beierwaltes werner atteone

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1 WERNER BEIERWALTES Atteone Su un simbolo mitologico di Giordano Bruno * ...meditari unitatem et identitatem (Bruno) Il pensiero di Giordano Bruno si indirizza, nel contesto della riforma copernicana, ad un nuovo concetto dell'universo: i «muri» dell'antico cosmo sferiforme devono essere sfondati. Così però il confine della visibilità viene oltrepassato in uno spazio attualmente infinito, in cui innumerevoli mondi si muovono intorno al loro rispettivo centro. Che un centro venga messo in risalto non è per- ciò più concepibile per il concetto bruniano dell'infinità dell'universo: il centro è dappertutto. Bruno intende questo universo infinito come un'unità o armonia degli opposti, nella quale come totalità tutto ciò che è possibile è realtà, dunque anche gli opposti più universali dell'essere, possibilità e realtà, vengono condotti in una unità vivente in sé e fuori di sé. Questa unità è riflessiva: lo spiritus mundi opera attraverso l'Anima del mondo come «artista interiore» nella materia dell'universo e lo rende così una struttura coincidentale di forme. L'essenza che dà forma, intesa in senso aristotelico, non è esterna alla materia come di fronte alla pura potenza, bensì è il Principio che penetra col suo progetto la materia ed è così unito, interno ad essa: la materia è di per sé «grembo delle forme» o «fonte della realtà». Ultimamente l'universo è determinato da un Principio divino sommo. Sebbene Bruno metta in evidenza in misura speciale l'azione immanente al mondo di questo Principio, il suo essere inteso assolutamente in modo trascendente non nasce però totalmente nel mondo: il mondo non è un raddoppiamento panteistico di Dio. Questo si manifesta nel pensiero che il mondo, in dire- zione contraria rispetto all'infinità «intensiva» del Principio divino, viene inteso come un'infinità «estensivamente» infinita. L'Essere «Tutto-in-Tutto» del Principio non toglie il suo Essere «al-di- sopra-di Tutto»: (Deus) intra omnia non inclusus, extra omnia non exclusus ... in quo sunt omnia, et qui in nullo ... sed est ipse. 1 Certamente attraverso il concetto di infinità di Bruno le affermazioni intese da Cusano esclusi- vamente per l'Essere di Dio coincidentia oppositorum e possest (potere-è: Dio come realtà pura del- l'Essere e «capacità» infinita, assoluta, possibilitas absoluta) vengono attribuite all'Essere del mon- do; questo però non in modo tale che la differenza del Principio rispetto al mondo venga livellata o questo venga inteso come mondo e perciò identico a lui. Il concetto di Bruno dell'universo, della materia e dell'Anima del mondo e il suo entusiasmo per il mondo, secondo cui ciò che esiste nel mondo non potrebbe affatto essere in se stesso migliore, attraverso la presenza del divino, di quello * Da: Beierwaltes W., Pensare l'Uno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, introd. di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano, 1992 2 , pp. 360-368. 1 De triplici minimo et mensura, Opera Latina, ed. Fiorentino, Tocco e altri, Napoli-Firenze 1879 ss., Bd. I 3,147, 5. Dottrina e formulazione sono assolutamente analoghe a Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum V 8: quia perfectis- simum et immensum (Deus come esse purissimum et absolutum), ideo est intra omnia, non inclusum, extra omnia, non exclusum, supra omnia, non elatum, infra omnia, non prostratum. Sul contesto reale di questa citazione da Bonaventura cfr. sopra pp. 349 s. nota 73.

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Page 1: Beierwaltes Werner Atteone

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WERNER BEIERWALTES

Atteone Su un simbolo mitologico di Giordano Bruno ∗

...meditari unitatem et identitatem (Bruno)

