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Catalogo della seconda edizione del Festival Internazionale di Arte Sonora VISITAZIONI, Roma 2015

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F E S T I V A L I N T E R N A Z I O N A L E

D I A R T E S O N O R A

R O M A 2 0 1 5

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Copyright - PROPOSTE SONORE & gli Artisti, 2015

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Programma Festival: dal 17 settembre al 5 dicembre 2015

ELIO MARTUSCIELLO (IT): TO EXTEND THE VISIBILITY SALA SANTA RITA, 17-26 settembre

ALEX MENDIZABAL (EH): ORECCHIE VECCHIE CAVE INCAVATE DI SENTITO CORTILE DEL TEMPIO DI APOLLO IN CIRCO, 22 settembre-2 ottobre

ALBERT MAYR (IT): ESTENSIONISALA SANTA RITA, 29 settembre-10 ottobre

PETRI KULJUNTAUSTA (FI): RED LINES SALA SANTA RITA, 13-24 ottobre

GIANFRANCO PERNAIACHI (IT): TERRE RARE CORTILE DEL TEMPIO DI APOLLO IN CIRCO, 20-30 ottobre LUCA MITI (IT): FORSE STANOTTE (OPERETTA INUTILE) SALA SANTA RITA, 27 ottobre-7 novembre

XABIER ERKIZIA (EH): NON DIRE (NIENTE) SALA SANTA RITA, 10-21 novembre

MARCELLO LIBERATO (IT): MOBILE/IN CASO DI PIOGGIACORTILE DEL TEMPIO DI APOLLO IN CIRCO, 24 novembre-4 dicembre

ALVIN CURRAN (US/IT): MEV'S GLASS PIANO SALA SANTA RITA, 24 novembre-5 dicembre

SALA SANTA RITA, VIA MONTANARACORTILE DEL TEMPIO DI APOLLO IN CIRCO, PIAZZA CAMPITELLI, 7

Eventi Speciali

CURVA CHIUSA (A. Mendizabal/C. Blazen) (EH/US)

...IN MOVIMENTO 30 settembre

ALBERT MAYR (IT)

WORKSHOP: FINESTRA.WINDOW 10 ottobre

WALKABOUT NELL'AUTUNNO CONTEMPORANEO

a cura di CARLO INFANTE (IT) 1 dicembre

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Mentre sto terminando di controllare le ultime cose per l’installazione di Albert Mayr

(il settaggio delle luci laser e delle parti audio sul computer, la disposizione dei cavi

dietro l’altare dove sono posizionate tutte le attrezzature tecniche), mi avvicino alla

parete semicircolare di fondo della Sala Santa Rita. Lo spazio dell’abside è studiato

per riflettere il suono e l’effetto acustico che percepisco è stupefacente. Sento

distintamente le voci degli avventori del bar che si trova sull’altro lato della strada,

ad almeno 40-45 metri da dove sono io adesso. Le porte della chiesa sono aperte

e certamente è aperta anche la porta del bar, e chi parla lo fa con volumi normali,

ma io ascolto le voci come se fossero a me prossime, diciamo a 2 metri. Anzi le

ascolto più distintamente di quanto fosse se si trovassero veramente a 2 metri da

me, visto che, in quel caso, l’acustica della chiesa, con i suoi tempi di riverbero, mi

impedirebbe un ascolto così distinto. In questo spazio il suono tende a rifrangersi

e riflettersi e solo parlando molto lentamente -e direzionalmente- si riesce a capirsi

senza difficoltà. Intanto in strada squilla un telefono cellulare, un uomo risponde ed io

lo ascolto chiaramente colloquiare con qualcuno che probabilmente si trova a decine

di chilometri da dove ci troviamo noi. E naturalmente, un attimo dopo, squilla il mio

cellulare, con la suoneria saltellante derivata dalla colonna sonora del film di Jacques

Tati, “Trafic”. Non rispondo, e dopo qualche secondo un bip bip elettronico mi avvisa

che è arrivato un messaggio.

Quella che ho appena ascoltato potrebbe essere una composizione elettroacustica creata nell’ultimo decennio, una sintesi di poesia sonora, field recording, elettronica e citazionismo musicale e filmico.Invece non era altro che uno scorcio di un paesaggio sonoro urbano complesso, datato ventunesimo secolo.

