dalla regola Taricco, di matrice giurisprudenziale,

fossero stati posti da una diversa fonte, vale a dire una direttiva? Tale ipotesi si è poi parzialmente

verificata per davvero: recentemente si è assistito all’emanazione della direttiva 2017/137162, di

armonizzazione in materia di tutela penale degli interessi finanziari dell’UE, la quale è però lontana,

anche per la natura intrinseca della fonte, dal sancire regole assimilabili alla c.d. regola Taricco. La

direttiva è, infatti, volta al ravvicinamento della legislazione penale ed il suo meccanismo è blando,

61 S. MILONE, Legalità e ruolo creativo della giurisprudenza nei rapporti tra diritto penale e processo , Diritto Penale Contemporaneo, in Rivista trimestrale – 2/2016, pag. 9.62 DIR. (UE) 2017/1371 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale. Disposizioni in tema di prescrizione: Considerando (22): gli Stati membri dovrebbero dotarsi di norme sui termini di prescrizione necessari al fine di consentire ad essi di contrastare le attività illegali ai danni degli interessi dell’Unione. Nel caso di reati punibili con una pena massima di almeno 4 anni di reclusione, il termine di prescrizione dovrebbe esser pari ad almeno 5 anni, a decorrere dal momento in cui il reato è stato commesso. Ciò non dovrebbe creare alcun pregiudizio agli Stati membri che non prevedono termini di prescrizione per le indagini, l’azione penale e l’esecuzione. Art. 12 “Termini di prescrizione per i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione”: 1.   Gli Stati membri adottano le misure necessarie a prevedere un termine di prescrizione che consenta di condurre le indagini, esercitare l'azione penale, svolgere il processo e prendere la decisione giudiziaria in merito ai reati di cui agli articoli 3, 4 e 5 entro un congruo lasso di tempo successivamente alla commissione di tali reati, al fine di contrastare tali reati efficacemente. 2.   Gli Stati membri adottano le misure necessarie per permettere che le indagini, l'azione penale, il processo e la decisione giudiziaria per i reati di cui agli articoli 3, 4 e 5 punibili con una pena massima di almeno quattro anni di reclusione, possano intervenire per un periodo di almeno cinque anni dal momento in cui il reato è stato commesso. 3.   In deroga al paragrafo 2, gli Stati membri possono fissare un termine di prescrizione più breve di cinque anni, ma non inferiore a tre anni, purché prevedano che tale termine possa essere interrotto o sospeso in caso di determinati atti. 4.   Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché: a) una pena superiore ad un anno di reclusione, o in alternativa; b) una pena detentiva, in caso di reato punibile con una pena massima di almeno 4 anni di reclusione, irrogata a seguito di condanna definitiva per uno dei reati di cui agli articoli 3, 4 o 5, possa essere eseguita per almeno cinque anni dalla data della condanna definitiva. Tale periodo può includere proroghe del termine di prescrizione derivanti da interruzione o da sospensione.

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lasciando ampi margini di discrezionalità agli Stati membri in fase di recepimento ed attuazione. La

terza domanda, complementare alle due precedenti, si propone di riflettere sull’ipotesi in cui,

diversamente, il contenuto dell’obbligo di disapplicazione della normativa prescrizionale vigente in

Italia, scaturente dall’interpretazione dell’art. 325 TFUE, fosse stato dettagliato e precisato da una

direttiva successiva alla sentenza Taricco 1.

Sostanzialmente, le questioni citate aspirano a far luce su un interrogativo di fondo: le criticità del

caso Taricco dipendono da un problema di separazione dei poteri tra testo e interprete (atto

normativo versus sentenza), oppure da un problema di separazione di potere tra ordinamento

europeo e ordinamento nazionale (norma europea versus legge penale nazionale)? Ancora:

ammesso che la censura relativa al principio di determinatezza – declinato dalla stessa Consulta

come principio ordinamentale ispirato alla logica della separazione dei poteri – fosse stata superata,

la legalità come riserva di legge assoluta in materia penale avrebbe ceduto oppure sarebbe rimasta

salda superando lo stress-test? Le risposte rese saranno inevitabilmente aperte.

