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Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XLIV N. 12 - 16 aprile 2020 Settimanale PAG. 11 43° Anniversario della fondazione del PMLI di Giovanni Scuderi CORONAVIRUS E L’ITALIA DEL FUTURO Teniamo alta la grande bandiera rossa di Lenin Intervenendo in parlamento CONTE ESALTA LA SUA DITTATURA ANTIVIRUS Nessuna autocritica sugli errori e i ritardi del governo. L’opposizione di destra invoca strumentalmente la centralità del parlamento. La Lega torna alla carica con condono tombale e flat tax. La ducetta Meloni chiede una “cabina di regia parlamentare”. Salvini e Renzi esaltano Draghi per far fuori Conte. Precipita la situazione sociale, specialmente al Sud Subito 1.200 euRo aL MeSe PeR Chi non ha ReDDito né aMMoRtizzatoRi SoCiaLi finChé DuRa L’eMeRgenza CoRonaviRuS “PER EVITARE IL RISCHIO DI DERIVE AUTORITARIE PERMANENTI” Il Comitato Rodotà chiede “l’immediato ritorno alla normalità costituzionale” Pubblichiamo sul sito www.pmli.it il testo integrale della importante Mozione approvata dalla Assemblea straordinaria aperta, tenutasi via internet il 4 aprile 2020. Si può leggere tale mozione anche sul sito del Comitato: https://generazionifuture.org/docs/Mozione_Presidenza_assemblea_nazionale_online_Comitato_Rodota_24-03-2020.pdf QUESTO NUMERO DE “IL BOLSCEVICO” Ce l’abbiamo fatta. Non è stato facile ma alla fine e dopo due settima- ne di assenza, siamo riusciti a pubblicare questo numero de “Il Bolscevi- co”; sia pure incompleto nei contenuti, nella foliazione e nell’illustrazione. Abbiamo dovuto lavorare da casa e con mezzi di fortuna perché, come sapete, la Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” è temporaneamente chiusa per l’epidemia del coronavirus. Non potevamo non uscire per celebrare al meglio il 43° Anniversario della fondazione del PMLI e il 150° Anniversario della nascita di Lenin. I relativi importanti documenti, scritti rispettivamente dal Segretario genera- le del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, e dall’Ufficio politico del PMLI, ci tengono svegli, aggiornati e attivi politicamente, in un momento in cui si ri- schia di ripiegarsi in sé stessi e di pensare esclusivamente ai problemi del- la sopravvivenza. Inoltre ci forniscono importanti spunti di riflessioni ideo- logiche, politiche e storiche molto utili per orientare correttamente il nostro attuale lavoro politico e giornalistico. Buona lettura, anche delle opere dei Maestri suggerite dal compagno Scuderi. Arrivederci appena possibile. Nel frattempo continuate a seguirci sul sito del PMLI tra un numero e l’altro de “Il Bolscevico”. Viva il PMLI! Viva Lenin! in celebrazione del 150° anniversario della nascita del grande Maestro del proletariato internazionale Documento dell’Ufficio politico del PMLI PAGG. 2-3 PAGG. 4-9

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Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XLIV N. 12 - 16 aprile 2020Settimanale

PAG. 11

43° Anniversario della fondazione del PMLI

di Giovanni Scuderi

Coronavirus e l’italia

del futuro

Teniamo alta la grande bandiera rossa di Lenin

Intervenendo in parlamento

Conte esalta la sua dittatura antivirus

Nessuna autocritica sugli errori e i ritardi del governo. L’opposizione di destra invoca strumentalmente la centralità del parlamento. La Lega torna alla carica con condono tombale e flat tax. La ducetta Meloni chiede una “cabina di regia parlamentare”.

Salvini e Renzi esaltano Draghi per far fuori Conte. Precipita la situazione sociale, specialmente al Sud

Subito 1.200 euRo aL MeSe PeR Chi non ha ReDDito né aMMoRtizzatoRi SoCiaLi finChé DuRa L’eMeRgenza CoRonaviRuS

“Per evITAre IL rISchIo dI derIve AuTorITArIe PerMAnenTI”

Il comitato rodotà chiede “l’immediato ritorno alla normalità costituzionale”

Pubblichiamo sul sito www.pmli.it il testo integrale della importante Mozione approvata dalla Assemblea straordinaria aperta, tenutasi via internet il 4 aprile 2020. Si può leggere tale mozione anche sul sito del Comitato:https://generazionifuture.org/docs/Mozione_Presidenza_assemblea_nazionale_online_Comitato_Rodota_24-03-2020.pdf

QueSTo nuMero de “IL BoLScevIco”

Ce l’abbiamo fatta. Non è stato facile ma alla fine e dopo due settima-ne di assenza, siamo riusciti a pubblicare questo numero de “Il Bolscevi-co”; sia pure incompleto nei contenuti, nella foliazione e nell’illustrazione.

Abbiamo dovuto lavorare da casa e con mezzi di fortuna perché, come sapete, la Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” è temporaneamente chiusa per l’epidemia del coronavirus.

Non potevamo non uscire per celebrare al meglio il 43° Anniversario della fondazione del PMLI e il 150° Anniversario della nascita di Lenin. I relativi importanti documenti, scritti rispettivamente dal Segretario genera-le del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, e dall’Ufficio politico del PMLI, ci tengono svegli, aggiornati e attivi politicamente, in un momento in cui si ri-schia di ripiegarsi in sé stessi e di pensare esclusivamente ai problemi del-la sopravvivenza. Inoltre ci forniscono importanti spunti di riflessioni ideo-logiche, politiche e storiche molto utili per orientare correttamente il nostro attuale lavoro politico e giornalistico.

Buona lettura, anche delle opere dei Maestri suggerite dal compagno Scuderi.

Arrivederci appena possibile. Nel frattempo continuate a seguirci sul sito del PMLI tra un numero e l’altro de “Il Bolscevico”.

Viva il PMLI! Viva Lenin!

in celebrazione del 150° anniversario della nascita del grande Maestro del proletariato internazionale

documento dell’ufficio politico del PMLI

PAGG. 2-3

PAGG. 4-9

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2 il bolscevico / 43° Anniversario del PMLI N. 12 - 16 aprile 2020

43° Anniversario della fondazione del PMLI

di Giovanni Scuderi *

Coronavirus e l’italia

del futuroPARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANOSede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164

e-mail: [email protected] - www.pmli.it

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Marx Engels

MANIFESTO

DEL

PARTITO

COMUNISTA

Lenin

STATOE

RIVOLUZIONE

Stalin

PRINCIPI DEL

LENINISMO

QUESTIONI DEL

LENINISMO

Mao

SULLA GIUSTA

SOLUZIONE DELLE

CONTRADDIZIONI

IN SENO

AL POPOLO

ed entra nel PMLI

Se vuoi trasformare l'Italia, studiae applica il marxismo-leninismo-pensiero di Mao

PRENDI CONTATTO CON ILed entra nel PMLI

Se vuoi trasformare l'Italia, studiae applica il marxismo-leninismo-pensiero di Mao

Campagna di proselitismo 2020

Nel celebrare il 43° An-niversario della fondazione del PMLI, che cade il 9 Apri-le, il nostro pensiero va an-zitutto ai morti, ai contagiati e ai ricoverati per l’epidemia del coronavirus; ai medici, agli infermieri, agli operato-ri sanitari e ai volontari; alle lavoratrici e ai lavoratori che ci assicurano il cibo, le me-dicine, i servizi pubblici es-senziali, i trasporti e l’infor-mazione; alle compagne e ai compagni membri e sim-patizzanti attivi del PMLI che danno l’anima per aiu-tare il proletariato e le mas-se popolari a risolvere i loro problemi materiali immedia-ti e per convincerli alla lotta rivoluzionaria per la conqui-sta del socialismo e del po-tere politico del proletariato.

Questa dolorosissima strage umana in atto in Italia e nel mondo è stata causa-ta da un virus sconosciuto, forse trasmesso a un uomo da un pipistrello o da un ani-male selvatico, che è partito dalla Cina socialimperialista e si è espanso rapidamen-te in tutti i paesi del mon-do per contagio umano. È il frutto amaro della deva-stazione della natura, del-la perdita della biodiversità e delle specie, della distru-zione dell’habitat delle spe-cie selvatiche, della defore-stazione, dell’inquinamento dell’ambiente, dei mari e dell’aria, dei cambiamenti climatici provocati dal capi-talismo e dall’imperialismo.

Ciò nonostante i go-vernanti del capitalismo e dell’imperialismo dei vari paesi non hanno fatto nulla per prevenire e per fronteg-giare le emergenze sanita-rie. Quelli italiani di “centro-destra” e di “centro-sinistra”, compresi i due governi Con-te, addirittura hanno distrut-to il sistema sanitario na-zionale, spezzettandolo, tra l’altro, in venti regni autono-mi, a favore della sanità pri-vata. Tanto è vero che negli ultimi trenta anni sono sta-ti dimezzati i posti letto ne-gli ospedali e chiusi i presidi più piccoli distribuiti sul terri-torio. E pur sapendo, fin dal 5 gennaio, dell’arrivo del co-ronavirus il governo non si è mosso fino al paziente 1 per far partire la macchina istitu-zionale per tutelare la salute

del popolo italiano. In ritardo e male si sono mossi anche i governatori di “centro-de-stra” della Lombardia e del Veneto e del “centro-sini-stra” dell’Emilia-Romagna.

Ancora adesso il gover-no è in affanno per acqui-stare un numero sufficiente di dispositivi di protezione individuali, a partire dalle mascherine, di respiratori e bombole di ossigeno, per trovare nuovi operatori sa-nitari e aprire nuovi reparti di rianimazione e di terapia intensiva. Mentre nella riu-nione del 17 febbraio, quan-do si discuteva il piano con-tro il coronavirus, il ministro della sanità Roberto Spe-ranza, leader di Leu, vanta-va che “il servizio sanitario nazionale è dotato di pro-fessionalità, competenze ed esperienze adeguate ad af-frontare ogni evenienza”.

I fatti dimostrano invece non solo che il sistema sa-nitario nazionale, salvo le eccellenze degli operatori sanitari, non era assoluta-mente preparato a fronteg-giare una epidemia di que-sta portata, ma anche che il governo ha tardato trop-po a chiudere le aziende non essenziali per non di-spiacere alla Confindustria e per salvaguardare i pro-fitti dei padroni. L’ha chiuse, ma in maniera non sufficien-te, solo quando le lavoratri-ci e i lavoratori sono scesi in sciopero per ottenere la tu-tela della loro salute.

A parte le misure indi-spensabili, quali stare a casa, il distanziamento so-ciale, le regole igienico-sa-nitarie, il comportamento da tenere in caso di sin-tomi semi-influenzali, non siamo per niente d’accor-do sulle altre misure pre-se dal governo. Soprattutto quelle politiche che, accen-trando i poteri al governo e al presidente del consiglio, attraverso i decreti legge e i decreti del presidente del consiglio che costituisco-no un pericoloso preceden-te, e sospendendo di fatto fondamentali diritti costitu-zionali, hanno determina-to la dittatura del governo e personalmente di Conte e lo svuotamento della de-mocrazia e del parlamento borghesi.

Non siamo sulla stessa barca. La lotta di classe continui

Non siamo sulla stes-sa barca, come predicano insistentemente Conte e i partiti governativi, ai qua-li si è aggiunto ora il papa. Le barche sono due, quella delle forze del capitalismo

e quella delle forze antica-pitaliste. L’una e l’altra han-no rematori diversi e desti-nazioni opposte.

L’emergenza sanitaria non ha annullato né le di-suguaglianze sociali e ter-ritoriali, che anzi sono au-mentate, come dimostrano le prime ribellioni dei sen-za lavoro e dei senza soldi del Sud d’Italia né le classi e la lotta di classe. In nes-sun momento della vita so-ciale, nemmeno quando c’è una emergenza, foss’anche

una guerra imperialista, mai bisogna mettere da parte la lotta di classe. Anzi, è pro-prio in questi momenti che bisogna tracciare una chia-ra e netta linea di demarca-zione tra il proletariato e le masse popolari da una par-te e la borghesia e il suo governo dall’altra parte. Perché gli interessi e le esi-genze dei primi sono con-trapposti a quelli dei secon-di. Senza mai dimenticare che il tricolore e l’inno di Mameli rappresentano solo

la classe dominante bor-ghese, non la classe ope-raia e tutti gli sfruttati e gli oppressi della dittatura bor-ghese e del capitalismo.

La lotta di classe non può non continuare, pensan-do all’Italia futura. Quella che ha in mente il governo sarà peggiore di quella at-tuale. Persisterà il dominio della borghesia e del capi-talismo, si aggraveranno le disuguaglianze sociali e territoriali, le condizioni di vita e di lavoro delle mas-se, la disoccupazione e la povertà, ed è probabile che diventeranno permanenti, con qualche aggiustamen-to, l’isolamento sociale, il controllo sociale, il telela-voro, l’insegnamento a di-stanza, il restringimento delle libertà e della demo-crazia borghese, l’emargi-nazione, la militarizzazione del Paese, del parlamento, e il nazionalismo patriottar-do e fascista. In sostanza verrà rafforzato il regime capitalista neofascista.

L’Italia futura che abbia-mo in mente noi marxisti-leninisti vede invece il do-minio del proletariato e del socialismo, la cancellazione di ogni tipo di disuguaglian-za e l’inizio della soppres-sione delle classi che av-verrà nel comunismo, la fine della disoccupazione e della povertà, il lavoro per tutti, il benessere del popolo, pie-na libertà e democrazia per il popolo. In sostanza una nuova economia e un nuo-vo Stato modellati secondo gli interessi del proletariato e delle masse lavoratrici e in grado di affrontare qualsi-asi emergenza, a partire da quella sanitaria.

Da solo il PMLI, anche quando avrà un corpo da Gigante Rosso, non ce la potrà mai fare, perciò invi-tiamo tutte le forze sociali, politiche, partitiche, a co-minciare da quelle con la bandiera rossa e la falce e martello, sindacali, cultura-li e religiose anticapitaliste a unirsi e a lottare insieme per realizzare l’Italia socia-lista del futuro. Acquisen-do la cultura, la strategia, la tattica e l’esperienza che hanno consentito la vittoria del socialismo nella Rus-sia di Lenin e Stalin e nella

Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, risponde agli applausi al termine del discorso commemora-tivo tenuto in occasione del 40° Anniversario della morte di Mao dal titolo “Da Marx a Mao”. Firenze, Palazzo dei congressi, 11 settembre 2016

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N. 12 - 16 aprile 2020 43° Anniversario del PMLI / il bolscevico 3Cina di Mao.

Tutto ciò si può appren-dere facilmente, approfit-tando tra l’altro del copri-fuoco in atto, attraverso la lettura del “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels, di “Stato e rivolu-zione” di Lenin, dei “Principi del leninismo” e “Questio-ni del leninismo” di Stalin e dell’opera di Mao “Sulla giusta soluzione delle con-traddizioni in seno al popo-lo”. Quanto prima si acquisi-sce questa cultura e questa pratica sociale, tanto pri-ma ci si libera dall’influenza borghese riformista, eletto-ralista, parlamentarista, co-stituzionalista, governista e pacifista, che affligge anche il cosiddetto “socialismo del XXI secolo” basato sul pen-siero riformista e revisioni-sta di Gramsci, tanto prima riusciremo a dare una svol-ta rivoluzionaria alla lotta di classe in Italia.

Il socialismo non è die-tro l’angolo, anche perché il proletariato deve ancora prendere coscienza di es-sere una classe per sé, il che non impedisce di pen-sarci fin d’ora e di lavorare alacremente per creare tut-te le condizioni soggettive che necessitano per con-quistarlo attraverso la rivo-luzione proletaria. In questo quadro, occupandosi dei problemi immediati, le forze anticapitaliste hanno il do-vere di lottare unite per ot-tenere subito 1.200 euro al mese per chi è senza red-dito e senza ammortizza-tori sociali finché dura l’e-mergenza del coronavirus; per il rafforzamento e lo svi-luppo del sistema sanita-rio nazionale e l’abolizione della sanità privata; per l’a-brogazione del titolo V del-la Costituzione e la relati-va autonomia differenziata delle regioni; per l’abroga-zione dell’articolo 81 del-la Costituzione che impone

il pareggio di bilancio, del-la legge Fornero, del Jobs Act e dei decreti sicurezza; per l’uscita dell’Italia dall’U-nione europea imperialista, considerando anche che non ha fatto nulla fin qui per aiutarci nella lotta contro l coronavirus.

Nel nostro Paese capi-talista, come sanno benis-simo le masse sfruttate e oppresse per esperienza diretta, non esiste né liber-tà né uguaglianza. Lenin, di cui celebriamo il 150°

Anniversario della nasci-ta con un importante do-cumento dell’Ufficio politi-co del PMLI, in uno scritto del 1920 dal titolo “Falsi di-scorsi sulla libertà”, rilan-ciando le parole di Engels sull’“Anti-Dühring”, secon-do le quali “l’uguaglian-za è un pregiudizio o una stupidità. Se per ugua-glianza non s’intende la distruzione delle classi”, ha rilevato che “le parole d’ordine dell’epoca no-stra sono, e devono es-

sere inevitabilmente: di-struzione delle classi, dittatura del proletariato per il raggiungimento di questo fine, smaschera-mento implacabile di tut-ti i pregiudizi piccolo-bor-ghesi democratici sulla libertà e sull’uguaglianza, lotta spietata contro que-sti pregiudizi”. Ed ha ag-giunto: “Finché non sono distrutte le classi, qua-lunque discorso generico sulle libertà e sull’ugua-glianza è un mezzo per

ingannare se stessi e per ingannare gli operai e tut-ti i lavoratori e gli sfruttati dal capitale, ed è, in ogni caso, una difesa degli in-teressi della borghesia”.

Noi marxisti-leninisti ita-liani siamo pienamente d’accordo con il fine che ha proposto Lenin, fin da quando nel settembre del 1967 abbiamo comincia-to a preparare le condi-zioni per la fondazione del PMLI. Ritenendo che non c’è cosa più bella, più utile,

più rivoluzionaria, più appa-gante che servire con tutto il cuore il popolo e lavora-re per il trionfo della nobile causa del socialismo. Co-sti quel che costi, andre-mo quindi fino in fondo sulla via dell’Ottobre verso l’Italia unita, rossa e socialista. Si-curi che alla fine coi Maestri e il PMLI vinceremo!

Firenze, 31 marzo 2020

* Segretario generale del PMLI

RIcoRdo dI NeRINA PAoLettI, ALIAS LucIA

una fonte di perenne ispirazione di entusiasmo e di infaticabile

lavoro organizzativo14 anni fa, il 6 aprile

2006, è scomparsa pre-maturamente a Firenze, a causa di un infarto, la compianta Nerina Paolet-ti, alias Lucia, membro ef-fettivo a vita del Comitato centrale del PMLI, in quan-to cofondatrice del Partito. Una delle sue caratteristi-che era l’entusiasmo rivo-luzionario, che esprimeva in ogni congiuntura del-la vita del PMLI, positiva o negativa. Ad esempio l’8 dicembre del 1994, nel suo rapporto sull’incontro del Segretario generale, com-pagno Giovanni Scude-ri, con un simpatizzante di allora di Teramo scriveva:

“Ore 12,55 arriva il giorna-le appena stampato sul 25° Anniversario de ‘Il Bolsce-vico’, esultiamo tutti, evvi-va!!!”.

Lucia, come rappresen-tante della Commissio-ne per il lavoro di organiz-zazione del CC del PMLI, ha sempre partecipato ai numerosi incontri di Scu-deri con istanze di base, membri e simpatizzanti del PMLI, che avvenivano a Firenze o nelle altre cit-tà dove era presente il Par-tito, dal Piemonte alla Sici-lia.

Lucia, sempre come rappresentante della sua Commissione, accom-

pagnava anche membri dell’Ufficio politico in mis-sioni in città lontane da Fi-renze, Sede centrale del Partito. Per esempio a Va-rallo Sesia dove il 13 di-cembre 1988, su iniziativa dell’allora Cellula “Mao” lo-cale, si svolse un dibattito sul diritto di sciopero in cui era oratore ufficiale il com-pagno Emanuele Sala, al-lora Responsabile del la-voro di massa del CC del PMLI.

A Varallo Sesia ritorna-va il 21 marzo 1992 as-sieme al compagno Dario Granito, Responsabile del-la Commissione per il la-voro di organizzazione del

CC del PMLI, per discutere con la Cellula locale il do-cumento elettorale asten-sionista dell’Ufficio politi-co del PMLI. Il compagno Granito in un messaggio così la ringraziava: “Come già nel corso della nostra missione, anche con que-sto rapporto mi hai dato una collaborazione pre-ziosa e fraterna. Grazie di cuore e buon lavoro”.

Impossibile dimenticare una simile compagna. Lu-cia è una fonte di ispirazio-ne perenne di entusiasmo rivoluzionario e di infatica-bile lavoro organizzativo.

