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RASSEGNA STAMPA AMBIENTALE MARZO/APRILE 2014 Il pasticciaccio intorno alla ricostruzione della Città della Scienza Umberto Piscopo - Riccardo Rosa. Sono le dieci. La sala Newton si riempie di studenti da diciotto licei della Campania, coinvolti in un progetto di promozione della cultura coordinato da Città della Scienza. I ragazzi di un’orchestra giovanile accordano gli strumenti e si scambiano cravatte già annodate. Tra le poltroncine si moltiplicano fischi, «scusami…» e approcci improvvisati. Ormoni come non ci fosse un domani. Dopo quasi un’ora l’orchestra comincia a suonare. Inno nazionale. Tutti in piedi a battere le mani. È il 4 marzo, la grande giornata. La giornata di “Napoli per Città della Scienza”, evento organizzato per celebrare la rinascita del museo e che culminerà nella firma dell’accordo di programma (tra Regione, Comune, Provincia, Idis e quattro ministeri) per la ricostruzione della struttura andata distrutta lo scorso marzo. La lunga giornata è cominciata anche per chi all’accordo si oppone e ha chiamato l’adunata per le nove in piazza Bagnoli. In prima fila il comitato “Una spiaggia per tutti”, che negli ultimi due anni ha lavorato – raccolto quindicimila firme e spinto per l’approvazione di una delibera comunale – affinchè la linea di costa tra Nisida e Pozzuoli venga ripristinata (a bonifica avvenuta) a uso balneare pubblico e gratuito. Propositi che cozzano con l’accordo prossimo a essere firmato, il quale sancirebbe la ricostruzione di Città della Scienza su quello stesso litorale, appena qualche metro più indietro rispetto a prima. Tra i manifestanti ci sono i ragazzi dei collettivi del quartiere (che i giornali chiamano “quelli dei centri sociali”), le associazioni ambientaliste, e le briciole dei partiti di sinistra, che dispongono sul campo più bandiere che militanti. Oltre alla questione della spiaggia, il gruppo si oppone all’accordo a causa delle certificazioni di bonifica mai presentate dalla Fondazione Idis, a dispetto di una ordinanza comunale emessa a inizio dicembre. «State costruenn’ n’ata vota ‘ncopp’ ‘a merda!», urlerà un manifestante qualche ora dopo. Alle undici comincia la sfilata di moda. I ragazzi sono fuori controllo. All’esterno, la manifestazione si trasforma in un corteo per le strade del quartiere. All’altezza di via Diocleziano il traffico si blocca, rimanendo fermo per venti minuti, quando un gruppo di manifestanti scavalca il cancello di Bagnoli Futura appendendo uno striscione. Le questioni collegate alla firma dell’accordo sono molteplici: dalla mancata bonifica alla rimozione della colmata; dall’utilizzo di svariati milioni di euro per la ri-costruzione di un museo della scienza le cui modalità di gestione sono state opinabili (mentre, per dirne una, le strutture scolastiche del quartiere cadono a pezzi), alla necessità del rispetto del piano regolatore. Inquietanti, in questo calderone, i titoli dei giornali. Primo premio per l’edizione napoletana di Repubblica, che titolerà: Bagnoli, corteo contro la vendita dei suoli. Città della Scienza. La firma è prevista per le cinque. L’evento sarà immortalato dalla stampa e salutato da cittadini e rappresentanti

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RASSEGNA STAMPA AMBIENTALE MARZO/APRILE 2014

Il pasticciaccio intorno alla ricostruzione della Città della Scienza Umberto Piscopo - Riccardo Rosa. Sono le dieci. La sala Newton si riempie di studenti da diciotto licei della Campania, coinvolti in un progetto di promozione della cultura coordinato da Città della Scienza. I ragazzi di un’orchestra giovanile accordano gli strumenti e si scambiano cravatte già annodate. Tra le poltroncine si moltiplicano fischi, «scusami…» e approcci improvvisati. Ormoni come non ci fosse un domani. Dopo quasi un’ora l’orchestra comincia a suonare. Inno nazionale. Tutti in piedi a battere le mani. È il 4 marzo, la grande giornata. La giornata di “Napoli per Città della Scienza”, evento organizzato per celebrare la rinascita del museo e che culminerà nella firma dell’accordo di programma (tra Regione, Comune, Provincia, Idis e quattro ministeri) per la ricostruzione della struttura andata distrutta lo scorso marzo.La lunga giornata è cominciata anche per chi all’accordo si oppone e ha chiamato l’adunata per le nove in piazza Bagnoli. In prima fila  il comitato “Una spiaggia per tutti”, che negli ultimi due anni ha lavorato – raccolto quindicimila firme e spinto per l’approvazione di una delibera comunale – affinchè la linea di costa tra Nisida e Pozzuoli venga ripristinata (a bonifica avvenuta) a uso balneare pubblico e gratuito. Propositi che cozzano con l’accordo prossimo a essere firmato, il quale sancirebbe la ricostruzione di Città della Scienza su quello stesso litorale, appena qualche metro più indietro rispetto a prima. Tra i manifestanti ci sono i ragazzi dei collettivi del quartiere (che i giornali chiamano “quelli dei centri sociali”), le associazioni ambientaliste, e le briciole dei partiti di sinistra, che dispongono sul campo più bandiere che militanti. Oltre alla questione della spiaggia, il gruppo si oppone all’accordo a causa delle certificazioni di bonifica mai presentate dalla Fondazione Idis, a dispetto di una ordinanza comunale emessa a inizio dicembre. «State costruenn’ n’ata vota ‘ncopp’ ‘a merda!», urlerà un manifestante qualche ora dopo.Alle undici comincia la sfilata di moda. I ragazzi sono fuori controllo. All’esterno, la manifestazione si trasforma in un corteo per le strade del quartiere. All’altezza di via Diocleziano il traffico si blocca, rimanendo fermo per venti minuti, quando un gruppo di manifestanti scavalca il cancello di Bagnoli Futura appendendo uno striscione. Le questioni collegate alla firma dell’accordo sono molteplici: dalla mancata bonifica alla rimozione della colmata; dall’utilizzo di svariati milioni di euro per la ri-costruzione di un museo della scienza le cui modalità di gestione sono state opinabili (mentre, per dirne una, le strutture scolastiche del quartiere cadono a pezzi), alla necessità del rispetto del piano regolatore. Inquietanti, in questo calderone, i titoli dei giornali. Primo premio per l’edizione napoletana di Repubblica, che titolerà: Bagnoli, corteo contro la vendita dei suoli.Città della Scienza. La firma è prevista per le cinque. L’evento sarà immortalato dalla stampa e salutato da cittadini e rappresentanti istituzionali che potranno accedere alla sala a numero chiuso. Ci saranno il Comune e la Regione, il neo ministro Giannini, Vittorio Silvestrini ed Enzo Lipardi, presidente e direttore della fondazione Idis. Nell’attesa, sul palco si esibisce la fanfara dei Vigili del Fuoco. Ancora inno di Mameli. Da qualche ora, intanto, i manifestanti si sono dati appuntamento al Lido Pola, struttura abbandonata poi occupata e riqualificata a poche centinaia di metri dal museo. La zona è blindata. Camionette dei carabinieri presidiano via Cattolica e Coroglio, mentre un paio di Punto della digos girovagano ossessivamente tra il pontile di Nisida e Città della Scienza.Sono le sei. All’interno della sala si susseguono proiezioni, interventi e colore. Sul palco Eugenio Bennato, Peppe Barra e la Tammuriata nera. Applausi scroscianti. Il pubblico ha già dimenticato le ragioni della propria presenza in sala. Il regista Sandro Dionisio e l’attrice Cristina Donadio presentano un cortometraggio dedicato alla cultura. Dopo la proiezione la Donadio indica il fondo della sala, o meglio quello che c’è dietro le mura: il sito dell’ex Italsider. «La vera festa va fatta lì». Applausi radi e freddi.Nel frattempo, in sala, va avanti una estenuante partita a scacchi tra i dirigenti della digos e i pochi manifestanti riusciti a entrare, subito individuati come potenziali contestatori dell’evento. Tra i più attivi si segnalano il commissario col cappellino da pescatore che scatta più fotografie di Cartier-Bresson, e il suo aiutante con le basette alla Joe Cocker. Alla fine, dopo vari cambi di poltrona e d’abito, i ragazzi escono scortati da quest’ultimo e raggiungono il resto del gruppo all’esterno dei cancelli. Una volta che gli scocciatori sono tutti fuori, la polizia decide che il presidio non deve continuare, e dopo aver messo in atto il sacro rituale della vestizione, comincia a spingere i manifestanti verso la strada, fino a schiacciare sul muro i più restii a mollare. Il parapiglia va avanti finché il gruppo non si sposta al di là della strada, rimpinguando l’autostima delle forze dell’ordine.

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Ore 19,00. L’estenuante giornata sembra volgere al termine. Sul palco compaiono il vicesindaco Sodano, il vicepresidente della Regione Trombetti, il ministro, Silvestrini e Lipardi. Sul tavolo ci sono acqua e bicchieri ma nessun documento. La Giannini presenta l’intervento su Città della Scienza come una delle priorità del governo, che ha in programma una vera rivoluzione: mettere la cultura al centro dell’attività politica. Trombetti afferma che, anche se l’accordo non verrà firmato stasera, l’amministrazione regionale ha trovato i soldi e Città della Scienza verrà ricostruita. Come “l’accordo non verrà firmato”? Qualcosa non quadra. Sodano quasi glissa sulla cosa, allargando il discorso alla “questione Bagnoli”: è una zona che ha bisogno di un risarcimento per quello che le è stato fatto negli anni, dice, ed è per questo che la ricostruzione può e deve essere fatta di pari passo con la bonifica. Poi strappa applausi inveendo contro gli ignoti che appiccarono il fuoco.«Sono profondamente deluso». Sono queste, alle sette e una manciata di minuti, le parole del presidente della fondazione Idis. Silvestrini sembra avercela con i rappresentanti istituzionali, evidentemente responsabili della figuraccia della mancata firma. «Abbiamo organizzato questo evento per guardare al futuro, non al passato. Se si vuole andare avanti non bisogna aspettare chi sta andando piano, ma fare in modo che chi procede lentamente si attacchi a chi sta andando forte. Signor ministro – sembra giustificarsi – entro un anno voglio inaugurare il primo edificio della Città della Scienza. Si segni sull’agenda il 4 marzo 2015».Sono quasi le otto. Qualche assessore e il vicesindaco arancione, raggiunti dalle notizie di disordini all’esterno del museo, provano a mettersi in contatto con i manifestanti malmenati, sentendosi riattaccare il telefono in faccia. All’uscita della sala un atelier di moda ha organizzato una sfilata, l’ennesima della giornata. Alla fine l’accordo non è stato firmato. Nessuno, però, si è ancora preso la briga di spiegare in maniera chiara quale sia stato l’intoppo, e se e in che modo – nell’ambito delle nuove discussioni – ci si curerà di considerare le posizioni di una parte di città che prova da anni a partecipare a un processo decisionale dal quale – fatte salvo le chiacchiere – altri sembrano fare di tutto per escluderla. Napoli Monitor - 5 marzo 2014

Chiaiano (Na). La discarica era in mano alla camorra Sempre tardi, quando gli affari della camorra e la politica locale riescono a far passare le manifestazioni popolari come "atti di sovversione", "problemi di ordine pubblico" e "manifestazioni di violenza". Con il bel risultato di vedere gli interessi della camorra difesi dalla polizia....I carabinieri di Caserta e Napoli hanno arrestato nella notte 17 persone (8 in carcere e 9 ai domiciliari) nell'ambito di una indagine sugli interessi economici e imprenditoriali della camorra nel settore dei rifiuti e, in particolare, nella realizzazione della discarica di Chiaiano, a Napoli. Tra gli arrestati figura anche l'imprenditore Giuseppe Carandente Tartaglia che ha avuto legami con i clan Nuvoletta, Mallardo, Polverino e, soprattutto, con la fazione Zagaria del clan dei Casalesi.I reati contestati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ai 17 destinatari dei provvedimenti sono associazione a delinquere di stampo camorristico, attività di gestione di rifiuti non autorizzata, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, truffa, frode nelle pubbliche forniture, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, con l'aggravante di avere agevolato la fazione Zagaria del clan dei Casalesi. Le indagini si sono sviluppate tra il 2008 e il 2013.I comitati antidiscarica della zona  denunciano da anni la situazione. Sono scesi in piazza, sono stati spesso caricati dalle "forze dell'ordine" in modo durissimo, con feriti, fermati, denunce. Ora che una indagine ha accertato i loro timori, i manifestanti ribadiscono "con grande amarezza" che "lo sapevamo bene".Lo stesso accade in Val Susa. Ma lì, oltre alla 'ndrangheta, ci sono anche "imprenditori seri"...Contropiano – 5 marzo 2014

Acqua contaminata a Roma nord, il medico: pericolose anche le doccedi Lorenzo De Cicco. Dalla dermatite irritativa ai problemi riproduttivi fino al tumore della pelle o dei polmoni. Chi entra in contatto con l'acqua all'arsenico rischia la salute. I livelli fuori norma rilevati dalla Asl Roma C nell'acquedotto gestito dall'Arsial, l’agenzia controllata dalla Regione Lazio, hanno messo in allarme gli abitanti di Roma Nord.«Lavarsi con l'acqua all'arsenico può causare dermatiti irritative. E chi la beve per molto tempo, con livelli di tossicità elevati, può ammalarsi di tumore o avere disfunzioni all'apparato riproduttivo», spiega il professor Luigi Naldi, presidente del Centro studi del Gised, il Gruppo