3.1 Sulla prima questione

Se la pronuncia Taricco fosse stata sufficientemente determinata?

Cosa sarebbe accaduto se la Corte di Giustizia avesse specificato il contenuto degli obblighi a

carico del giudice nazionale, conformemente al principio di determinatezza? Per richiamare alcuni

concetti utili alla comprensione della questione, è noto, da quanto esposto in precedenza, che i

giudici europei hanno posto in capo ai giudici interni un obbligo di disapplicazione della normativa

prescrizionale vigente in Italia, quando, dall’applicazione di questa, discenda un’impunità di fatto in

“un numero considerevole di casi” di fatti costitutivi di “frode grave” in danno degli interessi

finanziari dell’UE63 (regola Taricco). La medesima norma, l’art. 325 TFUE, inoltre, impone allo

Stato italiano, in virtù del principio di assimilazione, di introdurre, per la tutela degli interessi

finanziari europei, sanzioni equivalenti a quelle predisposte dall’ordinamento per la tutela dei propri

interessi finanziari.

Come già evidenziato, l’applicazione di questa regola si tradurrebbe nell’attribuzione di potere

valutativo al giudice nazionale circa l’adeguatezza della normativa vigente: potere che esula dalle

sue competenze e collide con il principio costituzionale della riserva di legge in materia penale,

nonché con i suoi corollari. Nello specifico, per ciò che concerne in concreto alcune delle criticità

giuridiche della vicenda – quelle sulle quali si è riflettuto in questa sede – il contenuto della

pronuncia “Taricco 1” sarebbe privo del requisito di determinatezza, presupposto indefettibile in

materia penale, dal momento che non specifica con le necessarie precisione e tassatività quando e in

63 Corte di Giustizia, sent. 8/09/2015, causa C-105/14, cit.17

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base a quali parametri i giudici debbano procedere alla disapplicazione. Il deficit di determinatezza

viene rilevato anche dalla Corte Costituzionale, nell’ordinanza n. 24/2017 e, a seguito del monito

della Consulta, la Corte di Giustizia avrebbe ben potuto, nella pronuncia resa in risposta nel dialogo

instaurato tra le corti, meglio precisare l’indicazione fornita ai giudici penali italiani, così da rendere

la statuizione conforme al principio costituzionale. Ad esempio, avrebbe potuto compiere

direttamente, anche sulla base di informazioni richieste al governo italiano, la valutazione di

impatto della disciplina prescrizionale sotto accusa, valutazione che in prima battuta era stata

richiesta ai giudici penali64. Per esemplificare, avrebbe potuto ancorare il parametro del “numero

considerevole di casi” ad un valore percentuale, postulando l’equivalenza “numero considerevole di

casi” = 40% dei casi di dichiarazioni fraudolente, così come risultanti dalla relazione del

Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione italiana.

Tuttavia, come si evince dalla posizione espressa dai giudici di Lussemburgo in risposta al monito

della Corte Costituzionale65, ciò non è accaduto: i giudici europei non hanno affatto specificato il

contenuto della sentenza e, in particolare, dell’obbligo di disapplicazione posto a carico dei giudici

interni, anzi, hanno ribadito l’interpretazione dell’art. 325 TFUE già resa nella prima pronuncia e

hanno, poi, precisato che il contrasto del diritto nazionale con la predetta norma non implica

automaticamente la disapplicazione del diritto interno, quando questa si traduca in violazione del

principio di legalità dei reati e delle pene. Dunque, i requisiti del principio di legalità non possono

che coprire anche l’istituto della prescrizione (e delle sue vicende sospensive ed interruttive), data la

concezione sostanziale di questo nell’ordinamento italiano. Pertanto, la Taricco bis suggerisce un

rimedio alla regola Taricco: contempera obbligo di disapplicazione e rispetto dei principi

costituzionali, statuendo che, se dalla disapplicazione della normativa interna derivi violazione dei

diritti fondamentali degli imputati, allora il rispetto di questi prevale sul dovere di disapplicazione.