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Da sempre siamo immersi, volenti o nolenti, all’interno di dinamiche sensoriali articolate che hanno a che vedere con linguaggi e forme che, col passare del tempo, mutano e si modificano.VISITAZIONI 2015 ha tentato di approcciare, per mezzo dell'opera di artisti "sperimentali", questi linguaggi e queste forme e far il riflettere il pubblico su quale rilievo abbia il suono all’interno della nostra società che, ancor più che di immagini, ci sommerge di suoni, spesso eterogenei e certamente mai “ragionati” (nella loro struttura e nella loro correlazione col resto degli elementi che ci circondano). In termini artistici l’evidenza delle nove installazioni presentate in questa rassegna avrà avuto maggior o minor presa (o fascino) sulle diverse sensibilità di ogni fruitore, ma riteniamo che ancora più importante sia stato “come” questo tipo di ricerca (anche in connubio con discipline come architettura, acustica e fisica) possa aver aiutato coloro che hanno partecipato ad avvicinarsi consapevolmente al suono, non solo in termini di “ascolto personale”, ma anche e soprattutto in termini che diremmo “sociali”.

Giovanni Antognozzi

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musica europea”, ovvero come colui “che si è ricollegato con i principi ancestrali della musica universale”. Fa eco a Viret il compositore e critico musicale inglese David Toop, per il quale Debussy è il vero capostipite dell’intero orientamento di musica sperimentale cui Toop da il nome di ambient, “una cultura eterea, assorbita di profumo, luce, silenzio e suono ambientale, che si è sviluppata in risposta all’intangibilità dei mezzi di comunicazione del Ventesimo secolo". Sia Viret che Toop ricordano, come evento simbolico e spartiacque, il giorno in cui Debussy ascoltò un’esecuzione di musica giavanese all’Esposizione Coloniale di Parigi del 1889. Tale evento, in verità, andrebbe messo in precisa corrispondenza con un successivo evento, parimenti simbolico e spartiacque: il giorno in cui Antonin Artaud vide il teatro balinese all’Esposizione Coloniale del 1931. I due eventi segnano il momento in cui la metafisica sperimentale fa il suo ingresso nelle arti occidentali dello spettacolo nel Novecento. Ma mentre l’ingresso nel polo “teatrale” è stato ampiamente riconosciuto dagli esegeti accademici della teatrologia, quello “musicale” ancora tarda ad essere riconosciuto dagli esegeti accademici della musicologia. Fa eccezione Viret, tra i rarissimi accademici pronti a cogliere le profonde implicazioni, non solo “artistiche”, degli eventi, e a connettere direttamente la soluzione debussiana alla Nuova Musica che emerge a partire dal 1960, ed in particolare al minimalismo. Pur accettando e

“Io non sono interessato all’estetica della mia musica, ma piuttosto alla sua metafisica”. Di chi sono tali parole, abbastanza inconsuete nel mondo dell’arte contemporanea? Sono parole pronunciate, anzi scritte, poco più di un decennio fa, sulla rivista “KunstMusik”, da Tom Johnson, uno dei più interessanti compositori e critici musicali statunitensi degli ultimi decenni. Il breve, ma denso e coraggioso articolo di Johnson, intitolato appunto “Metafisica della Musica”, ci pare offrire la conferma di un preciso orientamento, che il mondo dei suoni ha conosciuto nella seconda metà del Novecento, ma i cui prodromi risalgono alla fine del secolo precedente. Naturalmente non ci riferiamo alla rivoluzione linguistica e grammaticale, che ci raccontano i manuali di storia della musica, ossia all’itinerario che dalla atonalità conduce alla dodecafonia, e poi al serialismo e così via, fino agli ultimi esiti del postmodernismo musicale, itinerario, qualunque sia il giudizio su di esso, del tutto inscritto nel linguaggio musicale post-rinascimentale occidentale, quando, in perfetta conformità alle altre discipline, anche la musica si distaccò da un modo d’essere, che possiamo chiamare “tradizionale”, che la accomunava per molti versi alla gran parte delle tradizioni musicali d’Oriente e non solo. Ci riferiamo invece alla cesura, che potremmo chiamare a ragione rinnovamento nella tradizione, inaugurata in terra di Francia da Claude Debussy, definito da Jacques Viret come colui “che incarna, all’inizio del XX secolo, il vero rinnovamento della