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italiano studi epidemiologici in Dermatologia, e membro onorario della Societé Française de Dermatologie. «L'esposizione cronica all'arsenico può avere esiti differenti sulla salute», aggiunge il dermatologo Fabio Bergamo dell'Idi. Il più grave è ovviamente il cancro. «Bisogna partire dal presupposto che l'arsenico è cancerogeno. I rischi principali per chi beve l'acqua inquinata sono per la pelle e i polmoni ma anche per la prostata, le vie urinarie e a livello neurologico». Non è un caso se l'Agenzia internazionale di ricerca sul cancro valuta l'arsenico come cancerogeno di "classe 1".I TUMORISecondo l'Organizzazione mondiale della sanità, spiega Luigi Naldi del Gised, l'avvelenamento da arsenico è «un disordine cronico derivante da prolungata ingestione di questa sostanza sopra la dose sicura per un periodo superiore ai 6 mesi. In genere si manifesta con lesioni della pelle a cui talvolta può seguire il coinvolgimento di organi interni». Tra le malattie che colpiscono più comunemente si trovano «lesioni dermatologiche, vari tipi di cancro, ma anche disordini neurologici e cardiovascolari». Alcuni studi, prosegue l'esperto, sostengono che questa esposizione alla lunga possa comportare anche problemi riproduttivi. «In tutti questi casi deve esserci un assorbimento prolungato nel tempo, quindi nella maggior parte dei casi attraverso l'atto del bere».DERMATITEEvitare di ingerire l'acqua fuori norma può mettere al riparo dai rischi principali. Ma si possono comunque correre altri pericoli. «Anche lavarsi per molto tempo con acqua ad alto tasso di arsenico - sottolinea il professor Naldi - può provocare dermatiti irritative. Ovviamente una massiccia presenza di questa sostanza nell'acqua della doccia può rappresentare sicuramente un danno per chi poi è già affetto da specifiche patologie cutanee. E pensare che molti decenni fa l'arsenico veniva impiegato per curare alcune malattie della pelle, come la sifilide». L'Unione europea ha fissato a quota 10 microgrammi per litro il limite massimo di arsenico consentito nell'acqua. Livelli che l'acquedotto regionale che serve alcune zone di Roma Nord ha abbondantemente superato. «La tossicità scatta con valori molto elevati - spiega Naldi - Conta anche la durata dell'esposizione all'arsenico, se si rimane in contatto per un breve periodo o per diverse decine di anni. In quest'ultimo caso anche un livello non altamente tossico può comportare dei rischi».PERICOLO IGNORATOL'assenza di soluzioni alternative però, al dei serbatoi idrici disseminati tra Tragliatella, Malborghetto e Piansaccoccia, ha costretto molti cittadini a sfidare la pericolosità accertata della sostanza e a violare i divieti del sindaco, decidendo di utilizzare comunque l'acqua inquinata. «Non ci sono alternative - attacca Achille Giachetti, residente in via Angelo Signorelli - abbiamo dovuto trasgredire il divieto del Comune. Siamo obbligati a lavarci con l'acqua all'arsenico. Non è pensabile andare avanti senza per dieci mesi, anche se sappiamo che potremmo correre dei rischi per la salute».Il Messaggero - 07 Marzo 2014

Eni, il consorzio NCOC accusato di danni ambientali Secondo Astana, il gruppo di compagnie - tra le quali figurano anche Total, Shell e Exxon - ha bruciato gas nell'atmosfera oltre i limiti consentiti.Il Kazakistan ha avviato un’azione legale contro il consorzio petrolifero North Caspian Operating Company (NCOC) - che comprende Total, Exxon, Royal Dutch Shell e Eni - incaricato di sfruttare i giacimenti offshore del Kachagan, la più grande riserva mai scoperta al mondo negli ultimi 35 anni. Secondo il governo di Astana, i gruppi sarebbero responsabili di gravi danni ambientali, e per questo è stato chiesto un risarcimento pari a 527 milioni di euro. In particolare, le compagnie sono accusate di aver bruciato 2,8 milioni di metri cubi di gas nell’atmosfera, ovvero un quantitativo maggiore rispetto ai limiti consentiti. Tale operazione, secondo quanto riferito dal ministero locale dell’Ambiente in un comunicato, ha causato un forte inquinamento nell’area circostante. Proprio per questa ragione la produzione, che era stata avviata nello scorso mese di settembre, era stata bloccata poche settimane dopo. Quella del governo kazaco costituisce una decisione di grande importanza, dal momento che il Paese rappresenta la prima potenza economica dell’Asia centrale, nonché il secondo produttore petrolifero dell’ex Unione sovietica. 

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www.valori.it, 10 Marzo 2014

Terra dei fuochi, governo: “Stop vendita prodotti provenienti delle aree a rischio”La mappatura del ministero delle Politiche agricole ha interessato 57 comuni tra la provincia di Napoli e Caserta. Individuati 51 terreni dove verranno effettuati interventi di salvaguardiaVietata la vendita dei prodotti alimentari provenienti da terreni a rischio nella Terra dei fuochi. Lo ha stabilito un decreto interministeriale “attivo – ha sottolineato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin – da subito”. Oltre a questo provvedimento, il ministero delle Politiche  ha presentato i risultati di un’indagine dalla quale emerge che  ”su un totale di 1.076 km quadrati di terreni mappati in 57 comuni (tra la provincia di Napoli e Caserta, ndr) – si legge nella mappatura -, le aree ritenute sospette rappresentano soltanto il 2%, per un totale di 21,5 km quadrati”. Il governo ha comunque individuato 51 siti su cui devono essere effettuati interventi di salvaguardia.L’analisi sui terreni presentata oggi dal governo in una conferenza stampa a Palazzo Chigi “è una tappa intermedia”, ha detto il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina nel corso dell’incontro a cui hanno preso parte anche il ministro della Salute, Lorenzin, dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, e il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro. “Questa tappa – ha sottolineato Martina – consentirà di procedere verso tutti i passaggi successivi per l’analisi dei territori”. “Si sta parlando dello 0,01% del territorio della Regione”, ha precisato Caldoro. Mentre il provvedimento interministeriale sui prodotti alimentari provenienti dalle aree a rischio precisa che la vendita “è consentita ad almeno una di queste condizioni: che le colture siano state già oggetto di controlli ufficiali con esito favorevole negli ultimi 12 mesi; che siano state effettuate indagini, su richiesta e con spese a carico dell’operatore, dall’Autorità competente, con esito analitico favorevole”. A inizio febbraio, ilfattoquotidiano.it riportò la notizia che i due colossi Findus e Orogel non acquistavano più frutta e verdura proveniente dall’area interessata dallo smaltimento criminale di rifiuti.“Fino a 3 mesi fa sulla Terra dei fuochi c’era una specie di sipario chiuso, che abbiamo aperto con una serie di provvedimenti importanti, con l’obiettivo di risolvere i problemi. Un lavoro poderoso, importante. Abbiamo già avviato lo screening di massa su questi territori per dare certezza e sicurezza alla popolazione. Sono stati stanziati 50 mln di euro e stiamo quindi affrontando il problema salute di quelle zone a tutto tondo”, ha aggiunto il ministro della Salute, Lorenzin.Il Fatto Quotidiano – 11 marzo 2014

Lucca: la Cgil sta con Mauro Moretti Una mozione intitolata “Per la sicurezza in ferrovia, per le dimissioni di Moretti da Ad delle ferrovie” presentata al congresso provinciale di Lucca della Cgil ha ottenuto solo 49 voti a favore, ben 76 contrari e 19 astenuti e quindi è stata respinta. La CGIL difende apertamente Mauro Moretti.Dopo il voto, l’associazione dei familiari delle vittime della strage di Viareggio del 2009 “Il mondo che vorrei”, l’assemblea cittadina “29 giugno” e la mozione guidata da Giorgio Cremaschi, “Il sindacato è un’altra cosa”, hanno diffuso una sarcastica nota dal titolo “Grazie ancora Cgil”. Qui sotto il comunicato Il sindacato del padroneIl congresso provinciale della Cgil tenuto il 6-7 marzo a Lucca ha respinto l’ordine del giorno “sulle dimissioni di Moretti da Amministratore delegato delle ferrovie, sulla sicurezza in ferrovia, sul sostegno ai familiari delle Vittime della strage ferroviaria di Viareggio”. L’OdG è stato respinto con 76 voti contrari, 49 a favore e 19 astensioni.Prima hanno fatto di tutto per non metterlo in votazione adducendo sciocchi e stupidi “vizi di forma”: mancava la firma. Lo stesso OdG era stato presentato il giorno prima (6 marzo) nella commissione politica con il riferimento al “VI congresso Filt-Cgil provincia di Lucca” per evidenziare il fatto che nel congresso della Filt del 27 febbraio in località Carignano (Lu), era stato assunto e fatto proprio.L’OdG veniva messo ai voti su proposta del commissario della Camera del lavoro di Lucca, Chiriaco, che “motivava” però la sua bocciatura. E così è stato …Questo grave fatto non ha bisogno di alcun commento.Poi, per rimediare, alla lettura del documento finale, lo stesso commissario ha proposto che fosse inserita la richiesta di giustizia per Viareggio.Cosa dire? C’è da dire che ancora una volta è prevalsa la burocrazia e l’ipocrisia. Rimane, però, il

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fatto che il congresso provinciale Cgil nel respingere l’OdG si è assunto la grave responsabilità di mostrare la propria sudditanza e subalternità nei confronti del cav. Moretti e dei governi (Berlusconi, Letta e Renzi) che lo hanno rinominato Amministratore delegato di fronte alle pesanti accuse per la strage ferroviario di Viareggio (e per questo rinviato a giudizio) e, addirittura, proposto ministro.Grazie ancora Cgil!Contropiano – 14 marzo 2014

Vado Ligure. Sequestrata la centrale Tirreno PowerLa procura di Savona, che da tempo indaga sulle emissioni della centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure, ha chiesto il sequestro dell’ impianto. Il giudice per le indagini preliminari Fiorenza Giorgi ha accolto la richiesta e inviato i carabinieri per effettuare il sequestro e lo spegnimento dell’impianto. La richiesta è stata decisa in seguito alle verifiche che sono state effettuate dai consulenti del Ministero dell’Ambiente e della Procura. Dagli accertamenti svolti sarebbe emerso, in particolare, il mancato rispetto di alcuni limiti imposti dall’Autorizzazione integrata ambientale.  Sull’attività di Tirreno Power sono aperti due filoni d’inchiesta, una per disastro ambientale e una per omicidio colposo. Risultano indagati per disastro ambientale Giovanni Gosio, ex direttore generale, dimessosi alcune settimane fa, e il direttore dello stabilimento Pasquale D’Elia. Ci sarebbe anche un terzo indagato di cui non si conosce il nome. Secondo la procura di Savona, i fumi della centrale hanno causato 442 morti tra il 2000 e il 2007. Per il procuratore Granero la centrale avrebbe causato anche «tra i 1700 e i 2000 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 bambini sarebbero stati ricoverati per patologie respiratorie e attacchi d’asma tra il 2005 e il 2012». Tre settimane fa la procura aveva acquisito un verbale dell’Ispra, l’Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale del ministero dell’Ambiente, redatto durante una visita di routine. L’azienda si è sempre difesa sostenendo che gli studi dei consulenti di parte hanno delle «criticità». «Non sono mai state sottoposte a un contraddittorio, non si comprende quale sia stato il metodo di valutazione di esposizione agli inquinanti. Tale mancanza di chiarezza è accompagnata dall’assenza della doverosa analisi di robustezza, di sensitività e quindi di affidabilità globale del metodo adottato. Anche per questo motivo non si può affermare in concreto alcun nesso di causalità» tra morti, malattie ed emissioni. Secondo l’azienda, nelle perizie dei consulenti della procura mancherebbe anche lo studio della ricaduta a terra delle particelle inquinanti. Nel mirino della magistratura ci sarebbe il mancato rispetto di alcuni limiti imposti dalla Autorizzazione integrata ambientale.La Stampa – 11 marzo 2014

Terra dei fuochi, governo: “Stop vendita prodotti provenienti delle aree a rischio”La mappatura del ministero delle Politiche agricole ha interessato 57 comuni tra la provincia di Napoli e Caserta. Individuati 51 terreni dove verranno effettuati interventi di salvaguardiaVietata la vendita dei prodotti alimentari provenienti da terreni a rischio nella Terra dei fuochi. Lo ha stabilito un decreto interministeriale “attivo – ha sottolineato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin – da subito”. Oltre a questo provvedimento, il ministero delle Politiche  ha presentato i risultati di un’indagine dalla quale emerge che  ”su un totale di 1.076 km quadrati di terreni mappati in 57 comuni (tra la provincia di Napoli e Caserta, ndr) – si legge nella mappatura -, le aree ritenute sospette rappresentano soltanto il 2%, per un totale di 21,5 km quadrati”. Il governo ha comunque individuato 51 siti su cui devono essere effettuati interventi di salvaguardia.L’analisi sui terreni presentata oggi dal governo in una conferenza stampa a Palazzo Chigi “è una tappa intermedia”, ha detto il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina nel corso dell’incontro a cui hanno preso parte anche il ministro della Salute, Lorenzin, dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, e il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro. “Questa tappa – ha sottolineato Martina – consentirà di procedere verso tutti i passaggi successivi per l’analisi dei territori”. “Si sta parlando dello 0,01% del territorio della Regione”, ha precisato Caldoro. Mentre il provvedimento interministeriale sui prodotti alimentari provenienti dalle aree a rischio precisa che la vendita “è consentita ad almeno una di queste condizioni: che le colture siano state già oggetto di controlli

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ufficiali con esito favorevole negli ultimi 12 mesi; che siano state effettuate indagini, su richiesta e con spese a carico dell’operatore, dall’Autorità competente, con esito analitico favorevole”. A inizio febbraio, ilfattoquotidiano.it riportò la notizia che i due colossi Findus e Orogel non acquistavano più frutta e verdura proveniente dall’area interessata dallo smaltimento criminale di rifiuti.“Fino a 3 mesi fa sulla Terra dei fuochi c’era una specie di sipario chiuso, che abbiamo aperto con una serie di provvedimenti importanti, con l’obiettivo di risolvere i problemi. Un lavoro poderoso, importante. Abbiamo già avviato lo screening di massa su questi territori per dare certezza e sicurezza alla popolazione. Sono stati stanziati 50 mln di euro e stiamo quindi affrontando il problema salute di quelle zone a tutto tondo”, ha aggiunto il ministro della Salute, Lorenzin.Il Fatto Quotidiano – 11 marzo 2014

BRESCIA: AMIANTO SOTTO IL TAV, SIGILLI AI CANTIERI IN CITTA’.Sigilli giovedi scorso 6 marzo, anche la notizia è emersa solo ieri, domenica 9 marzo, al Tav bresciano.Li ha messi la Polizia Ferroviaria di Brescia, bloccando i lavori in una vasta zona dell’area chiamata ” Piccola velocità di Brescia”, dove sono in corso i lavori per il Tav. Siamo subito a sud dell’attuale scalo ferroviario, in via Dalmazia.Ritrovati nel sottosuolo, a poche centinaia di metri dalle abitazioni e a fianco della linea ferroviaria, rifiuti altamente pericolosi ed in particolare amianto. Sacchi trasparenti coprono ora il materiale, che Arpa dovrà analizzare nei prossimi giorni.Non è certo la prima volta che sotto il Tav spuntano i frutti (avvelenati) di decenni di malversazioni e mancanza di controlli. Anzi: numeri alla mano, si tratta del quinto ritrovamento di rifiuti tossici industriali lungo pochi chilometri chilometri di Tav in provincia. Oltre a Brescia città vanno ricordati i recenti casi di  Rovato, Ospitaletto, Castegnato e Travagliato.Radio Onda d’Urto (Brescia) – 11 marzo 2014