In sostanza, la Corte, anziché dettagliare e rendere oggettivamente determinata la regola Taricco, ne

neutralizza la carica, compie un passo indietro senza, però, colmare nei contenuti i deficit rilevati

dalla Consulta. Per quanto riguarda il par. 2 dell’art. 325, che enuncia il principio di assimilazione

già esposto, i giudici europei non profilano affatto il problema della determinatezza: sarebbe forse

conforme a questo principio perché agganciato ad una fattispecie comparativa? Come rilevato da

alcuni esperti della materia66, in realtà anche il paragrafo 2 dell’art. 325 TFUE sarebbe affetto da

carenza di determinatezza, in quanto questa non può considerarsi sussistente soltanto attraverso

l’individuazione del legame comparativo con la fattispecie ritenuta omogenea67. Infatti, assimilare la

fattispecie per cui si procede nei confronti degli imputati nel procedimento principale da cui la 64 F. VIGANÒ, “Le parole e i silenzi”: osservazioni sull’ordinanza n. 24/2017 della Corte Costituzionale sul caso Taricco , in Diritto Penale Contemporaneo, 2017, p. 8.65 C-42/17 Corte di Giustizia, Grande Sezione, cit.66 Gaetano Insolera, Vittorio Manes.

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vicenda nasce a quella individuata quale “omogenea”, dunque idonea a configurarsi quale tertium

comparationis, di fatto viola il divieto di analogia in malam partem. Si tratterebbe della creazione

volontaria di una lacuna, da parte dei giudici europei, e di una conseguente “analogia mascherata”,

che non sarebbe, in tali termini, ammessa neppure nel diritto civile, tributario, amministrativo. La

norma assunta come comparativa, sarebbe, come già espresso, speciale, eccezionalissima; avrebbe

dal punto di vista politico criminale una ratio profondamente diversa, e non sarebbe affatto posta

semplicemente “a tutela degli interessi finanziari nazionali”, dal momento che assolve ad una

funzione qualitativamente differente. Perciò, appurato, nella realtà storica, la persistente carenza di

determinatezza della regola Taricco, immaginiamo, diversamente, che questa fosse venuta meno.

Quali altri ostacoli costituzionali potrebbero opporsi all’ingresso ed alla liceità della medesima

regola nel nostro ordinamento? La risposta dipende da come si voglia interpretare il quasi assoluto

silenzio serbato dalla Corte costituzionale su un altro profilo del nullum crimen nell’ordinamento

costituzionale, rappresentato dal corollario della riserva di legge penale. La corte, infatti, evoca en

passant tale corollario quando affronta la questione della determinatezza della norma penale, e ad

esso pare alludere laddove richiede che l’attività del giudice in materia penale dipenda da

“disposizioni legali sufficientemente determinate”. Tuttavia, non viene chiarita una questione

cruciale: il riferimento alla “legge” contenuto nell’art. 25 c. 2 Cost., deve essere inteso come

esclusivamente riferito alla legge nazionale approvata dal Parlamento e promulgata dal Presidente

della Repubblica, nonché agli atti nazionali aventi forza equiparata, ovvero può includere anche le

fonti normative direttamente applicabili o comunque dotate di effetto diretto dell’UE? La questione

è, più in particolare, se la Corte costituzionale sia o meno disposta a riconoscere al diritto

dell’Unione europea, la competenza, quanto meno, a codeterminare, mediante i propri atti

normativi, i presupposti della responsabilità penale dell’individuo, modificandoli anche in malam

partem da quanto risulterebbe dall’applicazione della sola normativa nazionale68. Ma la costante

giurisprudenza ritiene che il c. 2 dell’art. 25 Cost. “nell’affermare il principio che nessuno può

essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso” esclude che

la Corte Costituzionale possa introdurre in via additiva nuovi reati o che l’effetto di una sua

sentenza possa essere quello di ampliare o aggravare figure di reato già esistenti. Così, la Corte ha

costantemente concluso per l’inammissibilità delle questioni che comportavano la richiesta “di un

intervento additivo che si risolva in un aggravamento della posizione sostanziale dell’imputato”.

Per essere ancora più netti, non sono ammissibili interventi della Consulta che, incidendo su taluni

elementi del tipo, abbiano l’effetto di estendere l’incriminazione, alterando le linee di politica 67 Testo unico doganale: DPR n. 43/1974, art. 291-quater (“associazione allo scopo di commettere delitti in materia di accise sui prodotti del tabacco”), cit.68 F. VIGANÒ, “Le parole e i silenzi”, osservazioni sull’ordinanza n. 24/2017 della Corte costituzionale sul caso Taricco , in Diritto penale contemporaneo, 2017, p. 9 e ss.

