che cosa c’è sotto 09 05 2015 con foto

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9 maggio ’15 CHE COSA C’È SOTTO? Leggere Paolo Pileri nella realtà che ci circonda “Che cosa c’è sotto - Il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo” è il nuovo libro di Paolo Pileri, docente di “usi del suolo ed effetti ambientali” al Politecnico di Milano. Un libro divulgativo di grande valore, un’analisi chiara e completa sul consumo di suolo in Italia, e per questo dolorosissima. Un libro che tutti gli italiani dovrebbero possedere ed interiorizzare: conoscenza, consapevolezza e coscienza, come direbbe Pileri. Quanto tempo ci resta per acquistarlo? Sicuramente meno di 200 anni, il tempo in cui gli italiani avranno distrutto le proprie vite; l’era di interminabili carestie, inquinamento e rifiuti. Circa 2 secoli è il tempo che gli italiani impiegherebbero, all’attuale ritmo cementificatorio (8 m 2 al secondo) per seppellire tutti i 6 milioni di ettari di suolo pianeggiate coltivabile di cui ancora dispongono. Ma dall’esame di Pileri sembra emergere che il cannibalismo del territorio non è ascrivibile interamente alla Plutocrazia dei Poteri forti, come spesso ci si racconta in cerca di autoassoluzione: il Bel paese è saccheggiato dai suoi stessi abitanti che dicono di volergli bene. Ne è la prova il fatto che degli 8.048 comuni italiani, più del 70% non supera i 5.000 abitanti ed ha in gestione il 54% del territorio e del paesaggio nazionale. Cosa significa? Significa che la rapina dell’Italia comincia in un consiglio comunale composto da 6 7 persone (tale è il numero dei membri del consiglio in moltissimi comuni sotto i 5.000 abitanti) che non comprendono la portata delle loro azioni e negano le loro responsabilità. Significa che in un comune sotto i 5.000 abitanti si conoscono tutti e il voto di scambio è la regola. E sono proprio le logiche clientelari e familistiche, unitamente all’aumento della rendita fondiaria dovuto ai cambi di destinazione d’uso del suolo, che trasformano un campo in una stecca di case, 5 ettari in un ipermercato, 8 ettari in un centro commerciale e così via. Ma come dice Massimo Fini, giornalista e scrittore, se prendiamo tutto il denaro del mondo e lo buttiamo nel cesso l’umanità vive lo stesso, come ha vissuto per moltissimo tempo. Se prendiamo tutti i campi agricoli del mondo e facciamo altrettanto, l’umanità muore stecchita. Eppure, come racconta Paolo Pileri, tra il 1990 e il 2010 l’Italia, anzi, gli italiani, hanno ridotto la capacità interna di produzione di cibo per un equivalente di 9,6 milioni di persone alimentabili, il 16% in meno degli italiani. Infatti la diminuzione di produttività agricola locale dovuta alla cementificazione, per sommatoria, cancella la sicurezza alimentare del Paese. Come si esce da questa spirale criminale? Abbattere la frammentazione amministrativa in favore di una sorta di bioregionalismo e il calcolo comunale del proprio “bilancio di responsabilità alimentare locale”, consistente nella stima dei prodotti agricoli producibili con i propri terreni agricoli, sono solo due delle molte proposte che ha in mente Pileri. Ma sopra ogni cosa Pileri sembra rivolgersi ai cittadini: “La base deve farsi sentire di più”. L’urbanistica – dice il docente è un argomento rimosso dal discorso politico e da quello pubblico; argomento considerato noioso e solo per addetti ai lavori. Eppure occorre tornare ad occuparsi (e in fretta) di progetto del territorio, questione ambientale, uso di risorse, paesaggio. I soggetti che devono dare il segnale sono i cittadini, e se non vi è interesse difficilmente le soluzioni tecniche/politiche/economico finanziarie avranno la possibilità di essere approvate e fatte funzionare. Altrimenti? Altrimenti continuiamo pure ad aumentare la dose di droga, abbagliati dalla seduzione del cemento e dall’idea di crescita che ci hanno appiccicato addosso, continuiamo a produrre, fatturare, lavorare, consumare sempre di più, fino a quando avverte Massimo Fini la gente sarà costretta a mangiarsi i marciapiedi. A quel punto, chi è in grado di comprendere, si compri un campo, ci coltivi qualcosa, e acquisti dei kalashnikov per difendersi da quelli che verranno dalle città. Ma non prima di aver letto e provato il libro di Paolo Pileri. Michele Favaron

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“Che cosa c’è sotto - Il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo” è il nuovo libro di Paolo Pileri, docente di “usi del suolo ed effetti ambientali” al Politecnico di Milano. Un libro che tutti gli italiani dovrebbero possedere ed interiorizzare: conoscenza, consapevolezza e coscienza, come direbbe Pileri.

