voci dal mare
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"Con questo lavoro ho cercato [...] di sottolineare il potere strutturante dello scontro: la difficoltà nel "modellizzare" l'altro significa essere messi faccia a faccia con la difficoltà a modellizzare sé stessi, a definire sé stessi. Lo scontro con l'alterità è in questo senso scontro con sé stessi; per questo ci fa paura e per questo è necessario recuperare la nostra radicalità. "TRANSCRIPT
2
A Hussam, Stephane, Hasan,
Rose, Sibilla, Jamila,
Abdullahi, Majida, Ruth
che mi hanno reso possibile
comprendere
l'incomprensibile;
a Vanessa e al suo
sguardo sul mondo;
a Ibrahim
e al suo lungo viaggio;
a mia madre, mio padre,
Giovanni, Chiara, Antonio, Laura,
Marco, Fabrizio e il GT7
che sono il mio oikos;
alla Puglia e a Torino,
che sono le mie polis.
3
4
Introduzione
5
"Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: «Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
E tu che se’ costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti."1
Ibrahim è un migrante e arriva in Italia dopo un viaggio infernale nell'estate del 2011, tutto
intorno a lui è un caos di lingue... volti... pasticci burocratici.
Ibrahim ha occhi grandi e un grande sorriso ma è diffidente allo stesso tempo, è messo da
parte da altri connazionali... ma anche dal resto del mondo... fondamentalmente è una
persona, in questo momento, sola e profondamente lontana da casa.
Al suo arrivo in Italia, dalla Guinea porta con sé un mondo di esperienze già vissute nonostante
non abbia ancora compiuto trenta anni.
Ibrahim cerca di nascondere un segreto che sente come una dannazione, cerca di nascondersi
aggirandosi per le stanze evitando qualsiasi contatto con chiunque. E chiunque lo evita.
Ibrahim cerca di proteggersi mettendo la testa tra i due cuscini di una poltrona... a volte
letteralmente sente il suo segreto sussurrargli qualcosa... per gli Psichiatri e i medici che lo
vedranno si tratta di una "sintomatologia delirante accompagnata da fenomeni dispercettivi"...
più semplicemente Ibrahim sente delle voci e ora dovrà cominciare un altro difficile viaggio:
"Tutte queste persone descrivono il proprio 'viaggio' verso la guarigione: come ora accettano le voci in quanto
parte di sé e personali e come hanno imparato a fronteggiarle e a cambiare il rapporto con loro. Hanno scoperto
che le loro voci non sono segno di pazzia, bensì una reazione a determinati problemi di vita che prima non
sapevano come affrontare e gestire e hanno riscontrato il fatto che c'è un rapporto tra le voci e la storia della vita,
che le voci parlano di problemi che la persona non ha risolto, e che pertanto le voci hanno un senso."2
Io sono lo Psicologo del centro di accoglienza che lo seguirà per due anni e questa è la sua
storia... ma è anche la mia, di storia.
1 Alighieri Dante, La Divina Commedia, L'inferno, canto III, versi 82-89
2 Romme M., Escher S., Dillon J., Corstens D., Morris M., Vivere con le voci, 50 storie di guarigione, Mimesis Edizioni,
Milano-Udine 2010, pag. 14
6
Ibrahim
7
"Safe european homes built on wars
You don't like the effect don't produce the cause
The chip is in your head not on my shoulder
Total control just around the corner
Open up the floodgates Time's nearly up
Keep banging on the wall of Fortress Europe
Keep banging
Keep banging on the wall of Fortress Europe
We got a right, know the situation
We're the children of globalisation
No borders only true connection".3
Contrariamente a tutti quei metodi che cercano di spiegare la psiche umana in termini statici,
la terapia della Gestalt si basa su un processo dinamico. Essa s'interessa al costante processo
di assestamento necessario tra l’individuo e l’ambiente circostante che cambia regolarmente.
Secondo questa visione, è indispensabile capire il carattere indissociabile dell’unità organismo-
ambiente.
"Negli esseri animali, non esiste funzione alcuna che si svolga indipendentemente dall'oggetto o dall'ambiente,
sia che si tratti di funzione carattere vegetativo, come la nutrizione e la sessualità, o di natura percettiva, o di
origine motoria, o ancora dell'atto di sentire o di ragionare. [...] Questa integrazione tra l'organismo e il suo
ambiente nello svolgimento di ogni funzione la chiameremo 'campo organismo/ambiente' [...] Da un simile punto
di vista, ad esempio, anche i fattori storici e culturali non possono più venir considerati come condizioni che
complicano o modificano una situazione bio-fisica più semplice, ma sono intrinseci al modo stesso in cui ciascun
problema ci si presenta."4
La visione che Perls, e l'approccio terapeutico gestaltico nella sua interezza, offrono dell’uomo
è quindi quella di un organismo in perenne tensione dialettica che oscilla costantemente tra
molteplici bisogni e stimoli biologici, psicologici e sociali. L’organismo si adopera al fine di
mantenere un equilibrio omeostatico; ogni nuovo bisogno che sopraggiunge scuote l’equilibrio
preesistente rendendo necessaria la ricerca da parte dell’organismo di risposte e azioni che
permettano di raggiungere una nuova omeostasi.
Un modello sano di funzionamento prevede, dunque, un continuo, armonico e ritmato processo
di apertura e chiusura verso l’ambiente. Uno dei principali obiettivi della terapia della Gestalt è
3 Asian Dub Foundation, Fortress Europe, disponibile all' URL https://www.youtube.com/watch?v=eMXKt99W61A, 13
Luglio 2014 4 Perls F., Hefferline R.F., Goodman P., Teoria e pratica della terapia della Gestalt, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1997,
pagg. 38-39
8
di ripristinare l’autoconsapevolezza che viene a mancare quando si manifesta un disturbo
psicologico; ciò può essere fatto ristabilendo la capacità di discriminazione del soggetto,
aiutandolo a scoprire cosa è e cosa non è lui stesso, cosa lo realizza e cosa lo frustra. La
persona viene guidata verso l’integrazione, nella ricerca del giusto equilibrio e del confine tra
sé e il resto del mondo.
In questo lavoro di tesi, e in particolare proseguendo in questo capitolo, si cercherà quindi di
inquadrare il percorso terapeutico e il rapporto terapeutico tra me e Ibrahim fornendo
un'ampia cornice di riferimento inerente alla storia e alla situazione attuale del fenomeno
migratorio in Italia focalizzato nel periodo 2011 - 2014, il periodo di permanenza di Ibrahim in
Italia.
Ibrahim arriva presso la casa accoglienza il 18 Luglio 2011; arriva in un momento di grande
frenesia: dagli iniziali trenta migranti con i quali il centro "hotel Giglio" aveva cominciato il
percorso di accoglienza, si arriverà rapidamente a una media di 170 ospiti. Ibrahim è il
centoseiesimo ad arrivare da noi. Appena arrivato in Italia, Ibrahim entrerà a pieno titolo in un
poderoso progetto di accoglienza, almeno per ciò che concerne i finanziamenti erogati, che
verrà chiamato "Emergenza Nord Africa" (ENA).
Siamo per l'appunto nell'estate del 2011 e l'onda lunga della "Primavera Araba" attraversa il
Mediterraneo mostrandoci, ancora una volta se fosse necessario, di come le popolazioni siano
interconnesse tra loro ormai e rendendo consapevole la "Fortress Europe" che si trova a un tiro
di schioppo da quella che, secondo molti osservatori politici, è l'area geopolitica più complicata
del pianeta Terra.
"Primavera araba (in arabo ت ورا ث ة ال ي رب ع al-Thûrât al-‘Arabiyy; letteralmente ribellioni arabe o ال
rivoluzioni arabe) è un termine di origine giornalistica utilizzato perlopiù dai media occidentali per indicare una
serie di proteste e agitazioni cominciate tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011. I paesi maggiormente coinvolti
dalle sommosse sono la Siria, la Libia, l'Egitto, la Tunisia, lo Yemen, l'Algeria, l'Iraq, il Bahrein, la Giordania e il
Gibuti, mentre ci sono stati moti minori in Mauritania, in Arabia Saudita, in Oman, in Sudan, in Somalia, in
Marocco e in Kuwait. Le vicende sono tuttora in corso nelle regioni del Medio Oriente, del vicino Oriente e del
Nord Africa."5
Le proteste cominciano il 18 dicembre 2010 in Tunisia in seguito alla protesta del venditore
ambulante Tunisino Mohamed Bouazizi. Bouazizi si dà fuoco in seguito ai maltrattamenti e al
sequestro della sua merce da parte della polizia. Si tratta della scintilla che fa scoccare
5 Wikipedia, Primavera Araba, disponibile all'URL http://it.wikipedia.org/wiki/Primavera_araba, 13 Luglio 2014
9
l'incendio; in tutta l'area nordafricana e del vicino Oriente cause quali la corruzione, l'assenza
di libertà individuali, la violazione dei diritti umani, le condizioni di vita che in molti casi
rasentano la povertà estrema, la crescita del prezzo dei generi alimentari...in poche parole la
fame, sembrano trovare uno sfogo nella protesta di milioni di giovani...in alcuni casi è Guerra
Civile vera e propria.
In un clima simile il 16 febbraio 2011 si verificano nella città di Bengasi scontri tra
manifestanti e la polizia sostenuta da militanti del governo. Il giorno dopo si registrano
numerosi morti in accesi conflitti sempre a Bengasi, ormai città simbolo della rivolta libica che
intende attuare la cacciata del capo del paese al potere da oltre quarant'anni: il dittatore
Muammar Gheddafi. Nello stesso giorno milizie giunte da Tripoli a Beida, nell'Est della Libia,
colpiscono i manifestanti causando morti e numerosi feriti. Il 20 febbraio il numero delle
vittime si avvicina a 300 morti e il 21 febbraio la rivolta si allarga anche alla capitale Tripoli,
dove contestatori danno fuoco a edifici pubblici. Nella stessa giornata a Tripoli il governo fa
ricorso a Raid dell' aviazione su manifestanti per soffocare la protesta. Il 21 febbraio
cominciano i tradimenti politici: la delegazione libica all'ONU prende nettamente le distanze dal
leader Gheddafi. Il vice ambasciatore libico all'Onu Ibrahim Dabbashi, accusa il colonnello di
essere colpevole di genocidio e di aver praticato crimini contro l'umanità. Il terreno ormai è
pronto per un gattopardesco intervento armato dell'Occidente.
