che cos’era una villa romana? perchè i romani costruivano · le fi gg. 1 e 7 sono tratte da: v....

44
Che cos’era una villa romana? Perchè i romani costruivano grandi ville in riva al mare e quali erano i comfort di cui amavano circondarsi? Questo volumetto cerca di dare risposta a queste domande e di spiegare quanto si può vedere nella villa romana della Foce in base ai risultati preliminari delle ricerche che si sono svolte dal 2003 al 2005 nella villa. Comune di Sanremo Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria Università degli Studi di Genova ©www.archeologiametodologie.com

Upload: others

Post on 20-May-2020

1 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Che cos’era una villa romana? Perchè i romani costruivano grandi ville in riva al mare e quali erano i comfort di cui amavano circondarsi? Questo volumetto cerca di dare risposta a queste domande e di spiegare quanto si può vedere nella villa romana della Foce in base ai risultati preliminari delle ricerche che si sono svolte dal 2003 al 2005 nella villa.

Comune di Sanremo Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria

Università degli Studi di Genova

©www.archeologiametodologie.com

La villa romana della FoceSanremo (Imperia)

a cura di M. Medri

©www.archeologiametodologie.com

©www.archeologiametodologie.com

©www.archeologiametodologie.com

LA VILLA ROMANA DELLA FOCE

SANREMO (IMPERIA)

A CURA DI M. MEDRI

©www.archeologiametodologie.com

Il Progetto per la valorizzazione delle ville di Foce e di Bussana è stato curato da Elvira Serafi ni e Loretta Marchi dirigente e funzionario del Servizio Museo.

Autori dei testi:Luigi Gambaro (L. G.)Marina Lo Blundo (M. L. B.)Maura Medri (M. M.)

Disegni e rilievi originali: C. AustoniElaborazioni CAD: A. Cavallo, F. SivoriRicostruzioni 3D: R. Brinatti

Design e composizione: T. Canonici

Foto copertine: 1a, foto aerea realizzata dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri di Genova; 2a e 3a, ricostruzioni 3D della villa della Foce di Sanremo (IM).

Sanremo, 2006© Comune di Sanremo, Imperia

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o trasmessa sotto qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo elettronico o meccanico, comprese fotocopie, re-gistrazioni su nastro o mediante memorizzazione, senza il permesso scritto. Le eventuali trasgressioni verranno perseguite ai sensi di legge.

©www.archeologiametodologie.com

Si deve a Piero Barocelli, tra gli anni ’20 e ’30 dello scorso secolo, il primo interesse scientifi co e di tutela sui resti del complesso termale di età romana imperiale situato a Sanremo presso il mare, sulla riva destra del torrente Foce.Era già stato edifi cato nella prima metà dell’ottocento il cimitero monumentale della città, che insieme alla linea ferroviaria Genova–Ventimiglia avrebbe defi nitivamente precluso ulteriori più estese indagini.Gli interventi di tutela verso le strutture, testimonianze di una villa di otium, si sono susseguiti nel tempo. La conclusione dell’esproprio nel 1960 ha rappresentato la prima concreta azione della Soprintendenza e del Comune di Sanremo per rendere fruibile quest’area archeologica.Da allora molte sono state le diffi coltà per completare l’iniziativa. La nuova attenzione maturata da parte degli Enti Locali verso i beni culturali del territorio ha permesso al Comune di Sanremo di costruire un progetto per la valorizzazione di questo sito in piena sintonia con il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d. lgs. 42/2004).Dal 2002 Comune di Sanremo, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria, Università di Genova-D.AR.FI.CL.ET. stanno collaborando fattivamente e con entusiasmo integrando competenze e risorse, innanzitutto per la conoscenza del sito. Questa pubblicazione costituisce una signifi cativa tappa del percorso progettuale che prevede al termine la sistemazione e l’apertura al pubblico dell’area.

Giuseppina Spadea Soprintendente per i Beni Archeologici della Liguria

L’Università degli Studi di Genova, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria ed il Comune di Sanremo in questi ultimi anni hanno unito i loro sforzi per la valorizzazione e le tutela del patrimonio storico ed archeologico del comprensorio comunale.In particolare si è voluto riprendere il discorso, da troppo tempo interrotto, dello studio e della salvaguardia delle due ville romane di Sanremo, la Villa della Foce e la villa di Bussana, ed è nell’ambito di questa profi cua sinergia che si inquadra la pubblicazione, “La villa romana della Foce di Sanremo” curato dalla Prof.ssa Maura Medri, nella quale viene esposta la storia delle ricerche archeologiche e degli studi effettuati nell’ambito del progetto di valorizzazione promosso dall’Assessorato alla Cultura.Questo libro è quindi un’ulteriore testimonianza della volontà e del desiderio da parte dell’Amministrazione Comunale di salvaguardare, rendere fruibile e promuovere la conoscenza del proprio patrimonio archeologico, all’interno di una più ampia attività culturale che si vuole intraprendere insieme agli altri enti, soprattutto per mezzo della ricerca continua che auspichiamo porti, come in questo caso, a pubblicazioni e contributi scientifi ci di sicuro valore.

Daniela Cassini Assessore alla Qualità e trasparenza amministrativa

©www.archeologiametodologie.com

Ringraziamenti

Gli autori e la curatrice ringraziano gli studenti, laureandi, laureati, specializzandi e specializzati che hanno a vario titolo collaborato a svolgere il progetto di lavoro sulla villa della Foce di Sanremo e in particolare Marta Conventi che ha avuto durante il biennio 2004 – 2005 la responsabilità dei settori di scavo nella villa stessa.Un ringraziamento sentito va, inoltre, a Elvira Serafi ni e Loretta Marchi per l’impegno personale profuso in questa iniziativa e per l’amichevole simpatia con cui hanno seguito il nostro lavoro.

Referenze delle immagini Le fi gg. 1 e 7 sono tratte da: V. Swanson, Sir Lawrence Alma Tadema. Un peintre victorien, une evocation de l’antiquite, London 1977.

La fi g. 2 è tratta da: Traiano. Ai confi ni dell’impero. Mostra, Ancona 19 ottobre 1998 – 17 gennaio 1999, Milano 1998.La fi g. 3 è tratta da: L. Pirzio Biroli Stefanelli, Il bronzo dei romani. Arredo e suppellettile, Roma 1990.La fi g. 4 è tratta da: M. De Franceschini, Le ville romane della X Regio (Venetia et Histria).Catalogo e carta archeologica dell’insediamento romano nel territorio, dall’età repubblicana al tardo impero, Roma1998.La fi g. 5 è tratta da: J.Renn, G.Castagnetti, Homo Faber: studies on Nature, Tecnology, and Science at the time of Pompei, Roma 2002.Le fi gg. 6, 11, 12, 36, 38 sono tratte da : I. Nielsen, Thermae et Balnea. The Architecture and Cultural History of Roman Public Baths, Aarhus 1990.La fi g. 8 è tratta da: M. Pasquinucci (a cura di), Terme romane e vita quotidiana, Modena 1987.La fi g. 9 è tratta da: A. Carandini, A. Ricci, M. de Vos, Filosofi ana. La villa di Piazza Armerina. Immagine di un aristocratico romano al tempo di Costantino, Palermo 1982.La fi g. 13 è tratta da: R.Cassanelli, P.L.Ciapparelli, E.Colle, M.David, Le case e i monumenti di Pompei nell’opera di Fausto e Felice Niccolini, Novara, 1997.Le fi gg. 14, 15, 16, 17, 18, 20 provengono dagli Archivi della Soprintendenza per i Beni Ar-cheologici della Liguria.La fi g. 19 è tratta da: N. Lamboglia, Nuovi scavi a Taggia e a Sanremo, “Rivista di Studi Li-guri”, 8, 1942, pp. 25-40.La fi g. 21 è tratta da: F. Ragazzi, C. Corallo, Chiavari, Genova 1981.La fi g. 23 è tratta da: www.jimena.com/egipto/apartados/hidraulica.htm La fi g. 24 è tratta da: S. Touam, L’Egypte des pharaons, Bordeaux 1996.La fi g. 25 è una elaborazione originale di M. Lo Blundo.

Le fi gg. 10, 22, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 37, 39, 40, 41 e tutti i grafi ci, tratti da disegni originali, sono stati realizzati dal gruppo di lavoro del Progetto per lo studio e la valo-rizzazione delle ville romane della Foce e di Bussana, Sanremo (IM) e sono qui riprodotti per gentile concessione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria.

