cinque sensi, di caccajy!o e l'attivitÀ … 11 cinque sensi, di caccajy!o e l'attivitÀ...

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al livello ongmario. In tale modo la chiesa ritro- verà, quasi per intero, l'antico assetto planimetrico- funzionale e tornerà ad essere un esempio fra i più validi di architettura monastica del medioevo in Sardegna. O. LILLIU I) V. M. FREDDI, La chiesa di S. Maria di Uta, Roma I954• p. I2· 2) M. FREDDI, op. cit., pp. II-I2· 3) R. DELOGU, Architettura del medioevo in Sardegna, Roma I953, pp. 58 ss.; M. PrACENTINI, Nota sulle chiese a due navate, in Palladio, V (I94I), pp. I26 ss. Circa la tradizione precristiana degli ambienti di culto doppi e per quanto concerne la Sardegna è ai Fenici che ci si deve nvolgere. In tutti i templi punici si è trovato infatti un doppio ambiente liturgico, di cu1 uno dedicato all'altare - generalmente posto in modo che l'officiante sia rivolto verso nord - e l'altro alla statua o, comunque, al sim- bolo della divinità (Nora: Tempio di Eshmun; Tharros: Tempio di Capo S. Marco; Monte Sirai: Tempio del Mastio; Antas: Temp1o fenicio). Se si tiene conto che questo modo di concepire un organismo sacro ha coperto un arco di tempo che va dal VII secolo a. C. all'età costantiniana, può anche supporsi che esso possa aver lasciato una traccia nella tradizione architettonica dell'isola e che possa essere stato raccolto dai monaci marsi- gliesi ai quali doveva premere l'armonizzare quanto avevano trovato di radicato in Sardegna con le loro esigenze costruttive e liturgiche. Cfr. al riguardo: F. BARRECA, Monte Sirai III, Roma I966, p. gss .; In., Monte Sirai, IV, Roma I967, p. 7ss. 4) La qual cosa conferma l'ipotesi prospettata in DELoGu, op. cit., p. 63. 5) V. FREDDI, op. ci t., pp. I I ss. 6) DELOGU, op. cit., pp. 63 s. I 11 CINQUE SENSI, DI CACCAJY!O E L'ATTIVITÀ SICILIANA DI GIOVANNI VAN HOUBRACKEN N ELLA SACRESTIA della Chiesa Madre di Caccamo (Palermo) sono cinque tele d'ignoto artista sei- centesco e d'ignota provenienza, ma che, per il loro soggetto profano, denunciano una destinazione origi- naria diversa dall'attuale. Esse rappresentano infatti le allegorie dei" cinque sensi, (figg. 101-105), tema abba- stanza diffuso nella pittura del sec. XVII e di cui resta celebre .esempio la serie riberesca e sue derivazioni. 1 l Ciò che colpisce subito in questi dipinti è tuttavia l'originale interpretazione del tema e la singolarità dello stile, che rifiuta recisamente la locale tradizionale attri- buzione a Mattia Stomer. Di questo ultimo pittore (la cui produzione artistica è abbastanza nota, sebbene' manchi a tutt'oggi uno studio ampio e approfondito sulla sua personalità) esiste nella chiesa di S. Agostino della stessa Caccamo una pala di altare con Miracolo di S. Isidoro Agricola, firmata e datata 1641, che avrebbe dovuto da tempo persuadere i locali dell'arbitrarietà di ogni accostamento allo Stomer dei " cinque sensi , della Chiesa Madre. Eppure, nelle antiche guide come nelle nuove, tale errata attribuzione viene comune- mente accolta, mentre invece mancano del tutto notizie in merito alla provenienza dei cinque dipinti. 2 l Chi più diffusamente di altri ne parla è F. Nicotra, che nel suo Dizionario dei Comuni siciliani (Palermo 1907), alla voce Caccamo Chiesa Madre così ce li de- scrive: " ... pregevolissimi però soprattutto i cinque quadri di scuola fiamminga, rappresentanti in allegoria i sensi dell'uomo, pregiose tele olandesi le quali sono attribuite a Matteo Stomer. La Vista è in emblema di una giovane donna aristocratica che fa toelette e unge di balsami i lunghi capelli disciolti; un vispo mo- retto, nella penombra, le offre gli aromi preziosi della bellezza; l'Udito è in simbolo di un'altra donna fles- suosa, che siede al piano ... ; altro che annasa, voluttuo- samente ingordo, un grosso frutto primaticcio è la figurazione realisti ca dell'Odorato; il Tatto è il rilievo di una scena dell'ombra: due ciechi brancolanti nel- l'incertezza dei passi e nella nervosità delle strette angosciose ,. Malgrado l'inevitabile ampollosità retorica e l'ine- satta lettura di questo ultimo soggetto, che non rappre- senta " due ciechi brancolanti , ma un cieco che stringe energicamente il braccio e afferra per i capelli un ragazzo, tale descrizione può servire di punto di partenza per un esame più approfondito e un giudizio più ponderato su questa interessante serie di dipinti. Già il parlare di "penombra, e di "scene d'ombra, ci introduce nell'ambito di una poetica, di una pittura di valori di matrice caravaggesca, di cui vedremo però la reale portata. Anche per quanto riguarda la " figu- razione realistica, dell'Odorato v'è da osservare che essa non è certo così nuova e ardita. Basterebbe con- trapporre all'uomo "che annasa, voluttuosamente in- gordo, un grosso frutto primaticcio , il contadino con la cipolla in mano dell'Olfatto riberesco, per concludere che qui si tratta piuttosto di un'interpretazione del tema che sta a mezza via tra l'accezione iconografica tradizionale (donna al piano per l'Udito, donna allo specchio per la Vista) e la sua traduzione al gusto e alla cultura della pittura postcaravaggesca. Anche la alternanza di personaggi e ambienti aristocratici con personaggi e ambienti popolani· sta ad indicare nel- l'autore una cultura composita e un gusto parzialmente aggiornato, che ben si addicono ad un artista venuto di fuori, probabilmente dal nord, e vivamente impres- sionato dal nuovo ambiente. Una conferma dell'ori- gine nordica del pittore sembra offrirla anche la tipo- logia delle figure, specie le femminili, dai tratti un po' duri, dai costumi ricchi ed eleganti, dalle acconciature impreziosite di gioielli, che denunciano una sia pur lontana parentela con le ricercate dame degli ultimi manieristi della scuola di Haarlem. Una prima indi- cazione, questa, sulla patria del pittore che autorizza l'ipotesi di un'originaria esatta attribuzione dei cinque dipinti a maestro fiammingo, corrotta poi in quella errata a Mattia Stomer, forse perché il più noto dei fiamminghi operanti in questi anni in Sicilia. Anche il Matranga nel suo studio sull'attività siciliana dello Stomer espunge dal catalogo del maestro i " cinque sensi , di Caccamo, ma con una motivazione un po' troppo parziale e superficiale. Le figure dei " cinque sensi , di Caccamo, secondo il JYiatranga, si potrebbero avvicinare a quelle dello Stomer " ... se il colore troppo acceso della loro pelle rossa e lucida come il rame, non rivelasse il seguace pedestre e vol- gare, non del solo Stomer, ma di tutto un indirizzo fiammingo caravaggesco, che ebbe in Napoli larga e non sempre degna diffusione. L'ignoto artista, che decisamente si distacca dallo Stomer, nelle figure fem- minili biaccose, imbellettate e svenevoli, malgrado le durezze del suo disegno e la brutalità della sua tavo- lozza, riesce un evocatore bizzarro di galanterie sei- centesche e di episodi popolari ,. 3) Proprio tale contrasto di valutazioni e di giudizi in merito alla qualità dei cinque dipinti può darci la mi- sura della problematicità di questo artista, che non può essere considerato semplice-mente un cattivo seguace dello Stomer, o un modesto epigono della cultura post- ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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al livello ongmario. In tale modo la chiesa ritro­verà, quasi per intero, l'antico assetto planimetrico­funzionale e tornerà ad essere un esempio fra i più validi di architettura monastica del medioevo in Sardegna. O. LILLIU