Metafisica Sperimentale della Musica

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sottoscrivendo in pieno la tesi di Viret, consonante del resto con quella di Toop, ci pare che essa vada allargata ed integrata con quella del noto compositore e critico inglese Michael Nyman, che ha esposto, fin nel dettaglio degli aspetti più tecnico-musicali, le caratteristiche che differenziano fra loro musica sperimentale e musica d’avanguardia. I prodromi della separazione fra i due orientamenti sono ancora una volta indicati nella già detta Esposizione di Parigi del 1889, quando l’ascolto della musica balinese e di altre musiche non occidentali suscitò in alcuni compositori (Debussy e Ravel in primis) una musica “che mostrava la consapevolezza dell’esistenza e delle proprietà del suono proveniente da una gamma molto più ampia di sorgenti rispetto a quella dei "puristi" viennesi”. Poi la separazione continua quando John Cage, riprendendo anche gli stimoli di Erik Satie, inaugura una musica sperimentale ben distante (ma pochi all’epoca, e forse anche oggi, lo capirono) dalla musica d’avanguardia, giunta, dopo la dodecafonia, alla sua fase seconda con Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen e sodali vari. Ecco, Nyman ci offre allo sguardo e soprattutto all’ascolto un vasto mondo sonoro, che è punto di raccordo fra “l’emancipazione della consonanza fuori del quadro ormai obsoleto dell’armonia tonale” (come Viret definisce la svolta debussiana) e il minimalismo, definito come “la corrente più innovatrice, vale a dire tradizionale”. Tale vasto mondo sonoro abbraccia non solo Cage e i suoi sodali Morton Feldman, Earle Brown e Christian Wolff, nonché il celebre movimento Fluxus, ma anche le esperienze di musica-teatro elettronica della Sonic

Arts Union, fondata nel 1966 da Gordon Mumma, David Behrman, Robert Ashley e Alvin Lucier. Quest’ultimo, in particolare, ha ampiamente varcato i confini prestabiliti della musica, per indagare le proprietà dei suoni “che non raggiungerebbero mai, in circostanze naturali, le nostre orecchie”, nonché le sostanze “che contengono suoni da liberare successivamente, tramite sistemi più individuali dell’amplificazione”. Quale migliore descrizione, per tornare al nostro assunto, di una metafisica sperimentale della musica? Inoltre, per completare la genealogia musicale, come la musica d’avanguardia (oggi chiamata anche musica colta contemporanea) è inscritta nel linguaggio musicale post-rinascimentale occidentale e nella sua Estetica, così la musica sperimentale (oggi chiamata anche arte sonora) è inscritta nelle proto-installazioni sonore descritte nel Seicento da Athanasius Kircher e nella sua Metafisica. Infine, se la Parigi musicale e cartesiana di Jean-Philip Rameau ha trovato una riviviscenza nell’IRCAM di Pierre Boulez, chissà che la Roma musicale e sincretista di Kircher non potrà trovare una rinascita nei festival VISITAZIONI offerti dall’Associazione Culturale Proposte Sonore di Govanni Antognozzi…

Antonello Colimberti

Riferimenti bibliograficiTom Johnson, “Music Metaphysics”, in “KunstMusik” n. 2, 2004.Jacques Viret, La musica occidentale e la Tradizione. Metamorfosi dell’armonia, a cura di Antonello Colimberti, Roma, Simmetria, 2012,David Toop, Oceano di suono. Discorsi eterei, ambient sound e mondi immaginari, Costa & Nolan, Milano 1999.Michael Nyman, La musica sperimentale, ShaKe Edizioni, Milano 2011.