©www.archeologiametodologie.com

INDICE

LE VILLE NEL MONDO ROMANO 7

1. La villa d’ozio 72. Le terme in villa 13

LA VILLA DELLA FOCE 18

1. Dalla prima scoperta a oggi 182. La casa e i campi, prima dello scavo 263. Il pozzo a cicogna 284. I resti della villa 31

PER SAPERNE DI PIU’ 40

©www.archeologiametodologie.com

©www.archeologiametodologie.com

11

LE VILLE NEL MONDO ROMANO

1. La villa d’ozio

Le ville erano a tutti gli effetti del-le vere e proprie aziende produttive, funzionali alla gestione di grandi pos-sedimenti terrieri specializzati in mo-nocolture di pregio, soprattutto vigneti e uliveti. Per questo motivo, all’inter-no di molte ville spesso si trovano due parti distinte, una abitativa, pars urba-na, l’altra dotata di impianti per la tra-sformazione dei prodotti agricoli, pars rustica. Anche le ville marittime, col-locate in prossimità della costa o sulla riva stessa del mare, potevano essere collegate a possedimenti agricoli nel-l’immediato entroterra o avere settori attrezzati per un’attività tipicamente marinara: l’allevamento del pesce o delle ostriche, che si svolgeva in appo-site peschiere alimentate con l’ acqua salmastra. Ma le ville erano anche residenze lus-suose e i loro proprietari amavano tra-scorrervi periodi più o meno lunghi di svago e di riposo. Anzi, con il trascor-rere del tempo, a partire dalla fi ne del I secolo a. C., fu proprio quest’ultima funzione a prevalere su quella produt-tiva. Molto spesso situate in luoghi scelti appositamente per la loro bellez-za e per le viste panoramiche che po-tevano offrire, le ville erano attrezzate per offrire ogni genere di comfort. Se la villa, come è per la villa della Foce,

veniva costruita vicino al mare, non potevano mancare terrazze o passeg-giate coperte sotto i portici o comun-que alcuni ambienti in cui sostare e ri-posare, godendo dello spettacolo della natura. La villa, infatti, è per elezione la dimora fuori città ed espressione caratteristica del modo di vivere e di abitare delle classi più abbienti.

Fig. 1. Alma Tadema, Silver favourites, 1903. Alma Tadema, pittore inglese dell’Ottocento, in gran parte della sua opera pittorica ha tratto ispirazione dall’antichità classica. In questo dipinto le giovani fanciulle che s’intrattengono nella terrazza sul mare suggeriscono l’amenità della vita in villa.

La villa d’ozio

©www.archeologiametodologie.com

12

Per i nobili romani il riposare era un’attività complessa che compren-deva molte occupazioni che noi non consideriamo svaghi o passatempi, come studiare la letteratura, la fi loso-fi a e la storia, scrivere, declamare ver-si o leggere ad alta voce in compagnia degli amici, che soggiornavano in villa insieme al proprietario, secondo l’an-tico costume dell’ospitalità. Tutto questo veniva defi nito con la parola otium in contrapposizione al negotium, cioè all’attività politica, l’unico lavoro che veniva considerato degno di un uomo libero e nobile di nascita. La villa, quindi, era il luogo dove dedicarsi alla vita spirituale e alla cultura, lontani dalla confusione e dall’assillo della vita cittadina. Que-sto concetto ideale del vivere in villa derivava ai Romani dalla Grecia e, in particolare, tendeva a imitare lo stile di vita dei grandi monarchi ellenistici e delle loro corti. Una manifestazione di lusso, insomma, per cui il proprieta-rio, dominus, non mancava di abbelli-re la propria villa con architetture sce-nografi che e vere e proprie collezioni d’arte, per fare sfoggio di ricchezza e soprattutto di gusto e di cultura.Nell’epoca corrispondente alla costru-zione della villa romana della Foce e al suo periodo di uso, tra il I e il II secolo d. C., siamo informati sulla struttura delle ville romane e sulla vita che i proprietari conducevano in vil-la da molti autori latini che trattano a vario scopo di questo tema. Tra questi spicca per la freschezza e la ricchezza

delle informazioni Plinio il Giovane, nipote di Plinio il Vecchio, il celebre naturalista morto durante l’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei e Ercolano.

Plinio il Giovane visse al tempo del-l’imperatore Traiano, intrattenendo rapporti con molti personaggi noti del-l’epoca, tra cui lo storico Tacito. Tra le sue opere a noi pervenute dall’antichi-tà, conosciamo il ricco epistolario: let-tere indirizzate a parenti e amici, senza uno scopo preciso, solo per raccontare e condividere le esperienze. Proprio per questo motivo, le informazioni che se ne possono trarre hanno per noi una spontaneità diffi cilmente riscontrabile in altro genere di opere antiche: sono

Fig. 2. Ritratto dell’imperatore Traiano (98-117). In quest’epoca la villa della Foce era stata appena costruita.

Le ville nel mondo romano

©www.archeologiametodologie.com

13

notizie involontarie, scritte nel conte-sto di un discorso tra amici. Molte di queste lettere contengono la descrizio-ne delle numerose proprietà immobi-liari di Plinio il Giovane e soprattutto delle ville che egli possedeva in vari luoghi d’Italia. Una lettera in parti-colare parla di una sua villa posta in prossimità del mare, come quella della Foce di Sanremo. Si tratta dell’epistola indirizzata all’amico Gallo, dove viene

descritta la villa di Laurentum, località posta poco a sud della foce del Tevere, presso l’odierna Lavinio. I molti detta-gli contenuti nel testo di Plinio hanno attratto l’attenzione di studiosi e artisti che in varie epoche si sono cimentati nella ricostruzione delle architetture di questa villa, per altro sconosciuta e della quale non sono noti resti archeo-logici.

La villa di Laurentum

Caio Plinio invia i suoi saluti al caro Gallo. Tu ti meravigli che io sia così soddisfatto di stare nel mio possedimento di Lau-rentum: smetterai di stupirti quando avrai visto quanto è incantevole la villa, quanto sia felice la scelta del luogo e quale sia l’estensione della spiaggia…La villa è in grado di soddisfare tutte le esigenze e la manutenzione non è costosa. L’ingresso dà sull’atrio, semplice ma decoroso, viene poi un portico che si incurva a somiglianza di una D, delimitando tutto all’intorno un’area aperta piccola ma graziosa. Questo ambiente è un ottimo rifugio contro le intemperie perché è protetto da vetrate e ancor più dalle sporgenze dei tetti. Di fronte al centro del portico si apre un piacevolissimo cortile, poi una sala da pranzo abbastanza bella che si protende verso la spiaggia e, quando il mare è battuto dal libeccio, viene dolcemente sfi orata dalle ultime onde ormai infrante…c’è un’ampia camera da letto, poi un’altra più piccola che da una fi nestra accoglie il sole che sorge e dall’altra lo trattiene quando tramonta: da quest’ultima si vede ancora il mare che sta sotto…All’angolo è una stanza con un lato curvato a semicerchio dalle cui fi nestre si può seguire tutto il percorso del sole. In una delle pareti è stato incastrato un armadio con la funzione di libreria per conte-nere non i libri che si leggono una volta sola ma quelli che si consultano spes-so…Segue la sala per i bagni freddi, spaziosa e vasta, nelle cui opposte pareti sporgono all’esterno i muri semicircolari di due vasche molto capienti anche se si pensa che il mare lì vicino. Accanto si trova la stanza per i massaggi e i profumi, quindi gli impianti di riscaldamento del bagno e due sale più eleganti che sontuose. Subito vicino c’è una meravigliosa piscina di acqua calda, dalla quale i nuotatori possono vedere il mare, non lontano c’è la sala per il gioco della palla…

Plinio Cecilio Secondo, Epistole, II, 17

La villa d’ozio

©www.archeologiametodologie.com

14

Questa lettera ci aiuta a immaginare tutto quanto si è perduto nella villa ro-mana della Foce: l’atrio, cioè l’ingres-so principale verso la strada, i loggiati e i cortili porticati, dotati di vetrate, innovazione ancora recente ai tempi di Plinio il Giovane, e le sale da pranzo spesso abbinate alle camere da letto, elementi entrambi immancabili per il ricevimento degli ospiti. Molto evi-dente in tutto il testo è l’attenzione che Plinio pone nel sottolineare l’aspet-to panoramico: le ampie fi nestre con vista sul mare e sui monti, esposte ai vari punti cardinali per poter godere del sorgere e del tramontare del sole, sembrano essere la caratteristica più importante. Le ville, infatti, erano co-struite in luoghi scelti appositamente per ottenere questo risultato. Si com-prende anche dalle parole di Plinio come il rapporto con la natura selvag-

gia circostante fosse sempre mediato dall’architettura e lontano dallo spirito romantico e contemplativo che è a noi oggi più familiare. Conosciamo da vari resti archeolo-gici ville tutte molto diverse tra loro, ma con caratteristiche ricorrenti. Per esempio, molto tipica della villa di epoca romana è la presenza di un grande numero di stanze, ciascuna de-stinata a una funzione specifi ca, a un momento particolare della giornata o dell’anno, come nel caso delle sale da pranzo, che potevano essere più di una, esposte a nord per l’estate o a sud per l’inverno. Queste sale erano ric-camente decorate con pitture alle pa-reti e pavimenti in mosaico perché il banchetto, o convivio, era uno dei mo-menti nodali della vita sociale in cui si esprimeva l’ideologia delle classi più abbienti.

