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MISSIONE POLITICO-RELIGIOSA, SCHIAVITÙ ED ETNOCIDI
NEGLI STATI UNITI D’AMERICA
Roberto GIAMMANCO, Roma
La mia politica sarà quella di uccidere tutti e raccogliere i loro scalpi, dei grandi e dei piccoli, visto che i pidocchi vengono dalle lendini… Non vedo l’ora di sguazzare nel loro sangue.
Col. John Chivingtonex missionario metodista,
massacratore degli Cheyennes disarmati (Sand Creek, 1864)
La mano invisibile del mercato decide ogni giorno chi deve vivere e chi deve morire. I nazisti e i fascisti, malgrado i loro crimini mostruosi, hanno sempre colpito gruppi umani determinati negando l’umanità di questi gruppi, di quelle etnie, e distruggendoli attraverso il genocidio. Il neoliberismo, invece, colpisce l’umanità intera.
Jean Ziegler, 1995
Il globalismo economico, mediatico e militarizzato del nostro tempo non è ormai più in grado di
fare i conti con la sua storia: nella sua distruttività non conosce quel senso del limite che la
storia potrebbe insegnare. Il globalismo capitalista gestisce e manipola la storia, ogni storia,
con la tecnologia e la fiction.
Paradigmi–slogan come “missioni di pace”, “guerre giuste”, “genocidi senza testimoni”,
“scontro di civiltà”, “danni collaterali”, “terrorismi a senso unico” assicurano la continuità ad
una civilizzazione distruttrice che si è venuta fondando, nel corso dell’età moderna, sul
genocidio-etnocidio degli indios e dei nativi del Nord America, e su quell’insostituibile
moltiplicatore del capitalismo che è la schiavitù in tutte le sue forme, anche quelle moderne e
contemporanee.
L’immaginario cristiano, con la sua oculata ambivalenza tra la conversione salvifica imposta
all’infedele, da un lato, e la sua demonizzazione e distruzione dall’altro, ha sempre
accompagnato questi genocidi, ne ha garantito l’interiorizzazione, assicurandone la
istituzionalizzazione e la durata. L’universalismo cristiano della missione corre parallelo, con
puntuale sincronia, al globalismo della conquista e dell’etnocidio. Anche questi senza limiti.
Cristoforo Colombo nel suo Libro de las profecías si diceva certo che entro un secolo e mezzo
sarebbe arrivata la Fine dei Tempi. Tutti gli infedeli, in primis gli ebrei, sarebbero stati
convertiti o distrutti e la Terrasanta sarebbe stata liberata grazie all’oro che era sicuro di
trovare nelle «miniere del re Salomone». Colombo si sentiva portatore del disegno divino della
redenzione dei cristiani e del conseguente, inevitabile sterminio di tutti gli infedeli 1.
Nel 1579 John Stubb, nella sua opera The Discovery of the Gaping Gulf, definì gli inglesi «il
popolo scelto da Dio» e, sempre nello stesso anno, John Lyly in polemica con i papisti della
Chiesa di Roma, a quell’epoca identificata con l’Anticristo, affermava che «il Dio vivente è
soltanto il Dio inglese». John Lily dava come scontato che gli inglesi fossero il popolo di Dio e
riteneva che l’eventuale matrimonio di Elisabetta con un principe papista fosse una aberrazione
equiparabile soltanto al matrimonio di un ebreo con una canaanita 2.
La Bibbia costituiva il punto di riferimento dominante in ogni aspetto della vita civile e politica.