Il pensiero di Giordano Bruno si indirizza, nel contesto della riforma copernicana, ad un nuovo

concetto dell'universo: i «muri» dell'antico cosmo sferiforme devono essere sfondati. Così però il confine della visibilità viene oltrepassato in uno spazio attualmente infinito, in cui innumerevoli mondi si muovono intorno al loro rispettivo centro. Che un centro venga messo in risalto non è per-ciò più concepibile per il concetto bruniano dell'infinità dell'universo: il centro è dappertutto. Bruno intende questo universo infinito come un'unità o armonia degli opposti, nella quale come totalità tutto ciò che è possibile è realtà, dunque anche gli opposti più universali dell'essere, possibilità e realtà, vengono condotti in una unità vivente in sé e fuori di sé. Questa unità è riflessiva: lo spiritus mundi opera attraverso l'Anima del mondo come «artista interiore» nella materia dell'universo e lo rende così una struttura coincidentale di forme. L'essenza che dà forma, intesa in senso aristotelico, non è esterna alla materia come di fronte alla pura potenza, bensì è il Principio che penetra col suo progetto la materia ed è così unito, interno ad essa: la materia è di per sé «grembo delle forme» o «fonte della realtà». Ultimamente l'universo è determinato da un Principio divino sommo. Sebbene Bruno metta in evidenza in misura speciale l'azione immanente al mondo di questo Principio, il suo essere inteso assolutamente in modo trascendente non nasce però totalmente nel mondo: il mondo non è un raddoppiamento panteistico di Dio. Questo si manifesta nel pensiero che il mondo, in dire-zione contraria rispetto all'infinità «intensiva» del Principio divino, viene inteso come un'infinità «estensivamente» infinita. L'Essere «Tutto-in-Tutto» del Principio non toglie il suo Essere «al-di-sopra-di Tutto»: (Deus) intra omnia non inclusus, extra omnia non exclusus ... in quo sunt omnia, et qui in nullo ... sed est ipse.1

Certamente attraverso il concetto di infinità di Bruno le affermazioni intese da Cusano esclusi-vamente per l'Essere di Dio coincidentia oppositorum e possest (potere-è: Dio come realtà pura del-l'Essere e «capacità» infinita, assoluta, possibilitas absoluta) vengono attribuite all'Essere del mon-do; questo però non in modo tale che la differenza del Principio rispetto al mondo venga livellata o questo venga inteso come mondo e perciò identico a lui. Il concetto di Bruno dell'universo, della materia e dell'Anima del mondo e il suo entusiasmo per il mondo, secondo cui ciò che esiste nel mondo non potrebbe affatto essere in se stesso migliore, attraverso la presenza del divino, di quello

∗ Da: Beierwaltes W., Pensare l'Uno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, introd. di G.

Reale, Vita e Pensiero, Milano, 19922, pp. 360-368. 1 De triplici minimo et mensura, Opera Latina, ed. Fiorentino, Tocco e altri, Napoli-Firenze 1879 ss., Bd. I 3,147, 5.

Dottrina e formulazione sono assolutamente analoghe a Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum V 8: quia perfectis-simum et immensum (Deus come esse purissimum et absolutum), ideo est intra omnia, non inclusum, extra omnia, non exclusum, supra omnia, non elatum, infra omnia, non prostratum. Sul contesto reale di questa citazione da Bonaventura cfr. sopra pp. 349 s. nota 73.

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che è, hanno senz'altro sfocato i chiari contorni della distinzione cusaniana di finito e infinito, Dio però non è ancora diventato una funzione o addirittura una metafora del mondo.2

L'infinità dell'universo come conseguenza radicale di Bruno della riforma copernicana ha fatto della terra, una volta centro del mondo, una stella tra le altre. Il depotenziamento della terra non ri-guarda però l'uomo nella stessa intensità. Certamente non può più (inteso in senso teologico) essere la causa dell'alienazione della divinità nell'Incarnazione. Egli ha tanto poco bisogno di una libera-zione quanto di un giudizio: la partecipazione all'Essere del divino si trova in modo originario in lui stesso, la deificatio è una sua capacità e suo compito. La «grandezza» dell'uomo dev'essere dunque vista nel fatto che ha la capacità di contemplare l'infinità dell'universo (meditari unitatem et identi-tatem)3 e di trasformarsi, proprio attraverso ciò, nel divino o infinito stesso, anche se questo appare possibile soltanto in momenti di rilievo, ma che determinano l'esistenza dell'uomo.