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9 maggio ’15

CHE COSA C’È SOTTO?

Leggere Paolo Pileri nella realtà che ci circonda

“Che cosa c’è sotto - Il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo” è il nuovo libro di Paolo Pileri, docente di

“usi del suolo ed effetti ambientali” al Politecnico di Milano.

Un libro divulgativo di grande valore, un’analisi chiara e completa sul consumo di suolo in Italia, e per questo

dolorosissima.

Un libro che tutti gli italiani dovrebbero possedere ed interiorizzare: conoscenza, consapevolezza e coscienza, come

direbbe Pileri.

Quanto tempo ci resta per acquistarlo? Sicuramente meno di 200 anni, il tempo in cui gli italiani avranno distrutto le

proprie vite; l’era di interminabili carestie, inquinamento e rifiuti.

Circa 2 secoli è il tempo che gli italiani impiegherebbero, all’attuale ritmo cementificatorio (8 m2 al secondo) per

seppellire tutti i 6 milioni di ettari di suolo pianeggiate coltivabile di cui ancora dispongono.

Ma dall’esame di Pileri sembra emergere che il cannibalismo del territorio non è ascrivibile interamente alla Plutocrazia

dei Poteri forti, come spesso ci si racconta in cerca di autoassoluzione: il Bel paese è saccheggiato dai suoi stessi

abitanti che dicono di volergli bene.

Ne è la prova il fatto che degli 8.048 comuni italiani, più del 70% non supera i 5.000 abitanti ed ha in gestione il 54%

del territorio e del paesaggio nazionale.

Cosa significa?

Significa che la rapina dell’Italia comincia in un consiglio comunale composto da 6 – 7 persone (tale è il numero dei

membri del consiglio in moltissimi comuni sotto i 5.000 abitanti) che non comprendono la portata delle loro azioni e

negano le loro responsabilità.

Significa che in un comune sotto i 5.000 abitanti si conoscono tutti e il voto di scambio è la regola.

E sono proprio le logiche clientelari e familistiche, unitamente all’aumento della rendita fondiaria dovuto ai cambi di

destinazione d’uso del suolo, che trasformano un campo in una stecca di case, 5 ettari in un ipermercato, 8 ettari in un

centro commerciale e così via.

Ma come dice Massimo Fini, giornalista e scrittore, se prendiamo tutto il denaro del mondo e lo buttiamo nel cesso

l’umanità vive lo stesso, come ha vissuto per moltissimo tempo.

Se prendiamo tutti i campi agricoli del mondo e facciamo altrettanto, l’umanità muore stecchita.

Eppure, come racconta Paolo Pileri, tra il 1990 e il 2010 l’Italia, anzi, gli italiani, hanno ridotto la capacità interna di

produzione di cibo per un equivalente di – 9,6 milioni di persone alimentabili, il 16% in meno degli italiani.

Infatti la diminuzione di produttività agricola locale dovuta alla cementificazione, per sommatoria, cancella la sicurezza

alimentare del Paese.

Come si esce da questa spirale criminale?

Abbattere la frammentazione amministrativa in favore di una sorta di bioregionalismo e il calcolo comunale del proprio

“bilancio di responsabilità alimentare locale”, consistente nella stima dei prodotti agricoli producibili con i propri

terreni agricoli, sono solo due delle molte proposte che ha in mente Pileri.

Ma sopra ogni cosa Pileri sembra rivolgersi ai cittadini: “La base deve farsi sentire di più”.

L’urbanistica – dice il docente – è un argomento rimosso dal discorso politico e da quello pubblico; argomento

considerato noioso e solo per addetti ai lavori. Eppure occorre tornare ad occuparsi (e in fretta) di progetto del territorio,

questione ambientale, uso di risorse, paesaggio.