I) V. M. FREDDI, La chiesa di S. Maria di Uta, Roma I954• p. I2·

2) M. FREDDI, op. cit., pp. II-I2· 3) R. DELOGU, Architettura del medioevo in Sardegna, Roma

I953, pp. 58 ss.; M. PrACENTINI, Nota sulle chiese a due navate, in Palladio, V (I94I), pp. I26 ss. Circa la tradizione precristiana degli ambienti di culto doppi e per quanto concerne la Sardegna è ai Fenici che ci si deve nvolgere. In tutti i templi punici si è trovato infatti un doppio ambiente liturgico, di cu1 uno dedicato all'altare - generalmente posto in modo che l'officiante sia rivolto verso nord - e l'altro alla statua o, comunque, al sim­bolo della divinità (Nora: Tempio di Eshmun; Tharros: Tempio di Capo S. Marco; Monte Sirai: Tempio del Mastio; Antas: Temp1o fenicio). Se si tiene conto che questo modo di concepire un organismo sacro ha coperto un arco di tempo che va dal VII secolo a. C. all'età costantiniana, può anche supporsi che esso possa aver lasciato una traccia nella tradizione architettonica dell'isola e che possa essere stato raccolto dai monaci marsi­gliesi ai quali doveva premere l'armonizzare quanto avevano trovato di radicato in Sardegna con le loro esigenze costruttive e liturgiche. Cfr. al riguardo: F. BARRECA, Monte Sirai III, Roma I966, p. gss. ; In., Monte Sirai, IV, Roma I967, p. 7ss.

4) La qual cosa conferma l'ipotesi prospettata in DELoGu, op. cit., p. 63.

5) V. FREDDI, op. ci t., pp. I I ss. 6) DELOGU, op. cit., pp. 63 s.

I 11 CINQUE SENSI, DI CACCAJY!O E L'ATTIVITÀ SICILIANA DI GIOVANNI

VAN HOUBRACKEN

N ELLA SACRESTIA della Chiesa Madre di Caccamo (Palermo) sono cinque tele d'ignoto artista sei­

centesco e d'ignota provenienza, ma che, per il loro soggetto profano, denunciano una destinazione origi­naria diversa dall'attuale. Esse rappresentano infatti le allegorie dei" cinque sensi, (figg. 101-105), tema abba­stanza diffuso nella pittura del sec. XVII e di cui resta celebre .esempio la serie riberesca e sue derivazioni. 1l

Ciò che colpisce subito in questi dipinti è tuttavia l'originale interpretazione del tema e la singolarità dello stile, che rifiuta recisamente la locale tradizionale attri­buzione a Mattia Stomer. Di questo ultimo pittore (la cui produzione artistica è abbastanza nota, sebbene' manchi a tutt'oggi uno studio ampio e approfondito sulla sua personalità) esiste nella chiesa di S. Agostino della stessa Caccamo una pala di altare con Miracolo di S. Isidoro Agricola, firmata e datata 1641, che avrebbe dovuto da tempo persuadere i locali dell'arbitrarietà di ogni accostamento allo Stomer dei " cinque sensi , della Chiesa Madre. Eppure, nelle antiche guide come nelle nuove, tale errata attribuzione viene comune­mente accolta, mentre invece mancano del tutto notizie in merito alla provenienza dei cinque dipinti. 2 l

Chi più diffusamente di altri ne parla è F. Nicotra, che nel suo Dizionario dei Comuni siciliani (Palermo 1907), alla voce Caccamo Chiesa Madre così ce li de­scrive: " ... pregevolissimi però soprattutto i cinque quadri di scuola fiamminga, rappresentanti in allegoria i sensi dell'uomo, pregiose tele olandesi le quali sono attribuite a Matteo Stomer. La Vista è in emblema di una giovane donna aristocratica che fa toelette e unge di balsami i lunghi capelli disciolti; un vispo mo-

retto, nella penombra, le offre gli aromi preziosi della bellezza; l'Udito è in simbolo di un'altra donna fles ­suosa, che siede al piano ... ; altro che annasa, voluttuo­samente ingordo, un grosso frutto primaticcio è la figurazione realisti ca dell'Odorato; il Tatto è il rilievo di una scena dell'ombra: due ciechi brancolanti nel­l'incertezza dei passi e nella nervosità delle strette angosciose ,.

Malgrado l'inevitabile ampollosità retorica e l'ine­satta lettura di questo ultimo soggetto, che non rappre­senta " due ciechi brancolanti , ma un cieco che stringe energicamente il braccio e afferra per i capelli un ragazzo, tale descrizione può servire di punto di partenza per un esame più approfondito e un giudizio più ponderato su questa interessante serie di dipinti. Già il parlare di "penombra, e di "scene d'ombra, ci introduce nell'ambito di una poetica, di una pittura di valori di matrice caravaggesca, di cui vedremo però la reale portata. Anche per quanto riguarda la " figu­razione realistica, dell'Odorato v'è da osservare che essa non è certo così nuova e ardita. Basterebbe con­trapporre all'uomo "che annasa, voluttuosamente in­gordo, un grosso frutto primaticcio , il contadino con la cipolla in mano dell'Olfatto riberesco, per concludere che qui si tratta piuttosto di un'interpretazione del tema che sta a mezza via tra l'accezione iconografica tradizionale (donna al piano per l'Udito, donna allo specchio per la Vista) e la sua traduzione al gusto e alla cultura della pittura postcaravaggesca. Anche la alternanza di personaggi e ambienti aristocratici con personaggi e ambienti popolani · sta ad indicare nel­l'autore una cultura composita e un gusto parzialmente aggiornato, che ben si addicono ad un artista venuto di fuori, probabilmente dal nord, e vivamente impres­sionato dal nuovo ambiente. Una conferma dell'ori­gine nordica del pittore sembra offrirla anche la tipo­logia delle figure, specie le femminili, dai tratti un po' duri, dai costumi ricchi ed eleganti, dalle acconciature impreziosite di gioielli, che denunciano una sia pur lontana parentela con le ricercate dame degli ultimi manieristi della scuola di Haarlem. Una prima indi­cazione, questa, sulla patria del pittore che autorizza l'ipotesi di un'originaria esatta attribuzione dei cinque dipinti a maestro fiammingo, corrotta poi in quella errata a Mattia Stomer, forse perché il più noto dei fiamminghi operanti in questi anni in Sicilia.

