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BPV OGGI BPV OGGI PERIODICO DI INFORMAZIONE - ANNO 15 - N. 56 - MAGGIO/AGOSTO 2011 GRUPPO BANCA POPOLARE DI VICENZA

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Periodico di Informazione del Gruppo Banca Popolare di Vicenza

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BPVOGGIBPVOGGIPeriodico di informazione - anno 15 - n. 56 - maGGio/aGoSTo 2011

gruppo banca popolare di vicenza

BPVOGGIBPVOGGIgruppo banca popolare di vicenza

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Eventi & AttivitàLa BPVI presente anche in Brasile 3Quanta attenzione per le nostre imprese all’estero! 9L’omaggio della Banca a Papa Benedetto XVI 13Gli affreschi Teodoriani di Aquileia 18Aquileia: il simbolismo cristiano nella monetazione imperiale 20Un progetto a sostegno della Sanità 22Per la prima volta in TV e nel cinema 26

Osservatorio EconomicoQuali prospettive per le nostre imprese sui mercati internazionali? 30È sempre debole il collegamento tra scuola e impresa 33

Storia della BancaLa Banca Popolare di Vicenza per l’Unità d’Italia 37

EmigratiSan Paolo, la più italiana del mondo 41

StoriaFirenze 1861: la Prima Esposizione Nazionale 47

Costumi & SocietàL’onda lunga delle migrazioni mediterranee 52

Banca & Gruppo“Medici in Sicilia”, una lunga galleria di personaggi 55

Sommario

In prima di copertina.Veduta di San Paolo (Brasile) dove è attivo da gennaio l’Ufficio di Rappresentanza della Banca Popolare di Vicenza

bpvoggiPeriodico di informazione del Gruppo BPVi

editore: Banca Popolare di Vicenza

direttore responsabile: Luciano zanini

redazione: Pubblicazioni Gruppo BPVi, Via Btg. framarin, 1836100 Vicenza - tel. 0444 339624 - fax 0444 906277

e-mail: [email protected]

registrazione al Tribunale di Vicenza n. 907 del 08.04.97

Grafica e impaginazione: Leonardo Lucchini - Verona

Stampa: Tipografia rumor - Vicenza

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STORIA DELLA BANCAdi Mons. antonio

MarangoniEsperto Archivista

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San Paolo, Avenida Paulista 1754: qui ha sede l’Ufficio di Rappresentanza BPVI

Dopo gli Uffici di Rappresentanza asiatici di Shanghai e New Dehli – seguiti a quello “storico” di Hong Kong, operativo sin dagli

anni Ottanta –, la Banca Popolare di Vicenza ha avviato nei primi giorni del 2011 il proprio Ufficio di Rappresentanza a San Paolo, la megalopoli brasi-liana. Un “salto” da continente a continente che la dice lunga sulle intenzioni del nostro Istituto di voler concretamente continuare a svolgere, e con sempre maggiore intensità e disponibilità, la sua attività al servizio delle imprese italiane operanti con l’estero. Un settore questo che caratterizza da sempre il suo profilo di istituzione creditizia partner privilegiata

La BPVI presenteanche in Brasile

A San Paolo, da inizio anno,è attivo l’Ufficio di Rappresentanzadell’Istituto

EvENTI & ATTIvITà

a cura di luciano zanini

delle nostre aziende, che esportano o importano e, più in generale, grazie alla loro capacità di intrapre-sa e creatività, si misurano quotidianamente con successo sui mercati di qualsiasi parte del mondo. Se per l’Asia, ormai vero cantiere in grande inar-restabile sviluppo economico e produttivo, sono attivi tre nostri Uffici di Rappresentanza, ecco ora l’attenzione della Banca rivolgersi opportunamente verso un altro continente, quello americano, con un doppio passaggio: Sudamerica e Nordamerica. Il primo passaggio, di cui parliamo approfondita-mente in quest’occasione, è già stato fatto ad inizio 2011, e concerne appunto il Brasile; il secondo è

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in corso d’opera e contempla il nostro arrivo nella “Grande mela”, a New York, nel prossimo autunno. Se India e Cina, soprattutto, ma anche altri Paesi asiatici che non scherzano quanto a crescita, rap-presentano giocoforza le nuove frontiere con cui bisogna confrontarsi dal punto vista economico – e nel loro caso specifico anche sociale, vista la forza demografica che li contraddistingue –, nondimeno il Brasile costituisce una realtà di assoluto primo piano a livello mondiale. Bastano pochi accenni al riguardo. Con una crescita annua del prodotto interno lordo relativa al 2010 pari al 7,5%, l’eco-nomia carioca è stata tra le prime ad uscire più velocemente e con maggior vigore dalle secche della recessione globale che l’ha colpita, comunque, solo marginalmente ( nel 2009 il prodotto interno lordo ha registrato una contrazione pressoché ininfluente). Per contro, anche per quest’anno dati previsionali attendibili parlano di un’ulteriore cre-scita che dovrebbe attestarsi oltre quota 5%. E c’è anche da sottolineare, aspetto importante, che il Brasile si prepara ad affrontare il suo futuro con un tasso di disoccupazione che, dall’attuale 7%, è destinato gradualmente a ridursi costantemente,

mentre un altro indicatore fondamentale come il rapporto debito pubblico/prodotto interno lordo viaggia sul 60%, ossia su binari assolutamente invi-diabili, e anche difficilmente imitabili da tanti Paesi economicamente avanzati, Italia in testa. Ancora un’ultima segnalazione per comprendere bene la dinamica della crescita brasiliana: secondo le stime stilate verso fine 2010 dall’autorevole IMF World Economic Outlook, il Brasile, che nel 2004 era al tredicesimo posto nel mondo quanto a crescita del prodotto interno lordo, è passato all’ottavo pro-prio l’anno scorso e balzerà al settimo per il 2015. Siamo di fronte, insomma, ad una delle potenze economiche planetarie che dispone, inoltre, di un bacino di utenza formato da quasi duecento milioni di abitanti. In più, il Governo di Brasilia ha predisposto un piano di centosessanta miliardi di dollari per la modernizzazione e il potenziamento delle infrastrutture, iniziativa questa in grado di attirare fortemente imprese nazionali e straniere; senza dimenticare che un altro notevole impulso, anche di immagine, arriverà dall’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016.

Estrazioni del petrolio in Brasile

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Avenida Paulista

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IN AvenidA PAulistA

L’Avenida Paulista non è una via qualunque di San Paolo. Lunga quasi tre chilometri, questo viale costituisce infatti uno dei punti di riferimento per eccellenza della città e rappresenta uno dei suoi simboli più caratteristici. Da un lato, è polo eco-nomico e finanziario con le tante sedi di aziende, banche, alberghi, istituzioni scientifiche e, dall’altro, anche importante punto d’incontro culturale e di svago. E proprio qui, nella centralissima Avenida Paulista, al sedicesimo piano di un grande palazzo, ha sede la Società “Popolare di Vicenza Assessoria e Consultoria Ltda”, sorta per offrire un importan-te punto di riferimento alle aziende italiane che guardano al Brasile per trovarvi opportunità d’in-vestimento, insediamenti produttivi e nuovi sboc-chi per le loro esportazioni; gli uffici della società, del resto, ospitano al loro interno alcuni spazi ad hoc, destinati agli imprenditori italiani e brasiliani quale luogo di incontro e base logistica per le loro riunioni di lavoro. Anche San Paolo, come noto, non è una città qualunque: situata sul Tropico del Capricorno, a breve distanza dall’Oceano Atlantico, conta oltre undici milioni di abitanti, risultando

quindi la città più popolosa, e anche la più vasta quanto a superficie, dell’intero Emisfero Australe. Nella regione metropolitana di San Paolo vivono, peraltro, oltre venti milioni di persone, che danno vita alla terza area metropolitana per numero di abitanti del pianeta. è la città più multiculturale del Brasile, ma rappresenta qualcosa di particolarmen-te significativo per noi italiani: qui, infatti, la nostra immigrazione è risultata la più consistente di tutte e la comunità italiana è la più numerosa in assoluto, diffusa in ogni dove (vedasi al riguardo, più avanti, un interessante servizio). Ma è dal punto di vista economico che San Paolo assurge al massimo livel-lo, essendo indiscutibilmente il centro finanziario e industriale più importante di tutto il Sudamerica. Non ne esiste un altro al mondo, fuori dagli Stati Uniti, che annoveri un numero maggiore di aziende rispetto a qui. Vi hanno sede il 40% delle aziende private brasiliane, il 64% dei gruppi internazionali presenti in Brasile e 17 dei 20 maggiori gruppi ban-cari del Paese. La borsa di San Paolo è la famosa Bovespa e i suoi distretti finanziari sono situati nei dintorni dell’Ave-nida Paulista, e nel Centro Velho. Numerosi, come detto, anche i distretti industriali come Bom Retiro

Il Teatro Municipale

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e Bràs (tessile), Consolacao (strumenti di illumina-zione), Rua Santa Ifigenia (componenti elettriche ed elettroniche), tanto per citarne alcuni, anche se negli ultimi dieci anni per San Paolo si è registrata la conversione da polo fortemente industrializ-zato a polo orientato verso l’attività tecnologica e ai servizi. Sempre negli ultimi anni, San Paolo è diventata ancora più importante come centro fiere e congressi di ogni tipologia, scientifica e artistica, commerciale e imprenditoriale, calamitando così a ritmo inesausto milioni di persone sia dal Brasile che dall’estero. Ed eccoci, alla nostra Società di Rappresentanza dell’Avenida Paulista, alla cui direzione è stata chia-mata una brasiliana doc, la signora Maria De Freitas, la quale vanta esperienze professionali importanti e ultradecennali, per via del servizio prestato sia nel mondo bancario carioca che in quello italiano. Sotto la sua guida l’Ufficio si è già mosso con decisione e agilità in questi mesi del 2011, puntando soprattut-to a far conoscere la Banca Popolare di Vicenza e i suoi servizi all’interno di quella immensa realtà che è San Paolo e, più ancora, il Brasile e il Sudamerica. Siamo nella seconda parte dell’anno e arrivano i primi significativi riscontri dell’attività dell’Ufficio,

Il “Museu de Arte de São Paulo” (MASP)

Maria De Freitas, Responsabile dell’Ufficio di Rappresentanza BPVI

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imperniata nell’agevolare i flussi di interscambio commerciale tra Italia e Brasile, accompagnando le aziende in ogni loro iniziativa commerciale e mettendo a loro disposizione la consulenza per la creazione di joint ventures con operatori economi-ci locali, per la ricerca di potenziali partners e per l’approfondimento di normative fiscali e societarie. Senza dimenticare l’organizzazione di manifestazioni fieristiche, come pure di missioni economiche per conto di associazioni di categoria, enti e consorzi. “Sì, siamo proprio soddisfatti della scelta effettuata su San Paolo – conferma il Presidente della BPVI, Gianni Zonin –, convinti che bisogna affrontare e interpre-tare la globalizzazione dei mercati come una grande opportunità, e non viverla come una minaccia, con timore. Le nostre aziende si sono sempre distinte per originalità, capacità di intrapresa, sano spirito di competizione e creatività e sono da sempre alla ricer-ca di nuovi mercati: il Brasile rappresenta un’area dalle immense possibilità. Da parte nostra, come Banca Popolare di Vicenza e come Gruppo, possia-mo assicurare la nostra più completa disponibilità e la presenza al loro fianco, quale partner preparato e affidabile. ”Anche il Direttore Generale dell’Istitu-to, Samuele Sorato, esprime il proprio favore per l’iniziativa che si sta rivelando tempestiva e quanto mai opportuna: “Abbiamo raggiunto un importante obiettivo, perché essere presenti fisicamente in un Paese particolarmente ricco di riserve naturali e di attività industriali, che sta vivendo una straordina-ria fase di sviluppo, vuol dire mantenere costante attenzione alle esigenze delle nostre imprese clienti. Tra Brasile e Italia l’interscambio continua a crescere a doppia cifra, soprattutto le nostre esportazioni, e questo aspetto lascia intravvedere le ampie poten-zialità operative connesse con questa nostra aper-tura a San Paolo. Colgo, anzi, l’occasione per invitare le imprese italiane – interessate sia alle opportunità commerciali offerte dal Brasile e dal Sudamerica, sia alla promozione dei loro prodotti, nonchè alla partecipazione a fiere o convegni – a rivolgersi senza problemi alla nostra Sede di San Paolo. Troveranno la giusta risposta per ogni loro esigenza.”

Il Presidente BPVI Gianni Zonin

Il Direttore Generale Samuele Sorato

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Pechino 2010. Forum Economico Italia-Cina, presente anche la BPVI

Che l’economia nazionale non navighi nell’oro, ma si trovi ancora impacciata, è cosa purtroppo nota a tutti. I problemi

strutturali del nostro Paese, per anni e anni denun-ciati da osservatori attenti e responsabili, vengono maggiormente a galla proprio nei momenti difficili, e così debito pubblico, carenza di infrastrutture, divario nord/sud e via di questo passo fanno pesare con ancor più evidenza che in passato le proprie ombre. La crisi innescatasi nella seconda parte del 2007 ha inferto duri colpi all’apparato produttivo internazionale, colpendo le imprese con forti cali

Quanta attenzione per le nostre imprese all’estero!

Il punto sull’operatività della BPVI tra crisi e voglia di ripresa

EvENTI & ATTIvITà

di fatturato e tante famiglie per via dell’accresciu-ta disoccupazione; sono stati messi a dura prova anche gli equilibri finanziari di tante aziende che hanno dovuto fare i conti in molti casi con le ristrettezze creditizie nel frattempo intervenute. Un quadro fosco, dunque, quello riferito al bien-nio 2008/2009, mentre col 2010 si è cominciato a intravvedere qualche spiraglio di luce e, in questa prima parte del 2011, si registra qualche modesto passo in avanti. La nostra Banca – l’abbiamo scrit-to più volte nei numeri precedenti – non ha mai smesso, nonostante la crisi, di sostenere le aziende

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clienti, soprattutto quelle piccole e medie, e il note-vole aumento degli impieghi segnato dalla BPVI proprio in questi anni ne è chiaro testimone. Così pure è avvenuto per quanto concerne il sostegno all’attività dell’import-export delle nostre imprese che hanno visto confermato, nel nostro Istituto, il loro partner sicuro e affidabile, sempre a disposizio-ne per riscontrarne favorevolmente le esigenze di servizi o di consulenza.Da questo punto di vista va sottolineato il ruolo non indifferente giocato dalla peculiare organizzazione del Servizio Estero del nostro Istituto che, a differenza delle maggiori ban-che nazionali, aveva scelto da tempo la formula del decentramento degli uffici sul territorio, in modo da realizzare quel “contatto fisico” diretto con la clientela dedita all’import-export che permette di avere una pronta risposta a pochi chilometri dalla sede della ditta. Una risposta che viene data in maniera puntuale per ogni esigenza delle imprese in virtù di una gamma di prodotti a valore aggiun-to, sia tradizionali che innovativi, studiati e appron-tati su misura appunto per le controparti che internazionalizzano: informazioni sui mercati, cash letters, lock box, LCR per la gestione di incassi rapidi per conto di esportatori, linee di finanziamento a

Shanghai, Ufficio di Rappresentanza BPVI: la Responsabile Signora Li Ming

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medio termine, forfaiting, supporti a nuove linee di export o a nuovi insediamenti industriali e via dicendo. Senza dimenticare i vantaggi derivanti dai vari accordi speciali stipulati tra BPVI e SACE, tra BPVI e Coface per la copertura del rischio politico e l’assicurazione sui crediti e forniture; e quelli deri-vanti dagli accordi con la SIMEST, società finanzia-ria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all’estero – di cui la nostra Banca è socio insieme ad altri sedici istituti di credito nazionali – finalizzati ad agevolare i crediti all’esportazione, ad ottenere finanziamenti e servizi di assistenza e consulenza per tutte le fasi di avvio e realizzazione di investi-menti fuori dai confini d’Italia. E ancora, gli Uffici di Rappresentanza, veri e propri fiori all’occhiello della nostra Banca, di cui abbiamo detto nel servizio pre-cedente, e considerati a ragione molto importanti dalla clientela perché in grado di agevolare concre-tamente l’interscambio commerciale tra le imprese italiane e i mercati più importanti del mondo. Ora l’attenzione è tutta rivolta alla prossima apertura dell’Ufficio di New York, che consentirà di seguire l’attività commerciale e di investimento delle nostre imprese non solo negli Stati Uniti, ma anche nell’in-tera area Nafta, comprendente Canada e Messico.