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criminale seguite dal legislatore e sono del pari inammissibili anche interventi che abbiano

comunque l’effetto di estendere un istituto che implichi effetti negativi per il reo69 – come il

computo della prescrizione nel caso di specie, che attiene alla punibilità, profilo di diritto penale

sostanziale – posto che la riserva di legge “demandando in via esclusiva al legislatore la scelta dei

fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, impedisce alla Corte anche di incidere

in peius sulla risposta punitiva o su aspetti comunque inerenti alla punibilità”70. In conclusione, si

tratta di un problema di fonte (quella che pone l’obbligo in malam partem) o un problema di

ordinamento (e competenza in materia penale)? Se fosse un problema di fonte, la necessità di una

“disposizione scritta” che stabilisca quali fatti punire, con quale pena ed entro quale limite

temporale escluderebbe che tali determinazioni possano essere assunte attraverso un atto del potere

giurisdizionale, quale, per l’appunto, una sentenza. Ed è certamente coerente tale soluzione, dal

momento che, come visto, neppure la Corte Costituzionale è mai intervenuta nel senso

dell’estensione dell’area del penalmente rilevante, in ossequio al principio di legalità nella

declinazione della riserva di legge parlamentare, assoluta in materia penale. Si tratterebbe

certamente di un disconoscimento del ruolo autenticamente normativo della Corte di Giustizia, alla

cui giurisprudenza si deve, del resto, l’edificazione dei principi fondamentali del diritto dell’UE,

disconoscimento che si esporrebbe ad opposizioni radicali. Ma in gioco c’è molto di più: la tensione

tra legalità e primauté non può risolversi in un cedimento della prima a favore della seconda. La

forza centripeta esercitata dal primato del diritto dell’UE non può attrarre il diritto penale quando

l’attrazione determini una modifica in senso peggiorativo dei diritti fondamentali del singolo. Il più

elevato standard di tutela a questi offerto dagli ordinamenti nazionali non può essere sacrificato per

la salvaguardia di beni giuridici che, se pur rilevanti, hanno un ben più inferiore punteggio nella

scala valoriale di cui ciascun ordinamento si fa custode. È certo che sarebbero possibili infinite altre

soluzioni, sicuramente più attuali, progressiste, ma, come citano alcuni degli studiosi del caso

Taricco, “si è inattuali oggi per essere attuali domani”71. Ora che il caos calmo tra diritto penale e

diritto dell’UE è stato scosso, si auspica, al di là della posizione che si voglia assumere

relativamente alla “fonte” (se l’obbligo di disapplicazione in malam partem sia non conforme a

Costituzione perché posto da una sentenza emanata da un organo privo di legittimazione

democratica e non da una disposizione scritta) e alla “competenza penale dell’UE” (se questa possa

concorrere a codeterminare i profili sostanziali della responsabilità penale), che mai venga avallata 69 V. MANES, “Il giudice nel labirinto: profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali”, Dike Giuridica, 2012, cap. III, pag. 102 ss.70 Si veda, ad es., l’ordinanza n. 164/2007 nel dichiarare manifestamente inammissibile la questione di legittimità cost. (dell’art. 4 della l. n. 251/2005), dove si afferma che la riserva di legge “demandando in via esclusiva al legislatore la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, impedisce alla Corte anche di incidere in peius sulla risposta punitiva o su aspetti comunque inerenti alla punibilità”. 71 Cit. V. MANES, “Il giudice nel labirinto: profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali” , Dike Giuridica, 2012, in apertura del cap. III, [P.P. PASOLINI]

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una soluzione che tolleri una minor tutela dei diritti fondamentali del singolo, sotto ogni loro

profilo, e che metta in discussione la tenuta della legalità penale, che non rappresenta un mero

presidio della sovranità interna, di una identità pietrificata che protegge l’impermeabilità giuridica

dello Stato e rifiuta l’apertura all’altro da sé72. Al contrario, costituisce porzione di una identità

giuridica peculiare, i cui tratti di fondo non possono non resistere alla forza dell’integrazione.