Anche il Matranga nel suo studio sull'attività siciliana dello Stomer espunge dal catalogo del maestro i " cinque sensi , di Caccamo, ma con una motivazione un po' troppo parziale e superficiale. Le figure dei " cinque sensi , di Caccamo, secondo il JYiatranga, si potrebbero avvicinare a quelle dello Stomer " ... se il colore troppo acceso della loro pelle rossa e lucida come il rame, non rivelasse il seguace pedestre e vol­gare, non del solo Stomer, ma di tutto un indirizzo fiammingo caravaggesco, che ebbe in Napoli larga e non sempre degna diffusione. L'ignoto artista, che decisamente si distacca dallo Stomer, nelle figure fem­minili biaccose, imbellettate e svenevoli, malgrado le durezze del suo disegno e la brutalità della sua tavo­lozza, riesce un evocatore bizzarro di galanterie sei­centesche e di episodi popolari ,. 3)

Proprio tale contrasto di valutazioni e di giudizi in merito alla qualità dei cinque dipinti può darci la mi­sura della problematicità di questo artista, che non può essere considerato semplice-mente un cattivo seguace dello Stomer, o un modesto epigono della cultura post-

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caravaggesca meridionale, poiché molti dei difetti rim­proveratigli vanno riconosciuti come precipui meriti, che lo distinguono dallo Stomer, non lo subordinano a lui o ad altri pittori caravaggeschi siciliani coevi. Meno generici di quanto si è saputo intendere sono inoltre i rapporti di questo maestro con la cultura non solo caravaggesca, ma anche riberesca, come trapela dalle figure del Gusto, dell'Olfatto e soprattutto del Tatto.

Soggetto assolutamente inedito e singolarissimo quest'ultimo, che si presta ad un'ulteriore indagine sul fondo culturale dell'autore. È evidente infatti che la scena, raffigurante un vecchio cieco che afferra un ragazzo, non per appoggiarsi e farsi guidare, ma per fargli del male, per punirlo di qualche sua precedente burla o canagliata, si ispira, o meglio sembra illustrare uno dei tanti episodi del più noto testo di letteratura picaresca, il Lazarillo de Tormes. Ispirazione che po­teva essere comune ad uno spagnolo come ad un olan­dese, visto che, anche a prescindere dalla radice era­smiana di tutto quel filone letterario, l'opera succitata, il Lazarillo de Tormes, apparve contemporaneamente a Burgos e ad Anversa. Posto che qui troviamo una con­ferma al fatto che tanta fortuna del caravaggismo nor­dico e iberico va valutata anche in rapporto a questa importantissima componente letteraria picaresca, fatta di satira sociale e di realismo canagliesco, non voglio affermare che nel caso specifico si tratti più che di uno spunto, ma uno spunto dettato da un preciso ricordo letterario, che dà al dipinto un carattere di assoluta originalità.

Interessante il Tatto anche dal punto di vista stili­stico, poiché questo dipinto è forse tra i cinque quello dove maggiormente si colgono anche le derivazioni caravaggesche: basti osservare la figura del ragazzo, la sua smorfia dolorosa e impaurita, che richiama ben noti modelli del Caravaggio. Tale incontro di gusti, di culture e di tendenze artistiche diversi fa di questo dipinto forse il più interessante, certo quello 'che meglio illustra le doti del pittore, ma proprio in virtù della sua originalità anche quello che meno degli altri ci porta ad una sicura identificazione dell'autore, in base a confronti diretti con opere di artisti noti, attivi in questo periodo in Sicilia. ·

Tra questi, malgrado il parere del Matranga, penso non si possano prendere in considerazione i minori, e tra i maggiori, per ragioni di stile, dobbiamo senz'altro escludere, insieme allo Stomer, un Casembrot e un Alonzo Rodriguez, il quale ultimo, a parte il fatto che non è fiammingo e spagnolo solo di nome, presenta nelle sue poche opere certe caratteri ben distinti, im­prontati ad un caravaggismo direi più colto e nobile, e al tempo stesso meno incline al bizzarro e al fantasioso. Pure, proprio nel fecondo ambiente della pittura mes­sinese della prima metà del Seicento e tra i pittori influenzati dalla personalità del Rodriguez ci è dato scoprire l'autore delle cinque tele di Caccamo.

Nel Museo Nazionale di Messina è infatti un grande dipinto di soggetto sacro, in cui non è difficile cogliere analogie e precise corrispondenze con lo stile di quei dipinti. L'opera, proveniente dal vecchio Museo Civico ?i Messina, e recentemente restaurata, 4) rappresenta ~l Martirio di San Placido e compagni (fig. 107) 5l e reca 10 basso a destra, accanto ad uno stemma ormai illeg­gi?ile, una scritta parzialmente abrasa, in cui si di­stmgue ancora il nome del pittore JOANNES VAN HOU­BRACKEN: scritta che possiamo d'altronde ricostruì-

re per intero attraverso la testimonianza del La Corte Cailler, il quale nella sua inedita Guida del Museo Civico di Messina (Manoscritto del rgor presso la Biblioteca "T. Cannizzaro, di Messina) così la trascrisse : JOANNES VAN HOUBRACKEN FLANDRIAE INV. ET FACIEBAT 1636. 6)

Chiaro è il rapporto di questo dipinto con i quadri di Caccamo, dove la donna che rappresenta la Vista quasi si identifica in quella in ginocchio a sinistra che raccoglie in un vaso le reliquie del sangue di S. Pla­cido. Molte sono poi le corrispondenze riscontra­bili nei tipi e negli atteggiamenti delle altre figure, nella ricerca di un'espressione patetica che si esauri­sce e si perde nella fissità astratta degli sguardi, nella resa luministica dei panneggi delle seriche vesti e in quell'agghindare le figure femminili con diademi e collane di perle, anche se non del tutto consone ad una scena macabra come questa. Ma è soprattutto quel­l'alternarsi di figure aristocratiche con figure di popo­lani, quell'attrito tra l'impegno idealistico controrifor­mistico e una spiccata tendenza al realismo brutale che meglio di qualsiasi altro elemento caratterizzano l'arte di questo maestro, le cui vicende biografiche e posi­zione culturale sono per molti versi analoghe a quelle di un Mattia Stomer, ma il cui stile appare nettamente diverso.

Di Giovanni V an Houbracken non restano purtroppo che n_ptizie scarse e lacunose e, tranne il Martirio di San Placido del Museo Nazionale, non sussistono di lui a Messina altre opere documentate, essendo andate distrutte o disperse nel catastrofico terremoto del rgo8 tutte quelle, e non erano poi molte, ricordate dalle fonti. La più antica delle quali, ma già posteriore quasi di un secolo (1724), il Susinno, 7) ci informa che " Gio­vanni Vanhoubracken , nativo di Anversa venne in Italia con il Rubens suo maestro, fu con lui a Roma, Firenze, Venezia e giunse già famoso a Messina. Delle opere eseguite dal maestro fiammingo il Susinno ricorda però soltanto un Martirio dei Santi giapponesi Paolo Michi, Giacomo Chisaj e Giovanni Gothò nel Convento dei Padri Gesuiti di Casa Professa (di cui fu eseguita copia per la chiesa, forse dal figlio Ettore) e una Morte della Vergine per la Cappella dell' Assun~ione nella Chie­sa dell'Annunziata dei Padri Teatini, opera quest'ulti­ma che il pittore avrebbe inviata al suo ritorno nelle Fiandre. " È così grande la bellezza di questa mani­fattura - egli commenta - che viene creduta comu­nemente del Rubens , , malgrado che Giovanni, tor­nato in Fiandra, " lasciò affatto quell'idealizzare di teste al modo italiano. E però vedonsi di questa grande opera le ciere tutte con certi nasi a rostro di gallo ed alquanto brutte ,. Il Susinno nota poi la bravura del Van Houbracken nel dipingere vasellame d'oro e di argento e conclude dicendo che " appresso a' partico­lari sono molte le opere e tutte di pregio, che il volerle tutte rapportare riuscirebbe tedioso il racconto,.