«La neve velenosa che ci uccide» A Terni tra livelli record di nichel cromo e arsenico, centraline disattivate e una galleria sotto la discarica di Amalia De Simone . A Terni nevica. In dieci minuti la telecamera diventa bianca. C’è il sole, ma la neve non si scioglie perché non è di ghiaccio ma di granelli di polvere. «Quando l’acciaieria Ast Thyssenkrupp “spara”, tutto diventa bianco. Ma qui di candido non c’è nulla. - spiega Andrea Liberati di Italia Nostra – Questa polvere contiene veleni che ci stanno uccidendo nel silenzio generale. I valori ufficiali dell’Arpa di nichel, cromo e arsenico sono ben sopra la soglia benchmark tedesca (max 15 microgrammi/mq per il nichel; max 4 per l’arsenico). Abbiamo infatti registrato un superamento della soglia di 15 microgrammi al metro quadro fino a 23 volte rispetto a questa soglia di riferimento e per il cromo anche punte di 2500 microgrammi al metroquadro. Ci chiediamo se sia eticamente giusto che un’azienda tedesca in Italia non rispetti i limiti che nel proprio paese sarebbero tassativi?». LE ACCIAIERIE - Prisciano, quartiere di Terni a ridosso delle acciaierie, potrebbe essere un borgo di casette e campagna. Solo che qui le piante diventano grigie, come le auto, i tetti delle case, i pavimenti. Gli abitanti della zona mostrano le tegole nuove che dovranno sostituire quelle ormai inservibili corrose dalla polvere. «Io compro litri di acido al mese. Per me è come se fosse acqua minerale. Lo uso per pulire ma riesco solo a tamponare. Questo grigio non va mai via», racconta un’abitante della zona mentre solleva taniche di acido. Alcuni di loro hanno fatto causa alle acciaierie e hanno ottenuto dei risarcimenti ma ora questo non basta più: «In ognuna delle nostre famiglie ci sono ammalati di cancro. Ci stiamo ammalando tutti. Devono dirci cos’è questa polvere, bonificare, smetterla di spararcela addosso. Le acciaierie ci stanno togliendo la vita. Stiamo diventando come il quartiere Tamburi di Taranto». I RILEVAMENTI - La centralina di Prisciano da fine dicembre 2012 è disattivata. Si trova accanto ad un parco giochi per bambini. «La centralina era di per sé già obsoleta e registrava valori tra il 25% e il 30% più bassi di quelli effettivi, come attestato a seguito di interrogazioni comunali. - precisa Liberati - L’eliminazione del misuratore è stata determinata dalla scelta della Regione di scorporare le centraline industriali da quelle urbane. Faccio presente che ancor oggi né quella di Prisciano, né quella di Maratta (dove insiste un inceneritore), sono state riavviate e noi non sappiamo nulla di quello che avviene nell’aria. La Thyssenkrupp conformemente alle disposizioni

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dell’Aia, è stata delegata all’acquisto del nuovo impianto, fatto che a noi ambientalisti non piace molto. Questa centralina caratterizzerà finalmente i metalli pesanti: finora a Terni ciò veniva fatto soltanto tramite un’unica centralina collocata a c.a km 3 dai forni fusori (differentemente da quanto avviene ad Aosta, per esempio: lì ne hanno messe tre tutt’attorno allo stabilimento Cogne Acciai Speciali). Comunque con il dispositivo di Prisciano registrammo anche 123 giorni di PM 10 oltre la soglia di legge. Poi è stato deciso di cliccare su off». I METALLI E LE EMISSIONI - Andrea snocciola i dati di una classifica da brividi: «Secondo il rapporto Mal’Aria-Legambiente 2012, siamo primi in Italia per cromo prodotto: kg. 968. Siamo certamente ai vertici anche con riferimento al nichel, sebbene la rete di monitoraggio sia molto carente, come detto. Secondi in Italia per mercurio nell’aria; terzi per cadmio». Gli ambientalisti denunciano che non è stata mai eseguita un’analisi delle emissioni diffuse dell’acciaieria, quelle cioè non captate. A guardare dall’alto gli impianti dell’acciaieria si resta impressionati: è una struttura enorme che fa lavorare tantissima gente. Lo stupore viene però annientato alla visione della discarica di scorie dello stabilimento: due montagne di strati a cielo aperto in mezzo agli ulivi e sopra le strade a scorrimento veloce. E’ uno dei cosiddetti siti Sin (siti di interesse nazionale ndr.) da bonificare, operazione che spetterebbe anche al comune di Terni che l’ha utilizzata anche per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. LE BONIFICHE MAI AVVIATE - Come nella maggior parte dei casi dei siti Sin la bonifica non è mai stata avviata. In discarica c’è un continuo via vai di camion che scaricano scorie. «Siamo in una situazione paradossale - spiega Giuseppe Rinaldi del Wwf – la Tyssenkrupp anziché favorire la bonifica della discarica, ha chiesto al Ministero dell’Ambiente una sua ulteriore espansione in direzione della Valnerina e della Cascata delle Marmore, con un evidente impatto paesaggistico e ambientale in un’area che è candidata a diventare patrimonio dell’Unesco. La capienza complessiva che la Tyssenkrupp otterrebbe se il Ministero assecondasse la loro pretesa, è pari a ben 7.000.000 di tonnellate di rifiuti -scorie di acciaieria». LA GALLERIA DEI VELENI - Il paradosso più grande di tutta questa storia è però un’opera che sembra essere un caso unico in Europa: una galleria, costata un centinaio di milioni di euro circa che si trova esattamente sotto la discarica. Nella galleria Tescino piove acqua contaminata con metalli e cromo esavalente. L’autorità giudiziaria ne ha disposto il sequestro per alcuni periodi e il corpo forestale dello stato ha eseguito i rilievi sul liquido che cade lungo la galleria. «Siamo stati noi a fare le denunce – spiega Liberati – ma il problema è la discarica che andrebbe bonificata e che invece sta infiltrando un’opera, come la Tescino, costata tanti soldi». In effetti, nonostante una serie di evidenti rinforzi applicati alle pareti continuano a venire giù liquidi sia lungo le pareti che direttamente sull’asfalto. Della tossicità di quel liquido se ne è accorto Alessandro Ridolfi che lavorava in galleria come tecnico per la prevenzione degli esplosivi e che asciugandosi il viso con una manica impregnata di quel liquido ha cominciato a sviluppare ulcere negli occhi e su tutto il corpo. «Da allora tutti i giorni mi alzo tra lenzuola insanguinate: secondo i medici dell’asl di Arezzo ho sviluppato una sensibilità ai metalli pesanti e al cromo. Ma queste sostanze sono contenute in tutti i prodotti, circa 1200 e così non posso avvicinarmi a nulla. Sono costretto a vivere isolato ad avere pochissimi contatti umani. Nessuno mi fa più lavorare perché prendere uno come me è una responsabilità enorme. Come vengo in contatto con una sostanza che contiene gli agenti immediatamente comincio a sanguinare e si aprono delle ulcere. La mia non è più vita. Ovviamente devo stare lontano dalla galleria e dalle acciaierie. Vorrei che fosse fatta giustizia: so che la procura sta svolgendo un’inchiesta. Spero che si vada avanti anche per i cittadini di Terni. Molti si stanno ammalando e non si accorgono di nulla».Corriere della Sera - 11 marzo 2014

Elettrosmog. Ti uccido ma lo nego, intanto fatti l'assicurazione Alessio Ramaccioni* Esiste l'elettrosmog? E' un pericolo reale? Beh... dipende. Dipende da quanto profitto nasce dal negarne l'esistenza, e da quanto profitto si determina dall'affermarla. Come è possibile? Eppure è quello che succede, nel surreale mondo neoliberista e turbocapitalista in cui abbiamo la sventura di vivere.Partiamo dall'inizio: dall'elettrosmog, il particolare tipo di inquinamento che viene prodotto dai campi elettromagnetici in bassa frequenza (generati, ad esempio, dagli elettrodotti) ed in alta frequenza (parliamo di antenne, radar, telefonia cellulare, wi-fi).

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Il dibattito sulla pericolosità per l'uomo di queste emissioni è in corso almeno da un paio di decenni, se non di più. Il tema si è posto con sempre maggiore forza e diffusione tra la popolazione, in particolare dal momento in cui il telefono cellulare è diventato oggetto di uso comune.L'immensa e rapida diffusione di questa tecnologia a livello globale ha determinato da un lato l'esigenza di approfondire gli effetti dell'aumento esponenziale di esposizione a campi elettromagnetici artificiali, dall'altro ha creato infinite ed enormi possibilità di realizzare profitti.Di certo, la diffusione dei telefoni cellulari, e di conseguenza di ripetitori ed antenne, ha destato l'attenzione di porzioni sempre più ampie di popolazione, che hanno iniziato a fare pressione sulle istituizioni per conoscere gli effetti di questa “sovraesposizione” ai campi elettromagnetici e a chiedere anche una regolamentazione rispetto alla possibilità di installare qualsiasi cosa ovunque.L'Italia si è dotata, alla fine degli anni '90, di una buona legislazione a livello di prevenzione e cautela che però, oltre a non essere stata del tutto attuata, ha recentemente subito un ridimensionamento: durante il governo Monti, attraverso alcune norme contenute in uno dei vari decreti che dovevano salvare o far crescere l'Italia e che invece l'hanno affossata sempre più.Il dibattito sull'esistenza o meno dell' “elettrosmog” è fortemente acceso anche, come è ovvio, all'interno della comunità scientifica, che sul tema è di fatto spaccata in due: da una parte chi sostiene che l'esposizione ai campi elettromagnetici non è poi così pericolosa, dall'altra chi sostiene il contrario, ed invoca interventi decisi dal punto di vista legislativo e delle scelte di governo.Questo intenso dibattito ha portato alla pubblicazione di numerosi studi, alcuni dei quali molto approfonditi, e molto discussi: citiamo ad esempio Interphone, uno studio promosso dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) con l'obiettivo di valutare la relazione tra uso del telefono cellulare e rischio di tumori cerebrali e di alcune altre neoplasie. I risultati, pubblicati qualche anno fa, descrivevano una situazione tutto sommato rassicurante per la popolazione, almeno in un primo momento: ad una analisi un po' più approfondita sono però emersi diversi dubbi relativi ad alcuni passaggi metodologici e sopratutto alla natura dei finanziamenti di questo studio, provenienti in parte da multinazionali ed aziende di telecomunicazione.Parlando di inquinamento elettromagnetico la questione del “conflitto di interessi” è sempre stato assolutamente centrale: il mercato delle telecomunicazioni è uno dei più redditizi al mondo, e le pressioni che vengono esercitate a tutti i livelli sono spaventose.Curiosamente è proprio dal mondo del “mercato” che, in controtendenza rispetto alla comunità scientifica, arrivano le certezze più nette.L'elettrosmog non esiste, o se esiste, è un problema poco rilevante e comunque assolutamente gestito in modo cautelativo: questa è, in sintesi, la posizione di molti dei protagonisti del mercato delle telecomunicazioni, ed in particolare della telefonia mobile. Questa posizione viene spesso rafforzata dal parere di scienziati e medici, magari nel corso di convegni e meeting finanziati proprio da multinazionali ed aziende di TLC. Alcuni di questi scienziati, però, sono poi risultati essere quantomeno “in odore” di conflitto di interessi... E' successo a livello europeo, con il caso dello scenziato svedese Anders Albhom, la cui storia è caratterizzata da un curioso “doppio ruolo”: da un lato, impegnato come ricercatore nello studio sulla pericolosità dei campi elettromagnetici, dall'altro legato ad una società di consulenza sulle telecomunicazioni di proprietà del fratello. Anche in Italia abbiamo i nostri esempi di questo fenomeno: uno dei nomi più illustri è quello del professor Veronesi, che da ex Ministro della Salute non si fece alcun tipo di problema ad impegnarsi come perito di parte nel processo contro Radio Vaticana per inquinemanto elettromagnetico. La parte a cui prestò la sua consulenza è quella di Radio Vaticana, ovviamente.L'elettrosmog non esiste, quindi: perchè se esistesse non sarebbe possibile installare tutte quelle antenne sui tetti delle città, in prossimità di asili, ospedali, abitazioni... Se esistesse l'elettrosmog bisognerebbe avvertire gli acquirenti dei telefoni cellulari che bisognerebbe utilizzare sempre l'auricolare, e che il tempo di utilizzo del telefono dovrebbe essere minimizzato. Se esistesse l'elettrosmog bisognerebbe rivedere tutta la politica di utilizzo e diffusione della connessione a banda larga: il wi-fi diventerebbe pericoloso, considerato che comporta una esposizione h24, per cui sarebbe necessario spendere ed investire in prevenzione. Se esistesse l'elettrosmog non sarebbe possibile costruire radar ed infrastrutture ad uso militare e civile, utili sia come elementi strategici sia come remunerativi appalti.