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TO EXTEND THE VISIBILITYELIO MARTUSCIELLO

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La parte visiva di To Extend The Visibility è interamente basata sulle immagini satellitari del nostro pianeta. Ormai siamo invasi da questo tipo di sguardo che raggiunge i limiti della stratosfera per poi scrutare indietro verso noi stessi, verso le nostre geografie. Questo tipo di estensione tecnologica è ottimizzata per mappare l'intero globo terrestre, per trovare ogni indirizzo, i luoghi che abbiamo visitato o che ancora dobbiamo visitare, per curiosare e vedere dall'alto la nostra casa o quella degli amici. Però se rimoduliamo il nostro sguardo in una direzione più distaccata, estetica, possiamo scorgere enigmatiche forme, colori sensuali (sembrano includere l'intera storia degli ultimi cento anni di arti visive). Invece, la parte sonora si serve da un lato di materiali manipolati fino al punto da renderli "suoni senza mondo", dall'altro di materiali sonori naturali che concretizzano il dato visivo (lo radicano al mondo). Gli elementi sonori hanno la funzione non solo di comporre dei quadri sensoriali in divenire, ma anche di immergere i processi talvolta discreti del visivo in un continuum spazio temporale. Quale potere trasformativo contengono queste tecnologie che costantemente deviano e spiazzano il nostro sensibile ? Fin dove è possibile spingerci con queste estensioni protesiche della nostra sensibilità ?

Elio Martusciello

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ORECCHIE VECCHIE CAVE INCAVATE DI SENTITOALEX MENDIZABAL

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In questa installazione ci sono nove postazioni di orecchie chiuse: Muse. 

Tappi-auricolari simili a delle conchiglie.Una sorta di collezione di filtri uditivi che rendono

profondo, ricco, lungo e variegato il sentir di meno. E che svelano, ispirano e incantano il paesaggio sonoro

attorno al Tempio di Apollo (mentore, questo, delle muse).

Entrate. Avvicinatevi ad ogni postazione e indossate

– con cura, delicatamente – le orecchie. Sentite.

Si consiglia di provare le orecchie almeno per alcuni minuti.

Ascoltate il paesaggio attorno attraverso queste orecchie.

Con calma.Udirete il mondo (almeno Roma)

come non pensavate fosse.Postazioni: Calliope, Clio, Euterpe, Erato, Melpomene,

Polimnia, Tersicore, Talia, Urania.

Alex Mendizabal

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ESTENSIONIALBERT MAYR

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La domanda, se, e se sì in che misura, il parametro estensivo spaziale della lunghezza e quello temporale della durata possano dare luogo a forme simili di percezione ed elaborazione del dato percepito è stato ed è tuttora un punto centrale nella discussione sulle nuove forme notazionali. Molti compositori, nella seconda metà del Novecento, hanno provato a sostituire la notazione simbolica delle durate con una analogica che, appunto, indicava la durata relativa di un evento sonoro attraverso la lunghezza grafica del segno con cui l’evento veniva indicato nella partitura. Tale pratica aveva ed ha la sua giustificazione per le musiche realizzate con suoni sintetici e fissate su supporto, nel qual caso la partitura (se viene redatta) spesso ha la funzione di protocollo (post factum) e non deve servire da guida per un’esecuzione dal vivo, e sarebbe un po’ curioso cercare di indicare le durate di suoni elettroacustici realizzati in studio con i simboli notazionali della musica strumentale. Per quest’ultima invece si è presto rivelata la superiorità in quanto facilità di lettura della notazione simbolica (tralasciamo la discussione sugli altri tentativi di notazione durazionale che pure ci sono stati). La questione è stata discussa molto meno sul lato dei fruitori, praticamente non sappiamo ancora se in un contesto spaziale con evidenti e marcate estensioni spaziali nel quale sono presentati avvicendamenti sonori con durate aventi gli stessi rapporti, tale “parentela” venga avvertita o addirittura dia luogo ad una particolare fruizione estetica. È la questione che ho voluto mettere alla base di Estensioni. Sono evidenziate 4 estensioni spaziali nella chiesa di Santa Rita (la massima e la minima in verticale, e la massima e la minima in orizzontale). I rapporti tra quelle estensioni formano lo scheletro dell’articolazione delle durate dei materiali audio e delle pause. Le luci stesse sono temporizzate negli stessi rapporti (moltiplicati rispetto ai valori per l’audio).Il lavoro non vuole essere una ricerca sinestesica su suono e luce (ritengo la sintestesia un terreno scivoloso e poco promettente), ma si prefigge di creare un ambiente spazio-temporale di cui, forse, si potrà cogliere gli elementi comuni a spazio e tempo.