3.2 Sulla seconda questione

Se il contenuto della sentenza Taricco fosse, invece, stato trasposto in una direttiva?

Se il contenuto della c.d. regola Taricco, resa tramite sentenza, fosse invece stato trasposto in una

direttiva, fonte qualificata quale “atto normativo”? Le istituzioni europee avrebbero, ipoteticamente,

potuto procedere all’adozione di un atto normativo, la direttiva, in tema di “lotta alle frodi che

ledono gli interessi finanziari dell’UE”. La direttiva sarebbe stata volta all’armonizzazione e al

ravvicinamento delle legislazioni penali nazionali, introducendo degli scopi e degli standard da

raggiungere, pur lasciando ai destinatari dell’atto (gli Stati membri) la discrezionalità necessaria per

contemperare il perseguimento degli obiettivi posti con il vigente sistema nazionale, nonché con la

concreta realtà sociale, politico-criminale dello Stato. Questo ha, infatti, a seguito dell’emanazione

di direttive europee, competenza in merito alla forma e ai mezzi necessari per il raggiungimento

degli scopi fissati dall’atto. Certamente, è difficile immaginare, data l’esposta natura dell’atto, che

una direttiva possa, ipoteticamente, imporre un obbligo di disapplicazione ai giudici interni quando

si riscontri che una disciplina nazionale attinente a profili di diritto penale sostanziale sia “non

adeguata”: la direttiva potrebbe, diversamente, proclamare verso quali scopi e per la tutela di quali

beni giuridici l’attività del legislatore nazionale debba muoversi nel campo delle scelte politico-

criminali, senza intaccare il monopolio della scelta punitiva, riservato al legislatore parlamentare.

Anche quando, come nel caso in esame, sussista un obbligo di tutela penale di un certo bene

giuridico (gli interessi finanziari dell’UE, attinenti all’ambito economico, sul quale l’Europa nasce e

attorno al quale l’Europa si amplia assiologicamente fino a volersi porre come ente a vocazione

generale), l’attribuzione di competenze penali di armonizzazione da parte dell’UE a scapito delle

sovranità nazionali non permette comunque di bypassare la necessaria mediazione dei parlamenti

nazionali, e richiede pur sempre una legge nazionale di attuazione: l’UE potrà solo criminaliser

sans punir73. Si assiste, oggi, all’esponenziale crescita di direttive comunitarie che impongono veri e

propri obblighi di criminalizzazione, avvertendosi “incombente il rischio di una progressiva

espropriazione del parlamento nazionale, che vede sempre più ridotto il suo margine di

72 A. LONGO, “Taricco-bis: un dialogo senza comunicazione”, in Archivio Penale n.1/2018, p. 6 e ss.73 Titolo di un lavoro di C. SOTIS, “Criminaliser sans punir”. Réflexions sur le pouvoir d’incrimination (directe et indirecte) de l’Unione européenne prévu par le Traité de Lisbonne, in Revue de science criminelle et de droit pénal comparé, n. 4/2010, p. 773 ss.

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apprezzamento nelle scelte di criminalizzazione”74. Di fronte a veri e propri obblighi di

penalizzazione, il singolo Parlamento finisce col rimanere di fatto espropriato del potere sia di

prendere l’iniziativa nell’importante settore della politica criminale, sia di esprimere sulla base della

propria discrezionalità politico-democratica le scelte di fondo relative ai contenuti e ai modi della

tutela penale: il giudizio di meritevolezza e necessità della pena viene preconfezionato dal

legislatore europeo e al legislatore nazionale non residua altro compito che di attuare la direttiva

con legge, dalla quale sola può discendere la responsabilità penale dell’individuo. È quindi all’atto

statale di recepimento che viene affidato il delicato compito di contemperamento tra il principio di

prevalenza del diritto UE e l’esigenza di garantire il rispetto del principio della riserva di legge

penale. Allora, se è certo che senza il diaframma dell’atto nazionale la sfera del singolo non può

mai essere lesa, non è altrettanto certo che la trasposizione sia di per sé, oltre che necessaria, anche

sufficiente a ritenere rispettata, nella sostanza, la riserva di legge. Infatti, con la ratifica di una

direttiva, atto obbligatorio per gli Stati membri, il Parlamento recepisce norme che non

corrispondono a scelte, elaborazioni o decisioni assunte autonomamente, limitandosi a rispettare

l’obbligo derivante dall’appartenenza all’UE. La riserva di legge, salva nella forma, si stempera

nella sostanza, anche considerando il deficit democratico che caratterizza i procedimenti decisionali

dell’UE.