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Insomma, per chi lavora nell'ambito delle telecomunicazioni con l'obbiettivo di fare profitto, l'elettrosmog non solo non esiste, ma non può esistere.Questo naturalmente vale fino a quando non si va a mettere in pericolo l'esistenza di un altrro tipo di profitto, che nel caso specifico è quello delle compagnie di assicurazione.Facendo attenzione alle clausole proposte all'interno delle polizze assicurative, sempre più spesso è possibile incappare nella dicitura “campi elettromagnetici”, o “inquinamento elettromagnetico”, in riferimento, solitamente, alle cause di esclusione dal risarcimento. E' possibile rendersi conto di persona di quanto raccontiamo, facendo una semplice ricerca su internet.In pratica, alcune assicurazioni non risarciscono in presenza di danni causati dall'esposizione a campi elettromagnetici.Ma come... allora l'elettrosmog esiste! Perchè se alcune compagnie di assicurazione ritengono necessario inserire questa clausola, significa che a monte è stata fatta una valutazione di tipo economico, che ha portato alla decisione di ritenere l'inquinamento elettromagnetico un rischio da “disinnescare”. Insomma, non è un elemento accessorio e “folcloristico” inserito “tanto per stare sicuri”: è piuttosto una scelta precisa, che nasce da una serie di fattori. La conoscenza di dati ed elementi probabilmente ignorati dalla maggior parte della popolazione è sicuramente il primo; poi certamente è intervenuta la consapevolezza dell'attenzione sempre più alta per la questione-elettrosmog che si registra nella comunità scientifica, nelle istituzioni e nella magistratura (da malpensanti quali siamo, riteniamo che sia quest'ultimo tipo di attenzione, a preoccuoare più delle altre).Per cui, torniamo alla domanda con cui abbiamo aperto: esiste l'elettrosmog? La risposta più corretta, alla fine di questa riflessione, è sempre quella: DIPENDE. E la variabile non è il livello di consapevolezza scientifica, e nemmeno, che so, il fattore ambientale. E' il profitto, legato all'affermazione o alla negazione del concetto.Ed ecco l'illuminazione: forse siamo di fronte alla scoperta di una nuova categoria filosofoca! Il RELATIVISMO CAPITALISTICO, una visione del mondo assolutamente priva di altri punti di riferimento che non siano profitto, guadagno e speculazione.* giornalista di Radio Città Aperta, autore insieme a Pablo Castellani di: "Onde anomale. Le verità nascoste sull'elettrosmog" e di "Bomba atomica. Inchiesta su Radio Vaticana"Contropiano - 14 marzo 2014

Muos, gli esperti in Senato: “Il rapporto Usa è di una superficialità inbarazzante”La settimana scorsa  i Senatori della Commissione Ambiemte e Salute di Palazzo Madama sono venuti in Sicilia per raccogliere informazioni sul Muos di Niscemi. Oggi, hanno voluto ascoltare gli esperti direttamente a Roma.Si sono dunque aperte ufficialmente le audizioni sul controverso sistema di comunicazioni satellitari che la Marina Usa sta piazzando in provincia di Caltanissetta.I senatori hanno voluto ascoltare, tra gli altri, il Pofessore Massimo Zucchetti del Politecnico di Torino e il Professor Maurizio D’Amore, de La Sapienza di Roma.Zucchetti ha sottolineato come sulla base delle rilevazioni fatte dal gruppo di dieci scienziati indipendenti che ha redatto il rapporto di studio sull’impianto, “i valori dei campi elettromagnetici stimati per effetto del Muos superano i limiti di sicurezza in relazione ad effetti acuti gia’ ad una distanza di 17 chilometri”.Netta la conclusione del gruppo di scienziati che ha redatto il rapporto: “Riteniamo che il Muos – ha affermato Zucchetti – ricade in un contesto di grave inquinamento ambientale, che non puo’ essere ulteriormente inquinato con altre installazioni”.Dunque, ha sostenuto Zucchetti a Palazzo Madama, “il rischio Muos e’ rilevante: vi sono rischi a breve termine e lungo termine per esposizione cronica ai campi elettromagnetici da parte dei cittadini, ma anche rischi di interferenze con apparecchiature elettromedicali e disturbi per la navigazione aerea”.In relazione alla presenza di campi elettromagnetici, a Niscemi e zone limitrofe, ha ricordato  Zucchetti, “ci sono gia’ valori prossimi o superiori ai livelli di attenzione previsti dalla legge. Abbiamo dati per cui gia’ le antenne attuali superano i valori previsti”.L’esperto ha quindi rilevato come “per poter autorizzare l’installazione di un apparato come il Muos, la legge prevede la messa a punto di un modello previsionale per i campi elettromagnetici,

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ma questo non e’ mai stato fatto. Non avendo tale modello – ha puntualizzato – non e’ possibile ne’ dare un parere ne’ autorizzare l’impianto Muos in mancanza di quanto la legge prescrive”.Quindi le autorizzazioni del 2011 sono illegittime. Oltre che anticostituzionali, come denunciano in una mozione depositata a Montecitorio i deputati del Gruppo Inter Parlamentari per la Pace: manca, infatti, la ratifica del Parlamento sul via libera all’installazione dell’impianto della Marina Usa.Molto chiaro anche il professor D’Amore, che già era stato incaricato dal Tar Sicilia di stilare un rapporto sul Muos, in cui aveva concluso che si tratta di un impianto pericoloso. E che, oggi ha ribadito quanto già scritto per i giudici, dinnanzi ai senatori: “Il rapporto di conformita’ redatto dalla Us Navy in merito all’installazione del Muos, l’impianto di comunicazioni satellitari, a Niscemi, ”e’ di una superficialita’ che ho trovato imbarazzante”  ha affermato il  professore emerito presso la facolta’ di Ingegneria e ordinario di elettrotecnica all’universita’ La Sapienza di Roma.C’e’ un calcolo di campo elettromagnetico – ha rilevato D’Amore – per una zona lontana, mentre interessa sapere cosa avviene nelle aree vicine, ad un massimo di 20 km dalla stazione”. Tra le altre ”carenze” indicate anche il fatto che il rapporto indica che l’antenna Muos ”punta verso il cielo”, ma l’assenza di effetti a terra non e’ certa.Infine, ha rilevato l’esperto, i rilevamenti elettromagnetici per l’impianto gia’ esistente risultano gia’ ”alti”. Per non parlare della sismicità del territorio e della prossimita’ di tre aeroporti: ”Gli aerei in atterraggio a Comiso ad esempio – ha affermato l’esperto – possono essere investiti dal fascio satellitare”, con prevedibili effetti, ”ma di questo non si parla”.Voce fuori del coro quella dell’Ispra, già al centro di forti polemiche per la modalità in cui ha eseguito le misurazioni a Niscemi sull’emissioni elettromagnetiche delle antenne già esistenti nella base americana.  Tanto che gli attivisti No Muos contemplano l’ipotesi di una denuncia nei suoi confronti. I dati di questo ente governativo, risultano troppo distanti da quelli dell’Arpa Sicilia. Ebbene, questo sarebbe dovuto ad un “errore nella metodologia di calcolo”. Lo ha detto, sempre oggi, a Palazzo Madama il direttore generale dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), Stefano Laporta“In nessun caso le emissioni elettromagnetiche superano i limiti di legge” per l’Ispra. Non solo. L’ente si dice sicuro che “le altre 23 antenne in alta frequenza  sono inutilizzate e verranno dismesse appena ci saranno i necessari fondi economici da parte degli Usa”.LinkSicilia - 24 marzo 2014

E Formigoni rischia un altro processo è accusato di corruzione per una discarica MILANO — La Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per l'ex Governatore lombardo e senatore del Ncd Roberto Formigoni, accusato di corruzione insieme ad altre 12 persone indagate per la realizzazione della discarica di amianto di Cappella Cantone, in provincia di Cremona. Secondo le indagini del procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dei pm Paolo Filippini e Antonio D'Alessio, sarebbero state pagate tangenti per oltre un milione alla Compagnia delle Opere di Bergamo su indicazione di Formigoni. Secondo i pm, l'imprenditore bergamasco Pierluca Locatelli, interessato alla realizzazione della discarica, avrebbe pagato centomila euro «al fine di ottenere la necessaria Autorizzazione integrata ambientale» all'allora vicepresidente del Consiglio regionale, Franco Nicoli Cristiani, finito in carcere nel novembre 2011. Ma doveva, anche, soddisfare le richieste dell'altra componente in Regione, quella di Comunione e Liberazione. Così, avrebbe pagato «con il consenso e la consapevolezza di Rossano Breno e Brambilla Luigi», gli ex vertici della Cdo di Bergamo, «che agivano in nome e per conto dei pubblici ufficiali Marcello Raimondi», ex assessore regionale all'Ambiente, e «Formigoni». Per la procura, Locatelli avrebbe versato oltre un milione «in favore della Compagnia delle Opere di Bergamo», e in cambio avrebbe ottenuto «l'approvazione della delibera di Giunta del 20 aprile 2011, su proposta del Presidente, che consentiva la disapplicazione del Piano Cave adottato dal Consiglio Regionale». L'imprenditore avrebbe fatto avere 200mila euro a Brambilla, all'epoca "numero due" della Cdo bergamasca, e 25mila euro a Breno, che era presidente, oltre 781mila euro per «la ristrutturazione della scuola privata Imiberg di Bergamo». «Posso dichiararmi soddisfatto, infatti non sono ancora riusciti ad accusarmi né di omicidio efferato plurimo né di strage — ha replicato ironicamente Formigoni — . Ancora una volta sono costretti a riconoscere, a denti stretti, che non ho intascato un euro».

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La Repubblica – 25 Marzo 2014

Veleni di Bussi, scontro al processo tra Montedison e Solvay. Chiodi rassicura, Sel lo attaccaCHIETI - Ancora veleni, ma stavolta tra Montedison e Solvay. È stata rigettata infatti in Corte d'Assise, dove si svolge il processo a porte chiuse, la richiesta della Montedison di escludere la Solvay come parte civile nel processo che si è aperto per stabilire le responsabilità sulla mega discarica di rifiuti tossici di Bussi (Pescara). La richiesta della Montedison di tirar fuori la Solvay dagli accusatori è stata motivata, come ha spiegato uno degli avvocati di parte civile per Codici Gaetano Di Tommaso presente in aula «dal fatto che nei giorni scorsi è stata presentata la chiusura delle indagini per 7 dirigenti della Solvay per la tranche bis dell'inchiesta».L'udienza si è svolta a porte chiuse e la decisione di non modificare lo status giuridico della Solvay è stata presa dal collegio presieduto dal presidente Geremia Spiniello. Prossima udienza il 4 aprile, mentre spetterà alla Corte d'Appello dell'Aquila l'8 aprile decidere sulla ricusazione di Spiniello chiesta dai legali della difesa in merito ad alcune sue dichiarazione nelle quali il magistrato si augurava un processo rapido e nell'interesse dei cittadini.LA POLITICA - «L'Abruzzo non è la Terra dei Fuochi, magari lo è stato in passato ma non ora». Lo ha affermato il presidente della Regione, Gianni Chiodi, nel corso di un convegno a Pescara, dove è arrivato dopo la conferenza stampa a Bussi. Il governatore ha criticato le notizie circolate in questi giorni secondo cui l'acqua sarebbe ancora contaminata, ribadendo che «l'acqua è ottima dal 2007», ed ha spiegato di aver suggerito agli operatori di avanzare richieste di risarcimento per i danni subiti, considerato che «sono tante le disdette dal punto di vista turistico».Per quanto riguarda le operazioni di bonifica Chiodi ha detto di aver parlato poco prima dell'insediamento del nuovo Governo Renzi con l'ex ministro dell'Ambiente Orlando per lamentarsi «dei ritardi del Governo nell'erogazione dei 50 milioni di euro necessari per avviare la bonifica ai fini della sola reindustrializzazione dell'ex sito». IL CONTRATTACCO - «C'è da rimanere allibiti dalla sottovalutazione degli effetti provocati dalla discarica di Bussi. Occorre che il Governo capisca che insieme alla Terra dei Fuochi e a Taranto, il sito di Bussi è una gravissima emergenza nazionale che attenta alla salute di centinaia di migliaia di cittadini innocenti e per troppi anni tenuti all'oscuro di quanto era successo», lo dice il deputato pescarese di Sel Gianni Melilla, il quale spiega che «appena eletto parlamentare nello scorso marzo 2013 ho presentato 6 interrogazioni (praticamente una ogni mese) sulla gravissima situazione derivante dalla mancata bonifica della discarica di Bussi, e dai ritardi intollerabili nel risanamento del bacino del fiume Aterno Pescara per il quale c'è da anni un commissario governativo il cui operato è sconsolante. Sono intervenuto ripetutamente in Aula per sollecitare una risposta del Governo che sinora non c'è stata, ho chiesto ripetutamente un intervento per utilizzare rapidamente i primi 50 milioni di euro stanziati per la bonifica e la reindustrializzazione del sito di Bussi e prevedere di stanziarne altre centinaia di milioni di euro subito vista la portata del disastro ambientale provocato per decenni da industriali senza scrupoli che per i loro profitti non hanno esitato a interrare e »nascondere« veleni e rifiuti tossici di ogni tipo».IL SINDACO E IL "COMPLOTTO" - «Siamo nel mirino forse perchè a qualcuno non va bene il progetto di bonifica e reindustrializzazione» che coinvolge comune, ministero e Solvay. Non usa mezzi termini il sindaco del comune dove c'è la mega discarica di rifiuti tossici, Salvatore La Gatta, per quella che chiama «operazione verità» sui fatti che hanno portato il comune sulle cronache nazionali. «Il paese ha sacrificato salute e vita. Non ci sto a fare infangare i cittadini accusandoci di omertà e inquinamento».Il sindaco di Bussi si domanda quindi perchè oggi. «Uno - spiega in conferenza stampa con il presidente della regione Gianni Chiodi e il commissario del bacino Aterno-Pescara, Adriano Goio - perchè sta entrando nel vivo il processo, l'altro secondo perchè il comune di Bussi sta arrivando a definire la reindustrializzazione del sito che può essere realizzata soltanto con la bonifica e la messa in sicurezza». Il primo cittadino difende il nome della sua città. «Quando si parla dell'Ilva di Taranto si dice che l'Ilva inquina, di Marghera si parla di Montedison a Spinetta di Solvay ma - ha detto La Gatta - per noi il titolo sui quotidiani è stato che Bussi inquina le acque».«La verità è che nel 2007 a seguito di analisi del Wwf e di Rifondazione Comunista - ha riferito il sindaco di Bussi - i pozzi di Colle Sant'Angelo erano inquinati e che l'inquinamento era

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riconducibile al sito industriale. I pozzi vennero chiusi e il comune si rese disponibile ad ospitare un pozzo di emergenza all'ingresso del paese e poi sulla montagna. Oggi eroghiamo mille litri al secondo di acqua purissima. Il problema dell'inquinamento risale quindi a otto anni fa».Il Messaggero - 28 marzo 2014