Albert Mayr

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RED LINESPETRI KULJUNTAUSTA

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Nell'installazione Red Lines, un suono a bassa frequenza crea risonanze che vengono trasmesse ad un sistema di luci laser e specchi. Ciò che emerge è una sorta di “pittura luminosa” nata dal suono. Per mezzo di rifrazioni e moltiplicazioni, una versione ridisegnata del suono viene diffusa all’interno dello spazio della Sala Santa Rita, dove lo spettatore può concentrarsi per sperimentare la connessione tra il suono, luce ed il movimento.Io uso spesso le basse frequenze tra i 24 - 30 Hertz nelle mie installazioni sonore, per rendere efficace e visibile il movimento in diversi materiali, come la sabbia, un foglio di pellicola o l’acqua.

La frequenza del suono che uso in Red Lines è di 26 Hertz. Questa frequenza è la fonte per il movimento della luce che genera i disegni. Quando l'altoparlante non produce alcun suono, i raggi laser sono fermi e creano solo piccoli punti rossi nello spazio. Quando il suono inizia, i puntini comincia a muoversi e a creare dipinti di luce sulle superfici architettoniche dello spazio.La maniera in cui i laser sono collegati al cono dell'altoparlante, influisce sulla forma dei disegni. Ho provato molti modi diversi per collegare i laser fino a quando ho trovato la soluzione migliore. Flessibili, simili a delle molle, questi collegamenti aumentano la vibrazione meccanica e rendono i disegni dei laser più interessanti.

Ma i laser creano molto raramente dei disegni interessanti appena collegati al cono dell'altoparlante. Hanno bisogno di una messa a punto. Se il disegno è poco interessante, posso cambiare la direzione e l'angolo del modulo laser. Lo piego e lo sposto, poco a poco, fino a quando la risonanza crea un disegno interessante.

Poi passo al laser seguente e sintonizzo anche quello. E così via, finché non ho perfezionato tutti i laser che sono collegati al cono

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dell'altoparlante. Ogni luce laser crea il proprio tipo di pittura.

Mi può influenzare l'aspetto dei disegni, ma le forme non sono completamente sotto il mio controllo. Il processo di disegno è in parte accidentale e per me questo è interessante. La mia intenzione è quella di creare il lavoro e avviare il processo, ma non c'è bisogno di controllarne tutti i dettagli. Mi piace comunicare con la tecnologia e se il feedback è un po' diverso da quanto mi aspettassi, cerco di trovare le procedure che mi aiuta a ottenere i migliori risultati fuori dal sistema. Ogni volta che installo Red Lines in uno spazio diverso, i disegni dei laser hanno un aspetto completamente diverso.

Lo spazio centrale della Sala Santa Rita ha la forma di un ottagono schiacciato, con una superficie di circa 100 metri quadrati. I componenti fisici delle linee rosse sono al centro dello spazio. Al centro vi è un woofer e intorno ad esso sono posizionati 6 specchi rotondi (specchi Dibond) in una formazione circolare. Il diametro totale dell'impianto è di 6 metri. Il diametro di ogni specchio è di 60 centimetri. I moduli laser (anch’essi 6) sono collegati al cono dell'altoparlante. Le luci laser sono dirette agli specchi, e questi riflettono i raggi intorno allo spazio della Sala Santa Rita. La distanza tra i disegni e l’installazione è di circa 10/20 metri. I laser disegnano le immagini sopra l'altare, sulle pareti e sul soffitto.

Petri Kuljuntausta

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TERRE RAREGIANFRANCO PERNAIACHI

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Attraversando insieme Terre Rare

ti suggerisco sommessamente

- fra il gocciolio della fontana esterna…

poche note rintoccanti nel portico…

la musica delle foglie e accenni di pensiero…

l’evocatività delle rovine -

l’unione d’ogni momento cosiddetto reale.

Ascolterai tutto questo?…

ti visiterà, parlando nell’intimo?

Risuonerà l’invito: “siediti e dimentica”?