I Puritani che agli inizi del XVII secolo avevano attraversato l’Atlantico credevano fermamente
che, in quanto “popolo scelto” spettasse a loro il compimento della missione di creare la Nuova
Israele nelle solitudini selvagge dell’America del Nord. «Troveremo che il Dio di Israele è tra
di noi ― predicava John Winthrop nel 1630 ― e farà sì che noi diventeremo lode e gloria per
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quelli che verranno… Noi dobbiamo considerarci come una città sulla collina, una nuova
Sion!» 3
Il disegno divino sembrò manifestarsi con una prima, provvidenziale epidemia di vaiolo che
annientò quasi completamente la popolosa nazione dei Pequot, che pure avevano accolto i
Puritani aiutandoli a sopravvivere durante i primi inverni nella Nuova Inghilterra. Pochi anni
dopo, nel 1637, le truppe della colonia del Connecticut agli ordini di John Mason massacrarono
sistematicamente i Pequot superstiti incendiandone i villaggi e, come raccontò lo stesso Mason,
« il terrore fu tale che per sfuggirci si buttarono tra le fiamme… e quelli che sfuggirono al fuoco
furono trucidati dalla spada. È accertato che ne furono distrutti così quattrocento: era uno
spettacolo terribile vederli arrostire nel fuoco, ma la vittoria sembrò un dolce sacrificio e i
vincitori innalzarono preghiere a Dio. Così il Signore, giudice degli infedeli, ha riempito quei
luoghi di cadaveri» 4.
Sembra di leggere tra i tanti passi biblici dello stesso tenore il Deuteronomio 20, 17: «Nelle
città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità non lascerai in vita alcun vivente,
ma li voterai allo sterminio». Una quindicina di Pequot superstiti furono imbarcati per le Indie
occidentali e venduti come schiavi. Si concludeva così la «giusta opera di Dio», come la definì il
puritano William Bradford 5.
L’annientamento dei Pequot fu il modello dei successivi stermini delle tribù indiane. Su questi
così si espresse un famoso teologo puritano, Increase Mather: «Il Signore Gesù li farà
inchinare davanti a lui e farà loro mangiare la polvere… In questi barbecue un bel numero di
spietati selvaggi ha alleggerito la terra del proprio peso…. Tutti i seguaci del Signore
dovrebbero ringraziare per l’immensa bontà e per la provvidenza di Dio: queste bestie
selvagge sono state finalmente punite» 6.
Sin dall’arrivo dei puritani della Mayflower nel 1619, la storia americana si venne articolando
su due canali paralleli. Le tematiche fondanti sono quelle evangeliche della «Città sulla
collina», poi «Nazione sotto Dio», della comunità millenarista degli eletti investita della
missione di realizzare «nei luoghi selvaggi le profezie bibliche dell’Esodo, della Terra Promessa
e dell’Elezione». I puritani concepirono i loro insediamenti nel Nuovo Mondo come il modello
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storico guida dell’eterno progetto divino che avrebbe preparato l’umanità ad accogliere la
Seconda Venuta di Cristo che, come tuonava John Cotton nelle sue corrusche prediche (The
Pouring Out of the Seven Vials, 1642), non poteva avvenire senza che prima fosse stata
distrutta la Chiesa di Roma, suprema incarnazione dell’Anticristo.
L’altro grande predicatore puritano, Increase Mather (The Mystery of Israel’s Salvation
Explained and Applied, 1669) sosteneva, con una veemenza tale da creare tra i fedeli una
insostenibile valanga di emozioni, che l’Altro Regno era prossimo e che la Seconda Venuta
avrebbe coinciso con la conversione in massa degli ebrei al cristianesimo. Il figlio di Increase,
Cotton Mather, radicalizzò la dottrina calvinista cercando negli eventi più insignificanti i segni
della predestinazione e di un destino prevedibile (Predictable Destiny): gli eletti godranno delle
gioie eterne, mentre la stragrande maggioranza dell’umanità sarà precipitata nel fondo
dell’inferno. «Dio ha voluto che questi peccassero e perseverassero nei loro peccati per far sì
che la storia dell’uomo fosse unicamente la testimonianza del suo potere… Suo è il potere e la
gloria!»
Dopo l’Indipendenza, la tattica dello sterminio assunse anche forme falsamente
istituzionalizzate. È incalcolabile il numero dei trattati stipulati dal Governo degli Stati Uniti e
dai singoli stati con le cosiddette Nazioni indiane, tutti disattesi e molti interrotti, al momento
della firma, dall’arresto o dall’assassinio dei capi nativi. Con la sua ironia di aristocratico, Alexis
de Tocqueville smascherava così l’ipocrisia del legalismo americano: «A differenza degli
spagnoli del XVI secolo, la condotta degli americani verso i nativi fu ispirata dal più puro
attaccamento alle formalità legali… È assolutamente impossibile distruggere gli uomini con un
maggior rispetto per le leggi dell’umanità» 7.