Fig. 3. Pompei, pittura con scena di banchetto. La sala da pranzo era detta triclinio, vi si cenava sdraiati su letti e le vivande erano posate su piccoli tavolini.

Le ville nel mondo romano

©www.archeologiametodologie.com

15

Molto spesso, quindi, le ville raggiun-gevano grandi estensioni di superfi cie edifi cata, nell’ordine di varie migliaia di metri quadri. Cosa che non deve stupire, anche se strana in rapporto al mondo moderno, perché la casa di città di un nobile patrizio poteva avere una superfi cie enorme, fi no a 3000 metri quadri o più. A seconda del modo in cui gli ambienti sono disposti, le vil-le romane possono essere raggruppate per tipologie e si percepisce anche una variazione attraverso il tempo degli schemi adottati per la pianta di base. In particolare, la villa romana della Foce appartiene probabilmente a un tipo detto ‘a schema libero’ che si af-ferma a partire dal I secolo d. C., in cui tutti gli ambienti, a seconda delle loro funzioni, sono raccolti in gruppi separati gli uni dagli altri e distribuiti armonicamente nel paesaggio. Alcune

ville sul mare rinvenute in altri siti ar-cheologici possono essere paragonate a quella della Foce e ci aiutano a capi-re come poteva essere prima di andare in gran parte distrutta. La villa di Brioni, in Val Catena, pro-vincia di Trieste, è conservata pres-soché per intero e si sviluppa tutto intorno a un golfo attrezzato con moli per l’attracco di piccole imbarcazioni. Vi sono vari settori: a sud, una zona residenziale più compatta, un grande portico semicircolare a ovest in vista del golfo e poi, man mano procedendo verso nord, portici e passeggiate co-perte, forse giardini abbelliti da statue, del tipo che noi oggi defi niamo giardi-ni all’italiana.

Fig. 4. Villa di Brioni, Val Catena (TS). Questa villa sul mare si presenta composta da più padiglioni separati, ciascuno con funzioni diverse. La villa della Foce aveva forse uno schema simile.

La villa d’ozio

©www.archeologiametodologie.com

16

Di tutt’altro tenore e ancora più gran-di e imponenti erano le ville che gli imperatori si facevano costruire, co-me quella che l’imperatore Domizia-no volle edifi care sul promontorio del Circeo, a sud di Roma. Di questa villa conosciamo solo una piccola parte, come per la villa di Foce, ma l’insieme è ovviamente assai più monumentale. Nella parte sopravvissuta della villa si trova il padiglione che accoglie le ter-me, vale a dire l’insieme delle stanze che in epoca romana erano destinate al bagno e alle abluzioni quotidiane. Tutte le ville, infatti, erano dotate di questo tipo di comfort poiché i roma-ni avevano fatto della cura del corpo un’abitudine quotidiana e irrinuncia-bile. In tutte le città c’erano terme pubbliche in cui era possibile lavarsi e il costo del biglietto d’ingresso era mi-nimo, anzi spesso l’ingresso era gra-tuito per munifi cenza di privati o dello stesso imperatore. I ricchi si facevano costruire le terme

in casa talvolta anche in città e sempre nelle ville. Anche Plinio il Giovane non tralascia di inserire nella descri-zione della sua villa di Laurentum un dettagliato elenco delle sale termali: la sala per il bagno freddo con due ampie vasche, la sala per massaggi, due sale riscaldate, una piscina con acqua ri-scaldata e una palestra per il gioco del-la palla. A quanto possiamo giudicare, si trattava di una suite molto completa che non aveva nulla da invidiare alle terme di città. Molto simile doveva essere il padiglione termale della villa romana della Foce, che forma la parte più consistente dei resti oggi visibili.

Fig. 5. Pompei, Casa del braccialetto d’oro, pittura con rappresentazione di un giardino. I giardini erano spesso abbelliti da statue e fontane, rigogliosi di piante verdi o fi orite.

Fig. 6. Villa di Domiziano al Circeo. Gli imperatori si facevano costruire grandi ville, attrezzate con ogni genere di comfort tra i quali non potevano mancare le terme. In questo caso le terme sono racchiuse in uno spazio rettangolare (in colore verde) all’interno del quale trovano posto tutti gli ambienti.

Le ville nel mondo romano

©www.archeologiametodologie.com

17

2. Le terme in villa

La parola ‘terma’ ha nell’epoca ro-mana un signifi cato diverso da quel-lo odierno. Oggi si defi niscono terme soltanto quegli impianti che sfruttano delle fonti di acqua, detta appunto termale, talvolta calda ma comunque caratterizzata da proprietà particola-ri, come la presenza di zolfo o altre componenti chimiche, benefi che per l’organismo umano. Si tratta, quindi, di impianti fi nalizzati allo sfruttamen-to di acque con proprietà terapeutiche o comunque salutari. Nel mondo an-tico il signifi cato della parola ‘terme’ si richiama piuttosto all’etimologia del termine, derivante dal greco “ther-mòs” che vuol dire caldo. Infatti, la principale caratteristica degli ambienti termali romani era quella di essere ri-scaldati artifi cialmente. I romani si re-cavano alle terme prevalentemente per lavarsi, facendo un bagno caldo, con un procedimento che è molto simile a quello che ancora oggi si pratica nei bagni turchi. Il momento del bagno, di solito nel tardo pomeriggio, era uno dei più importanti della giornata. Le terme, infatti, erano anche un luogo di incontro sociale insostituibile, dove poter parlare, scambiare opinioni, co-noscere nuove persone, dedicarsi allo sport e alla cultura. Le grandi terme di Roma fatte co-struire dai tutti i più grandi imperatori a partire da Augusto, appositamente per la popolazione dell’Urbe, erano dotate di palestre e piscine per il nuo-

to ma anche di locali in cui si teneva-no lezioni o letture di poesie e talune accoglievano nel loro interno anche biblioteche, come le terme di Caracal-la. Comunque, qualsiasi città romana del Mediterraneo era dotata di terme perché l’uso del bagno quotidiano, e il momento di aggregazione sociale che esso rappresentava, contraddistingue-vano il livello di civiltà raggiunto dal popolo romano rispetto a tutte le altre etnie contemporanee.Nelle ville si cercava di riprodure in piccolo, ma non con minore ricchez-za, l’ambiente delle terme pubbliche e sia gli impianti necessari che le moda-lità del bagno erano del tutto simili.

Fig. 7. Alma Tadema, A favorite custom 1909. In questo dipinto Tadema riproduce l’atmosfera di una terma romana, traendo ispirazione dai resti archeologici di Pompei per i dettagli degli interni.

Le terme in villa

©www.archeologiametodologie.com

18

Le attività sportive comprendevano anche giochi, come quello della palla a mano di cui i romani erano appas-sionati. Un mosaico pavimentale dalle terme della villa di Piazza Armerina, presso Enna in Sicilia, ci mostra due ragazze che giocano a palla, abbigliate con un costume che ricorda molto da vicino il nostro bikini. Gli edifi ci an-cora perfettamente conservati di Pom-pei, come le terme del Foro, ci aiutano a ricostruire come erano fatti gli am-bienti. Sia nelle terme pubbliche delle città che nelle terme private delle case e delle ville, le coperture erano costi-tuite da volte di muratura per prevenire il rischio di incendi e l’illuminazione

Fig. 8. Roma, Terme di Caracalla. Ricostruzione della grande sala per il bagno freddo, frigidarium, nella versione dell’architetto francese Viollet le Duc.

Fig. 9. Piazza Armerina (EN), villa di Casale, mosaico. Sul pavimento di una delle sale della villa sono raffi gurate delle ragazze che giocano alla palla a mano e indossano un costume molto simile all’attuale bikini.

Fig. 10. Pompei, Terme del Foro, sala per il bagno caldo, caldarium. Nella copertura a volta, inegralmente conservata, si trovano le aperture per l’illuminazione dell’interno.

Le ville nel mondo romano

©www.archeologiametodologie.com

19

era garantita da fi nestre poste al centro della volta o aperte nelle pareti, carat-teristica questa che si afferma a partire dalla metà del I secolo d. C. con il dif-fondersi dell’uso delle fi nestre vetrate, come testimoniato anche nel passo di Plinio il Giovane che descrive la sua villa di Laurentum.I romani amavano le terme con am-bienti molto riscaldati: secondo i cal-coli che sono stati fatti oggi, nelle sale

delle terme si poteva arrivare a una temperatura di 50 gradi e oltre. Ama-vano, inoltre, trovare nelle terme varie sale con temperature diverse e piscine e vasche, il tutto riccamente decorato di marmi pregiati. Molti autori antichi descrivono l’atmosfera delle terme, fornendoci utili particolari sugli arredi e le decorazioni e sulle modalità con cui si faceva il bagno.