28 marzo 2015. Il Pmli partecipa alla manifestazione nazionale della Fiom a Roma (foto Il Bolscevico)

Roma, 12 aprile 2003. Nerina “Lucia” Paoletti. Manifestazione per la pace, indetta contro la guerra in Iraq (foto Il Bolscevico)

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4 il bolscevico / 150° Anniversario della nascita di Lenin N. 12 - 16 aprile 2020

TENIAMO ALTA LA GRANDE BANDIERA ROSSA DI LENIN

In celebrazione del 150° Anniversario della nascita del grande Maestro del proletariato internazionaleDocumento dell’Ufficio politico del PMLI

“Ricordate, amate, studia-te Ilic, nostro educatore, no-stro capo. Lottate e vincete i nemici interni ed esterni, come insegnava Ilic. Edifi-cate una vita nuova, nuove condizioni di esistenza, una cultura nuova, come inse-gnava Ilic. Non trascurate le piccolezze nel lavoro, perché dalle piccole cose nascono le grandi: questo è uno dei comandamenti essenziali di Lenin”.(1)

Il 22 aprile di quest’anno ri-corre il centocinquantenario della nascita del grande Ma-estro del proletariato inter-nazionale Lenin, ed i marxi-sti-leninisti, il proletariato ed i rivoluzionari di tutto il mondo, con il più profondo rispetto e con grande gratitudine, ricor-dano con gioia questa giornata d’importanza storica.

Sono passati 150 anni da quella data e 96 dalla sua scomparsa; sono tanti, ma i popoli del mondo non posso-no e non devono dimenticar-si di Lenin, soprattutto il po-polo dell’ex Unione Sovietica che Lenin lasciò, il 21 Genna-io del 1924, come popolo mo-dello, libero dallo sfruttamento e dall’oppressione capitalista dopo secoli d’oppressione za-rista, e che oggi sono esatta-mente al punto di partenza, per colpa dei revisionisti russi capeggiati da Krusciov e dai suoi successori e del capita-lismo. Non lo dimentichiamo certo noi marxisti-leninisti ita-liani perché gli saremo grati eternamente e perché abbia-mo ancora tantissimo da impa-rare dalla sua vita e dalla sua opera, come da quelle di Marx, Engels, Stalin e Mao, per con-durre bene e fino in fondo la lotta di classe contro il capita-lismo per il socialismo.

Lenin fu la grande guida dei

comunisti e del popolo sovieti-co e del movimento comunista internazionale, colui che fece luce sull’opera di Marx e di En-gels e sui loro immortali inse-gnamenti contro il capitalismo e per la conquista del sociali-smo e del potere politico del proletariato.

Quando Lenin iniziò la sua attività rivoluzionaria, ossia tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, il mondo entrò nell’e-poca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria. Fu so-prattutto nella sua lotta contro l’imperialismo e l’opportunismo di ogni genere, in particolare contro il revisionismo della II Internazionale, che Lenin ere-ditò, difese e sviluppò il mar-xismo, il suo grande contri-buto fu definito “leninismo”. Egli analizzò le contraddizioni dell’imperialismo, rivelò le leg-gi che lo governano, risolse una serie di importanti questio-ni concernenti la rivoluzione proletaria nell’epoca dell’impe-rialismo fino ad affermare e poi provare che il socialismo “vin-cerà dapprima in uno o alcu-ni Paesi”(2), tesi fondamenta-le valevole ancora oggi per le rivoluzioni socialiste che si ve-rificheranno in futuro.

Gli insegnamenti di Le-nin alla causa del proletaria-to e del socialismo sono enor-mi, sia sul piano teorico che sul piano pratico; dopo la sua morte, Stalin li ereditò, li dife-se e li sviluppò nella lotta con-tro gli opportunisti di destra e di “sinistra” all’interno del Par-tito, guidando il popolo sovie-tico nell’edificazione socialista ed erigendo a baluardo il Pae-se di Lenin contro l’aggressore nazifascista.

Lo sviluppo della storia di classe, nel suo insieme, nel mondo ha provato la giustez-za della teoria rivoluzionaria di

Lenin ed ha dimostrato che se applicata in base alle situazio-ni concrete di ciascun Paese, essa rappresenta un’arma in-vincibile nelle mani del prole-tariato e del suo partito rivolu-zionario.

Il leninismo ha consentito ai comunisti e al popolo cine-se di trovare la strada della li-berazione dalle catene feuda-li; Mao, sottolineando che il popolo cinese e il suo Partito consideravano la rivoluzione

cinese una continuazione di quella russa, sostenne infat-ti: “Le salve della Rivoluzio-ne di Ottobre ci portarono il marxismo-leninismo… i ci-nesi trovarono il marxismo-leninismo, questa verità uni-

versalmente applicabile, e la fisionomia della Cina comin-ciò a cambiare”.(3)

Ma la storia ha le sue vicis-situdini. E così, come dopo la morte di Engels apparve il re-visionismo di Bernstein e di Kautsky, dopo quella di Stalin apparve il revisionismo di Kru-sciov e poi di Breznev, dopo quella di Mao apparve il re-visionismo di Deng Xiaoping che operarono proprio come Lenin aveva ipotizzato: “Si è sempre visto, nel corso del-la storia, che dopo la morte di capi rivoluzionari popolari tra le classi oppresse, i ne-mici di questi capi tentavano di sfruttare i loro nomi per ingannare le classi oppres-se”.(4)

Tutto ciò però non scalfisce la grande ed immortale opera di Lenin, come quella dei suoi predecessori Marx ed Engels, di Stalin e di Mao, che rappre-sentano il patrimonio comune del proletariato mondiale, una miniera inesauribile di inse-gnamenti per rompere le cate-ne del capitalismo e dell’impe-rialismo.

La borghesia erige a mo-dello grandi capitalisti, mana-ger, spietati industriali, squali della finanza, certi governanti, filosofi idealisti, innovatori nei campi della tecnologia o del-la scienza, ed anche boriosi e vuoti personaggi dello sport e dello spettacolo, a volte perso-nalità che hanno combattuto battaglie importanti, ma sem-pre ed esclusivamente a dife-sa del capitalismo e sul terreno democratico borghese. Nessu-no di essi però è paragonabi-le ai nostri modelli che sono Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao che hanno elaborato, e operato di conseguenza, la via dell’emancipazione del prole-tariato e dell’intera umanità.

BREVE BIOGRAFIA DI LENIN

Lenin a Mosca nel 1919. Sul bavero della giacca si nota la spilla con la bandiera del PC(b)R

Lenin nacque il 22 aprile 1870 nella città di Simbirsk, oggi Ulianovsk, posta sulla rive del Volga. Suo padre, Jlija Nikolajevic Ulianov, intellettua-le progressista e formalmen-te osservante della fede orto-dossa, era stato per molti anni professore di fisica e di mate-matica a Nijni Novogorod (oggi Gorki) e a Pensa, ed in seguito si era trasferito a Simbirsk per divenire ispettore delle scuo-le pubbliche. La madre, Maria Aleksandrovna, era figlia di un medico, e donò a Lenin due fratelli e tre sorelle: Alexandr, Dmitrij, Anna, Maria e Olga,

che ebbero assieme a Lenin una educazione che contrasta-va con i principi su cui si fonda-va il dispotico regime dell’as-solutismo zarista.

In casa Ulianov si leggeva-no libri di Gogol, Lermontov, Puskin, Turgheniev, ma anche Darwin, Shakespeare, Gribo-iedov. Ilija Nikolaevic e Maria Alexandrovna seppero svilup-pare in tutti i loro figli la curio-sità e la voglia di sapere unite all’avversione profonda ver-so la schiavitù e il dispotismo, perni oppressivi del regime za-rista, cui contrapporre una so-cietà che avesse i suoi cardi-

ni ideali nella giustizia e nella libertà. Tutti i fratelli Ulianov, tranne Olga che morì giova-nissima a soli diciannove anni, si batterono attivamente con-tro lo zarismo. Di questi, Ale-xandr il fratello di quattro anni più grande di Lenin, non an-cora maggiorenne fu implica-to nell’attentato del 1º marzo 1887 contro lo zar Alessandro III e fu impiccato. Lenin avver-tì il tragico sacrificio come una terribile lezione politica e affer-mò che era necessario trovare un’altra strada per abbattere lo zarismo e l’ingiustizia sociale.

Nonostante l’impostazione

religiosa del padre, fin dall’a-dolescenza Lenin cominciò a riflettere sulla realtà che lo cir-condava. Avendo un carattere sincero, che non ammetteva menzogne e ipocrisie, e non potendo ignorare le numerose contraddizioni di fondo in esse-re fra la fede ed i fatti, a sedici anni si staccò definitivamente dalla religione, sulla quale poi condivise le posizioni di Marx e di Engels, contribuendo in ma-niera sostanziale a sviluppare correttamente i rapporti fra la religione ed il partito socialde-mocratico operaio russo e con l’organizzazione socialista del-

lo Stato.La vita politica di Lenin ha

inizio presto, quando 17enne, già immerso nello studio de “Il Capitale” e di altre opere di Marx ed Engels aderisce ai cir-coli studenteschi rivoluziona-ri e ne partecipa alle lotte. Ciò gli costa l’espulsione dall’uni-versità e l’arresto. A questo ne seguiranno altri, nel 1895, poi nel 1897 quando è deportato in Siberia, e successivamente nel 1900. Complessivamente sconta oltre 14 mesi di prigio-nia, 3 anni di deportazione ed è costretto a vivere per oltre 10 anni fuori dalla Russia a cau-

sa delle continue persecuzioni ad opera del regime zarista ri-manendo nell’illegalità per ben 24 anni, dal 1893 sino al 3 (6) aprile del 1917 quando rientrò illegalmente in Russia per diri-gere in prima persona la Rivo-luzione d’Ottobre.

Le persecuzioni e le grandi privazioni a cui è costretto non lo fermano, dovunque si tro-vi, in Russia come all’estero, è sempre tra i lavoratori e gli stu-denti a fare inchieste, racco-gliere informazioni, discutere con loro, a dirigere i marxisti, a tenere lezioni, ad organizzare gli emigrati russi ed a scrivere

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N. 12 - 16 aprile 2020 150° Anniversario della nascita di Lenin / il bolscevico 5una quantità enorme di articoli, opuscoli ed interventi. È infatti in uno dei tanti periodi di prigio-nia che Lenin scrive il progetto di programma del Partito Ope-raio Socialdemocratico Russo, poi fondato nel 1898, che fa seguito all’“Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia” costituita nel 1895 per unire gli operai d’avanguardia ai circoli di propaganda sparsi in tutta la Russia, riuscendo a superare le numerose divisio-ni ideologiche, politiche e orga-nizzative fin da allora presenti nel proletariato russo e poi, a seguito di lunghe battaglie, an-che all’interno del Partito stes-so.

Ma la battaglia di Lenin si combatte anche nel campo in-ternazionale, un ambito che lo vedrà coinvolto in prima per-sona soprattutto dallo scoppio della prima guerra mondiale in poi fino alla fine dei suoi giorni, regalando al proletariato inter-nazionale la prima vera lettura di classe della guerra imperia-lista, e la creazione della III In-ternazionale dei Partiti Comu-nisti.

Dopo la rivoluzione di feb-braio del 1917, quando si fa spazio la tendenza ad ap-poggiare il governo provviso-rio democratico borghese e la

resistenza al lancio dell’insur-rezione, con le celebri “Tesi di Aprile” Lenin chiarisce in ma-niera inequivocabile che la questione della guerra o della pace è risolvibile soltanto at-

traverso la conquista del po-tere politico da parte del prole-tariato, delineando le modalità del passaggio dalla rivoluzione borghese alla rivoluzione so-cialista. È così che il 25 Ottobre

(7 Novembre secondo il nuovo calendario) dello stesso anno la rivoluzione proletaria guida-ta da Lenin si compie e, per la prima volta nella storia, si crea-no le premesse per la creazio-

ne di un paese libero dal giogo capitalista e dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Nel 1918, non potendo ac-cettare che un nuovo modello economico e sociale si conso-lidasse sulle ceneri dello zari-smo, gli aggressori imperialisti e le guardie bianche scatena-no la loro rabbia anticomuni-sta, stringendo d’assedio la neonata Repubblica sovietica. Furono due anni durissimi, di stenti e di fame, di lutti, rappre-saglie e lavoro duro per il po-polo sovietico, affrontati però grazie alla guida di Lenin, del suo Partito, e del suo esercito popolare avendo piena com-prensione che l’effettiva posta in gioco era il proseguimento dell’edificazione socialista ini-ziato con la Rivoluzione d’Ot-tobre, il suo più grande capo-lavoro strategico, politico e militare.

Il 1920 iniziò con la libe-razione da parte dell’Armata Rossa di tutto il territorio set-tentrionale della Repubblica sovietica e, nel febbraio, ini-ziò, con pieno successo, la ri-conquista delle zone centrali dell’Asia sovietica. Seguirono la sconfitta di Kolciak, Deni-kin e Judenic, della Polonia e di Vrangel, poi con la distru-zione e la dissoluzione degli

ultimi focolai antisovietici in Transcaucasia, avvenuta nel-le prime settimane del 1921, ebbe termine con la completa vittoria dello Stato sovietico e del suo esercito, la guerra ci-vile fomentata e sostenuta mi-litarmente da una coalizione di 14 Paesi imperialisti, tra cui Italia, Usa, Inghilterra, Francia e Polonia.

Lenin fu l’artefice principale di tutti i successi delle riunio-ni, delle conferenze e dei Con-gressi del Partito, nonché del-la costruzione del socialismo in Russia, della lotta contro l’im-perialismo e per la libertà dei popoli, della lotta contro il re-visionismo e l’opportunismo. Quando morì prematuramen-te, a causa di un male aggra-vato dai postumi dell’attentato subito 6 anni prima per mano socialista-rivoluzionaria e dai tanti anni vissuti in difficilissi-me condizioni, come già det-to fu Stalin che ne ereditò la linea, difendendola dagli at-tacchi della banda di Trotzki e Bucharin, applicandola e svi-luppandola nel corso dell’edi-ficazione del socialismo, della lotta contro i revisionisti dentro e fuori dell’Urss, della guerra patriottica contro l’aggresso-re hitleriano, della lotta contro l’imperialismo mondiale.

Lenin al centro tra i membri dell’“Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia” di Pietroburgo, feb-braio 1897. Questo e altri gruppi simili di ispirazione marxista grazie alla instancabile attività di lotta di Lenin daranno vita al partito socialdemocratico poi comunista

I PRINCIPALI INSEGNAMENTI DI LENIN

1. Il Partito

Lenin è stato il primo nel-la storia del marxismo che ha elaborato la dottrina del parti-to del proletariato, abbozzata da Marx ed Engels, e poi svi-luppata da Stalin e Mao. Nelle sue opere fondamentali “Che fare?”, “Un passo avanti, due indietro”, “Due tattiche della socialdemocrazia nella rivolu-zione democratica”, “L’imperia-lismo fase suprema del capita-lismo” e “Stato e Rivoluzione”, Lenin fissa nel suo complesso il carattere e la linea rivoluzio-naria del Partito del proleta-riato, ne stabilisce i compiti, le funzioni, il rapporto con il pro-letariato, il ruolo nella lotta di classe, nella rivoluzione e nel-la edificazione del socialismo. Tale partito ha rappresenta-to nei fatti un’arma essenzia-le nelle mani del proletariato russo ed internazionale. Lenin infatti sottolinea: “Soltanto il partito comunista, se esso è realmente l’avanguardia della classe rivoluzionaria, se comprende nel suo seno i migliori rappresentanti di questa classe, se è compo-sto di comunisti pienamen-te coscienti e devoti, istrui-ti e temprati dall’esperienza di una lotta rivoluzionaria accanita, se ha saputo le-garsi in maniera indissolu-bile a tutta la vita della sua classe e, attraverso di essa, a tutta la massa degli sfrut-tati, e ispirare a questa clas-se e a questa massa una fi-ducia completa, solo un tale partito è capace di dirigere il proletariato nella lotta ineso-rabilmente implacabile, de-cisiva, suprema, contro tutte le forze del capitalismo”.(5)

Non è stato facile per Lenin

fare affermare questa sua con-cezione del partito comunista perché vi si opponevano forte-mente gli “economisti”, i popu-listi, i menscevichi, i trotzkisti, i “marxisti legali”, i liquidazio-nisti. In particolare veniva con-testato il centralismo demo-cratico, da egli teorizzato, che prevede la massima libertà di discussione, massima unità nell’azione sulla base della li-nea decisa dalla maggioranza.

Della massima importan-za fu la lotta contro Martov e i menscevichi che volevano cancellare dallo Statuto del Partito ogni differenza tra co-loro che aderivano e coloro che entravano nel Partito, tra gli elementi coscienti e attivi e coloro che davano un aiuto

in alcune circostanze partico-lari. “Secondo Martov - scri-ve Lenin - le frontiere del par-tito restano assolutamente indeterminate, poiché ‘ogni scioperante’ può ‘dichia-rarsi membro del partito’. Quale utilità presenta que-sto amorfismo? La larga dif-fusione di un ‘appellativo’. Il danno che essa reca è di dar corso all’idea disorga-nizzatrice della confusione della classe col partito”.(6) Riferendosi a Trotzki, sosteni-tore della concezione mensce-vica del Partito, Lenin aggiun-se: “Egli ha dimenticato che il partito dev’essere solo il reparto d’avanguardia, il di-rigente dell’immensa massa della classe operaia, che la-

vora tutta (o quasi tutta) ‘sot-to il controllo e la direzione’ delle organizzazioni del par-tito, ma che non entra tutta, e non deve entrare tutta, nel ‘partito’”.(7)

I fatti hanno dimostrato am-piamente che il partito del pro-letariato concepito da Lenin è stato lo strumento organizza-tivo e politico fondamentale per il successo della Rivolu-zione d’Ottobre, dell’edificazio-ne del socialismo in Russia e nell’Unione sovietica nonché del successo della rivoluzione negli altri paesi, in primo luogo della Cina di Mao. Chi non ha accettato la concezione marxi-sta-leninista del Partito, in Ita-lia e nel mondo ha fatto mise-ramente fiasco.

2. La teoria del Partito

Lenin mise in chiaro che solo un partito fondato sulla teoria rivoluzionaria marxista (oggi marxista-leninista-pen-siero di Mao) avrebbe potuto assolvere ai suoi compiti rivo-luzionari. Nel “Che fare?” scri-ve: “Senza teoria rivolu-zionaria non vi può essere movimento rivoluzionario”. Il che vuol dire, come ha scritto il Comitato centrale del PMLI

nel Documento “Viva la Gran-de Rivoluzione Socialista d’Ot-tobre”, che “se il proletariato non lotta secondo la sua con-cezione del mondo e la sua cultura, cioè se non lotta come una classe per sé, conscia dei propri obiettivi e della necessi-tà storica di abbattere il capi-talismo e conquistare il potere politico, finisce con l’abban-donarsi all’imprevedibilità del movimento spontaneo, a non agire secondo una strategia rivoluzionaria e a non mettere nemmeno in discussione la vi-sione del mondo e le idee della borghesia”.

Avvalendosi della elabora-zione di Marx ed Engels, Lenin riprende e sviluppa il materia-lismo storico e il materialismo dialettico, quello che è tutt’ora il caposaldo nell’analisi dei fat-ti, della realtà oggettiva della società e delle classi, degli au-tentici partiti marxisti-leninisti.

Il materialismo dialettico considera la realtà, la natura, la materia, fonte di ogni cono-scenza e produttrice dello spi-rito e del pensiero. Esso dà una risposta scientifica basata sui fatti, sui fenomeni naturali, sulla realtà obiettiva, sul pas-sato della Terra e sulla crea-zione del mondo. Come rileva Lenin, il materialismo dialetti-co dimostra “che la Terra esi-steva prima di qualsiasi al-tra forma sociale, prima del genere umano, prima della materia organica, che essa è esistita per un tempo de-terminato rispetto agli altri pianeti”(8), escludendo per-tanto che al di fuori e al di so-pra della natura, della materia e dell’universo ci sia una forza esterna, superiore e divina che abbia creato il mondo e l’esse-re umano.

Il materialismo dialettico re-spinge il dogmatismo, le cer-tezze assolute e perentorie da accettare “per fede”, e la con-cezione metafisica del mondo, cioè le affermazioni che non hanno un fondamento nella re-altà e che non sono dimostra-bili nella pratica attraverso l’e-

Roma, 6 dicembre 2003. La manifestazione nazionale contro la “riforma” delle pensioni sostenuta dal governo Berlusconi è l’occasione per tenere alta la parola d’ordine “Con Lenin per sempre” . Nella foto parte della delegazione nazionale guidata da Giovanni Scuderi (al centro). Da sinitra Dario Granito, Antonella Casalini, Simone Malesci, Giovanni Scuderi, Denis Branzanti, Mino Pasca e Emanuele Sala (foto Il Bolscevico)

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sperienza dell’essere umano. Riguardo al materialismo sto-rico Lenin sottolinea che esso è la concezione scientifica del-la storia, militante e non con-templativa, il cui scopo fonda-mentale è quello di cambiare il mondo. Esattamente come ha detto Marx che, scrivendo a proposito delle “Tesi su Feuer-bach”, sottolinea che “i filo-sofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo”.

Stalin sintetizza così l’ela-borato di Lenin sul tema: “Il materialismo dialettico è la concezione del mondo del Partito marxista-leninista. Si chiama materialismo dia-lettico perché il suo modo di considerare i fenomeni della natura, il suo metodo per in-vestigare e per conoscere i fenomeni della natura è dia-lettico, mentre la sua inter-pretazione, la sua concezio-ne di questi fenomeni, la sua teoria, è materialistica. Il ma-terialismo storico estende i principi del materialismo dialettico allo studio della vita sociale, li applica ai fe-nomeni della vita sociale, allo studio della società, allo studio della storia della so-cietà”.(9) Il materialismo dia-lettico e storico è la base filo-sofica del marxsmo-leninismo, che è la teoria rivoluzionaria del proletariato. Se Lenin non fosse riuscito a infondere nei membri del Partito e nel prole-tariato russo questa concezio-ne del mondo, questa teoria ri-voluzionaria, non sarebbe mai stata possibile la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre e la tra-sformazione della Russia.