Va subito detto, per non farsi soverchie illusioni sulla attendibilità anche del Susinno, che il Van Houbracken non tornò mai in Fiandra, ma, come attesta un docu­mento, morì a Messina nel r665 e fu sepolto nell'Ora­torio della Congregazione di San Francesco dei Mer­canti di cui era confrate dal 1647. 8J Lo stesso suo viaggio in Italia con il Rubens è d'altronde, come ve­dremo, piuttosto improbabile.

Dal Susinno sembra trarre le sue informazioni C. D. Gallo, che nel suo Apparato agli Annali della città di Messina (Messina 1756) ricorda di " Giovanni Vannen-

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brachen, le stesse due opere, precisando l'ubicazione della Morte della Vergine " nella prima cappella a sinistra , della chiesa dell'Annunziata dei Teatini.

Qualche nuova notizia ci fornisce sul pittore l'altra preziosa fonte settecentesca, lo Hackert, che nelle sue Memorie dei pittori Messinesi, 9) in nota alle vite di Ettore Van Houbracken e di suo figlio Niccolino, pit­tori di nature morte, 10> ricorda " ... ebbe il primo i natali da Giovanni, Pittore, e discepolo del Rubens, il quale fermò per lungo tempo il soggiorno a Messina , , e aggiunge: "Di Giovanni Van Houbracken, cono­sciuto in Messina sotto il nome del Fiammingo, sono in case de' particolari molte opere. Nelle chiese sono di lui il San Giuseppe in S. Alberto, i Tre Martiri giap­ponesi in San Saverio, l'Assunzione nell'Annunziata dei Teatini, la Vergine che porge il Bambino a San Francesco nell'Oratorio dei Mercanti ,.

Se, come probabile, l'Assunta dei Teatini citata dallo Hackert va identificata con la Morte (o Transito) della Vergine, ricordata in quella chiesa dal Susinno, e i Tre Martiri giapponesi con l'analogo dipinto, anche esso citato dal Susinno, e passato nel frattempo dal Collegio alla Chiesa dell'Ordine Gesuitico intitolata a San Francesco Saverio (o con la copia già esistente in quella chiesa}, di nuovo questa fonte ci dà soltanto la esistenza di un San Giuseppe nella chiesa di S. Alberto e della Vergine che porge il Bambino a San Francesco nell'Oratorio dei Mercanti, intitolato San Francesco alle Stimmate. 11>

Opere queste due ultime ricordate anche nella bio­grafia del pittore di G. Grosso-Cacopardo, 12> la più estesa ma non per questo la più attendibile. Il Grosso­Cacopardo compendia infatti senza controllo le pre­cedenti fonti, riferendo sull'alunnato del Van Hou­bracken presso il Rubens e poi presso Mattia Stomer, '3)

affermando che il maestro giunse a Messina verso il 1640 (mentre il quadro del Martirio di San Placido era datato 1635) e partì per Livorno con il figlio Ettore e il nipote Niccolino per sfuggire alla rivoluzione del 1671 (mentre l'artista era già morto, come abbiamo visto, da sei anni). Quanto alle opere, oltre quelle già note (il San Giuseppe, la Vergine e S. Francesco che dice "falsamente creduta di Pietro da Cortona , , l'Assunta, suo capolavoro, e i Tre Martiri giapponesi, quadro "non più esistente,}, il Grosso-Cacopardo aggiunge altri quattro quadri con "vari Martiri del­l'Ordine Gesuitico ... nel corridoio dei Padri Cister­censi, che occupavano l'ex Casa dei Gesuiti, passata in un primo tempo ai Bernardini, i quali, per acquisire al proprio ordine quei martiri, ne fecero ndipingere in bianco le nere vesti.

Il Grosso-Cacopardo traccia poi un profilo assai lu­singhiero del maestro fiammingo, osservando come, all'opposto del Casembrot, egli fosse " ammirabile ... nelle grandi opere , , e sostenendo che " il meglio di questo pittore è nell'espressione, sapendo dare alle sue fi~ure una certa attitudine, ed attenzione che sembrano v1ve, parlanti , , come dimostra l'Assunta dei Teatini ·: ·:· ove gli Apostoli sono meravigliosamente espres­SlVl ,.

Alcune delle opere del Van Houbracken ricordate nelle Memorie non sono riportate dal Grosso-Caco­pardo nella sua posteriore Guida di Messina, '4) ove peraltro si attribuiscono al maestro dipinti non prece­dentemente segnalati, e precisamente l'Angelo che fa sentire a San Francesco la celeste armonia, nello stesso Oratorio dei Mercanti, e il Martirio di San Placido,

" quadro di gran composizione , sito nella Chiesa del Collegio, che fu infatti la primitiva sede del Museo Civico di Messina, fondato dall'Accademia Peloritana nel 1806 e formato con opere di donazione privata o provenienti da chiese chiuse al culto.

Delle altre fonti ottocentesche, o comunque prece­denti il terremoto del 1908, sono da menzionare G. La Farina~ che ricorda il Martirio di San Placido e i dipinti di San Francesco dei Mercanti, ma non parla del­l'Assunta del Van Houbracken all'Annunziata dei Tea­tini, citando invece in quella stessa chiesa altre due Assunte, una del Suppa e una del Quagliata; A. Eu­sacca, che riporta notizie e attribuzioni delle guide del Grosso-Cacopardo e del La Farina, dal quale ultimo desume la notizia della morte del maestro fiammingo a Messina nel 1665; La Corte Cailler, che riferendo notizie tratte dalle fonti precedenti, dice il pittore na­tivo di Anversa e allievo del Rubens e di Mattia Sto­mer, ricorda i due dipinti dell'Oratorio dei Mercanti e l'Assunta dei Teatini, e giudica quei quadri " ben dise­gnati, meglio coloriti e ottimi di espressione ,. 15l Anche la Guida di Messina del 1902 ' 6> conferma l'esi­stenza a quella data dei due quadri dell'Oratorio dei Mercanti, dell'Assunta dei Teatini e del Martirio di San Placido nel Museo Civico.

La rovina di quasi tutte le chiese di Messina causata dal terremoto del 1908, insieme alla scomparsa di un cospicuo numero di opere d'arte, ha determinato pur­troppo anche la brusca interruzione della documenta.­zione storico-topografica delle superstiti, che vennero raccolte, o meglio stipate in un angusto e inadatto edificio (una ex filanda) cui è stato dato il nome, ma non ancora la funzione di Museo Nazionale.

Inevitabilmente incompleta è quindi la prima Rela­zione sui danni arrecati dal terremoto al patrimonio artistico, pubblicata dalla Soprintendenza alle Belle Arti nel 1915. '7) In essa sono ricordate solo le opere del Van Houbracken site nell'Oratorio dei Mercanti e cioè la Vergine che porge il Bambino a San Francesco (salvato in parte) e l'Angelo che fa sentire al Santo la celeste armonia (dichiarata completamente distrutta). Nella relazione non v'è cenno delle restanti opere, che, tranne il Martirio di San Placido, tutto lascia supporre siano andate anch'esse perdute. Non si ha notizia ad esempio della chiesa di S. Alberto (distrutta) e del relativo dipinto di San Giuseppe. Tra le opere salvate all'Annunziata dei Teatini figura solo l'Assunta del Suppa, ma si aggiunge come possibile ìl recupero di un altro dipinto " della cappella a sinistra , (forse proprio la Morte della Vergine del Van Houbracken, secondo l'ubicazione data dal Gallo).