Gli irochesi erano una nazione indiana numerosa e ben organizzata. Vivevano in case fatte di
tronchi d’albero lunghe quindici o venti metri che ospitavano fino a dieci famiglie. Praticavano
una religione spiritualista basata sui sogni; identificavano la vita con una forza vitale, orenda,
che li guidava attraverso i sogni. A metà dell’inverno celebravano una festa dei sogni che
credevano aumentasse l’energia cosmica, Teharonhiawagon, nella lotta contro gli spiriti
maligni.
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Nel corso di più di un secolo, fra una guerra e l’altra, i missionari gesuiti cercarono di
convertire gli Irochesi, gli Uroni, gli Erie, i Susquehannock e i Peton, ma senza alcun risultato.
Vale per tutti la risposta di uno degli anziani irochesi: « Noi abbiamo i nostri sogni: tenetevi il
vostro libro». E ancora, cinquanta anni dopo, nel 1812, le parole di Falco Nero, il coraggioso
seguace di Tecumseh, nella orazione pronunciata al momento della resa dei pochi superstiti del
suo popolo sterminato dai federali: «I bianchi sono pessimi maestri. Portano con sé libri che
dicono il falso, e si comportano con falsità. Le loro menzogne sono peggiori dei loro fucili» 8.
Di sterminare gli Irochesi, privati delle loro terre, della selvaggina e dei loro raccolti (tabacco e
mais) si incaricò George Washington nel 1779: « Devastate tutti gli insediamenti degli Irochesi
― ordinò al generale John Sullivan. ― Tutto il paese sia non solo invaso, ma distrutto, con
tutto ciò che assicura la loro sopravvivenza. Gli indiani non sono diversi dai lupi… Sono
entrambi animali da preda, sebbene di forma diversa» 9.
Nei documenti costituzionali i nativi americani, chiamati sempre «indiani», appaiono come
intrusi inconciliabili con qualsiasi processo giuridico o identità politica e sociale. Nella
Dichiarazione di Indipendenza del 1776 sono definiti «spietati selvaggi, la cui unica legge di
guerra è lo sterminio senza distinzione di sesso, età o condizione». L’articolo XIV, Sez. 2 della
Costituzione escludeva gli indiani dalla vita civile perché «non tassati».
Va ricordata l’ambiguità che Thomas Jefferson ebbe sempre nei confronti del problema degli
indiani. Nel 1786, a un amico europeo scriveva che «i diritti degli indiani sono da considerarsi
sacri»; e contemporaneamente, per uso interno, sosteneva: «Niente servirà meglio a
sottomettere queste canaglie che portare la guerra sui loro territori. Ma io non mi fermerei
qui: vorrei che gli stessimo alle calcagna finché, da questa parte del Mississippi, non ne resterà
neppure uno».
Una volta eletto Presidente, Jefferson scriveva a Andrew Jackson: «Dobbiamo guidarli perché
imparino a coltivare le terre. Così accetteranno il Cristianesimo, ed entreranno anche loro a far
parte della nostra civiltà». Poi, nel 1812, ritornava alle origini: «… perseguitare gli indiani fino
allo sterminio completo o spingerli verso nuove terre fuori della nostra portata» 10.
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L’etnocidio degli indiani fu portato avanti parallelamente allo sviluppo capitalistico con la
conquista del West. Nel 1814 Andrew Jackson diresse i suoi uomini mentre scotennavano gli
indiani morti per confezionare briglie per i cavalli e si premurò che i souvenir provenienti dai
cadaveri fossero distribuiti alle signore del Tennessee. Nello stermino dei Creek aveva
sovrainteso alla mutilazione di ben ottocento cadaveri di uomini, donne e bambini amputando
loro il naso per poterli contare e dimostrare a tutti che la sua missione di civiltà era stata
compiuta. A giustificazione delle sue imprese, Jackson dichiarò che «questi selvaggi non
possono neppure essere evangelizzati né c’è speranza che entrino a far parte della nostra
civiltà». Nel 1829 fu proprio Andrew Jackson, ormai divenuto settimo presidente degli Stati
Uniti, a firmare l’ Indian Removal Act, la Soluzione Finale, la Endlösung per i Cherokee della
Georgia.