TANTI gLI ACCORDI DI COOpERAzIONE STIpuLATI CON BANChE

Per altro verso la presenza della BPVI all’estero si mani-festa anche nelle sue partecipazioni in sette istitu-zioni creditizie ubicate nell’Europa Centro-orientale, e precisamente Slovenia, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bosnia Erzegovina, tutte naturalmente finalizzate a sostenere le impre-se italiane che intrattengono rapporti commerciali e di investimento con questi Paesi. Il nostro supporto viene assicurato in maniera eccellente da operatori specializzati di lingua italiana, i quali operano pres-so i relativi “International desk” delle banche locali partecipate. Ma anche là dove il nostro Istituto non vanta presenze dirette o indirette, è proseguita senza soste in tutti questi anni una sostenuta attivi-tà di supporto costante e propositivo alle imprese, e ciò si deduce agevolmente dalla constatazione che sono stati firmati complessivamente ben quaran-tasette accordi di cooperazione con banche estere ubicate in ventotto Paesi. Nel periodo che va da inizio 2010 ad oggi vanno in particolare segnalati per la loro rilevanza quattro specifici accordi di coo-

La filiale di Budapest della Volksbank (qui sopra) e quella di Lubiana (nella pagina a fianco), banche partecipateda BPVI

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perazione: con Bancaja di Valencia (Spagna), Bank of Taiwan (Taipei), Kurdistan International Bank di Erbil (Iraq), Belagroprombank e BPS Bank di Minsk, primari gruppi bancari della Bielorussia, così come la Turkiye Garanti Bankasi di Istanbul. Per avere un’idea concreta della vasta ragnatela di rapporti e relazioni che il nostro Gruppo detiene oggi all’este-ro bastano alcune cifre, di per sé esplicative: sono infatti 3.956 i rapporti di corrispondenza intratte-nuti con banche estere; 82 i rapporti di conto con istituti di credito localizzati in 43 diversi Paesi; 414 le banche estere affidate aventi sede in 83 Paesi. Non vanno, poi, dimenticati gli accordi sottoscritti con primari enti sopranazionali come la BERS di Londra, l’ADB di Manila, l’IDB di Washington per la coper-tura del rischio politico e commerciale derivante da operazioni di interscambio con l’estero delle aziende clienti: e proprio, lo scorso aprile, è stato fir-mato un ulteriore accordo della specie, questa volta con l’IFC, sempre di Washington, emanazione della

Banca Mondiale per il settore privato. E sempre a proposito di accordi vanno qui evidenziate le due più recenti convenzioni sottoscritte con SACE nel corso dl 2010. La prima per venti milioni di euro, a breve termine (massimo 18 mesi), con l’obietti-vo di finanziare i costi dell’impresa necessari per l’approntamento di forniture all’estero; la seconda, dell’importo di cinquanta milioni e durata a medio/lungo termine (massimo cinque anni e solo eccezio-nalmente sette anni), per sostenere finanziariamen-te il processo di internazionalizzazione dell’impresa. Entrambe le convenzioni sono rivolte soprattutto alle piccole e medie imprese che possono, così, otte-nere dalla nostra Banca prestiti chirografari senza dover prestare garanzie in quanto l’affidamento bancario è coperto direttamente dalla garanzia assi-curativa di SACE, appunto sulla base della conven-zione citata. Si tratta di una valida opportunità per le imprese clienti interessate: basta solo rivolgersi ai nostri sportelli.

Tutta la soddisfazione del Direttore Generale Samuele Sorato alla firma dello “storico” accordo con State Bank of India (SBI), il maggiore Istituto del Paese: stretta di mano con il General Manager SBI Abhay K. Singh

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Ad Aquileia, oggi unanimemente conosciuta come città dalla fiera bellezza e ricca di un passato che poche altre al mondo possono

vantare, approdò circa duemila anni fa uno degli Evangelisti, San Marco, e proprio da qui, da que-sto centro pulsante, già allora tra i più importanti e insigni del mondo romano, ebbero origine una sessantina di Chiese a partire dal secondo secolo dopo Cristo. Chiese che nacquero non solo in Italia, come le diocesi del Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, ma anche nei territori della Croazia, Austria, Baviera (patria del Santo Padre Benedetto XVI, con le diocesi di Regensburg

e Monaco) e Ungheria. Aquileia, già per secoli e secoli punto nevralgico dell’impero di Roma – pro-spero emporio del Nord Italia, famosa allora per la produzione di articoli di pregiata fattura, per le splendide costruzioni, testimoni della ricchezza e agiatezza dei suoi abitanti, per il conio di monete (di cui parleremo in uno dei servizi successivi) –, dopo il crollo dell’Urbe e la distruzione subita per mano di Attila, seppe pian piano riprendersi sino a diventare l’Aquileia cristiana, il maggiore punto di diffusione della religione cattolica dall’entroterra veneto sino al centroeuropa danubiano. Questa città può a ragione essere considerata il simbolo

L’omaggio della Banca a Papa Benedetto XVI

Donata al Santo Padre un’edizione speciale del volume “Aquileia, patrimonio dell’umanità”

EvENTI & ATTIvITà

In questa pagina e nelle succesive alcune immagini di Sua Santità Benedetto XVI nel corso della visita alla Basilica di Aquileia

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della capacità di irradiazione che il Nordest ebbe in quanto crocevia di popoli dinamici e vitali come quelli germanici, gli slavi e i latini. C’è, insomma, un nesso preciso, originario, tra Aquileia, Venezia, il Nordest “allargato” oltre i confini italiani e i Paesi del Nordafrica e del Medioriente. Alla luce di quan-to detto era, insomma, nelle cose che il Papa nella sua visita al Nordest, tanto attesa e accolta con gioia da milioni e milioni di fedeli, scegliesse di fer-marsi prima ad Aquileia e poi a Venezia. E, se sulla indimenticabile “duegiorni” di Papa Benedetto nel Nordest, è stato già abbondantemente scritto sulla stampa e soprattutto divulgato attraverso radio

e televisioni, in questa sede vogliamo proporre ai nostri lettori la simpatica combinazione che ha consentito di portare a compimento un’iniziativa decisamente singolare e importante per la nostra Banca. L’antefatto risiede nella tradizione editoriale del nostro Istituto che verso la fine di ogni dà alle stampe una pubblicazione di pregio di carattere artistico, storico, culturale. E nel 2010 – dopo che per diversi anni, era stata edita una serie di opere sull’arte e sulla storia veneta, e vicentina in parti-colare, di cui abbiamo puntualmente parlato – era venuto il momento del Friuli Venezia Giulia: ciò, per la semplice ragione che il nostro Istituto, erede della

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gloriosa tradizione appartenuta alla Banca Popolare Udinese, da tempo è considerato in questa regione, a pieno titolo, la banca del territorio. Chi più e meglio di Aquileia poteva rappresentare lo spirito e la storia di questa stupenda regione? Ecco allora farsi strada l’idea di Aquileia e, di seguito, arrivare alla realizzazione del magnifico volume intitolato “Aquileia, patrimonio dell’umanità”. Ne abbiamo parlato diffusamente, molti dei nostri lettori hanno potuto leggerlo (ci sono pervenute tante atte-

stazioni di gradimento al riguardo), ma nessuno poteva immaginare che, solo sei mesi dopo, questa pubblicazione avrebbe avuto l’immenso onore di essere vista e letta dal Sommo Pontefice il quale, oltre a tutto il resto, è un profondo conoscitore di arte e storia. La venuta del Papa ad Aquileia è dun-que coincisa per la Banca Popolare di Vicenza con la consegna di un’edizione un po’ speciale – data la caratura del Personaggio cui era indirizzata – del suddetto volume. Benedetto XVI ha molto gradito l’opera caratterizzata, come vediamo bene nelle immagini fotografiche, da una copertina in pelle bianca che riporta sul piatto lo stemma papale in oro a caldo. Il Presidente della BPVI Gianni Zonin ha espresso per l’occasione la propria grande gioia e soddisfazione – certo di interpretare i sentimenti degli Amministratori, dei Soci e dei Dipendenti tutti – per il dono offerto a Papa Benedetto XVI: “Con questo semplice, ma sentito, gesto abbiamo voluto celebrare l’incontro del Santo Padre con Aquileia e le sue genti; un incontro assolutamente importante e significativo, essendo oltretutto più di vent’anni – l’ultima visita pontificia fu quella del predecessore Giovanni Paolo II – che il Papa non fa

Il volume donato al Papa

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visita alla Città e alla sua splendida Basilica di epoca romana. Inoltre abbiamo anche inteso rinnovare il nostro omaggio a questa magnifica Aquileia che continua a rappresentare per la Cristianità il punto di partenza dell’evangelizzazione verso Est, Nord e Mediterraneo.” E proprio a voler sottolineare la sua natura di centro di irradiazione della fede cattolica per eccellenza, una copia del medesimo volume è stata donata anche a tutti i Vescovi delle cinquanta Diocesi del Nordest, Croazia, Slovacchia e Austria, come detto, sorte a partire dal II secolo d.C. dal cuore della Chiesa Madre di Aquileia.

IL RESTAuRO DEgLI AffRESChI DELLA BASILICA

Se l’omaggio del volume al Papa ha rappresentato un gesto particolarmente ricco di significati, anche l’altra iniziativa attuata dalla nostra Banca in con-comitanza con la visita del Pontefice ad Aquileia, merita di essere segnalata. Concerne il finanzia-mento del restauro e la successiva riallocazione degli affreschi della zoccolatura parietale dell’Aula

Teodoriana sud della storica Basilica patriarcale che, sino a oggi, non erano mai stati restaurati. Ne parliamo dal punto di vista tecnico in un servizio che segue, ma è importante rilevare come questi affreschi, datati al IV secolo, appartengano al vasto repertorio di decorazione ad affresco – posto a fianco dei sontuosi pavimenti in mosaico che orna-no e impreziosiscono le pareti ed il soffitto dell’in-tera Aula Teodoriana – e rappresentino, al di fuori di quelli presenti in Roma, uno dei pochi esempi di pittura legata ad un ambiente culturale databile agli inizi del quarto secolo. Per inciso, l’Aula Teodoriana sud della Basilica è sorta in uno col primo impianto ad utilizzo liturgico voluto dal vescovo Teodoro, a seguito dell’editto dell’imperatore Costantino il Grande che dava libertà di culto ai cristiani; grazie agli apparati decorativi in essa presenti e agli ampi tappeti musivi conservati, l’Aula costituisce un unicum nel panorama della Cristianità delle origini. Il progetto di restauro degli affreschi della zocco-latura è stato affidato allo studio degli architetti Tortelli-Frassoni di Brescia, già da tempo impegnati nella musealizzazione dei mosaici dell’Aula sud del Battistero.

Gruppo dei Vescovi presenti ad Aquileia con il Vice Presidente BPVI Marino Breganze

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gLI AffRESChI TEODORIANI DI AquILEIA

Come noto, Aquileia è uno dei luoghi più im-portanti della Cristianità in occidente, perno della prima evangelizzazione e dell’organizzazione della Chiesa nell’Italia settentrionale e territori conter-mini, quindi sede metropolita e centro di una delle più grandi diocesi.L’attuale Basilica, espressione di un lungo percorso di rinnovamento architettonico (paleocristiano, al-tomedievale, romanico e quindi rinascimentale), si imposta tuttora sui resti delle strutture originarie, di cui i mosaici pavimentali, messi in luce nei primi anni del secolo scorso, sono la più emblematica rappresentazione. Se il primo impianto cristiano edifi-cato dal vescovo Teodoro, dopo l’editto di Costantino del 313 d.C., è conosciuto soprattutto per i manifici tappeti musivi delle due aule di cui era composto, certamente è meno noto per l’apparato decorativo parietale di cui si conservano, non esposti al pubblico e in cattive condizioni conservative, cospicui fram-menti. Si tratta di un ricco repertorio di intonaci dipinti a fresco, che ornavano le pareti e il soffitto, e che rappresenta, al di fuori di Roma, uno dei rarissimi esempi di pittura legata ad ambienti di culto degli ini-zi del IV secolo d.C. Il loro ritrovamento, contestuale a quello dei mosaici, si deve alle campagne di scavo effettuate da Nieman e Gnirs e promosse dal principe Karl von Lanckoronki tra il 1893 e il 1935. Rappre-sentano giardini paradisiaci fioriti, con fontane zampillanti, uccelli fantastici, putti danzanti, chiusi entro transenne lignee dall’andamento spezzato che suggeriscono in maniera illusoria il loro protrarsi oltre le

“Gli straordinari mosaici del primo impianto basilicale realizzato dal Vescovo Teodoro

Frammento della decorazione parietale prima del restauro

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pareti dell’aula. Gran parte degli affreschi che decorano ancora in situ le strutture originarie sono stati distaccati intorno agli anni Trenta del secolo scorso, intaccati da umidità e efflorescenze saline che ne alteravano la lettura e, soprattutto, ne minacciavano la possibilità di conservazione. Ora i frammenti, recuperati dai depositi, sono oggetto di studi scientifici e di interventi di restauro volti a fermare il degrado con l’obiettivo di un loro completo restauro e di una ricollocazione all’interrno della Basilica perché possano nuovamente essere ammirati contestualmente ai mosaici coevi.