In un suo articolo del 1926 e nella posteriore Guida del Museo Nazionale di Messina del 1929 I8) il Mauceri dà però per perduta anche la Morte della Vergine e dichiara unico frammento superstite delle opere del Van Houbracken il S. Francesco col Bambino (fig. 109) dell'Oratorio dei Mercanti. Il Mauceri non cita invece il Martirio di San Placido, che pure si conservava nel suo Museo, ma di cui la Relazione dei recuperi d~l 1915 non faceva menzione alcuna. Dopo il Maucen, pochi accenni sul Van Houbracken fece l'Hogew~~ (op. cit., nota 10}, che riporta in complesso le nottz1e e gli errori del Grosso-Cacopardo. Nessun cenno sul­l'artista fiammingo e la sua opera in Sicilia ~anno invece T. H. Fokker nel suo Werke NiederlandiScher. Meister in den Kirchen ltaliens (Haag 1931) e altn studiosi che si sono occupati dell'argomento.

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Se per le notiZie biografiche del Van Houbracken le nostre conoscenze si arrestano a queste poche date certe (1635 termine " ante quem, per il suo arrivo a Messina, 1647 ingresso nella Confraternita dei Mer­canti, 1665 anno di morte), per quanto concerne la attività artistica del maestro in Sicilia possiamo invece aggiungere un'altra opera documentata e fortunata­mente salva (sebbene in cattivo stato di conservazione) : la grande pala con Crocifissione della Chiesa Collegiata di S. Maria in Randazzo (fig. w8). Tale dipinto, che già a colpo d'occhio scopre la paternità del nostro maestro fiammingo, era in origine anche firmato e da­tato: IOANNES HOUBRACKEN ANTVERPIAE PINSEBAT 1657, come riporta C. La Farina in una sua memoria. '9) La scritta, che forse riapparirà dopo la pulitura del dipinto, è assai interessante, anche perché, come notava giu­stamente il La Farina, in essa l'autore " ... volle per la prima volta farci nota la sua patria essere Anversa (Antverpia), mentre che nelle altre opere erasi conten­tato nominarsi fiammingo {Flandriae) , , a conferma quindi delle notizie forniteci dalle fonti più antiche.

Malgrado di quasi vent'anni posteriore, l'opera di Randazzo appare vicinissima al Martirio di S . Placido di Messina, segno che, dopo l'iniziale evoluzione, lo stile del Van Houbracken non subì poi ulteriori sostan­ziali mutamenti, e si fossilizzò in quello che il Susinno definì " modo italiano , , " modo , che in verità sco­pre sempre ben evidente il marchio della sua estrazione culturale. Un confronto diretto con il superstite dipinto messinese mostra infatti in ambedue le opere identici caratteri stilisti ci e compositivi : personaggi di taglio monumentale disposti quasi su uno stesso piano avan­zato, figure secondarie poste a riempire e animare gli spazi intermedi, sfondi con pittoreschi paesaggi o ve­dute di città che rivelano un particolare gusto per le lontananze crepuscolari. In più nel dipinto di Randazzo il maestro ci dà un notevole brano di studio anatomico nel lungo e stirato nudo del Cristo, in cui, analoga­mente alle estatiche figure della Madonna e del San Giovanni, aleggia un vago ricordo vandyckiano.

Sono questi due dipinti comunque la base delle no­stre conoscenze sul Van Houbracken, le uniche opere documentate che ci permettono di ricostruire, per quanto è possibile, il percorso artistico del maestro fiammingo, e che per prima cosa mettono in dubbio molte affermazioni delle fonti. Innanzitutto la notizia, diffusa dal Susinno, secondo cui il Van Houbracken, seguace del Rubens, venne in Italia insieme a quel maestro e con lui visitò Roma, Firenze e Venezia; no­tizia che contrasta con i dati sia cronologici che stili­stici in nostro possesso. Il Rubens infatti fu in Italia, come è noto, tra il 16oo e il 1608, mentre la prima opera documentata del Van Houbracken è di circa trent'anni posteriore. Ancor più difficile poi della ri­cerca di una coincidenza cronologica è quella di una concordanza, o di un qualsiasi rapporto di stile tra i due maestri fiamminghi. A parte qualche volto più pieno e acceso e qualche giuoco di riflessi sulle fluenti chiome fulve delle figure femminili, assai poco si può cogliere in questi dipinti del tanto decantato stile ru­bensiano del nostro pittore. I caratteri della sua arte sono infatti assai diversi, e tutto sommato abbastanza originali; a cominciare proprio dal colore (così mal giudicato dal Matranga), di intonazione calda, ma con dominanti violacee, verdastre e giallastre; qualche tocco di rosso più vivo, subito spento, come bruciato e incupito da ombre brune su cui spiccano con insolita

efficacia le sottili lumeggiature dell'elaborato panneggio. Anche per quanto riguarda la tipologia delle figure femminili, dalle lunghe e fluenti chiome e il petto stretto e rialzato dal corsetto, o lo studio dei riflessi di luce sugli oggetti metallici (che richiama la nota del Susinno sulla bravura del pittore in questo particolare genere), si può dire che sono questi elementi riferibili più genericamente al substrato fiammingo della sua cultura, che specificamente a suoi presunti rapporti con il Rubens.

Assolutamente opposte all'accesa vitalità e sfrenato edonismo dell'arte del Rubens sono infine la poetica e le tendenze formali del Van Houbracken, portato ad una pittura riflessiva e introversa, ad una fredda analisi realistica e ad un senso di mortificazione controrifor­mistica, che sfoga poi, da buon nordico, nel cupo, nel macabro, nel canagliesco (vedi nel Martirio di San Placido il monaco che introduce il dito nella bocca della testa mozza, cui è stata strappata la lingua che un altro personaggio mostra infilzata in uno stiletto), andando incontro, a modo suo, alla corrente riberesca meridio­nale. Nulla quindi che ricordi tanto da vicino il Rubens da giustificare lo scambio delle sue opere con quelle del grande maestro, come riferiscono le fonti. 20>

Meno remoti forse i rapporti del Van Houbracken con l'arte dello Stomer (suo presunto secondo maestro), ma insufficienti a stabilire, come si è voluto, un alun­nato del primo presso il secondo, anche a prescindere dal fatto che le opere documentate dello Stomer in Sicilia sono più tarde di quelle" del V an Houbracken.

Semmai, qualche riflesso di carattere aulico, aristo­cratico, idealizzante, fortemente in contrasto con lo spirito crudamente realistico della sua pittura, si può mettere in rapporto non con il Rubens, ma con il V an Dyck, come ha osservato giustamente Consoli a pro­posito del Martirio di San Placido, e come conferma il quadro di Randazzo; rapporto su cui tornano assai meglio i conti riguardo alla cronologia, all'ambiente e allo stile del nostro maestro.

È infatti molto più probabile che il V an Houbracken, nativo di Anversa, avesse in effetti frequentato per qualche tempo l'attivissima bottega del Rubens, che reclutava tutte le giovani leve locali, e che poi sia venuto in Italia, non con il maestro, ma con il condisce­polo Van Dyck tra il 1622 e il 1627, con lui abbia visitato Roma e Napoli (entrando a diretto contatto con la pittura caravaggesca) e con lui forse sia giunto in Sicilia.