Nel luglio del 2017 l’ipotesi qui prospettata si verifica, in questi termini; la direttiva UE 2017/1371

“relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto

penale” viene emanata. Come accennato in apertura, il meccanismo di ravvicinamento della

legislazione penale ivi adottato risulta senz’altro il più blando e lascia agli Stati membri ampi

margini di discrezionalità in fase di recepimento ed attuazione: fornisce definizioni comuni (frode,

reati gravi contro il sistema comune dell’IVA, intenzionalità del reato…); enuclea, poi, il rispetto

del principio di proporzionalità dei livelli delle sanzioni e del ne bis in idem, nonché dei diritti

fondamentali della persona: diritto alla libertà e principio di legalità e della proporzionalità dei reati

e delle pene fra tutti. Invita inoltre gli Stati a “dotarsi di norme sui termini di prescrizione necessari

al fine di consentire ad essi di contrastare le attività illegali ai danni degli interessi finanziari

dell’Unione. Nel caso di reati punibili con una pena massima di almeno 4 anni di reclusione, il

termine prescrizionale dovrebbe essere pari ad almeno 5 anni a decorrere dal momento in cui il

reato è stato commesso. Ciò non dovrebbe creare alcun pregiudizio agli Stati membri che non

prevedono termini di prescrizione per le indagini, l’azione penale e l’esecuzione”. All’art. 12,

dedicato ai “termini di prescrizione per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione”, si

legge che gli Stati, in deroga a quanto fissato, possono anche fissare un termine di prescrizione più

74 F. PALAZZO, Europa e diritto penale: i nodi al pettine, cit., in Diritto penale e processo, 2011, p. 657.22

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breve di 5 anni, ma non inferiore a 3, purché prevedano che tale termine possa essere interrotto o

sospeso in caso di determinati atti. Il termine di prescrizione è considerato come tempo “che

consenta di condurre le indagini, esercitare l’azione penale, svolgere il processo e prendere la

decisione giudiziaria in merito ai reati”. Con la trascritta formulazione il legislatore europeo

sembra considerare la prescrizione come istituto esclusivamente processuale, e non anche come

causa estintiva del reato. Dunque, il recepimento della direttiva sembra imporre la previsione della

prescrizione come istituto processuale, almeno se riferita ai reati che ledono gli interessi finanziari

dell’UE, come delimitati dalla stessa direttiva75. Interpretando in tal modo il contenuto della

direttiva, può allora porsi il problema se ne sia consentito il recepimento nell’ordinamento italiano

ovvero se esso sia impedito dal disposto costituzionale dell’art. 25 c.2, che si è ritenuto riferito

anche alla prescrizione del reato.

3.3 Sulla terza questione

Se una direttiva post Taricco avesse integrato il contenuto della pronuncia in maniera

sufficientemente determinata?

In ultimo, si rappresenta l’eventualità in cui una direttiva, successiva alla saga Taricco, specificasse,

in concreto, il contenuto dell’obbligo di disapplicazione, rendendo la pronuncia potenzialmente

conforme a Costituzione per le censure rilevate fin’ora, fatta eccezione per quella relativa alla

riserva di legge penale – sulla quale, fino a questo momento, è stato serbato il quasi assoluto

silenzio, e dalla cui interpretazione, come rilevato in precedenza, dipende l’esito di tali questioni–.

Seguendo quanto espresso nei due punti precedenti, è difficile immaginare un esito diverso rispetto

a quelli sin qui prospettati. Infatti, se assumiamo la posizione per cui di un problema di ordinamento

e competenza penale si tratti, la direttiva quale atto normativo che dettagli il contenuto della regola

espressa dalle pronunce nel caso Taricco, rendendolo rispondente al canone della determinatezza,

sarebbe comunque inidonea a determinare (o codeterminare) aspetti attinenti alla responsabilità

penale dell’individuo. Che una competenza penale accessoria in capo all’UE esista è certo: l’art.