"L'intervento militare in Libia del 2011 è iniziato il 19 marzo ad opera di alcuni paesi aderenti all'Organizzazione
delle Nazioni Unite autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza che, nel marzo dello stesso anno,
ha istituito una zona d'interdizione al volo sul Paese nordafricano ufficialmente per tutelare l'incolumità della
popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste a Mu'ammar Gheddafi e le forze ribelli nell'ambito della
guerra civile libica. L'intervento è stato inaugurato dalla Francia con un attacco aereo diretto contro le forze
terrestri di Gheddafi attorno a Bengasi, attacco seguito, qualche ora più tardi, dal lancio di missili da crociera tipo
"Tomahawk" da navi militari statunitensi e britanniche su obiettivi strategici in tutta la Libia. Gli attacchi,
inizialmente portati avanti autonomamente dai vari paesi che intendevano far rispettare il divieto di sorvolo, sono
stati unificati il 25 marzo sotto l'operazione Unified Protector a guida NATO. La coalizione, composta inizialmente
da Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Francia, Norvegia, Qatar, Spagna, Regno Unito e USA, si è espansa nel
tempo fino a comprendere diciannove stati, tutti impegnati nel blocco navale delle acque libiche o nel far
rispettare la zona d'interdizione al volo. I combattimenti sul suolo libico tra il Consiglio nazionale di transizione e le
forze di Gheddafi sono cessati nell'ottobre 2011 in seguito alla morte del Ra'is. Conseguentemente, la NATO ha
cessato ogni operazione il 31 ottobre. I vari paesi hanno assegnato alle proprie missioni nomi differenti: Odyssey
10
Dawn gli Stati Uniti d'America, la Danimarca, la Norvegia e l'Italia, Ellamy il Regno Unito, MOBILE il Canada,
Freedom Falcon il Belgio e Harmattan la Francia."6
E' proprio questo crocevia della Storia che porterà Ibrahim in Italia e che ci permette di
comprendere meglio la portata sociale, umana e politica che i migranti giunti da noi nell'estate
del 2011 portano con sé.
Come si può notare, il 2011 rappresenta una cuspide nel grafico e questa è una condizione
abbastanza naturale se si considera che la particolare posizione geografica dell'Italia la vede
spesso come terra di sbarco (ma soprattutto come terra di passaggio verso il resto dell'Europa)
da parte di profughi in fuga da zone di guerra; e questo spiegherebbe la cuspide anche in
corrispondenza del 2014 e in corrispondenza quindi del conflitto Siriano. Tuttavia nel 2011 fu
tutto più complesso. I migranti arrivati sulle coste italiane dal mese di Maggio e subito
inquadrati all'interno del progetto ENA, sono per la stragrande maggioranza Tunisini (hanno
attraversato l'Italia per raggiungere la Francia e al confine sono stati rispediti indietro) o
6 Wikipedia, Intervento militare in Libia nel 2011, consultabile all' URL
http://it.wikipedia.org/wiki/Intervento_militare_in_Libia_nel_2011, 13 Luglio 2013
11
provenienti dalla Libia. Ma attenzione, nessuno di essi è un cittadino Libico! Sono Guineani,
Maliani, Nigeriani, Camerunensi, Congolesi, Pakistani, Bengalesi, Burkinabè, Ghanesi,
Sudanesi, Ciadiani, Nigerini, Liberiani, Ivoriani...e su di essi portano gli strascichi di un duplice
orrore.
"Dunque la crescita, in Libia, del numero d'immigrati provenienti dall'Africa sub sahariana è veramente
impressionante. Il dato effettivo si situa all'interno di un'ampia forbice oscillante tra 1,5 e 2,5 milioni."7
Sia per la posizione geografica sia perchè si tratta di un paese immenso, ricco di risorse e
sottopopolato (circa 6,5 milioni di abitanti), la Libia rappresenta uno snodo cruciale dei
fenomeni migratori. Nel 2011 una percentuale di poco meno di un quarto dell'intera
popolazione Libica proviene da altri stati, in moltissima parte dalla cosiddetta area Sub
sahariana. I migranti svolgono i lavori più disparati e la quasi totalità NON è di passaggio verso
l'Europa, come dimostrano le statistiche: sono muratori e operai edili, imbianchini, piccoli
commercianti, agricoltori al servizio di latifondisti, agenti della security di multinazionali
europee e americane, non raramente insegnanti di lingua Francese e Inglese e, spesso, nel
caso di giovani donne, prostitute nelle Case di Piacere. Molti di loro, tra cui Ibrahim, hanno
quindi trovato un modo di sostenere le proprie famiglie economicamente e spesso hanno già
ricongiunto la propria famiglia in Libia. Altri casi, e spesso si tratta di minori e donne, sono
stritolati dal drammatico vortice del traffico di esseri umani.
7 Pliez O., La frontiera migratoria tra la Libia e il Sahel. Uno spazio migratorio rimesso in discussione, disponibile all'URL
http://www.altrodiritto.unifi.it/frontier/storia/pliez.htm, 13 Luglio 2014
12
Un duplice orrore quindi, da una parte le intuibili difficoltà dovute all'intensa esposizione
all'ignoto che la migrazione porta in sé, nel migliore dei casi (nel peggiore si tratta di vera e
propria compravendita di merce umana); dall'altro l'utilizzo militare che il governo Libico, ormai
in rotta di collisione, decide nella primavera del 2011. Senza più l'appoggio politico d'interi
strati di popolazione, "abbandonato" dall'alleato Europeo (l'Italia che partecipa all'embargo con
la NATO), Gheddafi, come ci rivela il leader del CNT8 Mahmud Jibril, decide di dedicare il porto
di Zuwarah, ancora sotto controllo dell'esercito governativo, all'imbarco forzato di decine di
migliaia di stranieri. Viene requisito qualsiasi tipo d'imbarcazione, senza particolari verifiche se
possano o no reggere il mare, e su di esse vengono imbarcati, dopo un'accurata ispezione e la
conseguente distruzione di apparecchi digitali e di qualsiasi documento d'identità, gli stranieri.
Circa 15.000 di essi provengono da campi di prigionia istituiti dopo gli accordi Italo-Libici del
2009 al fine di contenere "l'immigrazione clandestina", altri sono rastrellati per le strade e nelle
case, altri ancora si presentano spontaneamente ai vari porti sulla costa stretti tra
l'impossibilità di tornare a casa e le bombe di una guerra che ormai è entrata nella sua fase più
cruenta. Gheddafi lancia così la sua offensiva al Vecchio Continente e in particolare alla
traditrice Italia: una vera e propria bomba di carne umana diretta verso le coste siciliane atta a
far desistere i dirimpettai nel proseguire le attività militari dell'operazione Odissey Dawn
cavalcando le italiche isterie securitarie in materia d'immigrazione...ovviamente possiamo solo
contare chi è arrivato e non sapremo mai quanti sono morti nelle acque del Mare Nostrum.
Ibrahim è tra quelli che sono arrivati.
8 Il Consiglio Nazionale di Transizione Libico
13
E' utile a questo punto aggiungere un successivo tassello a sostegno di queste analisi: si tratta
di un interessante punto di vista promosso dall'antropologo Francesco Remotti durante un
convegno a Torino.9 Remotti ipotizza l'esperienza di Primo Levi narrata nel "Se questo è un
uomo"10 seguendo una vera e propria etnografia dei campi di sterminio; il lager diventa un
gigantesco, drammatico e orrorifico esperimento sociale. Il lager separa ciò che è nocciolo da
ciò che è acquisito nell'animale uomo: elimina il nome, elimina i vestiti, elimina i capelli, riduce
la pelle allo spaventoso minimo, annulla le reti sociali convenzionali. Cosa resta? Secondo
Remotti e Levi il nulla...il vuoto! E' la distruzione dell'umanità; il nocciolo, il nucleo non esistono
e quindi la dimensione relazionale coincide con la persona stessa. Non è difficile immaginare,
pur con le debite distinzioni, le somiglianze dell'orrore descritto da Levi con la condizione di un
qualsiasi migrante. Senza documenti, senza vestiti e scarpe, senza alcuna possibilità di
contatto con la famiglia, spesso con armi puntate e costretto a gettare fuori bordo il corpo di
compagni di viaggio (a volte ancora vivi) per mantenere in un costante precario equilibrio la
linea di galleggiamento della carretta o l'equilibrio del Van che si inerpica sulle dune, mentre
tutto intorno è un deserto di sabbia o acqua. Appunto, cosa resta?
E' da questo punto di partenza di estrema fragilità della condizione umana che si dipana il
lavoro terapeutico con un paziente migrante, soprattutto durante il primo periodo successivo al
suo sbarco.
Che cosa succede, però, quando nell'estate del 2011 decine di migliaia di migranti sbarcano a
Lampedusa? La risposta della politica è nel più classico "non sapere che pesci pigliare"... si
dichiara l' Emergenza Nord Africa e dal mese di Maggio 2011 alla fine dell'estate è
letteralmente il caos. I Tunisini che sono stati rispediti in Italia ottengono subito un permesso di
soggiorno temporaneo, della durata di sei mesi con la possibilità di lavorare; gli altri
cominceranno un calvario legale che in alcuni casi durerà più di un anno e mezzo.
Quella che si profila è una vera e propria schizofrenia organizzativa di tutti i settori politici e
amministrativi dello Stato competenti in materia d'immigrazione. Cooperative, associazioni e
lavoratori del settore, nel migliore dei casi si trovano a impelagarsi in pasticci burocratici e
legali che praticamente rendono impossibile il percorso di sostegno psico-sociale dei migranti
accolti; nel peggiore dei casi sono conniventi nello spartirsi l'immensa torta dei finanziamenti
stanziati: la somma più grande mai vista prima in un programma di accoglienza, quasi un
9 Il convegno s'intitolava "Migrazioni di Popoli, pluralità di cure". Convegno promosso dal centro Mamre e svoltosi a
Torino il 21 Novembre 2011 10
Levi P., Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1976
14
miliardo e mezzo di Euro, circa 76 milioni di Euro al mese. Una parte verrà sperperata
dall'inefficienza e dall'impreparazione mentre la parte più grande verrà letteralmente rapinata
da albergatori senza scrupoli, cooperative spregiudicate e truffatori di ogni risma.11
I migranti Africani, a differenza dei loro vicini di stanza Tunisini nei centri di accoglienza, non
riceveranno alcun tipo di permesso di soggiorno ma potranno fare richiesta di Asilo Politico alle
Commissioni Territoriali competenti e potranno restare sul territorio italiano, con varie
limitazioni, fino a quando non ci sarà un pronunciamento definitivo rispetto al loro status
giuridico. Nella realtà dei fatti si tratta di una scelta politica: fondamentalmente non viene
lasciata altra scelta al migrante che dettare la propria domanda di Asilo in Inglese, Francese o
Arabo a operatori dell'accoglienza improvvisatisi interpreti per via di una situazione
emergenziale che sbarco dopo sbarco sembra incontenibile. I comuni non vengono interpellati,
Croce Rossa e Protezione Civile sono meri partner senza alcun potere di controllo e verifica
degli standard qualitativi dei centri di accoglienza che, col passare delle settimane si profilano
sempre di più come veri e propri immensi, estenuanti e dilatati "terminal" di attesa dove
aspettare un tempo infinito e soprattutto indefinito.