Da questo risulta evidente che nel pensiero di Bruno l'interesse cosmologico non può essere se-parato da quello antropologico, etico ed estetico. L'unità di questi ambiti dottrinali viene chiarita da Bruno a partire dall'aspetto appena accennato, in modo particolare nei Dialoghi intitolati Eroici Fu-rori e dedicati a Philip Sidney (1585). Essi possono essere intesi a partire dalla tradizione dei trattati e della lirica d'amore del Rinascimento4; come tali però essi sviluppano la dottrina dell'ascesa del Simposio di Platone, neoplatonicamente ispirata e trasformata. Il Convivio di Dante; il De amore di Ficino, i Dialoghi d'amore di Leone Ebreo e il Commentario di Pico della Mirandola alla Canzone d'amore di Benivieni sono gli antecedenti, che Bruno eleva a ideale della propria esistenza.

Della tematica a più livelli degli Eroici Furori qui dev'essere resa comprensibile solo l'importan-za del concetto di Bellezza, senz'altro centrale per Bruno, proprio in rapporto a questa dottrina del-l'ascesa. Per questo può fungere da paradigma l'interpretazione di Bruno del mito di Atteone. Que-sto, come verrà dimostrato, non è una restrizione della dottrina fondamentale.

Lo sviluppo di un'idea filosofica si fonda, di volta in volta, negli Eroici Furori, sull'interpreta-zione di un sonetto5; così dalla poesia si pretende talvolta troppo dal punta di vista allegorico o sim-bolico. Questo procedimento ha una giustificazione realmente convincente, in quanto i sonetti ven-gono già composti avendo presente la concezione filosofica, cosicchè lo svolgimento (sonetto-sua interpretazione) in sostanza dovrebbe essere invertito, mentre il sonetto non dovrebbe essere ridotto a semplice «illustrazione» del pensiero.

Attraverso la metafora o il «mito» dei sonetti il pensiero filosofico riceve piuttosto una forza il-luminante e una indimenticabilità particolare; nel sonetto su Atteone6 diventa un simbolo.

Alle selve i mastini e i veltri slaccia Il giovan Atteon, quand'il destino

2 Sul problema nel suo insieme cfr. il mio libro Identität und Differenz, pp.176 ss. 3 Sigillus sigillorum, Op. Lat. II 2, 180, 9 s. Pensiero dell'Unità come condizione della «vera contemplazione della

natura»: De la Causa, Principio e Uno, in Dialoghi Italiani, ed. G. Gentile-G. Aquilecchia, Firenze s. a. (1957), p.185. (Edizione nella «Philosophische Bibliothek Meiner», Bd. 21: Von der Ursache, dem Prinzip und dem Einen, aus dem Italienischen übersetzt von A. Lasson, mit einer Einleitung von W. Beierwaltes, hg. P. R Blum, Hamburg 1977, 18826, 15*).

4 Cfr. su questo J. Ch. Nelson, Renaissance Theory of Love, New York 1958. H. Friedrich, Epochen der italienischen Lyrik, Frankfurt 1964. La relazione, intesa filosoficamente, di «bellezza-eros-ritorno del pensiero in se stesso-ascesa» è stata da me mostrata col paradigma di Ficino, centrale per la struttura neoplatonica di pensiero del Ri-nascimento (cfr. su questo la trattazione citata a p. 89, nota 46).

5 Ad eccezione di tre «Canzoni» nel quinto Dialogo della seconda parte; sulla forma letteraria (commentario in prosa a versi) cfr. Nelson, loc. cit., 15 ss.

6 De gli Eroici Furori (abbreviato E), in Dial. It. (cfr. nota 3) 1005 ss. Edizione italo-francese con Introduzione rela-tiva alla storia spirituale e letteraria di P. H. Michel: Giordano Bruno, Des Fureurs Héroïques, Paris 1954. Su Atteone inoltre E 1021 s., 1123 ss. Sull'antico mito cfr. Lucien Guimond, Aktaion, in: Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Zürich-München 1981, I 1, 454-469; il corrispondente materiale illustrativo in I 2, 346-363. A Giordano Bru-no il mito era accessibile principalmente in Ovidio, Metamorfosi III 138-250. L'interpretazione di Bruno muta la spie-gazione della metamorfosi e morte di Atteone (la punizione per la visione vietata della divinità) nel fenomeno totalmen-te positivo della trasformazione dell'uomo nel suo vero Io.