Gianfranco Pernaiachi

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FORSE STANOTTE (OPERETTA INUTILE)LUCA MITI

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“Forse stanotte” è un'operetta (inutile) che è tutto tranne che un'operetta, nata dalla fretta, forse anche dall'emergenza, fors'anche dalla necessità, benché non immediatamente percepibile. Una commissione? Fors'anche, ma, alla fine, certo non solo.Un solo interprete, forse due.Soprattutto, un'operetta non divertente - persino noiosa, come la vita reale.

Soprattutto, tanto silenzio. Tanto che sovrasta ogni altro suono; ogni altra cosa. E, soprattutto, si può solo sussurrare, solo sfiorare. Sfiorare, appunto, perché si parla di cose impossibili da dire, e la delicatezza, infinita, può essere l'unico approccio possibile.Anche nel titolo - "stanotte", ma solo "forse": niente di certo di quel qualcosa che forse accade o che è accaduto (e il Visitatore domanderà di ciò che è accaduto, e forse resterà senza risposta).Un'operetta non divertente, si diceva: di più, un'operetta che è il contrario di un'operetta nella sua (infinita) tristezza. Oltre che nella sua struttura: mai canto (solo voce parlata, come nellavita reale, appunto; benché...), (quasi) nessuna musica (a parte "quel" carillon...) (*).E poi il lavoro sulla scena: poche luci, come prescritto dalla partitura, di quelle che erano vere e proprie "luminarie", una volta.E soprattutto il lavoro sulla memoria, alcune volte (pre)scritta, altre lasciata all'"improvvisazione", vera memoria attuale (mai improvvisazione in realtà).Tutto questo è "Forse stanotte": un'operetta alla fin fine inutile.E forse questo è un testo da non rivelare mai.

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Mia madre, si dice, da giovane cantava l'operetta (esistono comunque alcuni ingialliti programmi di sala a testimoniarlo. Peraltro, si dice anche che Beniamino Gigli la ascoltò cantare, giudicandola portata per il canto. Da altre fonti invece si parla di canzoni, non di operetta. La questione non è chiara).Esiste poi un pianoforte (al momento non siamo a conoscenza della marca, peraltro facilmente reperibile, trovandosi tale pianoforte ancora nel luogo originario; tale pianoforte fu poi sostituito, o meglio "barattato", con un Hoffmann & Kühne fabbricato a Dresda) dove è certo che studiasse piano, sempre da giovane, probabilmente insieme alla sorella.Della sorella non si sa molto, dal punto di vista musicale: non se ne conoscono i risultati come studentessa di piano ed è quasi certo che non si dedicò mai al canto.Roma, primi due mesi del 2011

(*) I canoni dell’operetta vengono stravolti; o forse invece estremizzati (“aumentati”), portati ad un limite estremo: le parti parlate, tipiche dell’operetta, deflagrano e debordano a tutta la durata del pezzo – certo, solo dove concesso dal silenzio (non pause: è proprio silenzio) che, questo si, invade tutto lo spazio, e in realtà ben poco ne rimane al testo; e “’quel’ carillon” (a anche qualche frase, e l’unica citazione) diventano punti nodali, raggelanti nella loro brevità: nodali e raggelanti proprio perché brevi, e forse anche viceversa.

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NOTA SU DI UNA INSTALLAZIONEUn'operetta (inutile) - un'installazione.Un'operetta dilatata a più giorni («come la vita reale», certo).Si tratta(va) di disporre (dilatare, appunto) i materiali dell'operetta lungo una struttura temporale coerente. Quella di un mio lontano lavoro (*) mi sembrava adatta allo scopo: un lavoro mai realizzato da cui estrarre i luoghi temporali degli eventi sonori dell'operetta. Una struttura rigorosa, un'ora di musica con eventi sonori disseminati regolarmente all'interno di circa 60 minuti.Poi ho cominciato a mettere in fila gli oggetti, i soprammobili, e quel rigore è in qualche modo scomparso: disponevo le cose secondo il mio gusto (o secondo il gusto di qualcun'altro), secondo una regolarità, un «rigore», appunto, tutti interni ed incontrollabili, almeno a livello logico, o meglio, cosciente.Quella struttura temporale che si voleva rigorosa è alla fine diventata un (quel?) vecchio comò dove si accumulano soprammobili, oggetti inutili, polvere. E vissuto (**).