In Italia i meccanismi di esame della domanda di Asilo Politico e la conseguente eventuale
concessione dell'Asilo Politico hanno una storia complessa, travagliata e con criteri
storicamente in ritardo di dieci anni rispetto alle modificazioni socio-culturali del fenomeno
migratorio. Tuttavia il discrimine più grosso per vedersi respinta la propria domanda di Asilo è
rappresentato dal fatto di aver lasciato il proprio paese di origine non per motivazioni legate a
mancanza di libertà o a paura per la propria vita come recita la nostra Costituzione:
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge12
ma per motivazioni economiche. E non conta che Ibrahim, così come gli altri siano scappati da
un paese oggettivamente in guerra (la Libia): le Commissioni Territoriali dovranno valutare se
a essere in guerra o comunque a rappresentare un pericolo di natura grave per la loro vita,
siano i loro rispettivi paesi di origine. Nella maggior parte dei casi i richiedenti asilo dell' ENA
lavoravano da anni in Libia e i contatti con il proprio paese di origine erano limitati alle
telefonate.
11
Sasso M., Sironi F., Scandalo Profughi, L'Espresso n. 42, 18 Ottobre 2012 12
Articolo 10, comma 3 della Costituzione Italiana
15
Durante i miei colloqui con alcuni dei ragazzi, frequentemente mi è balenata la sensazione che
non esistono radici così lunghe e resistenti, tali da poter resistere senza conseguenze a
stravolgimenti come quelli che stavano vivendo. Alcune volte ho riportato la mia sensazione in
seduta e una volta mi capitò anche con Ibrahim che mi rispose: "C'est le milieu qui fait
l'homme"13.
Quando Ibrahim arriva a Torino, presso il centro di Accoglienza di cui mi occupo, la situazione
riflette il caos organizzativo dei livelli politici e amministrativi più in alto.
Gli spazi nell'hotel Giglio, la struttura presa in affitto che per due anni diventerà uno snodo
cruciale dell'accoglienza Piemontese, non sono ancora stati adattati alle nuove esigenze di cui
la comunità in rapida crescita numerica ha bisogno: sia i locali adibiti al lavoro dello staff
psicosociale che i locali comuni adibiti a sale tv e spazi ricreativi si stanno velocemente
rivelando insufficienti e inadatti. Solo con l'arrivo di un nuovo direttore nei mesi di Agosto e
Settembre del 2011 si provvederà a una organica riorganizzazione degli spazi, comprese le
sale in cui condurre i colloqui ad opera del sottoscritto e dell'assistente sociale.
Incontro per la prima volta in colloquio Ibrahim il 27 Luglio 2011; nei giorni precedenti in
seguito al suo arrivo lo avevo notato immediatamente: mi colpisce subito il suo look, da
Gangsta Rapper, con un berretto da baseball messo di traverso e appena appoggiato sulla
testa; mi soffermo anche in un paio di occasioni a osservare il suo volto mentre interagisce con
altri ospiti e in particolare osservo uno splendido e largo sorriso, merce rara in quei tempi alla
casa accoglienza!
Nei primi giorni vedo spesso Ibrahim gironzolare per l'hotel, fermarsi qualche istante in una
delle sale comuni e riprendere il percorso; spesso lo trovo sdraiato su alcuni divanetti nelle
parti più nascoste e spesso lo vedo lasciare il divanetto non appena altri ospiti prendono posto
vicino. Negli stessi giorni intercetto alcuni compagni di stanza e connazionali di Ibrahim, mi
chiedono di parlare con lui poiché la notte non dorme e poiché spesso lo vedono parlare da
solo.
Rispetto a questa richiesta va premesso che per una fortuita coincidenza, nel mese di Luglio,
la quasi totalità dei migranti arrivati, tra cui Ibrahim e i suoi compagni, erano di origine sub-
sahariana e tutti di area francofona. Sempre per una fortuita coincidenza (una malattia del
Direttore e la mancanza in turno del mediatore culturale di lingua Francese) erano stati accolti
13
Letteralmente: "è l'ambiente che rende l'uomo"
16
nella struttura da me e nei primi giorni ero stato, necessariamente, il primo punto di
riferimento in questa nuova realtà di vita italiana. Grazie al mio francese, studiato a scuola e
limato da tre soggiorni in Francia di alcune settimane, mi fu possibile comunicare
sufficientemente con loro. Il rapporto con questo gruppo di ragazzi e uomini è stata
un'esperienza incredibilmente piena e con molti di loro sono tuttora in contatto.
Non fui stupito dalla richiesta; spesso durante l'esperienza di psicologo al "Giglio" gli ospiti mi
hanno chiesto dei consigli riguardanti la convivenza con i propri compagni di stanza e
riguardanti i rapporti con altri operatori o con la direzione della casa. Mi colpì immediatamente,
invece, il "parla da solo"...
17
Voci
18
"E' la voce del mio socio, disgustato, che mi richiama all'ordine. Che cazzo intendi fare, fighetta? Alzati. Non ci
riesco, fa troppo male, cerco di dirgli. Ma lui non mi lascia stare. Mi pungola. Mi insulta. Alzati, testa di cazzo. Mi
giro sulla pancia quasi perdendo i sensi. Artiglio il pavimento, rompendomi un'unghia sul cemento e mi tiro in
ginocchio. Attorno a me silenzio e vuoto, la mia ombra si proietta lunghissima sul muro dove leggo la scritta '-3'
che indica il piano dove mi trovo.
Mi alzo aggrappandomi a una colonna aspettando che la testa smetta di girarmi. Se cadessi, so che non riuscirei
a rialzarmi. Le gambe sono ancora intere, per fortuna, ma il braccio sinistro non mi funziona più e quando respiro
qualcosa mi raschia sotto lo sterno come vetro rotto. Bravo, vedi che potevi farcela? dice il mio socio."14
Non credo possa esserci esperienza umana più destabilizzante, paralizzante e ansiogena
dell'allucinazione uditiva, così com'è denominata dal DSM IV nel capitolo dedicato alla
schizofrenia e altri disturbi psicotici. Diversamente da altre sofferenze psicologiche, l'uditore di
voci ha forte la consapevolezza che la propria sofferenza sarà foriera di alienazione,
isolamento e pregiudizio, qualora essa fosse svelata alla comunità di riferimento, il "popolo dei
sordi". Qui vi è la potenza di questa sofferenza: alla difficoltà di far fronte a un sintomo così
potente e pervasivo si aggiunge la necessità di dover mantenere il segreto e la costante paura
di essere smascherati, umiliati e quindi allontanati, o peggio... internati.
14
Dazieri S., La bellezza è un malinteso, Mondadori, Milano 2010, pag. 123
19
"L’approccio di chi lavora in salute mentale, ma non solo, è quindi spesso stigmatizzante, talvolta iatrogeno. Le
voci sono considerate per lo più solo come sintomo delle psicosi e di conseguenza viene poco considerata la
modalità con cui esse si manifestano (quali e quante sono, casa dicono e come lo dicono, quando e come si
presentano)."15
Ancora adesso e nonostante oramai da venti anni movimenti vari di "uditori di voci"16 si siano
mobilitati in prima persona al fine di proporre la propria condizione al di fuori del mero sintomo
psichiatrico, ci si trova davanti ad un'innegabile incapacità delle comunità e dei servizi sanitari
a operare in modo coerente con quel principio di autodeterminazione Basagliana che ha
comunque rivoluzionato i modi di agire con la sofferenza mentale. Nonostante gli enormi
progressi l'uditore di voci è considerato nel migliore dei casi uno schizofrenico grave, nel
peggiore dei casi un individuo potenzialmente pericoloso se posto al di fuori di un qualche
controllo coercitivo che possa placare l'atavica paura che la voce "comandi" violenza oppure un
gesto sconsiderato o, ancora, un atto cruento...
Nella prima ipotesi l'uditore di voci vedrà ridursi la propria esperienza di sentire delle voci,
appunto, come un sintomo da debellare; nella seconda ipotesi non vedrà invece riconosciuta la
propria storia personale: temere che una voce possa manifestarsi unicamente come cattiva,
inquietante e incline alla violenza ci nasconde una più semplice verità e che cioè le "voci" sono
manifestazioni delle esperienze, delle emozioni, delle spiritualità ma anche del semplice
pulsare sangue nelle tempie con le conseguenti attivazioni di aree cerebrali differenti. Esse
sono intimamente connesse all'uditore che le percepisce e per ogni individuo su questo
pianeta, uditore o non, percepire violenza non significa necessariamente agirla; inoltre da vari
studi qualitativi17 emerge che
"L'udire una voce all'inizio ha spesso una connotazione positiva e che aiuta la persona. Questo può valere nel
caso dei bambini quando si trovano a far fronte a periodi difficili, durante i quali le loro voci li possono aiutare
dicendo loro 'sei buono e non ti devi sentire in colpa' e dando loro speranza per il futuro. In seguito le voci
assumono un carattere negativo perchè gli altri non accettano questo fatto, identificandolo come una malattia."18
15
Mirrione E., Cacialli L., Quinzi R., Olcese M., Lombardo L. “'VOCE ALLE VOCI': Un gruppo riabilitativo per uditori di voci", Varchi, pag. 108 16
In questo lavoro di tesi si utilizzerà il termine "uditori di voci" traducendo dall'inglese ed estrapolando il termine da "The International Hearing Voices Network", rete internazionale di uditori di voci organizzati nel blog intervoiceonline.org 17
Uno su tutti: lo studio di Read e altri con il titolo "Childhood trauma, psychosis and schizophrenia" pubblicato in Acta Psychiatrica Scandinavica nel 2005 18
Romme M., Escher S., Dillon J., Corstens D., Morris M., Vivere con le voci, 50 storie di guarigione, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2010, pag. 64
20
Romme ci espone chiaramente quali sono gli aspetti dannosi delle cure tradizionali e del
concetto di malattia associato all'udire le voci:
"1) mettere sullo stesso piano l'udire le voci e la diagnosi di schizofrenia
2) gli effetti negativi dei ricoveri in reparti psichiatrici
3) I messaggi di "nessuna speranza" e di "malattia permanente"
4) la vittima passiva di un approccio patologico: non essere incoraggiato ad aiutarsi da solo
5) la dominanza della diagnosi di schizofrenia, trascurando completamente gli altri problemi
6) "schizofrenia" come etichetta a vita
7) nessun interesse nelle voci né in ciò che sottende al fenomeno
8) incapacità di accettare il vissuto della persona
9) quando i farmaci non hanno l'effetto atteso non suggerire altre alternative
10) farmaci che portano al fallimento sociale
11) il concetto di malattia che distrugge il rapporto tra l'uditore e lo specialista
12) incrementare il convincimento nella società che udire le voci sia un segno di pazzia
13) difficoltà di essere accettati socialmente in seguito a una diagnosi di schizofrenia"19
A questo punto mi sembra utile sottolineare un aspetto inerente alla mia presenza nel centro
di accoglienza e al primo impatto avuto con Ibrahim. Di certo non ero avulso rispetto a molti dei
pregiudizi e a molti degli aspetti dannosi sottolineati da Romme: l'esperienza dell'Emergenza
Nord Africa è stata per me la prima esperienza professionale di rilievo e solo due anni prima mi
ero iscritto all'albo degli Psicologi. All'interno del progetto non era prevista alcuna supervisione
per gli psicologi e sia al Giglio sia in un altro piccolo centro di accoglienza della val Sangone ero
io l'unico psicologo. Tutto ciò mi conferiva un'inebriante libertà d'azione ma allo stesso tempo
una pericolosa autorità.