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Gli drizz' il dubio ed incauto camino, di boscareccie fiere appo la traccia. Ecco tra l'acqui il più bel busto e faccia, Che veder poss'il mortal e divino, In ostro ed alabastro ed oro fino Vedde; e 'l gran cacciator dovenne caccia. Il cervio ch'a più folti luoghi drizzav' i passi più leggieri, ratto voraro i suoi gran cani e molti. I' allargo i miei pensieri Ad alta preda, ed essi a me rivolti Morte mi dàn con morsi crudi e fieri.

La metafora del cacciare, che determina questa poesia a partire dal mito risale dal punto di vista filosofico alla «caccia dell'essere» (τοῦ ὄντος θήρα)7 di Platone come indice del tentativo di rag-giungere l'Idea pensando. In Cusano essa viene sviluppata in modo differenziato; filosofia e teolo-gia filosofica insieme sono «caccia della sapienza» (venatio sapientiae) in campi diversi e con diffe-renti forze, nel modus di una «dotta ignoranza» che cerca l'Essere assoluto come possest, non-aliud o unum.

La metafora della caccia, onnipresente negli Eroici Furori, si consolida nel sonetto su Atteone. Atteone stesso, secondo l'interpretazione di Bruno8, è l'«intelletto», o la più elevata capacità razio-nale dell'uomo, che tenta di «catturare» , ossia di conoscere, la sapienza divina o verità, e così a mo-tivo della sua identità con essa, tende a vedere la Bellezza divina. Nella Bellezza egli vede sapienza o verità come manifestazione dell'Essere divino in sè. Diana (nel sonetto non ricordata affatto per nome) è questa manifestazione. Essa, attraverso sè, ossia come «luce nell'ombra della materia», rin-via al fondamento della sua manifestazione, alla luce assoluta («luce absoluta», «fonte de la luce»): Apollo9. L'essere inaccessibile «in sè» del Principio divino la rende visibile e coglibile, mentre essa, come sviluppo della Monade assoluta, si manifesta nella Monade «natura, universo, mondo»10, dunque come una unità, armonia e bellezza che esiste solamente grazie all'Assoluto stesso. Nel suo «In-sè» la Bellezza divina non cade nel nostro concetto, solamente nella manifestazione dell'«In-sè», nel riflesso, nell'immagine e nell'enigma essa diventa insieme nota al concetto come suo limi-te11. La fondamentale incoglibilità dell'Essere-In-sè assoluto della verità si fonda nella sua in-finità intensiva: essa si comunica senz'altro «in modo infinito» nel risultato di un mondo «estensivamen-te» infinito12, però nel modus del pensiero essa non è raggiungibile in un processo temporale e per-ciò determinato da differenza; la sua infinità rende infinita la tensione stessa verso di essa intreccia-ta con il tempo, oppure il pensiero si sottrae nell'evidenza almeno istantanea del tempo. Il sonetto annuncia questo·momento come passaggio dal tempo all'atemporalità, dal movimento che cerca e che chiede alla quiete della contemplazione, nel verso: «e'l gran cacciator dovenne caccia»13, preda. La «caccia» attiva nel momento dell'evidenza della verità come Bellezza si trasforma nell'oggetto del cercare, del chiedere e dell'amare: «lo amore transforma e converte nella cosa amata»14, essa raggiunge se stessa e così si acquieta. Il pensiero discorsivo, determinato temporalmente, finito, «si solleva» «al di sopra»15 di sè, il «vedere» si congiunge col «veduto»; vedere la divinità significa in-

7 Fedone 66 c 2. C. J. Classen, Untersuchungen zu Platons Jagdbildern, Berlin 1960. Bruno, E 1006 e più. 8 E 1123. 9 1125. La nudità di Diana (E 1124) è da intendere come simbolo della nuda veritas, a cui la bellezza rinvia. 10 1158 s. Per questo motivo si deve concedere anche alla teologia negativa una maggiore vicinanza all'oggetto, no-

nostante la distanza che lo circonda. 11 1135. 12 1012: «è conveniente e naturale che l'infinito, per essere infinito, sia infinitamente perseguitato». 1096. 13 1005. 1008. 1124. 14 1008. 1124. 15 1008: «rapito fuor di sé da tanta bellezza». 1024: «è rapita sopra l'orizonte de gli affetti naturali». Sul «rapto pla-

tonico»: E 983.