Luca Miti - Morlupo, settembre 2015

(*) Era il 2011, ma era un lavoro «lontano» in tutti i sensi, almeno dall'oggi: si trattava di «Aurelio (Musica per «Tavola Italia»)», la parte sonora commissionatami da Anton Roca per un suo lavoro, poi mai eseguita.(**) Qui ci sarebbe da aprire una parentesi sulla questione del site-specific: questa «versione» della mia operetta inutile è site-specific o no? E' un lavoro che entra in relazione con i suoni ambientali del luogo, o addirittura con la sua «sacralità»? La risposta a caldo sembrerebbe decisamente, per tutte le domande, negativa, ma se si considerano gli aspetti che hanno dato luogo all'operetta la prospettiva si rovescia completamente. E allora, certo, non stiamo parlando di una chiesa specifica, ma ora il riverbero e le risonanze della chiesa di Santa Rita saranno le benvenute, considerando che, da qualche parte, e questo è un piccolo segreto, «Forse stanotte», pur essendo un'operetta inutile, aspira alla maestà di un requiem...

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NON DIRE (NIENTE)XABIER ERKIZIA

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Armand Robin nacque nel 1912 in Bretagna. Appena finiti gli studi, e cosciente che il suo interesse per le lettere era significativamente maggiore di quello che sentiva per i numeri, trovò il suo luogo nell'effervescente mondo letterario della Parigi fra le due guerre mondiali. Poco più che ventunenne, attratto principalmente dall'ideologia comunista ma anche dalla cultura del paese, partì pellegrino in Unione Sovietica. Dopo essere entrato nel paese come turista e insoddisfatto da quel che le guide ufficiali mostravano, decise di scappare e conoscere di prima mano la realtà delle zone rurali del paese. Lì conobbe l'altra faccia del Comunismo. Lì vide per la prima volta i capitalisti godere, secondo le sue testimonianze. Ma sopratutto nell'estinta URSS ha conosciuto la manipolazione massiva esercitata dal sistema di comunicazione e propaganda più grande di tutta Europa. Per questo, quasi come terapia per controllare il collasso interiore che gli procurava il grande contrasto esistente tra i suoi pregiudizi idealizzati e la cruda realtà, divenne un ascoltatore professionale. Il poeta, traduttore e saggista plurilingue (parlava più di 20 lingue e riusciva a capirne 41) Robin divenne “un ascoltatore specializzato in ciarlataneria e dicerie”. O, detto in altro modo, divenne un ascoltatore–spia delle onde radio. Per intraprendere quest’opera cominciò a lavorare per i servizi di sicurezza del governo francese e continuò a farlo anche durante l'occupazione Nazista ed il regime di Vichy. In quell'epoca iniziò a scrivere i suoi primi bollettini d'ascolto, dove segnava ogni sorta di dettaglio e analizzava quel che aveva ascoltato. Fu lì che iniziò la sua condanna:

Ogni notte, ho il bisogno di diventare tutti gli uomini e tutti i paesi. Quando cade l'ombra, mi assento dalla mia vita e le

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audizioni radio che regalo a me stesso mi aiutano a conquistare fatiche in verità più riparatrici di qualsiasi sonno. Cinesi, giapponesi, arabi, spagnoli, tedeschi, turchi, russi … emettono sopra di me il loro piccolo rumore, mi incitano ad abbandonare i miei cerchi; salto il muro dell'esistenza individuale; attraverso la parola altrui, assaporo meravigliosi divertimenti notturni dove nulla di me riesce a spiare me stesso.

Nel 1942, dopo aver abbandonato il suo posto nell'amministrazione ed essere stato allontanato, ingiuriato e censurato dai circoli letterari vicini all'ideologia comunista - che davano a Robin del collaborazionista -, continuò a pubblicare per suo conto i bollettini insieme ad altri scritti. E nella misura in cui i suoi ascolti divennero più intensi, anche i suoi scritti si fecero più radicali. Le ferite della propaganda sovietica ed il rifiuto di quelli a lui vicini lo fecero diventare l'ascoltatore più critico che si potesse immaginare.