Non so quanto in questi casi il confine tra saggezza, caso e fortuna sia ben delineato tuttavia
ebbi la saggezza-caso-fortuna di spremere fino all'ultima goccia la possibilità di chiedere
supervisioni durante i miei weekend formativi a scuola di specializzazione e sicuramente ho
avuto la preziosa possibilità di confrontarmi con i miei colleghi di formazione. In particolare
devo molto alla competenza e alla passione di due colleghi in particolare: Cristina e Pietro.
Cristina già da alcuni anni aveva avuto modo di approfondire la conoscenza del fenomeno degli
uditori di voci e durante un weekend autogestito di formazione ebbe modo di illustrarci con un
sentimento e una dedizione tipica di chi ti sta regalando un piccolo tesoro di conoscenza il
metodo descritto da Romme e il movimento degli "Hearing Voices" descrivendo le specificità
del fenomeno in un'interessante cornice fenomenologica. Questo weekend autogestito
19
Romme M., Escher S., Dillon J., Corstens D., Morris M., ibidem, pag. 46
21
avvenne circa due settimane prima del primo colloquio con Ibrahim (Saggezza? Caso?
Fortuna?).
Anche Pietro è riuscito a sostenermi durante questo percorso con Ibrahim non sottraendosi
mai alle mie domande e alle mie curiosità e fornendomi del prezioso materiale rispetto
all'approccio etnopsicoterapeutico, di cui tratteremo più approfonditamente nel prossimo
capitolo.
Sia io che Ibrahim dobbiamo a Cristina e Pietro il nostro incontro, almeno per com'è stato.
La scuola di specializzazione mi forniva quindi una serie di strumenti utili a poter sostenere
sufficientemente l'angoscia e la paura che questa sintomatologia, l'allucinazione uditiva,
diffonde nell'ambiente tradizionalmente. Ancora adesso, mentre scrivo, ripercorrere gli appunti
su Ibrahim o leggere o ascoltare altre testimonianze di uditori diventa un'esperienza che mi
chiede continuamente di ritrovare un ground corporeo sostenente e un respiro rilassato. Il
fenomeno dell'allucinazione uditiva è indubbiamente e meravigliosamente creativo: esso è allo
stesso tempo definito dagli stessi uditori come nettamente distinto dai propri pensieri ma
proveniente dall'interno, dal cervello molto spesso o dalla cassa toracica altre volte. In altri casi
si percepisce un sussurrare preciso e nitido nelle proprie orecchie nella più assoluta
consapevolezza di essere soli nella stanza. Si può ben comprendere come da un punto di vista
Gestaltico a soffrire sia la capacità di un gioco dialettico e armonico tra figura e sfondo e di
come questo possa generare una sofferenza nel "sé". Su quanto detto possiamo farci aiutare
direttamente dalla preziosa "Terapia e pratica della Terapia della Gestalt":
"Chiamiamo 'sé' quel sistema di contatti che hanno luogo in ogni momento. Il sé quindi è estremamente vario, in
quanto esso cambia in coincidenza con i bisogni organici dominanti nonché con gli stimoli ambientali più
pressanti; esso costituisce il sistema di risposte, il quale diminuisce di efficacia durante il sonno, quando vi è
meno bisogno di rispondere. Il sé è il confine di contatto in funzione; la sua attività consiste nella continua
formazione di rapporti figura/sfondo. [...] In realtà, il sé è l'elemento integratore; esso consiste, come disse Kant,
nell'unità sintetica. Il sé è artefice della vita. Esso non costituisce che un piccolo fattore nel complesso
dell'interazione organismo/ambiente; ricopre tuttavia il ruolo importante di scoprire e creare i significati
attraverso i quali ci è possibile maturare. [...] Da questo punto di vista, il nostro metodo terapeutico consiste
nell'addestrare l'Io, cioè le varie identificazioni e alienazioni, per mezzo di esperimenti riguardanti la
consapevolezza deliberata delle vostre varie funzioni, fino a che non viene di nuovo spontaneamente alla luce il
22
senso per cui si è in grado di affermare: 'sono io che penso, percepisco, sento, faccio questo'. A questo punto il
paziente potrà anche procedere per suo conto."20
Romme descrive infatti come passi fondamentali per l'uditore di voci quello di riconoscere le
proprie voci come personali e quello di accettare le proprie emozioni personali. Vedendo una
liaison con la citazione precedente potremmo azzardare una sintesi con le parole "integrazione
dell'esperienza". Sicuramente sia in Gestalt sia con gli uditori di voci il lavoro terapeutico è
focalizzato sull'esperienza e sull' "integrazione" di questa con l'individuo. La visione di salute e
benessere a cui la parola integrazione è sottesa è descritta in varie modalità decine di volte
nell'opera di Perls, Hefferline e Goodman; tuttavia mi piace riportare a supporto di questo
lavoro di tesi il contributo di un fisico, Fritjof Capra, che con poche parole delinea un concetto
semplice ma allo stesso tempo millenario che taglia trasversalmente da Oriente a Occidente:
"I saggi cinesi pare che abbiano riconosciuto la polarità di base che è tipica dei sistemi viventi. L'autoasserzione
viene conseguita sfoggiando un comportamento yang: essendo dissipativi, aggressivi, competitivi, espansionistici
e, per quanto concerne il comportamento umano, usando un pensiero lineare, analitico. L'integrazione è
promossa da un comportamento yin: essendo responsivi, cooperativi, intuitivi e consapevoli del proprio ambiente.
Tanto lo yin quanto lo yang, tanto le tendenze integrative quanto quelle autoassertive, sono necessari perchè si
possano avere armoniosi rapporti sociali ed ecologici."21
Come abbiamo già detto le voci hanno perfettamente un senso per ciò che dicono e per come
interagiscono con l'uditore e dalle ricerche, è chiaro il legame tra percepire le voci e aver subito
20
Perls F., Hefferline R.F., Goodman P., Teoria e pratica della terapia della Gestalt, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1997, pagg. 45-46 21
Capra F., Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente, Feltrinelli, Milano 2007, pag. 39
23
traumi, abusi o più semplicemente essere stati esposti a elevati livelli di stress. In seguito
vedremo il senso di queste parole alla luce della storia personale di Ibrahim prima, durante e
dopo i nostri incontri.
Prima però è necessario fissare alcune questioni.
Il percorso clinico con Ibrahim ha attraversato poco meno di due anni, con incontri a cadenza
settimanale ma con due importanti pause: a maggio 2012 e a dicembre 2012. La prima pausa
fu in concomitanza con la mia nomina a direttore del centro di accoglienza, incarico che ho
svolto per sei mesi prima di rassegnare le dimissioni. Durante questo periodo Ibrahim era già
entrato in contatto con il CSM territorialmente competente ma l'invio e la presa in carico non
andarono a buon fine. Di sicuro questa interruzione non giovò al clima di fiducia che si era
instaurato tra di noi e sicuramente anche il cambio del mio ruolo all'interno del Giglio non
favorì un setting pulito. Lo stesso accadde con altri pazienti e questo mi spinse a dare le
dimissioni. Rispetto al CSM, tuttavia, va detto che l'invio presso il servizio sanitario era
necessario per due ordini di motivi: la necessità di certificati medici comprovanti la stato di
salute di Ibrahim che la Commissione Territoriale per l'esame della domanda di Asilo Politico
richiedeva con forza e l'impossibilità di svolgere attività psicoterapeutica all'interno del
progetto di accoglienza. Qualora ce ne fosse stato bisogno, sarebbero dovuti essere i servizi
sanitari a farsene carico. Una mera questione di budget.
Non entrando nel merito del lavoro dei colleghi del CSM e dato che molte delle analisi sono
state già fatte all'interno di questo capitolo; mi sembra opportuno solo dire che tutto sembrava
rendere difficile un lieto fine. La mancanza di mediatori e/o traduttori (dovevo distaccare dal
servizio del centro di accoglienza un mio mediatore che accompagnasse Ibrahim presso il
CSM) e la difficoltà di avere appuntamenti con cadenza inferiore a quella mensile, giocarono
un ruolo importante. Tuttavia Ibrahim scelse lui stesso, con fatica, di affidarsi al CSM con la
speranza che un pezzo di carta potesse garantirgli una qualche forma di permesso di
soggiorno. La scelta fu sua, nondimeno Romme definirebbe quest'utilizzo del sintomo come,
senza dubbio, iatrogeno dal punto di vista terapeutico.
La seconda pausa fu a fine 2012 e durò lungo i primi mesi del 2013; il progetto di accoglienza
era terminato e Ibrahim fu spostato dal centro a un piccolo appartamento in Torino. Con il
permesso di soggiorno in tasca fu segnalato alla Prefettura come "soggetto vulnerabile" e in
quest'appartamento si è concluso l'ultimo capitolo della sua vita qui in Italia.
24
Proverò allora, partendo dalla semplice descrizione dei nove "passi" che Romme e altri
descrivono per delineare un percorso di guarigione, a descrivere i momenti salienti della
terapia di Ibrahim, soffermandomi passo dopo passo a ognuno dei nove punti e cercando di
tradurli alla luce della "nostra" storia.
"Elementi importanti per guarire dal disturbo delle voci
1. Incontrare qualcuno che dimostri interesse verso l'uditore come persona
2. Dare speranza, indicando una via d'uscita e una normalizzazione dell'esperienza
3. Incontrare persone che accettano le voci come reali ed essere accettati come uditori di voci dagli altri ma
anche da se stessi, diventando così padroni delle proprie voci
4. Assumere un interesse attivo verso le proprie voci
5. Riconoscere le voci come personali
6. Cambiare la struttura di potere tra la persona e le sue voci
7. Operare delle scelte
8. Cambiare la relazione con le voci
9. Riconoscere le proprie emozioni personali ed accettarle"22
Farei un torto all'Universo se non sottolineassi che i nove passi, così come qualsiasi schema
esposto in questo lavoro di tesi non sono da intendersi come comandamenti dogmatici e
ineccepibili. Come terapeuta della Gestalt, ma anche come terapeuta in generale sento come
mio prezioso patrimonio la capacità o perlomeno la potenzialità di distinguere tra schemi,
mappe e vita. Jaspers sostiene a tal proposito che non sono possibili teorie anticipatorie e che
è più facile comparare la terapia all'arte piuttosto che a un rapporto causa-effetto. Più
semplicemente, mi riesce davvero difficile comprendere come si possa cristallizzare ciò che è
continuamente cangiante. Alcuni passi furono pienamente vissuti da Ibrahim durante la sua
permanenza in Italia, alcuni furono sfiorati per un breve periodo e altri ancora non ebbero le
condizioni necessarie per fiorire.