I confini delle riserve fissati dai trattati venivano continuamente violati dalle ondate successive
di coloni che occupavano le terre, uccidevano i nativi e sterminavano la selvaggina. Allora, con
quella legge, il Governo federale decise di deportare i diciassettemila cherokee oltre le
desolate lande del Missouri, lungo quello che fu chiamato «il sentiero delle lacrime». Per le
malattie, il freddo, la fame (i militari di scorta distribuivano farina avariata e carne marcia)
morirono ottomila cherokee. E nei mesi successivi all’arrivo nel territorio indiano, la carestia e
il freddo ne ridussero il numero a meno di duemila.
In alternativa al massacro, l’espediente legale per appropriarsi delle terre delle tribù era
dividerle in lotti individuali, che poi i bianchi riacquistavano per qualche coperta, qualche
padella di ferro o un po’ di “acqua di fuoco”. «Cosa volete? I nostri cittadini sono disposti a
comprare e gli indiani sono desiderosi di vendere. Loro non sono previdenti: se sono spreconi,
non fanno altro che esercitare il loro diritto sancito dai trattati. Se non possiamo renderli
ragionevoli, è meglio ammazzarli tutti». Così nel 1834 si esprimeva il Segretario di stato Lewis
Cass, governatore del Michigan, dopo il massacro finale della tribù dei Black Hawk 11.
La guerra contro il Messico fu, per le truppe americane, nient’altro che una feroce scorreria che
si concluse nel 1849 con la pace di Guadalupe Hidalgo che sanzionò l’annessione agli Stati
Uniti di più di metà del territorio messicano. In California, all’arrivo degli americani la
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popolazione nativa era ridotta a un quarto rispetto al 1769, anno in cui erano giunti i
missionari francescani il più autorevole dei quali era il padre Junipero Serra, oggi in odore di
santità. I missionari battezzavano i nativi e poi li usavano come schiavi tenendoli in condizioni
di vita insostenibili che li portavano alla morte o, in una larga percentuale, li spingevano al
suicidio.
Il Fugitive Slave Act che il Congresso approvò nel 1850 consentiva ai padroni di far catturare,
in qualsiasi parte dell’Unione, gli schiavi fuggiaschi. Questa iniqua legge era frutto di un
compromesso con gli Stati del Sud in cambio dell’annessione all’Unione dei territori messicani,
prima fra tutti la California, come Stati in cui era proibita la schiavitù. Abraham Lincoln, che
votò in favore di questa legge poi, in privato, scriveva a un suo amico: «Confesso che non
posso sopportare che si dia la caccia a quei poveri fuggiaschi, ma mi mordo la lingua e taccio».
Nel 1858, nella campagna elettorale per il seggio senatoriale dell’Illinois, Lincoln aveva
dichiarato: «Non sono né sarò mai favorevole a riconoscere l’eguaglianza sociale e politica
della razza bianca con la razza nera. Dichiaro inoltre che sarò sempre contrario a concedere ai
negri il diritto di voto, di far parte delle giurie e di contrarre matrimoni misti. Finché le due
razze vivono insieme, penso che la razza bianca debba essere in posizione superiore rispetto a
quella nera».
William H. Seward, senatore repubblicano e portavoce di Abraham Lincoln, parlando a Detroit
nelle elezioni del 1860 precisava: «La cosa più importante che oggi tutti possono constatare è
che la razza africana è un elemento debole ed estraneo e, come gli indiani, incapace di
assimilarsi… È un patetico, inutile trapianto che non vale la pena di coltivare a rischio di
provocare la desolazione nel vigneto nativo… L’uomo bianco vuole per sé questo continente per
costruirci la sua società. È deciso a tutto e i suoi obbiettivi sono inequivocabili. Non c’è alcun
dubbio che li raggiungerà» 12.