I "cinque sensi, di Caccamo potrebbero pertanto documentare un suo iniziale soggiorno a Palermo, città ove per l'appunto Van Dyck lasciò numerosi epigoni. Ciò spiegherebbe meglio il percorso stilistico del no­stro maestro e il suo graduale accostamento ai modi italiani prima, ai messinesi poi, pur restando sempre fedele alla cultura d'origine, che meglio trapela ovvia­mente nei dipinti più antichi. Il che porta ad escludere che il Martirio di San Placido sia la prima opera sici­liana del maestro, secondo quanto riferisce il Di Marzo, come porta anche a capovolgere l'iter assegnato al mae­stro dal Susinno, che vuole il Van Houbracken abban­donasse la maniera italiana e tornasse alle '' ci ere a rostro di gallo , dopo. il suo ritorno in Fiandra. Noi sappiamo peraltro che il maestro non tornò mai in patria, ragion per cui le affermazioni del Susinno, oltreché contro la logica urtano contro dati di fatto. I caratteri più fiammingheggianti della perduta Assunta e la storia del suo invio a Messina· possono invece

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facilmente spiegarsi con un equivoco del Susinno, e cioè che in realtà quel dipinto, come i " cinque sensi , di Caccamo, fosse un'opera della prima maniera e che, non dalle Fiandre ma da Palermo (o da Napoli ?) fosse stato inviato a Messina. Altre deduzioni non è possibile fare essendo il dipinto in questione andato perduto, ma una conferma mdiretta alla nostra ipotesi restano i quadri di Caccamo, indubbiamente più fiam­minghi del Martirio di San Placido, e la cui origine palermitana è provata anche dall'esistenza in Palermo, nella collezione dei Baroni Ryolo, di una replica (più che copia) dell'Odorato (fig. 106), purtroppo scarsa­mente leggibile per il cattivo stato di conservazione.

Oltre che della iniziale attività del Van Houbracken in Sicilia, i i' cinque sensi , di Caccamo, e la replica dell'Odorato Ryolo, restano anche unica testimonianza nota di quella produzione per i " particolari , che le fonti ricordano assai vasta.

Nulla infatti può aggiungere alle nostre conoscenze in merito all'attività svolta dal maestro per i privati la notizia dell'esistenza nella Galleria Ruffo di Messina di dipinti ascritti ad un " Giovanni lo fiammingo , , e precisamente : una '' Nostra Signora del Rosario di palmi 5 e 5 I /2 , (inventario dei quadri acquisiti tra il I646 e il I64g), un " Pittore con cappello in testa e guanti in mano, rame palmi I e I /2, e "Vecchia che fila e pastore che munge una vacca palmi 2 e I I/2, (in inventari posteriori) . In primo luogo perché la col­lezione Ruffo, come è noto, è andata completamente dispersa, in secondo luogo perché l'identificazione di " Giovanni lo fiammingo , autore dei quadri Ruffo con il V an Houbracken, proposta da V. Ruffo, 2 ') è ancora da provare. Se prescindiamo infatti dall'appellativo di " fiammingo , , dato al nostro maestro per testimo­nianza dello Hackert, ma abbastanza comune e diffuso, la coincidenza non riguarda che il nome di " Giovan­ni , , coincidenza però che perde ogni valore dovendosi allargare la cerchia dei possibili maestri di questo nome anche a quelli operanti fuori di Messina e della Sicilia. Sappiamo infatti che i quadri della Galleria Ruffo pro­venivano per la maggior parte da Roma e da Napoli. Fiammingo e di nome Giovanni era per esempio anche Giovanni Van De Velde, pittore di nature morte e paesaggi, del quale risultano alcuni quadri, con soggetti simili a quelli del succitato maestro "fiammingo,, inviati da Roma ad Antonio Ruffo dal fratello abate Flavio.

Ancora meno fondata mi sembra l'altra ipotesi di V. Ruffo, sempre riguardo al nome del nostro maestro, che egli identifica con un "Giovanni Vandenbroek ,, fiammingo a Messina citato in una lettera del I665 di Abramo Breugel ad Antonio Ruffo (art. cit., nota 2I, p. I74). A parte il fatto che la lettera non specifica l'attività di quel personaggio e non fa trapelare altro se non che la moglie era sterile (mentre il V an Houbracken almeno un figlio lo aveva), è da escludere che il Breugel come gli altri storpiasse il nome di un suo connazionale, nome a noi noto nella esatta grafia sia dalla testimo­nianza del Susinno, sia dalle firme autografe dei due dipinti superstiti. 22) Tale lettera documenta per contro che di fiamminghi di nome Giovanni a Messina il V an Houbracken non era il solo.

Caso analogo, e forse in rapporto con il precedente, va considerato anche quello delle '' nature morte , della collezione Ruffo di Scilla, attribuite nell'inven­tario testamentario di Don Guglielmo Ruffo (morto nel I747) al pittore "Giovanni Vannanbrughen,, e pre-

cisamente: quattro dipinti " che rappresentano · un canestro ed un cesto, l'altro un mascherone che butta acqua, e gli altri due fiaschi impagliati, un limoncello tagliato, un cesto, ostrache, sparagi, una giarra con fiori e altri frutti, colla cornice di mistura di palmi 5 e 4 , . 23)

Non abbiamo tra l'altro notizia che Giovanni Van Houbracken si dedicasse a questo genere di pittura (nature morte) in cui invece eccelsero il figlio Ettore e il nipote Niccolino, anche se non possiamo esclu­derlo del tutto, poiché il suo lungo periodo di attività messinese (circa un trentennio) fa presumere una pro­duzione . ben più vasta di quella sino ad oggi accertata, anche considerando nel numero le opere perdute citate dalle fonti. Il Susinno parla infatti di un numero di opere " appresso ai particolari , che " sarebbe noioso elencare , ; opere che forse col tempo usciranno alla spicciolata dall'anonimato delle collezioni private. Ciò premesso, ritengo tuttavia che il catalogo del Van Houbracken vada integrato seguendo anche un'altra pista, e precisamente quella che mena al Rodriguez, il grande caravaggesco messinese, alla cui arte venne cer­tamente attratto il fiammingo, trovandovi elaborate in maniera a lui assai congeniale quel genere di pittura e quelle tendenze formali che lo avevano subito colpito al suo arrivo in Italia, come inequivocabilmente atte­stano i " cinque sensi , di Caccamo.

Suo potrebbe essere pertanto il discusso dipinto del San Rocco che risana un appestato (fig. IIO) del Museo Nazionale di Messina, proveniente, insieme all'altro con i Santi Pietro e Paolo condotti al martirio, dalla distrutta· chiesa di San Rocco e attribuiti entrambi ad Alonzo Rodriguez dal contemporaneo Samperi. 2 4l Malgrado così antica e autorevole testimonianza, tale attribuzione è stata infatti più volte messa in dubbio e confutata, 25) risultando evidente che, a differenza del quadro dei Santi Pietro e Paolo, quello del Miracolo di San Rocco non rientra che a fatica nel repertorio stilistico del Rodriguez, mentre si addice perfettamente alla maniera del Van Houbracken, in una fase di par­ziale e sia pur temporanea assimilazione ai modi di quel maestro; accostamento che dovette verificarsi su­bito dopo il suo arrivo a Messina, come comprovano la datazione dell'opera anteriore al I644 _(data del~~ scritto del Sampen) e soprattutto le comctdenze, ptu che analogie, con i " cinque sensi , di Caccamo.