Senza parola, sono tutto parola; senza lingua sono ogni lingua. Dalla mescolanza di tutte le lingue, sento la composizione di un non-linguaggio indicibilmente rumoroso.Se il dittatore possedesse incondizionatamente, come nel suo sogno, l'universo intero, stabilirebbe un gigantesco sproloquio permanente dove in realtà non si sentirebbe altro che uno spaventoso silenzio. “Il medioevo”, “la mentalità primitiva” hanno cominciato a esistere davvero soltanto nella nostra epoca. Una buona parte dell'umanità attuale non desidera assolutamente la vera parola.

Xebier Erkizia

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MOBILE/IN CASO DI PIOGGIAMARCELLO LIBERATO

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Ascoltare il suono della pioggia è ascoltare il suono di quanto dalla pioggia viene percosso. Il paesaggio sonoro e l'accordatura del mondo sono cose differenti. Una installazione sonora ed una installazione sul suono, anche.Questa installazione è sonora in caso di pioggia.Altrimenti potrebbe rimanere silenziosa, oppure, se si preferisce, avere lo stesso suono prodotto da una goccia di pioggia nell'istante in cui si separa dalle nuvole.

Marcello Liberato

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MEV'S GLASS PIANOALVIN CURRAN

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Quando il gruppo Musica Elettronica Viva fu fondato a Roma (in una vecchia fonderia a Trastevere) nel

1966, Frederic Rzewski dichiarò che non avrebbe più suonato il pianoforte ... Al suo posto aveva un pezzo

di vetro (circa 60x40 cm) tagliato a forma di un pianoforte a coda (visto dall’alto) che aveva posizionato

su una piccola struttura a quattro zampe e a cui aveva collegato dei microfoni a contatto. Il suo stridere,

graffiare e tamburellare su questo fantastico strumento ha dato a MEV il suo suono più distinto. La mia

idea è stata quella di presentare un oggetto di vetro simile che, invece di essere suonato, suona esso

stesso, facendo emergere la musica dal vetro come per magia.

Alvin Curran

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Il festival VISITAZIONI si è svolto nell'ambito di AUTUNNO

CONTEMPORANEO, presso la Sala Santa Rita ed il Cortile del Tempio

di Apollo in Circo ed è stato coprodotto dall’associazione culturale

PROPOSTE SONORE, con la promozione di ROMA CAPITALE - Assessorato

Cultura e Sport ed il patrocinio di Ambasciata di Finlandia, Ass. Culturale

dei Paesi Baschi “Euskara”, FKL - Forum per il Paesaggio Sonoro

Coordinamento: Dipartimento Cultura - Servizi Spazi Culturali

Direzione Artistica: Ass. Culturale Proposte Sonore

Supporto organizzativo: Zètema Progetto Cultura

Media Partner: Radio Roma Capitale, Urban Experience, NERO

Partner Tecnico: Music Hall Service

Grazie per il supporto e l'aiuto:

Sabina, Alice, Lorenzo, Marco & Chiara, Dott.ssa Pirkko Rossi dell'Ambasciata di

Finlandia, l'Associazione Culturale Euskara, Antonello Colimberti, Domenico Gloriani,

Aldo Codan, Bruce McCLure, Luca Spagnoletti, Salvatore Cammarata, Mike & Maria,

Pietro D'Agostino, Carlo Infante, Tiziana Fratini, Hanna ed Emilia Kuljuntausta, Valerio

Mannucci, Piero Scalferri, Marco Tempera, Stefano, Andrea "Bubi", Antonio e tutto il

pubblico che ha partecipato o che semplicemente ... si è incuriosito.

Direttore Artistico:

Giovanni Antognozzi (Proposte Sonore)

Logo e Design Grafico:

Alice Antognozzi

Relazioni Esterne:

Lorenzo Antognozzi

Consulente Audio:

Filippo Torre

Fotografie:

Marco Minciarelli & Alice Antognozzi

per ulteriori informazioni, bio ecc.:

www.propostesonore.org

www.antsrecords.com

VISITAZIONIFestival Internazionale di Arte Sonora, Roma 2015

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ELIO MARTUSCIELLOALEX MENDIZABAL

ALBERT MAYRPETRI KULJUNTAUSTA

GIANFRANCO PERNAIACHILUCA MITI

XABIER ERKIZIAMARCELLO LIBERATO

ALVIN CURRAN