Il poeta satirico Marziale, vissuto nella seconda metà del I secolo d. C., deride Oppiano che frequenta una piccola e malconcia terma pubblica: li, se si vuole prendere il bagno ‘alla Laconica’ (consistente nel fare la sauna e poi tuffarsi nell’acqua gelida), dopo aver sudato, non resta da far altro che tuffarsi diretta-mente negli acquedotti.

“Se vai a fare il bagno nelle terme di Etrusco, morirai senza esserti lavato, Oppiano… Se ti piace fare il bagno alla Laconica, puoi accontentarti di suda-re in una stanza senza vapore e poi puoi buttarti direttamente nell’acquedotto dell’Acqua Vergine o in quello dell’Acqua Marcia.”

(Epigrammi, 6, 42, 1-2, 16-18)

Seneca, fi losofo vissuto all’epoca dell’imperatore Nerone (54-68 d. C.), descrive con nostalgia gli austeri costumi repubblicani paragonandoli al lusso dei suoi contemporanei. Nel far ciò, ci fornisce una descrizione di quanto potevano essere lussuose le terme, adorne soprattutto di pregiati marmi prove-nienti da Alessandria (Egitto), dalla Numidia (Tunisia) e Taso (Grecia).

“Chiunque penserebbe di essere povero e sordido se le sue pareti non riful-gessero di grandi e preziosi specchi, se i suoi marmi alessandrini non fossero intarsiati di marmi numidici e se questi non fossero bordati ovunque con com-plicati disegni colorati come pitture; se le coperture a volta delle sue sale non fossero ricoperte di mosaici in pasta di vetro; se le sue piscine non fossero rifi nite in marmo di Taso, una volta raro a vedersi persino nei templi, quelle stesse piscine dove lasciamo andare i nostri corpi ormai svuotati di ogni ener-gia per il gran sudare; se l’acqua non fosse versata da rubinetti d’argento…” (Epistole, 86, 6-7)

Le terme in villa

©www.archeologiametodologie.com

20

Il riscaldamento si produceva con im-pianti abbastanza sofi sticati che im-mettevano aria calda al di sotto dei pa-vimenti e lungo le pareti. Cosicché, in alcune stanze riscaldate il pavimento era rovente e vi si poteva accedere sol-tanto calzando i sandali, come ricorda l’immagine sulla soglia di una terma africana.

Il sistema era costituito da due pavi-menti sovrapposti, uno in basso e l’al-tro posto a circa 70 centimetri più in alto. Il primo era poggiato sul terreno, mentre il secondo era sostenuto da ap-posite colonnine di mattoni, suspensu-rae, disposte sul pavimento più basso. Nello spazio interposto tra i due pavi-menti veniva fatta circolare aria calda, mentre lungo le pareti venivano collo-cati tubi cavi in terracotta per far sì che l’aria calda potesse salire verso l’alto,

riscaldando anche le pareti. Il calore era prodotto accendendo un fuoco di legna o carbone, in appositi forni co-struiti lungo le pareti esterne delle sale da riscaldare, al livello del pavimento più basso. Poiché conosciamo moltis-simi dettagli, non è diffi cile ricostruire l’aspetto e il funzionamento di un am-biente riscaldato. Di questi impianti si

ritrovano tracce anche nel padiglione termale della villa della Foce.Anche il procedimento del bagno ci è noto da vari autori antichi che lo de-scrivono e dalla stessa disposizione de-gli ambienti nelle terme. Si è già detto che il bagno era molto simile all’attua-le bagno turco. La pulizia del corpo e della pelle, infatti, avveniva tramite il processo di sudorazione e, allora come oggi, al bagno si abbinavano massaggi con unguenti profumati e altre forme

Fig. 11. Timgad, Tunisia, Terme romane, mosaico pavimentale con raffi gurazione di sandali. Nelle sale riscaldate delle terme spesso i pavimenti erano talmente roventi che si poteva entrare soltanto calzando i sandali.

Fig. 12. Ricostruzione di un ambiente riscaldato delle terme. Le sale erano riscaldate facendo circolare aria calda al di sotto dei pavimenti, sospesi su colonnine in muratura.

Le ville nel mondo romano

©www.archeologiametodologie.com

21

di cosmesi, come la depilazione. In genere, si iniziava con una moderata attività sportiva nella palestra o in uno spazio aperto destinato a questa fun-zione, per favorire l’inizio della sudo-razione. Si entrava poi nelle terme e si passava da ambienti tiepidi, detti per questo tepidaria, a ambienti sempre più caldi. Questi ultimi erano di due tipi: a caldo secco per sudare soltanto, detti sudationes, o a caldo umido per sudare in presenza di vapore acqueo e fare il bagno in acqua calda entro apposite vasche costruite in muratura, detti caldaria. Dopo il bagno in acqua calda, chi lo desiderava poteva im-mergersi in vasche contenenti acqua fredda, sistemate in sale apposite dette frigidaria. Completato così il percorso

del bagno vero e proprio, ci si poteva recare in piccole sale per farsi mas-saggiare e ungere. Non veniva usato il sapone, sebbene sembri che la ricetta per prepararlo fosse già nota nell’anti-chità classica, e per detergere la pelle a fondo si usava una sabbia fi nemente setacciata che veniva cosparsa sulle membra, quindi sfegata e poi asportata con lo strigile, una sorta di cucchiaio ricurvo e allungato.

M. M.

Fig. 13. Necessaire di oggetti in bronzo per il bagno, da un disegno ottocentesco di V. Loria. Sono rappresentati quattro strigli, un’ampolla per unguenti e un attingitoio.

Le terme in villa

©www.archeologiametodologie.com

22

LA VILLA DELLA FOCE

1. Dalla prima scoperta a oggi

Le prime notizie sulla villa risalgono al Seicento e sono contenute nelle o-pere di eruditi e studiosi locali che descrivono i ruderi allora visibili dan-done interpretazioni fantasiose e poco attendibili. Forse, proprio a quest’ epoca risale l’identifi cazione, priva di fondamento, della villa della Foce con la Villa Matuciana, nome che indica in alcuni documenti medievali una zona, da identifi carsi forse con un fundus ro-mano presso Sanremo. La prima segna-lazione uffi ciale è di molto successiva e di deve a P. Agosti, Regio Ispettore onorario dell’allora Soprintendenza ai Musei e scavi di Piemonte, Liguria e Lombardia. In una lettera, datata 30 ottobre 1925, Agosti fornisce la prima descrizione di carattere scientifi co dei ruderi, e allega anche due piante e tre fotografi e dell’area. Tutto ciò costitui-sce per noi una preziosa testimonianza dello stato dei luoghi prima dell’inizio dell’attività di ricerca. La pianta (fi g. 14), redatta in scala 1:100, porta la le-genda “Rilievo planimetrico di ruderi antichi esistenti nella detta proprietà ed affi oranti sulla superfi cie del terre-no” ed è la più antica documentazione grafi ca di questo sito archeologico. Nell’altra pianta (fi g. 15), in scala 1:1000, desunta da una porzione di mappa catastale della fascia litoranea compresa tra i torrenti S. Bernardo e

Foce, a sud del vecchio tracciato della ferrovia Genova-Ventimiglia, sono ri-portate tutte le particelle fondiarie con la sovrapposizione dei resti archeolo-gici allora visibili. Dal testo della let-tera, benché molto scarno, si riconosce bene la descrizione della grande vasca absidata, A 1, e del sistema di fon-dazioni a camera che caratterizza gli ambienti della villa. Sostanzialmente corretta è anche l’interpretazione com-plessiva dei ruderi come “resti di pub-bliche terme o di costruzioni private ad uso di villa patrizia”.

“…un ambiente a pianta rettango-lare terminato verso sud da un se-micerchio, sul quale sopraelevansi muri perimetrali di minore spesso-re: è sotto a tale parte dell’antica costruzione ed a quella occupata dalla casetta che esistono due o più serie di ambienti, l’uno all’altro sovrapposti, ricoperti da volti, di-sposti in senso da nord a sud e per-correnti un lungo tratto sotterraneo verso sud e cioè verso il mare, ed un altro forse di maggior lunghezza verso la strada ferrata…”

“…procedendo agli ordinari lavori di movimento di terra, scavo e scas-so, per la coltivazione del fondo, si accertò l’esistenza di altri muri diretti in senso normale al muro rilevato, e prolungatisi sia verso la spiaggia del mare che verso e sotto il rilevato della strada ferrata Ventimiglia-Genova, che delimita, da nord, il fondo...”