Premesso ciò, partiamo dal primo step:
Incontrare qualcuno che dimostri interesse verso l'uditore come persona
Come detto precedentemente, il primo incontro con Ibrahim è avvenuto a fine Luglio 2011 e
prima delle ferie estive in Agosto ci incontrammo altre due volte. Fu lui a cercarmi e durante
questi primi tre incontri parlammo molto. Certamente notai che cinque o sei volte, durante la
seduta, Ibrahim voltava il capo verso un'altra parte, sia che stessimo parlando o io o lui, e solo
dopo alcuni secondi scuotendo appena la testa tornava a guardarmi con un sorriso cortese.
22
Romme M., Escher S., Dillon J., Corstens D., Morris M., ibidem, pag. 24
25
Ricordo che mi annotai questa dinamica e sicuramente la inserii nello stesso file mentale in cui
avevo conservato il ricordo del "...parla da solo...". Tuttavia non domandai nulla; piuttosto ero
molto interessato alla sua storia personale prima del suo arrivo in Italia.
Durante il mio lavoro con i richiedenti asilo ho scoperto che la mia passione e le mie voraci
letture dei libri di Storia antica, moderna e contemporanea, così come la mia abilità nel
ricordare luoghi, battaglie e nomi d'imperatori e presidenti sono state delle potenti molle di
curiosità e interesse verso i miei pazienti. Dietro le migrazioni moderne, anche per molte donne
e uomini che accogliemmo nel progetto ENA, c'è un meraviglioso mondo di foto e video girati
con efficienti smartphone cinesi venduti nei mercati di Dakar, Bamako, Accra, Khartoum,
Lagos... E ci sono organizzazioni politiche e movimenti giovanili studenteschi dietro i venti
secondi di notizia passati nei principali telegiornali nazionali italiani (quando ci sono vittime il
più delle volte); c'è insomma un mondo che si muove e che sopravvive, un mondo che ha
interiorizzato il termine povertà per restituirlo con altre sfumature e lo stesso ha fatto con
quello di ricchezza, di vita e di morte. Un mondo, insomma, dove dagli scarti può nascere il
bello e l'eccessivo come gli splendidi coffins Ghanesi: delle bare realizzate su misura,
personalizzate e su richiesta della famiglia del defunto.
26
Ovviamente ci sono anche guerra e violenza, in questo mondo, così come ci sono state nella
vita di Ibrahim, e ne parlammo durante questi primi incontri: sua madre, proprietaria di un
negozio di abbigliamento della capitale, Conakry, morì per uno dei saccheggi verificatosi nel
2009 durante disordini avvenuti a seguito di un'imponente manifestazione dell'opposizione
repressa militarmente. Suo padre era morto qualche anno prima e suo fratello maggiore era in
Israele. In seguito alla morte della madre e prima di raggiungere la Libia un anno dopo per
lavorare come muratore, mi raccontò di aver assunto droghe. Droghe leggere e pasticche di
vario tipo molto in uso a Conakry.
Di certo parlammo molto e poco dopo andai in ferie; prendemmo un altro appuntamento per
l'inizio di Settembre e ci salutammo con un abbraccio. Ricordo che durante il primo incontro gli
chiesi come mai mi avesse cercato e lui mi rispose che era contento di trovarsi in Italia, in
Europa e che voleva conoscere più roba possibile e che voleva conoscere anche me! Mi fece
perciò anche lui molte domande ma allo stesso tempo rispose alle mie curiosità con molta
vitalità. Furono degli incontri molto pieni, ma non mi sarei mai aspettato che dopo le ferie
avremmo avuto il colloquio più importante per il nostro rapporto.
Dare speranza, indicando una via d'uscita e una normalizzazione dell'esperienza
Tornato dalle ferie incontrai Ibrahim. Si trattava del nostro quarto incontro e cominciammo a
parlare. Dopo alcuni minuti notai le stesse "assenze" osservate nei precedenti incontri e il file
in cui avevo conservato l'incartamento "...parla da solo..." si riaprì nella mia testa e quindi
domandai: "ho la sensazione che mentre parli con me ed io parlo con te, c'è qualcun altro che
ti parla e tu fai fatica a seguire sia me sia lui... sta succedendo questo?". Ricordo
perfettamente che Ibrahim mi guardò per tre o quattro interminabili secondi e poi avvicinando
la sedia alla mia e poggiando la testa sulla mia spalla scoppiò a piangere dicendo "c'est
l'esprit23". La mia sensazione netta fu di un pianto liberatorio, come dopo una forte fatica o
paura. Non sentivo disagio e il contatto fisico con Ibrahim, che lui stesso aveva cercato, mi
dava molto calore e tenerezza. Gli chiesi del pianto verso la fine della seduta, mentre
andavamo verso la conclusione e lui me lo confermò. Gli dissi anche che d'ora in poi l'esprit era
benvenuto e che io ero assolutamente interessato a parlare anche con lui, anzi, che lingua
parlava l'esprit? Il Soussou24? E allora sarei stato molto contento se lui, Ibrahim, mi avesse
fatto da mediatore. Fu decisamente uno dei momenti che sento tra i più importanti della mia
23
Letteralmente traducibile con "spirito", "fantasma", "entità" 24
Una lingua di radice mandée parlata in Africa dell'Ovest. Una delle tre lingue principali parlate con il pular e il malinké
27
vita eppure fu di una semplicità estrema: una domanda, una spalla su cui piangere, la
sensazione di potersi fidare. L'esprit non era per me uno spauracchio contro il quale misurare il
mio smisurato ego di giovane terapeuta, dinamica che conosco personalmente molto bene, ma
una semplice esperienza di cui poter parlare.
Incontrare persone che accettano le voci come reali ed essere accettati come uditori di
voci dagli altri ma anche da se stessi, diventando così padroni delle proprie voci
Credo che questo sia stato il punto più critico nella storia di Ibrahim. Escludendo i momenti di
vita quotidiana con lo staff di operatori e mediatori, né all'hotel Giglio né in appartamento,
Ibrahim ha mai condiviso la propria condizione e probabilmente ne aveva ben donde. Durante
tutto il periodo dell'ENA, infatti, i connazionali e altri ospiti esprimevano continuamente disagio
per le condizioni di Ibrahim. Nei tempi migliori del percorso terapeutico non sono mancati di
certo momenti di condivisione con la comunità dei richiedenti asilo che, comunque,
manifestava costantemente un clima di tendenziale sfiducia che Ibrahim potesse essere un
valida risorsa con cui insieme studiare l'italiano o preparare l'audizione della Commissione o
ancora, cercare lavoro. L'idea che durante questi due anni, di cui sto raccontando, c'eravamo
fatti sia io sia i mediatori era di sostanziale alienazione di Ibrahim dal resto della comunità.
Ibrahim non ha mai riferito di sentirsi "a suo agio" o di "padroneggiare" le proprie voci, di cui me
ne riferì tre, in nessun momento della terapia; tuttavia in vari momenti espresse rapporti più
distesi e più sostenenti con le voci, come descriverò nei punti successivi.
Assumere un interesse attivo verso le proprie voci
Cambiare la relazione con le voci
Cambiare la struttura di potere tra la persona e le sue voci
Riconoscere le voci come personali
Certamente dopo l'incontro descritto precedentemente, quello agli inizi di Settembre, le sedute
procedettero spedite rispetto alla possibilità di poter comprendere cosa l'esprit volesse
comunicare a Ibrahim e a volte a me. Chiesi a Ibrahim di porre molta attenzione ai suoi dialoghi
con l'esprit quando non era in seduta affinché potesse raccontarmi cosa si erano detti e
naturalmente lo invitai a ripetere, traducendomi, quello che l'esprit gli diceva mentre eravamo
in seduta. Abbiamo mantenuto questa modalità fino alla fine dei nostri incontri e sicuramente
ci furono dei sostanziali cambiamenti qualitativi nelle voci. Il primo fu rispetto al contenuto: nei
28
primi mesi assolutamente svalutante nei confronti di Ibrahim e molto giudicante su molteplici
aspetti della vita di Ibrahim passata e presente. L'assunzione di droga in Guinea, l'eccessivo
consumo di sigarette, la mancanza di soldi e di un lavoro in Italia erano frequentemente temi
invocati dall'esprit. Dopo qualche mese ci fu il secondo cambiamento: la voce divenne quella
della madre e davvero assunse connotati più "materni". Il giudizio diventò un consiglio del tipo
"non fumare così tanto" e spesso Ibrahim mi disse che la voce-madre, mi salutava e chiedeva
di me. In questo periodo, siamo quasi a fine 2011, Ibrahim riferì di stare meglio. Dormiva
regolarmente, mangiava regolarmente, cominciava a muoversi da solo nella zona di Corso
Giulio e Porta Palazzo e giocò a calcio con i connazionali in un paio di occasioni. Purtroppo,
come ho già detto, il contesto con cui si trovò a confrontarsi era enormemente stressante per
lui e per gli altri richiedenti asilo: dalla fine del 2011 e per tutto il 2012 cominciò il gran ballo
delle Commissioni Territoriali e noi operatori del settore comprendemmo che se non ci fosse
stata una sostanziale sanatoria per tutti i migranti provenienti dalla Libia (cosa che avvenne in
Dicembre) sarebbe stata un'ecatombe di dinieghi.25
Ad aggiungersi all'ansia per i possibili dinieghi, i rinvii. Nell'arco del 2012 Ibrahim ebbe ben
due spostamenti di data per l'audizione in Commissione, una delle quali comunicataci (ero
presente con lui) sulla porta della Prefettura. Sicuramente l'incapacità mia e dei miei mediatori
di far comprendere appieno il "teatro dell'assurdo" della burocrazia italiana ha inciso non poco
nella difficoltà ad avere piena fiducia da parte di Ibrahim e da parte di numerosi altri migranti
con cui abbiamo lavorato.
Il nostro rapporto, così come il ground dell'ambiente in cui ci trovavamo, fu quindi altalenante
durante il 2012, e il rapporto con le voci (si era nel frattempo aggiunta quella del fratello) era
diventato anch'esso variegato e costellato di sfumature differenti. Talvolta continuava un tono
di derisione e svalutazione, talaltra vi erano preziosi consigli espressi in modo calmo e
riflessivo. Anche la frequenza variava: in alcuni momenti le voci erano silenti per settimane,
altre volte rendevano difficile addormentarsi.