ALCuNI DATI TECNICI

Gli affreschi, che fanno parte del vasto repertorio di decorazione posto a fianco degli eccezionali pavi-menti in mosaico di oltre 750 metri quadrati, ornavano in origine tutte la pareti e il soffitto dell’intera Aula Teodoriana, e rappresentano uno dei pochi esempi di pittura legata ad un ambito culturale degli inizi del IV secolo d.C.Lo studio di questi reperti, che mostrano un insieme di motivi geometrici e ornamentali assai più vario di quanto sinora stimato, ha introdotto elementi di novità per la ricostruzione del panorama decorativo del complesso e per la definizione degli spazi architettonici dei primi impianti cristiani. Il progetto di ricolloca-

zione degli affreschi restaurati è affidato allo studio Giovanni Tortelli Roberto Frassoni architetti associati, che ha già firmato il progetto di piazza Capitolo, antistante la Basilica, nonché la musealizzazione dei mo-saici dell’Aula meridionale del Battistero, inaugurata il 7 maggio da Sua Santità Benedetto XVI.In questa sede vogliamo dare il giusto merito alla Banca Popolare di Vicenza, da sempre impegnata nel-la tutela e nella valorizzazione del patrimonio artistico dei territori in cui opera, per aver colto puntual-mente – ancora una volta – un’importante e significativa opportunità in ambito artistico e culturale: quella di sostenere il rerstauro della storica Basilica di Santa Maria Assunta di Aquileia, luogo unico per arte e civiltà, confermando così il proprio stretto legame con la comunità e le istituzioni del Friuli Vene-zia Giulia, in uno spirito di autentica e condivisa partecipazione civile e sociale.

Giovanni TortelliArchitetto

Frammento della decorazione parietale in corso di restauro

Acquarello raffigurante la decorazione parietale prima del distacco degli anni Trenta (L. Perco)

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AquILEIA: IL SIMBOLISMO CRISTIANO NELLA MONETAzIONE IMpERIALE

Aquileia, alla fine del III secolo, era il maggior centro portuale dell’Impero romano del mare Adriatico e per numero di abitanti si poneva come la quarta città della penisola italica, dopo Roma, Mi-lano e Capua. In quegli anni l’imperatore Diocleziano, dopo aver istituita la tetrarchia, avviò anche un nuovo sistema monetario con la nascita di una nuova moneta di bronzo, il follis. Nell’anno 294 venne così istituita la zecca di Aquileia, con l’obiettivo di approvvigionare di denaro, con più celerità, le regioni nord-orientali. Dapprima vi funzionarono due officine, più tardi se ne aggiunse una terza. Quale segno di identificazione delle monete si adot-tarono le iniziali della città, AQ, seguite da una P per la prima officina, da una S per la seconda, e la gamma greca quale T di terza officina. Ed è proprio grazie a quest’ultima officina che sorge l’interro-gativo sulla identificazione di un simbolo, quale prima espressione ufficiale del cristia-nesimo. Sappiamo che, all’inizio del IV secolo, la comunità cristiana della città è già numerosa a conferma dell’evolu-zione sociale dell’Impero, le cui tradizioni religiose vengono messe in discussione ogni giorno di più dalla nuova dottrina. Lo stes-so governo politico soffre di una crisi senza precedenti. Nel 308 la terza officina della zecca di Aquileia conia un nuovo follis che, se al dritto riporta il consueto busto dell’imperatore Massenzio, incide nel timpano del tempio esastilo che com-pare al rovescio un simbolo inconsueto: una X. Le prime due officine incisero, invece, una stella e una falce di luna, im-pronte già apparse nell’iconografia di altre zecche. Sulle monete la X era stata fino ad allora adottata quale indicazione numerica, interpretazione da escludersi per questa moneta, come pure quella di avere un riferimento alla X regio, di cui Aquileia era stata capitale, o ai voti che gli imperatori solevano celebrare attraverso le monete Una possibile, e diversa, interpretazione ci porta a pensare a degli zecchieri di origine orientale che potrebbe-ro aver adottato per il timpano un simbolo di origine greca la X, possibile iniziale della parola Cristos. La conferma di una probabile presenza di cristiani nell’ambito della terza officina ci viene testimoniata da un successivo intervento sulle monete, che vede appunto la X sostituita da una croce latina, ulte-riore evoluzione del simbolismo cristiano. Qualche tempo dopo, a seguito dell’editto di Milano del 313, viene concessa libertà di culto ai cristiani e il vescovo Teodoro può così edificare la maestosa basilica di

Follis di Massenzio (308-309) coniato dalla Terza officina della zecca di Aquileia e riproducente sul rovescio un tempio esastilo che riporta sul timpano una “X”. Collezione Banca Popolare di Vicenza

Follis di Massenzio (310) coniato dalla Terza officina della zecca di Aquileia riportante sul rovescio, all’interno del timpano, una croce latina “+”, problematico segno della croce, anziché la consueta “X”. Collezione G. Comelli

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Aquileia che diverrà simbolo della cristianità di quel territorio. Nel 320 due nuove follis coniati ad Aquileia presenteranno sul rovescio il cristogramma, simbolo composto dall’incrocio delle prime due lettere greche della parola Cristo, la X e la P. Per Costantino il Grande la zecca di Aquileia conierà numerose mone-te ma solo un piccolo follis riporterà un simbolo cristiano, mostrando una piccola croce tra due legionari posti a glorificare l’esercito. Più feconda sarà invece la produzione di monete con simboli cristiani disposta dai figli di Co-stantino: straordinari per bellezza e incisività sono i multipli d’oro degli impe-ratori, Costante e Costanzo, in cui vi appaiono trionfatori sui nemici, all’ombra delle insegne di Cristo. Dopo di loro, per tutti gli imperatori eredi,o acclamati, e anche per gli usur-patori, la zecca di Aquileia non mancherà di battere monete con chiari riferimenti al culto cristiano. Così nei decenni che seguiranno Magnenzio, Valentiniano padre e figlio, Graziano, Teodosio e Arcadio celebreranno le lo-ro fortune e il valore dei loro eserciti con monete non solo di bronzo, ma an-che d’argento e d’oro, in cui la vittoria sui nemici sarà sovrastata dalla Croce. Dopo la parentesi di Giuliano l’Apostata, la religione cristiana torna ad es-sere quella dello Stato ma, morto Teodosio nel 395, le emissioni di Aquileia si fanno gradualmente più rare. La situazione geopolitica sta rapidamente cambiando e la zecca di Aquileia rimane scarsamente utilizzata. Un’ultima ripresa si ha con Galla Placidia che giunge in città da Costantinopoli, alla testa di

un forte esercito, per rivendicare al fi-glio Valentiniano III, bimbino di cinque anni, il trono d’Occidente. Correva l’an-no 425, Placidia rimase ad Aquileia nei mesi invernali e fino alla tarda prima-vera, in attesa che l’esercito le aprisse la strada verso Ravenna e poi Roma: in questo lasso di tempo dispose la co-niazione di due monete, ricche di sim-bolismo cristiano come mai era stato espresso fino ad allora. La prima mo-neta fu un solido d’oro con raffigurata sul rovescio la vittoria alata reggen-te una grande Croce; la seconda una mezza siliqua d’argento sul cui rovescio campeggiava una Croce circonfusa da una corona d’alloro. L’ultima coniazione attribuita alla zecca di Aquileia fu una piccola moneta di rame a nome dello stesso Valentiniano III, battuta proba-bilmente nell’anno 455. L’Impero Ro-mano d’Occidente era in caduta libera e il suo declino avrebbe portato con sé Aquileia, e la sua zecca.

Luigino Rancan

Esperto numismatico

Rovescio del multiplo d’argento di Costante Augusto: l’imperatore regge con la destra lo stendardo recante il Cristogramma. (Foto da “Le monete di Aquileia”, Paolucci -Zub)

Aquileia, Basilica patriarcale. Particolare con la Vittoria Cristiana nel pannello centrale della terza campata musiva dell’Aula Teodoriana sud (primi decenni del IV sec.)

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Nei numeri precedenti ci siamo soffermati ad illustrare, con dovizia di immagini, le caratteristiche e la portata del sostegno

che il nostro Istituto fornisce alle iniziative di carat-tere culturale e sportivo. Si è parlato delle nume-rose e importanti iniziative culturali realizzate per volontà, e col contributo fondamentale, della Banca Popolare di Vicenza, dato che esse costituiscono, al di là della specifica attività economico-finanziaria propria dell’Istituto e del Gruppo, uno dei suoi fiori all’occhiello per eccellenza: del resto, nella magni-fica monumentale sede storica di Palazzo Thiene, ormai vero punto di riferimento per gli amanti della

Un progetto a sostegnodella Sanità

L’Ospedale di Vicenza dispone ora di un avanzatissimo fluorangiografo donato dalla Banca

EvENTI & ATTIvITà

cultura e dell’arte, divenuta ormai nota a livello nazionale, si trovano allocati dipinti, statue, rac-colte di oggetti e monete di assoluto valore sia in ambito italiano che internazionale. Abbiamo inol-tre, dato conto dei numerosi interventi effettuati dalla BPVI in favore del mondo dello sport, fatto di tante specialità, tutte belle e affascinanti – alcu-ne sotto la luce dei riflettori più di altre, non per questo inferiori –, capaci di coinvolgere e appas-sionare tante persone di ogni età, non solo giova-ni o professionisti dello sport, ma anche i meno giovani che vogliono mantenersi sani e in forma. Due àmbiti, dunque, quello culturale e quello spor-

Foto d’archivio: Il Comm. Lampertico Presidente della Banca Popolare di Vicenza taglia il nastro inaugurale del Centro di Rianimazione donato all’Ospedale Civile - Vicenza, settembre 1966

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tivo costantemente seguiti dal nostro Istituto che però non lesina, anzi, la sua concreta attenzione nei confronti di un altro grande segmento sociale: quello della sanità. Sanità, che rimane oggi più che mai uno degli argomenti più sentiti e dibattuti a livello politico e sociale per tutte le implicazioni, facilmente intuibili, che comporta sia dal punto di vista economico che sociale. La cura della salute della gente richiede sforzi finanziari sempre più onerosi, sempre più ardui da fronteggiare, per cui qualsiasi intervento di liberalità compiuto da parte di istituzioni e realtà in grado di portare aiuto al mondo della sanità è naturalmente benvenuto, e molto apprezzato, come giusto. In tale contesto la Banca – partiamo dal 2005, senza andare troppo a ritroso nel tempo, anche se la storia degli interventi dell’Istituto sarebbe lunga – aveva formulato da tempo uno specifico progetto rivolto al comparto della sanità in modo da fornire anno dopo anno i mezzi finanziari necessari per dotare le strutture delle varie realtà operanti sul territorio vuoi di apparecchiature mediche, vuoi

di borse di studio. In questa sede citiamo alcuni interventi, a titolo esemplificativo, proprio per dare l’idea della portata dell’azione svolta a favore del mondo sanitario che ha così potuto avvalersi di strumentazioni mediche di ultima generazione e di concreto sostegno mirata alla ricerca scientifica tramite borse di studio. In particolare, all’Ospedale Civile di Vicenza sono state assegnate diverse borse di studio e di perfezionamento, e specificatamente alle Unità di gastroenterologia,chirurgia plastica, cardiologia, psicologia ospedaliera, nonché il con-tributo finanziario per acquistare un’apparecchia-tura tecnologicamente avanzata ad uso dell’Unità malattie infettive. Alla “Fondazione per la ricerca biomedica avanza-ta” di Padova è stato assegnato un importante con-tributo finalizzato al potenziamento e allo sviluppo della ricerca nel campo delle biologia molecolare; sempre a Padova, a favore della locale Sezione della Lega Italiana per la lotta contro i tumori è stato reso possibile l’acquisto di un moderno mammografo. L’Unità di neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera

Ripresa aerea dell’ospedale San Bortolo di Vicenza

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di Verona, invece, è stata dotata di un nuovo apparecchio per il monitoraggio neurofisiologi-co intraoperatorio, mentre l’Associazione Bambini Cardiopatici nel mondo ha ottenuto un importan-te sostegno per lo studio e la cura delle malattie cardiovascolari infantili.

L’AppARECChIO ChE RICONOSCE LE MACuLOpATIE

Il nome non è certo dei più gettonati: fluorangio-grafo. Però è un nome importante, quello di uno strumento fondamentale per svelare la presen-za pericolosa di maculopatie, retinopatie diabe-tiche e infarti oculari, ossia una serie di malattie che colpiscono l’occhio. E proprio un avanzatis-simo fluoroangiografo rappresenta il pezzo forte dell’intervento complessivo di sostegno a favore dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza, realizzato dal nostro Istituto: grazie al fluorangiografo si pos-sono ottenere immagini ad altissima definizione,

che consentono di analizzare dettagli sino ad ora non individuabili, e riconoscere quindi anche le più piccole anomalie a carico della retina in modo da ricavarne diagnosi precocissime. La consegna ufficiale del prezioso strumento è avvenuta ad ini-zio estate presso la sede ospedaliera vicentina nel corso di un incontro-conferenza stampa, al quale hanno partecipato il presidente della BPVI Gianni Zonin, il presidente della Fondazione San Bortolo Giancarlo Ferretto, il direttore generale dell’ULSS di Vicenza Antonio Alessandri, i responsabili di varie Unità Operative e i rappresentanti della stampa. Come detto, peraltro, il nuovo strumento messo a disposizione dell’Ospedale di Vicenza, costituisce solo una parte, ancorché la più importante, del contributo complessivo destinato al San Bortolo. Oltre al fluorangiografo, infatti, è stato assegnato un sostanzioso contributo a favore delle Unità Operative di cardiologia e di psicologia ospedaliera per il sostegno al loro progetto biennale di inter-venti psicologici a favore dei pazienti di patologie cardiache: lo scopo è quello di favorire e migliorare

Un momento della conferenza stampa: l’intervento del Presidente Zonin tra il Direttore Alessandri, alla sua sinistra, e il comm. Ferretto

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l’aderenza delle terapie proposte, di accrescere la qualità assistenziale e di vita percepita dal paziente stesso, di modificare gli eventuali fattori di rischio connessi alla patologia cardiaca. Sono stati, inoltre, erogati altri due notevoli contributi economici: il primo rivolto all’Unità di senologia per imple-mentare l’attività svolta a favore delle donne con possibile patologia oncologica, mentre il secondo è stato destinato al Reparto di chirurgia pediatrica per l’assegnazione di una borsa di studio da desti-nare ad un medico che ha in cura piccoli malati di spina bifida e vescica neurogena. Quattro, dunque, gli interventi che il nostro Istituto ha concretizzato nel settore della sanità in quest’ultimo periodo, proseguendo così nell’azione di supporto alle varie realtà sociali del territorio in cui è presente e, nella fattispecie, nel portare avanti il progetto rivolto alla sanità: “Sono orgoglioso di rappresentare in questa sede la Banca Popolare di Vicenza – ha dichiarato il presidente Zonin –, perché il nostro Istituto con-tinua a dimostrare nei fatti la propria attenzione per il mondo della sanità, e a guardare al territorio come deve fare una vera banca popolare che vive all’unisono con la sua collettività dando ad essa una mano importante non solo nell’ambito suo proprio, quello economico e finanziario, ma pure, come in questo caso, sul versante sociale. Anche in passato quest’attenzione non è mai mancata, nè scemata, e questa ulteriore significativa donazione testimonia meglio di tante parole la valenza del nostro progetto in ambito sanitario.” Sia il direttore generale Alessandri che il presiden-te della Fondazione San Bortolo Ferretto hanno espresso il loro riconoscente grazie per l’intervento della Banca: il primo ha avuto espressioni di vero entusiasmo sottolineando la portata dell’interven-to che ha consentito, grazie alla funzionalità del nuovo fluoroangiografo di “passare dal medioevo all’era moderna”; il presidente Ferretto ha sottoli-neato, tra l’altro, come l’arrivo del nuovo strumento consenta all’Ospedale di Vicenza, segnatamente al reparto di oculistica, di porsi all’avanguardia nella cura delle maculopatie e di altre malattie che intac-

cano la vista.” Il fluorangiografo Heidelberg (nella foto) rappresenta il più avanzato sistema di acquisi-zione delle immagini per la diagnosi delle malat-tie della retina. Grazie all’altissima definizione e al potere di risoluzione per dettagli fino a quat-tro micron permette il riconoscimento delle ano-malie più piccole a carico della struttura retinica e quindi una diagnosi precocissima. La funzione con indocianina permette inoltre l’esplorazione del piano sottostante alla retina, detto coroide, sede di frequenti patologie degenerative tra le quali la più nota è la maculopatia legata all’età. Tutto questo permette un’impostazione diagno-stica mirata al singolo caso mediante la com-binazione delle opportunità terapeutiche (laser, farmaci intravitreali, devices a lento rilascio di farmaci) oggi comunemente usate. Solo nella città di Vicenza si eseguono circa duemila esami e questo modello tecnologico avanzato permette una riduzione degli esami eseguiti per singolo paziente grazie alla combinazione con il modulo OCT combinato.