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fatti essere visti da lei stessa, avvolti da lei, essere «assorbiti» e uniti a lei16. Il pensiero, prima spin-to da se medesimo, ora, identificato con la meta, é abbracciato da questa stessa. In questo toglimen-to della distanza che cerca o che vede del pensiero discorsivo viene eliminato anche il tempo, che ha annientato attraverso la scissione in prima e poi il momento unito in sè dell'evidenza17. Detto altri-menti: il momento, come presenza pura, puntuale, ma ricca, nega il tempo e il pensiero a esso con-forme. Unità e atemporalità del «soggetto» corrispondono così all'Essere del Principio. L'evidenza non avviene certamente in modo repentino, la riflessione non si trasforma però «improvvisamente» (ἐξαίφνης) nella visione o unione «allo stesso modo in cui ci vuole tempo per aprire le finestre, ma il sole irrompe in un momento»18.

Trasformazione, rapimento, unione, nella poesia, basandosi sul mito di Atteone e sulla tradizione del Cantico dei Cantici vengono rappresentati come morte; il cacciatore, che si è trasformato nella preda della caccia, viene dilaniato dai suoi cani, simbolo del paradossale autosuperamento dei pen-sieri nel loro fine. («Io estendo i miei pensieri ad alta preda ed essi, rivoltatisi contro di me, mi dan-no la morte con morsi crudi e fieri»). Trasformazione come morte e allo stesso tempo morte come trasformazione in una nuova vita: questo è vita nell'Essere cercato e bramato («viva ne l'oggetto»)19. Che questa morte attraverso l'«essere dilaniati» non abbia più in sè la crudeltà del mito viene mo-strato dal suo parallelismo con la «morte di bacio», la morte d'amore: unione e superamento20. La morte quale trasformazione e auto-superamento significa allo stesso tempo liberazione dalla neces-sità di dover vivere nel tempo insieme con la sensibilità e l'immaginazione; così però egli ottiene la capacità di poter vivere in modo determinante e totale in e attraverso l'intelletto e di poterlo supera-re verso il fine a lui immanente21. Detto in modo filosofico ciò è: astrazione da sensibilità e tempo-ralità, il necessario addestramento al vedere l'Uno («unità superessenziale»)22 o l'unione con lui co-me verità, bellezza e bontà assoluta; questo comporta e corrisponde alla concentrazione in se stesso, al ritorno del pensiero in se medesimo, non come contemplazione del «cielo stellato» al di fuori, bensì «procedendo al profondo della mente»; Dio infatti «è vicino», «il suo Regno è in noi», più in-timo al pensiero di quanto questo stesso lo sia a sè.23 Infinità in sè, il «centro infinito» di Tutto24 è perciò raggiungibile soltanto dalla riflessione sull'infinità della propria capacità di pensiero. La «preda agognata» non era dunque da cercare al di fuori di sè: il cacciatore aveva «già raccolto in sè» la divinità («già avendola contratta in Sè»)25: l'Essere divino o infinito è un costitutivo essenziale a priori del pensiero stesso, che è necessario scoprire, rendere consapevole e sviluppare nell'unità con la volontà.

16 1092: «veder la divinità è l'esser visto da quella». 1124: «compreso, assorbito, unito». 17 Sigillus (Op. Lat. II 2, 211, 23 ss. 212, 1 ss.). E 1156 (sulla base di Plotino). 18 E 1156 s.: «subito, repentinamente, instante, momento». A spiegazione dell'emblema Vicit instans come istante

dell'illuminazione e «ferimento» (Cant. Cant. IV 9: Vulnerasti cor meum...): E 1098 ss. 1101. Sigillus 211, 24: actu uno possidemus omnia. Sull'istante come origine del tempo: E 1067. Il platonico ἐξαίφνης (istante dell'evidenza, Ep. VII 341 c 7; Symp. 210 e 4) è stato ripreso come caratterizzazione dell'unione che-non-pensa-più, in cui il vedere diventa l'oggetto visto stesso (VI 7, 36, 17 ss. VI 9, 11, 6 ss.). Sulla henosis di Plotino, cfr. pp. 124 ss.