3. La lotta contro il revisionismo

“Il nostro partito ha resi-stito, saldo come una roccia, ha respinto gli innumerevo-li colpi dei nemici e ha con-dotto avanti la classe opera-ia, verso la vittoria. In queste battaglie furibonde, il nostro partito ha forgiato l’unità e la compattezza delle pro-prie file. L’unità e la compat-tezza gli hanno dato la vitto-ria sui nemici di classe”.(10) Ma questa unità e compattez-za del Partito è stata ottenuta attraverso una lotta teorica e politica contro tutte le correnti controrivoluzionarie o false ri-voluzionarie.

Vediamole in dettaglio. La prima battaglia che Lenin af-fronta per ripulire il campo rivo-luzionario dalla posizioni non marxiste o pseudomarxiste è quella contro il populismo rus-so, pre esistente al marxismo e suo avversario, la cui influen-za era allora prevalente tra gli operai d’avanguardia e gli in-tellettuali rivoluzionari.

Il populismo era una dottri-na dei liberali borghesi che ri-teneva che la principale forza rivoluzionaria fosse costituita dai contadini e non dalla clas-se operaia e che il dominio del-lo zar e dei proprietari fondiari sarebbe stato abbattuto dalle rivolte dei contadini. I populisti una volta sconfitti finirono con il predicare la conciliazione col governo zarista.

Successivamente Lenin smaschera i socialisti rivolu-zionari, continuatori dei po-pulisti in particolare per quan-to riguarda il terrorismo. I loro esponenti, per lo più intellet-tuali borghesi, travestiti da marxisti, utilizzavano il marxi-

smo per sottomettere gli inte-ressi del movimento operaio a quelli della borghesia. Mol-to importante è anche la lotta di Lenin contro il “marxismo le-gale”.

Dopo i populisti, Lenin in-crocia i guantoni contro gli “economisti”, che si attribuiva-no il titolo di giovani contrap-ponendosi ai “vecchi” come Lenin. Essi sostenevano che gli operai dovessero occuparsi solo della lotta economica con-tro i padroni, ritenendo che la lotta politica era di competen-za della borghesia liberale che aveva il compito di assumerne la direzione. Gli “economisti” facevano parte delle organiz-zazioni marxiste russe e soste-nevano le stesse tesi degli av-versari del marxismo nei partiti socialdemocratici all’estero, cioè dei seguaci dell’opportu-nista e revisionista Bernstein.

Per la fondazione e la co-struzione del Partito del pro-letariato russo, fondamenta-le è stata la battaglia di Lenin contro gli “economisti” e quel-la contro i menscevichi, ossia minoranza, a partire dal II Con-gresso del Partito operaio so-cialdemocratico della Russia tenutosi nel 1903. I menscevi-chi erano contrari alla dittatura del proletariato, alla concezio-ne di Lenin e dei bolscevichi, ossia maggioranza, del Parti-to, riguardante la composizio-ne, l’organizzazione, il centrali-smo democratico, la disciplina ferrea del Partito. Trotzki stava con i menscevichi.

La battaglia contro i men-scevichi si svilupperà al III con-gresso del Partito tenutosi nel 1905 sulla tattica da seguire nel corso della rivoluzione de-mocratica borghese e sul ruolo del proletariato in essa, diriger-la o stare alla coda della bor-ghesia?

Al IV Congresso tenutosi nel 1906 i menscevichi con-quistano la maggioranza del Partito. Al Congresso succes-sivo Lenin riconquista la mag-gioranza. Trotzki da posizione semimenscevica cercò di fare il mediatore ma non ebbe suc-cesso.

Dopo la sconfitta della ri-voluzione del 1905, i “compa-gni di strada” della rivoluzione, così Lenin li definiva, soprat-tutto gli intellettuali abbando-narono il Partito e i ranghi del-la rivoluzione e passarono in quelli del governo dello Zar.

Nuove critiche vengono indi-rizzate verso il marxismo. An-che importanti intellettuali e di-rigenti del Partito cadono nello sconforto e nello scetticismo e passano ad attaccare i fon-damenti filosofici e teorici del marxismo, cioè il materialismo dialettico e il materialismo sto-rico. E lo fanno dicendo che volevano “migliorare” il marxi-smo.

Spetta a Lenin smasche-rarli con la sua celebre opera “Materialismo e empiriocritici-smo”, pubblicata nel 1909, con il quale stabilisce la verità sul materialismo dialettico e stori-co elaborato per la prima vol-ta nella storia nella filosofia di Marx ed Engels.

I menscevichi, presi dal pa-nico si ritirarono dalla lotta ri-voluzionaria, rinnegano le pa-role d’ordine rivoluzionarie del Partito e addirittura volevano sopprimere il Partito allora ille-gale. Lenin per questo li chia-mò liquidatori e si adoperò per smascherare le loro tesi ca-pitolazioniste per rianimare il Partito e per rilanciare la stra-tegia rivoluzionaria, sia pure adottando la tattica nella nuo-va situazione di riflusso.

Trotzki sosteneva i man-scevichi-liquidatori, e per que-

sto Lenin gli appioppò il titolo “il piccolo Giuda-Trotzki”. Nel 1912 costui organizzò il “bloc-co di agosto” costituito da tutti i gruppi e da tutte le tendenze antibolsceviche contro Lenin e il Partito bolscevico. Trotzki si presentava sotto la maschera di conciliatore tra bolscevichi e menscevichi mentre in real-tà appoggiava in tutto per tut-to questi ultimi. In quella circo-stanza Kamenev, Zinoviev e Rykov erano di fatto agenti ca-muffati di Trotzki, che aitavano spesso contro Lenin.

Con l’appoggio di Stalin Lenin riuscì a smascherare e sconfiggere il “blocco di ago-sto” costituendo fronte unito di tutti coloro che volevano con-servare e consolidare il Parti-to illegale del proletariato. E su questa base riuscì a conciliare il lavoro illegale con quello le-gale del Partito.

Lenin capì che non era più possibile unire le forze della classe operaia e prepararle in vista della nuova ascesa rivo-luzionaria avendo i mensce-vichi in seno al Partito. Biso-gnava costruire senza di loro un nuovo partito, un partito di “tipo nuovo”, in niente somi-gliante ai soliti partiti socialde-mocratici dell’Occidente, libe-

ro dagli elementi opportunisti e revisionisti, in grado di condur-re il proletariato alla lotta per la conquista del potere politico. Questo compito fu assolto dal-la VI Conferenza panrussa del Partito tenutasi nel 1912.

Un’altra importante batta-glia antirevisionista e antiop-portunismo ingaggiata da Le-nin è quella contro i seguaci russi della II Internazionale so-cialista e contro essa che si erano schierati con le rispet-tive borghesie nazionali nella prima guerra mondiale impe-rialista. Anche in questa circo-stanza Trotzki non si schiera con Lenin ma con i social-scio-vinisti, coprendo il suo tradi-mento e opportunismo con fra-si di “sinistra” sulla lotta contro la guerra. Infatti la sua propo-sta di non votare contro i cre-diti di guerra, ma di astenersi dal voto, voleva dire in realtà aiutare la guerra imperialista. E incitava gli operai a rinuncia-re alla lotta di classe durante la guerra per non creare proble-mi al proprio governo imperiali-sta durante la guerra.

Solo gli autentici internazio-nalisti appoggiarono le tesi di Lenin di trasformare la guerra imperialista in guerra civile, di agire per la disfatta militare del proprio governo imperialista e di costituire la III Internaziona-le, l’Internazionale comunista.

Alla VII Conferenza bolsce-vica, tenutasi il 24 aprile (7 maggio) del 1917, quando il Partito aveva 80mila membri, Lenin combatte contro Kame-nev, Rykov e Zinoviev. I primi due, a rimorchio dei mensce-vichi, sostenevano che la Rus-sia non era ancora matura per la rivoluzione socialista, che in Russia era possibile solo la repubblica borghese. Zino-viev sosteneva di rimanere nel blocco di Zimmerwald e che non era necessario che si co-stituisse una nuova Internazio-nale, l’Internazionale comuni-sta.

In quella Conferenza fu trattata l’importantissima que-stione nazionale sulla base di una relazione di Stalin. Lenin smascherò le tesi di Piatakov e Bucharin che erano contro il diritto delle nazioni all’autode-cisione.

Dopo la disfatta di Kornilov, nel settembre del 1917 i men-scevichi e i socialisti-rivoluzio-nari fecero un nuovo tentativo per impedire la rivoluzione so-cialista, creando un preparla-mento. Lenin bloccò Kamenev e Zinoviev che volevano che i bolscevichi vi partecipasse-

ro per distogliere il Partito dal-la preparazione dell’insurrezio-ne.

Questi due opportunisti nel-la storica riunione del Comitato centrale del Partito del 10 (23) ottobre 1917 parlarono e vota-rono contro la decisione dell’in-surrezione armata. Erano per una repubblica parlamentare borghese e sostenevano che la classe operaia non aveva la forza per realizzare la rivolu-zione socialista e che non era ancora matura per la presa del potere. Lenin e i bolscevichi respinsero un emendamento di Trotzki in cui proponeva di non cominciare l’insurrezione prima dell’apertura del II Con-gresso dei Soviet, il che vole-va dire rimandare l’insurrezio-ne, rivelarne in anticipo la data ed avvertire il governo provvi-sorio.

Kamenev, Zinoviev, Rykov e altri si opposero alla compo-sizione del governo sovietico perché volevano un “governo socialista omogeneo” con la partecipazione dei menscevi-chi e dei socialisti-rivoluzionari.

Tra le battaglie storiche di Lenin contro i revisionisti non possiamo non ricordare quel-la per la difesa della pace di Brest-Litovsk del febbraio 1918 tra la Russia e la Ger-mania contro la quale si oppo-nevano Trotzki, Bucharin, Ra-dek e Piatakov. Costoro, che per mascherarsi si autodefi-nivano “comunisti di sinistra”, sostenendo la continuazione della guerra facevano il gioco degli imperialisti tedeschi che avrebbero liquidato facilmente la Repubblica socialista giac-ché non aveva ancora un pro-prio esercito.

All’VIII Congresso del Par-tito, tenutosi nel marzo 1919, Lenin batté le posizioni di Bu-charin, che proponeva di escludere dal programma del Partito i paragrafi sul capitali-smo, sulla piccola produzione mercantile, sull’economia dei contadini medi. Batté anche le posizioni di Bucharin e Piata-kov sulla questione nazionale. Essi non volevano l’inclusione nel programma di un paragrafo sul diritto delle nazioni all’auto-decisione. Fu criticato anche Trotzki per la scorretta direzio-ne dell’Esercito Rosso.

Le ultime lotte di Lenin sono contro i gruppi interni al Parti-to: trotzkisti, “comunisti di si-nistra”, “opposizione operaia”, “centralisti democratici” e altri. Un’ampia discussione si svol-se sulla funzione dei sindaca-ti. Trotzki parlava di “stringere

6 il bolscevico / 150° Anniversario della nascita di Lenin N. 12 - 16 aprile 2020

Lenin, dopo il ritorno in Russia dall’esilio, tiene un comizio agli operai delle officine Putilov

Nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 1917 (7 novembre) Dopo la presa del Palazzo d’Inverno e l’arresto del governo Kerenski, Lenin annuncia la vittoria della rivoluzione bolscevica e il passaggio del potere ai soviet. A sinistra si nota, tra gli altri, la presenza di Stalin

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le viti” e di “scuotere i sindaca-ti” e propose di passare imme-diatamente alla “statizzazione dei sindacati”. Era contrario al metodo della persuasione nei riguardi delle masse operaie, voleva introdurre i sistemi mi-litari nei sindacati, era contro la democrazia nei sindacati e l’eleggibilità degli operai sin-dacali.

Al X Congresso del Partito, tenutosi nel marzo 1921, Lenin ottenne lo scioglimento di tut-ti i gruppi frazionisti esistenti nel Partito e la condanna del-la deviazione sindacalista e anarchica del Partito. Il Con-gresso su proposta di Lenin adottò un’importantissima de-cisione sul passaggio dal co-munismo di guerra alla nuova politica economica (Nep). Per i trotzkisti era solo una ritirata poiché miravano a restaurare il capitalismo. In realtà non era così, già un anno dopo all’XI Congresso del Partito, Lenin dichiarò che la ritirata era fini-ta e lanciò la parola d’ordine: “Preparare l’offensiva con-tro il capitale privato nell’e-conomia”.

A livello internazionale, me-morabile e fondamentale è la lotta di Lenin contro Kautsky, che aveva messo in discus-sione i capisaldi del materiali-smo quali la dittatura del prole-tariato, la rivoluzione socialista e la democrazia borghese. Per smantellare le sue tesi revisio-niste Lenin ha scritto “La rivo-luzione proletaria e il rinnegato Kautsky”. Quest’opera imper-dibile fornisce armi preziose per combattere le teorizzazioni dei revisionisti di oggi sui sud-detti temi.

Lenin nella sua lotta al ri-formismo e all’opportunismo, più volte si riferì all’Italia, prin-cipalmente nella critica al Par-tito socialista italiano, fondato come partito del proletariato ma che ha avuto sempre una guida riformista e opportunista; caratteristiche che lo portarono a mostrare la sua vera “anima” borghese sin dalle prime gran-di lotte del proletariato italiano nella primavera del 1914, cul-minate nella storica “settima-na rossa” che dal 7 al 14 giu-gno scosse nelle fondamenta il dominio della borghesia, a dimostrazione della volontà di lotta e dello spirito rivoluziona-rio del nostro proletariato che venne lasciato solo e poi so-stanzialmente sabotato dalla dirigenza del PSI. Ciò avvenne anche quando i dirigenti sinda-cali e del PSI abbandonarono il grande movimento dell’occu-pazione delle fabbriche giun-to al suo momento culminante nel settembre 1920, a confer-ma di una linea riformista ben precisa e tracciata.

Ma il tradimento più gran-de il Partito socialista italia-no lo consumò appoggiando la borghesia nella prima guer-ra mondiale imperialista con la pilatesca parola d’ordine “né aderire né sabotare”. La II In-ternazionale, che pure aveva svolto un’opera insostituibi-le e meritoria di orientamento ideologico e politico, dopo la scomparsa di Engels nel 1895 cadde “nell’immensa mag-gioranza dei suoi rappresen-tanti… nell’opportunismo” arrivando persino a votare i “crediti di guerra” alle borghe-sie imperialiste. (11)

Lenin condusse una dura battaglia politica contro tale ri-sma di rinnegati e servi della borghesia per fare chiarezza su come dovevano schierarsi allora gli autentici socialdemo-cratici (cioè i marxisti-leninisti di oggi): “Chi non condanna la partecipazione a questa guerra perpetua l’oppressio-

ne imperialista delle nazio-ni. Chi incita ad approfittare delle difficoltà in cui si trova-no oggi i governi ai fini del-la lotta per la rivoluzione so-ciale, difende effettivamente la vera libertà di tutte le na-zioni, che è possibile solo nel socialismo”.(12) “I so-cialisti (non opportunisti) di ogni paese debbono vede-re il loro nemico principale nel ‘proprio’ patrio sciovini-smo”.(13) Per Lenin il compi-to dei socialdemocratici dove-va essere quello di adoperarsi per la sconfitta del “proprio go-verno”, non certo a favore del-le borghesie degli altri paesi, ma nell’interesse del proleta-riato nazionale e internaziona-le che doveva approfittare del-la guerra per “assestare colpi alla ‘propria’ borghesia, al ‘proprio’ governo”. Una po-sizione ben sintetizzata nell’af-fermazione: “Una classe rivo-luzionaria non può, durante una guerra reazionaria, non augurarsi la sconfitta del proprio governo”.(14)

Lenin inoltre chiarì che “I riformisti ed i pacifisti bor-ghesi sono gente che, per regola generale, è pagata in una forma o in un’altra, per-ché consolidi con dei picco-li rappezzamenti il dominio del capitalismo, perché ad-dormenti le masse popola-ri distogliendone l’attenzio-ne dalla lotta rivoluzionaria”.(15)

In questo contesto che sta-va per risucchiare l’intero mo-vimento operaio e comunista internazionale nelle mani dei riformisti, Lenin dichiarò in ma-niera determinata che sarebbe stata necessaria la separazio-ne dei socialisti dai socialscio-vinisti. Al riguardo egli disse che “Una scissione è cosa grave e dolorosa. Ma qual-che volta è necessaria e in questi casi ogni debolezza, ogni ‘sentimentalismo’ è un delitto. I capi degli operai non sono angeli, non sono santi, eroi, ma sono uomi-ni come tutti gli altri. Essi commettono errori. Il parti-to li corregge. Ma se si insi-ste nell’errore, se per la di-fesa dell’errore si forma un gruppo che calpesta tutte

le decisioni del partito, tut-ta la disciplina dell’eserci-to proletario, la scissione è indispensabile. E il parti-to del proletariato sociali-sta italiano, allontanando da sé i sindacalisti e i riformisti di destra, ha preso la strada giusta”. (16)

Nel 1917 Lenin, osservan-do un PSI dalle grandi poten-zialità ma ancora sotto possi-bile scacco riformista, metterà in evidenza come in Italia “il Partito socialista italiano, se vuole essere realmente per la III Internazionale, scac-ci con ignominia dalle sue file i signori Turati e consor-ti e diventi un partito comu-nista, non soltanto di nome, ma anche per le sue azio-ni”(17), definendo i vari Tura-ti, Treves e gli altri rappresen-tanti della destra del partito italiano “ancora più a destra

di Kautski”, poiché “Per loro la ‘dittatura’ del proletaria-to è in contraddizione con la ‘democrazia’!!!”.(18) Il re-visionismo all’interno del Par-tito socialista italiano aveva radici profonde, al punto che, come afferma Lenin, lo stesso Plekhanov già nel 1905 soste-neva che Engels era costretto a spiegare a Turati la differen-za fra un rivolgimento demo-cratico borghese e una rivolu-zione socialista.

Lenin, cita l’esempio di Ca-vriago per evidenziare che l’e-co dell’Ottobre aveva già rag-giunto una risonanza capillare a livello mondiale anche fra le masse operaie italiane: “Leg-go (sull’Avanti, ndr) una cor-rispondenza sulla vita del Partito in una piccola loca-lità chiamata Cavriago, un angolo sperduto perché non si trova sulla carta, e vedo

che gli operai, riunitisi, han-no votato una mozione che esprime al giornale la loro simpatia per la sua intran-sigenza, e dichiarano di ap-provare gli spartachiani tedeschi (…) salutano i so-vietisti russi ed esprimono l’augurio che il programma dei rivoluzionari russi e te-deschi sia accettato in tutto il mondo e serva a condurre fino in fondo la lotta contro la borghesia e la dominazio-ne militare”.(19)

Lenin vedeva effettivamen-te la possibilità della rivolu-zione socialista italiana pri-ma dell’avvento del fascismo, ed aveva chiaramente indica-to la strada giusta da seguire ai socialisti italiani, “Oggi, - ri-levava - la necessità più as-soluta per la vittoria della ri-voluzione in Italia consiste in ciò: l’avanguardia effet-

tiva del proletariato rivolu-zionario italiano deve forma-re un partito completamente comunista, incapace di esi-tare e di mostrarsi debole nel momento decisivo; un partito che riunisca in se la più grande fede, la più asso-luta devozione alla rivoluzio-ne, un’energia, un’audacia e una decisione illimitate”.

Nel 1921, al Congresso di Livorno del Partito sociali-sta, la mozione dei comunisti per l’espulsione dei riformisti fu respinta dagli unitari e ciò costrinse i delegati comunisti a riunirsi immediatamente a Congresso al teatro San Mar-co, sempre a Livorno, fondan-do il Partito comunista d’Italia. Lenin denunciò le premesse ed i risultati del congresso del Partito socialista con queste parole: “… Perciò debbo dire al compagno Lazzari: con dei discorsi come il vostro e come quello che Serrati ha pronunciato qui, non si pre-para, ma si disorganizza la rivoluzione. A Livorno ave-te ottenuto una maggioran-za notevole. Avete ottenuto 98.000 voti contro 14.000 ai riformisti e 58.000 ai comu-nisti. È un grande succes-so; è una prova palpabile, la quale attesta che il movi-mento operaio si sviluppe-rà in Italia più rapidamente del nostro in Russia… Cer-to, in Italia le cose andran-no in modo completamente diverso … Non si può otte-nere tutto in una volta. Ma questa è già la prova che le masse operaie sono con noi. E questa è la prova del grande errore che voi avete commesso a Livorno. Que-sto è un fatto. Voi dispone-vate di 98.000 voti ma avete preferito restare con 14.000 riformisti piuttosto di anda-re con 58.000 comunisti… E questa è la dimostrazio-ne che la politica di Serrati è stata una disgrazia per l’I-talia”.(20)

Il Partito comunista d’Ita-lia nasce sotto la direzione del dottrinario, dogmatico e setta-rio Bordiga, appoggiato all’ini-zio e per tre anni da Gramsci e Togliatti, che viene attaccato da Lenin perché non concepi-sce la necessità della conqui-sta della maggioranza della classe operaia, del fronte unito e della partecipazione al parla-mento borghese allora inevita-bile e utile.