83.2 TUE sancisce la possibilità, per le istituzioni dell’UE, di operare il ravvicinamento delle

disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale con la definizione di

norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni, quando detto ravvicinamento sia

indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica dell’UE. Il riconoscimento di tale

competenza risulta tuttora non facilmente digeribile da parte degli Stati membri e delle relative

culture penalistiche nazionali: esso ha risvegliato i timori in ordine alla possibilità che le prerogative

penali attribuite dagli Stati membri all’UE vengano estese al di là dei limiti e delle condizioni 75 E. LUPO, La sentenza europea c.d. Taricco-bis: risolti i problemi per il passato, rimangono aperti i problemi per il futuro ; in Diritto penale contemporaneo, 2017, p. 10.

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previste dai Trattati, ovvero vengano esercitate con modalità non pienamente rispettose dei principi-

cardine dei sistemi giuridici nazionali76. E quale principio può atteggiarsi a “principio cardine”

dell’identità costituzionale di uno Stato, se non la legalità nel senso della riserva di legge assoluta in

materia penale? Gli interessi in gioco in una discussione di questa portata sono molteplici: da un

lato lo sviluppo dell’integrazione europea e l’effettiva tutela degli interessi europei a cui gli Stati

sono senza dubbio tenuti, dall’altro la difesa delle prerogative statali e la tutela del singolo così

come concepita dal nostro ordinamento e dalla nostra declinazione della legalità penale. Qui, non si

tratta di voler porre un freno all’integrazione per chiusura e “avidità” dei propri strumenti giuridici,

e non si tratta neppure di atteggiamento sovranista: la partita si gioca sul sacrificio di diritti

inalienabili in favore del rispetto degli obblighi comunitari. La “fuga in avanti” effettuata dalla

Corte di Giustizia con il caso Taricco rischia di rivelare una tattica di corto respiro, che propone

mete lontane, compie scelte avventate in un campo come il penale che incide profondamente sulla

libertà del singolo e sulla sua esistenza – la cui sostanza non può essere stravolta da ingerenze

esterne – : tradisce, ad esse sostituendosi, una mancanza di volontà, o di capacità, di risolvere i

problemi immediati mediante elaborazione di condivise e praticabili “strategie”.

4. Conclusioni

Oltre alle conclusioni tratte nel corso dell’elaborato, giungiamo ora ad un’ultima osservazione

attinente all’istituto giuridico della prescrizione, elemento di partenza della saga Taricco e delle

criticità giuridiche della medesima, già analizzate in questa sede. Osserviamo come, sin dall’avvio

della vicenda processuale, sia stata espressa una posizione critica nei confronti della disciplina

dell’istituto e della sua sospensione ed interruzione: si rilevava, infatti, come il termine

prescrizionale, ideato e previsto quale causa di estinzione del reato per decorso del tempo – che

trascorrendo fa affievolire, fino al suo venir meno, le esigenze di risposta al reato– si prestasse

concretamente ad essere utilizzato dagli imputati, e dai loro difensori, come éscamotage per

ottenere il proscioglimento per estinzione del reato. La drammaticità della situazione è

rappresentata dal Procuratore generale presso la Suprema Corte di Cassazione che, in una sua

relazione, affronta specificatamente il problema della prescrizione, asserendo che “la giustizia

penale è oggi assediata dai numeri: annualmente affluiscono negli uffici di procura oltre 3.500.000

notizie di reato”. Attraverso l’istituto della prescrizione è oggi messo in crisi lo strumento

processuale: il processo diviene, con i suoi tempi dilatati ed i suoi gradi, il mezzo attraverso cui

inseguire, proprio da parte dei soggetti che mai potrebbero sperare in una pronuncia assolutoria, una

declaratoria di estinzione del reato. Alla luce di queste considerazioni, è chiaro che, se da un lato la