Dalla lettera di P. Agosti, 30 ottobre 1925

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

23

Fig. 14. Sanremo (IM), villa della Foce. Pianta di P. Agosti raffi gurante i resti romani e le strutture moderne costruite sopra a essi (1925). Sotto la rielaborazione con i numeri che consentono di riconoscere gli ambienti nella pianta attuale della villa. In verde la zona occupata dalla casa ‘mediterranea’ e dal pozzo a cicogna, entrambi demoliti.

Dalla prima scoperta a oggi

©www.archeologiametodologie.com

24

Fig. 16. Sanremo (IM), villa della Foce (1925). Veduta dei resti della villa da sud, sullo sfondo il muro di cinta del Cimitero monumentale.

Fig. 15. Sanremo (IM), villa della Foce. Pianta in scala 1:1000 di P. Agosti (1925).

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

25Dalla prima scoperta a oggi

©www.archeologiametodologie.com

26

Fig. 17. Sanremo (IM), villa della Foce. Planimetria delle aree interessate dal decreto di vincolo del 1926.

Fig. 18. Sanremo (IM), villa romana della Foce (1937). Veduta dei resti della villa da sud, in primo piano la vasca absidata A 1.

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

27

Le foto scattate in quella occasione (fi gg. 16, 20) mostrano che l’area in cui si vedevano i ruderi era molto più ridotta dell’attuale e ingombra di pic-cole strutture precarie, funzionali alla casa rurale che era stata costruita so-pra ai resti della villa, in corrisponden-za del settore ovest delle terme, AA 2 e 3. Tutto intorno, però, il terreno era sgombro da altri edifi ci e la spiaggia non era stata modifi cata, come lo è oggi. Grazie a queste condizioni anco-ra abbastanza favorevoli, Agosti aveva intuito che il sito archeologico doveva avere un’ampiezza ben maggiore ri-spetto a quanto allora visibile e che i ruderi si estendevano in direzione del mare e verso l’entroterra, sotto il trac-ciato della ferrovia. All’epoca, si pro-gettava l’ampliamento del Cimitero monumentale verso mare e i contadini impiantavano volentieri sui loro ter-reni serre per colture pregiate. Quin-di, per proteggere i resti della villa la Soprintendenza prese alcune misure di tutela, analogamente a quanto aveva fatto pochi anni prima per la villa di Bussana. Ai proprietari venne notifi -cato l’interesse archeologico dell’area, così che non potessero apportare dan-neggiamenti ai ruderi e, nel novembre dello stesso 1925, l’Ispettore di zona Pietro Barocelli iniziò una prima cam-pagna di indagini archeologiche. La documentazione d’archivio relativa a questo primo scavo consiste in due piante che riprendono con qualche modesta integrazione quelle realizzate pochi mesi prima da Agosti. I risultati

delle indagini furono comunque buo-ni: vennero individuati due nuovi tratti di murature romane: uno che prose-guiva sotto il tracciato della ferrovia, a monte della “casupola”, l’altro a sud dei ruderi già visibili. Gli scavi di maggiore entità, però, si concentraro-no “specialmente intorno alla piscina per determinarne la profondità, per ripulirla, essendo tutta piena di terra e pietre per molta altezza.”, cioè nella vasca riscaldata, A 1. Qui, Barocelli vide i condotti per il riscaldamento esistenti nelle pareti, ma li interpretò erroneamente come condotti per “re-golare l’ingresso e l’uscita delle ac-que” e non fu in grado di capire, o non vide, altre tracce relative agli impianti di riscaldamento. Interessanti sono le scritte aggiunte a penna da Barocelli sulla pianta 1:1000, che confermano la notevole estensione del complesso ar-cheologico: a ovest, verso il torrente S. Bernardo, erano indicate nelle fonda-menta di una casetta rustica “tracce di muri romani, estendentisi sotto la fer-rovia”; in direzione del mare, era se-gnalata l’esistenza di ruderi che “sem-bra originariamente proseguissero in avanti ancora” anche sotto il livello del mare; sulla riva orientale del rio Foce, furono visti “indizi di muri ro-mani” tra le fondamenta di un edifi cio già utilizzato come Lazzaretto. A que-ste ricerche, con inusuale celerità seguì il giorno 8 febbraio 1926 l’emissione del decreto ministeriale di vincolo dell’intera area con acclusa planime-tria catastale, integrato da un ulteriore

Dalla prima scoperta a oggi

©www.archeologiametodologie.com

28

decreto del 10 aprile dello stesso anno (fi g. 17). Con analoga tempestività, già nel 1928, Barocelli pubblicò una prima notizia sui suoi scavi nel foglio della Carta archeologica d’Italia, dedi-cato a Sanremo, cui fece seguire una più corposa relazione in “Notizie degli Scavi di Antichità” nel 1932. In questo articolo, Barocelli forniva particola-reggiate indicazioni sullo scavo della “piscina”, sempre la vasca riscaldata A 1, ritenuta parte di un edifi cio termale e considerata in base alla tipologia del-le murature “di buona epoca imperiale romana”. Dopo le iniziali ricerche del 1925, la Soprintendenza non riuscì a ottenere l’auspicato coinvolgimento del Comune di Sanremo per l’acqui-sizione delle aree e per la prosecuzio-ne degli scavi. Maggior fortuna ebbe Nino Lamboglia, allora direttore della Commissione Archeologica della Se-zione Ingauna e Intemelia della Re-gia Deputazione di Storia Patria per la Liguria. Tra il 1936 e 1937, Lam-boglia riuscì ad ottenere dal Comune uno stanziamento di Lire 10.000, cifra all’epoca piuttosto cospicua, per “la-vori di assaggio destinati a mettere in valore i ruderi romani siti in regione Foce”, iniziativa che egli proponeva nell’ambito di un più ampio program-ma di lavori archeologici nel Ponente ligure in occasione delle celebrazioni del Bimilennario augusteo (fi g. 18). Questa nuova stagione di scavi permi-se di scoprire un signifi cativo gruppo di ambienti, verso levante e verso sud, che vennero considerati pertinenti un

piccolo bagno privato, balneum, e altri vani attigui organizzati intorno ad un cortile. Su queste novità, Lamboglia pubblicò, nel 1939, una breve notizia all’interno del suo volume sulla Li-guria romana e successivamente, nel 1942, un’altra notizia preliminare sul-la “Rivista di Studi Liguri” dove so-stanzialmente riprese l’identifi cazione del Barocelli circa la “piscina” e la sua pertinenza ad “una modesta villa ru-stica di carattere privato”. In seguito, i numerosi tentativi dei So-printendenti Carducci e Bernabò Brea per rendere l’area demaniale rimasero infruttuosi e il secondo dopoguerra se-gnò un periodo di incuria e abbando-no. Solo tra il 1958 e il 1960, con due atti distinti, il Ministero procedette al-l’esproprio della parte in cui erano me-

Fig. 19. Sanremo (IM), villa della Foce. La pianta della villa, pubblicata nel 1942, dopo le indagini svolte da N. Lamboglia e dopo la demolizione della casa ‘mediterranea’.

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

29

glio conservati i ruderi e il Comune di Sanremo acquistò il terreno compreso tra i ruderi e il torrente Foce. Fu quindi possibile pianifi care nuove campagne di scavo, effettuate negli anni 1962 e 1963, sempre da Nino Lamboglia, che ne fornì immediata relazione in un articolo comparso sulla Rivista Ingauna ed Intemelia. In questa oc-casione, la conoscenza del complesso archeologico non si accrebbe per i ri-sultati dello scavo, ma a seguito della demolizione della ‘casupola’ che era stata costruita sui ruderi. Lamboglia potè così formulare una nuova e più circostanziata ipotesi circa l’interpre-tazione di alcuni ambienti: identifi cò correttamente i resti della “piscina”, A 1, come pertinenti ad un ambiente riscaldato con sottostante intercapedi-ne (hipocaustum), sul fondo del quale rintracciò le impronte dei pilastrini in muratura (suspensurae), che sostene-vano il soprastante pavimento della vasca; non riuscì invece a precisare l’ubicazione del forno per alimentare il calore (praefurnium), di cui invece restano tracce nello spessore della mu-ratura absidata.

Alla luce delle conoscenze attuali, sono risultate errate alcune interpre-tazioni di N. Lamboglia circa il siste-ma di riscaldamento e di smaltimento delle acque, costituito da ampi tratti di canalizzazioni, come pure appare oggi insostenibile interpretare la latri-na, A 9, come “minuscolo castellum aquae”, cioè un collettore per le ac-que bianche. Lamboglia propose per il complesso dei ruderi una datazio-ne nell’ambito del II secolo d.C., mai più messa in discussione da parte dei pochi studiosi che si sono interessati della villa nell’ultimo quarantennio. Oggi, dopo un lungo periodo in cui la villa della Foce sembrava quasi esse-re stata dimenticata e abbandonata al degrado, le indagini sono state riprese nell’ambito di un accordo tra il Co-mune di Sanremo, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria e l’Università degli Studi di Genova. Alcuni dei risultati di questa recentis-sima stagione di studi, che si è svolta tra il 2002 e il 2005, sono raccolti nei capitoli seguenti di questo libro.