Lenin non vive abbastan-za per rendersi conto che an-che Gramsci, successore di Bordiga, aveva una tattica e una strategia diverse a quel-le della Rivoluzione d’Ottobre. Infatti già nella lettera del feb-braio 1924 indirizzata a Togliat-ti, Gramsci sosteneva che “la determinazione, che in Russia era diretta e lanciava le mas-se nelle strade all’assalto rivo-luzionario nell’Europa centrale ed occidentale si complicava per tutte queste superstrutture politiche, create dal più grande sviluppo del capitalismo, ren-de più lenta e più prudente l’at-tività delle masse e domanda quindi al partito rivoluzionario una strategia e una tattica ben più complesse e di lunga lena di quelle che furono necessarie ai bolscevichi nel periodo tra il marzo e il novembre 1917”.

Togliatti poi riprese, svilup-pò e applicò quelle teorie con la “via italiana al socialismo”, che rinnegarono la dittatura del proletariato e la rivoluzione socialista accettando la demo-crazia parlamentare borghese e la Costituzione del ‘48 come confine all’azione del partito del proletariato, completando l’opera revisionista di Gramsci.

N. 12 - 16 aprile 2020 150° Anniversario della nascita di Lenin / il bolscevico 7

Cavriago (Reggio Emilia), 20 gennaio 2019. Commemorazione di Lenin per il 95° Anniversario della scomparsa a cui hanno partecipato militanti e simpatizzanti del PMLI giunti da varie città dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, del Piemonte e della Toscana, militanti della FGCI, del PRC, dei Carc e dell’associazone Italia-Cuba. Al centro, con il giubbotto rosso, Denis Branzanti, Responsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna, che ha tenuto il discorso commemorativo (foto Il Bolscevico)

Mosca 1919. Lenin partecipa ai festeggiamenti per il 1 Maggio

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8 il bolscevico / 150° Anniversario della nascita di Lenin N. 12 - 16 aprile 2020

Conclamata da Enrico Berlin-guer che nel suo discorso dal titolo “L’importanza di Togliatti nella vita del PCI” del 26 mar-zo 1973, disse che “Togliat-ti ha continuato e sviluppato l’indirizzo nuovo impresso da Gramsci alla strategia del mo-vimento operaio italiano”.

4. La rivoluzione proletaria

È nell’opera fondamentale di Lenin “Stato e Rivoluzione” che si trovano le premesse te-oriche e politiche della Rivolu-zione d’Ottobre. Egli ci ha in-segnato che occorre marciare decisi verso la rivoluzione so-cialista, esponendo in termi-ni chiari e precisi il concetto secondo il quale il proletaria-to deve assumere la direzione nella rivoluzione democratica borghese, e per questo gui-dò il proletariato russo in quel-la prova generale che fu la ri-voluzione borghese del 1905, alla quale seguì quella socia-lista del 1917. Come afferma Stalin “Il più grande merito di Lenin verso la rivoluzio-ne russa è di aver messo a nudo, sino alle radici, l’in-consistenza dei paralleli sto-rici dei menscevichi e tutto il pericolo dello ‘schema della rivoluzione’ menscevico che abbandonava la classe ope-raia alla mercè della borghe-sia”.(21)

La Grande Rivoluzione So-cialista d’Ottobre è una delle più grandi imprese della storia del movimento operaio inter-nazionale e dell’intera umani-tà. Con una memorabile insur-rezione fu spazzata via dal potere la borghesia che seguì allo zar, dando il potere e tut-ti i mezzi di produzione passa-rono nelle mani del proletariato che divenne così classe domi-nante, proprio come avevano indicato Marx ed Engels ne “Il Manifesto del Partito comuni-sta’’ del 1848.

Il grande stratega dell’Otto-bre fu Lenin che lo ha prepara-to in tutti i suoi aspetti, sia sul piano teorico che politico, sia sul piano organizzativo e mili-tare, e lo ha guidato in prima persona, imprimendo a carat-teri d’oro il suo nome sull’Otto-bre russo e che nessuno po-trà mai cancellare, nonostante i vigliacchi tentativi dei me-dia borghesi con in testa Ezio Mauro e “il manifesto” trotzki-sta che soprattutto nell’an-no del Centenario dell’Ottobre hanno tentato persino di mini-mizzare il ruolo di Lenin per far emergere l’opportunista e tra-ditore Trotzki.

Alle dieci del mattino del 25 Ottobre del 1917 Lenin, che il giorno seguente fu nomina-to Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, si ri-volge ai “Cittadini di Russia” con queste parole: “Il gover-no provvisorio è stato abbat-tuto. Il potere statale è pas-sato nelle mani dell’organo del Soviet dei deputati ope-rai e soldati di Pietrogrado… La causa per la quale il po-polo ha lottato, l’immedia-ta proposta di una pace de-mocratica, l’abolizione della grande proprietà fondiaria, il controllo operaio della pro-duzione, la creazione di un governo sovietico, questa causa è assicurata.

Viva la rivoluzione degli operai, dei soldati e dei con-tadini!”.

La Rivoluzione d’Ottobre ha confermato la giustezza della teoria di Marx, di Engels e di Lenin secondo cui il proletaria-to per liberarsi dalla schiavitù salariale non può servirsi del-le vecchie istituzioni capitali-stiche sfruttatrici ma deve de-molire e distruggere l’apparato statale capitalistico che stori-camente ha contribuito a de-terminare il sistema sociale ba-sato sullo sfruttamento. Essa a livello economico, ideologico e politico, ha emancipato il pro-letariato, i contadini poveri e medio poveri e le masse la-voratrici e popolari, edificando lo Stato socialista basato sulla dittatura del proletariato che ha portato la democrazia a un li-vello molto più alto rispetto alla falsa democrazia borghese.

In ultima analisi la Rivolu-zione d’Ottobre ha dimostra-to che era possibile ciò che fino a quel momento era rite-nuto impossibile: il proletaria-to poteva - e quindi tutt’ora può - rovesciare dal potere la bor-ghesia sfruttatrice, instaurare il proprio potere e edificare uno Stato a sua misura. Da allora questa esperienza vittoriosa è il faro per tutti gli sfruttati e gli oppressi del mondo intero. Essa ha incoraggiato e ispirato per tutto il Novecento le lotte e le vittorie del proletariato e dei popoli in lotta contro il capitali-smo, l’imperialismo, il colonia-lismo, il nazismo, il fascismo e il razzismo.

La Rivoluzione d’Ottobre ha un significato internaziona-le, come ha affermato Lenin con queste parole: “Alcune caratteristiche fondamen-tali della nostra rivoluzione non hanno un significato lo-cale, specificamente nazio-nale, esclusivamente russo, ma un significato internazio-nale. E non parlo qui di si-gnificato internazionale nel senso lato del termine: non alcuni, ma tutti i tratti fonda-mentali e molti tratti secon-dari della nostra rivoluzione hanno un significato inter-nazionale, nel senso che questa rivoluzione esercita un’influenza su tutti i pae-si. Mi riferisco al senso più stretto del termine: se per importanza internazionale si intende la portata internazio-

nale o l’inevitabilità storica che si ripeta su scala inter-nazionale ciò che è avvenu-to da noi, bisogna ricono-scere un tale significato ad alcune caratteristiche fonda-mentali della nostra rivolu-zione”.(22)

In seguito le vicende gli da-ranno ragione e sarà Mao ad evidenziare: “La Rivoluzio-

ne d’Ottobre aiutò i progres-sisti cinesi e quelli di tutti i paesi ad adottare la conce-zione proletaria del mondo come strumento per studia-re il destino della propria na-zione e per esaminare dac-capo tutti i loro problemi. Seguire la strada dei russi, questa fu la loro conclusio-ne”.(23) Ed ancora: “La Rivo-luzione d’Ottobre ha aperto ai popoli del mondo ampie possibilità e vie efficaci per la loro liberazione; ha creato contro l’imperialismo mon-diale un nuovo fronte della rivoluzione che dai proletari dell’Occidente, attraverso la rivoluzione russa, si esten-de fino ai popoli oppressi dell’Oriente. Questo fron-te della rivoluzione è stato creato e si è sviluppato sot-to la saggia guida di Lenin e, dopo la morte di Lenin, sotto

quella di Stalin”.È quello che non hanno ca-

pito i teorici e attuatori in Ame-rica Latina del cosiddetto “So-cialismo del XXI secolo”, che è fallito rovinosamente perché non ha soppresso fin da subito il sistema economico capitalista e abbattuto lo Stato borghese.

5. La dittatura del proletariato

“La grandezza di Lenin sta innanzitutto nel fatto che egli, creando la Repubblica dei Soviet, ha mostrato con ciò praticamente alle masse operaie oppresse del mondo intero che la speranza della liberazione non è perduta, che il dominio dei capitali-sti e dei proprietari fondiari non durerà più a lungo, che il regno del lavoro può es-sere creato con le forze de-gli stessi lavoratori, che il re-gno del lavoro si deve creare sulla terra e non in cielo. In questo modo egli ha acceso nel cuore degli operai e dei contadini di tutto il mondo la speranza nella Liberazio-ne. Così si spiega perché il nome di Lenin è divenuto il nome più amato dalle masse lavoratrici sfruttate”.

Lenin, sviluppando il con-cetto della dittatura del proleta-riato di Marx ed Engels, e av-valendosi dell’esperienza della Comune di Parigi, ha indivi-duato nel potere dei Soviet lo strumento di governo del pro-

letariato; inoltre ha definito tale dittatura come una forma par-ticolare dell’alleanza di classe del proletariato dirigente con le masse sfruttate non proletarie come i contadini, sottolinean-do con forza che essa in una società ancora divisa in classi, è il tipo più alto di democrazia che esprime gli interessi della maggioranza sfruttata, in con-trapposizione alla democrazia borghese che esprime inve-ce quelli della minoranza de-gli sfruttatori. “La dittatura del proletariato - afferma Lenin - è una lotta tenace, cruenta e incruenta, violenta e paci-fica. Militare ed economica, pedagogica ed amministra-tiva, contro le forze e le tra-dizioni della vecchia socie-tà. La forza dell’abitudine di milioni e di decine di milio-ni di uomini è la più terribile delle forze. Senza un partito

di ferro, temprato nella lotta, senza un partito che goda la fiducia di tutto quanto vi è di onesto nella sua classe, senza un partito che sappia osservare lo stato d’animo delle masse e influenzarlo, è impossibile condurre con successo una lotta simile”.

Dopo la presa del potere da parte del proletariato i pri-mi provvedimenti furono l’a-bolizione delle vecchie caste e del regime di oppressio-ne nazionale, il decreto sulla pace per mettere rapidamen-te fine alla guerra, il decreto sulla terra che ne abolisce la proprietà privata, la confisca delle terre demaniali, delle te-nute, delle fattorie, degli alle-vamenti del bestiame della fa-miglia imperiale, della corona, dei monasteri e della Chiesa, dei proprietari fondiari (esclu-si i piccoli contadini) per tra-sferire tutto ciò allo Stato e alle comunità contadine. Ed anco-ra, la separazione della Chie-sa dallo Stato e della scuola dalla Chiesa, la nazionalizza-zione delle banche, delle fer-rovie, del commercio estero, della flotta mercantile, delle ri-sorse del sottosuolo, di acqua e foreste, l’annullamento dei debiti contratti all’estero dallo zar e dal governo provvisorio, l’istituzione della giornata lavo-rativa di otto ore, la parità dei diritti tra le donne e gli uomini e il diritto al divorzio, l’egua-glianza delle diverse nazio-nalità nella Repubblica russa. Così nasceva il nuovo mondo socialista, stroncato dal golpe della cricca revisionista di Kru-sciov attuato al XX Congresso del PCUS svoltosi nel 1956. Da questa amara esperienza, che si stava ripetendo in Cina, Mao elabora la teoria di valore

universale della continuazione della rivoluzione sotto la ditta-tura del proletariato attraverso la Grande Rivoluzione Cultura-le Proletaria per impedire la re-staurazione del capitalismo nei paesi socialisti.

6. La lotta contro l’imperialismo

Lenin è stato il primo mar-xista che ha teorizzato l’im-perialismo e che ha indicato come combatterlo e annien-tarlo. L’ha fatto attraverso la sua celebre opera “L’impe-rialismo fase suprema del

capitalismo”, ancora attuale, nonostante le ciance dei revi-sionisti di ieri e di oggi.

Marx ed Engels avevano studiato il capitalismo premo-nopolistico che terminerà a cavallo tra il XIX e il XX se-colo quando la grande evolu-zione del capitalismo venne sostituita da uno sviluppo “a salti”, ineguale e catastrofico, dove le condizioni di sviluppo e le contraddizioni si manife-stavano con forza particolare nel momento in cui la lotta dei mercati di vendita e di espor-tazione del capitale rese ine-vitabili le guerre imperialiste per le spartizioni del mondo e delle sfere di influenza.

Lenin prendendo a base le tesi fondamentali de “Il Capi-tale” di Marx, fece piena luce su queste novità economiche e politiche che caratterizzaro-no l’imperialismo. La sua ope-ra citata, che tutti gli antimpe-rialisti dovrebbero studiare, è essenziale per capire l’mpe-rialismo e l’epoca che stiamo attraversando e per avere le armi ideologiche e politiche per combatterlo. Compren-dendo in primo luogo, come indica Lenin, che “la lot-ta contro l’imperialismo se non è indissolubilmen-te legata con la lotta contro l’opportunismo è una frase vuota e falsa”.

In quest’opera Lenin svi-luppa il pensiero di Marx ed Engels sulle rivoluzioni na-zionali e coloniali, legando-le alla questione dell’abbat-timento dell’imperialismo e proclamando che la questio-ne nazionale e coloniale è parte integrante della que-stione generale della rivolu-zione proletaria internaziona-le. “Il leninismo - dice Stalin - ha allargato la nostra com-prensione della autodeci-sione, intesa come diritto dei popoli oppressi delle nazioni dipendenti e del-le colonie ad una comple-ta autonomia e quale diritto delle nazioni ad una esi-stenza indipendente”.

Lenin non si limitò a far chiarezza sull’imperialismo ma fornì anche lo strumento organizzativo internazionale per combatterlo, costituendo, appena un anno dopo la Ri-voluzione d’Ottobre, la III In-ternazionale, che dette un im-pulso fondamentale alla lotta contro l’imperialismo in tut-to il mondo. Come sottolinea Stalin “Lenin non considerò mai la Repubblica dei Soviet come fine a se stessa. Egli la considerò sempre come un anello necessario per lo sviluppo del movimen-to rivoluzionario nei Paesi dell’occidente e dell’orien-te, come un anello necessa-rio per agevolare la vittoria dei lavoratori del mondo in-tiero sul capitale. Lenin sa-peva che solo questa con-cezione è giusta, non solo dal punto di vista interna-zionale, ma anche dal pun-to di vista della salvaguar-dia della stessa Repubblica dei Soviet. Lenin sapeva che solo in questo modo è possibile infiammare i cuo-ri dei lavoratori di tutto il mondo per le lotte decisive di liberazione. Ecco perché Lenin, il capo più geniale fra i capi geniali del prole-tariato, il giorno dopo l’in-staurazione della dittatu-ra del proletariato, gettò le fondamenta dell’internazio-nale degli operai. Ecco per-ché non si stancava mai di estendere, di rafforzare l’U-nione dei lavoratori di tut-to il mondo, l’Internazionale Comunista”.

Giovanni Scuderi, Segretario generale del Partito, conclude a pugno chiuso il saluto alla 5a Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI. Alla sua sinistra Mino Pasca, invitato e portavoce del PMLI, e Mo-nica Martenghi (Firenze, 11 ottobre 2015)

25 maggio 1920. Lenin tiene un comizio a Mosca alle truppe dell’Armata rossa in partenza per il fronte contro l’assalto delle truppe bianche organizzate dalle potenze imperialiste nel tentativo di soffocare la nuova repub-blica sovietica

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N. 12 - 16 aprile 2020 150° Anniversario della nascita di Lenin / il bolscevico 9

APPLICHIAMO GLI INSEGNAMENTI DI LENIN

Questi sei insegnamenti principali di Lenin, difesi e svi-luppati da Stalin e Mao, sono il pane quotidiano dei marxisti-leninisti italiani. Consapevo-li che senza il loro nutrimento si deperisce ideologicamen-te e politicamente e si finisce col cadere nel revisionismo di destra o di “sinistra”. Come di-mostra l’esperienza storica del movimento comunista italiano e internazionale.

In tal modo nutrito è nato e cresciuto il PMLI che, com’è scritto a chiare lettere nel suo Statuto all’articolo 1, “è l’avan-guardia cosciente e organiz-zata del proletariato italiano, il Partito politico della clas-se operaia, che dirige le lotte immediate e parziali e quel-le generali e a lungo termine dell’intera classe e delle larghe masse popolari italiane e gui-da la rivoluzione socialista alla completa vittoria”.

Al momento è solo una de-finizione, un’aspirazione, un programma, un obiettivo da raggiungere per il quale oc-corrono molti combattenti d’a-vanguardia, soprattutto ra-gazze e ragazzi e intellettuali, impegnati ogni giorno, ogni momento della loro vita, sen-za badare a sacrifici persona-li, per il successo della causa rivoluzionaria, delle soldatesse e dei soldati rossi, disciplinati, organizzati, uniti e solidali tra di loro, centralizzati, che ce la mettono tutta per dare al pro-letariato una coscienza di clas-se e per spronarlo ad assume-re il ruolo dirigente nella lotta di classe e a battersi contro il capitalismo e per la conquista del socialismo e del potere po-litico. Un compito titanico che possono compiere solo coloro che sono disposti ad assolvere i doveri che sono fissati dall’ar-ticolo 13 dello Statuto, tra i quali quello di studiare e pra-ticare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, diffonderlo tra il proletariato e le larghe mas-se popolari, difendere la linea politica e la struttura organiz-zativa del Partito, attenersi al centralismo democratico e os-

servare una ferma disciplina proletaria, pensare, agire e vi-vere da rivoluzionario, trasfor-mare la propria concezione del mondo, elevare la propria co-scienza politica, essere riso-luto e coraggioso nella lotta di classe, non temere alcun sa-crificio, anteporre gli interessi della rivoluzione a quelli perso-nali, non esitare a dare anche la vita per la causa del prole-tariato.

Il PMLI, anche sulla base della propria esperienza e del-la storia del proletariato italia-no, è perfettamente consape-vole, avendolo imparato da Lenin e dagli altri Maestri, che non è sufficiente avere un par-tito con un marcato carattere di classe e rivoluzionario e dei militanti completamente vota-ti alla causa, ma che è anche necessario che esso e i suoi membri posseggano una teo-ria rivoluzionaria che illumini il

loro cammino.Per questo abbiamo lancia-

to tramite “Il Bolscevico” una campagna sullo studio del ma-terialismo dialettico e del ma-terialismo storico, convinti che se non ci ripuliremo la mente da ogni influenza della conce-zione del mondo borghese e non acquisiremo stabilmente la concezione del mondo pro-letaria, non è possibile pensa-re, vedere e valutare le cose, le contraddizioni e gli avveni-menti e agire in maniera scien-tifica, di classe e rivoluziona-ria, e quindi fare correttamente e con successo il lavoro ide-ologico, politico, organizzati-vo, di massa, di fronte unito e giornalistico. Questo nostro convincimento dobbiamo sfor-zarci di trasmetterlo ai simpa-tizzanti del PMLI, e a tutti i fau-tori del socialismo comunque organizzati, ai combattenti di avanguardia del proletariato e delle masse lavoratrici, disoc-cupate, pensionate, femminili e giovanili. Dobbiamo cerca-re di convincerli a leggere “Il Manifesto del Partito Comuni-sta” di Marx ed Engels, “Stato e Rivoluzione” di Lenin, “Prin-cipi del leninismo” e “Que-

stioni del leninismo” di Stalin, “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popo-lo” di Mao e l’opuscolo numero 9 di Scuderi. Noi tutti, dirigen-ti e semplici militanti del PMLI, dovremmo rileggerli per rinfre-scarci la memoria e migliorare il nostro lavoro e quello della nostra istanza. Potremmo ap-profittare del coprifuoco impo-sto dall’emergenza Coronavi-rus per farlo.

Il PMLI è nato e cresciu-to combattendo strenua-mente contro il revisionismo gramsciano, togliattiano e ber-lingueriano e quello dei partiti che sono nati dal PCI, e sen-za paura. Un moscerino con-tro l’elefante rappresentato dal PCI, il più forte partito comuni-sta revisionista dell’Occidente. Poteva fracassarsi le ossa, in-vece ha rafforzato il carattere antirevisionista del PMLI, ma bisogna stare attenti perché è sempre possibile che nel tem-po e col mutamento delle ge-nerazioni il Partito perda que-sto carattere. Dobbiamo quindi continuare a vigilare, a tutti i li-velli compresi i nuovi militan-ti, e bloccare sul nascere ogni tentativo di infiltrazione del re-visionismo nel Partito.

Applicando gli insegnamen-ti di Lenin sul lavoro di mas-sa, sulle alleanze, sul fron-te unito, stiamo facendo delle importanti esperienze nella CGIL, nell’ANPI e soprattutto nel Coordinamento delle sini-stre d’opposizione costituito a livello nazionale da PMLI, PCI, PCL, Sinistra Antagonista, Co-munisti unitari, La città futura e altre forze. In esso ci muo-viamo con grande spirito uni-tario ma non perdiamo certo le occasioni per spingerlo in avanti, per elevarne il livello di combattività anticapitalista, an-tifascista e antigovernativa.