Operare delle scelte
Riconoscere le proprie emozioni personali e accettarle
25
Diniego è il termine tecnico per indicare il parere negativo della Commissione Territoriale nel rilascio dello status di rifugiato a cui segue il foglio di via rilasciato dalla Questura. Questo successivo foglio di via dispone l'allontanamento dello straniero dal suolo italiano pena lo status di "clandestino"
29
Giungendo verso il termine della nostra storia, si arriva al 2013 e agli ultimi mesi in Italia di
Ibrahim. Il progetto ENA terminò dopo che a tutti era stata concessa una qualche forma di
permesso di soggiorno e Ibrahim era stato inserito in un appartamento con altri tre ragazzi con
vitto e alloggio pagati dalla Prefettura e con un nostro operatore che effettuava passaggi di due
o tre ore il giorno. Di tanto in tanto chiedeva di incontrarmi e organizzavamo un appuntamento
per un colloquio. Necessariamente, senza più l'assillo del pezzo di carta che regolamentava la
propria presenza in Italia, Ibrahim cominciò una vita quotidiana fatta di noia, di spesa, di attesa
alla fermata del tram... di vita insomma; ora gli era possibile, come Alice, attraversare
finalmente lo specchio ed entrare nel pieno della complessità di una metropoli post-moderna
europea in piena crisi economica. Ora Ibrahim mi esprimeva la sua sensazione di sfasamento
tra l'immagine di Europa paradiso e la realtà che viveva continuamente e la cosa sorprendente
fu che non erano le voci a mediare questa sensazione.
Gli ultimi due colloqui che ho avuto con Ibrahim, in Aprile e in Maggio, sono stati i colloqui dove
in più di ogni altri mi si è stagliata chiara l'immagine di Ibrahim come persona, con le sue paure
e con il suo meraviglioso e commovente orgoglio di essere arrivato là dove mai nessuno della
sua famiglia era arrivato prima. In questi colloqui mi disse che era pronto per tornare a casa.
Da circa un mese infatti la cooperativa per cui lavoro, dopo aver chiesto il mio parere, aveva
proposto a Ibrahim un percorso di "ritorno volontario assistito" promosso dall' OIM26 che
prevedeva il ritorno a Conakry e la possibilità di avviare una piccola impresa commerciale sotto
la supervisione degli operatori OIM direttamente in Guinea. Ibrahim ci pensò per qualche
settimana e infine accettò.
In Aprile, durante il penultimo colloquio, Ibrahim mi riferì la sua decisione e poi durante una
sua "assenza" tornai ancora sulle voci e chiesi cosa stessero dicendo. Ibrahim mi rispose
subito con estrema lucidità affermando che le voci, comunque decisamente più rare di un
tempo, stavano dicendo che in Guinea ci sarebbero state difficoltà, che forse non avrebbe
trovato un posto dove dormire e che non ci sarebbe stato da mangiare e infine che io non ero
contento che Ibrahim partisse. Io risposi che ero triste per la sua partenza ma che, per la prima
volta, quando mi aveva comunicato la propria decisione a inizio seduta lo avevo visto deciso e
sicuro e gli chiesi: "Ho l'idea che per te sia importante sentire la tua vita nelle tue mani, e che
con questa decisione tu stia sentendo questo. E' vero per te, tutto ciò?" Mi rispose dopo aver
26
Organizzazione Internazionale per le Migrazioni
30
fatto un grande sorriso ancor prima che finissi la frase e pronunciò: "Sono contento che mi
capisci così... hai capito perfettamente Al-hamdu-lellah27... mi sento davvero capito!"
Rimasi colpito dal fatto che mi ripetette per tre volte che lo avevo capito e mi pareva che il suo
volto avesse una luce che prima non avevo mai notato. Forse se accettare l'esprit nel nostro
rapporto aveva consentito ad Ibrahim di sentirsi accolto, per sentirsi capito mancava ancora
qualcosa. Probabilmente davvero non sono stato in grado di entrare pienamente in contatto
con lui fino a quando non l'ho visto assaporare una scelta piena con la consapevolezza dei
rischi di tale decisione. Allo stesso modo credo di aver agito, nel mio rapportarmi a Ibrahim, la
tendenza a proteggerlo; prendendo troppo spazio nella relazione e impedendo, in varie
occasioni, che potesse agire lui. Questo è un mio movimento, che vari formatori mi hanno fatto
notare durante i miei anni di formazione. In questo c'è la fondamentale differenza tra
accogliere e co-costruire.
Ci salutammo dopo che mi comunicò la volontà di voler provare a commerciare in scarpe da
ginnastica in una piccola boutique, quando fosse tornato a casa.
Meno di un mese dopo Ibrahim lasciò l'Italia per una nuova meravigliosa avventura: il ritorno a
casa!
Non penso che il rapporto con Ibrahim e le nostre sedute siano sempre state equilibrate e
armoniose come un affresco rinascimentale, piuttosto spesso graffianti e spigolose come una
tela di Basquiat con qualche bel taglio alla Lucio Fontana a squarciare le confortevoli sicurezze
precostituite.
27
Letteralmente traducibile con "grazie a Dio"
31
Non sempre Ibrahim ha accettato di parlarmi della voce, dell' esprit, e talvolta lamentando un
terribile mal di testa ha abbandonato la stanza prima della conclusione della seduta. Spesso
mi riferiva di non sentire più l'esprit parlargli ma allo stesso tempo lo vedevo assentarsi,
durante il colloquio, come le prime volte in cui c'eravamo conosciuti. Tuttavia non raramente si
è presentato in seduta pulito, ben vestito e perfettamente lucido e a proprio agio. Ho avuto la
netta sensazione, durante tutto il periodo in cui Ibrahim è stato un mio paziente che la qualità
del nostro rapporto fosse intimamente connessa alla fiducia reciproca, e che tale altalena
fosse dovuta anche al luogo in cui ci trovavamo: un rapporto terapeutico definito da confini che
né io né lui avevamo modo di modificare nella sostanza. I confini erano appunto quelli di un
centro di accoglienza per richiedenti asilo politico all'interno di un progetto soggetto
ineluttabilmente a scadenza.
Rispetto a questo Romme ci chiarisce infatti che nel lavoro con gli uditori di voci:
"il cambiamento di maggior rilievo può essere porre al centro del trattamento terapeutico la relazione tra l'uditore
di voci e l'operatore. Questo significa ascoltarsi a vicenda, provare interesse reciproco, credere l'uno nell'altro,
vincere il timore da ambo le parti, fidarsi e sostenersi in uno scambio vicendevole, scambiarsi ed accettare le
proprie esperienze, conoscere e cominciare a pensare di fare qualcosa insieme."28
Non ho dubbi che qualsiasi terapeuta della Gestalt non avrebbe remore a descrivere queste
parole come assolutamente coerenti con il proprio percorso di formazione e di pratica
professionale e questo sicuramente perché sia la terapia della Gestalt che il "metodo" di
Romme sottendono ad un comune impianto "fenomenologico".
Fenomenologia deriva dal greco: phainomenon + logos e quindi potremmo tradurre con
discorso su ciò che si manifesta; e per fare un discorso su ciò che si manifesta, Husserl ci dice
che è necessaria epoché, la sospensione del giudizio.
Tornando alle allucinazioni uditive, come potremmo definire quindi che quelle voci non
esistono? E' dimostrato che negli uditori di voci si attivano le aree cerebrali del linguaggio... dal
loro punto di vista è un fenomeno, un'esperienza con la stessa dignità di altri fenomeni esperiti
durante qualsiasi momento quotidiano della loro vita. Sospendere il giudizio aiuta quindi a
evitare che si possano etichettare alcune percezioni come socialmente sane, accettabili e altre
come insane, malate, pericolose.
28
Romme M., Escher S., Dillon J., Corstens D., Morris M., ibidem, pag. 60
32
Il bisogno d'inquadramento diagnostico, come tradizionalmente inteso, trova qui il suo utilizzo
più dannoso per il paziente con il solo risultato di accrescere in maniera bulimica il bisogno di
comprensione meccanicistico. Jaspers, su questo da un importante contributo, affermando:
"che alla fine rimanga un nocciolo d'incomprensibilità delimita la pretesa imperialistica del comprendere."29
Questi sono gli ingredienti con i quali ci siamo misurati io e Ibrahim: un po' di Gestalt, un
pizzico di fenomenologia, una spolverata di etnoψ, il tutto servito su un piatto di abbondante
coraggio e fiducia, da parte di entrambi, che dal nostro incontro sarebbe scaturito comunque
qualcosa di buono.
29
AA. VV., La psicologia. Federico Leoni racconta Jaspers e la fenomenologia, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2012
33
Radici
34
"Scorgendo un capannello di gente davanti a un basso, localizzammo subito la casa da cui giungevano i suoni:
affrettammo il passo, fummo davanti alla porta, ci facemmo largo tra la gente ricambiando con un ovvio sorriso i
molti occhi in atto di chiedersi: <chi sono questi forestieri?>, e finalmente di punto in bianco, dal giorno alla notte,
ci trovammo brutalmente sbalzati in un altro pianeta."30
Continuando il presente lavoro, in questo capitolo, occorre fare una breve premessa. Verso la
conclusione del precedente capitolo ho utilizzato un termine: etnoψ. Questo termine sarà qui
utilizzato senza alcuna distinzione, per comprendere le etichette di etnopsichiatria -
etnopsicologia - etnopsicoterapia - etnoclinica. Ciascuno con particolari peculiarità, che non
interessano questo lavoro di tesi, tali termini saranno utilizzati riassunti tutti in etnoψ.
Per cominciare a delineare questi aspetti, ci viene subito in soccorso Piero Coppo31:
"Oggi è ormai assodata l'esistenza di un rapporto tra repentine trasformazioni culturali - brusche modernizzazioni
di società tradizionali ecc. - e incremento della quantità e gravità delle forme psicopatologiche. E il contatto con
altre culture costringe l'apparato psichiatrico a una continua revisione dei suoi strumenti, in particolare quelli
nosografici ed epidemiologici. Per cercare risposte soddisfacenti a questi altri interrogativi, l'approccio
comparativo continua essere fecondo. Fintantoché esisteranno gruppi umani che evolvono in ambiti diversi,
esprimendo modi specifici di considerare salute, malattie e dispositivi di cura, chi si proponga davvero di chiarire
le relazioni tra ambienti, culture e salute, deve ricorrervi, cercando ogni volta di superarne i limiti attraverso
l'adozione di più idonee metodologie."32
Fin dal secolo precedente l'approccio etnoψ si caratterizza come fondamentalmente e
intrinsecamente multidisciplinare. Da qui la proliferazione delle terminologie per definirlo che
qui, ho deciso di riassumere.
Credo siano importanti queste precisazioni alla luce della reale portata che tale approccio ha
significato per me nel mio lavoro con i migranti e più in generale per l'arricchimento che tale
orientamento porta nel lavoro clinico nella società odierna.