L. G.

Dalla prima scoperta a oggi

©www.archeologiametodologie.com

30

2. La casa e i campi, prima dello scavo

Nell’articolo del 1942, N. Lamboglia descrive brevemente anche la casa ru-rale che insisteva sulle murature della villa romana, defi nendola “una mo-desta casa mediterranea con volta a terrazzo, dei secoli XVI o XVII”. Dopo la demolizione completa di questo edifi cio moderno, le parole di Lam-boglia costituiscono, insieme alle foto dell’epoca e alle piante fatte redigere da Agosti e Barocelli, le uniche testi-monianze rimaste su questo tipo di architettura povera che si sviluppa in ambito rurale e in un territorio molto circoscritto. Si tratta della cosiddetta casa ‘mediterranea’, abitazione di uso contadino, povera nelle forme, che ha caratterizzato a partire dal 1600 il paesaggio interno del comprensorio di Finale, di Albenga e delle basse valli del Roja e del Bevera, e della Liguria di Ponente in genere. La casa mediter-ranea si compone di un nucleo a pianta

quadrata, con copertura a volta in mu-ratura e il terrazzo soprastante, cui si possono aggregare altre strutture, in modo da ottenere edifi ci dalla pianta composita e ramifi cata che varia da caso a caso, in funzione delle diverse necessità di chi vi abita: l’unico ele-mento costante e unifi cante è appunto la volta a terrazzo, il tetto ‘mediterra-neo’, in piano, tipico delle zone scar-samente piovose. Per quanto si può osservare nei documenti, la casa rurale della Foce presentava tutti i caratteri della casa mediterranea: il corpo di fabbrica principale a pianta quadrata, intonacato di bianco, e col tetto a ter-razzo era l’elemento più tipico di que-sta architettura; a esso si appoggiava un altro piccolo edifi cio, a pianta ret-tangolare più piccolo di dimensioni e con il tetto a un solo spiovente, forse costruito in epoca ben successiva. Il tutto riutilizzava come fondazioni e in parte, come muri perimetrali, le mura-ture antiche. Annessi alla casa rurale erano due pozzi, di cui uno è ancora oggi integro (vedi paragrafo successi-

Fig. 20. Sanremo (IM), villa della Foce. Veduta della casa ‘mediterranea’ che sorgeva sui resti della villa prima della demolizione. A destra l’edifi cio con tetto a terrazzo.

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

31

vo). La casa ‘mediterranea’ della Foce era parte di un paesaggio agricolo oggi del tutto scomparso. Infatti, sin dal tardo Medioevo per tutta l’età moder-na, l’area della Foce si trovava in una zona rurale esterna al centro urbano, attraversata solo dalla strada in dire-zione di Ospedaletti. In gran parte, era occupata da coltivazioni di agrumi, soprattutto i cedri già annoverati tra le colture locali in documenti del XII secolo (cireis o citrinis), e di palme. Queste ultime, in particolare, rappre-sentavano una delle più importanti e fi orenti voci dell’economia sanreme-se: le foglie di palma fi no all’Otto-cento erano esportate in tutta Europa

e tra i clienti di questo commercio era anche lo Stato Pontifi cio. Una coltura secondaria ma non meno importante era costituita dalle piantagioni di ulivi, che proprio alla Foce, come nelle vi-cine località di Pian di Poma e Solaro, raggiungevano misure eccezionali fi no ad oltre 6 metri di circonferenza. Il ter-ritorio era disseminato di frantoi ad ac-qua con relativi canali per l’adduzione dell’acqua e vasche per la lavorazione dell’olio. Numerosi erano gli orti e le case rurali. Tra gli altri elementi che connotavano in passato la zona della Foce erano un Lazzaretto, posto poco a ovest dello sbocco a mare dell’omo-nimo torrente, e un antico oratorio in-titolato a San Rocco, titolo poi passato

Fig. 21. Pianta di Chiavari (GE), prima metà del XVII secolo. Possiamo immaginare che il paesaggio rurale del Ponente ligure somigliasse a quello riprodotto in questa mappa: i campi coltivati, al di fuori del centro urbano, erano disseminati di piccole case e di pozzi per attingere acqua.

La casa e i campi prima dello scavo

©www.archeologiametodologie.com

32

alla chiesa moderna, lungo corso Ma-tuzia, entrambi poi demoliti.In seguito, l’area della Foce acquistò maggiore interesse quando, nel 1838, si decise di trasferirvi il cimitero cit-tadino che ben presto assunse un ca-rattere monumentale: nel 1868, si creò un’area riservata ai protestanti con relativa cappella, progettata nel 1874 dall’architetto G. Pisani, mentre tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, vennero costruiti diversi pregevoli monumenti funerari per opera di artisti famosi, come F. Ghersi e P. Canonica. Nel contempo, però, la crisi delle diverse produzioni agricole della seconda metà dell’800 procurò una sempre più incisiva tra-sformazione del paesaggio circostan-te, per cui gran parte delle piantagioni arboree vennero abbattute e le fasce, tipici terrazzamenti liguri, fi nirono in stato di progressivo abbandono. An-che la costruzione della ferrovia Ge-nova-Ventimiglia, nel 1872, contribuì a rendere marginale l’area della Foce, resecandola dall’entroterra. La storia recente del secolo scorso, a partire da-gli anni Sessanta, è segnata dal tumul-tuoso e disordinato sviluppo urbanisti-co, che non ha risparmiato le colline circostanti e la riva del mare, ora affol-lata da stabilimenti balneari e alberghi. In questo contesto, la villa romana del-la Foce, inserita nel suo piccolo parco archeologico, costituisce uno prezioso ritaglio intatto del paesaggio del Po-nente ligure.

3. Il pozzo a cicogna

La vocazione contadina della zona in cui si trova la villa romana della Foce è ancora oggi testimoniata dalla pre-senza di un pozzo per attingere l’ac-qua. La casa rurale ‘mediterranea’, infatti, si serviva di due pozzi: uno è stato demolito insieme a essa perché insisteva sui ruderi della villa, l’altro è ancora oggi integro e spicca nel pa-norama circostante. Il nome caratteri-stico di queste istallazioni agricole è ‘pozzo a cicogna’, derivato dal latino ciconiam, e chiamato così dal VI Sec. per la somiglianza della struttura nel suo insieme con il noto fenicottero.

Fig. 22. Sanremo (IM), villa romana della Foce. Il pozzo a cicogna ancora esistente nell’area del parco archeologico.

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

33

Il pozzo a cicogna ha una forma parti-colare: la sua struttura è composta dal pozzo vero e proprio, con imboccatura circolare, da una cisterna rettangolare per la raccolta dell’acqua e da un pila-stro in muratura. Sul pilastro, in pas-sato, quando veniva usato, era fi ssato con un perno un palo in legno, che funzionava da bilanciere. A un’estre-mità del bilanciere era attaccato un secchio, da calare nel pozzo; dall’altra un contrappeso in pietra per controbi-lanciare il peso del secchio pieno d’ac-qua. Questo sistema, a prima vista, può sembrare complesso, ma in realtà è molto semplice, in quanto permette al contadino di fare pochissimo sfor-zo fi sico nell’attingere e di ottenere un notevole quantitativo d’acqua con cui irrigare gli orti. L’acqua in esubero ve-

niva conservata nella cisterna in attesa di essere utilizzata a sua volta. Il poz-zo a cicogna ha un’origine antichissi-ma: è forse una delle prime macchine inventate dall’uomo per risolvere i problemi legati all’utilizzo dell’acqua, soprattutto per irrigare. Noto ancora oggi con il nome di shaduf, vede la sua comparsa già in Egitto e nella re-gione mesopotamica, ovvero nelle due aree geografi che che per prime hanno visto sorgere le grandi civiltà dedite all’agricoltura. Lo shaduf nasce come dispositivo per sollevare acqua diretta-mente dal fi ume ed è rappresentato in varie forme su antichi dipinti tombali egizi del Nuovo Regno, databili intor-no al 1580 a.C..

Fig. 23. Egitto, tomba di Ipuy en Deir-el-Medina, epoca di Ramses II. Nella pittura è raffi gurato un uomo che aziona uno shaduf.

Fig. 24. Ricostruzione di uno shaduf egizio.