Nuova sentenza sul TAV in Mugello: Idra scrive a Renzi e Nardella Idra scrive al premier Matteo Renzi, sindaco di Firenze fino a poche settimane or sono, e al vice sindaco reggente Dario Nardella, proponendo loro di considerare con grande attenzione i contenuti della sentenza con cui la Corte d’Appello di Firenze ha rideterminato pene e sanzioni a carico degli esecutori dei lavori per l’Alta velocità ferroviaria fra Firenze e Bologna, le motivazioni che la sostengono (non appena saranno pubblicate), e il messaggio etico-politico che ne promana.La sentenza conferma, a giudizio dell’Associazione ecologista, parte civile nel processo, due evidenze significative, delle quali – scrive Idra - converrà tener conto pensando al progetto di stazione sotterranea e doppio sottoattraversamento AV di Firenze.La prima. I materiali da scavo non sono terra innocente e necessariamente innocua. Al contrario, risultano suscettibili di provocare supplementi importanti di inquinamento. I processi di estrazione, trasferimento e allocazione delle terre da scavo vanno dunque attentamente monitorati e controllati.La seconda. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Firenze sulle strumentazioni, le tecnologie e i materiali da impiegare per la realizzazione del doppio sottoattraversamento di Firenze rivela, ancor prima dell’avvio degli scavi, la presenza di una preoccupante inclinazione da parte delle ditte impegnate nei lavori - a un’attenzione insufficiente alle esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza. Per quanto presumibilmente in sofferenza aggiunge Idra - tenuto conto degli organici e delle dotazioni disponibili, e considerata la mole dei controlli necessari a fronteggiare in maniera efficace e con capacità di prevenzione l’indotto criminoso sovente associato nel nostro Paese alla realizzazione delle cosiddette ‘grandi opere’, ARPAT, Polizia Giudiziaria e Procura hanno potuto quanto meno porre l’autorità giudiziaria di Firenze in condizione di restituire visibilità a una quantità di reati ambientali, molti dei quali andati purtroppo prescritti. Secondo il presidente di Idra, Girolamo Dell’Olio,  ‘non sarebbe saggio continuare a promuovere la TAV in una città d’arte come Firenze in condizioni di valutazione di impatto ambientale insufficiente, di affidamento degli appalti secondo criteri potenzialmente dannosi al buon governo della cosa pubblica, potenzialmente lesivo a ‘general contractor’, di gestione incerta delle metodologie di scavo, di qualità dubbia dei materiali da costruzione, di solidità finanziaria incerta delle ditte aggiudicatarie dei lavori, in un contesto di crisi economica di fondo. A risolvere la quale’ conclude l’associazione ecologista fiorentina - non aiutano certoinvestimenti colossali di capitale pubblico capaci di produrre lavoro scarso e precario e scenari di perdurante rischio ambientale’. Idra esprime gratitudine a tutti i soggetti istituzionali attivi nell’inchiesta conclusasi con la recente sentenza della Corte d’Appello, ai legali di parte civile, e in particolare allo Studio legale Luciani, che ha continuato ad assistere l’associazione fiorentina anche in questo quarto passaggio di giudizio.Contropiano - 29 marzo 2014

PETROLIO: 25 ANNI DOPO LA EXXON VALDEZVenticinque anni fa una petroliera carica di greggio, la Exxon-Valdez, naufragava di fronte all’Alaska, disperdendo in mare 42 milioni di litri di combustibile. Si trattò di una delle peggiori catastrofi ambientali della storia dell’umanità. Il liquido nero uccide oltre 250 mila uccelli, migliaia di balene e di altre specie marine. «Ancora oggi – ha spiegato all’agenzia AFP Steve Rothchild, membro di un’associazione ambientalista della Baia di Prince-William – resta in noi una sensazione di amarezza». Il colosso petrolifero ExxonMobil, infatti, secondo l’attivista «non ha mantenuto la promessa di riparare il danno causato. Dopo il processo, alle persone colpite sono stati concessi soltanto centesimi».  La compagnia era stata infatti condannata a risarcire 32 mila abitanti con 5 miliardi di dollari. Ma nel giugno del 2008, la Corte suprema degli Stati Uniti aveva ridotto enormemente la cifra, fissandola a 500 milioni.Intervenendo alla  recente  iniziativa “ 25 Years Since Exxon Valdez Oil Spill Disaster  lessons Learned, Continuing Risks”, Dune Lankard, un pescatore di Cordova in Alaska e presidente 

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dell’Eyak  Preservation council,  ha detto: «Il nostro mondo della pesca selvatica  è crollato in una notte. L’aringa ed il salmone selvaggio hanno corso il rischio di scomparire e non sono mai stati pienamente recuperati. La pesca delle aringhe era il 50% del nostro reddito annuale e forniva cibo e posti di lavoro per le nostre famiglie. Allora, che cosa abbiamo imparato negli ultimi 25 anni? So che non importa dove avviene uno sversamento di petrolio, l’industria ed il governo non possono ripulirlo, non importa quello che dicono o provano a far credere all’opinione pubblica. Ho anche imparato che la salvaguardia è la chiave per qualsiasi tipo di ripristino, sia che si tratti di habitat, cultura o le lingue autoctone in pericolo».Quel disastro di 25 anni fa ha dimostrato le difficoltà di bonificare un grosso sversamento petrolifero in un ambiente artico e secondo Sierra Club, «E’ foriero di futuri disastri della trivellazione offshore, nei quali il rischio di fuoriuscite di petrolio è inevitabile. Nonostante questo, i piani per trivellare nel Mar Glaciale Artico continuano ad andare avanti».Cindy Shogan, direttrice dell’Alaska Wilderness League, ha ricordato che « il programma petrolifero artico 2012-2013 della Shell  è stato un disastro, con le sue disavventure che sono culminate con la sua piattaforma di trivellazione incagliata nei pressi dell’Isola di Kodiak in Alaska. E’ stata costretta  ad abbandonare i suoi piani di perforazione questa estate a causa della sua mancanza di preparazione e dei guasti tecnici. La Shell ha solo dimostrato che nessuna compagnia petrolifera è pronta a trivellare nel  clima rigido e imprevedibile dell’Artico ».Secondo Rick Steiner, un noto esperto internazionale di sversamenti petroliferi che ha lavorato anche alla bonifica della marea nera della Exxon Valdez, «La lezione della Exxon Valdez da portare a casa è questa: se davvero si ha a cuore una zona costiera o marina, come l’Oceano Artico o Bristol Bay, non dovremmo esporla ai rischi pericolosi dello sviluppo petrolifero. Anche con le migliori garanzie possibili, si verificheranno sicuramente fuoriuscite. E quando avvengono, non possono essere ripulite, a lungo termine possono provocare danni ecologici anche permanenti, le comunità umane possono essere devastate ed il ripristino è impossibile. Ciò sarebbe particolarmente vero per un importante sversamento nelle acque coperte dai ghiacci del Mar Glaciale Artico».,Anche per Gene Karpinski, presidente della League of Conservation Voters, «E’ tempo di imparare le lezioni della Exxon Valdez. Dopo questo incidente, abbiamo assistito agli sversamenti della BP nel Golfo, della pipeline della Enbridge in Michigan, agli sversamenti delle scorie di  carbone negli Appalachi e ad  innumerevoli altri disastri. La nostra dipendenza dall’energia sporca  che sta alimentando il cambiamento climatico continua a produrre un costo ambientale enorme».Athan Manuel, direttore della campagna Lands Protection di Sierra Club, conclude: «La brutta storia della nostra sporca dipendenza energetica è chiara, come lo sono i vantaggi di scegliere un percorso pulito che guardi avanti. I carburanti sporchi devono essere lasciati sotto terra  e l’amministrazione Obama deve cominciare a farlo mettendo la moratoria sulle licenze per lo sviluppo nel Mar Glaciale Artico».Radio Onda D’Urto – 31 marzo 2014

"La discarica di Cupinoro è un cancro". Il grido dalla piazza di Bracciano Qui di seguito il discorso in piazza a Bracciano che ha concluso la fiaccolata di protesta contro la discarica di Cupinoro sabato scorso."Prima era una discarica abusiva. Poi è diventata una montagna di veleni alta 80 metri. Oggi, secondo le intenzioni del sindaco Sala e della Regione Lazio, deve diventare il nuovo polo industriale dei rifiuti del Lazio, la nuova Malagrotta. E dietro a loro, come un gregge di pecore, i sindaci dei comuni che vengono a sversare sul nostro territorio, conniventi o indifferenti a questo progetto infame.  Cupinoro è un cancro. E’ la vergogna del nostro territorio. Nessuno vuole sapere e nessuno sa cosa c’è là sotto. E invece di mettere in sicurezza la discarica e magari dirci quanto veleno in questo momento sta inquinando la nostra terra, l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo, questa gente vuole investire e moltiplicare questa vergogna. Estendere il cancro. Costruire impianti di trattamento che ammorberanno l’aria giorno e notte. Costruire impianti a biogas,  che la legge definisce ‘industrie insalubri di prima classe’ nonostante le menzogne che ci raccontano. Aprire nuovi invasi per ospitare i rifiuti di Roma e del Lazio. Questo è il progetto del sindaco Giuliano Sala, del governatore Nicola Zingaretti, dell’assessore Michele Civita.

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Costruire la nuova Malagrotta qui a Bracciano, vicino al lago, vicino al castello degli Orsini, vicino alla necropoli della Banditaccia di Cerveteri, che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio dell’Umanità, costruirla qui, tra boschi e campi coltivati, in una zona a protezione speciale e gravata da usi Civici, è senza dubbio un’idea – come dire? – assolutamente cretina. Invece di valorizzare le immense potenzialità del territorio -  il turismo, la cultura, l’agricoltura, il paesaggio – si mira a azzerare tutto, a inquinare ancora dopo 30 anni di inquinamento. E’ un’idea da irresponsabili, senza senso e senza futuro. E badate bene, non siamo solo noi cittadini – quelli che dicono sempre no, quelli che ostacolano il progresso e l’innovazione - a vederla così. C’è anche il Ministero dei Beni Culturali, che ha bloccato l’Autorizzazione richiesta dalla Regione. L’assessore Civita c’è rimasto male, si è accorto che c’è ancora qualcuno che pensa che il territorio sia un bene da tutelare. Ha usato parole gravissime per umiliare e screditare il Ministero dei Beni Culturali. Ha promesso pubblicamente la riapertura di Cupinoro, anche attraverso il ricorso al Consiglio dei Ministri, ha detto che sono sicuri di vincere la partita. Ha anche annunciato che prenderanno decisioni impopolari. Cosa intendi, assessore? Vuoi portare a Bracciano l’esercito?  Vuoi vedere scorrere il sangue, come a Terzigno o in Val di Susa?Che ne pensa di questa eventualità il nostro sindaco Sala, l’autore di questa bella idea? Cosa ne pensa la sua maggioranza? Cosa ne pensa l’opposizione, e in particolare il signor Massi e il signor Testini che due giorni fa si sono rifiutati di chiedere un consiglio comunale aperto per informare i cittadini dei rischi che stanno correndo?Un consiglio comunale è un momento di confronto democratico, se ricordate ancora questa parola. Potreste chiamare veri esperti, non quelli iscritti a libro paga, e rischiare di scoprire che questa città e questa regione hanno a disposizione soluzioni mille volte migliori per gestire i rifiuti, più sane, più efficaci e più vantaggiose in termini economici. Ma a voi questo evidentemente non interessa. Allora una domanda. Se non vi interessa la salute dei vostri concittadini e l’integrità del posto in cui siete nati - che qualcuno magari a caro prezzo ha conservato integro per voi - cosa vi interessa? Ce lo volete dire? Oppure volete continuare a nascondervi? Una cosa è sicura, Cupinoro non è l’unica vergogna di questo territorio.Ma ora parliamo di cose belle, parliamo di noi.Noi oggi siamo qui in rappresentanza dei cittadini di Bracciano, Cerveteri, Ladispoli, I Terzi, Borgo San Martino, Manziana e Anguillara, di tutti i paesi e le frazioni di questo territorio ancora splendido. E anche dei cittadini che non sono ancora nati.Siamo qui in rappresentanza dei cittadini di Roma e d’Italia che mangeranno il cibo che noi produrremo sulla nostra terra e della cui salubrità siamo responsabili. Siamo qui in rappresentanza degli animali che non potranno difendersi dai veleni delle industrie, per il nibbio bruno di Cupinoro, per tutti gli alberi che verranno abbattuti, per questa terra che vogliono devastare.Siamo qui in rappresentanza dei cittadini del mondo che non potranno più godere delle bellezze uniche di questi luoghi, che non avranno più motivi per visitare il luogo che ora si appresta a diventare l’immondezzaio di Roma e del Lazio. Cosa daremo ai turisti per non sentire la puzza, le maschere antigas? Ci mandiamo Sala e Zingaretti a spiegargli che non devono preoccuparsi perché tanto i rifiuti ora sono trattati e tutto va bene? Siamo qui per lanciare un appello.La minaccia è gravissima, ma siamo ancora in tempo a fermarli.Dobbiamo attivarci, subito e personalmente, ognuno di noi. Negli anni scorsi è già successo,  i cittadini uniti e determinati hanno sventato pericoli che sembravano ineludibili. Quindi ce la possiamo fare. Loro hanno l’autorità, noi abbiamo la coscienza. Loro pensano ai soldi e al potere, noi pensiamo alla salute dei nostri figli. Le nostre ragioni valgono più delle loro. Non dobbiamo dimenticarcelo mai.Rimbocchiamoci le maniche, ognuno secondo le sue possibilità. Donne e uomini, ragazze e ragazzi, future madri e padri, medici, giornalisti, avvocati, commercianti, impiegati, qualunque sia il vostro lavoro o la vostra attività, ora abbiamo tutti una missione e una sfida, mettiamoci  il corpo e l’anima per vincerla.Dobbiamo salvare la nostra terra e il nostro futuro, la posta in gioco è enorme. Combattere per questo è una grande responsabilità e un grandissimo onore. Informatevi, passate parola, facciamo

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resistenza in ogni modo possibile. In piazza, nei tribunali, negli uffici e nelle case. Se sapremo essere insieme, non possiamo perdere.Questo è  un appello che viene da cittadini come voi.Cosa rispondete?Grazie. Ora siamo insieme. Possiamo spegnere le fiaccole, oggi abbiamo acceso la speranza di dare ai nostri figli un futuro migliore. Buon lavoro a tutti e diamoci da fare".Comitato Bracciano Stop DiscaricaContropiano – 01 aprile 2014