Si osservi ad esempio la figura del vecchio appestato, che ricorda tanto da vicino il cieco del Tatto: il pan­neggio dei suoi stracci biancastri simile a quello della camiciola del ragazzo dello stesso dipinto; la mano sinistra abbandonata, quasi identica a quella del bevi­tore del Gusto. Altri riscontri si possono stabilire d'altronde con gli stessi dipinti firmati di Messina e di Randazzo: per esempio, la mano destra rattrappita dell'appestato e quella della santa decapitata nel Mar­tirio di San Placido, o il trattamento anatomico del torso della medesima figura e quello del Cristo nella Crocifissione di Randazzo, ove compaiono anche figure in secondo piano, dietro il San Giovanni, vicinissime al personaggio di destra, con la mano sul cap?, del Miracolo di San Rocco. Questo e altro ancora rru con­vincono dell'appartenenza del dipinto, purtroppo rovi­natissimo, al Van Houbracken. Altrimenti si dovrebbe­ro invertire i termini, e pensare ad un accostame~to del Rodriguez allo stile e al gusto del maestro fiamrrun: go; il che peraltro non parrebbe incredibile se solo s1 potesse anticipare di una decina d'anni, rispetto al

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Martirio di San Placido, l'arrivo del Van Houbracken a Messina.

Quanto all'attribuzione del Samp~ri, diligentemente riportata dal Susinno, ma lasciata invece cadere dallo Hackert, dal Grosso-Cacopardo e dal La Farina (che ricordano come opera del Rodriguez o a lui attribuita nella chiesa di San Rocco soltanto il dipinto coi Santi Pietro e Paolo), 26l essa ha indubbiamente il suo valore di testimonianza storica, ma non · più di questo. Molti sono infatti i motivi che possono aver indotto in errore il Samperi: non ultimo quello di un superficiale acco­stamento dei due dipinti della stessa chiesa e conse­guente loro riduzione ad una comune paternità, quella del più noto Rodriguez. 27) L'errore sarebbe d'altronde giustificato anche dal fatto che tra i due dipinti corrono effettivamente rapporti, rapporti che stanno secondo me ad indicare appunto un avvicinamento del maestro fiammingo ad Alonso Rodriguez, più che a qualsiasi altro pittore messinese del tempo, compreso Agostino Scilla, portato in causa dal Mauceri (art. cit. , nota r8) a proposito del frammento del San Francesco col Bam­bino, il cui stato di conservazione non consente peraltro né questa né altre affermazioni del genere.

È probabile che seguendo tale traccia, o per via di ritrovamenti fortuiti (sempre possibili in chiese e chie­sette di tanti inesplorati paesi delle nove provincie sici­liane), si potrà in segt11to arricchire ulteriormente il catalogo di tale singolare maestro, la cui personalità appare tuttavia già chiaramente delineata da questo primo gruppo di opere, che lo ricollocano accanto a più illustri rappresentanti di quella cultura multifor­me, ricca di posizioni e di tendenze, che caratterizza la feconda produzione pittorica messinese della prima metà del Seicento. F. NEGRI ARNOLDI

I) Vedi R. LoNGHI, l "Cinque sensi, del Ribera, in Paragone, I93, Ig66, pp. 74-78, e E. ScHLBIER, Una postilla per i " Cinque sensi, del giovane Ribera, in Paragone, 223, Ig68, pp. 79-&>·

2) Solo A. DANEU LATTANZI nel suo Catalogo della Mostra storica bibliografica di Caccamo (Palermo Ig~8) dà notizia della provenienza ai uno dei dipinti, precisamente t! Tatto (n. ca t. I49) dalla chiesa di San Benedetto alla Badia, il che lascerebbe sup­porre in quella sede l'originaria ubicazione di tutto il ~ruppo (sempre che la notizia sia attendibile). Le cinque tele mtsurano cm. I3I x 102.

3) C. MATRANGA, Dipinti inediti o poco noti di Mattia Stomer in Sicilia, in Atti del X Congresso Internazionale di Storia del­l'Arte, Roma I9221 pp. 424 e ss. Dietro il Matranga corre A. PoRCBLLA, che nella sua Reintegrazione di Mattia Stomer, .in Le pitture della Galleria Spada (Roma I93I, p. III), a propostto dei "cinque sensi, di Caccamo parla del tutto a torto di" .. . fi­gure ritagliate, un po' marionettistiche, goffe comparse del re­pertorio caravaggesco , , e propone di assegnarli al messinese Mario Minniti, con il quale naturalmente non hanno nulla a che fare. All'articolo del Porcella fa riferimento A. PIGLER nel suo Barockthemen (vol. II, I956, p. 462) ove sile~ge: "Hachfolger v. Michelangelo da Caravaggi~, Vielleicht Mano Minniti (I557-I64o) Gemalde Caccamo, Chiesa Madre,. Per q_uanto concerne le passate valutazioni di questi quadri va anche nferito che tutti e cinque recano il bollo in ceralacca della Commissione di Belle Arti, secondo il vecchio barbaro sistema che corrisponde in qualche modo all'odierna notifica d'importante interesse.

4) G. CoNSOLI, Mostra delle opere restaurate, XIII Settimana dei Musei, Messina I970, n. cat. 20.

5) Il soggetto di questo dipinto trae origine dal rinvenimento avvenuto nel I586, durante i lavori di ricostruzione della chiesa ex conventuale di San Giovanni Battista a Messina, dei resti di numerosi corpi .decapitati, identificati pe.r quel!~ del m~naco benedettino Plaetdo, fondatore dell'Abbazta messmese, det fra­telli Eutichio e Vittorino, della sorella Flavia e di altri 33 monaci che, secondo la storia tramandataci da Pietro Diacono Cassinese, sarebbero stati presi, seviziati (Placido ebbe strappata la lingua) e t rucidati da ptrati infedeli verso l'anno 542· I corpi dei monaci sarebbero statt sepolti poi da un frate Gordiano, unico scampato

alla strage (forse quello che nel dipinto tiene in mano la testa mozza del Santo). Non è ben clùaro tuttavia se il dipinto del Van Houbracken intenda rappresentare il ritrovamento dei corpi di San Placido e compagni, o piuttosto il seppellimento con rela­tiva raccolta delle reliquie della lingua e del sangue. Resta da osservare infine che il RÉAU, nella sua Iconographie de l'Art Chrétien, contesta l'identificazione del San Placido messinese con il San Placido seguace di San Benedetto.

6) Non credo sia da dubitare sull'attendibilità della testimo­nianza del La Corte Cailler che, anche qui come altrove, dà prova di serietà e scrupolo scientifico delle sue ricerche, con un commento all'opera che è già un'esemplare scheda di catalogo. Egli ci infonm tra l'altro che il dipinto (misurante cm. 3I4 x 223) proviene dalla chiesa della Confraternita di S. Maria dell'Arco, da dove venne " ... ritirato a cura del dott . Carmelo La Farina , , direttore del Museo Civico di Messina sino al I862.

7) F . SusiNNo, Le vite dei Pittori messinesi, I724, ed. a cura di V. Madnelli, Firenze Ig6o.