76 A. BERNARDI, La competenza penale accessoria dell’UE: problemi e prospettive, in Diritto Penale contemporaneo, 2011, p. 9. 24

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prescrizione, istituto di diritto penale sostanziale, assolve alla funzione di garantire il singolo,

evitando il protrarsi di una “giustizia infinita”, rappresenta, dall’altro, un concreto ostacolo

all’efficienza della giustizia penale e alla repressione degli illeciti, in particolar modo in tutti quei

casi in cui l’accertamento di questi richieda istruttorie complesse. Si auspica, in conclusione, un

deciso intervento di riforma della materia – per il quale il solo legislatore nazionale è competente –

più incisivo e risolutivo di quello recentemente effettuato (la c.d. riforma Orlando77). Ad oggi,

l’equiparazione tra massimo edittale e tempo dell’oblio (la prescrizione si calcola sulla base del

massimo edittale di pena) è assiologicamente insensata78: si configura come la rinuncia del

legislatore ad una valutazione mirata ed autonoma sui tempi dell’oblio ed è costantemente soggetta

a mutamenti, in quanto dipende dalla contingente molteplicità e varietà dei massimi edittali, stabiliti

dai legislatori della parte speciale, in tempi diversi e secondo criteri di politica sanzionatoria e non

già in base a valutazioni sul tempo dell’oblio. Per queste ragioni, sarebbe auspicabile un radicale

ripensamento dell’odierna disciplina, che sappia porre rimedio ai numerosi problemi che da questa

scaturiscono, non da ultimo quello della “strumentalizzazione” dell’istituto per finalità che

difficilmente possono ritenersi tutelabili (il perseguimento della declaratoria di estinzione del reato)

e difformi rispetto alla ratio dell’istituto stesso, che da strumento di tutela del singolo dalla forza

punitiva, diviene mezzo per sottrarsi ad essa.

BIBLIOGRAFIA

AMALFITANO C., Da una impunità di fatto a una imprescrittibilità di fatto della frode in materia di imposta sul valore aggiunto?, in Diritto penale contemporaneo, 2015.

BASILE E., Brevi note sulla nuova Direttiva PIF. Luci e ombre del processo di integrazione UE in materia penale, in Diritto penale contemporaneo, 2017.

77 L. 23 Giugno 2017, n. 103. Le principali novità in tema di prescrizione: La decorrenza dei termini di prescrizione per alcuni reati in danno di minori (maltrattamenti in famiglia, tratta di persone, sfruttamento sessuale, violenza sessuale) scatta al compimento del diciottesimo anno di età della vittima, salvo che l'azione penale non sia stata esercitata in precedenza (nel qual caso il termine di prescrizione decorre dall'acquisizione della notizia di reato). Sospensione della prescrizione: è introdotta una nuova ipotesi di sospensione, legata alla sentenza di condanna in primo grado: il termine di prescrizione resta sospeso fino al deposito della sentenza di appello, e comunque per un tempo non superiore a 1 anno e 6 mesi; dopo la sentenza di condanna in appello, il termine resta sospeso fino alla pronuncia della sentenza definitiva e comunque per un tempo non superiore a 1 anno e 6 mesi. In caso di assoluzione dell'imputato in secondo grado, ovvero di annullamento della sentenza di condanna nella parte relativa all'accertamento della responsabilità o di dichiarazione di nullità della decisione, con conseguente restituzione degli atti al giudice ai sensi dell'articolo 604 c.p.p. i periodi di sospensione di un anno e sei mesi (per il giudizio d'appello) e di un anno e sei mesi (per il giudizio di Cassazione) vengano ricomputati ai fini del calcolo del termine di prescrizione. Anche l'interrogatorio reso alla polizia giudiziaria su delega del P.M. determinerà l'interruzione del corso della prescrizione. L'interruzione della prescrizione ha effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato, mentre la sospensione solo per gli imputati nei cui confronti si sta procedendo. L'interruzione della prescrizione non può comportare l'aumento di più della metà del tempo necessario a prescrivere anche per le principali fattispecie di reati contro la pubblica amministrazione.

78 D. PULITANÒ, Il nodo della prescrizione, Diritto penale contemporaneo, in Rivista trimestrale n. 1/2015, p. 20 ss. 25

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