Niscemi. Il Tar prende tempo ma la lotta contro il Muos non si ferma Verso la Liberazione. Da MUOS e guerreANCHE SE IL TAR ALLUNGA I TEMPI LA LOTTA NO MUOS NON SI RINVIADopo il rinvio del TAR di Palermo del 27 Marzo, restiamo convinti che dietro la "non decisione" ci sia in realtà un intento dilatorio, a fronte di una questione che meritava una definizione urgente e tempestiva. Le motivazioni fornite dal Presidente D'Agostino riguardo alla necessità di acquisire il parere dell'ISS e di chiedere al Verificatore nominato dal TAR di confrontare le proprie conclusioni con quelle alle quali è giunto l'Istituto Superiore di Sanità, non ci convincono. In primo luogo perché lo studio dell'ISS era già agli atti essendo stato prodotto dalle parti; poi perché la consulenza del Verificatore prof. D'Amore e lo studio dell'ISS non sono fra loro sovrapponibili. La prima riguarda la regolarità delle Autorizzazioni rilasciate nel 2011, il secondo riguarda invece gli effetti delle onde elettromagnetiche sulla salute.. I gravissimi vizi rilevati dal Prof. D'Amore, negli atti sui quali sono fondate le autorizzazioni, da lui definiti "di una superficialità imbarazzante" erano già sufficienti a far pronunciare l'annullamento delle autorizzazioni e in nessun modo possono essere sanate dal parere dell'ISS che è atto estraneo al procedimento autorizzatorio, di parte e dichiarato dallo stesso Istituto Superiore "non utilizzabile a fini autorizzativi".Allora, a cosa dovrebbe servire il nuovo incarico al Verificatore? Soprattutto, a chi serve? Noi un'idea ce la siamo già fatta. I giornali scrivono che nei prossimi mesi il MUOS sarà messo in funzione a fini sperimentali ed è chiaro che una sentenza che andasse nell'unico senso consentito da ciò che è emerso nel processo avrebbe bloccato un progetto che deve andare avanti a tutti i costi. Specie ora che Obama ci ha esortato a tirare la cinghia in periodo di crisi (che vuol dire tagli alla spesa sociale) ma non tirare il freno alla corsa agli armamenti. E a rafforzare le nostre tesi, si aggiungono le preoccupazioni espresse sabato scorso da diversi studiosi nell'ambito di un incontro a Palermo, sull'altissimo e preoccupante livello di inquinamento proprio nella zona tra Gela e Niscemi a causa della presenza del petrolchimico, delle antenne NRTF e a breve del MUOS.Intanto i nostri legali sono pronti a depositare una nuova richiesta di sospensiva: lo scorso ottobre il TAR aveva accolto la loro richiesta cautelare ma senza sospendere gli atti impugnati, ritenendo l'esigenza cautelare sufficientemente tutelata dall'anticipazione, proprio al 27 marzo, della decisione. Ora, però, che la decisione è slittata chiederemo, in forza delle stesse esigenze cautelari già accertate, che le autorizzazioni siano sospese e con esse la messa in funzione del MUOS, sia pure a fini sperimentali.Nel frattempo continua l'iter delle mozioni presentate in Parlamento e anche a quelle cercheremo di imporre una brusca accelerazione. Non si ferma né si fermerà mai la resistenza popolare, la cui prossima tappa sarà la “due giorni” del 25 e 26 aprile in Contrada Ulmo per celebrare la liberazione da tutte le guerre e dal MUOS.Il centro di trasmissioni di Niscemi è uno strumento di guerra ad uso esclusivo del governo americano che mette a repentaglio la vita, la sicurezza e la salute nostra e dei nostri figli per asservirci alle guerre degli altri. Non ci piegheremo a un Governo servo e a giudici succubi di queste logiche. COORDINAMENTO REGIONALE DEI COMITATI NO MUOSContropiano – 01 aprile 2014

BRESCIA : NELLA EX CAVA PICCINELLI FALDA E CESIO 137 SONO ENTRATE IN CONTATTOLa prima falda sotto la discarica ex Piccinelli di scorie radioattive cesio 137  di via Serenissima ad ottobre è risalita fino a toccare di circa venti centimetri il fondo dei rifiuti. Lo ha certificato l’ Arpa specificando che non ha rilevato radioattività nell’acqua raccolta nei piezometri. L’ARPA sta’ ora

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valutando l’installazione di pompe idrovore per tenere bassa la prima falda (un pò come nel caso della Caffaro di via Milano) .Radio Onda d’Urto– 01 aprile 2014

PORTO TOLLE: CONDANNATA ENEL PER DISASTRO AMBIENTALEA Porto Tolle ci fu un disastro ambientale colposo. Per anni, nonostante le denunce degli ambientalisti e dei comitati cittadini, la centrale che funzionò prima a zolfo e gasolio e poi, dal ’95, a orimulsion, avvelenò l’aria danneggiando il delicato ambiente del Delta del Po e causando gravi patologie alla popolazione e, in particolare, all’infanzia. Lo ha stabilito il tribunale di Rovigo che ha condannato ieri in primo grado gli ex vertici di Enel, Franco Tatò e Paolo Scaroni, attuale amministratore delegato di Eni, a tre anni di reclusione con interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Inoltre, Enel è stata condannata a pagare una penale di 3,6 milioni di euro. Assolto l’attuale amministratore di Enel, Fulvio Conti, assolto per mancanza di elementi oggettivi.Una sentenza controcorrente per un Paese come il nostro dove i reati ambientali non trovano mai troppo seguito nelle aule di giustizia, in particolare quando sui banchi degli imputati siedono potenti manager pubblici. Questa volta invece, grazie alla perseveranza di associazioni come Legambiente, Green Peace, Italia Nostra e Wwf che si sono costituite parte civile, è arrivata una condanna dura che sposa in pieno le tesi degli ambientalisti.Esterrefatti per una sentenza che incrina la loro “teutonica fiducia sulla Giustizia” si sono detti i due ex amministratori delegati di Enel che annunciano ricorsi e controricorsi. “La centrale Enel di Porto Tolle ha sempre rispettato gli standard in vigore anche all’epoca dei fatti ha sostenuto l’avvocato difensore di Scaroni, Alberto Moro Visconti, – I reati contestati non sussistono, peraltro sono così risalenti nel tempo che, se ci fossero stati, oggi avrebbero dovuto essere dichiarati prescritti”. Traduzione: quel giorno non c’ero e se c’ero dormivo.Tutto da vedere se la condanna peserà sulla riconferma di Paolo Scaroni al vertice di Eni. Il premier Matteo Renzi non si è ancora pronunciato a riguardo pur se ha sostenuto la necessità di rispettare le sentenze della magistratura.Comunque vada per la carriera manageriale di Scaroni, questa rimane una sentenza storica che per la prima volta stabilisce un nesso tra le emissioni di una centrale e l’aumento di patologie nella popolazione locale.Una sentenza che seppellisce definitivamente i progetti di Enel di riconvertire a carbone, la fonte energetica più inquinante per l’ambiente e dannosa per la salute, la centrale di Porto Tolle.Una riconversione che, si legge in una nota diffusa dalle associazioni ambientaliste, “non risponde ad alcuna necessità energetica del Paese, non ha fondamento in termini di strategia industriale e consegnerebbe il Polesine a un modello di sviluppo già dimostratosi perdente e dannoso”. Un progetto che, qualche settimana fa, era stato bocciato pure dalla commissione Via del ministero per l’Ambiente.Ancora una volta, agli ambientalisti resta la magra soddisfazione di poter dire, trent’anni dopo, “visto che avevamo ragione noi?” e l’ancor più magra considerazione che c’è voluta la magistratura per dimostrarlo. EcoMagazine - 1 aprile 2014

BRESCIA: CROMO ESAVALENTE NELL’ACQUA FUORI DAI LIMITI DI LEGGE. DAI RUBINETTI ESCE ACQUA NON POTABILECromo esavalente fuori dai limiti di legge è stato riscontrato nell’acqua che sgorga dai rubinetti di un condominio di via Razziche, nel quartiere di San Bartolomeo a Brescia città. Un gruppo di cittadini, preoccupati dalle notizie che da mesi si susseguono rispetto all’inquinamento delle falde bresciane (e quindi dell’acqua potabile) a causa del cancerogeno cromo esavalente, ha deciso di far analizzare privatamente l’acqua che esce dai rubinetti della loro casa.Il risultato è stato sconcertante: il cromo esavalente ritrovato è pari a 65 microgrammi/l, fuori dal limite di 50 microgrammi/l imposto per legge. Insomma, questa acqua non è potabile.Gli abitanti del condominio, che hanno effettuato analisi certificate ACREDIA (l’Ente Italiano di Accreditamento che si occupa di certificazioni e ispezioni, ovvero un ente che produce risultati della stessa validità scientifica di quelle prodotte da Aziende sanitarie locali, le ASL, o dagli enti gestori come A2A) hanno anche annunciato di voler presentare un esposto alla Procura di Brescia.

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Un altro particolare interessante è che queste analisi sono datate metà marzo, successive quindi a quelle del 25 febbraio, quando un prelievo effettuato dall’Asl nel punto rete più vicino all’abitazione in questione certificava invece una presenza di cromo inferiore ai 5 microgrammi/litro.Le analisi sono state segnalate ai genitori del coordinamento SoS scuola.  Radio Onda D’Urto – 2 aprile 2014

VELENI NEL SAVONESE NEL MIRINO FINISCE ANCHE L'ITALCOKE DI CAIRO MONTENOTTE GIUSEPPE FILETTO C'È IL presentimento che gli stabilimenti dell'Italcoke di Cairo Montenotte facciano la stessa fine della centrale a carbone di Vado Ligure, posta sotto sequestro dalla magistratura. Già perché all'inchiesta già nota ed aperta dalla Procura della Repubblica di Savona, adesso si aggiunge l'indagine epidemiologica ordinata dal presidente della Regione Claudio Burlando. Negli scorsi giorni l'assessorato alla Sanità, forse per non arrivare in ritardo come ha fatto il suo collega in Puglia, ha incaricato l'Ist-San Martino di mettere in moto l'osservazione conoscitiva sullo stato di salute della popolazione della Val Bormida, basandosi sugli elementi di valutazione emersi dallo studio ordinato dal sindaco di Cairo ed affidato a Franco Merlo, epidemiologo dello stesso istituto genovese per la ricerca sul cancro. «Rispetto alla mortalità regionale, sarebbe stato rilevato un aumento di decessi che merita di essere approfondito », ha detto Franco Merlo nella recente riunione in Regione, alla quale hanno partecipato l'assessore, il direttore del dipartimento Ambiente Gabriella Minervini, i vertici dell'Arpal, della Provincia di Savona e del Comune di Cairo. Il grigio stabilimento di località Bragno, dinosauro industriale rimasto in Valbormida, che da 75 anni dà lavoro a 215 dipendenti, entra così in un vortice di attenzioni da cui non sarà facile uscire. Certo è che nel 2011, su iniziativa del sindaco, è stato avviato "il progetto Cancer Care, volto alla prevenzione ambientale e sanitaria e al miglioramento della qualità della vita dei cittadini". Per la durata di un anno, da marzo 2011 a febbraio 2012, sono stati prelevati campioni di aria in un arco temporale di 30 giorni, e successivamente sono stati analizzati. L'indagine, inoltre, ha analizzato la mortalità per tutte le cause e per tutti i tumori dell'apparato respiratorio e degli organi intratoracici, le malattie dell'apparato respiratorio e del sistema circolatorio per il periodo 1988-2008 nella popolazione generale (età 0-85 anni e nel sottogruppo di età 0-19 anni) residente nel comune di Cairo. Il lavoro degli esperti sanitari ha evidenziato che la mortalità per tutte le cause nella popolazione è risultata essere maggiore rispetto a quella della regione Liguria. I risultati, pubblicati insieme ad una dettagliata relazione esposta da Merlo, sarebbero quantomeno degni di approfondimento, tanto che il procuratore capo di Savona, Francantonio Granero e il sostituto Maria Chiara Paolucci da parte loro hanno disposto una consulenza tecnica simile a quella per Tirreno Power, incentrata sul rapporto tra inquinamento ambientale e salute dei cittadini. E negli scorsi giorni hanno acquisito dall'Arpal i dati sulla qualità dell'aria, delle polveri, degli idrocarburi policiclici aromatici, primo fra tutti il benzene, sostanza per la quale esiste una accertata evidenza di cancerogenità per l'uomo. L'Italiana Coke, da 72 anni presente in Val Bormida, attualmente lavora con l'Aia, l'Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dal Ministero dell'Ambiente nel gennaio 2010. La svolta è arrivata negli scorsi mesi, quando la magistratura savonese ha aperto alcuni procedimenti penali (si parla di cinque fascicoli) sulle ipotesi di disastro ambientale doloso ed ha affidato l'incarico di consulenza agli stessi esperti di Tirreno Power, perché valutino l'impatto epidemiologico ed ambientale. I consulenti sono Paolo Crosignani, ex direttore dell'Unità Epidemiologica Ambientale dell'Istituto Tumori di Milano, che è stato anche consulente di parte per le popolazioni di Casale Monferrato nel processo per le morti da amianto; Paolo Franceschi, pneumologo dell'ospedale San Paolo e responsabile per l'ambiente dell'Ordine dei Medici di Savona; Stefano Scarselli, esperto di inquinamento ambientale. Secondo quanto trapela dalla Procura della Repubblica di Savona, nell'inchiesta ci sarebbero i primi indagati, anche se si mantiene uno stretto riserbo sui nomi. Le attenzioni degli inquirenti sono posate sui fattori di inquinamento prodotti dagli stabilimenti e le relative responsabilità sulla conformità degli impianti per il trattamento delle acque reflue. La Repubblica – 5 Aprile 2014

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Difendere l’ambiente può costare la vita

Proprio nel venticinquesimo anniversario dell’assassinio del seringueiro (raccoglitore di caucciù) e sindacalista brasiliano Chico Mendes, un’inchiesta rivela che tra il 2002 e il 2013 sono state uccise almeno 908 persone impegnate nella protezione dell’ambiente e nella difesa del diritto alla terra. Parallelamente è aumentata la lotta per il controllo delle risorse naturali. Secondo il documento Deadly environment (Ambiente mortale) presentato da Global witness, la morte degli ambientalisti è dovuta principalmente a controversie sul disboscamento, sulle attività minerarie e sui diritti alla terra. Le zone più colpite sono state l’America Latina e la regione Asia-Pacifico.Lo studio sottolinea soprattutto la grave mancanza di informazioni sul fenomeno. Quindi è possibile che il bilancio delle vittime sia superiore a quello documentato, anche se perfino i dati ufficiali sono paragonabili al numero dei giornalisti uccisi nello stesso periodo. La mancanza di attenzione verso i crimini contro l’ambiente e contro i difensori della terra sta alimentando la sensazione di impunità, continua il rapporto, come dimostra il fatto che solo l’1 per cento dei responsabili è stato condannato.Ecco alcuni dati:

Tra il 2002 e il 2013 almeno 908 persone sono state uccise in 35 paesi mentre difendevano l’ambiente e il diritto alla terra; negli ultimi quattro anni la mortalità è arrivata a una media di due attivisti a settimana.

Il 2012 è stato l’anno peggiore per i difensori dell’ambiente, con 147 omicidi commessi, quasi il triplo di quelli commessi nel 2002. L’impunità per questi crimini è molto diffusa: solo dieci persone sono state arrestate tra il 2002 e il 2013.

Il problema è particolarmente acuto in America Latina e nel Sudest asiatico. Il posto più pericoloso è il Brasile, con un totale di 448 omicidi. Seguono l’Honduras (109) e le Filippine (67).