Un momento fondamentale, in Italia, dello studio dell'incontro con diverse culture e dei
differenti contesti e significati di "salute" e "cura" proviene da un meraviglioso lavoro di Ernesto
de Martino33. Meraviglioso per due motivi, il primo motivo: De Martino, pur non essendosi mai
definito un "Etnopsichiatra", ideò e diresse uno dei primi gruppi di lavoro multidisciplinare che
valorizzò le culture subalterne italiane analizzando le dinamiche che si stabiliscono tra queste
30
De Martino E., La terra del rimorso. Il Sud, tra religione e magia, Net, Milano 2002, pag. 66 31
Piero Coppo è neuropsichiatra e psicoterapeuta, voce autorevole del panorama etnoψ internazionale 32
Coppo P., Tra psiche e culture. Elementi di etnopsichiatria, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pag. 21 33
De Martino E., ibidem
35
e le culture dominanti. Nel suo lavoro sul "tarantismo" teorizzò che il ricercatore dovesse
sottoporre le proprie categorie interpretative al serrato confronto con quelle delle comunità
studiate. Una via obbligata ma rischiosa.
"Nacque così, ispirata a criteri interni al carattere della ricerca, la formula strutturale dell'équipe che stava per
iniziare il lavoro sul campo: uno storico delle religioni come direttore di équipe e un gruppo di quattro giovani
collaboratori rispettivamente addestrati in psichiatria, psicologia, etnomusicologia e antropologia culturale. Tale
formula sembrò infatti come la più adatta alla prospettiva essenzialmente storico-religiosa dell'indagine, e alla
necessità di controllare la validità di questa stessa prospettiva rispetto al fenomeno da analizzare: lo psichiatra,
lo psicologo, l'etnomusicologo erano cioè chiamati a sorvegliare le interpretazioni dello storico, a mobilitare le
proprie competenze tecniche per segnalare allo storico le istanze delle loro discipline, e al tempo stesso ad
avvertire i limiti delle proprie 'spiegazioni' sotto lo stimolo delle istanze storico-religiose che venivano
continuamente proposte."34
Il secondo motivo che mi spinge a definire meraviglioso, il lavoro del ricercatore, fu l'ambiente
geografico e sociale osservato: una terra riarsa e contadina, l'entroterra Pugliese. Pur
provenendo, io, dalla costa della Puglia, riconosco pienamente come il lavoro di De Martino
tocchi prepotentemente le mie radici, il mio presente e il mio futuro e lo ritengo un pezzo
necessario del mio personale processo di riscoperta del mio background socio-culturale.
Come spiega Coppo infatti:
"Se ci apriamo davvero all'incontro con l'altro, allora c'è un momento in cui il nostro edificio culturale esce
traumatizzato, il trauma è tanto maggiore quanto più rigidi sono i nostri sistemi di protezione, e quanto più la
nostra identità individuale di gruppo è stata costruita sull'esclusione e su pregiudizi. La reazione istintiva al
trauma è di difesa e di riduzione/distruzione dell'altro; ma se riusciamo a reggere e a disporci all'accoglimento, ne
seguirà la meraviglia che destabilizza, lo 'spaesamento' che ci riposiziona rispetto alle nostre identità e
appartenenze."35
Avviene quindi un senso di spaesamento quando il forestiero, l'alieno, il folle, qualcosa
insomma che non abbiamo mai incontrato, si impone a noi per essere riconosciuto.
Necessitiamo allora di grounding, utilizzando una terminologia gestaltica. Coppo suggerisce, a
tal proposito, di esercitare "Radicalità" nell'incontro con l'altro36; radicalità in una particolare
declinazione: avere consapevolezza delle proprie radici e portarle nell'incontro con l'altro
perché così, in una sorta di teoria paradossale del cambiamento sapremo tollerare senza
34
De Martino E., ibidem, pag. 35 35
Coppo P., ibidem, pagg. 100-101 36
Vedi: "Le Ragioni degli Altri con Piero Coppo" su Radio3 all'interno del programma Fahrenheit, disponibile all'URL http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-4edf11e6-e971-40a1-ad17-f15024256d7e.html, 31 Agosto 2014
36
impazzire, senza essere costretti a distruggere l'altro per ritrovare un assetto, anche
regressivo, sopportabile. Forse, saremo persino pronti a un cambiamento che risulterà naturale
e armonioso esteticamente.
A proposito di senso estetico, nella storia dell'arte sono innumerevoli gli esempi di splendide
opere monumentali, ammirate da secoli da milioni di persone che hanno visto dei cambiamenti
sostanziali nel loro stile durante le varie fasi di costruzione, pur mantenendo un'armoniosità
tale da averle rese forse ancora più stupefacenti del progetto originario.
"Come accadde per moltissimi edifici che hanno simili dimensioni, costi, centralità (sia sul piano geografico sia su
quello spirituale), la costruzione del duomo si è protratta per vari secoli e ha racchiuso in se stessa un amalgama
di stili radicalmente diversi ma anche di diverse finalità."37
Quale migliore possibilità allora, di questo lavoro di tesi, per il mio personale piccolo esercizio
di radicalità? E qual era quindi il fenomeno che spinse un gruppo di ricercatori a recarsi nella
mia terra?
Si trattava dei trentacinque tarantati, e cioè tutti coloro i quali nell'estate del 1959, il 29
Giugno per l'esattezza38, confluirono dai vari paesi del Salento alla cappella di San Paolo nella
città di Galatina, per ringraziare il santo della guarigione ottenuta durante la cura domiciliare.
Per loro, per le loro famiglie e per la gente che partecipò al loro processo di cura mediante il
vibrante simbolismo della musica, della danza e dei colori era stato possibile praticare
37
Gould S. J., La struttura della teoria dell'evoluzione, codice edizioni, Torino 2003, pag. 4 38
La festa dei SS. Pietro e Paolo
37
l'esorcismo39 della taranta. Il morso della taranta era da loro, per un verso, interpretato in
senso realistico, come morso di un aracnide velenoso40. E questo ormai da secoli!
Tuttavia De Martino aveva una visione obliqua del fenomeno ed era incuriosito dal fatto che:
"...per un altro verso i comportamenti connessi al tarantismo sembravano richiamarsi a scelte culturali definite, a
simboli mitico-rituali. [...] le tarantate ricordavano menadi, baccanti, coribanti e quant'altro nel mondo antico
partecipava a una vita religiosa percossa dall'orgiasmo e dalla 'mania'."41
Per l'équipe si profilava una possibilità che considerasse il tarantismo come episodio del
conflitto fra cristianesimo e paganesimo, nell'ambito della società e della vita culturale
meridionale. Inoltre le crisi diventavano sensibilmente più frequenti con l'approssimarsi della
festa dei SS. Pietro e Paolo e questa caratteristica del tarantismo, faceva pensare ad un
condizionamento culturale, al rispetto di una tradizione, alla ripetizione stagionale di un rito,
alla celebrazione calendariale di una cerimonia. De Martino ipotizzava allora che il fenomeno
non fosse riducibile al morso del ragno, al latrodectismo, ma che non fosse indipendente da
esso:
"Occorreva tener presenti due possibilità, quella di un episodio iniziale di latrodectismo in cui successivamente si
era innestato il simbolismo mitico - rituale del tarantismo, e quella (molto più frequente nel complesso dei casi) di
un morso interamente simbolico, vissuti in occasione di situazioni ( lavori agricoli ecc.) in cui l'incontro con
aracnidi velenosi apparteneva all'ordine delle memorie tradizionali del regime di esistenza contadino."42
In ogni caso, l'esorcismo coreutico-musicale-cromatico rappresentava un vero e proprio
dispositivo di cura: nella prospettiva dell'analisi culturale il tarantismo non si manifestava,
39
Come si vedrà meglio nel seguito del capitolo, in questo lavoro sarebbe più corretto parlare di "Adorcismo" 40
Il latrodectus tredecim guttatus per esempio 41
De Martino E., ibidem, pag. 31 42
De Martino E., ibidem, pagg. 54-55
38
infatti, come disordine psichico bensì come ordine simbolico culturalmente condizionato43 nel
quale trovava soluzione una crisi nevrotica anch'essa culturalmente modellata. Il
comportamento dell'avvelenata/o.
"Il latrodectismo ha offerto la materia esistenziale su cui è stato lavorato il comportamento simbolico
dell'avvelenato: ciò significa che anche la minoranza esigua di colpiti dalla sindrome tossica riplasmava lo stato
morboso nella tessitura del tarantismo e allora continuava ad essere 'tarantata' per tutta la vita, mentre la grande
maggioranza inventava l'episodio del primo morso, magari nelle condizioni in cui esso era più probabile e più
credibile, cioè durante raccolto: oppure non rispettava neppure questa condizione di probabilità e di credibilità,
patendo la crisi in situazioni che non avevano nulla da vedere col raccolto, e che erano esse stesse
simbolicamente orientate.
Il nesso fra tarantismo e stagione estiva va quindi valutato essenzialmente sul piano simbolico. [...] era in questa
stagione che veniva deciso il destino dell'anno, si colmavano i granai e le celle vinarie, si pagavano i debiti: gli
animi entravano in un'epoca di drammatica sospensione [...] l'epoca che, sul piano economico, significava la
possibilità di pagare i debiti, sul piano simbolico si trasfigurava in un periodo in cui potevano essere pagati anche
debiti esistenziali accumulati nel fondo dell'anima."44
Certo, livelli di vera e propria alterazione psichica potevano certamente essere osservati nella
cappella di San Paolo a Galatina, durante le celebrazioni del 29 giugno ma questo avveniva
proprio perchè l'ordine del suo simbolismo mitico - rituale non poteva entrare in azione: a quel
punto ormai ciò che restavano erano vestigia ancestrali del fenomeno dopo l'opera di
disgregazione e conseguente sussunzione ad opera del Cattolicesimo.
"Le scene che vedevamo dall'alto della nostra tribuna ad audiendum Sacrum ci davano l'impressione delle
pietruzze colorate di un caleidoscopio in frantumi, già atte a comporre figure geometriche ma ora non più: inerti
abbandoni al suolo, agitazioni psicomotorie incontrollate, atteggiamenti di depressione ansiosa, scatti di furore
aggressivo, e ancora archi isterici, lenti spostamenti strisciando sul dorso, abbozzi di passi di danza, tentativi di
preghiere, di canti, conati di vomito. Tutto tornava di quanto già avevamo avuto occasione di osservare durante
gli esorcismi domiciliari, ma senza nesso dinamico, senza ordine finalistico, come in un palazzo crollato in cui si
ritrovano mescolate nelle macerie esattamente le stesse cose che arredavano le stanze quando il palazzo era
ancora in piedi."45
Tutto il materiale prodotto dallo studio dell'équipe di De Martino è materiale fertile per
qualsiasi approfondimento di tipo etnoψ; tuttavia mi piacerebbe rilevare l'aspetto comunitario
del dispositivo messo in atto nel profondo Salento per la guarigione dei/delle
tarantati/tarantate.
43
Si pensi alla scelta delle musiche, delle danze e dei colori durante l'esorcismo 44
De Martino E., ibidem, pagg. 158-159 45
De Martino E., ibidem, pag. 111
39
Che l'esorcismo avvenisse nei bassi dei centri storici o nella cappella di San Paolo o nei vicoli o
nelle campagne, e sia che avvenisse con le modalità più ancestrali sia nelle modalità ormai
residuali e mediate dalla religione Cattolica, l'elemento che restava fisso era l'assoluta
partecipazione di tutta la comunità parentale e non solo46.