Il pozzo a cicogna

©www.archeologiametodologie.com

34

Dalla lettura di queste fi gurazioni si ricostruisce la struttura originaria di questa semplice macchina. Col passare del tempo l’uso dello shaduf si diffon-de in tutto il bacino del Mediterraneo, in Asia e in Europa, dove giunge fi no in Germania e nelle Fiandre. In Italia è diffuso col nome di pozzo a cicogna dal 1200, soprattutto nella Pianura Padana, in Toscana e in Liguria, dove è molto utilizzato nei secoli dal XVI al XVIII, sia nel Ponente che nel Le-vante. La cartografi a sei-settecentesca, infatti, mostra spesso i pozzi a cicogna impiegati negli orti extra-urbani (cfr. fi g. 21). Il sistema del pozzo a cicogna ben si adatta al paesaggio agrario della Liguria costiera, dove non si sono mai potute realizzare delle grandi opere di canalizzazione e si utilizza, invece, la falda freatica d’acqua dolce, che si trova a modesta profondità. Il sistema

del pozzo a cicogna andò poi scompa-rendo, in Liguria come nelle altre aree d’Italia in cui era usato, con l’avvento dei motori elettrici che consentono un pompaggio dell’acqua molto più rapi-do ed effi cace. Così, un gran numero di pozzi che un tempo usufruivano del bilanciere è stato dotato di motore, tanto che oggi è molto diffi cile incon-trare un pozzo a cicogna ancora intatto ed è impossibile vederne uno ancora usato. Quello che si conserva all’inter-no del parco archeologico della villa romana della Foce, costruito in gran parte utilizzando materiali, pietre e la-terizi provenienti dai ruderi della villa stessa, è uno dei pochi esemplari ben conservati, tanto che è stato possibile proporne una ricostruzione.

M. L. B.

Fig. 25. Sanremo (IM), villa romana della Foce. Ricostruzione del pozzo a cicogna.

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

35

4. I resti della villa

La parte oggi visibile della villa è com-posta da vari ambienti, che possono essere interpretati nelle loro funzioni originarie, a seconda della loro forma o della loro disposizione. L’insieme è ben conservato, ma solo pochi muri sono abbastanza alti da recare le trac-ce delle porte, in particolare quelli che vennero riusati per la costruzione della “casa mediterranea”. Di molti altri ri-mangono solo le fondazioni e ovunque mancano i pavimenti su cui si cammi-nava in antico. I vani più importanti, raggruppati al centro dell’area, face-vano parte delle terme e dei servizi a esse necessari.

La vasca absidata A 1, ben riconscibile per la sua forma, serviva per il bagno a immersione in acqua calda. Siamo cer-ti di questo perché parte dell’impianto di riscaldamento si conserva ancora. Nelle pareti sono i condotti che servi-vano per il passaggio dell’aria calda e per il tiraggio del forno che alimenta-

va il calore. Questo, oggi visibile solo nella parte bassa dell’imboccatura, era posto sul lato ricurvo dell’ambiente. Sul pavimento, rimangono le impron-te delle colonnine in muratura che so-stenevano il pavimento vero e proprio della vasca. La porta d’ingresso era sul lato nord e se ne vede ancora parte dello stipite, nella parte più alta della parete.

Fig. 26. Sanremo (IM), villa romana della Foce, la vasca absidata A 1.

Fig. 27. Sanremo (IM), villa romana della Foce, la vasca absidata A 1.

I resti della villa

©www.archeologiametodologie.com

36

La sala riscaldata A 2 era di passaggio tra i contigui ambienti 1 e 3. In que-sto ambiente sono le tracce meglio conservate dell’impianto di riscalda-mento, posto sotto il pavimento, detto appunto hypocaustum, che vuol dire ‘riscaldato da sotto’. L’impianto era

4. Dobbiamo, quindi, immaginare che tutti gli ambienti termali avessero il pavimento a questa quota, che risulta essere talvolta ben al di sopra dei resti oggi conservati.

costituito da due pavimenti sovrap-posti per formare una intercapedine, all’interno della quale potesse circo-lare l’aria calda prodotta dal forno. Si conservano in parte i due pavimenti: di quello inferiore è visibile il rivestimen-to realizzato come di consueto in sem-plici mattoni, di quello superiore resa solo la preparazione, formata da uno strato di malta impastata con mattoni più o meno fi nemente triturati, detta cocciopesto. Questo era il pavimento su cui camminavano i frequentatori delle terme ed era posto a un’altezza molto superiore rispetto al piano di calpestio attuale. Infatti, l’apertura che si vede poco sopra, e che oggi potreb-be sembrare una fi nestra, è in realtà la porta di passaggio tra gli ambienti 3 e

Fig. 28. Sanremo (IM), villa romana della Foce, la sala riscaldata A 2.

Fig. 29. Sanremo (IM), villa romana della Foce, la porta tra la sala riscaldata A 2 e l’ambiente A 4.

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

37

La vasca A 3 ha subito almeno una trasformazione funzionale. In un pri-mo tempo, infatti, dovette essere uti-lizzato come vasca per il bagno caldo a immersione, come l’ambiente 1. In seguito, venne trasformato in va-sca per il bagno freddo. Attualmente, l’ambiente presenta le pareti rivestite da spessi strati di cocciopesto che in questo caso servivano a impermeabi-lizzare l’interno della vasca.

L’originaria funzione di vasca riscal-data è certa per la presenza del con-dotto per il passaggio dell’aria calda tra questo ambiente e il contiguo am-biente 4. Sulla parete nord dell’ambiente, con-tigua alla strada moderna, è visibile un incavo semicircolare, interpretabi-le come la traccia del condotto di ad-duzione per l’acqua, forse costituito come di consueto da un tubo in piom-bo.La presenza di più vasche riscaldate e la loro ampiezza, abbastanza inusuale per il contesto di una terma privata,

testimonia che la villa della Foce do-veva essere in origine un complesso piuttosto notevole, forse una grande villa patrizia, in cui il lusso e la ric-chezza del proprietario si manifesta-vano anche attraverso le dimensioni del bagno privato.

Figg. 30, 31 e 32 . Sanremo (IM), villa romana della Foce, la vasca A 3. Dall’alto: insieme dell’ambiente, la traccia per il condotto di adduzione dell’acqua, il condotto per la circolazione dell’aria calda.

I resti della villa

©www.archeologiametodologie.com

38

L’ambiente 4 era anch’esso riscalda-to, ma probabilmente a temperatura più bassa. Secondo le nostre ipotesi, questo poteva essere l’ingresso delle terme e nel contempo poteva svolgere la funzione di spogliatoio, apodyte-rium. La porta forse di trovava sul lato nord, che in parte ricade sotto la strada odierna. L’interno dellambiente non è molto conservato. Solo sul muro contiguo agli ambienti 3 e 2 si vedono ancora in perfetto stato i condotti che servivano per la circolazione dell’aria calda al di sotto dei pavimenti.L’ambiente 5 era una sala di passag-gio che collegava il settore delle va-sche riscaldate e dell’ingresso con gli altri ambienti termali. Probabilmente anche questo ambiente era riscaldato e aveva il doppio pavimento. Oggi si conserva solo al livello delle fonda-zioni. Tra questo e il successivo am-biente 6, si trova l’imboccatura del pozzo a cicogna, i cui resti vennero demoliti insieme alla “casa mediter-ranea”.L’ambiente 6, per la sua posizione rispetto agli altri vani, poteva esse-re la sala più calda di questo piccolo complesso termale, vale a dire la vera e propria sauna, detta laconicum, do-ve si sostava per fare il bagno di su-dore in ambiente secco. Anche questo ambiente è oggi conservato soltanto a livello delle fondazioni.I percorsi tra queste sale e il settore con le due vasche riscaldate sono ri-costruibili in base alla presenza di due

porte: una che permetteva il passag-gio tra la sala A 4 e la sala A 2 e l’altra che metteva in comunicazione quest’ ultima con la sala A 5.

Figg. 33 e 34. Sanremo (IM), villa romana della Foce. Veduta generale della sala A 4; veduta generale delle sale A 5 e A 6.

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

39

L’ambiente 7 conclude il percorso ter-male. In questa sala trovavano posto due piccole vasche in muratura, dove i frequentatori delle terme potevano fare il bagno a immersione in acqua calda. Le pareti di questo ambiente hanno una forma caratteristica con due nicchie rettangolari in cui erano ricavate le vasche. Lungo il lato nord si conserva parte del primo pavimento, più basso.

La forma della sala è molto caratteri-stica e si ritrova simile in varie altre terme del mondo romano. Per esem-pio una sala analoga è nei cosiddetti Grandi Bagni della Villa Adriana, fatta costruire a Tivoli, nei pressi di Roma, dall’imperatore Adriano (117-138), oppure nelle terme pubbliche di Sufe-tula, in Africa. Si tratta di un piccolo caldarium, una delle sale di cui tutte le terme, sia pri-vate che pubbliche, erano dotate. Le vasche, in questo caso, hanno dimen-sioni ridotte e con tutta probabilità potevano accogliere una o al massimo

due persone. Possiamo immaginare, quindi, che le terme della Villa della Foce offrissero varie soluzioni per il bagno caldo: la vasca A 2, grande qua-si quanto una piscina, piscina calida; una vasca più piccola, ma adatta a con-tenere più bagnanti, la sala 3; una sala da bagno piccola, e forse più riservata, con vasche individuali, la sala A 7.