Abbiamo imparato anche che i falsi comunisti e gli im-broglioni politici possono na-scondersi persino dietro Lenin. Lo facevano Trotzki, Gramsci e Togliatti come lo fa oggi Mar-co Rizzo che ha rifondato il PC sul pensiero di Gramsci e Sec-chia, ma nello stesso tempo tira in ballo Lenin e Stalin per ingannare i sinceri comunisti.

Non dobbiamo mai scor-darci dell’indicazione di Lenin secondo la quale “I socialisti - oggi i marxisti-leninisti - de-vono mettere alla base del loro lavoro la lotta contro il riformismo, che ha sempre corrotto, con idee borghe-si, il movimento operaio”, andando a “una rottura se-ria, definitiva, netta e decisa con il riformismo” applicare tali insegnamenti all’interno del PMLI significa impedire che i falsi comunisti si infiltrino nel Partito e ne cambino il colore politico abbandonando la Via dell’Ottobre, per abbracciare coscientemente e no nei fatti la borghesia. Per questo ogni membro del PMLI deve prati-care la critica e l’autocritica, non concedere alcun spazio al revisionismo, al riformismo, al parlamentarismo, al costituzio-nalismo, al legalitarismo, al go-vernismo, all’individualismo, al personalismo, al protagonismo personale e a chi viola il cen-tralismo democratico. Questo, che è il principio organizzativo del PMLI, come recita l’artico-lo 23 dello Statuto, prescrive che “tutte le direttive del Comi-

tato centrale sono impegnative e vincolanti per tutti i membri e tutte le istanze del Partito, che devono osservare le seguenti regole di disciplina: 1) l’indivi-duo è subordinato all’istanza; 2) la minoranza è subordina-ta alla maggioranza; 3) l’istan-za inferiore è subordinata all’i-stanza superiore; tutto il Partito è subordinato al Comitato cen-trale”.

In tal modo il centralismo democratico, come dimostra la stessa esperienza della lot-ta tra le due linee che si è svol-ta fin qui nel Partito, soprattutto all’interno dell’Ufficio politico, permette di tenere unito il Par-tito, di non farlo deviare a de-stra o a “sinistra”, di ostacolare ogni tentativo di frazionismo, di formare correnti, di creare re-gni indipendenti.

Il Programma generale del PMLI approvato al Congresso di Fondazione del Partito, re-cepisce in pieno gli insegna-menti di Lenin sulla rivoluzio-ne socialista, sulla dittatura del proletariato e sull’imperiali-smo. Essi quindi orientano da sempre il lavoro quotidiano del PMLI, legando il particolare al generale.

La rivoluzione socialista in Italia non è dietro l’angolo - e questo è un dato oggettivo - ma non per questo dobbiamo cessare di parlarne, di propa-gandarla, di proporla al prole-tariato, alle masse e alle nuove generazioni, di finalizzare ogni nostro lavoro ad essa e di ri-muovere ogni ostacolo che la impedisce. Uno di questi osta-coli è il governo trasformista li-berale Conte al servizio del re-gime capitalista neofascista, col quale non è possibile alcu-na collaborazione, nemmeno nella emergenza Coronavirus. Quantunque abbiamo proble-mi comuni per fronteggiare il Coronavirus, non siamo sul-la stessa barca. Fondamen-talmente perché l’ambizio-so e carrierista Conte vede i problemi e la loro risoluzione dal punto di vista dei capitali-sti mentre noi li vediamo e vo-gliamo risolverli da un punto di vista del proletariato, delle la-

voratrici e dei lavoratori e del-le masse popolari. Il che richie-de la chiusura delle fabbriche non essenziali alla vita e alla salute del popolo per quindi-ci giorni remunerando per in-tero le lavoratrici e i lavoratori. Il che richiede anche il rispet-to della democrazia borghese e il funzionamento regolare del parlamento. L’uno e l’altro non sono nostri modelli, ma ridur-li al minimo vuol dire la ditta-tura del governo Conte 2. Mai, e in nessuna circostanza, ri-nunceremo alla lotta di classe. L’“unità nazionale” come non può funzionare nella guerra imperialista allo stesso modo non può funzionare nella guer-ra al Coronavirus.

Sappiamo che dobbiamo lavorare senza sosta per re-stituire al proletariato la pro-pria coscienza di classe e non la collaborazione con la bor-ghesia, affinché esso scelga la lotta di classe e non il rifor-mismo, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e non il revi-sionismo, il PMLI e non i partiti falsi comunisti, il socialismo e non il capitalismo. Non è un compito facile perché il PMLI è troppo debole come militan-ti, e per questo dobbiamo dar-gli un corpo da Gigante Ros-so. Lenin ci ha dato e continua a darci molto, e noi siamo fieri di dirglielo pubblicamente ogni anno davanti al suo monu-mento a Cavriago. Quest’anno stiamo lavorando per celebra-re assieme ad altri partiti con la bandiera rossa e la falce e martello il 150° Anniversario della sua nascita.

Come ha fatto Lenin, anche i marxisti-leninisti italiani por-teranno fino in fondo il proprio compito storico rivoluzionario. Poco importa se ci vorranno pochi o cento anni; noi siamo qui per fare la nostra parte e la faremo ad ogni costo, oggi come ieri e come in futuro.

Questo è l’impegno solenne che ci rinnoviamo oggi, a 150 anni dalla nascita del grande Maestro del proletariato inter-nazionale Lenin.

Per i marxisti-leninisti italia-ni non c’è cosa più bella, più

utile, più rivoluzionaria, più ap-pagante che servire con tutto il cuore il popolo e lavorare per il trionfo della nobile causa del socialismo.

Teniamo alta la grande ban-diera rossa di Lenin!

Con Lenin per sempre, con-tro il capitalismo per il sociali-smo!

L’Ufficio politico del PMLIFirenze, 9 Aprile 2020

NOTE

1. Stalin, Lettera apparsa sul Giornale Operaio “Rabociaia Gazeta”

2. Lenin, Il programma militare della rivoluzione proletaria

3. Mao, Sulla dittatura democra-tica popolare

4. Lenin, L’imperialismo e la scissione del socialismo

5. Lenin, Tesi sui compiti fon-damentali del II Congresso dell’Internazionale comunista

6. Lenin, Un passo avanti e due indietro

7. Lenin, Secondo discorso sullo Statuto del partito

8. Lenin, Materialismo ed empi-rocriticismo

9. Stalin, Materialismo dialetti-co e materialismo storico in “Questioni del leninismo”

10. Stalin, Lenin è morto, pubbli-cato sulla “Pravda” n. 23 del 30 gennaio 1924

11. Lenin, Stato e rivoluzione12. Lenin, La guerra europea e il

socialismo internazionale13. Lenin, Imperialismo e sociali-

smo in Italia14. Lenin, I compiti del proletaria-

to nella guerra imperialista15. Lenin, Una svolta nella politi-

ca mondiale16. Lenin, Il Congresso di Reggio

Emilia17. Lenin, L’estremismo malattia

infantile del comunismo18. Lenin, Stato e rivoluzione19. Lenin, Articolo apparso sulla

“Pravda”, n.16 del 24 genna-io 1919

20. Lenin, Discorso sulla questio-ne italiana, 28 giugno 2021, pubblicato nel Bollettino del terzo Congresso dell’Interna-zionale Comunista

21. Stalin, Lenin, organizzatore e capo del PCR, articolo pubbli-cato sulla “Pravda” n. 86 del 23 aprile 1920

22. Lenin, L’estremismo23. Mao, Sulla dittatura democra-

tica popolare

Lenin interviene al Primo Congresso della III Internazionale nata su sua iniziativa nel marzo del 1919

Stalin visita Lenin convalescente (più volte tra agosto e settembre 1922 ) a Gorki

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prio PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO

TENIAMO ALTA LA GRANDEBANDIERA ROSSA DI LENIN

In celebrazione del 150° Anniversario della nascita del grande Maestro del proletariato

Comitato centrale

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N. 12 - 16 aprile 2020 emergenza coronavirus / il bolscevico 11Intervenendo in parlamento

Conte esalta la sua dittatura antivirus

Nessuna autocritica sugli errori e i ritardi del governo. L’opposizione di destra invoca strumentalmente la centralità del parlamento. La Lega torna alla carica con condono tombale e flat tax. La ducetta Meloni chiede una “cabina di regia

parlamentare”. Salvini e Renzi esaltano Draghi per far fuori Conte. Precipita la situazione sociale, specialmente al SudSubito 1.200 euRo aL MeSe PeR Chi non ha ReDDito né

aMMoRtizzatoRi SoCiaLi finChé DuRa L’eMeRgenza CoRonaviRuSIl 25 marzo Giuseppe Con-

te si è presentato alla Camera e il giorno dopo in Senato per rendere conto al parlamento, riunito per l’occasione a ran-ghi molto ridotti, dell’operato del governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Sa-pendo di essere atteso al var-co dalla destra capeggiata da Salvini e Meloni, ma anche da certi “alleati” di governo ansiosi di sostituirlo al più presto come Renzi, il presidente del Consi-glio ha giocato d’anticipo am-monendo tutti che non è questo il momento di attribuire le re-sponsabilità, il tempo “delle va-lutazioni su quello che avrem-mo potuto fare e non abbiamo fatto”; perché, ha aggiunto ci-tando Manzoni, “del senno del poi son piene le fosse. Ci sarà un tempo per tutto, ma oggi è il tempo dell’azione, il tempo della responsabilità dalla quale nessuno può fuggire”.

Dopodiché si è lanciato in una granitica esaltazione dell’a-zione di governo, dalle prime misure prese della chiusura dei voli con la Cina del 27 gennaio e la proclamazione dello stato di emergenza del 31 gennaio, fino all’ultimo provvedimento di stampo fascista appena fir-mato il giorno avanti, che ha impresso un ulteriore giro di vite alla segregazione del Pae-se con sanzioni pesantissime per i trasgressori, fino a 3.000 euro di multa e 5 anni di reclu-sione. Per Conte “il Governo ha agito con la massima determi-nazione e con assoluta spedi-tezza approntando, ben prima di qualunque altro Paese, le misure di massima precauzio-ne”. Nemmeno un accenno au-tocritico al tempo perso (quasi un mese, prima che l’epidemia si manifestasse il 21 febbraio in Lombardia e Veneto) sen-za cominciare a fare scorte di dispositivi di protezione (i co-siddetti Dpi, mascherine, tute e disinfettanti) e di ventilatori polmonari, che poi sono dram-maticamente mancati, e predi-sporre piani di riorganizzazione e potenziamento degli ospedali e dei reparti di terapia intensi-va. Per non parlare proprio del-la chiusura dei voli dalla Cina, che secondo molti esperti ha peggiorato le cose impedendo di tracciare i passeggeri che arrivavano in Italia attraverso paesi intermedi senza essere controllati.

Nessuna autocritica nem-meno riguardo ai tentenna-menti del governo sulle misure di contenimento anche dopo l’esplosione dell’epidemia in Lombardia e l’inizio della sua diffusione al resto del Paese, l’inseguire sempre gli eventi anziché cercare di anticiparli, l’oscillare per giorni tra il “chiu-dere tutto” e il “riaprire tutto”, la fuga di notizie prima del primo decreto di chiusura generale che ha provocato il pericoloso e incontrollato esodo dal Nord al Sud, i cedimenti alle pressio-

ni di Confindustria per tenere aperte le fabbriche anche non indispensabili e senza garan-zie di sicurezza per i lavoratori, costringendoli a scioperare per farsi sentire dal padronato e dal governo, gli anziani abbando-nati nelle case di riposo ridotte a lazzaretti, e così via. Nessuna autocritica, anzi per Conte il go-verno ha addirittura “anticipato la reazione ponendo in essere tutte le azioni di sua competen-za necessarie e utili a presidiare i beni primari della vita e della salute dei cittadini”.

Presidenzialismo e dittatura del governo

ConteNessun dubbio nemmeno

sui pieni poteri che Conte si è attribuito di fatto con il ricorso sistematico ai decreti del presi-dente del Consiglio dei ministri (Dpcm), provvedimenti da stato di eccezione che non richiedo-no la conversione in legge da parte del parlamento e che rap-presentano pertanto uno svuo-tamento palese della democra-zia borghese. Tanto più se sono proclamati in tarda serata, e non davanti alla stampa come da consuetudine istituzionale, ma dalla sua pagina Facebook personale secondo un copione mediatico di rapporto diretto premier-popolo suggerito dal suo consigliere per la comuni-cazione, l’ex “grande fratello” Rocco Casalino.

Il capo del governo ha inve-ce esaltato il ricorso al Dpcm, individuato come “lo strumento giuridico più idoneo”, perché “agile, flessibile e in grado di adattarsi alla rapida e spesso imprevedibile evoluzione del contagio” e perché garantisce “la più uniforme applicazione delle misure”. Quanto alle mi-sure eccezionali di ordine pub-blico, con la limitazione delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione, come la li-bertà di circolazione, di riunio-ne, di manifestazione ecc. (“un metodo di azione e di interven-to che mai è stato sperimentato prima”, ha ammesso), Conte si è giustificato con il principio di “massima precauzione ma contestualmente anche dell’a-deguatezza e della proporzio-nalità dell’intervento”, copren-dosi anche dietro “le indicazioni provenienti da comitato tecni-co-scientifico”.

Ha poi rivendicato di aver assicurato in tutte le decisioni prese “il massimo coinvolgi-mento delle Regioni, sia singo-larmente sia attraverso la Con-ferenza Stato-regioni”, nonché il coinvolgimento delle “parti sociali, sindacati e associazioni di categoria” per le misure “che incidevano sulla libertà d’im-presa e i diritti dei lavoratori”. Tutto questo per camuffare die-tro un velo di ipocrisia demago-gica ciò che invece è sotto gli occhi di tutti e che comincia ad

essere denunciato anche da al-cuni giornalisti e giuristi demo-cratici: l’emergenza Covid-19 è diventata un pretesto per speri-mentare forme di presidenziali-smo e di dittatura del governo, con la centralizzazione di fatto di tutti i poteri, governativi, par-lamentari, istituzionali e statali nelle mani del premier Conte. Un esperimento politico che rischia di dare i suoi frutti avve-lenati anche dopo la fine della pandemia. Una versione “soft” all’italiana di quello che con lo stesso pretesto il fascista Or-ban ha appena fatto con più aperta brutalità in Ungheria.

Gli interventi di Lega e Meloni

Nel dibattito alla Camera la Lega è intervenuta con il depu-tato lombardo Guido Guidesi, che ha attaccato il governo con una lacrimosa giaculatoria in cui i poveri sindaci e gover-natori del Nord (sottinteso del-la Lega) hanno fatto tutto da soli senza mai vedere in giro un rappresentante dello Stato; per poi scagliarsi contro chi vuol aiutare i lavoratori in nero, mentre “noi abbiamo artigiani e commercianti che probabil-mente non riusciranno più ad aprire” (incitamento alla guerra tra poveri e razzismo antime-ridionale); e per arrivare infine a quello che preme veramen-te alla Lega: un bel condono tombale generale approfittan-do dell’occasione coronavirus: “L’‘anno bianco’ fiscale possia-mo farlo o non possiamo farlo? Le imposte vengono cancellate alcune, sì o no? Gli scaglioni vengono rivisti sì o no? La flat tax si fa?”, ha chiesto infatti in tono perentorio l’ex sottosegre-tario alla presidenza del Consi-glio del governo Conte 1.

La stessa richiesta, propo-nendosi paladina di artigiani e commercianti prostrati dalla crisi, l’ha fatta anche la ducet-ta di Fratelli d’italia, Giorgia Meloni, invocando “libertà, libertà dai vincoli, dalla buro-crazia, dalle tasse, dall’Agenzia delle entrate, da tutto lo Stato guardone e vessatore che ti ha massacrato in questi anni”. Ma si è fatta strumentalmente paladina del ruolo insostituibi-le del parlamento, insistendo sulla richiesta di una “cabina di regia parlamentare” per arriva-re ad una collaborazione reale tra governo e opposizione, così come auspicato da Mattarella.

L’intervento di SalviniUn atteggiamento stru-

mentale riproposto anche da Salvini al Senato, quando ha concluso il suo intervento di-cendo a Conte: “Noi ci siamo, non come spettatori, perché gli italiani ci chiedono questo, ma come protagonisti. Se l’aiuto è richiesto, noi già ci siamo e an-cor più ci saremo. Non fate da

soli. Vi chiedo solo questo: non fate da soli”. Solo che in tut-to il discorso precedente non aveva fatto altro che sparare a zero su Conte e il governo, che non sta facendo il suo come “i medici stanno facendo il loro, i poliziotti stanno facendo il loro, sindaci e governatori stanno facendo il loro”, ergendosi a portavoce dei medici in prima linea senza le mascherine, le tute protettive e i respiratori che il governo non manda, dei governatori che chiedono aiuti che non arrivano, delle famiglie che non hanno i soldi per fare la spesa, degli agricoltori e pe-scatori in rovina, dei “sacerdoti che si stanno immolando nella bergamasca”, insomma dell’in-tera popolazione italiana che solo lui capisce ed è in grado di rappresentare. E guai a “chi si permette di criticare la sanità lombarda”, che prima di met-terla in discussione “si dovreb-be vergognare”.

L’aspirante duce d’Italia offre strumentalmente “colla-borazione” a Conte con una mano, ma con l’altra incoraggia le spinte secessioniste dei go-vernatori e sindaci leghisti del Nord, che fanno a scaricabari-le con il governo sugli errori e le responsabilità politiche che hanno aggravato la tragedia di intere province della Lombar-dia, come Bergamo, Brescia e Cremona.

Il suo obiettivo resta in realtà quello di far fuori Conte prima possibile, anche se per il mo-mento questa strada è preclusa dall’emergenza, eventualmen-te anche sostituendolo con un governo “di unità nazionale” guidato da Mario Draghi. Non a caso nel suo intervento ha ringraziato platealmente l’ex presidente della Bce per il suo discorso sul Financial Times in cui chiedeva ai governi euro-pei di fare “tutto quello che è necessario” per affrontare in-sieme la crisi economica pro-vocata dalla pandemia, anche ricorrendo massicciamente al debito: “Benvenuto presidente Draghi; ci serve l’aiuto di tutti e ci serve il suo aiuto”, ha detto significativamente Salvini.

Gli interventi di Renzi e Boschi

Questo avviso di futuro sfratto a Conte per far posto a Draghi non appena finita l’emergenza virus è condiviso anche da Renzi, che da tempo fa asse col caporione fascio-leghista per far fuori l’attuale premier e aprire a nuovi sce-nari politici insieme al “centro-destra”: “oggi Mario Draghi, si-gnor Presidente del Consiglio, le indica la strada quando dice che, certo, bisogna fare debi-to, ma bisogna farlo per dare innanzitutto liquidità a quel si-stema di piccole e medie im-prese che rischia di non riaprire più”, ha detto infatti il leader di

Italia Viva nel suo intervento. Dopo che il giorno prima, alla Camera, la sua fedelissima Ma-ria Elena Boschi aveva fatto un intervento pieno di critiche a Conte, sugli “errori che ci sono stati”, sulle sue dirette Facebo-ok, sul suo fare l’“uomo solo” al comando, sulle partite Iva e professionisti non tutelati ab-bastanza e così via; arrivando fino ad inviargli una velata mi-naccia auspicando una com-missione d’inchiesta parlamen-tare che “dovrà verificare che cosa è accaduto ai tempi del Coronavirus nei giorni che stia-mo vivendo”.

Scaricabarile, strumenta-lizzazioni in chiave elettorale, manovre politiche, avvertimenti mafiosi, minacce: si va avan-ti così tra il governo liberale e trasformista, e ora anche presi-denzialista di Giuseppe Conte, da una parte, e il “centro-de-stra” a trazione Salvini dall’al-tra. A cui si aggiunge anche Renzi, che gioca una sua parti-ta, come l’essersi messo a ca-valcare gli interessi della Con-findustria per riaprire tutte le attività produttive, a epidemia ancora in corso, possibilmente entro Pasqua.

Una situazione sociale esplosiva

Nel frattempo se la situa-zione sanitaria sembra dare qualche timido segno di mi-glioramento, quella sociale sta invece peggiorando di giorno in giorno. Cominciano ad emer-gere episodi di grave disagio sociale in strati di popolazione rimasti tagliati fuori da qualsi-asi fonte di reddito e anche di ammortizzatore sociale, tra cui milioni di lavoratori in nero ri-dotti da un giorno all’altro alla fame. Soprattutto al Sud, dove il tasso di occupazione è del 44%, contro il 66% del Nord, e si stima che i lavoratori in nero siano circa 4 milioni. Checché ne dica Salvini, che si indigna al solo sentir parlare di aiuti ai lavoratori in nero, ma poi non si vergogna a chiedere una bella “pace fiscale per tutti”, contribuenti onesti che non ce la fanno ed evasori, lavorato-ri autonomi ridotti sul lastrico e commercianti ricchi che le tasse possono anche pagarle, magari differite, il governo deve farsi carico anche di questi la-voratori e delle loro famiglie, costretti non per loro volontà a campare con l’economia som-mersa. Che vale in Italia circa il 22,9% del Pil, mentre nel Mez-zogiorno sale a poco meno del 30%.