Internazionale – 16 Aprile 2014

Il terremoto in Emilia-Romagna e l’estrazione di idrocarburi

Secondo il rapporto della commissione Ichese (International commission on hydrocarbon exploration and seismicity in the Emilia region) anticipato da Science e poi reso pubblico il 15 aprile, non si può escludere che il sisma del 20 maggio 2012 in Emilia-Romagna sia stato scatenato dall’estrazione di petrolio dal pozzo di Cavone, a circa 20 chilometri dall’epicentro del terremoto.È improbabile che l’estrazione di petrolio e l’immissione di fluidi da soli abbiano potuto generare la pressione necessaria a provocare un forte terremoto, ma potrebbero aver contribuito a innescarlo.“L’evento sismico sarebbe comunque avvenuto prima o poi, ma probabilmente in tempi successivi e non precisabili. In altre parole, il terremoto è stato anticipato”.“È possibile che la faglia coinvolta nelle scosse del 20 maggio fosse vicina al punto di rottura e che le modifiche nella crosta indotte dall’attività umana, pur estremamente piccole, siano state sufficienti a scatenare il terremoto”, spiega Science.Il gruppo di lavoro della commissione, formata da geologi italiani e stranieri, “ha raggiunto questa conclusione sulla base di correlazioni tra l’incremento della produzione del giacimento Cavone dall’aprile 2011 e la crescente sismicità nell’area prima del maggio 2012″.Tutta la pianura padana è attiva da un punto di vista sismico e qualsiasi attività estrattiva deve essere preceduta e accompagnata da un’attività di monitoraggio e di studio che possa aiutare a gestire i rischi sismici, conclude il rapporto.La commissione Ichese è stata istituita l’11 dicembre 2012 dalla protezione civile su richiesta del presidente della regione Emilia-Romagna Vasco Errani per indagare le relazioni tra l’attività estrattiva e il terremoto del 20 e 29 maggio 2012.In tutta la regione sono sospese le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, mentre il gruppo è al lavoro per ulteriori approfondimenti.Nel terremoto del 2012 in Emilia-Romagna sono morte 27 persone, i feriti sono stati trecento, 15mila gli sfollati.

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Internazionale – 16 Aprile 2014

Un quinto delle terre coltivabili cinesi è inquinatoSecondo un rapporto del ministero per la protezione dell’ambiente cinese il 16,1 per cento del suolo e il 19,4 per cento della terra coltivabile in Cina sono contaminati da sostanze inquinanti. Il rapporto, frutto di uno studio condotto tra il 2005 e il 2013, cita il cadmio, il nickel e l’arsenico tra i principali agenti inquinanti, e i distretti industriali dei delta dello Yangtze e del Fiume delle perle e del nordest tra le regioni più inquinate. Finora i risultati degli studi sull’inquinamento del suolo erano stati coperti dal segreto di stato.Secondo il comunicato del ministero “è difficile essere ottimisti sullo stato del suolo nel paese. […] I lunghi periodi di sviluppo industriale e le emissioni di agenti inquinanti hanno provocato in alcune regioni un deterioramento della qualità delle terre e una grave contaminazione del suolo”.L’inquinamento dei terreni agricoli è particolarmente preoccupante perché in Cina le terre coltivabili sono poche e secondo le stime del governo bastano appena a garantire il sostentamento della popolazione. Nell’aprile del 2013 la scoperta di un alto contenuto di cadmio nel riso proveniente dalla provincia dello Hunan, dove si concentra la maggior parte della produzione del cereale ma anche gran parte dell’attività mineraria, ha provocato il crollo dei prezzi sul mercato locale.Svolta ambientalista. Negli ultimi anni la lotta all’inquinamento è diventata una priorità per la Cina, che recentemente ha scavalcato gli Stati Uniti in cima alla lista dei paesi che emettono più gas a effetto serra. Dopo le Olimpiadi di Pechino del 2008 lo smog che oscura il cielo della capitale e di altre città cinesi è diventato il simbolo dei disastri ambientali provocati dall’industrializzazione. Il governo, che finora aveva cercato di nascondere il problema, ha cambiato atteggiamento, anche a causa del moltiplicarsi delle proteste dei cittadini.Il 30 marzo a Maoming, nella provincia meridionale del Guangdong, centinaia di persone hanno manifestato contro la costruzione di un impianto per la produzione del paraxilene, un composto considerato dannoso per la salute e oggetto di molte proteste negli ultimi anni.Nei giorni scorsi il governo ha annunciato una riforma della legge sulla protezione dell’ambiente che dovrebbe dare alle autorità il potere di chiudere e confiscare gli impianti inquinanti. Le lobby industriali stanno però cercando di mantenere in vigore la clausola che impedisce alle organizzazioni non governative di fare causa alle aziende che inquinano.Nell’ultimo piano quinquennale Pechino ha stanziato circa 3,5 miliardi di euro per la bonifica delle terre inquinate, ma secondo gli esperti il processo costerà molto di più.Internazionale – 18 Aprile 2014

Amianto al Parco Cassarà imputati dirigenti comunali "Nascosti rifiuti pericolosi" PERla procura di Palermo, hanno un nome i primi responsabili dello scempio del Parco Cassarà, realizzato su una distesa di rifiuti speciali, fra cui amianto. Sono il dirigente responsabile del Coime, il comparto edile del Comune, Francesco Salvatore Teriaca; il direttore tecnico delle attività di manutenzione e riordino nel parco, Antonio Aruta; il direttore dei lavori, Mario Scotto, anche lui dipendente del Coime. E poi, ancora, Eugenio Mancuso, un altro funzionario del Coime nominato direttore tecnico del Parco Cassarà. Infine, la procura chiama in causa Francesco Giorlando, che guidò i mezzi per sistemare la villa. Tutti sono imputati per due violazioni ambientali, quella relativa al trasporto di rifiuti pericolosi e alla gestione non autorizzata di rifiuti. La procura ha già ottenuto la citazione diretta a giudizio per i cinque indagati, il processo inizierà a ottobre. Ecco, dunque, cosa c'è dietro la maxioperazione di sequestro del Parco disposta dal procuratore aggiunto Dino Petralia. Già nei mesi scorsi, il sostituto procuratore Maria Teresa Maligno aveva iniziato a indagare su quanto era avvenuto all'interno della grande area fra via Ernesto Basile e viale Regione Siciliana. Nel 2011, il Coime era stato incaricato di alcuni lavori di sistemazione della settecentesca Villa Forni. Proprio durante queste attività sarebbero state riscontrate delle irregolarità, quelle che adesso vengono addebitate al vertice del Coime: «Ha disposto, o comunque non ha impedito — viene contestato dalla procura a Teriaca — l'effettuazione del trasporto di rifiuti speciali prodotti dai lavori di costruzione e demolizione edile effettuati dal personale dell'ufficio Coime all'interno del parco». A tutti gli altri indagati viene contestato di «aver effettuato un deposito incontrollato di rifiuti speciali di varia natura, prodotti a seguito dell'opera di pulizia, demolizione e ripristino di alcune strutture insistenti all'interno del parco». Dunque, già una prima indagine aveva scoperto che una montagna di rifiuti speciali era stata «accumulata — così

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ribadisce il capo d'imputazione — in un'area estesa 180 metri quadrati all'interno del parco». Ieri, all'assessorato Ambiente, si è tenuta una riunione per fare il punto sulla situazione dopo il sequestro. I tecnici comunali contano di predisporre una mappa aggiornata della presenza dell'amianto entro fine mese. Così da poter eventualmente chiedere all'autorità giudiziaria il dissequestro di una parte del parco. Ma è ancora presto per fare previsioni. Intanto, le indagini della procura proseguono a ritmo serrato. Soprattutto per accertare tutte le responsabilità. Di sicuro, il procuratore Petralia non sembra volersi fermare al processo nei confronti dei vertici del Coime. È stato già aperto un nuovo fascicolo, il cui contenuto resta al momento coperto dal più rigido segreto istruttorio. s. p. La Repubblica – 18 Aprile 2014

Fumi e polveri di Tirreno Power dodici comuni sotto indagine MARCO PREVE. LO SCOSSONE anche istituzionale provocato dall'inchiesta della magistratura savonese è molto probabilmente all'origine della decisione della Regione Liguria di effettuare un'indagine epidemiologica sui rischi da emissioni per le popolazioni esposte a fumi e polveri della centrale Tirreno Power di Vado Ligure. Ma un retroscena sta già creando qualche polemica. Nonostante il comunicato di via Fieschi spieghi che l'indagine sarà svolta dal San Martino Ist, tra gli esperti che si occuperanno di questo delicato studio non compare Valerio Gennaro. Quest'ultimo è il medico epidemiologo, impegnato anche con l'associazione dei Medici per l'Ambiente, protagonista di molti lavori nel campo dell'epidemiologia di prevenzione — quella cioè che individua i pericoli per la nostra salute e li segnala, spesso inutilmente, alla politica — è stato consulente della procura per l'Enichem di Porto Marghera e poi per il maxi processo contro l'Ilva di Genova ed è responsabile del registro mesoteliomi della Liguria che studia la "strage" dell'amianto. E' stato anche consulente della procura di Savona per l'inchiesta sulla centrale di Vado, incarico che gli venne revocato dalla stessa procura dopo che Gennaro partecipò ad un evento pubblico in cui si discuteva dell'impianto. Non è detto che la decisione di lasciarlo fuori possa dipendere anche da questo precedente. L'unità di epidemiologia del-l'Ist è diretta dal professor Paolo Bruzzi, medico rigoroso e apprezzato anche se specializzato in epidemiologia clinica. L'indagine sull'impianto di Vado i cui due gruppi a carbone sono ancora sotto sequestro per ordine della magistratura è stata così spiegata dalla Regione Liguria: «Un progetto di sorveglianza ambientale e sanitaria fra le popolazioni di Savona, Vado Ligure e Quiliano e nelle aree limitrofe potenzialmente interessate dall'impatto di emissioni «puntiformi» e diffuse in atmosfera dalla centrale Tirreno Power. L'iniziativa è degli assessorati regionali all'Ambiente e alla Salute. Obiettivo del progetto, che rientra nell'Osservatorio regionale di cui fanno parte i Ministeri dell'Ambiente e della Salute, l'istituito superiore di Sanità, la provincia di Savona, i comuni di Quiliano e Vado Ligure, Arpal-Agenzia regionale per l'Ambiente Liguria, l'Asl 2 Savonese è quello di avviare una attività di sorveglianza ambientale ed epidemiologica capace di rilevare effetti sullo stato di salute e valutarne l'as- sociazione con specifiche condizioni di inquinamento atmosferico nell'area geografica interessata dall'impatto ambientale della centrale termo elettrica Tirreno Power di Vado Ligure». L'area include dodici comuni identificati sulla base dei modelli di ricaduta delle emissioni di anidiride solforsa elaborati da Arpala e riferiti alle concentrazioni medie annue per gli anni 2005-2007: Savona, Varazze, Albisola Superiore, Vado Ligure, Quiliano, Albissola Marina, Celle Ligure, Spotorno, Stella, Noli, Bergeggi, Vezzi Portio. La popolazione residente nel 2012 nei dodici comuni era di circa 113 mila unità. La Repubblica – 22 Aprile 2014

Il 60 per cento delle acque sotterranee cinesi è inquinatoSecondo un rapporto del ministero della terra e delle risorse quasi il 60 per cento delle acque sotterranee cinesi è inquinato, scrive il Guardian.Nel 44 per cento dei 4.778 siti esaminati dallo studio la qualità delle acque era “relativamente bassa” e nel 15,7 per cento “molto bassa”, cioè non utilizzabile per il consumo umano nemmeno se trattata negli impianti di depurazione.Secondo Xinhua circa un terzo delle risorse idriche della Cina viene dal sottosuolo, e solo il tre per cento delle falde nelle aree urbane sono ritenute pulite.

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Recentemente le autorità hanno proibito ai residenti della città di Lanzhou di bere l’acqua del rubinetto dopo che una fuga da uno stabilimento aveva portato la concentrazione del benzene a venti volte la soglia di sicurezza. Un episodio simile era avvenuto nel 2005 ad Harbin.Il problema dell’approvvigionamento idrico è particolarmente grave a Pechino, dove la disponibilità annua pro capite di acqua potabile è di appena 120 metri cubi all’anno. Il governo sta progettando un impianto per la desalinizzazione dell’acqua di mare nella provincia di Hebei per soddisfare un terzo del fabbisogno della capitale entro il 2019.Gli effetti di anni di industrializzazione non regolamentata sull’ambiente sono stati a lungo tenuti nascosti dal governo cinese, ma recentemente le autorità stanno cambiando atteggiamento a causa dell’aumento delle proteste e dei costi economici dell’inquinamento. Nei giorni scorsi il ministero dell’ambiente ha pubblicato un rapporto secondo cui quasi un quinto delle terre coltivabili cinesi sono contaminate da metalli pesanti e altri agenti inquinanti.Internazionale – 23 Aprile 2014

La strage dei contadinidi Marinella Correggia. Per oltre 60 dei suoi 88 anni, Krishnammal Jagannathan, per tutti Amma (mamma) è stata giorno e notte impegnata ad affermare nella sua India i diritti dei senza-terra fuoricasta (un binomio quasi fisso) e quelli di madre natura. Racconta spesso il secondo evento decisivo della sua vita – il primo fu l’incontro con il mahatma Gandhi. Erano gli anni ’70 e malgrado l’indipendenza i latifondisti continuavano a sfruttare i braccianti e a commettere atrocità. In un villaggio del Tamil Nadu dopo un lungo sciopero di protesta decine di lavoratori, donne, bambini, uomini, vecchi, furono chiusi in un capannone e arsi vivi come punizione. Alla notizia, Krishnammal arrivò sui luoghi dal Bihar – dove stava partecipando alla campagna gandhiana per il “dono della terra” o bhoodan — e non se ne andò più. In Tamil Nadu fondò il Movimento Lafti per la liberazione dei braccianti e per una vera riforma agraria, insieme al marito Jagannathan (Appa, papà) morto l’anno scorso a 100 anni.Una longevità quasi miracolosa, quella di Amma e Appa. Perché non sono pochi gli attivisti ambientalisti e per i diritti sulla terra a morire prematuramente, in modo violento, in tutti continenti.Il 17 aprile, ogni anno il Movimento Sem terra (Mst) del Brasile e i gruppi di appoggio ricordano l’anniversario della strage di rurali senzaterra in lotta nell’Eldorado dos Carajas nello Stato brasiliano del Parà, nel 1996. E sono passati 25 anni dall’assassinio, sempre in Brasile, del leader dei seringueiros Chico Mendes il quale disse, poco prima di morire: «Avevo creduto di battermi per gli alberi del caucciù che ci davano lavoro. Poi mi sono accorto che stavo lottando per la foresta amazzonica. Adesso realizzo che mi sto impegnando per l’umanità».Saltando in un altro continente e in un’altra foresta minacciata, pochi giorni fa è stato vittima di un attentato ed è grave il capo guardiano del Parco nazionale del Virunga nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), il belga Emmanuel de Merode. Del resto continua lo stillicidio di guardaparco uccisi – 150 in venti anni — dai bracconieri e da chi ha interessi nelle attività estrattive, in questo parco nella regione dei Grandi laghi che ospita gli ultimi gorilla di montagna e che è patrimonio dell’umanità.La Giornata per la Terra (il 22 aprile) è un’occasione per rendere omaggio ai caduti per la Terra e per la terra, puntando il dito sui mandanti impuniti e sui loro conniventi. Lo ha fatto l’organizzazione ambientalista e per i diritti umani Global Witness, pubblicando alcuni giorni fa il rapporto «Deadly Environment. The dramatic rise in killing of environmental and land defenders» («Ambiente mortale. Il drammatico aumento degli assassinii di difensori dell’ambiente e della terra») che si riferisce al periodo fra il gennaio 2002 e il dicembre 2013. I Paesi in esame sono 74, tutti in Asia, Africa, Centramerica e America del Sud. Là sono localizzate le vittime. I Paesi mandanti d’Occidente non sono nell’elenco.Secondo la tragica mappatura, che incrocia diverse fonti, in 12 anni sono state uccise 908 persone in 35 Paesi. Quali sono i posti più pericolosi? Secondo la conta dei morti di Global Witness, basata in particolare su HuriSearch – The Human Rights Search Engine (http://www.hurisearch.org) in testa è il Brasile (con 448 morti), seguito da Honduras (109), Filippine (67), e poi Perù, Colombia, Messico. Il 2012 è stato l’anno più sanguinoso.Peraltro, secondo il rapporto, se le vittime censite si concentrano in alcuni Paesi dell’America centrale e del Sud e in alcuni Stati dell’Asia, è probabilmente perché in quei luoghi c’è un numero maggiore di movimenti e gruppi in lotta, ma anche di organizzazioni in grado di documentare.