““

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Il 2011 ha portato alcune interessanti novità per il nostro Istituto

eventi & attività

Ecosì anche la Banca Popolare di Vicenza è entrata nel rutilante mondo della televisione e del cinema. Va detto subito, però, che solo

per quanto riguarda la televisione vi è stato un ingresso da protagonista, da soggetto che mostra le “proprie virtù” al pubblico, come abbiamo potuto piacevolmente constatare, per alcune settimane, la scorsa primavera vedendo e rivedendo sul piccolo schermo un breve ma intenso filmato pubblicitario tutto incentrato su BPVI. Per quanto riguarda il cinema, invece, si tratta di una vera e propria col-laborazione a livello industriale con il mondo della celluloide, confluita nella produzione di due film di grande successo, animati da attori importanti e amati dal pubblico. Diciamo subito che ad entram-be queste esperienze è arriso grande successo, ele-mento questo che costituisce certamente il deno-minatore comune più gradito per ogni iniziativa aziendale messa in campo. Cominciamo col parlare della prima apparizione dell’Istituto in televisione con la formula dello spot pubblicitario, nella prima

Per la prima voltain TV e nel cinema

domenica di aprile, all’interno di una campagna pubblicitaria, nel segno del claim “Tradizione e futu-ro”, ideata dall’agenzia Lorenzo Marini & Associati. Sono tante le persone – i dati a consuntivo parlano di un bacino di utenza di alcune decine di milioni – che hanno visto lo spot istituzionale della durata di trenta secondi girato da Paul Voss e prodotto tra Vicenza e Roma dalla BRW Filmland. I riscontri sulla piacevolezza e sulla buona qualità del filmato sono stati del tutto favorevoli: è “passato” in maniera fluida e naturale, il profilo della nostra Popolare di Vicenza quale banca “classica contemporanea”, che può a ragione rivendicare la valenza del proprio posizionamento tradizionale di banca che fà il suo mestiere tipico, vicina ai clienti in termini di servizio e attenta alle esigenze complessive del territorio in cui opera. Il filmato è stato ben accolto dalla gente soprattut-to per la sua eleganza e per la sua formula originale e accattivante: sulle musiche di Vivaldi, ha indotto a pensare come stiano tornando i “tempi che piac-

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Alcune immagini tratte dallo spot istituzionale apparso in televisione

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ciono a noi”, quelli cioè caratterizzati dalla calma operosa, dalla sicurezza delle cose di valore, dalla gentilezza, dalla condivisione e dalle buone manie-re. Le immagini di piazza dei Signori a Vicenza con i bambini, o di piazza Venezia a Roma, sono veramente belle e nell’insieme lo spot, grazie alla riuscita commistione tra musica e parlato, tra-smette effettivamente un messaggio piacevole e rassicurante. La prima uscita in grande stile sul piccolo schermo della nostra Banca – più precisamente su tutte le reti Mediaset, su Iris, Class NBC e CNN, Sky Tg 24 e sui notiziari de La7 – si è rivelata insomma un’ini-ziativa di successo. Una prima campagna pubbli-citaria televisiva che ha contribuito a far lievitare ulteriormente la già ottima immagine di cui gode la BPVI, ormai chiaramente e stabilmente perce-pita per quello che effettivamente è: una banca di livello primario, destinata a crescere ancora, ma profondamente radicata sul territorio di elezione e sui territori in cui è giunta, o verrà prossimamente, ad insediarsi.

La BPvi neL ruoLo di coProduttore cinematografico

Fino a ieri, parlando di cinema, si parlava di un settore un po’ fuori portata dagli interessi e dall’at-tenzione del nostro Istituto. Poi, però, grazie anche al recente nostro approdo a Roma e nel Lazio, di cui abbiamo ampiamente raccontato in uno degli ulti-mi numeri di BPVOGGI, ecco nascere tra la Banca Popolare di Vicenza e l’industria cinematografica nazionale un primo importante contatto, sfociato, come vedremo, in concreta e fruttuosa coopera-zione. Del resto, proprio nel Lazio sono attive ben duemilacinquecento imprese cinematografiche, ciò che corrisponde ad oltre un quarto dell’intero segmento nazionale. Un segmento costellato da diverse aziende interessanti – tecnologicamente ben dotate e strutturate, ottimamente condotte – che vantano numerosi rapporti con l’estero e, aspetto non secondario, in grado di crescere ancora in tempi relativamente brevi. Basta citare qualche dato per rendersi conto che quella cinematografica è una realtà che si muove controcorrente rispetto al sistema produttivo italiano nel suo complesso, pur-troppo, ancora sostanzialmente ingessato: nel 2010, infatti, la produzione del cinema ha segnato una crescita di circa il 18% rispetto all’anno precedente, con ben 114 film prodotti per un totale di investi-menti effettuati – tra statali e privati – superiori ai 250 milioni di euro. Ormai presente a Roma e nel Lazio con dodici filiali, di cui nove solo a Roma, la nostra Banca ha così opportunamente ritenuto fosse arrivato il momento per fare il suo ingresso nel mondo della celluloide realizzando operazioni di partnership con alcune tra le principali società

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di distribuzione e di produzione cinema-tografica italiane, nella modalità della par-tecipazione in qualità di socio finanziatore nella produzione di film. E questo, senza naturalmente tralasciare l’offerta di pro-dotti e servizi bancari tradizionali, messi a disposizione sia delle società partners, sia dei loro stakeholders. Ma torniamo alla sostanza della specifica operazione di inve-stimento dell’Istituto: il primo stanziamen-to destinato all’industria cinematografica, targato BPVI, ammonta a 2,5 milioni di euro, una parte dei quali già impiegata con successo per la coproduzione di due film, usciti nelle sale di tutta Italia e realizzati da primarie case di produzione cinema-tografica nazionale, l’Italian International Film e Cattleya. La prima, sorta nel 1958, è una società storica nel panorama italiano, cui si deve la produzione di molte celebri opere, frutto della bravura di maestri della levatura di Franco Zeffirelli, Dino Risi, Lina Wertmueller, Luigi Comencini; la seconda, fondata nel 1997, si è affermata in pochi anni quale leader nell’ambito della produ-zione indipendente, realizzando proprio lo

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scorso anno il film “Benvenuti al sud” che ha sban-cato i botteghini con un incasso-record di trenta milioni di euro. Le formule specifiche che si adotta-no per questo tipo di operazioni di investimento si sostanziano nel contratto di associazione in parte-cipazione o in quello della cointeressenza agli utili, oppure in entrambi. In ogni caso, il dado è stato tratto e i primi due film sono usciti la scorsa pri-mavera facendo un gran bel botto, sia dal punto di vista della qualità che da quello del numero di spet-tatori e relativi incassi. In marzo è uscito “Nessuno mi può giudicare”, con protagonista la versatile attrice Paola Cortellesi qui nei panni (naturalmente diciamo due parole solo per coloro che non hanno visto il film) di una trentacinquenne che, a seguito della morte del marito, deve pur inventarsi qual-cosa per salvare la propria vita e quella del figlio. Alla fine, si ritrova a fare il mestiere più antico del mondo nel contesto della Roma-bene, popolato da artisti, politici, imprenditori e sportivi. Tutto il film, che rivive le tipiche atmosfere della commedia all’italiana, vanta un cast di primo piano con Raul Bova perfettamente a suo agio come gestore di un internet point e tanti bravissimi caratteristi, da sem-pre presenti con la loro bravura proprio nei cano-vacci della commedia all’italiana. L’altro film, “C’è chi dice no” si sofferma invece su una realtà poco

commendevole della società italiana, per quanto diffusa, quella delle “raccomandazioni” o “segnala-zioni”. I protagonisti sono tre giovani già compagni di scuola che vedono mortificate le loro capacità a vantaggio di alcuni raccomandati dell’ultima ora. Ritroviamo ancora Paola Cortellesi nelle vesti di Irma, brava dottoressa che non trova il sospirato lavoro perché le viene preferita la fidanzata del pri-mario; poi c’è Luca Argentero nei panni di un gior-nalista scalzato nel proprio lavoro dalla figlia di un famoso giornalista; infine, Paolo Ruffini, assistente universitario surclassato dal genero di un “barone”, qui interpretato dal grande Giorgio Albertazzi. Un film ben equilibrato nel suo insieme, divertente, e in qualche modo di denuncia di una delle ingiustizie della società italiana. I primi due film, coprodotti dalla BPVI, possono dirsi dunque molto ben riusciti: insomma, un esordio niente male nel cinema!Ma ora, come del resto recita il detto popolare, non c’è due senza tre: così, sempre a Roma, è in corso di lavorazione il terzo film coprodotto dalla Banca Popolare di Vicenza, previsto in uscita nelle sale cinematografiche a gennaio 2012. Sale cinema-tografiche che faranno sicuramente il pieno, visto che il film intitolato “Posti in piedi in Paradiso” ha per protagonista e regista un grande in assoluto del cinema, Carlo Verdone. Buon divertimento a tutti!

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STORIA DELLA BANCAdi Mons. antonio

MarangoniEsperto Archivista

Bisogna accrescere la presenza italiana sui grandi mercati di sbocco come Cina e India

La ripresa dell’economia mondiale, iniziata verso la metà del 2009, ha iniziato a perdere smalto da qualche mese. Anche il commercio

ha quindi registrato una fase di rallentamento: in particolare, la decelerazione è legata alla frenata delle importazioni delle economie avanzate, stabili oramai da quasi un anno. La tendenza accomuna tutte le maggiori economie, essendo condivisa da Usa, area euro e Giappone. Le difficoltà del com-mercio mondiale sono solo in parte attenuate dal fatto che la domanda dei paesi emergenti si man-

Quali prospettive per le nostre imprese sui mercati internazionali?

tiene robusta. La produzione industriale nei paesi emergenti, in particolare nelle economie asiatiche, si è riportata sui trend precedenti la crisi, così come le rispettive importazioni.Tra i fattori che hanno smorzato la crescita della domanda internazionale vi sono i forti rialzi dei prezzi delle materie prime e l’avvio, in diversi paesi, della fase di riduzione dei deficit pubblici cumu-lati durante la crisi. Le politiche di correzione dei saldi dei conti pubblici continueranno peraltro a limitare la crescita della domanda in diversi paesi

OSSERvATORIO ECONOMICO (I)

Importazioni - economie avanzate

a prezzi costanti; Indice 2000

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europei, in particolare nei tre paesi piccoli – Grecia, Irlanda e Portogallo – che hanno visto ampliarsi lo spread fra i rendimenti dei rispettivi titoli di Stato rispetto a quelli tedeschi. Anche altri paesi hanno visto aumentare la misura del rischio del rispettivo debito pubblico, anche se in misura inferiore; è que-sto il caso di Spagna, Italia e Belgio. Allo scopo di rassicurare i mercati sulla sostenibilità delle finanze pubbliche, i Governi di queste economie si sono impegnati a mettere in campo misure di correzio-ne, in modo da riequilibrare i conti pubblici nel giro di pochi anni. Una fase di correzione dei conti pub-blici comporta misure che, almeno nel breve perio-do, agiscono da freno all’espansione della domanda interna. Per questa ragione, le imprese dei paesi maggiormente interessati dalle manovre di bilancio nei prossimi trimestri non potranno fare affida-mento su un andamento dinamico della domanda interna: è possibile che si apra una fase di debolezza dei consumi delle famiglie, ed è altrettanto proba-bile che le imprese tenderanno a procrastinare le decisioni di investimento, limitando gli interventi meno necessari. Per le imprese manifatturiere più orientate all’esportazione diviene quindi essenziale puntare sulla leva della domanda estera, al fine di compensare gli sviluppi poco promettenti del mer-cato nazionale.