Dopo le segnalazioni dei servizi segreti su possibili sommosse al Sud e dopo al-cuni episodi di incidenti nei supermercati, Conte è corso ai ripari annunciando l’antici-po da maggio ad aprile di 4,3 miliardi di stanziamenti dovuti ai Comuni per il secondo se-

mestre 2020, a cui aggiungere 400 milioni da distribuire alle famiglie più in difficoltà sotto forma di buoni pasto. Una mi-sura tampone bocciata manco a dirlo come un’“elemosina” dagli amministratori leghisti e di “centro-destra”, e apprezzata ma solo come primo intervento per due-tre settimane da altri sindaci, generalmente del Sud, come quelli di Palermo, Napo-li, Bari. Le richieste del Banco alimentare sono cresciute del 20% in Italia, del 40% in Cam-pania. A Palermo le richieste di aiuto al Banco sono già 2.500. Secondo il sindaco Orlando bi-sogna far presto perché prima della crisi le famiglie assistite erano 600, ora le richieste sono già salite a 11 mila. A Napoli De Magistris chiede il reddito di quarantena, senza tuttavia attivare la sua amministrazione nell’assistenza di chi è piomba-to nella miseria più nera.

Sale il tema del reddito di emergenza

Il governo ha allo studio al-cune ipotesi, tra le quali non ci sarebbe l’estensione del red-dito di cittadinanza, sospen-dendo temporaneamente le condizioni di reddito, di patri-monio, di accettazione di lavo-ro e le sanzioni, come chiesto da diverse parti, ma piuttosto un’estensione a colf, badanti e lavoratori saltuari e in nero, del sostegno di 600 euro già previ-sto per artigiani, commercian-ti e partite Iva: un cosiddetto Reddito di emergenza, o Rem.

Anche il Forum Disugua-glianze e Diversità facente capo all’ex ministro Fabrizio Barca e l’Asvis dell’ex ministro e presidente Istat Enrico Gio-vannini propongono al gover-no un Rem, più simile però ad un Rdc esteso e semplificato, insieme ad un Sea (sostegno di emergenza per il lavoro au-tonomo) separato da esso. La Federazione del sociale – Usb, nel denunciare che l’intervento di 400 milioni del governo è più che altro simbolico, “fidando sull’effetto annuncio piuttosto che sulla concretezza”, propo-ne un reddito di emergenza o di quarantena rendendo universa-le e senza condizioni il reddito di cittadinanza, accompagnato da un blocco del pagamento degli affitti e delle utenze e una tassa sui grandi patrimoni “per distribuire in fretta liquidità a milioni di persone oggi senza più strumenti di sopravviven-za”.

Ci sembra la proposta più giusta e condivisibile, aggiun-gendo che il reddito di emer-genza o quarantena dovrebbe essere almeno 1.200 euro per tutti coloro che non hanno red-dito né ammortizzatori sociali e dovrebbe durare finché dura l’emergenza coronavirus, in-cluso il tempo necessario alla ripresa effettiva del lavoro.

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12 il bolscevico / emergenza coronavirus N. 12 - 16 aprile 2020

Come tutti i politicanti borghesi

Speranza non Si autocritica in parlamento per gli errori del

governo nell’emergenza SanitariaInvocando “unità e coesione sociale” il leader di LeU assolve l’operato di “tutte le istituzioni, governo, Regioni e Comuni”. Renzi cavalca la richiesta del padronato di riaprire subito. La Lega copre le responsabilità dei suoi

governatori e fa quadrato sul federalismo. I fascisti di FdI si fingono paladini della sanità pubblica RaffoRzaRe e svILUppaRe IL seRvIzIo sanItaRIo nazIonaLe. aboLIRe

La sanItà pRIvata. nazIonaLIzzaRe Le azIende faRmaCeUtICheIl 1° aprile il ministro della Sa-

lute Roberto Speranza è anda-to in parlamento, prima alla Ca-mera e subito dopo al Senato, per un’informativa sulle misure del governo per fronteggiare l’e-mergenza sanitaria Covid-19. Il clima non era dei più tesi, vuoi per i vistosi vuoti fra i banchi do-vuti al diradamento forzato, vuoi per gli appelli di Mattarella alla “collaborazione” tra le forze po-litiche di maggioranza e opposi-zione, e vuoi anche per il profilo volutamente basso del ministro che lo ha tenuto fin qui abba-stanza al riparo dagli attacchi della destra, concentrati soprat-tutto su Conte.

Ad ogni buon conto Speran-za ha esordito facendo subito mostra di spirito collaborativo ed unitario, appellandosi al par-lamento come “il luogo in cui, in una limpida dialettica, dobbia-mo ricercare e trovare le ragio-ni di un’azione comune. Un cli-ma politico positivo ed unitario è la precondizione essenziale per tenere unito il Paese in un pas-saggio difficilissimo della nostra storia nazionale”. “Dal Dopo-guerra – ha aggiunto per evoca-re un clima da “siamo tutti nel-la stessa barca” - mai come in queste ore, non è il tempo delle divisioni. Come ha ricordato an-cora una volta nei giorni scorsi il nostro presidente della Repub-blica Sergio Mattarella, unità e coesione sociale sono indi-spensabili in queste condizioni”.

Il ministro ha poi informa-to che i numeri e le statistiche dell’epidemia “indicano che sia-mo sulla strada giusta” e che essa sta rallentando, ma ha anche aggiunto che “sarebbe

un errore imperdonabile” allen-tare troppo presto le misure di contenimento fin qui adottate, che restano pertanto confer-mate fino al 13 aprile, in attesa del parere del comitato tecnico-scientifico per una loro eventua-le modifica dopo quella data.

Dopodiché, per essere coe-rente con il suo proclamato im-pegno di “continuare a dire con chiarezza e nettezza la verità al Paese sull’emergenza sani-taria che stiamo vivendo”, non foss’altro che per imparare da-gli errori per il futuro, Speranza avrebbe dovuto entrare in meri-to alle misure prese, risponde-re alle critiche piovute da tutte le parti sulla loro intempestivi-tà e inadeguatezza a fronteg-giare la situazione e agli erro-ri fatti dal governo. Questioni che sono sotto gli occhi di tutti come la mancanza assoluta di un piano di prevenzione dell’e-pidemia, il non aver fatto scor-te di dispositivi di protezione e ventilatori polmonari quando già si sapeva dell’epidemia in Cina, esponendo così miglia-ia di medici e infermieri al vi-rus con decine di morti tra le loro file, l’inseguire sempre in ritardo l’espandersi del conta-gio con misure contraddittorie e confuse, la mancata chiusura dei focolai di Alzano e Nembro che hanno devastato la berga-masca e il relativo scaricaba-rile delle responsabilità con la Regione Lombardia, la terribile falcidie di anziani nelle case di riposo (Rsa), la chiusura in ri-tardo, solo parziale e solo dopo gli scioperi di autodifesa dei la-voratori, delle fabbriche non es-senziali alle filiere produttive

della sanità e dell’alimentare, e così via.

Invece, come tutti i politicanti borghesi, anche il leader di LeU si è sottratto alle sue respon-sabilità evitando accuratamen-te qualsiasi accenno critico e autocritico, anzi assolvendo in partenza “tutti i livelli istituzio-nali, dal Governo, alle Regioni, ai nostri sindaci”, nasconden-do così dietro un’assoluzio-ne plenaria non solo i suoi er-rori e quelli del governo di cui fa parte, ma anche le gravi re-sponsabilità dei governatori re-gionali e dei sindaci nella confu-sa e spesso sbagliata gestione dell’emergenza, in particolare nella Lombardia.

Tutta la sua “informativa” era improntata unicamente a sotto-lineare che il suo ministero e il governo Conte si sono mossi “per tempo” e “per primi” tra tut-ti i paesi già a fine gennaio con la proclamazione dello stato di emergenza e altre iniziative di allerta; dando a suo dire già a fine febbraio “chiare indicazioni” a Regioni e ospedali di aumen-tare posti letto e terapie inten-sive, rispettivamente triplicati e aumentati del 75%; adottando “progressivamente e tempesti-vamente misure proporzionali al contagio” e adottando “ulte-riori severissime misure con l’e-splosione dei nuovi focolai, che oggi vengono replicate in molti paesi del mondo”, ecc.

La memoria corta sui tagli alla sanità

Il grave ritardo nell’approv-vigionamento dei dispositivi di

protezione, tutt’ora mancanti, Speranza lo attribuisce unica-mente al “mercato già saturo da fine 2019” e alle “misure prote-zionistiche adottate da più na-zioni”, senza spiegare perché ci si è ridotti a cercarli sul mercato internazionale solo a partire da marzo, a pandemia ormai dila-gante, quando ci si sarebbe po-tuti muovere fin da gennaio. E per quanto riguarda le richieste provenienti da tutto il compar-to sanitario di un uso di massa dei tamponi, il ministro per ora glissa parlando di un “uso intel-ligente” (tradotto, ancora limita-to e selettivo) di essi.

Nel finale ha strappato facili applausi traendo da questa vi-cenda la lezione di quanto sia fondamentale “tornare a svilup-pare in parallelo con gli ospeda-li, che sono e restano essenzia-li, la rete dei servizi territoriali, tutti i servizi di prevenzione ed una rinnovata integrazione tra politiche sanitarie e politiche so-ciali”. E di quanto “il nostro Ser-vizio sanitario universale” sia il “patrimonio più prezioso che possa esserci” e sul quale “dob-biamo investire con tutta la for-za che abbiamo”. Peccato che non si sia ricordato anche di fare autocritica, a nome di tut-ta la “sinistra” borghese rinne-gata, riformista e liberale, per aver partecipato insieme alla destra berlusconiana e fascio-leghista allo smantellamento e alla privatizzazione della sani-tà pubblica e ridurla nello stato disastroso in cui la pandemia di Coronavirus l’ha trovata.

Dita negli occhi a Speranza e ConteQuasi in risposta al clima di

“unità nazionale” raccoman-dato da Mattarella e richiama-to da Speranza, gli interventi in entrambe le Camere non han-no registrato attacchi particolar-mente duri al ministro e al go-verno da parte dei partiti del “centro-destra”, che tra l’altro non schieravano i loro capofila Salvini e Meloni, bensì perso-naggi seppur noti, ma di secon-da fila, come la leghista mem-bro della commissione Sanità del Senato, Sonia Fregolent, e il vicepresidente della Came-ra di FdI, Fabio Rampelli. Pa-radossalmente l’intervento più insidioso per il governo è ve-nuto dall’interno della sua stes-sa maggioranza, cioè da Ren-zi, il quale ha impostato il suo intervento su due richieste, en-trambe equivalenti ad altrettan-te ditate negli occhi a Speranza e Conte, anche se cadute so-stanzialmente nel vuoto: quella di una commissione parlamen-tare d’inchiesta sugli errori fat-ti nella gestione dell’emergenza Covid-19 (“questo Parlamento dovrà avere un’occasione nel-la quale riflettere su ciò che non ha funzionato, dalle mascheri-ne ai tamponi, perché se non si fa una Commissione parlamen-tare d’inchiesta quando ci sono

12.000 morti allora non la si fa più”, ha detto); e quella della ri-apertura delle fabbriche e delle attività commerciali, continuan-do così a farsi interprete delle pressioni di Confindustria per cominciare a riaprire già dopo il 13 aprile.

Faccia tosta e memoria corta della

LegaNon che la leghista Fregolent

abbia rinunciato ad attaccare il governo, soprattutto nella per-sona di Conte, ma più che altro il suo intervento era concentrato nell’esaltare la “preveggenza” della Lega, che aveva indovina-to tutto fin dall’inizio (“avevamo chiesto la chiusura dei voli diret-ti e indiretti dalla Cina... aveva-mo chiesto l’applicazione della quarantena; avevamo sottoli-neato che il pericolo era rappre-sentato dagli asintomatici; ave-vamo chiesto l’applicazione del principio di massima precauzio-ne”, ha sciorinato); e nell’attri-buire al solo governo responsa-bilità che sarebbero da spartire quantomeno equamente con i governatori di Regione, a co-minciare dal leghista Fontana: come per gli operatori sanitari “fatti lavorare senza Dpi”, come per i morti nelle Rsa “abbando-nati a loro stessi” (e da chi, se non dalla Regione Lombardia innanzi tutto?), e come addirit-tura per aver “destrutturato e impoverito il Servizio sanitario nazionale”.

Accusa quest’ultima piutto-sto surreale, visto che la Lega è il partito più vecchio del par-lamento e negli ultimi venti anni è stato al governo più di chiun-que altro. E che il suo famoso “modello lombardo” pubblico-privato di sanità ha dimostrato proprio in questa emergenza un disastroso fallimento. Eppure la senatrice salviniana ha avuto anche la faccia tosta di chiede-re che lo Stato “deve assicurarsi la responsabilità di controllare, di porre obiettivi e di riorganiz-zare la sanità di tutto il Paese, superando il drammatico diva-rio tra Nord e Sud”. Divario che guarda caso fino a ieri la Lega si proponeva di aumentare con l’autonomia regionale differen-ziata! Obiettivo a cui del resto non ha affatto rinunciato, visto che la senatrice ha non soltanto esaltato a spada tratta le Regio-ni “che hanno dovuto fare tutto da sole”, ma ha anche diffidato chiunque a tornare indietro dal modello federalista “per torna-re ad una posizione centralista, vanificando tutto il lavoro fatto in questi anni”.

Proposte demagogiche e

rivendicazioni vereQuanto ai rappresentanti di

FdI, i loro interventi conferma-vano la linea di critica a Con-

te e agli errori del governo, ma anche di “collaborazione parla-mentare” in nome dell’emergen-za nazionale adottata di recente dalla Meloni: “Noi collaboriamo ma voi ammettete i vostri erro-ri”, ha detto infatti Rampelli ri-volto a Speranza e al gover-no, al termine di un intervento in cui peraltro ha avanzato tutta una serie di proposte per il raf-forzamento della sanità pubbli-ca. Come il rafforzamento della medicina d’igiene, con il raffor-zamento dei presidi sanitari sul territorio (quelli che sono stati distrutti in Lombardia, come ac-cusano i medici lombardi in una lettera al governatore Fontana e all’assessore Gallera, ndr), il ripristino dei reparti di medici-na infettiva, adeguate forniture di Dpi al personale, e fare mi-lioni di test alla popolazione. Il suo collega intervenuto alla Ca-mera, Zaffini, ha anche puntato il dito sullo squilibrio sanitario Nord-Sud, e si è detto pronto a rivedere il Titolo V della Costitu-zione prevedendo anche “nuo-ve pesature nella distribuzio-ne di competenze tra Regioni e Stato”. Tutte proposte condivisi-bili, se non puzzassero anche di opportunismo demagogico lontano un miglio, dato che pro-vengono da un partito che go-verna tutt’ora insieme alla Lega in molte Regioni e Comuni del Nord e che nel Sud è uno dei pi-lastri del sistema di potere collu-so con le mafie.

Insomma, ora pare che tut-ti i politicanti della destra e del-la “sinistra” borghese siano sta-ti fulminati sulla via di Damasco nella difesa del Servizio sani-tario pubblico, anche perché a invocare come prima tagli e “razionalizzazioni” oggi c’è da essere lapidati. Ma non c’è da farsi illusioni. Appena passata la bufera tutte le promesse di ora finiranno in un cassetto, perché il sistema capitalista, fondato sulla legge del massimo profitto e sulla supremazia del mercato è strutturalmente incompatibile con la difesa della salute delle masse al primo posto.

Solo con la lotta di classe, che non deve arrestarsi nean-che ora perché non è vero che “siamo tutti nella stessa barca”, il proletariato e le masse popo-lari possono far valere i loro in-teressi immediati e a più lungo termine. Si tratta, come ha indi-cato il compagno Giovanni Scu-deri nel suo Editoriale Coronavi-rus e l’Italia del futuro, di lottare “per il rafforzamento e lo svilup-po del sistema sanitario nazio-nale e l’abolizione della sanità privata; per l’abrogazione del ti-tolo V della Costituzione e la re-lativa autonomia differenziata delle regioni; per l’abrogazione dell’articolo 81 della Costituzio-ne che impone il pareggio di bi-lancio, della legge Fornero, del Jobs Act e dei decreti sicurez-za; per l’uscita dell’Italia dall’U-nione europea imperialista, considerando anche che non ha fatto nulla fin qui per aiutarci nella lotta contro l coronavirus.”

Leggete gli altri articoli sul sito www.pmli.it

Per assoluta mancanza di spazio su questo numero de “Il Bolscevico”, siamo costretti a pub-blicare molti articoli e corrispondenze locali sul sito. Pertanto rimandiamo i lettori ai seguenti link:

●● “Per evitare il rischio di derive autoritarie permanenti”. Il Comitato Rodotà chie-de “l’immediato ritorno alla normalità costituzionale”

●● Collassa il portale INPS per le troppe domande di sussidio agli autonomi●● Fermare la produzione di F-35 e armi. Lo chiedono Pax Christi, Comunità di Sant’Egidio, alcuni vescovi di Piemonte e Lombardia, Sbilanciamoci, Rete della Pace e Rete Italiana per il Disarmo

●● Sanificare i ghetti dei migranti agricoli e regolarizzare il loro lavoro. Lettera ap-pello della Flai-Cgil e dell’associazione Terra Onlus

●● Per i lavoratori dei paesi colpiti dall’epidemia del coronavirus la Ue si acconten-terebbe di racimolare solo 100 miliardi per la cassa integrazione. Il meccanismo Sure è una misura temporanea, selettiva e non universalista che aggrava il de-bito pubblico

●● Il governo aiuti chi non può pagare l’affitto della casa. Appello dell’Unione Inqui-lini e di altri. L’Usb chiede il blocco degli affitti

●● A Salerno carabinieri pestano un uomo fermato●● Aumentano la povertà e le persone che hanno bisogno di cibo. Lo denunciano la Caritas e la Coldiretti

●● Le periferie di Napoli abbandonate da De Magistris e nel mirino della camorra●● L’amministrazione biellese fa propaganda invece di contrastare gli effetti dell’e-pidemia sui lavoratori e sulla popolazione

●● Il disastro Covid in Italia e in Toscana e la lotta verso il Primo Maggio (Documen-to unitario)

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N. 12 - 16 aprile 2020 emergenza coronavirus / il bolscevico 13Ecco dove porta la privatizzazione della Sanità

StragE nEllE rESidEnzE SanitariE pEr gli anziani

Le agghiaccianti immagini delle decine di povere salme accatastate una accanto all’al-tra nella camera mortuaria del Pio Albergo Trivulzio di Milano (oltre milletrecento anziani rico-verati, il polo geriatrico più im-portante d’Italia) sono la spie-tata testimonianza della strage che si sta consumando in que-ste strutture trasformatesi nelle ultime settimane da presidi di cura e assistenza dei nostri an-ziani in lazzaretti del contagio di Covid-19 e in mortali trappole per degenti e operatori sanitari.

Eppure si sapeva quanto il Covid-19 fosse potenzialmente fatale per coloro che si trovano in età avanzata. Lo documenta l’Istituto superiore di Sanità che al 30 marzo fornisce il quadro dei deceduti attribuiti al Coro-navirus stimandoli al 69,2% di età media 78 anni. Il documen-to precisa anche che su una letalità complessiva del 10,6% (ovviamente sui dati certificati e quindi assolutamente parziali vista la scarsità di tamponi fat-ti), nella fascia dai 70 ai 79 anni l’indice di mortalità si impenna al 19,8%, tra gli 80 e gli 89 sale addirittura al 28,1%.

In questo quadro già dram-matico di per sé, l’approssi-mazione e la carenza di strut-ture sanitarie e dei dispositivi di protezione, unita alla ricerca del profitto che muove la sa-nità privata al pari di qualsiasi altra impresa capitalistica, ha lasciato gli anziani delle RSA di tutta Italia in balia del contagio, insieme a parenti e amici che, ignari, varcavano le soglia delle strutture sociosanitarie pubbli-che, ma soprattutto private.

Le notizie drammatiche tra-pelate dalle case di riposo han-no spinto familiari e parenti del-le centinaia di vittime a puntare il dito sulla mancata adozione di tempestive misure di conte-nimento, sull’uso scorretto del-le strutture stesse e sulla scar-sa sanificazione dei locali.

il questionario dell’iSS sulla

residenze Sanitarie assitenziali

L’Iss assieme al Garante delle persone private della li-bertà, ha curato un dossier sulla diffusione del virus in queste strutture. In sostanza le residenze socioassistenziali contano in Italia 340.593 posti letto, età media 85 anni, il 60% con l’Alzheimer. Al questiona-rio hanno risposto appena 236 strutture delle 1.634 contatta-te, su un totale di 2.556 RSA pubbliche o convenzionate che fanno parte dell’Osservatorio Demenze dell’Iss.

Su questo campione, a dire il vero piccolo (poco più del 9%), i numeri più significativi dicono che 204 RSA (pari all’86%) han-no avuto difficoltà nel reperi-mento di Dispositivi di protezio-ne individuale; 28 (12%) hanno avuto difficoltà nel trasferire i residenti positivi negli ospedali e 63 (27%) hanno avuto difficol-tà nell’isolamento dei residenti positivi.

Infine il dato più falso: su 1.845 decessi, solo 57 sareb-bero stati catalogati Covid-19 positivi e 666 con sintomi si-

mil-influenzali (39,2%). Come avranno potuto eseguire i tam-poni se quasi 9 strutture su 10 affermano addirittura di essere stati privi persino dei più banali dispositivi di sicurezza?