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Il rapporto individua la causa delle violenze nella «competizione per le risorse che si è intensificata nell’economia globale costruita intorno alla crescita e al consumo sempre maggiore». Spiega che «molti dei minacciati o colpiti sono senzaterra, gruppi indigeni, movimenti contadini, ecologisti che si oppongono all’accaparramento dei suoli, alle attività estrattive, alle monocolture, alla deforestazione provocata dal prelievo di legname o dall’espansione di allevamenti e monocolture». Nel mirino in particolare sono le comunità indigene, i cui diritti sulle terre non sono riconosciuti dai potenti interessi che li tacciano di essere «contro lo sviluppo».Regna sovrana la regola dell’impunità: fra il 2002 e il 2013 sono stati condannati solo 10 responsabili, per l’1% dei casi dunque… C’è una cultura endemica dell’impunità. Fa eccezione il caso del raccoglitore di noci nella foresta e attivista José Cláudio Ribeiro da Silva – Zé Cláudio — e di sua moglie Maria do Espírito Santo uccisi nello Stato del Pará il 24 maggio 2011. Sono stati però condannati gli esecutori materiali, non l’allevatore probabile mandante.Ma i responsabili multinazionali non pagano mai. Perfino quando riconoscono – rarissimamente – i torti. A esempio l’International Finance Corporation, branca della Banca mondiale per i prestiti a privati, di recente ha ammesso di non aver saputo proteggere i diritti sociali e ambientali accordando 30 milioni di dollari alla compagnia di agribusiness Dinant, accusata di omicidi ed evizioni forzate in Centramerica e in particolare in Honduras.Per una panoramica delle lotte contro le ingiustizie ambientali è utile consultare l’Atlante globale della rete Ejolt (www.Ejolt.org) della quale fa parte il Centro di documentazione dei conflitti ambientali (Cdca).

Il Manifesto - 23 aprile 2014.

La Puglia di Gomorra terreni inquinati come tremila campi di calcio IL RETROSCENA FRANCESCA RUSSI IMMAGINATE un'area grande quanto un campo da calcio regolamentare. Ora moltiplicatela per tremila. Il risultato è la dimensione della superficie di terreno inquinata in Puglia. Misurano esattamente 2145 ettari i siti pugliesi contaminati dai rifiuti. Poco più di 3mila campi da calcio, tanto per farsi un'idea. Le aree sequestrate dal 2007 ad oggi in tutta la Regione sono 2620 di cui 434 solo nell'ultimo anno di attività. Piccole discariche di eternit e laterizi o grandi superfici colme di immondizia. IL CASO A mettere i sigilli alle discariche abusive sono i carabinieri del Noe, i militari della Guardia di finanza e gli agenti del Corpo forestale dello Stato che pattugliano il territorio. Solo nei primi tre mesi del 2014 i sequestri hanno raggiunto numeri record: 158 le aree transennate da gennaio fino all'8 aprile di quest'anno, a conti fatti vuol dire che ogni giorno viene a galla più di una discarica abusiva. Una media decisamente superiore rispetto al 2013 che si era chiuso con 276 sequestri di siti inquinati. La maglia nera dell'abusivismo in materia di rifiuti va alla provincia di Taranto. Sulla costa e nell'entroterra del capoluogo jonico sono stati 706 i siti rilevati e mappati da carabinieri, finanza e corpo forestale. Il secondo posto, invece, di questa classifica in negativo se lo aggiudica Lecce dove sono stati individuati 650 terreni inquinati. Al terzo gradino del podio con 466 siti c'è la provincia di Bari. Seguono Brindisi (381), Foggia (300) e Bat (117). A monitorare la situazione attraverso una mappa regionale che mette in evidenza le zone più a rischio è un team interforze che con Regione Puglia, Arpa e Cnr provvede ad aggiornare i livelli di contaminazione ambientale. L'obiettivo dell'accordo di programma, rinnovato due settimane fa e finanziato con 450mila euro del bilancio regionale, è quello di intervenire immediatamente con le bonifiche e ripristinare gli ecosistemi dei siti inquinati. «Si tratta di un intervento pratico, un sostegno concreto a supporto degli uomini e dei mezzi delle forze dell'ordine e di due realtà scientifiche che operano sul territorio per favorire un controllo puntuale e sempre più efficace scoraggiando i reati in materia ambientale – commenta l'assessore all'ambiente Lorenzo Nicastro - Una scelta di coraggio della Puglia che non vuole nascondere la polvere sotto il tappeto ma intende portare alla luce del sole le criticità, contrastare le illecite pratiche e rendere il territorio regionale un luogo sempre più sicuro e sano». Sui terreni messi sotto sequestro si trova di tutto. In una delle ultime operazioni messe a segno dal Corpo forestale a Spinazzola c'erano due ettari di carcasse di pecore e capre, cumuli di letame e pneumatici fuori uso. A Barletta, invece, la Finanza ha trovato un'area in cui veniva smaltito il materiale di risulta edile e in cui confluivano abusivamente gli scarichi fognari e a Putignano un "cimitero" di carcasse di automobili, plastica e rifiuti speciali pericolosi. A Bari più volte i baschi verdi hanno individuato discariche di elettrodomestici e eternit. Proprio il pericolo

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amianto abbandonato continuamente su strade periferiche e campagne aveva costretto il sindaco di Binetto, qualche settimana fa, a mettere una taglia di 500 su chi inquina e a presentare una denuncia in procura: «insostenibile la situazione: lo sversamento avviene tutti i giorni. Pagherò di tasca mia 500 euro a chi denuncia gli inquinatori». Tra i siti sequestrati ci sono piccole aree da neanche un metro quadro e superfici da 600 ettari: la media è di 8mila metri quadri. Casi a parte, ancora sotto la lente di ingrandimento della magistratura, sono le maxi discariche con i rifiuti interrati di Conversano e Ordona. Qualcosa, però, negli ultimi anni è cambiata. Lo ammettono gli investigatori del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri. «Se è vero che il fenomeno dell'abbandono e dello sversamento dei rifiuti c'è sempre stato – ragiona un investigatore – è vero anche che negli ultimi anni grazie all'attenzione della politica e dei media è emerso maggiormente. L'attenzione dei cittadini è notevolmente aumentata: ci chiamano per fare segnalazioni e denunce anche in maniera anonima». La Repubblica – 25 Aprile 2014

Perù, gli indigeni occupano il più grande sito petrolifero nazionaleLe comunità locali esigono la bonifica delle aree contaminate dal petrolio. Circa 500 manifestanti indigeni hanno occupato il più grande giacimento di petrolio del Perù, nella foresta amazzonica, non lontano dal confine con l’Ecuador. L’obiettivo della protesta è di esigere i lavori necessari per bonificare l’area, dopo decenni di inquinamento dovuto al greggio riversato liberamente sul territorio. In particolare, le comunità autoctone hanno preso il controllo di una centrale termoelettrica, di alcune riserve di petrolio e delle strade principali nella regione amazzonica di Loreto, secondo quanto riferito dalla società che gestisce dal 2001 il giacimento, l’argentina Pluspetrol. Uno dei leader dell’iniziativa, Carlos Sandi, ha spiegato al Guardian che gli indigeni sono stati «avvelenati in silenzio», perché la compagnia petrolifera non ha rispettato un accordo firmato nel 2006 nel quale si impegnava a ripulire le aree contaminate. «Quasi l’80% della nostra popolazione è malata a causa della presenza di piombo e cadmio nel cibo e nell’acqua», ha dichiarato. Lo scorso anno, il Perù ha dichiarato lo stato di “emergenza ambientale” nel settore petrolifero. Ma secondo i manifestanti, il governo non ha fatto seguire azioni concrete dopo tale annuncio. 28 Aprile 2014Valori.it – 25 Aprile 2014

Muos di Niscemi, la relazione del Senato E’ pronta  la “risoluzione” del complesso delle audizioni che la 13ma Commissione Ambiente Senato, unitamente alla 12ma Commissione Igiene e Sanità sempre del Senato, hanno svolto dal 21 al 24 Marzo scorso, sul Muos di Niscemi.  Le audizioni lo ricordiamo, si erano tenute a Caltanissetta e a Roma. Nel corso delle audizioni le due Commissioni avevano assunto tutta la documentazione utile al fine di tracciare un quadro il più chiaro possibile dal punto di vista scientifico.LinkSicilia pubblica in anteprima la relazione completa e alcuni dei passaggi qui sotto:“La vicenda del MUOS di Niscemi, non è solamente una questione siciliana, – evidenzia la Commissione – dal momento che investe i rapporti con gli Stati Uniti e quindi coinvolge a pieno titolo lo Stato Italiano; – negli anni pregressi sono state sollevate molte preoccupazioni in merito ai possibili effetti del MUOS sull’ambiente e sulla salute della popolazione residente, tanto da sfociare in fenomeni di psicosi collettiva e determinare un vero e proprio danno esistenziale […]”La Commissione ha constatato come nel territorio siano sorti comitati “NO MUOS”, di opposizione alla realizzazione e operatività dell’impianto, e come questi abbiano condotto anche battaglie giudiziarie presso i Tribunali penali e amministrativi, e come siano stati prodotti pareri scientifici contrastanti, provvedimenti autorizzatori e successive revoche… questo, ovviamente, ha creato nelle popolazioni siciliane un senso di sconforto per la “mancanza di tutela da parte dello Stato”.La cosa sicuramente più imbarazzante è che “le relazioni scientifiche a nostra disposizione – scrive la Commissione – non sono pervenute ad un pronunciamento univoco e certo sulla innocuità o meno del sistema MUOS. Infatti da un lato abbiamo le relazioni dell’ISPRA, e dell’Istituto Superiore di Sanità, dall’altro quelle delle degli esperti del Politecnico di Torino, dall’altra ancora i consulenti tecnici del Tribunale Amministrativo Regionale di Palermo”

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“Dalle relazioni e dai pareri acquisiti – scrive la Commissione del Senato – emerge la seguente considerazione: vanno considerati separatamente gli impatti sull’ambiente e la salute umana derivanti dalla situazione ambientale in cui versa nell’attualità il territorio di Niscemi (e quindi considerare le Antenne esistenti ed operanti fin dal 1991 nonchè gli effetti inquinanti dello stabilimento petrolchimico di Gela e della Centrale termoelettrica a pet-coke), e gli impatti che il sistema MUOS potrebbe determinare in futuro una volta entrato in funzione.In conclusione quello che la commissione chiede al Governo è che si impegni: “- a porre in essere ogni azione utile e scrupolosa per rassicurare la popolazione , dimostrando la dovuta sensibilità anche al fine di rimuovere il danno esistenziale già determinatosi in termini di psicosi collettiva, prevedendo anche il Monitoraggio costante e continuo del sito sui limiti di emissioni elettromagnetiche; – a richiedere alle competenti autorità USA lo smantellamento delle antenne esistenti non attive; – ad effettuare uno studio scientifico per dare contezza dell’ avvenuto impatto sulla salute della popolazione fin dal 1991; – a porre in essere per il MUOS, in tempi brevissimi, un modello previsionale con metodologia condivisa da tutti i periti e le Istituzioni scientifiche ad oggi coinvolti, per l’accertamento definitivo dell’innocuità o meno del sistema satellitare;- ad assicurare un costante coinvolgimento informativo degli Enti locali e dei Comitati NO MUOS; – a ridurre drasticamente l’inquinamento delle matrici ambientali derivante dal Petrolchimico di Gela, e in particolare imporre l’ammodernamento della Raffineria attraverso l’introduzione di tecnologie più avanzate (per es. introduzione della tecnologia Est (ENI Slurry Technology), che evita la produzione di pet-coke, incrementando le rese di gasoli e benzine e rendendo inutile l’impianto di coking; a imporre alla Centrale Termoelettrica ENI la sostituzione delle caldaie per incenerire il pet-coke per es. con un sistema di gassificazione mediante processo Igcc (Integrated Gasification Combined Cycle) a basso impatto ambientale;- a realizzare a Niscemi un Centro di ricerca di eccellenza, magari sotto l’egida del CNR, per lo studio e l’approfondimento delle problematiche legate agli effetti dell’elettromagnetismo. Infatti il territorio di Niscemi e il suo ecosistema hanno comunque ricevuto nocumento per l’impatto determinato dalla presenza di questi impianti . Sarebbe questa, non una semplice proposta compensativa, ma il riconoscimento ad un territorio martoriato di un’opportunità anche di creazione di posti di lavoro e di collocazione di tante intelligenze locali, oggi costrette ad emigrare.”Contropiano (da www.linksicilia.it) 30 Aprile 2014