19 E 1011. 20 E 1010. Mors osculi è una metafora cabalistica per la connessione di morte e felicità: il creatore bacia l'anima

«nella camera dell'amore» come una figlia (G. Scholem, Die jüdische Mystik in ihren Hauptströmungen, Frankfurt 1957, pp. 246 s., con riferimento a testi dal Sohar). Questo bacio simbolizza l'unione dell'anima con quella essenza, da cui essa stessa è sorta. Per Bruno la mors osculi (E 1094) è il passaggio all'effettiva «vita eterna». L'abbandono di sé come trasformazione in ciò che si cerca e ama viene simbolizzato anche attraverso la farfalla, che, tendendo alla luce, brucia nella fiamma (Sonetto E 1037 come spiegazione dell'emblema Hostis non Hostis: nemico è la fiamma attraverso il suo calore che consuma, non-nemico attraverso il suo splendore attraente. Cfr. anche E 990). L'immagine in Petrarca, Le Rime, ed. N. Zingarelli, N. 19, Bologna 1964, p. 332. Sul motivo della «morte per amore» vedi anche Ficino, De amore II 8 Marcel 155 ss.). Su Pico e altri riguardo a questo punto: E. Wind, Pagan Mysteries in the Renaissance, Lon-don 19682, pp. 154 s.

21 E 1008 s. 1024 ss. 1125 (i cani di Atteone «libero dal carnal carcere della materia»). 22 1107. 23 988. 1008 («regno de Dio in noi»). 1086: «contrasi quanto è possibile in se stesso». 1087. 24 1012. 25 1008.

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Quello che dal punto di vista filosofico si dice «astrazione» e «superamento», mentre dal punto di vista poetico si chiama «morte» conduce, filosoficamente, all'unione istantanea con il «centro in-finito», alla illuminazione attraverso lo «splendore divino»26 (poeticamente e mitologicamente) nel-la «vita degli dei» o nell'unico e vero «Paradiso»27; questo però è la «patria»28 dell'uomo, il suo ini-zio peculiare e insieme, dopo il suo «allontanamento» dall'origine («carnal carcere»), la meta che gli spetta. Tutto ciò significa che le capacità immanenti all'uomo vengono condotte al loro compi-mento attraverso l'ascesa trasformatrice (l'elevazione è dunque il realizzarsi e non l'estinzione del-l'individuo o «soggetto»), ma insieme esso mostra che questa elevazione realizzatrice è pensabile in modo argomentativo ed è illuminante e contemporaneamente necessaria per la felicità individuale.

La dottrina bruniana della trasformazione corrisponde alla deificatio, che ritorna al postulato di Platone dell'assimilazione dell'uomo a Dio: l'uomo, attraverso il «contatto intellettuale» diventa «un Dio» con il divino stesso29.

Hinc miraculum magnum a Trismegisto appellabitur homo, qui in deum transeat quasi ipse sit deus, qui conatur omnia fieri, sicut deus est omnia; ad obiectum sine fine (ubique tamen finiendo) contendit, sicut infinitus est deus, immensus, ubique totus.30 Si tende all'ampliamento della finitezza umana, all'esplicazione del fondamento infinito in esso, attraverso la contemplazione intellettuale dell'infinito e attraverso l'unione con lui. Senza sottolineare l'identità di origine e infinito, il filosofa-re neoplatonico ha delineato in modo paradigmatico il tratto fondamentale di questo concetto, che per Bruno è diventato di nuovo determinante: il pensiero diventa consapevole di sè e del suo fon-damento Uno e unificante attraverso la riflessione su se stesso e in questo ritorno ascendente insie-me trascende se stesso. Questo trascendimento si compie, come ha mostrato innanzitutto l'esame della «mistica» plotiniana, attraverso l'astrazione dialettica e la negazione di ciò che è temporale. La negazione del proprio negare o l'autonegazione del pensiero (la sua «morte») toglie la differenza ri-spetto all'Uno almeno istantaneamente. Essa si manifesta come l'«apice» e il compimento della ri-flessività e vi si tende attraverso la contemplazione dell'infinito e l'unione con lui.