È evidente che ci troviamo di fronte a un dato anch’esso par-ziale e bugiardo, che si lega a doppio filo anche con l’ipotesi più generale dei contagi che ad esempio a Bergamo, secondo un’inchiesta dell’Eco di Berga-mo, stimano in 4.500 i morti in città nel solo mese di marzo, più del doppio del dato ufficiale (2.060), poiché le persone de-cedute in casa o proprio nelle residenze per anziani con sin-tomi riconducibili al Coronavi-rus, non rientrano nel computo delle autorità predisposte alla statistica.

È evidente che solo dopo aver fatto il tampone a tutti potremmo sapere quanti sono stati i contagiati e qual è l’ef-fettiva mortalità del Covid-19; e tuttavia le morti “domestiche” e quelle nelle RSA sono due delle principali “zone d’ombra” che non permettono di fare chia-rezza.

la strage degli anziani non risparmia

nessuna regioneQuesta che è stata definita

una vera e propria “strage degli innocenti” non è una preroga-tiva esclusiva delle regioni più colpite dal Covid-19, ma nei fatti si riscontra in tutta Italia.

“In Lombardia abbiamo cir-ca 60mila posti di RSA accredi-tate e credo che alla fine di que-sta vicenda in difetto ne avremo persi almeno il 10%, ma se non vengono prese delle misure di-verse, rischiamo di arrivare an-che al 13-15%”; questo è il gri-do di allarme di Valeria Negrini, presidentessa di Confcoopera-tive – Federsolidarietà Lombar-dia e vicepresidente nazionale con delega al welfare.

Addirittura, alla fine di feb-braio, l’Associazione delle case di riposo del Bergamasco (Acrb) chiese all’azienda sani-taria di Bergamo di chiudere le residenze sanitarie assistenzia-li di città e provincia. Eppure, alla richiesta dell’associazione la Regione Lombardia oppose un netto rifiuto: le case di riposo dovevano restare aperte.

Solo oltre un settimana dopo e a contagio ormai sfuggito, sa-rebbe arrivato il dietrofront, con una circolare che invitava i ver-tici delle RSA a valutare la ne-cessità di sbarrare gli accessi a chiunque provenisse dall’ester-no. Nel frattempo però, il virus aveva già contagiato gli anziani e, al di là dei tamponi non fatti, è un dato incontrovertibile che nel solo mese di marzo si siano contati oltre 820 decessi tra gli ospiti delle residenze nella sola provincia di Bergamo, circa il 20% del totale.

La Regione Lombardia è re-sponsabile diretta più di ogni altra poiché, per liberare posti in terapia sub-intensiva, con la sciagurata delibera XI-2906 che ordinava alle Ats di fare una ricognizione dei posti letto di-sponibili per le cure extra-ospe-daliere, individuando le RSA dotate di strutture autonome ed “adeguate” per l’assistenza

a bassa intensità dei contagiati, ha scaricato i malati in eccesso negli ospedali a strutture che ospitano anziani con patologie croniche e a massimo rischio contagio.

Vergognoso l’insabbiamento al Pio Albergo Trivulzio di Mila-no, che per tutto il mese di mar-zo ha occultato la diffusione del Covid-19 nei suoi reparti, dan-do modo al virus di contagiare numerosi nuovi pazienti e ope-ratori sanitari. A dirigerlo Giu-seppe Calicchio, scelto dalla Regione Lombardia di concerto col sindaco Sala e in carica dal primo gennaio 2019, forte di stretti legami con l’assessore regionale alle Politiche sociali, Stefano Bolognini, cerchia ri-stretta di Salvini, al cui fianco si trovava anche l’estate scor-sa al Papeete di Milano Marit-tima. Poco è cambiato rispetto al passato, se si considera che Tangentopoli partì nel 1993 proprio dal Trivulzio, quando il craxiano Mario Chiesa gettò nel wc le banconote di una tangen-te ricevuta.

Anche la situazione delle RSA in Piemonte è drammatica e si contano decine di morti in ogni provincia. Si susseguono le aperture di fascicoli d’inchie-sta della Procura di Torino e gli interventi dei NAS. Dopo il tar-divo blocco degli ingressi, sono state anche qui le segnalazioni dei familiari dei degenti, che la-mentavano di non ricevere ade-guate risposte dalla RSA, a sol-levare il caso, già segnalato dai sindacati che l’avevano definito “una bomba a orologeria”, poi scoppiata nel silenzio omertoso dei responsabili sanitari delle strutture come la San Giusep-pe, privata ma accreditata con il Servizio sanitario nazionale. Tutte le indagini finora accer-tate convergono sul fatto che i contagi sarebbero arrivati tutti dall’ospedale di Chivasso, fo-colaio del territorio, soprattutto per la carenza di dispositivi di difesa personale degli operato-ri che facevano la spola e per i pazienti in via di guarigione che vi venivano trasferiti.

In Sardegna ospiti e perso-

nale positivi al Covid-19 di tre grosse strutture in provincia di Sassari, presentano tassi per-centuali di contagiati, in rap-porto alla popolazione, vicini a quelli medi delle regioni del centro-nord con il 65% dei con-tagiati sardi in quest’area geo-grafica. Molte le critiche mosse alla macchina organizzativa al-lestita dalla regione Sardegna e dalla protezione civile, sempre in termini di prevenzione e di mancato isolamento dei pa-zienti contagiati; accuse che hanno indotto alle dimissioni l’intera dirigenza dell’Azienda ospedaliera di Sassari dopo la decisione della Regione di affi-dare la guida a un commissario straordinario.

A Casa Serena, ad esempio, dal primo caso accertato il 17 marzo, i tamponi a ospiti e per-sonale sono stati fatti soltanto il 27. Un ritardo criminale che ha causato, in assenza di misure precedenti, il contagio di 63 an-ziani e di 17 tra il personale. Per di più il sindaco di Sassari ha consigliato agli ospiti il rientro nelle proprie case, scaricando così sulle famiglie sia il pro-blema rischio Covid, sia quello dell’assistenza stessa.

In Toscana, “fiore all’occhiel-lo” della sanità federalista ita-liana, sono oltre 800 gli ospiti trovati positivi in pochi giorni dopo l’incremento dei tamponi eseguiti nelle case di riposo, ai quali si aggiungono circa 160 operatori positivi. Dal 29 mar-zo a oggi quindi, una media di oltre 160 casi giornalieri solo all’interno di queste strutture, ai quali andrebbero aggiun-ti i decessi e contagi dei mesi precedenti non registrati come conseguenza diretta o aggiun-tiva ad altre patologie.

Questo screening di mas-sa nelle RSA arriva quindi con almeno due settimane di cri-minale ritardo, così come in colpevole ritardo il governatore Rossi ha emanato un’ordinanza chiesta dai responsabili del set-tore, sindaci e personale sani-tario da settimane per dividere le RSA tra “Covid” e “no Covid” isolando i positivi e ricoverando

i malati “instabili”. La strage di anziani si allarga

al centro Italia e al Mezzogior-no. Gravi problemi anche nelle Marche, in EmiliaùRomagna, in Umbria e nel Lazio, e si molti-plicano i casi di contagi tra gli ospiti e nel personale nelle RSA del Mezzogiorno, nonostante il Sud sia un passo indietro ri-spetto alle altre regioni del Pa-ese. Un rischio potenziale per centinaia di migliaia di anziani ospiti delle strutture in larghis-sima parte private, delle quali i numerosi casi già accertati di Bari, Lecce, Catanzaro – per citarne alcuni – fanno capire che anche stavolta governo e regioni stanno agendo in ritar-do. Un immobilismo colpevole e stragista che ha innanzitutto nei governatori regionali i suoi primi responsabili.

il profitto privato e il disimpegno dello Stato sono le cause

di questa strage nella strage

Insomma, muoiono a centi-naia, in certe strutture non c’è nemmeno posto dove mettere le bare e i cadaveri restano per ore nei loro letti, vicino ai vivi che non ricevono né farma-ci né l’assistenza dovuta. Gli anziani non autosufficienti di-ventano le vittime di una stra-ge silenziosa. Non sappiamo nemmeno quanti siano, visto che i dati della Protezione ci-vile non indicano i decessi av-venuti nelle RSA e soprattutto perché moltissime di quelle morti, in assenza di tampone, non sono nemmeno attribuite al Covid-19. Quando l’epide-mia è partita però, era stato ampiamente detto dai sanitari competenti che quello che sta-va succedendo negli ospedali sarebbe stato niente rispetto a ciò che avrebbe potuto verifi-carsi nelle case di riposo.

Ciononostante, i pesanti ta-gli alla Sanità, la soppressione di oltre 200 ospedali pubblici e la carenza di strutture han-

no fatto sì che le RSA fossero individuate come luoghi dove dirottare i malati accertati di Covid-19 che non presentava-no più sintomi pur rimanendo potenzialmente contagiosi. La conseguenza è stata l’aumento dei profitti da parte delle RSA private ma anche la diffusione incontrollata del virus all’inter-no delle strutture stesse.

Non va dimenticato infatti che le RSA sono in larga pre-valenza nelle mani dei privati, complice la carenza assisten-ziale statale. Preoccupate di salvaguardare più la propria immagine che la salute dei de-genti, molte di esse hanno na-scosto o imbellettato la verità e ritardato la comunicazione dei casi sospetti, hanno limitato l’u-tilizzo di mascherine, non han-no chiuso tempestivamente gli accessi agli estranei e parenti. Un atteggiamento criminale che ha finito per condannarle a diventare incontrollati focolai di contagio e di morte.

Del resto gli anziani, quan-do hanno concluso la loro vita produttiva, vengono conside-rati dal sistema capitalistico solo un peso e un costo da ridurre al minimo. E quindi sca-ricati alla sanità privata. Invece di istituire un adeguato servizio sociale pubblico e gratuito di assistenza domiciliare socio-sanitaria e riabilitativa per gli anziani e i disabili secondo le necessità e con personale di-pendente dalle ASL, oltre al creare, con il concorso delle regioni e dei comuni, nuove re-sidenze e centri diurni pubblici e gratuiti per disabili e anziani anche non autosufficienti fino a coprire tutte le richieste, dotate di servizio di trasporto domici-liare. Strutture completamente pubbliche che operano anche nei periodi estivi, con spazi at-trezzati per le varie patologie degli anziani e la presenza di personale di sostegno, medici e personale infermieristico spe-cializzato in malattie gravi come l’Alzheimer, patologia comune in quest’ambito, e soprattutto con il coinvolgimento continuo e permanente dei familiari dei “ricoverati” nella gestione di queste strutture.

Ogni comune o territorio, dovrebbe inoltre farsi carico di realizzare comunità-alloggio con personale di sostegno per anziani e disabili, in particolare per i non autosufficienti, dove ve ne sia richiesta.

Un miraggio nel capitali-smo, un’alternativa da attuare nel socialismo, la società con cui dovrà fare i conti l’Italia del futuro perché come scrive il compagno Giovanni Scuderi nel suo Editoriale: “L’Italia fu-tura che abbiamo in mente noi marxisti-leninisti vede invece il dominio del proletariato e del socialismo, la cancellazione di ogni tipo di disuguaglianza e l’inizio della soppressione delle classi che avverrà nel comuni-smo, la fine della disoccupazio-ne e della povertà, il lavoro per tutti, il benessere del popolo, piena libertà e democrazia per il popolo. In sostanza una nuo-va economia e un nuovo Stato modellati secondo gli interessi del proletariato e delle masse lavoratrici e in grado di affronta-re qualsiasi emergenza, a parti-re da quella sanitaria.”

L’agghiacciante immagine delle salme accatastate una accanto all’altra al Pio Albergo Trivulzio di Milano, il polo geriatrico più importante d’Italia

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14 il bolscevico / emergenza coronavirus N. 12 - 16 aprile 2020

In tutta Italia, dalle fabbriche ai magazzini della logistica

GlI operaI protestano denuncIando la mancanza dI sIcurezza11 giorni di sciopero alla Lucchini di Bergamo. La discrezionalità dei prefetti permette

a migliaia di aziende non essenziali di rimanere apertenon siamo tutti suLLa stessa Barca

Dopo il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DCPM) del 25 marzo l’elenco delle azien-de che possono lavorare, no-nostante le restrizioni legate al contrasto del coronavirus, è stato rivisto. Sotto la pressione degli scioperi spontanei Cgil-Cisl-Uil sono state costrette a chiedere un incontro al governo per re-stringere la lista ma, nonostan-te l’enfasi di Landini e degli altri segretari confederali, si è trattato di un ridicolo ridimensionamento che ha interessato solo 200mila nuovi lavoratori. Si calcola che per mandare avanti le attività ve-ramente necessarie occorrereb-bero 4,5 milioni di lavoratori, la metà rispetto ai 9 milioni tutt’ora in attività.

Chi è costretto a lavorare do-vrebbe essere messo in condizio-ne di rispettare misure di sicurez-za per salvaguardare la propria salute e quella degli altri. Al ri-guardo c’è un protocollo apposi-to firmato dai sindacati confede-rali utilizzato da molti industriali come foglia di fico per continua-re la produzione. Ma nemmeno questo protocollo viene messo in pratica, essenzialmente per due motivi. Il primo è che per certi lavori risulta assai difficile mante-nere le distanze e i dispositivi di protezione individuali (dpi) sono difficili da trovare, tanto che scar-seggiano persino tra chi, come il personale sanitario, si trova a stretto contatto con i contagiati.

Il secondo motivo, ma non per importanza, è che i padroni non si fanno tanti scrupoli nel met-tere a rischio la salute dei propri dipendenti pur di salvaguarda-re i loro profitti. Questo avviene sopratutto nelle piccole aziende, in quelle non sindacalizzate e tra i precari. Dove non esiste alcuna

forma organizzata e tra chi non ha la certezza del posto di lavo-ro il ricatto padronale si fa molto forte, costringendo il lavoratore ad accettare condizioni che non rispettano nessun protocollo e regola di sicurezza.

Poi ci sono anche grandi mul-tinazionali che non le rispettano: è il caso si Amazon, che in Italia ha migliaia di addetti costretti a lavorare a ritmo serrato e con scarsità di dpi. Il gigante america-no del commercio elettronico sta sfruttando al massimo la situazio-ne visto che con la maggior par-te dei negozi chiusi le consegne a domicilio sono aumentate. Le proteste dei lavoratori sono par-tite dai maggiori centri di distribu-zione, come a Piacenza e quello nei pressi di Roma, poi sono dila-gate in tutta Italia.

Lunedì 30 aprile è stata la volta del centro Amazon di Ca-lenzano, in provincia di Firenze. “Ogni giorno circa 10mila pac-chi (a stragrande maggioranza si tratterebbe di beni non essenzia-li) lasciano il magazzino Amazon di Calenzano per raggiungere le case dei cittadini di tutta la Cit-tà metropolitana”, si legge nel comunicato della CGIL Toscana. Dei 300 lavoratori, tra i diretti e i corrieri delle ditte in appalto, al-meno la metà ha scioperato per chiedere maggiore sicurezza e la cessazione delle consegne non indispensabili.

Per rimanere in aziende con centinaia di addetti, da segnalare la vicenda della Dayco, tre sedi in Abruzzo e circa cinquecento lavoratori che ogni giorno sono attivi nella produzione di cinghie di trasmissione per automobili. I lavoratori raccontano come la loro fabbrica non produca nul-la di essenziale: “Le cinghie si

cambiano ogni 100mila chilome-tri, in alcuni casi addirittura ogni 250mila, i magazzini sono pieni e di macchine in circolazione ce ne sono ben poche. Perché dobbia-mo venire tutti i giorni?”.

Sulle condizioni di sicurezza i lavoratori denunciano: “Ci han-no dato una mascherina di stoffa con degli elastici che nemmeno si reggono sulle orecchie. Poi abbiamo un paio di guanti di lat-tice al giorno che non possiamo cambiare perché ci hanno detto di averne pochi: se dobbiamo andare in bagno non possiamo nemmeno toglierli perché poi sa-rebbero inutilizzabili. Poi, per ogni capannone, hanno messo appe-na un dispenser di disinfettante da un litro”.

Per rimanere in Abruzzo, a Te-ramo la prefettura ha diffuso i dati delle fabbriche ancora aperte sul territorio provinciale: su 65 azien-de, 57 sono autorizzate a opera-re, per un totale di 1.630 lavora-tori coinvolti. Se ci sono aziende che hanno riattivato solo le linee di produzione legate alla gestione dell’emergenza, fermando gli altri lavoratori con la cassa integra-zione, “molte altre, al contrario, stanno approfittando di questa opportunità per tenere attivi inte-ri stabilimenti industriali in cui le produzioni per l’emergenza sono residuali”, denunciano Fiom e Fim.

In Lombardia undici giorni di sciopero consecutivi per non ri-aprire gli stabilimenti siderurgici della Lucchini di Cividate Ca-muno e Lovere ed evitare così il rischio di contagio da Coronavi-rus. Lo hanno proclamato Fiom Cgil, Fim Cisl, e Uilm Uil dell’alto Sebino, in provincia di Bergamo, una delle zone più colpite d’Italia dalla pandemia. Per “contrastare l’atteggiamento cieco della Luc-

chini - spiegano i sindacati -, che intende riaprire la produzione, nonostante non sia stato concor-dato nulla in termini di preven-zione e di tutela della salute dei lavoratori. Ci troviamo costretti a proclamare 11 giorni di sciopero - concludono Fiom, Fim e Uilm -, dal 3 al 13 aprile compresi, cioè fino al perdurare del decreto mini-steriale attualmente in vigore, per tutelare la salute di tutti i lavorato-ri Lucchini e dei loro cari”.

Altre denunce sulla mancanza di sicurezza e richieste di fermare la produzione arrivano dai lavora-tori della Nuovo Pignone di Mas-sa e Carrara. L’azienda fa parte del gruppo americano produttore di tecnologia per lo sfruttamento energetico Baker Hughes e nel suo stabilimento apuano si sono già verificati 2 casi positivi al Co-vid-19 tra i lavoratori. Gli scioperi avevano costretto la direzione a fermare la produzione per sanifi-care gli ambienti e dotarsi dei dpi.

In una lettera inviata a un quo-tidiano locale i lavoratori chiedo-no “l’intervento di tutte le OO.SS. e di tutti gli organi preposti in ma-teria affinché verifichino le condi-zioni in cui ci troviamo costretti a lavorare, dal momento che anco-ra oggi in molte lavorazioni non sussistono le condizioni di sicu-rezza previste dai dispositivi go-vernativi in materia” e “il blocco di tutte le attività con codici ateco diversi da quelli contenuti nel de-creto, permettendo unicamente le lavorazioni afferenti ai prodotti ritenuti essenziali”, come hanno già richiesto i sindacati.

La vicenda della Nuovo Pigno-ne, come tante altre, evidenzia come i decreti governativi sono fatti in maniera tale da essere aggirati facilmente. Ci riferia-mo in particolare alla norma che

consente alle aziende che non sono nella lista delle produzioni considerate “essenziali” di re-stare aperte, purché ne facciano domanda al prefetto, affermando che le loro produzioni sono fun-zionali alla filiera dei beni essen-ziali. A quel punto il prefetto può sospendere le produzioni, ma se non interviene si va avanti.

Per questo sono tantissime le proteste che si levano dagli ope-rai in tutta Italia. Magari in picco-le aziende, ignorate del tutto dai mezzi d’informazione. Basti pen-sare che le richieste ai prefetti per continuare a lavorare sono state decine di migliaia in Lombardia, la regione più colpita e con più morti, e anche la più industrializ-zata, 12mila in Veneto, 10mila in Emilia-Romagna, 7mila in Tosca-na, 2500 in una regione piccola come il Friuli-Venezia Giulia.

Numerose richieste di deroga riguardano la logistica. A Pia-cenza (zona ad alta mortalità) da lunedì 6 aprile un po’ alla volta i lavoratori Ikea sono stati chiamati a riprendere l’attività. Il sindacato USB a tutela della salute di questi lavoratori e dell’intera comunità ha indetto lo stato di agitazione permanente e “invita le autorità competenti a vietare la ripresa del lavoro perché le poltrone, i divani e le librerie non sono beni essen-ziali”. Proteste e scioperi anche nel centro smistamento GLS di Verona dove 150 lavoratori si af-follano nel magazzino senza po-ter rispettare le distanze.

Continuano gli scioperi dei lavoratori del commercio. Molte catene della grande distribuzione puntano a far cassa, approfittan-do delle chiusure di molti mercati di strada e piccoli alimentari che hanno consolidato il loro mo-nopolio, chiedono addirittura l’estensione degli orari e delle giornate di apertura. Domenica 5 aprile sciopero in Liguria e in To-scana di tutti gli iper e supermer-cati indetto dalla Filcams-Cgil. Per chiedere lo stop alle aperture festive e all’orario selvaggio e per una regolamentazione più rigida degli accessi che salvaguardi i la-voratori e gli stessi consumatori.

Questo è solo un quadro par-ziale di tutte le lotte e le denunce messe in atto dagli operai e dai lavoratori italiani perché le noti-zie al riguardo, come già detto, vengono date con il contagoc-ce. Però è sufficiente a far capire come la lotta di classe continua e deve continuare. Non “siamo tutti sulla stessa barca” come predicano insistentemente Conte e i partiti parlamentari, ai quali si è aggiunto ora il papa. L’emergen-za sanitaria non ha annullato le disuguaglianze sociali e territoria-li e la classe dominante borghe-se e il capitalismo cercheranno di scaricare la conseguente crisi economica sui lavoratori e sulle masse popolari, che dovranno reagire senza cedere alla richie-sta di collaborazione di classe in nome di una ipocrita e inesistente “unità nazionale”.