AggANCIARE IL TRAINO DELLA RIpRESA TEDESCA

Da questo punto di vista contano diversi elementi fra cui la maggiore presenza nei paesi più dinami-ci o i cambiamenti della posizione competitiva. Prendendo in esame la crescita dei diversi mercati, la situazione appare meno favorevole alle imprese europee rispetto ad altre aree. Difatti, come oramai da qualche tempo, i mercati più dinamici sono quelli del sudest asiatico, soprattutto la Cina e le economie che gravitano nell’area cinese, le cui importazioni stanno effettivamente fornendo un sostegno impor-tante alla crescita del commercio mondiale. Tra i paesi avanzati, i più presenti sui mercati dei paesi emergenti asiatici sono naturalmente, per ragioni di prossimità, quelli che affacciano sull’area del Pacifico: Giappone innanzitutto, oltre ad Australia, Nuova Zelanda e in parte anche gli Stati Uniti. I paesi europei sono meno presenti in Asia, anche se con delle differenze al loro interno, visto che per la Germania il sud est asiatico ha un peso sulla strut-tura delle proprie esportazioni più ampio rispetto ai paesi dell’Europa meridionale. Inoltre, la Germania, in questo in maniera simile all’Italia, ha una presenza significativa sui mercati dell’Europa dell’est, anch’essi caratterizzati da un andamento relativamente viva-

Importazioni - economie emergenti

90,0

120,0

150,0

180,0

210,0

240,0

270,0

2000 2002 2004 2006 2008 2010

a prezzi costanti; Indice 2000

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ce della domanda. Il fatto di essere meno presenti sui mercati del sud est asiatico è naturalmente uno svantaggio per un’economia come quella italiana. A questo poi si deve aggiungere il fatto che siamo molto più presenti nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, il cui peso cumulato sulle nostre esportazioni sfiora il 10 per cento, oltre il doppio della Germania. Questo potrebbe essere un punto a nostro favore, visto che tradizionalmente nelle fasi in cui il prezzo del petrolio è alto le importazioni di questi paesi tendono ad aumentare. L’instabilità politica dell’area suggerisce però estrema cautela nel valutare le prospettive: a parte il caso della Libia, vi sono diversi paesi le cui prospettive restano molto incerte. In un quadro in cui la domanda americana continua ad espandersi ad un ritmo contenuto, e in cui lo scenario interno all’Europa non evidenzia particolari spazi per accelerazioni della domanda interna, si dovrebbe cercare di agganciare il traino della ripresa tedesca. Non è tanto la possibilità che si materializzi un rafforzamento dei consumi tedeschi a spingere in questa direzione. è piuttosto importante rafforzare l’integrazione a monte, nella produzione di intermedi, nelle filiere guidate da imprese tedesche che stanno aumentando le loro quote sull’export mondiale. Il traino dell’industria tedesca non è facile da agganciare, nella misura in cui i singoli tasselli delle catene produttive inter-

nazionali devono essere oggi presidiate da imprese che detengono posizioni competitive molto forti, in termini di qualità oltre che di prezzo. Dal punto di vista poi dei prezzi praticati dalle nostre imprese, la debolezza del dollaro, e quindi anche dello yuan cinese ad esso legato, rendono difficile il mantenimento della posizione compe-titiva, anche perché la crescita dei prezzi delle materie prime sta portando aumenti nei costi che non favoriscono certamente la riduzione dei prezzi dell’output. In questo contesto, la strada da percorrere per le imprese italiane è ancora tutta in salita: occorrerà continuare a presidiare le nicchie di mercato tipi-che dei nostri prodotti mantenendo la specializza-zione su fasce medio-alte. Le strategie di espansione non potranno però evitare di accrescere la presenza nei mercati di sbocco in maggiore sviluppo, come la Cina o l’India, dove sinora abbiamo spinto meno di altri paesi, ma dove è sempre più necessario essere presenti.

Shanghai, Nanjing Road (sopra), Mumbai, interno della stazione Vittoria (a lato)

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Secondo James Hillman, anziano psicoanalista e filosofo statunitense vivente, qualcosa den-tro di noi naturalmente vuole imparare, cono-

scere, specialmente nell’infanzia. In corrispondenza con questo desiderio d’imparare c’è nell’uomo un impulso a insegnare, egualmente innato. La rela-zione fra l’imparare e l’insegnare sta alla base della cultura umana. I buoni insegnanti nutrono le anime degli studenti e mettono il fuoco nei loro spiriti. Guidano i loro allievi, li fanno crescere fino a svi-lupparne tutte le potenzialità. La buona scuola, da sempre, si è basata su questo primordiale feeling tra

chi impara e chi insegna. Nella nostra società civi-lizzata questa naturale relazione di affinità è stata tuttavia separata. Il contenuto e la forma dell’edu-cazione, piegati alle esigenze dei tempi e delle tendenze, oggi mirano a ottenere giovani capaci di servire l’economia e alzare il prodotto interno lordo, il PIL. Così il feeling si è rotto. L’educazione attualmente assorbe il cinque per cento del pro-dotto mondiale nazionale lordo, costituisce la più grande industria del mondo e, nondimeno, enor-mi difficoltà affliggono la scuola mondiale. Ma parliamo un po’ della nostra scuola: come sta la

Mario Draghi: “Bisogna proseguire nella riforma del nostro sistema d’istruzione”

è sempre debole il collegamento tra scuola e impresa

OSSERvATORIO ECONOMICO (II)

Lezione all’Università

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scuola italiana? Sta abbastanza bene, secondo i responsabili del Governo, sta maluccio secondo gli utenti e secondo l’Ocse, che ogni anno pubblica un rapporto finalizzato ad aiutare le politiche di sviluppo dei sistemi educativi. Ultimamente l’Ocse ha sostenuto che le scuole italiane spendono molto più degli altri paesi per ciascun singolo studente. E nonostante questo, l’apprendimento degli allievi è tra i più scarsi. Questo eccesso di spesa sarebbe da ricondurre alle troppe classi con pochi alunni, alle troppe ore d’insegnamento, ai troppi insegnanti in attività. Altra pecca: i docenti non avanzano nella carriera per merito ma solo per anzianità. La loro motivazione per fare l’insegnante sembra risiedere solo nell’elevata sicurezza del posto di lavoro. Così l’Ocse raccomanda di usare davvero l’autonomia di gestione dei dirigenti scolastici che la legge prevede, di aumentare il numero degli studenti per classe, di minimizzare il numero di classi all’interno di ogni istituto e di raggruppare gli istituti più piccoli. E ancora, suggerisce di premiare i docenti più merite-voli con un incremento di salario e avanzamenti di carriera; di offrire formazione a quelli non efficaci e di licenziare in casi estremi. Segnala, infine, un problema di rilevante spessore, e cioè che i tassi di abbandono scolastico in Italia sono superiori alla media degli altri Paesi. Ci troviamo dunque in una situazione stagnante e compromessa? Vediamo meglio. Prima di tutto dobbiamo ricordarci sempre

che per fortuna viviamo in un grande Paese, vario e vivace, dove le iniziative di eccellenza non sono né rare né isolate. Per esempio, l’anno scorso il Ministero dell’Istruzione ha provveduto a fare una ricognizione di tutte le iniziative di importanza nazionale, orientate alla promozione dell’eccellenza e alla valorizzazione del merito degli studenti. Ne è venuto fuori un lungo elenco con ben 131 ini-ziative, tra competizioni, Olimpiadi, certami e gare varie. Tutti organizzati da Istituti scolastici ed Entità culturali italiani. Ancora nel 2010, dei 286 mila pro-mossi agli esami di Stato, 4291 hanno avuto 100 e lode, cioè il massimo possibile. E non mancano poi le grandi realtà ufficialmente riconosciute e finan-ziate dallo Stato, come le Scuole a ordinamento speciale, circa una dozzina. Ad esempio, la Scuola di dottorato IMT (Istituzioni, Mercati, Tecnologie) di Lucca, sostenuta da cinque grandi Università italiane, che accoglie solo settantacinque studenti per tre anni impegnati in uno dei cinque dottorati di ricerca disponibili. L’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze è un’altra scuola di alta formazio-ne, gestita da un consorzio di sette Università italia-ne; l’Istituto Superiore Universitario di Formazione Interdisciplinare (ISUFI) presso l’Università di Lecce; l’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia (IUSS); la Scuola Galileiana di Studi Superiori di Padova, nata dalla collaborazione tra l’Ateneo di Padova e la Normale di Pisa, che offre una grande

Mario Draghi

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opportunità a ventiquattro studenti. Da rilevare che la Scuola Normale Superiore di Pisa rappre-senta un centro avanzato di alta formazione, la cui risorsa principale è proprio la qualità dei suoi stu-denti, rigorosamente selezionati per il merito tra-mite appositi concorsi. Anche la Scuola Superiore di Catania è una struttura didattica residenziale universitaria di alta formazione, mentre la Scuola Superiore dell’Università di Udine costituisce un

istituto di eccellenza per una comunità di studen-ti e docenti di alto profilo scientifico. La Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa promuove l’innovazio-ne scientifico-tecnologica con un’attività di ricerca in laboratori come, per esempio, il centro di eccel-lenza per l’Ingegneria delle Reti di Comunicazione. La Scuola Superiore Santa Chiara di Siena è carat-terizzata da elevati standard qualitativi, mentre la Scuola Internazionale di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, nata nel 1978, è un istituto di ricerca post-universitario che dall’anno della sua fondazione, ha preparato oltre cinquecento allievi, poi indirizzati con successo alla carriera di ricercatore o di docen-te universitario.

quALCOSA SI STA MuOvENDO IN ITALIA

Certo, queste tipologie di scuole sono poche rispet-to alle 51 “grandes écoles” francesi, però eccellono in qualità e certamente preparano le élite del Paese di domani. Anche se non dobbiamo dimenticare, poi, la quarantina di Collegi Universitari, sparsi in una diecina di regioni italiane, che offrono attività culturale e formativa, servizi residenziali, strutture e strumenti per la didattica di elevata qualità. Peccato che possano ospitare non più di tremila studenti. Per quanto riguarda invece lo studio delle lingue, anche

Palazzo della Carovana: Scuola Normale Superiore di Pisa

Il Ministro della Pubblica Istruzione Maria Stella Gelmini

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grazie al Progetto Erasmus, le nostre Università hanno recuperato alla grande: diverse di loro offrono ottimi corsi tutti in inglese. Alla Sapienza di Roma, invece, vanno benissimo le lingue orientali parlate in quelle aree e mercati che in futuro avranno sem-pre maggiore importanza. I laureati di questi corsi vengono assunti all’estero con forti prospettive di carriera. Da segnalare, infine, che l’Istituto Tecnico Statale “M. Laporta” di Galatina (Lecce), nel 2010 è stato considerato tra le scuole più innovative del mondo, per il suo progetto-pilota di digitalizzazione autorizzato dal MIUR e sostenuto dalla Microsoft. Dopo questa veloce panoramica sul mondo della scuola, con le sue ombre e le sue ancora flebili luci, dobbiamo giocoforza ammettere che a tutt’oggi il punto debole del sistema italiano risiede indiscu-tibilmente nel modesto collegamento tra scuola e mondo del lavoro. Questo è, purtroppo, lo stato dell’arte in cui versiamo attualmente pure se non mancano, anche qui, le provvide iniziative di grandi associazioni nazionali, e qualcosa pare stia muo-vendosi anche in questo settore, mentre il gap tra ideale e situazione reale si un po’ è attenuato. Il Sistema Informativo Excelsior, realizzato insieme da Unioncamere e Ministero del Lavoro, può a ragione essere considerato da alcuni anni a questa parte tra i maggiori strumenti disponibili in Italia per le ricerche sui temi del mercato del lavoro e della for-mazione: è in grado di effettuare interviste a circa centomila imprese riuscendo così a fotografare nitidamente il fabbisogno di occupazione. Anche Confindustria, dalla metà degli anni 90, svolge un’azione di orientamento rivolta ai giovani, in

particolare quelli in uscita dalla scuola secondaria superiore e dalle Università. C’è infine Alma Laurea, un servizio innovativo, gestito da un Consorzio di Atenei Italiani con il sostegno del Ministero dell’Istruzione che pubblica e rende disponibili online i curricula vitae dei laureati (1.500.000 circa presso 64 Atenei italiani, a metà 2011). Nato nel 1994 su iniziativa dell’Università di Bologna, Alma Laurea raggiunge oggi quasi l’80% dei laureati italia-ni e li mette in relazione con le aziende.Mario Draghi, oggi al vertice della Banca Centrale Europea, lo scorso 21 aprile a Palazzo Koch di Roma, in qualità di Governatore della Banca d’Ita-lia, disse: “Ricordiamoci che anche in un paese che cresce lentamente vi sono tante imprese dinami-che, amministrazioni che innovano, giovani con un capitale umano di eccellenza mondiale. E da lì che bisogna partire. Spetta a coloro che, a vario titolo, gestiscono la politica economica compiere il primo passo, poggiando su analisi documentate e trasparenti”. E, successivamente, nelle Considerazioni finali sul 2010, esposte lo scorso fine maggio, c’è scritto che: “Occorre proseguire nella riforma del nostro sistema di istruzione, con l’obiettivo di innalzare i livelli di apprendimento. Troppo ampi restano i divari interni al Paese: tra Sud e Nord, tra scuole della stessa area, anche nella scuola dell’obbligo. Nell’università è desiderabile una maggiore con-correnza fra atenei, che porti a poli di eccellenza in grado di competere nel mondo perché è ancora basso nel confronto internazionale il numero com-plessivo dei laureati”.

Università di Padova

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Cent’anni fa, nel 1911, nelle nostre terre venete era fortissimo il patriottismo, essendo ancora

vivo il ricordo delle guerre risorgimentali contro l’Austria, a partire dal 1848, anno dell’eroica resistenza che valse alla città di Vicenza la decorazione con medaglia d’oro. Ma altrettanto forte era il senso di frustrazione per la persistente occupa-zione straniera di Trento e di Trieste, che non rendeva ancora compiuta l’unifica-zione nazionale, realizzatasi solamente al termine della Grande Guerra nel 1918.Questo spiega la decisione dell’allora Consiglio di Amministrazione della Banca Popolare di consegnare monete d’oro da Lire 50 a ricordo del Cinquantenario dell’unità d’Italia ai trentanove Vicentini superstiti delle Campagne del 1848/1849. Così commentava il giornale “La Provincia Vicenza” il 31 luglio 1911: “Nobilissima deliberazione, che è insieme attestato di squisita filantropia e manifestazione alta e gentile di italianità, per cui lode vivissi-ma va al nostro massimo Istituto citta-dino di credito, che non dimentica, fra le quotidiane occupazioni di interesse esclusivamente economico, le iniziative che hanno – come questa – tanta nobil-tà di sentimento e tanta forza di patriottismo”.Nel 1848 Vicenza era stato uno dei luoghi di mag-giore rivolta e di più tenace opposizione all’invaso-re, fino alla cruenta battaglia consumatasi dentro e fuori il santuario di Monte Berico, violentato anche

con la sacrilega lacerazione del grande quadro di Paolo Veronese raffigurante la cena di S. Gregorio Magno. Occorre, dunque, richiamare sinteticamen-te alla memoria quei tragici eventi.Contemporaneamente alle altre città del Lombardo-Veneto, Vicenza si ribellò all’Austria, proclamò un Governo provvisorio e procedette alla formazione di corpi armati volontari, i quali eressero barricate

La Banca Popolaredi Vicenza per l’Unitàd’Italia

STORIA DELLA BANCAdi Mons. antonio

MarangoniEsperto Archivista

Proprio cent’anni fa il nostro Istituto celebrava i 39 Vicentini superstiti delle campagne risorgimentali del 1848-1949