L'unità prima accennata di intelletto e volontà non dev'essere però intesa come identità, bensì come un'unità reciprocamente congiunta di due facoltà. L'interpretazione del mito di Atteone deno-mina la Bellezza «avvincente» nella misura più alta perchè «comprensibile» per il pensiero umano, «poichè l'amore (come forma di intenzionalità volente) è ciò che muove e stimola l'intelletto e lo precede come una fiaccola»31. In questo senso l'amore viene inteso come un «impeto razionale»32: come ciò che, nel pensiero che ricerca e domanda, spinge alla meta a lui stesso nascosta-immanente, conduce all'illuminazione e all'unione.

L'amore non rende «ciechi»: esso «illumina, chiarisce e apre (piuttosto) il pensiero, fa penetrare Tutto»33. L'amore, così riferito a unità e bellezza, crea l'unità totale delle facoltà sensibili e spirituali dell'uomo: della percezione sensibile, della capacità di immaginazione o di rappresentazione, del-l'intelligenza, della ragione (dell'intelletto) e dello spirito34. I singoli modi di accesso alla scala na-

26 1007. 1078. 1086. 27 1009. 964. 969. 28 1025. In analogia a questo è da considerare la metafora di Ulisse, per esempio in Plotino (I 6, 8, 16 ss.): ritorno

dell'anima dalla sfera dell'alterità nella patria, l'Uno. Cfr. p. 134. 29 988. 1003 s. 30 De immenso et innumerabilibus, Op. Lat. I 1, 206. La frase 6: magnum miraculum est homo è una «citazione co-

munissima» del Rinascimento, cir. per esempio Pico della Mirandola, De dignitate hominis (lat.-ted., introd. da E. Ga-rin, Bad Homburg 1968, p. 26). Ficino, Theol. Plat. XIV 3; II 257 (Marcel).

31 E 1006. Su amor come principio universale-cosmologico e antropologico: Sigillus sigillorum (Op. Lat. II 2), 195, 3·16. Sulla controversia intelletto-volontà cfr. M. J. B. Allen, Introduction zu Marsilio Ficino: The Philebus Commen-tary, Berkeley 1975, pp. 35 ss.

32 E 987. 33 969. Vedi su questo anche il Sonetto che segue nel testo. 34 Così la gerarchia delle facoltà E 1022. Summa terminorum metaphysicorum, Op. Lat. 14, 31, 10 ss.: cognitio sen-

sitiva, phantasia, memoria, ratio, intellectus, mens. Trig. sigill. explic. (Op. Lat. II 2) 128,7 s.: sentire, imaginari, ratio-cinari, intelligere, mentare. Con questo Bruno viene ricollegato alla concezione neoplatonica della conoscenza. La sua

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turae sono così connessi l'uno con l'altro che quello rispettivamente inferiore riceve la propria for-ma di auto-riflessione in quello di volta in volta più elevato. La sensibilità, per esempio, nella capa-cità di immaginazione viene vista come tale; nell'intelligenza comprende di compiere l'atto dell'im-maginazione o rappresentazione35. L'«amor» compie in questo modo, come elemento motore dell'a-scesa, la sintesi dei gradi e corrisponde così all'«amor» dell'Anima del mondo, attivo in ciò che esi-ste nella sua totalità; anche questa è, grazie all'«amor», medio sintetico di estremi. All'ascesa che incomincia nella sensibilità corrisponde la discesa del pensiero nel suo inizio, la sensibilità36. Que-sto circolo del pensiero rende chiaro che anche il suo inizio nella sensibilità non può essere estraneo al pensiero: la provvisorietà del pensiero nella sensibilità rende piuttosto possibile, innanzitutto, l'a-scesa al vero inizio, non temporale, nel Principio sommo, in quanto l'amore, «che nasce dal vede-re»37 deve essere un «impeto razionale» anche nel suo inizio temporale.