Golpe In unGherIa

orban si prende i pieni poteriL’ue e il Ppe non lo cacciano

La linea che divide le neces-sarie misure mediche e sociali dall’inaccettabile limitazione delle libertà democratiche borghesi e costituzionali, nella lotta contro il coronavirus, è molto sottile e per i governi borghesi il pretesto dell’emergenza sanitaria è stata una occasione che in diversi han-no colto al volo per dare un’al-tra sterzata a destra. Il fascista premier ungherese Victor Orbán senza mezze misure si è preso i pieni poteri con un vero e proprio golpe parlamentare.

Il partito Fidesz, che controlla l’Assemblea nazionale di Unghe-ria, il parlamento con sede nella capitale Budapest, assieme ad alcuni deputati dell’estrema de-stra ha approvato con 138 voti favorevoli contro 53 contrari una legge che “democraticamente” consegna un potere assoluto a Orban: il premier può governare coi decreti, chiudere il Parlamen-to, cambiare o sospendere leggi esistenti, ha la facoltà di bloccare le elezioni e di decidere quando finirà lo stato di emergenza, di mandare in galera chi diffonde “false notizie” a suo giudizio ov-viamente. Lo stato di emergenza

peraltro in Ungheria è già in vi-gore dal 2015 per tenere il paese blindato contro i migranti. In altre parole Orban può concludere il lavoro del suo governo per sman-tellare tutto il sistema delle garan-zie formali dello Stato borghese, mettere il bavaglio alla stampa, controllare la magistratura, ren-dere ancora più marginale una opposizione parlamentare che aveva tentato inutilmente di inse-rire nel testo della legge un limite temporale di 90 giorni ai pieni po-teri del premier.

Scontato il plauso “all’amico Orban” e alla “libera scelta del parlamento ungherese”, che si è comportato come quelli italiano e tedesco che dettero i pieni poteri a Mussolini e Hitler, proveniente dai camerati italiani Matteo Salvi-ni e Giorgia Meloni che sperano di saldare l’alleanza formando un gruppo al parlamento europeo. Confermato l’atteggiamento ac-condiscendente e complice di Antonio Tajani di Forza Italia che spera di tenerlo dentro al gruppo del Ppe.

Né la Ue né il Ppe lo caccia-no come meriterebbe. Il golpe in Ungheria è passato quasi sotto

silenzio nella Ue concentrata sul tema emergenza coronavirus. Il belga Didier Reynders, commis-sario alla Giustizia, si limitava a annunciare che le misure decise da Budapest sono sotto esame e ricordava che da tempo l’Un-gheria, come la Polonia, si trova sottoposta a procedura di inda-gine della Commissione per vio-lazione dello stato di diritto. Un esame inutile e in fin dei conti complice da parte della Ue dato che eventuali sanzioni contro il paese incriminato devono esse-re prese all’unanimità; quando i paesi incriminati sono due, come nel caso di Ungheria e Polonia, in sede Ue si assiste alla farsa che ogni decisione è bloccata dai veti di Budapest e Varsavia che si proteggono reciprocamente.

Stesso atteggiamento di com-plicità verso il fascista Orban si registra nel gruppo dei partiti de-mocristiani e popolari del parla-mento europeo, il Ppe. Giusto un anno fa, il 20 marzo 2019, il parti-to Fidesz era stato solo sospeso dall’assemblea politica del Ppe e la sua attività sottoposta al moni-toraggio di tre probiviri in segui-to alla messa in stato di accusa

per aver approvato leggi illiberali, ristretto la libertà di stampa e lo stato di diritto borghese in Un-gheria, discriminato le minoranze musulmane e rom. Orban ac-cusava anche la Commissione allora presieduta da Juncker di “minacciare la sicurezza dell’Un-gheria” con i piani di ridistribu-zione dei migranti, tanto ridicoli e inefficaci che l’Ungheria ha potu-to rifiutare senza pagare pegno. Si erano schierati in difesa del fa-scista Orban e avevano bloccato l’espulsione di Fidesz dal gruppo dei popolari a Strasburgo, For-za Italia di Berlusconi e Tajani e il Ppe spagnolo. La missione di monitoraggio dei probiviri non si era ancora conclusa e a fronte delle nuove misure del golpista ungherese il Ppe non ha trova-to di meglio che rimandare alla prossima riunione in programma a giugno la decisione sull’espul-sione richiesta di nuovo da alcuni partiti e capi di governo tra i quali il greco Kyriakos Mitsotakis e la norvegese Erna Solberg. Una iniziativa che non ha ricevuto l’appoggio del Partito popolare spagnolo ma neanche della Cdu tedesca.

Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHIe-mail [email protected] Internet http://www.pmli.itRedazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di FirenzeEditore: PMLI

ISSN: 0392-3886

chiuso il 8/4/2020

ore 16,00

Immagini di gruppi di trasportatori che protestano contro la mancanza di presidi di protezione contro il coronavirus. Dall’alto alla Sda di Bologna, alla Bartolini di Caorso (Piacenza) e di vari vettori nella zona di Brescia

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N. 12 - 16 aprile 2020 sostegno all’editoriale di Scuderi / il bolscevico 15

in Lombardia È strage per La pandemia da Covid-19

Quasi novemila i morti ufficiali, ospedali al collasso, dispositivi di protezione introvabilila giunta fontana deve dimettersi

�Dal nostro corrispondente della LombardiaLa Lombardia è la regione

italiana più colpita dalla pande-mia da Covid-19. Dalla sera del 20 febbraio quando all’ospeda-le di Codogno (Milano) venne ricoverato il cosiddetto “pazien-te uno”, alla data del 5 aprile si contano 50.455 casi di persone risultate positive al coronavirus Sars-CoV-2 responsabile della malattia, delle quali 8.905 sono decedute. Particolarmente gra-ve la situazione nelle provin-ce di Brescia e Bergamo dove le salme devono essere porta-te con camion refrigerati in altre città per la cremazione, non es-sendovi più posti nei cimiteri.

La situazione è apparsa fuo-ri controllo fin dall’inizio e sono bastati pochi giorni perché tut-to il sistema sanitario regiona-le andasse in tilt con ospedali al collasso: numero insufficiente di posti letto soprattutto nei reparti di terapia intensiva, carenza di personale sanitario e totale as-senza di dispositivi di protezio-ne individuale. Nonostante la pericolosità del virus fosse ben conosciuta e notizie allarmanti giungessero da settimane dalla Cina dove la pandemia ha avu-to inizio, la giunta regionale gui-data dal governatore leghista Attilio Fontana è rimasta pas-siva sottovalutando il proble-ma, basti pensare che in un’in-tervista del 25 febbraio Fontana affermava ancora che la situa-zione era “difficile, ma non così tanto pericolosa. Il virus è molto aggressivo nella diffusione, ma poi nelle conseguenze molto meno. Fortunatamente è poco

più, non sono parole mie, di una normale influenza”.

In quella situazione di allar-me, il 22 febbraio Angelo Giup-poni, Direttore dell’Agenzia regionale per emergenza e ur-genza (AREU) di Bergamo, in-viava una email all’assessorato al Welfare di Regione Lombar-dia, diretto da Giulio Gallera, dove sottolineava “l’urgente ne-cessità di allestire degli ospe-dali esclusivamente riservati a ricoverati per Covid-19, così da evitare promiscuità con altri pazienti e quindi diffusione del virus nelle strutture ospedalie-re”. La risposta dell’assessorato sarà rapida e diretta: “Non dor-miamo da tre giorni, non abbia-mo voglia di leggere le tue caz-zate”.

In realtà è emerso immedia-tamente che la tanto decanta-ta “eccellenza lombarda” della sanità risulta unicamente pro-paganda e inganno poiché le cose stanno ben diversamente: non è mai esistito un piano che rendesse operativo un protocol-lo dal quale tutto il personale sanitario potesse trarre indica-zioni omogenee per affrontare una situazione di emergenza e mancava addirittura l’indicazio-ne su tempi e modi dell’acqui-sto di presidi medici. La man-canza di dispositivi medici di protezione quali mascherine, guanti e occhiali la sta pagando a caro prezzo il personale sani-tario, infatti il 12 per cento dei contagiati in regione apparten-gono proprio a questa categoria di lavoratori ed è indubbiamente stata favorita dal caos organiz-zativo della giunta.

Mentre l’emergenza era già

in atto, Regione Lombardia ha bloccato tutti gli ordini fatti in precedenza dalle Asst e degli ospedali centralizzando gli ac-quisti nella società privata Aria (Azienda Regionale per l’Inno-vazione e gli Acquisti) provo-cando un intoppo burocratico che ha avuto come conseguen-za un ritardo oggettivo negli ap-provvigionamenti, da un lato perché rispetto a ordini di mi-nor grandezza il reperimento di grandi stock di materiale si è subito dimostrato più difficolto-so ma anche perché l’avanzare del contagio a livello mondiale stava nel frattempo svuotan-do i magazzini dei fornitori e i paesi di transito hanno iniziato a bloccare i carichi. Un’inchie-sta avrebbe poi rivelato come il governatore avrebbe firma-to di suo pugno un ordine di 4 milioni di mascherine rivelatosi poi sbagliato perché le aziende estere cui si era rivolto non pro-ducevano più quel tipo di presidi medici e poi ha giocato a scari-cabarile dicendo che il “fornito-re non è stato in grado di adem-piere agli obblighi assunti”.

La situazione caotica non si è comunque affatto risolta e dopo più di un mese le mascherine continuano a essere introvabili. Nonostante questo Fontana ha emanato una nuova ordinanza restrittiva entrata in vigore il 6 aprile che vieta di uscire di casa senza. Di fronte alle proteste il governatore ha precisato che in assenza della mascherina sarà sufficiente coprirsi naso e bocca con una sciarpa o un foulard e che la Regione avrebbe comun-que provveduto immediatamen-te a fornirle a tutti gratuitamen-

te, in realtà il giorno dell’entrata in vigore dell’ordinanza i con-trolli di polizia per far cassa con il numero di contravvenzioni sono aumentati mentre i dispo-sitivi di protezione sono ancora introvabili.

Numerosi studi autorevo-li denunciano che i numeri for-niti da Gallera nei suoi bollettini quotidiani non sarebbero affatto attendibili e i contagiati e i morti sarebbero in numero molto su-periore, questo perché i tampo-ni che rilevano il contagio ven-gono fatti solo in ospedale ai malati gravi e non alla maggio-ranza di coloro che manifesta-no le sintomatologie tipiche del virus i quali vengono invece in-vitati a restare chiusi in casa in quarantena. Si tratta per lo più di persone anziane spesso sole che senza adeguata assistenza in molti casi muoiono al proprio domicilio senza che il decesso venga nemmeno fatto risalire all’infezione.

La drammaticità della situa-zione lombarda è stata origina-ta anche dal progressivo sman-tellamento della sanità pubblica a favore del più redditizio setto-re privato portato avanti da tut-te le giunte che si sono susse-guite e di cui quella di Fontana è la diretta continuazione. L’e-mergenza coronavirus non è infatti redditizia per le cliniche private che lucrano su costose operazioni e degenze che arri-vano a seimila euro al mese e prima della loro riconversione in cliniche Covid-19 sembrereb-be inoltre che molte di esse non abbiano comunicato tempesti-vamente la situazione all’Asl per non correre il rischio di per-

dere fatturato dal momento che avrebbero rischiato la chiusu-ra nel caso in cui fosse stato ri-scontrato un focolaio tra il per-sonale o i pazienti. Essendo la gestione non pubblica ma inter-na, la chiusura delle visite ai pa-renti potrebbe essere stata uti-lizzata per nascondere casi di insabbiamento e questi focolai nascosti nelle strutture private sarebbero poi stati un veicolo di contagio, com’è accaduto nelle case di riposo dove molti anzia-ni sono morti per Covid-19 ma ufficialmente risultano deceduti per “aggravamento delle condi-zioni” o di “sopraggiunte infezio-ni” o di “improvvise crisi respi-ratorie”.

Da più parti si è levata for-te la richiesta di fronteggiare l’emergenza riaprendo i vec-chi ospedali che erano stati di-smessi negli ultimi anni in con-seguenza dei tagli, come quelli di Legnano, di Giussano e di Vi-mercate ma la giunta ha prefe-rito puntare sulla costruzione di un nuovo ospedale all’inter-no dei padiglioni della Fiera di Milano. Questo progetto per il quale Fontana ha richiesto la consulenza addirittura del pu-pillo di Berlusconi Guido Ber-tolaso, era stato annunciato a metà marzo promettendo 600 posti letto per la terapia intensi-va quando la struttura una volta completata sarà in grado di ac-coglierne al massimo 250 e ol-tretutto nella prima fase, in cui erano stati previsti 53 posti, per ammissione dello stesso Galle-ra ve ne saranno solo tra i 12 e i 24, ossia il numero dei ventila-tori disponibili mentre per gli al-tri non vi sono ancora date cer-

te dal momento che molte aree sono ancora cantieri. La mega-lomania presidenzialista di Fon-tana si è pertanto tradotta in una perdita di tempo prezioso e un enorme spreco di denaro, considerando che l’ente Fiera sarebbe intenzionato a sman-tellarlo non appena cessata l’e-mergenza per poter riprende-re il proprio business. Inoltre, nonostante avessero assicu-rato che la costruzione sareb-be avvenuta quasi interamente con l’utilizzo di donazioni pri-vate sufficienti a coprire l’intero importo, a tutt’oggi i costi reali non sono stati resi noti. Estre-mamente grave è poi quanto è accaduto il 31 marzo, giorno dell’inaugurazione dell’ospeda-le: Fontana e Gallera hanno te-nuto una conferenza stampa di fronte a una folta platea di poli-tici, tecnici, giornalisti, camera-men e fotografi creando un pe-ricoloso assembramento dove le immagini ampiamente diffuse sui Social mostrano come non si sia minimamente mantenuta la distanza di sicurezza.

Il governatore, che si mostra solerte quando si tratta di ema-nare provvedimenti liberticidi col pretesto di difendere la salu-te pubblica, si è quindi autocele-brato in un evento pubblico cre-ando egli stesso una situazione di grave rischio.

Davanti a siffatta pandemia non si deve perdere altro tempo prezioso. Ecco perché Fontana assieme a Gallera, dimostratisi inadeguati e incapaci di affron-tare l’emergenza, devono im-mediatamente andarsene ras-segnando le dimissioni assieme a tutta la giunta.

Il sostegno deI lettorI all’edItorIale dI scuderI “coronavIrus e l’ItalIa del futuro”

scuderi ci indica quali devono essere le soluzioni per il

presente e il futuroIn questi giorni, in cui le no-

stre attività consuete sono for-temente limitate dal coprifuoco imposto, giunge alta e potente la voce del nostro amato Parti-to tramite l’Editoriale del com-pagno Segretario generale Gio-vanni Scuderi, un intervento che reputo completo, preciso e corretto. Per me, simpatizzante attivo del PMLI, è sicuramente una presa di posizione impor-tante perché analizza perfetta-mente quanto accaduto in que-sti ultimi mesi e anni, mettendo a nudo le gravissime respon-sabilità dei governanti borghe-si italiani e non solo. Allo stes-so tempo, il nostro Segretario generale indica (coerentemen-te con il nostro pensiero e i no-stri principi) quali devono esse-re le soluzioni per il presente e il futuro.

Ci voleva, veramente, que-sta presa di posizione che è fondamentale al pari degli inter-venti di compagne e compagni che giornalmente leggo sul sito del PMLI. Essi mi sono di gran-de aiuto anche per non venire fuorviato da quanto detto (ma soprattutto non detto) dai mass-media di regime pubblici e pri-

vati o dalla “rete”. Così come di grande aiuto è lo studio (che avevo avviato già da prima dello stato di emergenza) dell’opera del Maestro Lenin “Stato e Ri-voluzione” che tratteggia e met-te in risalto alcuni aspetti dello Stato borghese, oggi così gra-vemente e tristemente attuali.

E allora grazie al PMLI con a capo il compagno Giovanni Scuderi e un forte invito a tut-te le compagne e i compagni a scrivere articoli per il sito del Partito: così potremo sentirci più vicini, sostenerci l’uno con l’altro e mantenere e consoli-dare il nostro pensiero per far-ci trovare pronti quando sarà il momento.

Tutti uniti in cordata per l’Ita-lia unita, rossa e socialista!

Coi Maestri e il PMLI vince-remo!

Andrea Bartoli, operaio - Borgo San Lorenzo (Firenze)

rosso, potente e incoraggiante

Auguri a tutti per il 43° com-pleanno del PMLI e complimen-ti come sempre al compagno Giovanni Scuderi per il suo ros-so, potente e incoraggiante Edi-toriale, che ho citato e rilanciato in parte in un mio articolo.

Giordano - Paola (Cosenza)

da maestro, scuderi fa chiarezza sul nostro futuro

Di assoluta importanza, come sempre peraltro, quan-to scrive il compagno Segreta-rio generale Giovanni Scuderi. Importantissimo, ribadire, come il Segretario generale fa, nella migliore tradizione dei Maestri, per i quali non è la natura ad es-sere stata “creata” in funzione dell’uomo, come vorrebbero le religioni storiche ma al contrario l’uomo è parte della natura) e da Giovanni Scuderi che, sulla linea dei Maestri (per me è Ma-estro lui stesso, come ho scrit-to varie volte), ribadisce che è “il frutto amaro della devasta-zione della natura, della perdi-ta della biodiversità e delle spe-cie, della distruzione dell’habitat delle specie selvatiche, della deforestazione, dell’inquina-mento dell’ambiente, dei mari e dell’aria, dei cambiamenti cli-matici provocati dal capitalismo e dall’imperialismo”.

Di fronte a questa situazio-ne, ribadisce Scuderi, i gover-ni capitalisti non hanno fatto nulla, anzi, sia quelli di “centro-destra” sia quelli di “centro-sini-stra” hanno peggiorato la situa-zione con la “regionalizzazione” della sanità un tempo vantata come “pubblica e gratuita”. La

cronica mancanza di mascheri-ne, guanti, la difficoltà nel sotto-porsi a controlli efficaci (il “tam-pone”, in certe regioni arriva a costare fino a 200 euro!), fino alle grottesche dichiarazioni del presunto “esponente della sini-stra” (leader di LEU) Roberto Speranza, ministro della Sanità, per cui in pratica “Tutto va bene, madama la Marchesa”.

Giustamente Scuderi mette il dito nella piaga della “sospen-sione di fatto dei diritti costitu-zionali” che “hanno determinato la dittatura del governo e perso-nalmente di Conte e lo svuota-mento della democrazia e del parlamento borghesi”. Una sot-tolineatura molto importante, questa: quando la situazione è emergenziale e borghesia e capitalismo temono una rivolu-zione o almeno qualche segna-le per loro pericoloso, frenano, riducendo o anche abolendo quegli spazi di democrazia, be-ninteso borghese e “rappresen-tativa” nell’accezione borghese, che il potere capitalista-impe-rialista concede, “graziosa con-cessione” appunto.

Giustamente, ancora, il com-pagno Segretario generale riba-disce che non “siamo sulla stes-sa barca”, che “Le barche sono due, quella del capitalismo e quella della forze anticapitali-ste”, che l’Italia nazionalista è quella borghese e capitalista, che “ll socialismo non è dietro

l’angolo”, specialmente fino a quando il proletariato non sarà e non saprà di essere “classe per sé” (e non solo “in sé”): da qui la necessità di un vero fron-te anticapitalista, della ripropo-sizione di quanto scrive Engels nell’“Anti-Duhring” affermando che “l’uguaglianza è un pre-giudizio o una stupidità se per uguaglianza non s’inten-de la distruzione delle classi” e ancora la necessità di battere ogni pregiudizio relativo a liber-tà e uguaglianza senza la dit-tatura del proletariato. E chiu-do con una citazione, sempre attualissima, del Maestro Mao: “Nel mondo non esiste amore senza cause, come non esi-ste odio senza cause. Quanto al cosiddetto ‘amore per l’u-manità’, da quando l’umani-tà è divisa in classi non è mai esistito un amore come que-sto, un amore che abbraccia tutto e tutti. Alle varie classi dominanti del passato pia-ceva predicare un tale amo-re, e molti saggi hanno fatto altrettanto, ma nessuno l’ha messo realmente in pratica. perché nella società divisa in classi tale amore è impossibi-le. Un vero amore per l’umani-tà sarà possibile solo quando le classi saranno state elimi-nate in tutto il mondo...Noi non possiamo amare i nostri nemici, non possiamo amare i mali della società, il nostro

obiettivo è distruggerli”Tutto il mito umanitaristico,

cioè, dell’amore universale, del-l’”Embrassons-nous”, del “Vo-gliamoci bene” non ha senso se non si instaura la dittatura del proletariato, procedendo in se-guito all’abolizione delle classi. I Maestri e il nostro attuale Ma-estro, Giovanni Scuderi, ce lo dicono e ce lo ripetono sempre giustamente, opportunamente, quando troppi cedono alla ten-tazione umanistico-umanitari-stica.

Eugen Galasso - Firenze

scuderi è il portavoce dei cinque maestri

Lunga vita al compagno Gio-vanni Scuderi, portavoce dei cinque Maestri del proletariato internazionale!

Discorso da incorniciare.Lorenzo, 18 anni – provincia di Napoli

sono d’accordoSono d’accordo su tutto

quanto scritto da Scuderi nell’E-ditoriale per il 43° del PMLI, tranne che nell’appellarsi a qualsiasi realtà o associazione di carattere religioso.

Saluti comunisti.Gianluca - Lombardia

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