È interessante fare un parallelo con la sperimentazione del centro neuropsichiatrico di Dakar -
Fann, in Senegal, dove Henri Collomb e il suo gruppo interdisciplinare istituì il Penc:
" Pénc è nella tradizione africana l''albero delle parole'; in ogni villaggio, la sua fitta ombra ospita incontri e
decisioni comunitarie. Due volte la settimana, nel giardino alberato dell'ospedale si riunivano medici, infermieri,
pazienti, familiari, guaritori e chiunque altro volesse esserci. Per lunghe ore, sorseggiando il tè, sgranocchiando
arachidi o mangiando spiedini di carne, vi si discutevano i problemi dei pazienti, delle famiglie, dell'ospedale. [...]
Per frenare l'afflusso di pazienti che venivano spesso da lontano e per evitare la separazione dall'ambiente della
famiglia d'origine, all'ospedale furono affiancate strutture rurali."47
E ancora, potremmo ricollegarci riportando all'attenzione uno dei passi di Romme: "Incontrare
persone che accettano le voci come reali ed essere accettati come uditori di voci dagli altri ma
anche da se stessi, diventando così padroni delle proprie voci."
Nella prospettiva gestaltica, anche in vari lavori sulla "contemporanea" sintomatologia dei
cosiddetti attacchi di panico48, l'importanza della comunità di riferimento, del focolare
domestico, l'oikos, torna prepotentemente a dirci, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che
spesso tra sofferenza individuale e collettiva il legame è ben saldo. Dall'altra parte dello
spettro, rispetto a oikos, c'è polis: il luogo dei molti, della città, dell'apertura al mondo. Si ben
46
De Martino annota come in vari casi i datori di lavoro, i tenutari terrieri, anticipavano le spese per i suonatori e le spese relative all'allestimento del dispositivo di cura 47
Coppo P., ibidem, pagg. 53-54 48
Francesetti G. a cura di, Attacchi di panico e postmodernità. La psicoterapia della Gestalt fra clinica e società, FrancoAngeli, Milano 2005
40
comprende come questo sia un tema pregnante lavorando e confrontandosi con le migrazioni:
il passaggio cruciale da oikos a polis comporta infatti la profonda ristrutturazione delle proprie
appartenenze, dei propri sfondi sicuri ed espone il soggetto alla solitudine e alla propria
vulnerabilità. La voce di sua madre che Ibrahim percepiva, non era forse un tassello dell'oikos
che premeva per essere riconosciuto nel "mondo nuovo"? Se la risposta è sì, allora viene da sé
che lavorare con quella voce significava avere la possibilità che Ibrahim ristrutturasse quelle
parti significative del proprio ground che costituiscono lo sfondo di sicurezza estrema. Allo
stesso modo, l'esorcismo della taranta, che avveniva in una dimensione collettiva in cui non vi
era stigma sociale, permetteva quindi di collocare il dispositivo di cura all'interno di una rete di
relazioni sociali che non esponevano il soggetto a quella paura descritta nel precedente
capitolo: la paura di essere smascherati e la conseguente tortura di dover dissimulare la
propria sofferenza.
In entrambi i dispositivi di cura, l'esorcismo della taranta e il lavoro con gli uditori di voce, come
descritto nel precedente capitolo, si verificano due importanti elementi: riconciliazione e
negoziazione. Entrambi sono costitutivi dell'Adorcismo, una pratica rituale in cui gli spiriti sono
invitati a entrare nel corpo del soggetto allo scopo di diminuirne il senso identitario per meglio
relazionarsi con l’altro da sé. Esso avviene in entrambi gli esempi descritti poco fa: la tarantata
diviene taranta. L’individuazione del colore e della musica “giusti” altro non è che
l’individuazione della precisa entità che possiede, e questo è passaggio indispensabile nel
processo di riconciliazione. Allo stesso modo Romme ci dice che è fondamentale nel percorso
di guarigione di un uditore riconoscere le voci come proprie e non scacciarle via
farmacologicamente. Neglettere l'entità, la voce o lo spirito perchè ritenuti dannosi, risponde
perfettamente alle esigenze securitarie della nostra società. In questa visione, troviamo
perfettamente il rapporto tra salute e sofferenza dell'attuale scienza medica: salute come
assenza di sofferenza. In ottica gestaltica, invece è proprio dalla sofferenza che si può giungere
alla salute intesa come processo armonico di adattamento in continua tensione dialettica.49 La
sofferenza assume una fondamentale funzione per l'individuo in quest'ottica: offre la
possibilità di crescita ed evoluzione personale.
Che cosa ha offerto, in fin dei conti, l'approccio etnoψ a me e a Ibrahim?
Ho cominciato a interessarmi a queste tematiche nei mesi precedenti al primo incontro con lui,
per poi approfondire materiali vari durante il percorso terapeutico e qualche mese dopo il suo
49
Francesetti G., Ammirata M., Riccamboni S., Sgadari N., Spagnuolo Lobb M., Il dolore e la Bellezza. Atti del III Convegno della Società Italiana Psicoterapia Gestalt, FrancoAngeli, Milano 2014
41
ritorno in Guinea per avviare questo lavoro di tesi. Sono stati, insomma, temi che hanno
accompagnato e direi cullato i nostri incontri permettendo che ci dessimo il tempo, affinché
alcune verità, che sarebbero state neglette in altre situazioni, avessero avuto il tempo di
vibrare fra noi in modo da poterle cogliere.
Dopo il mio personale esercizio di radicalità, mi rendo conto di avere consapevolezza di
sentirmi a mio agio leggendo De Martino e che condivido in modo pieno la sua curiosità e la
sua visione obliqua della mia terra. Fin da piccolo conoscevo il tarantismo, ma le poche
esperienze con le realtà contadine e anni di studio universitario lo avevano ridotto a leggenda:
la pretesa di poter/dover aver strumenti con cui esaminare la realtà in modo razionalmente
illuministico non mi permetteva di far vibrare in me la complessità del fenomeno... il Salento
degli anni '60 non era forse un paese simile alla Libia coloniale narratami da mio nonno? Solo
aprendo il compasso delle possibilità e delle verità delle mie appartenenze che potevo
sostenere, sarei stato in grado di aprire nuove porte verso l'altro. Questo forse il patrimonio più
grande che personalmente riconosco: un ground più solido; ciò permette di potersi lasciare
andare maggiormente verso l'altro, con maggiore fiducia senza il bisogno di dover controllare
continuamente come su di una torretta di guardia di un edifico panottico.50
50
Panopticon o panottico è un carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham. Il concetto della progettazione è di permettere a un sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i soggetti di una istituzione carceraria senza permettere a questi di capire se sono in quel momento controllati o no. Il nome si riferisce anche ad Argo Panoptes della mitologia Greca: un gigante con un centinaio di occhi considerato perciò un ottimo guardiano. L'idea del panopticon ha avuto una grande risonanza successiva, come metafora di un potere invisibile, ispirando pensatori e filosofi come Michel Foucault, Noam Chomsky, Zygmunt Bauman e lo scrittore britannico George Orwell nell'opera "1984".
42
Rispetto al lavoro con Ibrahim, L'approccio etnoψ ha rappresentato per me la possibilità di
rompere, quindi, lo schema panottico e ciò ha permesso di ridare importanza a ciò che era
stato reso lieve:
"Potrà forse sembrare strano che un discorso così impegnato, e che quasi promette di voler mettere mano al cielo
e terra, possa prendere le mosse da una minutissima vicenda regionale, anzi locale, della cui levità par
testimoniare il sorriso col quale a chi da segni di agitazione immotivata chiediamo celiando: <Ti ha morso la
tarantola?> ma non tutte le cose che abbiamo reso lievi meritavano di diventarlo, ed in ogni caso il 'lieve' e il
'grave' non appartengono alle cose in sé, ma sono sempre di nuovo ridistribuibili nelle trame della realtà in
funzione di certi 'problemi presenti' che stimolano a scegliere il 'passato importante'."51
51
De Martino E., ibidem, pag. 13
43
Conclusione
"La strada, dove finisce
44
senza piedi userò le mani mani
fino alla pista che non esiste
e la cavalcherò sui venti e gli uragani.
[...]
La strada che non ha strisce
sarà la rotta sotto questa luna,
coi suoi problemi e coi suoi compromessi
e che ogni volta non ritrovi mai la stessa.
[...]
E faccia a faccia con la porta della paura
senza lacci, senza cintura,
sirena con due occhi grandi come la fame,
guarda guarda io sarò quaggiù.
[...]
È festa, festa, fai festa, festa.
Fai festa, festa, festa, festa
nella tua testa."52
Se si adotta il termine "cultura" per designare una dimensione collettiva in cui convergono
lingue, religioni, miti, ma anche oggetti, artefatti, strategie di sopravvivenza e modi di
produzione propri di un determinato gruppo in una determinata fase della sua storia ed in
relazione con uno specifico ambiente, si comprende come, necessariamente, da luoghi diversi
originano "culture" diverse e visioni del/sul mondo diverse. Ognuna ha dunque una sua dignità
ad esistere, riprodursi e perchè no, modificarsi. Cosa succede, però, quando la modernità
permette spostamenti, fisici o virtuali che siano, per enormi spazi in rapidi tempi? Attenendosi
all'idea di "cultura" come descritta sopra, non è pensabile che si possa verificare il paradosso
di essere nel medesimo luogo con due culture diverse o che due culture diverse possano
coesistere nel medesimo luogo. Navigando verso la medesima boa lo scontro diventerebbe
inevitabile!
Con questo lavoro ho cercato, quindi di sottolineare il potere strutturante dello scontro: la
difficoltà nel "modellizzare" l'altro significa essere messi faccia a faccia con la difficoltà a
modellizzare sé stessi, a definire sé stessi. Lo scontro con l'alterità è in questo senso scontro
con sé stessi; per questo ci fa paura e per questo è necessario recuperare la nostra radicalità.
Società e culture che non hanno bisogno di definirsi e che riescono a pensarsi continuamente
in maniera creativa, sono due imbarcazioni capaci di smontarsi e rimontarsi continuamente
durante la navigazione, abili sempre, metro dopo metro, a restare a galla cambiando la
disposizione dei propri pezzi e capaci entrambe d'immaginare che alla boa dovranno integrarsi
in una nuova forma, capace essa stessa di rimanere ancora a galla e tenere ancora il mare. E
nessun pezzo è superfluo, e nessuna storia o nessun vissuto possono essere messi da parte.
Sono due imbarcazioni che hanno comunicato e immaginato insieme il futuro. Sono due
imbarcazioni capaci di tradurre53... e saranno capaci, allora, di sbrogliare la complessa tela che
la postmodernità ci offre, attualmente, in dono.
52
Litfiba, Lacio Drom, disponibile all'URL https://www.youtube.com/watch?v=Q_L8yWEajgY, 06 Settembre 2014 53
dal latino trans-ducere, "far passare da un luogo all'altro"
45
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