8) La notizia, che smentisce tutte le fonti antiche, compare per la prima volta in Messina e suoi monumenti di G. LA FARINA (Messina I84o, p. 7I) e viene riportata da A. BusACCA, Guida della città di Messina, Messina I873, p. 40; LA CoRTE CAILLER, ' Un quadro di Pier Paolo Rubens nell'Oratorio dei Mercanti a Messina, in Rivista Abruzzese, XVI, I90I, V, p. 2I7 e ss.; e G. DI MARZO, Guglielmo Borremans di Anversa pittore fiammingo in Sicilia, Palermo I9I2, pp. Io-II, che trascrive il documento tratto dal Registro dei Confrati all'anno r665 n. 509 : " Giovanni Battista Vanderbrachen entrò il 14 aprile 1647, passò a miglior vita e fu sepolto nell'Oratorio il I5 dicembre 1665 ,.

g) F. HACKERT, Memorie dei Pittori messinesi, Napoli 1792 (vedi anche ed. commentata a cura di S. Bottari, Messtna 1932).

Io) Su Nicolino Van Houbracken vedi HooGBWERFF, Abramo Breugel e Niccolino V an Houbracken, in Dedalo, I93o-3I, p. 482 ss.

II) Il quadro di San Giuseppe nella chiesa di S. Alberto era stato già segnalato da C. D. GALLO nel suo "Apparato, agli Annali della Città di Messina, Messina I756-82, come opera " .. . di mano di Giovanni lo fiammingo allievo di Mattia Sto­horn,. Da qui la deduzione dello Hackert e l'identificazione del Giovanni lo Fiammingo con Giovanni Van Houbracken " ... co­nosciuto in Messina sotto il nome del Fiammingo ,.

I2) G. GRosso-CACOPARDo, Memorie dei Pittori Messinesi, I82I, pp. I8o e ss.

I3) L'ipotesi dell'alunnato del Van Houbracken presso Mattia Stomer, nasce evidentemente dall'identificazione del nostro maestro con il Giovanni Fiammingo ricordato dal Gallo (vedi in proposito nota II).

I4) GRosso-CACOPARDO, Guida di Messina, Messina I826, pp. 29t 33• III.

I5) G. LA FARINA, op. cit. in nota 8, pp. 70, 7I , 74• I04; per A. BusAcCA e LA CoRTE CAILLER, opp. citt. in nota 8.

I6) Guida di Messina e suoi dintorni, a cura del Comune di Messina, Messina I9o2, pp. 286 e 334·

17) Terremoto di Messina Igo8 - Opere d'arte recuperate, Palermo I9I5·

I8) E. MAuCERI, Pittori seicentisti nel Museo di Messina, in Boll. d'Arte, I926-27, e Guida del Museo Nazionale di Messina, Roma I929·

I9) C. LA FARINA, Lettera a F. Arrosto, in Lo spettatore zan­clea, I835, pp. 3o-3I. Anche M. MANDALARI net suoi Ricordi di Sicilia: Randazzo, Città di Castello 1902, ricorda questo " ... bellissimo Crocifisso del fiamtiÙngo Giovanni Van Hou­bracken ,. Il dipinto misura cm. 442 x 3I8.

20) All'origine di tale confusione è probabilmente la notizia, tratta dai documenti della Confraterntta dei Mercanti e ripor­tata da G. LA FARINA, op. cit. in nota 8, dell'esistenza nell'Ora­torio di un quadro rappresentante S . Francesco nel roveto, venuto dalle Fiandre ed inviato in dono dal mercante genovese Agostino Massena nel I62g. Il documento non fa il nome del Rubens, chiamato in cau ;a da C. D. GALLO che nel suo" Apparato, (ci t. in nota II, p. I31) parla di dipinti di Pietro da Cortona e di Rubens in quell'Oratorio, senza tuttavia speCificare i soggetti (ragion per cui le O,Pere del Van Houbracken vennero scambiate an~he per opere dt Pietro da Cortona, come riferisce il GRosso-CAco­PARDO). Il dipinto del Rubens, la cui storia ricorda molto da vicino quella della Morte della Vergine del Van Houbracken, secondo la versione del Susinno, venne poi attribuito a Stefano Cardillo dallo HAcKERT e dal GRosso-CACOPARoo, nelle sue Memorie del 1821. Lo stesso GRosso-CACOPARDO nella Guida del I841, lo riconobbe invece del Rubens, come pure il LA CoRTE CAILLER (art. cit. in nota 8) e G. DI MARZO (op. cit. in nota 8), il quale ultimo lo dichiara distrutto nel terremoto del rgo8.

21) V. RUFFo, La Galleria Rujjo di Messina, in Boll. d'Arte, I916, pp. 35 e I74·

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22) L'esatta grafia del nome del nostro maestro è riportata solo dal Susinno (1724). Il documento della Confraternita dei Mercanti la storpia m parte in Vanderbrachen. Il Gallo (1756) lo cita come Vannenbrachen, e con tale grafia lo riprende V. Ruffo (1916) che si basa su quella fonte. G. La Farina (1840) lo nomina Vanderbrack, pur avendo preso visione del documento della Confraternita. V an Der Brack lo dice anche il Di Marzo (1912), che afferma, del tutto a torto, essere questa l'esatta grafia del nome.

23) E. RoGADEO DI TORREQUADRA, La quadreria dei Principi di Scilla, in Napoli Nobilissima, VII, 1898, p. 107. Tutto lascia supporre che l'attribuzione, con il nome storpiato dell'artista, sia stata desunta da più anticlù inventari dei quadri, provenienti forse dalla stessa collezione Ruffo di Messina.

24) P. SAMPER1, Messana illustrata, 1644 (ed. Messina 1746), p. 6II.

25) A. MOIR, A/onzo Rodriguez, in Art Bulletin, 44, 1962, pp. no-rr, dà il San Pietro e San Paolo al Rodriguez e ritiene mvece il San Rocco copia del quadro ricordato dal Samperi. Il Moir inoltre riportà in nota 57 il parere espresso da R. Lon­ghi a proposito dei due quadri, attnbuiti, nell'ordine, ad un se-

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guace del Guercino e ad un " minore del Seicento,, e rimanda all'articolo del LoNGH1 su San Tommaso del Velasquez (in Vita artistica, I, 1927, p. ro), ove non v'è ce ;Jno sui due quadri e si parla del Rodriguez soltanto in merito alla Cena in Emmaus dello stesso Museo di Messina. I due quadri provenienti dalla chiesa di San Rocco sono invece citati, msieme ad altri tolti al Rodriguez, nel saggio Io · glùano su Gentileschi padre e figlia, in L'Arte, 1916, pp. 245-314, nella cui riedizione del 1961 (Scritti giovanili, Firenze 1961, p. 259) il Longhi dichiara però di non poter confermare (per quei due quadri) le prime attribuzioni. In tale riedizione infatti i due dipinti figurano soltanto nell'indice dei luoglù e delle opere (p. 587, vol. II) tra le opere di ignoti caravaggeschi siciliani.

26) HACKERT, op. cit. in nota 9i GROSSO-CACOPARDO, op. cit. in nota 14, p. r8; LA FARINA, op.cit. in nota 8, p. 52. Il Grosso­Cacopardo dubita dell'attribuzione al Rodriguez anche per il dipinto dei SS. Pietro e Paolo, avanzando l'ipotesi che si tratti di una copia.

27) Il SAMPERI, op. cit. in nota 24, non ricorda infatti il Van Houbracken nel capitolo dedicato agli artisti messinesi del suo tempo, forse perché straniero.

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