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e organizzarono la difesa nei punti più strategici del territorio. Nel diario di Luigi Perini, edito di recente dal Giornale di Vicenza, si legge: “affluivano volontari d’ogni parte della Provincia: Fusinato colla compagnia Alpini di Schio, Pier Leonoro Negri colla compagnia Carabinieri, equipaggiati e mantenuti a sue spese, il corpo dei Volontari congedati e defezio-nati del reggimento Zanini. Da Venezia provenivano fucili a pietra focaja, cannoni di marina da posizione,

munizioni e pochi cannonieri pratici delle bocche da fuoco. Per deficienza di armi portatili, i cittadini si armavano di lance, picche, fucili da caccia, pistole, sciabole ed altri strumenti offensivi. L’artiglieria ter-restre si componeva di pochi cannoni comandati dal tenente ingegnere Molon”.Dopo la vittoria sul nemico in aprile, tra Montebello e Sorio, le truppe vicentine si concentrarono nel capoluogo berico e, il 21 e 22 maggio, impedirono

Dopo la capitolazione, l’esodo delle truppe volontarie e di una parte della popolazione

1848, l’assalto del reggimento austriaco alla Villa La Rotonda, sulle pendici dei Colli Berici

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una prima volta, con una accanita resistenza pres-so il Seminario in Borgo S. Lucia, che gli austriaci entrassero in città. Ci fu la replica il 24 maggio, molto più massiccia e organizzata, proveniente da diversi punti: Arcugnano, la Riviera Berica, la Gogna e il tunnel della ferrovia. Fu un secondo successo, come spiega il Perini: “Con due compagnie ed il colonnello Zanellato abbiamo concorso colle truppe Pontificie e Svizzere per tutta la notte cacciandoli

da posizione in posizione, col concorso efficace dei due cannoni, collocati nel forte, alla vittoria finale”. Ritiratisi a Verona, gli austriaci tornarono il 10 giu-gno, sotto il comando del feldmaresciallo Radetzky, facendo il giro per Barbarano, con assalto sia dai colli che dalla pianura. Stavolta non ci fu scampo e, dopo una sanguinosissima battaglia strada per strada, che non risparmiò neppure il luogo più santo per i vicentini, la basilica di Monte Berico

Le disposizioni di Radetzky per assalire Vicenza

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appunto, la città capitolò. Il giorno seguente, i superstiti furono radunati in Piazza dell’Isola e pub-blicamente scherniti dalle truppe nemiche: “erava-mo fatti segno alle più volgari ingiurie della masnada soldatesca croata, briaca della vittoria. A coloro che avevano armi austriache, esse venivano strappate ed a quelli che portavano emblemi patriottici di coccarde con le effigie di Pio IX in argento, queste venivano strappate con l’aggiunta di epiteti insultan-ti, fra i quali ’ti porca Pionona’ e con sputi in viso”. Nonostante ciò, i patrioti vicentini continuarono la loro azione militare trasferendosi in Lombardia e, nel 1849, accorrendo in difesa di Venezia.

LA CERIMONIA uffICIALE NELLA SALA MAggIORE DI pALAzzO ThIENE

Nel 1911, dunque, in occasione del 50° anni-versario dell’Unità d’Italia, la Banca Popolare di Vicenza individuò e premiò i trentanove supersti-ti di quegli avvenimenti eroici: Baretta Gaetano, Boarotto Valentino, Capitanio Luigi, Colombo Giuseppe Luigi, Conte Giuseppe, Cuman Stefano, Dal Corno Angelo, De Marchi Luigi, Fochesato dott. comm. Bartolomeo, Fortunato Antonio, Frieri Felice, Gelmetti Cesare, Gelmotto Antonio, Giongo Marc’Antonio, Griffani Antonio, Leonardi Pietro, Marchesi Antonio, Maruffa Sebastiano, Menegatti Nicola, Nardello Giuseppe, Nardi Vittorio, Nizzero Antonio, Omizzolo Domenico, Panolli Pancrazio, Piccioli Antonio, Pilani Giovanni, Righellato

Paolo, Rossi Giuseppe, Sandini Giovanni, Soave cav. Germano, Terren Camillo, Terriero Domenico Michele, Todeschini Giuseppe, Triban Luigi, Turri Carlo, Valle nob. Pietro, Vendramin Nicola, Vigolo comm. Antonio, Zilio Giovanni.La cerimonia si svolse il 30 luglio 1911 nella sala maggiore al pian terreno di Palazzo Thiene, sede della Banca, alla presenza di autorità e Associazioni di Veterani, Reduci e Garibaldini. Riferiva “Il Giornale di Vicenza” del giorno seguente: “A nome del Consiglio della Banca parlò il sen. Cavalli il quale si compiacque anzitutto del fervore intenso ed unanime che sollevò, per la penisola tutta, la celebrazione del cinquantenario faustissimo… Segue quindi la consegna: ad uno ad uno il comm. Emilani chiama al tavolo i vecchi superstiti ed il sen. Cavalli pone nelle loro mani la medaglia commemorativa. Essa è delle dimensioni di una moneta da due lire: da un lato porta l’effigie di Vittorio Emanuele III e dall’altro un simbolo dell’Italia libera e gloriosa colle date 1861-1911 £ 50. Essa è rinchiusa in una elegante scatola di ’pelouse’ la quale ha sull’esterno le iniziali B. P. V. (Banca Popolare Vicentina)… Sono quasi tutti presenti: si avvicinano al tavolo commossi, quasi lagrimando e balbettando parole inintelligibili di ringraziamento”. E con queste parole, tanto attuali a distanza di cento anni, concludeva il suo articolo l’altro giornale: “l’anima nostra è presa tutta da un senso di commossa ammirazione che ci richiama a doveri che oggi ancora la Patria impone ad ogni onesto cittadino e che nessuno dovrebbe mai dimen-ticare”.

Regno d’Italia, Vittorio Emanuele III. Cinquantenario del Regno d’Italia 1861-1911, 50 lire (1911)

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Nel Brasile dove non esistono dialetti, un paulistano (paulista è chi vive nello Stato di San Paolo, paulistano chi abita nella

città) lo riconoscono in tutto il Paese appena apre bocca. è per via della sua inconfondibile inflessione – in portoghese sotaque – ma soprattutto per quel falar errado (letteralmente “parlare sgrammatica-to”), che era poi l’idioma caratteristico degli emi-grati italiani. Ne è un esempio lampante Trem das Onze (Il Treno delle Undici), un samba orecchiabile che un sondaggio popolare indetto qualche anno fa dal network televisivo Rede Globo ha decretato

come autentico inno di San Paolo. Lo compose, nel 1964, Adoniran Barbosa, considerato il “re” del samba paulista (genere musicale tradizionalmente contrapposto al samba carioca di Rio de Janeiro), attore e cantautore peraltro molto popolare in tutto il Paese per essere stato uno dei personaggi più amati dell’epoca d’oro della radio. Dietro il nome d’arte di Adoniran Barbosa, in realtà, si celava quello di Giovanni Rubinato (1910-1982), settimo figlio di una coppia di emigrati veneti di Cavarzere che nella musica e nel mondo dello spettacolo trovò la propria dimensione. Pensare che l’inno

San Paolo,la più italiana del mondo

EMIgRATIdi Paolo MEnEgHini

Inviato RAI Italia

I nostri connazionali, soprattutto veneti, sono i veri artefici della grandezza della metropoli brasiliana

San Paolo, Avenida Paulista nel 1952

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“ufficiale” di San Paolo – in quel Brasile che è la patria del samba – sia opera di un veneziano, ha dell’incredibile.San Paolo (“Sampa”, per i paulistani) è proprio questa. Una metropoli che parla, respira, si muove, lavora, canta in italiano. Ovunque si volga lo sguar-do c’è sempre un qualcosa che richiama il Bel Paese. La gente, innanzitutto, dal momento che sei dei suoi diciotto milioni di abitanti vantano ascen-denze italiane che risalgono all’epoca della “grande emigrazione”, un periodo compreso fra gli ultimi decenni dell’Ottocento ed i primi del Novecento. Un’italianità coltivata, mantenuta, perfino osten-tata con fierezza come non accade in nessun altro angolo del mondo. Un filo diretto con la propria storia familiare che viene tenuto in vita anche attraverso le richieste di riconoscimento della cit-

tadinanza italiana, tanto che i nostri uffici consolari sono letteralmente intasati di pratiche presentate a getto continuo da discendenti di terza e quarta generazione. Basta passare in un giorno qualsiasi davanti al Consolato Generale italiano di San Paolo – al numero 1963 di Avenida Paulista – per rendersi conto della fila di gente che aspetta il proprio turno per entrare.

gRANDI pIONIERI, gENIALI IMpRENDITORI

L’impressionante sviluppo industriale e demogra-fico che la città ha vissuto nel secolo scorso (65 mila abitanti nel 1890, dieci volte tanti nel 1920, 8,5 milioni nel 1980) è anche frutto della laboriosità,

La sede del Consolato Italiano di San Paolo

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dell’ingegno e dell’intraprendenza di tanti perso-naggi italiani che, partiti dal nulla, hanno saputo creare fior fiore di aziende. Merito indiscusso di questi pionieri (e i brasiliani sono i primi a ricono-scerlo) se la San Paolo dei nostri giorni produce da sola il 13% del PIL nazionale. Fra questi spicca il nome di Francesco Antonio Maria Matarazzo, arri-vato in Brasile nel 1881 da Castellabate (Salerno) con moglie e due figli quando aveva neanche 27

anni. Dopo gli inizi come venditore di strutto ai mercati generali, Matarazzo – passo dopo passo – riuscì a mettere in piedi un vero e proprio impero economico che spaziava dall’industria alimentare a quella tessile, dalle banche alle assicurazioni, dalle compagnie di navigazione all’industria chimica, dalla meccanica, alla ceramica, alle cartiere. Nel periodo di massimo fulgore – alla fine degli anni Trenta – le IRFM (Indústrias Reunidas Fábricas

Foto d’archivio: l’Azienda Matarazzo ...

... gruppo di operai

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... e l’Edifício Matarazzo

Matarazzo) costituivano un conglomerato di 367 aziende che tutte insieme davano lavoro a più di 30 mila addetti: il 60% erano italiani.Nel resto del mondo, in quegli anni d’oro, c’era un solo imprenditore in grado di tenere testa a quell’ita-liano il cui patrimonio personale era stimato in 20 miliardi di dollari: un certo John Davison Rockefeller. Alla sua morte, nel dicembre del 1937, il comando delle IRFM venne assunto dal penultimo dei suoi tre-dici figli, Francisco Júnior (1900-1977), ma la designa-zione non piacque al resto della numerosa famiglia i cui membri iniziarono una feroce lotta intestina che nel giro di pochi decenni portò al completo disfaci-mento del gruppo industriale.Ma il caso, pur eclatante, di Matarazzo non fu isolato. Il lombardo Rodolfo Crespi fondò, nei primi anni del secolo, l’imponente cotonificio omonimo: un com-plesso di 50 mila mentri quadrati coperti su tre piani, disegnato da Giovanni Battista Bianchi, oggi tutelato come patrimonio storico della città. In attività 24 ore su 24, il Cotonificio Rodolfo Crespi dava lavoro a migliaia di operai, e anche qui la maggioranza della

manodopera era di origine italiana, grazie anche al fatto che l’opificio era dislocato – forse non a caso – a due passi dalla Hospedaria dos Imigrantes, il primo luogo di raccolta degli emigrati che arrivavano a San Paolo dopo la traversata oceanica.Parallelamente al rapido sviluppo di questi grandi gruppi industriali, sorsero dal nulla anche i rioni popolari abitati dagli operai e dagli impiegati dei Matarazzo e dei Crespi. Le “Little Italy” di San Paolo si chiamano Mooca, Bixiga, Brás, ma anche Bom Retiro, Vila Olímpia e Moema. è proprio in questi popolosi quartieri che si impose quel falar errado che diventò in breve l’autentica “lingua” paulistana.In tempi più recenti – siamo già nel Secondo Dopoguerra – un altro italiano seppe cogliere appieno le opportunità offerte da una San Paolo che si stava rapidamente imponendo come la vera capitale di tutto il Sud America. La Editora Abril, fondata da Victor Civita (1907-1990) ed oggi gui-data dal figlio Roberto, è uno dei colossi mondiali dell’informazione: stampa 300 riviste in più di 300 milioni di esemplari l’anno e sette di queste sono

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fra le dieci più vendute del Paese. Il rotocalco di punta della Editora Abril, Veja, è il quarto settima-nale di informazione più diffuso al mondo (i primi tre sono statunitensi). Memori delle ristrettezze economiche dell’Italia post-unitaria dalle quali provenivano, questi capi-tani d’industria si distinsero anche come promotori di iniziative sociali, culturali, benefiche e ricreati-ve, molte delle quali (soprattutto ospedali e case di cura) dedicate alle loro maestranze. Geremia Lunardelli (1885-1962), figlio di modesti contadi-ni originari di Mansuè (Treviso), diventato negli anni ‘50 il “Re” mondiale del prezioso chicco (nei suoi possedimenti coltivava 18 milioni di pian-te), sostenne la nascita del Museo di Belle Arti di San Paolo, al quale – un analfabeta come lui, che aveva cominciato a lavorare la terra quando aveva appena 11 anni – donò un’incredibile serie di capo-lavori: sculture di Auguste Rodin, dipinti di Goya, Velasquez, Renoir, Van Gogh e Rembrandt.Anche Cicillo Matarazzo (1898-1977), nipote di Francesco, si dedicò al mecenatismo culturale: nel

1946 fondò il Museo d’Arte Moderna, nel 1951 la Biennale Internazionale d’Arte e qualche anno più tardi gli studi cinematografici Vera Cruz. E dai circoli ricreativi delle fabbriche italiane, spesso sov-venzionati dai proprietari, presero vita i primi club sportivi di San Paolo: il glorioso Palmeiras, nato nel 1914 con l’italianissimo nome di “Società Sportiva Palestra Italia”, è una delle più blasonate squadre di calcio brasiliane; fra le maglie ufficiali del team ce n’è una che riporta ancora lo stemma sabaudo.

LA MIgLIOR COTOLETTA ALLA MILANESE SI MANgIA quI

Anche le architetture della città portano significati-ve “firme” italiane. La sede del MASP (Museo d’Arte di San Paolo), una delle “cartoline” della metropoli, nel cuore di Avenida Paulista, è opera dell’architet-to Lina Bo Bardi (1914-1992), che progettò anche il centro culturale SESC Pompeia. L’imponente Monumento às Bandeiras, altro simbolo paulistano

Monumento às Bandeiras

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ai margini del Parco Ibirapuera, porta la firma dello scultore viterbese Victor Brecheret (1894-1955). L’Edifício Martinelli, voluto nel 1924 dall’impren-ditore Giuseppe Martinelli, fu il primo grattacielo di tutto il Paese. L’Edifício Matarazzo, disegnato da Marcello Piacentini negli anni ‘30 e oggi sede del Comune di San Paolo, è stato per anni il quar-tier generale delle Indústrias Reunidas Fábricas Matarazzo. Un altro dei grattacieli-simbolo della città, dal quale si può godere una vista a 360° sulla metropoli, si chiama Edifício Itália.A San Paolo si mangia benissimo. I gourmand dicono che sia la città dove si può trovare la più ampia scelta di ristoranti di classe al mondo. E anche qui, senza parlare delle quindicimila mila pizzerie presenti in cttà, il primato spetta ad un marchio autenticamen-te tricolore. Fasano è infatti l’alfiere dell’eccellenza italiana nella cucina e nell’ospitalità. Sbarcati a San Paolo nei primi anni del Novecento, da Milano, con il capostipite Vittorio, oggi i Fasano vantano un gruppo di sofisticati ristoranti e hotel di lusso sparsi fra San Paolo e Rio de Janeiro. Chef e materie prime arrivano direttamente dall’Italia, grazie alle scelte “filologiche” di Rogério Fasano, a capo dell’azienda di famiglia, che fa la spola fra San Paolo e Milano. Il complimento più gradito? Fu quando il gastronomo Luigi Veronelli, ospite del ristorante Fasano, confessò ai commensali: «la miglior cotoletta alla milanese che io abbia gustato in tutta la mia vita, l’ho mangia-ta qui, a undicimila chilometri da Milano».