Fig. 35. Sanremo (IM), villa romana della Foce, la sala riscaldata A 7.

Fig. 36. Tivoli, Villa Adriana, i cosiddetti Grandi Bagni.

I resti della villa

©www.archeologiametodologie.com

40

L’ambiente 8 era una stanza di ser-vizio. Da qui potevano essere messi in funzione impianti particolari per riscaldare l’acqua nelle vasche della sala A 7 e probabilmente era destina-to anche ad accogliere alcune funzioni accessorie delle terme, come lo stoc-caggio della legna.

Foce, se ne può ipotizzare l’esistenza in base alla forma della pianta o dalle tracce presenti sulle murature; in altri casi, più fortunati, si è conservato per intero e ancora al suo posto l’apparec-chio metallico, come nelle terme di Cuicul, Djemila nell’attuale Tunisia.

Ancora una volta, la conoscenza di al-tri impianti termali meglio conser-vati ci aiuta a comprendere i dettagli delle terme della villa della Foce. Nella pa-rete tra l’ambiente 8 e la sala A 7, in corrispondenza della vasca, è presen-te un incasso che con tutta probabili-tà serviva ad alloggiare una lastra di metallo inserita sul fondo della vasca stessa. Questo meccanismo si chia-mava in antico testudo, cioè tartaru-ga. Con il fuoco veniva arroventato il metallo all’esterno della vasca e que-sto, conducendo calore, contribuiva a mantenere calda l’acqua all’interno della vasca. Non sono molti i resti a noi pervenuti di questo tipo di im-pianto: talvolta, come nella Villa della

Fig. 37. Sanremo (IM), villa romana della Foce, la stanza di servizio A 8. Vano per l’alloggiamento della testudo alvei.

Fig. 38. Cuicul, Djemila, Tunisia, l’apparecchio per riscaldare l’acqua nelle vasche, testudo alvei.

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

41

L’ambiente 9 è posto all’esterno del-l’edifi cio termale vero e proprio, nel cortile A 10. Si tratta di un accessorio indispensabile delle terme, il gabinetto o latrina. La latrina è collegata a due fogne che attraversano lo spazio aperto antistan-te.

Il costume dei romani era molto di-verso dal nostro: i gabinetti pubblici, come anche quelli privati, erano sem-pre a più posti. Vari esempi da ville, come la villa di Settefi nestre in To-scana, o da città, per esempio Ostia antica, ci mostrano come questo ge-nere di impianti fosse sempre allestito nello stesso modo. I sedili forati erano posti direttamente al di sopra di un condotto fognario, mantenuto pulito da acqua corrente. Non di rado nel-le terme l’acqua sporca delle vasche veniva convogliata nella fogna della latrina, ottimizzando così l’uso di un bene che per l’antichità era prezioso, come lo era appunto l’acqua.La parte meglio conservata della la-

trina A 9 sono i condotti, che erano posti sotto i sedili, lungo tre lati del-l’ambiente. Tra l’ambiente 8 e la latrina A 9, è un piccolo vano, A 13, stretto e allungato che potrebbe aver avuto la funzione di vano scale, per raggiungere il piano delle coperture, che nelle terme ne-cessitavano di una frequente manu-tenzione.

Fig. 39. Sanremo (IM), villa romana della Foce, la latrina A 9, vista generale.

Fig. 40. Ostia antica (RM), latrina presso le terme del Foro. Le latrine erano sempre a più posti, spesso con sedili forati in marmo.

I resti della villa

©www.archeologiametodologie.com

42

L’ambiente 11 può essere interpreta-to in vario modo. Potrebbe trattarsi di una piccola sala senza una sua fun-zione specifi ca oppure di una stanza da letto, cubiculum, ipotesi questa più accattivante, anche in considerazione della presenza del contiguo ambiente 12. L’ambiente è conservato solo a li-vello delle fondazioni e non presenta alcuna caratteristica particolare che possa guidarci a una interpretazione sicura.

L’ambiente 12, è caratterizzato da un’abside sul lato di fondo. Questa particolarità ci dice che l’ingresso del-la sala doveva essere collocato sul lato opposto, cioè su di uno spazio esterno alle terme, forse un giardino, A 14. La funzione dei due ambienti poteva essere collegata: due sale da usare con scopi complementari, per esem-pio una sala da pranzo, triclinium, A 12, e una stanza da letto, cubiculum, A 11. Nelle ville, infatti, spesso si trovano queste due funzioni in ambienti vicini. Anche l’ambiente 12 è conservato sol-

tanto a livello delle fondazioni. Ma lo scavo ha chiarito che questo ambiente aveva una forma particolarmente mo-numentale: l’ingresso verso lo spazio aperto antistante, infatti, era ampio quanto tutta la parete e rifi nito ai lati da due pilastri forse decorati. Questa caratteristica rende al momen-to più probabile l’interpretazione come sala da pranzo, poiché questa tipologia di ambienti di rappresentanza ha sem-pre una forma architettonica diversa ed è un tipo di sala molto frequente nelle ville.In alternativa, si dovrebbe pensare a due sale senza una funzione specifi -ca, oeci, semplicemente destinate al riposo e al godimento del panorama circostante.

Fig. 41. Sanremo (IM), villa romana della Foce, veduta generale delle sale A 11 e A 12.

La villa della Foce

©www.archeologiametodologie.com

43

Da tutto quanto detto sino a ora si può trarre uno schema dei percorsi nel pa-diglione termale della villa della Foce. Coloro che si recavano a fare il bagno entravano nella sala 4, l’apodyterium, qui lasciavano i loro abiti. Poi pote-vano scegliere di entrare subito nella piccola suite con vasche per il bagno in acqua calda, costituita dalle sale 2, 1 e 3, oppure potevano percorrere la sequenza delle sale 5, 6 e 7, facendo la

sauna nel laconicum e quindi il bagno in acqua calda nel calidarium. Dal cor-tile 10 potevano accedere alla latrina, se ne avevano necessità. Dallo spazio antistante alle terme potevano recarsi nelle due sale di rappresentanza 11 e 12, forse mangiare nel triclinium e poi riposarsi un poco nel cubiculum.

M. M.

I resti della villa

©www.archeologiametodologie.com

44 Per saperne di più

PER SAPERNE DI PIÙ

Sulla villa romana:H. Mielsch, La villa romana. Con guida archeologica alle ville romane, Firenze 1999.Sulle terme romane:M. Pasquinucci (a cura di), Terme romane e vita quotidiana, Modena 1987.

Sulla zona del Ponente:L. Gambaro, La Liguria costiera tra III e I secolo a.C. Una lettura archeologica della romanizzazione, Mantova 1999.D. Gandolfi , L’età antica in Ceriana. Un borgo di mille anni, Imperia 2004. G.P. Martino, Siti rustici e suburbani di epoca romana nel Ponente: nuovi elementi per la conoscenza, in Dall’antichità alle Crociate: archeologia, arte, storia ligure-provenzale, Atti del Convegno (Imperia 1995), “Rivista Ingauna ed Intemelia”, 51, 1996 [1998], pp. 195-211.

Sulla villa della Foce di Sanremo:P. Barocelli, Edizione archeologica della Carta d’Italia al 100.000. Foglio 102 (San Remo), Istituto Geografi co Militare, Firenze 1928. P. Barocelli, San Remo. Avanzi di una piscina e di altre costruzioni romane, “Notizie degli Scavi”, 8, 1932, pp. 17-21.N. Lamboglia, Liguria romana. Studi storici-topografi ci, Alassio 1939.N. Lamboglia, Nuovi scavi a Taggia e a Sanremo, “Rivista di Studi Liguri”, 8, 1942, pp. 25– 40. N. Lamboglia, La demanializzazione e lo scavo della villa romana in regione Foce a Sanremo, “Rivista Ingauna ed Intemelia”, 18, 1963, pp. 99-102.N. Lamboglia, Sanremo, in Archeologia in Liguria. Scavi e scoperte 1967-75, Genova 1976, pp. 169-170.

Sul pozzo a cicogna:I. Ferrando, T. Mannoni, Liguria, ritratto di una regione. Gli edifi ci tra storia e archeo-logia, Genova 1988.N. Calvini, Nuovo glossario medievale ligure, Genova 1984.M. S. Drower, Fornitura di acqua, irrigazione e agricoltura, in C. Singer (a cura di), Storia della Tecnologia vol. I, Dai tempi primitivi alla caduta degli antichi imperi, Torino 1967, pp. 528-566.M. Quaini, Per la storia del paesaggio agrario in Liguria, Genova 1973.F. Ragazzi, C. Corallo, Chiavari, Genova 1981.E. Scarin, Memoria illustrativa dell’utilizzazione del suolo della Liguria, Roma 1971.A. Trevor Hodge, Roman aqueducts & water supply, London 1992.

©www.archeologiametodologie.com