I soggetti che devono dare il segnale sono i cittadini, e se non vi è interesse difficilmente le soluzioni

tecniche/politiche/economico – finanziarie avranno la possibilità di essere approvate e fatte funzionare.

Altrimenti?

Altrimenti continuiamo pure ad aumentare la dose di droga, abbagliati dalla seduzione del cemento e dall’idea di

crescita che ci hanno appiccicato addosso, continuiamo a produrre, fatturare, lavorare, consumare sempre di più, fino a

quando – avverte Massimo Fini – la gente sarà costretta a mangiarsi i marciapiedi.

A quel punto, chi è in grado di comprendere, si compri un campo, ci coltivi qualcosa, e acquisti dei kalashnikov per

difendersi da quelli che verranno dalle città.

Ma non prima di aver letto e provato il libro di Paolo Pileri.

Michele Favaron

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CI SONO TANTI APPROCCI SBAGLIATI AL SUOLO...

Ex “Iram” di Caselle di Selvazzano Dentro (PD), un’area da recuperare prima di consumare nuovo suolo!

2 campi da calcio affiancati a Selvazzano Dentro (PD), apparentemente identici, solo che quello di sx è di erba vera

mentre quello di dx di erba sintetica, quello di sx costa 4.000 € l’anno per mantenerlo in buone condizioni, quello di dx

costa 600.000 € solo per realizzarlo e dopo 8 anni è da buttare in discarica. Quello di sx può trattenere a costo zero

milioni di litri d’H2O, quello di dx è impermeabile se non addirittura considerabile cementificato. Quello di dx può

provocare traumi, distorsioni e lesioni al ginocchio, quello di sx molto meno.

Ci sono tanti modi di realizzare una pista ciclabile e di sicuro asfaltare un campo in golena e mascherare l’asfalto con

la ghiaia (foto a sx) è il modo più stupido, soprattutto se qualche metro più in là c’è già una strada chiusa al traffico

(foto a dx), già asfaltata, parallela e sulla sommità arginale (località “Sabbionari”, Trambacche di Veggiano – PD)

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La vita è fatta anche di semplicità, misura ed estetica. Un percorso ciclopedonale non deve per forza essere una colata

di asfalto camuffata con ghiaia (foto di dx), tanto più in un contesto campestre e sulla sommità arginale. La tecnica del

passato spesso costa molto meno e funziona meglio (foto di sx). Argine di Selvazzano Dentro (PD).

Il paesaggio non è una cazzata. Ecco come diventerà l’argine di S.Maria di Veggiano (PD) in nome di una finta

mobilità sostenibile che inoltre arriva dopo che il trasporto su gomma caratterizza ormai tutto il Veneto!

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Il suolo è un sistema delicato. Modificare, anche leggermente, la struttura di un terreno (10 settembre 2014, Veggiano -

PD) per farci una pista da motocross ad esempio, anche dopo il ripristino, determina una disomogenità nella crescita

delle piante coltivate (2 maggio 2015: effetto erbaio di Loiessa ondulato, diradato e con differenze cromatiche).

Immaginate cosa comporterebbe, con un cambio di destinazione d’uso, asportare la parte superficiale del suolo

(modifica di struttura e stratigrafia), farvi un cantiere sopra o costruirvi delle fondamenta o un interrato → condizione

di irreversibilità e impossibilità di riconvertire il campo all’agricoltura in “tempi umani”! (Paolo Pileri spiega che 500

anni è il tempo necessario alla formazione di uno spessore di 2,5 cm di suolo)

Anche gettare ghiaia e pietrisco su un terreno agricolo rendendolo un deposito e parcheggio per camion è consumo di

suolo. Gli scarichi oleosi degli autocarri percoleranno nel suolo inquinandolo, la compattazione del suolo lo renderà

impermeabile, l’interruzione dei flussi di carbonio lo impoverirà fino alla morte. Quel suolo non sarà più agricolo (17

febbraio 2015, Via Volti, Torreglia (PD), Parco regionale dei Colli Euganei, in piena migrazione riproduttiva degli

Anfibi, ceduazione e deposito in mezzo alla rotta migratoria degli animali diretti agli stagni e davanti al rospo-dotto).