A pROpOSITO DI SAN pAOLO, LO SApEvATE ChE:

– Il suo compleanno cade il 25 gennaio.– Per la strade della città transitano 38 mila taxi.– Le 15 mila pizzerie di San Paolo sfornano ogni giorno un milione di pizze, ossia 720 al minuto.– La sua rete sanitaria è composta da 205 ospe-dali, fra pubblici e privati.– Dispone di 160 teatri e 40 centri culturali. Ogni settimana è possibile assistere a 100 rappresen-tazioni teatrali.– Il mercato municipale movimenta 350 tonnel-late di merce al giorno.– Realizza 90 mila eventi all’anno.– In città vi sono 210 eliporti autorizzati, molti dei quali sui tetti di grandi alberghi e grattacieli. Qui si trova la maggior flotta di elicotteri del mondo.– La rete di illuminazione pubblica è la maggiore del mondo con 530 mila lampioni.– Vi hanno sede il 40% delle aziende private bra-siliane, il 64% dei gruppi internazionali presenti in Brasile e 17 dei 20 maggiori gruppi bancari del Paese.– è possibile mangiare in 12.500 ristoranti di 52 diverse etnie.– Rappresenta il principale mercato mondiale di

vendita della Ferrari; il secondo di Porsche e Lamborghini, il quarto di Maserati.– è l’unica città al mondo ad ave-re ben 4 boutique Tiffany e 3 Bul-gari.– La “grande San Paolo” è oramai arrivata a 25 milioni di abitanti.– Negli orari di punta circolano per Avenida Paulista quasi 6 mila auto e 1500 autobus all’ora.

““

San Paolo vanta la maggiore flotta di elicotteri al mondo

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L’importante evento venne organizzato superando mille difficoltà

STORIAdi zEFiro ciuFFolEtti

Storico

Firenze 1861:la Prima EsposizioneNazionale

Il 15 settembre del 1861, a pochi mesi dalla proclamazione del Regno d’Ita-lia, il Re Vittorio Emanuele II inau-

gurò solennemente a Firenze la prima Esposizione nazionale di agricoltura, industria arti e commercio. Presidente del Consiglio era Bettino Ricasoli, il “Barone di Ferro” succeduto a Cavour, deceduto il 6 giugno precedente, appena cinquanten-ne. Il capo del governo si trovò a gestire in pochissimo tempo l’allestimento di una Esposizione ben più vasta di quelle sino ad allora organizzate in Toscana o in qualsiasi altro Stato preunitario. Firenze, la sua città, non poteva mancare all’appuntamen-to. Sansone D’Ancona, direttore de “La Nazione”, l’autorevole giornale fiorentino fondato da Ricasoli, scrisse al Presidente del Consiglio assicurandolo che avrebbe visto una “Esposizione degna d’Italia e la sua Firenze vestita a festa” (Firenze, 27 agosto 1861). In realtà le cose erano state assai meno facili ed in effetti la data di inaugurazione fu rinviata un paio di volte. I problemi connessi ad un evento di portata nazionale avevano messo a dura prova gli organizzatori e le autorità cittadine con in testa il sindaco, il marchese Ferdinando Bartolommei, che era sto uno dei capi della rivoluzione del 27 aprile 1859, quella che aveva costretto gli Asburgo-Lorena ad abbandonare il Granducato, dopo più di 120 anni di regno. Era stato Quintino Sella, giovane industriale biellese e ministro del governo Cavour, a proporre il disegno di legge per convertire la “Esposizione provinciale della Toscana”, già istituita

Esposizione Italiana di Firenze del 1861 in una stampa dell’epoca

Bettino Ricasoli

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dal governo di Firenze, in Esposizione nazionale ita-liana fin dal 12 giugno 1860, quando Garibaldi era appena partito da Quarto per l’impresa dei Mille. La proposta di Sella venne approvata con la racco-mandazione di trasformare l’Esposizione secondo la dicitura “di prodotti agricoli, industriali e di belle arti d’Italia”. Furono stanziate appena 150.000 lire e fu nominata una Commissione per la scelta dell’edi-ficio da destinarsi all’Esposizione e per l’organizza-zione della stessa, presieduta dal marchese Cosimo Ridolfi, senatore del Regno e presidente della presti-giosa Accademia dei Georgofili di Firenze. Al Ridolfi, in qualità di segretario generale si affiancò il cavalier Francesco Carega, deputato al Parlamento e profes-sore di Agricoltura nel Regio Istituto Superiore di Firenze, un personaggio puntiglioso che non diede pace al Ricasoli, allora capo del governo, per avere più mezzi e per assicurare la presenza del Sovrano il giorno dell’inaugurazione. Purtroppo in quei mesi Ricasoli era alle prese con la delicata questione del brigantaggio nel Mezzogiorno e con i gravi proble-mi finanziari del nuovo Stato.

uNA BuONA OCCASIONE “pER fARE gLI ITALIANI”

Dopo l’impresa dei Mille, l’Italia era quasi fatta – mancavano Roma e il Veneto – ma ora la mostra cadeva a pennello per “fare gli italiani”, cioè per farli conoscere tra loro e per verificare lo stato dell’eco-nomia, che, certamente, non era buono o almeno prospero, così come non lo era il bilancio dello Stato appena nato e già carico di decine di milioni di debito pubblico tanto che qualcuno propose un rinvio, appellandosi alla speranza di tempi migliori: alla fine prevalse l’entusiasmo per il “miracolo” che aveva portato in pochi anni alla creazione del nuovo Regno, che spinse tutti a guardare con fiducia al futu-ro. Anzi si credeva che la libertà politica e l’adozione della politica di libero scambio avrebbero spianato la strada allo sviluppo sia di un più largo mercato interno, che di un fertile interscambio con i grandi paesi europei, Francia ed Inghilterra, in primis, che avevano sostenuto il Piemonte nella fase cruciale della seconda guerra di indipendenza. Per il Comune

Firenze nel 1861

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di Firenze, che doveva ospitare la prima Esposizione nazionale, la sfida era assai impegnativa. La gran-de Firenze, l’Atene d’Italia, non era una metropoli paragonabile a Parigi e Londra. Si pensi che nel 1855 la grande Esposizione del Crystal Palace di Londra, inaugurata trionfalmente dalla Regina Vittoria, aveva richiamato sei milioni di visitatori e aveva rappresen-tato il trionfo della rivoluzione industriale trainata dal vapore, dalle ferrovie, dall’elettricità e dal tele-grafo. Era stata la prima mostra della globalizzazione e dell’espansione dell’Europa in tutti i continenti. Firenze non era Londra, capitale di un impero, e il nuovo Regno, appena nato, non solo era ancora incompleto con tensioni politiche per Roma e il Veneto, ma non era che un insieme di realtà ancora distanti e divise. I venticinque milioni di abitanti dei vecchi stati non erano, come pensava Cavour, un mercato nazionale, se non altro perché non solo le monete erano ancora divise, ma masse enormi di contadini, compresi i mezzadri dell’Italia centrale,

vivevano di autoconsumo e le comunicazioni fra le varie parti del Paese erano ancora scollegate, come del resto erano ancora scollegate le varie linee ferro-viarie degli Stati preunitari.

pER quINTINO SELLA, L’ESpOSIzIONE ERA uNA “quESTIONE D’ONORE”

Per fare un mercato unico nazionale ci sarebbero voluti molti anni ancora, come ha scritto Luciano Cafagna, almeno mezzo secolo. Per l’Italia, come dichiarò Sella, era una “questio-ne di onore” e la mostra, gettando il cuore oltre l’ostacolo, si fece con una spesa che superò i tre milioni di lire a carico delle precarie finanze dello Stato e del Comune di Firenze per almeno un terzo. Finalmente l’Esposizione Nazionale fu inaugurata da Vittorio Emanuele II, e si articolò in una cornice decorosa come la stazione di Porta al Prato, lasciata

Quintino SellaCamillo Benso di Cavour

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libera in vista della nuova stazione di Santa Maria Novella. In settanta giorni si edificò il palazzo in stile neoclassico e gli spazi coperti per 54.000 metri quadrati, più altri locali per altri 112.000 metri qua-drati, più un ampio piazzale e giardino “ricco di rare e svariate piante, di arbusti e di mille fiori”. Infine, una statua equestre “del valoroso nostro Re” dello sculture fiorentino Ulisse Cambi. Tutte le regioni vi furono rappresentate, persino quelle ancora non annesse del Lazio e del Veneto, ma su 8.512 espositori ben 3.506 erano toscani contro 780 lombardi. Le condizioni economiche del Paese, al culmine di un “processo nazionale grandioso”, non erano certo fiorenti come scrisse il Protonotari nella Relazione generale dell’Esposi-zione, ma l’esigenza di mostrare davanti all’Europa una nazione che si apriva allo sviluppo della sua economia, e guardava con coraggio al futuro, era evidente, aldilà di ogni retorica e ogni ottimismo di occasione. Il quadro che veniva fuori era impietoso

a partire dall’agricoltura, dove c’erano punte di eccellenza, ma in generale prevaleva l’arretratezza sul piano del reddito, della produttività e delle strutture sociali: la rendita per ettaro era di 79 lire, contro le 213 dell’Inghilterra e le 170 della Francia. La produzione frumentaria di 9 quintali per ettaro, contro 31 in Inghilterra e 15 in Francia. C’era un saldo passivo della bilancia commerciale per molti prodotti agricoli, fra cui i formaggi, il frumento e il bestiame. Per il vino, come ebbe a scrivere il barone Emilio Bertone di Sambuy nella sua Relazione per l’Esposizione universale di Londra (1862), l’Italia non era sovrastata solo dalla Francia, ma persino dalla Spagna, dal Portogallo e dalla Germania. Un’arretratezza dovuta a molti fattori: vitigni misti, pluricultura, quantità invece di qualità, pratiche di cantina arcaiche. Ricasoli ne era tanto consapevole che spese una vita per creare un vino in grado di far concorrenza a quelli francesi: il Chianti del Castello

Giovanni Fattori (1825-1908): “La diligenza a Sesto”, circa 1872-1873, olio su tela

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di Brolio (1872). Nelle campagne italiane si regi-strava la presenza di quattro milioni di giornalieri (poveri se non poverissimi). I piccoli proprietari in Francia erano 1/5 della popolazione, in Italia 1/77. Gli analfabeti erano per 2/3 fra le classi agricole (su 13 milioni). Le industrie erano in prevalenza piccole e poco evolute, al servizio di mercati locali. Le vere attività industriali erano concentrate nel settore della lana, della seta e del cotone, nell’ex Regno di Napoli e fra il Piemonte e la Lombardia. In Toscana la trattura della seta non riusciva ad elevarsi ad industria, ma rimaneva “accessoria all’agricoltura” e sparpagliata in piccoli opifici senza uso di macchi-ne. Le poche industrie del sud, che fornivano preva-lentemente l’esercito, non più protette, rischiavano di scomparire. Le considerazioni impietose del Protonotari furono ripetute dal famoso giornalista de “La Nazione”, Yorik, che pubblicò un ampio articolo sulla rivista “Il Politeama”. Nonostante tutto, però, l’Esposizione

fu un successo, tanto che la chiusura fu prorogata sino all’8 dicembre del 1861. Ci furono 136.000 visi-tatori e molte centinaia furono gli stranieri. Fra le novità più sensazionali: la presentazione del moto-re a scoppio di Barsanti e Matteucci, il pantelegrafo, anticipatore del fax, dell’abate senese Caselli; il can-none Cavali, “caricantesi a culatta”. L’Esposizione fiorentina segnò la prima uscita uffi-ciale dei pittori Macchiaioli, molti dei quali volon-tari nelle guerre del Risorgimento (Fattori, Signorini, Cabianca). Naturalmente il costo sfondò qualsiasi preventivo superando del triplo le cifre stanzia-te dallo Stato e dal Comune di Firenze. La Regia Villa dell’Imperiale venne attrezzata dal più grande imprenditore del settore turistico a Firenze, l’Augier, per accogliere gli ospiti illustri. Il Comune si trovò in forte debito, ma la città si affermò come città d’arte e di cultura, sia per gli italiani che per gli stranieri. Insomma l’Italia era entrata in Europa e guardava avanti, sfidando il futuro.

Telemaco Signorini (1835-1901): “Una mattina sull’Arno”, 1870-1872, olio su tavola

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Gli sbarchi di emigranti africani a Lampedusa ripropongono una questione antica e per lo più dolorosa

COSTuMI & SOCIETàdi salvatorE costanza

Scrittore

L’onda lunga delle migrazioni mediterranee

Le quotidiane vicende dell’approdo di emi-granti africani a Lampedusa e sulle coste sici-liane, coinvolgendo aspetti di umana convi-

venza, ma anche drammatiche emergenze di assetti giuridici e di sicurezza interna, hanno forse lacerato, nella nostra memoria, la trama storica dei rapporti tra Sicilia e Africa, tra Islam e Cristianità. Ciò che costituisce nella considerazione dei politici fattore contingente, da regolare, e presidiare, nei suoi effet-ti demografici e sociali, ha una storia antica, spesso drammatica, che interseca interessi economici, lotte

di religione, esperienze multietniche. Non è difficile prevedere che tali effetti, all’interno dei contesti globali in cui si muove l’economia/mondo, emer-geranno via via caratterizzando i nuovi itinerari di popoli e civiltà nei processi d’integrazione in atto. Quelle linee di “separazione”, e insieme di contigui-tà e simbiosi, che hanno caratterizzato la storia del Mediterraneo, di cui ha scritto Fernand Braudel, si sono manifestate attraverso flussi e riflussi di popo-lazione, coloni o disperati “clandestini”, producen-dosi come le onde stesse del mar Mediterraneo,

Manifestanti per le strade di Tunisi (2011)

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spinti da eventi “epocali” d’insediamento coloniale, dalle lotte per la decolonizzazione e l’indipendenza del secondo dopoguerra, e ora dalle rivolte contro le tiranníe dei vari rais insediatisi al potere.Dopo la proclamazione della Repubblica presi-denziale tunisina, nel 1959, Habib Burghiba inizia quei processi di nazionalizzazione delle proprietà di stranieri, e di espulsione degli stessi dai circuiti economici locali, che spingeranno migliaia d’Italia-ni, specie di Siciliani, a tornare in patria, seguendo poi il movimento migratorio interno del “miracolo economico” degli anni ’60 per reinserirsi nel tessuto produttivo italiano.