Gli imprenditori americani che a ondate successive si spartivano le terre della California
praticarono per decenni il commercio di schiavi indiani, con tanto di mercati a Sacramento e a
San Francisco. Si servivano di una serie di cavilli giuridici: per quanto riguarda i bambini,
bastava dimostrare che erano orfani. Nel 1864 le cronache parlano di moltissimi casi in cui,
fuori delle riserve, si uccidevano i genitori per poter prendere i figli come schiavi. Erano
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considerati «schiavi umili e obbedienti, meglio dei neri… accettavano la flagellazione con più
umiltà». I prezzi? Cinquanta dollari per i bambini di tre-quattro anni; per una ragazza di
dodici-quattordici anni, settanta dollari; duecento per gli adulti giovani e in discreta salute.
Vent’anni dopo, nel 1882, a chiedere giustizia per gli indiani della California ormai senza terra,
e di fatto in regime di schiavitù, fu la scrittrice Helen Hunt Jackson (1830-1885) la quale fece
petizioni al Presidente e al Congresso mandando a tutti una copia del suo memorabile libro A
Century of Dishonor, in cui si elencavano i trattati non rispettati, la confisca delle terre e il
regime di schiavitù a cui erano sottoposti gli ultimi superstiti delle tribù. Le sue campagne
furono ricevute con cortesia ed ebbero un tiepido appoggio da parte del Governo Federale, ma
furono ignorate ed osteggiate dalle autorità locali.
Il 19 dicembre 1890, dieci giorni prima del massacro di Wounded Knee, L. Franz Baum allora
direttore della «Aberdeen Saturdy Pioneer», e poi divenuto famoso in tutto il mondo come
autore de Il mago di Oz, scriveva: «I bianchi, per la legge della giustizia, per la legge della
civiltà sono padroni del continente americano. Perché opporsi allo sterminio degli indiani
superstiti? La loro gloria è svanita, la loro virilità è cancellata. Meglio che muoiano tutti,
piuttosto che vivere nelle condizioni in cui si trovano oggi».
Un anno prima, lo sciamano Wovoka della tribù dei Paint del Nevada, aveva avuto una visione:
uno spirito salvifico sarebbe venuto sulla terra a liberare gli indiani restituendo loro le terre, la
selvaggina e i bisonti, e facendo resuscitare i morti. Perché ciò avvenisse tutte le tribù si
dovevano purificare dal male che i bianchi avevano loro trasmesso, primo fra tutti l’alcol,
attraverso la meditazione e danze frenetiche condotte per giorni e giorni fino all’esaurimento.
La Ghost Dance suscitò un’ondata di spiritualità fra tutte le tribù, un vero revival dei rituali
tribali. Nei federali, invece, essa suscitò il timore della ripresa delle ribellioni che quattordici
anni prima, nel 1876, era culminata nell’annientamento di un intero reggimento e nella morte
del sanguinario generale Custer a Little Big Horn ad opera degli Ogala Sioux.
Il 15 dicembre il loro capo, Sitting Bull, che era tornato dal Canada dietro promessa di
perdono, fu assassinato a tradimento dagli agenti federali assieme ad altri otto capi Sioux.
Quattordici giorni dopo, il 29 dicembre 1890, cinquecento uomini del 7° Cavalleria
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“sperimentarono” i nuovi cannoni Hotchkiss a tiro rapido su trecentonovanta indiani disarmati,
in maggioranza donne e bambini, sulle sponde del Wounded Knee.
I superstiti furono pochissimi, tra cui una bambina di circa un anno che era stata avvolta in
panni caldi: un indiano la raccolse e le diede il nome di Zwtka Lanuni, Uccello perduto. Ma il
generale Colby la volle con sé, non per educarla, ma per esibirla a scopo di lucro come una
vera indiana, cimelio di guerra.
Zwtka Lanuni fu poi ceduta al circo di Buffalo Bill, il Wild West Show, che portò per tutti gli
Stati dell’Unione, e poi anche in Europa, i trofei del genocidio istituzionalizzato, trasformato in
epopea e offerto come anteprima dello spettacolo che sarà ripreso senza fine nei western
proposti dalla cultura di Hollywood.
Nel 1619, a Jamestown in Virginia furono sbarcati i primi venti schiavi negri. L’arrivo di quel
manipolo di africani incatenati pose subito il problema di istituzionalizzare l’ineguaglianza per
caratteristiche razziali accanto alla quella per classe e per genere sessuale. Come gli indiani
anche i negri, in quanto schiavi, erano “inesistenti”, “invisibili”; per di più erano percepiti come
appartenenti ad una razza che si collocava a metà tra l’uomo e gli animali.