Se dunque l'amore è il principio di movimento immanente al pensiero, allora in questo si mostra che il concetto fondamentale di Bruno, il «furore eroico» o «entusiasmo»38 non si riferisce proprio a nessun atto irrazionale, a nessuna «dimenticanza», bensì a un «ricordo» (memoria)39 che riconduce totalmente al fondamento dell'Io e dell'Essere. La conoscenza sta universalmente sotto una riserva congetturale: come la dialettica negativa delimita a partire dal finito soltanto l'Essere-in-sè dell'Uno che è al di sopra del concetto, così anche la memoria non è affatto un «intervento» diretto. Essa de-ve scoprire e ricondurre al fondamento paradigmatico, nella sfera dell'infinità terrena determinata dal tempo, le tracce delle Idee (umbrae ideales), ossia ciò che si presenta come manifestazione del-l'Assoluto o vera Infinità. Le «ombre» o il mostrarsi enigmatico della Verità o Bellezza nell'imma-gine dell'Archetipo hanno una funzione mediatrice: umbra (come vestigium lucis) visum praeparat ad lucem40. Questa memoria che fa conoscere l'Assoluto nell'«ombra» non conduce dunque, secon-do il «furore eroico» che unisce ragione e affetto, a una illuminazione che nasconde emozionalmen-te, bensì a un'illuminazione che chiarisce la sensibilità e il pensiero a partire dal fondamento41.

Atteone è il simbolo efficace o addirittura denominativo della decisione dell'uomo di osare di pe-netrare nella sfera delle ombre e degli enigmi, nella «selva» delle aporie che stanno davanti alla vi-sione nella Bellezza assoluta come manifestazione della Verità, simbolo dunque dell'«intelletto e-roico» mosso dall'amore, che vorrebbe collegarsi vedendo-pensando col «primo vero», con la «veri-tà assoluta»42. La «morte» attraverso autoriflessione (i pensieri «rivolti a me») appare come la vera vita dell'uomo dalla quale soltanto la sua vita nell'ombra, nella selva, o nella finitezza delle immagi-ni diventa possibile come ragionevole. La «morte», dunque, come autoalienazione dell'uomo lo conduce, trasformandolo, proprio al suo vero Io43.

discussione di Plotino per esempio in Sigillus (Op. Lat. II 2), pp. 178, 7 ss. Sull'analisi delle facoltà in Proclo e Bona-ventura, che stanno in una reale connessione con Bruno, cfr. pp. 225 ss.

35 Sigillus 176, 16 ss. La dottrina di Cusano, che la facoltà conoscitiva di volta in volta più elevata è la praecisio di quella rispettivamente inferiore rientra in questo contesto (De coniecturis I 10; n. 52 Koch-Bormann-Senger).

36 E 1022. 1029. De la Causa 333. Anche questa concezione della conoscenza come un circolo di descensus e a-scensus (reditio) rinvia a Cusano, cfr. De coniect. II 16; n. 157 ss.

37 E 1015. 38 965, 995, 1008. Commento del concetto di «furore eroico» in H. U. Schmidt, Zum Problem des Heros bei Gior-

dano Bruno, Bonn 1968, pp. 63 ss. 39 E 987. 40 De umbris idearum, Op. Lat. II 1, 30. Umbrae ideales non è semplice «reminiscenza» del mito della caverna di

Platone, ma corrente modello di comprensione della struttura dell'essere del mondo e della sua conoscenza. Cfr. E. 1159 l'«immediata conversazione» ivi ricordata corrisponde alla platonica «conversione da un giorno notturno al vero», Rep. 521 c 6). Lampas trig. stat., Op. Lat. III 43, 7 ss.

41 E 969. 42 1005. 43 L'interpretazione dell'Atteone dovrebbe aver mostrato chiaramente che le corrisponde assolutamente la metafora

del «cuor alato» (E 1009). La metafora delle ali del Fedro platonico, che indica che l'anima è mossa dall'eros e diviene «leggera» attraverso il «cibo della verità», ossia - liberata dagli ostacoli della sensibilità - vede lo splendore dell'Idea (Fedro 246 e 2. 247 d 2 ss. 248 c 2. 249 c 4), si collega in Bruno col Salmo 101, 8: Vigilavi et factus sum sicut passer solitarius in tecto (cfr. il Sonetto «Mio passer solitario» in E 1009 e nell'Epistola Proemiale a De l'Infinito, 364, così come il seguente «E chi mi impenna, e chi mi scalda il core?»).