CENTOMILA ITALIANI NELLA SOLA TuNISIA AgLI INIzI DEL ‘900

L’emigrazione italiana nel Maghreb, soprattutto in Tunisia, aveva registrato fin dalla prima metà del secolo XIX un consistente flusso di lavoratori e imprenditori, partendo dagli insediamenti costituiti in quel periodo dagli esuli patrioti (cinquecento nella sola Tunisia). Dopo il 1860, e specialmente dopo il trattato del Bardo del 1881 che decise l’ini-zio del protettorato francese, l’emigrazione italiana nell’Africa settentrionale si estese rapidamente fino a raggiungere, agli inizi del ’900, il numero di cen-tomila presenze nella sola Tunisia, considerata una sorta di “terra promessa” per le possibilità di lavoro e di affari offerte. Nonostante la conflittualità laten-te con la Francia, la colonia italiana potè registrare una forza economica (fattorie agricole, tonnare, attività commerciali) che saldava alla Sicilia, e a Trapani in particolare, attraverso regolari e intensi traffici marittimi, una numerosa e attiva classe borghese (i Fedriani e i Raffo, i Canino e gli Aula, i viticultori panteschi della Kelibia e gli intellettuali degli istituti scolastici e culturali, come la “Dante”). Lo stesso esodo di fuorusciti antifascisti rinsaldava il legame con la madre patria, pur nel contrasto “nazionalistico” alimentato dal regime mussolinia-no. Ma è dopo il secondo conflitto mondiale che si

La Cattedrale di Tunisi. Sotto: aree d’insediamento dei coloni italiani in Tunisia a fine Ottocento (1896)

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innescano le difficili condizioni di convivenza nella colonia, cui si è accennato. Se si cercherà, in seguito, per gli stranieri un modus vivendi compatibile col loro attivismo imprenditoriale, specie nel settore della pesca, non si potrà impedire che, questa volta, siano i maghrebini poveri a lasciare le loro regio-ni per l’esodo verso l’Europa. è negli anni ’70 che l’onda lunga dell’emigrazione lambisce la Sicilia, e il “ritorno infelice” dei Tunisini insediatisi nei luoghi della Kasbah, dove tra l’817 e il 1076 abitavano i loro antichi correligionari arabi, vedrà le flottiglie della marineria mazarese costituite da folti gruppi di pescatori tunisini, marocchini e algerini. L’ultimo censimento ha registrato, a Mazara, la presenza di 3.295 unità di maghrebini, con proprie strutture educative (una Scuola Tunisina, fondata nel 1981 per volontà del Governo maghrebino) e una rap-presentanza al Consiglio comunale. Ma la comu-nità immigrata in Sicilia, scriveva qualche anno fa il sociologo Hannachi, “non chiede o meglio non riesce ad organizzarsi per chiedere, la comunità autoctona non dà. La prima non bussa, la seconda non apre. A parte qualche eccezione, ognuna di esse si limita al minimo necessario nel suo rapporto con l’altra. Il tutto gira intorno ai rapporti sociali obbligati: datore di lavoro-lavoratore, commercian-te-cliente, proprietario-inquilino”. E ora l’onda lunga del mar Mediterraneo spinge dall’Africa verso le coste siciliane migliaia di altri “dannati della terra”, espulsi dalle economie del sot-tosviluppo e “clandestini” della legge codificata. Per

rimanere alla metafora usata dai pescatori per indi-care l’onda lunga che rifluisce dopo una tempesta si tratta del “mare vecchio” della storia mediterranea, che ha portato sull’una e sull’altra sponda migranti e corsari, espulsi ebrei ed esuli politici, ma anche masse operaie, imprenditori e pescatori, interi gruppi fami-liari, nello “scambio” secolare di civiltà e di economie che ha mutato il volto di città e territori. Dalla Tunisia è venuta, il 14 gennaio 2011, con la rivoluzione una spinta a nuove ondate sociali e demografiche che, diffuse ora in tutta l’Africa settentrionale, si ripercuoteranno nell’area medi-terranea dell’Europa, per seguire, con il bisogno di libertà e di nuovi diritti civili che anima quei popoli, le prospettive di un radicale cambiamento dei rapporti economici. L’immagine da cartolina, che si era formata presso l’opinione pubblica, di un paese (la Tunisia) prospero e moderno – “baluardo a difesa dell’Europa dalle derive islamiste” – si è intanto lacerata di fronte alla realtà di masse afflit-te da una “povertà sistemica”, e dalla corruzione dilagante di un regime dispotico. Fattore decisivo della rivoluzione è stata, come noto, la crescita di intere generazioni di giovani istruiti, professional-mente maturi, e desiderosi di libertà, che hanno utilizzato la potenza della rete, i social network, per comunicare il loro disagio generazionale. Sull’onda lunga della emigrazione di massa, un tale fattore di crescita culturale e civile costituirà, certamente, un ulteriore elemento d’innesto e compenetrazione nell’odierna civiltà “globale”.

Uno scorcio del porto canale di La Goulette ai primi anni del ‘’900, quando erano regolari i traffici con la linea di navigazione Tunisi/Trapani, Palermo e Genova

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“Medici in Sicilia”,una lunga galleria di personaggi

Anche il Presidente del Senato alla presentazione del volume edito con il contributo di Banca Nuova

BANCA & gRuppO

di luciano zanini

L’intervento delle Banche del nostro Gruppo per la stampa di pubblicazioni di carattere culturale, storico e artistico, è concentrato

soprattutto sull’edizione dei volumi strenna di fine anno. Volumi che, come i nostri lettori sanno, vengono distribuiti in occasione delle festività nata-lizie, magari preceduti da incontri di presentazione al pubblico e ai media; volumi legati tra loro dal filo comune della trattazione di argomenti riferiti specificatamente ai territori in cui le nostre Banche operano, a contatto con le famiglie, le imprese e le istituzioni locali. E, seppur per ragioni diverse, proprio in questo numero della rivista sono tor-nate protagoniste le ultime due pubblicazioni del genere, di cui peraltro abbiamo scritto nel recente passato: quella di “Aquileia, patrimonio dell’umani-tà” per Popolare di Vicenza e quella di “Arte e storia nei Mari di Sicilia” per Banca Nuova. La prima di esse, come si legge tra i servizi di apertura, è torna-ta d’attualità per essere divenuta speciale omaggio della Banca a Papa Benedetto XVI, in occasione della sua visita nella celebre e storica città friulana; la seconda, presentata in uno dei numeri preceden-ti, viene riproposta all’attenzione per via del recente duplice riconoscimento di livello nazionale che le è stato assegnato: il primo premio assoluto denomi-nato “Sea Heritage Best Communication Campaign Award”, rivolto alle migliori campagne di comuni-cazione che valorizzano il patrimonio marittimo ambientale dell’area mediterranea; il premio riferito alla categoria del solo patrimonio storico. Insomma, un doppio significativo riconoscimento che fà bene all’immagine di Banca Nuova quale sponsor del

Mediterraneo, sempre più protesa verso il “Mare nostrum”, interessata e coinvolta nelle relazioni con i Paesi che vi si affacciano. Ma se, in buona sostanza, la parte del leone nell’ambito della produzione editoriale citata, spet-ta di diritto ai volumi strenna, ciò non toglie che le nostre Banche si interessino anche all’edizione di altre opere che abbiano significato e valore per il territorio di competenza. è, appunto, il caso della

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pubblicazione intitolata “Medici in Sicilia”, curata da Adelfio Elio Cardinale, edita dalla Casa Editrice Edilson-Gnocchi con il contributo di Banca Nuova. L’autore è un personaggio siciliano noto per la sua attività medica, accademica e culturale; ordinario nell’ateneo di Palermo, ha ricoperto e ricopre molti incarichi, come quello di preside della Facoltà medica, vicepresidente dell’Istituto superiore della Sanità, presidente nazionale della Società italiana di radiologia, presidente del Centro ricerche e studi direzionali. è un affermato cultore di storia della medicina e della scienza (ha scritto vari libri e saggi su tali argomenti) e, in questo volume ha raccol-to, per lo più, i propri scritti pubblicati su riviste, Adelfio Elio Cardinale

Il castello di Utveggio

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quotidiani, prefazioni a libri. Un insieme di tren-tatré “medaglioni” di eminenti medici siciliani, ma anche continentali che hanno comunque operato in Sicilia. Si tratta di personaggi che assommano in sé molteplici sfaccettature, combinazioni di virtù e di debolezze, nobili aspirazioni e interessi venali. Si parla di maestri venerati, scienziati che hanno lasciato un’impronta indelebile nell’Isola, inquieti e instancabili ricercatori della verità ma anche di uomini che subirono l’influenza del potere. Insomma, una galleria di personaggi veri, in carne e ossa, sia positivi che negativi che hanno inciso – ed è questo il significato non tanto recondito dell’ope-ra – per lo più positivamente, ma talora negativa-mente, nella storia dell’Isola e dell’Italia stessa.

LA pRESENTAzIONE NELL’INCANTEvOLE SCENARIO DEL CASTELLO DI uTvEggIO

Il Castello di Utveggio si trova in un posto molto particolare, sul promontorio del Monte Pellegrino, definito dal grande Goethe nel suo celebre Viaggio in Italia “il più bel promontorio del mondo”. Posto a circa trecentocinquanta metri sul livello del mare, il Castello è in realtà un imponente palazzo in stile liberty, simile ad un castello neogotico, dal caratte-

ristico colore rosa pallido, da cui si gode una splen-dida vista sulla sottostante città di Palermo. E pro-prio qui, nei saloni di questo luogo così singolare, si è svolto l’incontro di presentazione del volume “Medici in Sicilia”, con la formula del dibattito cui hanno partecipato Stefano Folli, uno dei più pre-stigiosi giornalisti italiani, già direttore del Corriere della Sera, Gianni Pugliesi, rettore universitario e tra gli intellettuali italiani più dinamici e reputati in ambito nazionale e internazionale, Giovanni Pepi, condirettore del Giornale di Sicilia e il presidente di Banca Nuova Marino Breganze. Tra le tante impor-tanti Autorità ed illustri personaggi convenuti all’in-contro, è risaltata la partecipazione del Presidente del Senato Renato Schifani, il quale non ha voluto mancare a questo significativo appuntamento. Nei loro interventi tutti i relatori hanno espresso, a vario titolo, parole di elogio e di stima per il professor Cardinale, autore del volume, e hanno dato vita ad un dibattito vivo e interessante sui contenuti della sua opera, molto apprezzato dal pubblico presen-te. L’opera è stata così analizzata e argomentata in maniera efficace ed elegante, dando corpo ai tanti personaggi illustrati: dal grande medico Giovanni Filippo Ingrassia, fondatore della Medicina Legale, a Giovanni Meli, non solo medico ma Abate e gran-de poeta dialettale siciliano; da Enrico Albanese e Giovanni Basile, rivoluzionari medici che curarono

In prima fila il Presidente del Senato Renato Schifani e signora

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Garibaldi per la ferita di Aspromonte, a Ignazio Cataliotti, chirurgo del Principe di Salina, descritto in modo indimenticabile ne “Il Gattopardo”. E poi, quasi contrapposti tra di loro, sotto il profilo politi-co, grandi medici come, da un lato, Maurizio Ascoli e Camillo Artom, luminari che patirono le leggi razziali, e Egidio Meneghetti, farmacologo e antifa-scista; dall’altro Nicola Pende, eccelso clinico ma tra i promotori delle leggi razziali. E ancora, Giuseppe Pitrè, che fondò in campo internazionale la demo-logia o scienza del folklore, Gaetano Martino, scienziato e statista, fra i padri dell’Unità Europea, e Paolo Giaccone, medico legale, ucciso dalla mafia per non tradire i suoi doveri etici e professionali. Altri ancora ne andrebbero ricordati in questa sede, ma per ragioni di spazio ci fermiamo qui. Tuttavia va sottolineato il fatto che nell’opera non si appro-fondisce solo il valore della memoria ma pure quel-lo delle scuole accademiche, quali istituzioni che

trasmettono sapere, dottrine e valori, nutrendosi da quelle radici dell’albero della medicina e della vita, che dalle stesse si è originato e che è sempre bene aver salde, se si vuole che le fronde dell’essere e del sapere anche attuali siano rigogliose. Per altro verso, non sfuggirà certo al lettore come l’autore tenga in primaria considerazione, in quest’epoca di predominante tecnologia, il valore della medicina umana, quella cioè che mette al centro della sanità il malato, l’uomo fragile e indifeso e non la cura fine a sé stessa e senza anima. Nel suo intervento conclusivo il presidente Breganze – dopo essersi complimentato con il Professor Cardinale per il contributo fornito alla “Storia” patria, non solo medica, della Sicilia, attraverso le tante storie e vite raccontate – l’ha invitato a con-tinuare in questa sua attività pubblicistica, dove “ha saputo dimostrare e dimostra notevoli qualità, vena e verve”.

Il tavolo dei relatori

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Eventi & AttivitàLa BPVI presente anche in Brasile 3Quanta attenzione per le nostre imprese all’estero! 9L’omaggio della Banca a Papa Benedetto XVI 13Gli affreschi Teodoriani di Aquileia 18Aquileia: il simbolismo cristiano nella monetazione imperiale 20Un progetto a sostegno della Sanità 22Per la prima volta in TV e nel cinema 26

Osservatorio EconomicoQuali prospettive per le nostre imprese sui mercati internazionali? 30È sempre debole il collegamento tra scuola e impresa 33

Storia della BancaLa Banca Popolare di Vicenza per l’Unità d’Italia 37

EmigratiSan Paolo, la più italiana del mondo 41

StoriaFirenze 1861: la Prima Esposizione Nazionale 47

Costumi & SocietàL’onda lunga delle migrazioni mediterranee 52

Banca & Gruppo“Medici in Sicilia”, una lunga galleria di personaggi 55

Sommario

In prima di copertina.Veduta di San Paolo (Brasile) dove è attivo da gennaio l’Ufficio di Rappresentanza della Banca Popolare di Vicenza

bpvoggiPeriodico di informazione del Gruppo BPVi

editore: Banca Popolare di Vicenza

direttore responsabile: Luciano zanini

redazione: Pubblicazioni Gruppo BPVi, Via Btg. framarin, 1836100 Vicenza - tel. 0444 339624 - fax 0444 906277

e-mail: [email protected]

registrazione al Tribunale di Vicenza n. 907 del 08.04.97

Grafica e impaginazione: Leonardo Lucchini - Verona

Stampa: Tipografia rumor - Vicenza