Nella Costituzione degli Stati Uniti la schiavitù è riconosciuta e legittimata senza mai chiamarla
per nome. Il numero dei rappresentanti dei singoli Stati ― recita il testo dell’articolo 1, sezione
2 ― è stabilito aggiungendo al totale delle persone libere, comprese quelle che servono a
termine (indentured servants) ed escludendo gli indiani che non sono tassati, i tre quinti di
«tutte le altre persone»: e cioè gli schiavi. L’esclusione per caratteristiche razziali fu subito
riconosciuta come lo strumento più efficace per lo sfruttamento del lavoro e per mantenere
costante l’ineguaglianza sociale fra gli stessi bianchi.
Il pensiero e l’azione politica di Thomas Jefferson, senza dubbio il più influenzato dai principi
illuministi fra tutti i Padri Fondatori della Repubblica, sono l’esempio emblematico della
difficoltà di creare un meccanismo di potere che servisse gli interessi esclusivi della élite
economica, rimuovesse le restrizioni del dominio coloniale e, al tempo stesso, garantisse il
potere di definire chi, a quali condizioni e secondo quali criteri poteva essere ammesso ai
“diritti naturali”. La soluzione era implicita nella stessa realtà sociale della nascente
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Repubblica: chi aveva diritto era definito, prima di tutto, ad esclusione di chi non veniva
neppure riconosciuto come esistente.
L’illuminista Jefferson condannava la schiavitù in nome dei diritti naturali ma, al tempo stesso,
si preoccupava che gli schiavi si ribellassero in massa. Nelle Notes on Virginia (1793-97)
osservava: «Una integrazione delle due razze porterebbe allo sterminio reciproco… La natura
ha fatto una distinzione non soltanto fisica, ma mentale e di temperamento. I negri hanno
bisogno di meno sonno di noi, e ciò è provato dal fatto che, dopo una giornata di duro lavoro,
sono sempre pronti a star svegli fino a mezzanotte pur di divertirsi in qualche modo… Per
quanto riguarda la memoria, sono quasi alla pari con noi. Per la ragione, no: non credo che ce
ne sia uno solo in grado di capire le speculazioni di Euclide… E quanto a fantasia, sono
monotoni, senza gusto e anomali… Milioni e milioni sono stati portati o sono nati qui in
America. E se è innegabile che la maggior parte di loro non ha fatto altro che lavorare nei
campi… tuttavia avrebbero potuto approfittare per imparare dalla conversazione e dai rapporti
con i padroni… Alcuni hanno anche ricevuto un’istruzione; ma non ne ho mai incontrato uno
che avesse un solo pensiero al di sopra del livello descrittivo o che abbia saputo dare prova
della più elementare creatività nella pittura e nella scultura» 13 (NdR: il corsivo è mio).
Più si poneva il problema di spiegare la diversità per scongiurare il pericolo che i diritti naturali
fossero estesi anche ai negri, e più finiva con il ricorrere alle differenze razziali innate. Tra di
esse, la più profonda e distruttiva delle fantasie razziste, radicata nell’immaginario cristiano
che, nel XIX secolo, il sapere istituzionalizzato legittimò come «scienza e dottrina della
superiorità della razza anglosassone». Thomas Jefferson finì infatti con l’accettare che,
sessualmente, i negri erano ancora assimilabili al mondo animale: «Non è forse fondamentale
la differenza di bellezza fra le due razze? I maschi negri sono attratti dai capelli fluenti,
dall’elegante simmetria del corpo delle donne bianche, allo stesso modo in cui gli orangutan
preferiscono le donne negre alle femmine della loro specie… I negri hanno organi genitali
molto più grossi e di fattura diversa dai nostri».
Va ricordato che lo stesso Jefferson era padrone di centottantacinque schiavi, mentre
Washington ne aveva duecentosedici. Dal 1795 al 1808 la sua domestica negra Sally
Hammings gli aveva partorito cinque figli, emancipati poi appena divenuti adulti. Per questo
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nel 1802 Jefferson fu accusato da James T. Callender sul «Recorder» di Richmond, Virginia,
dei reati capitali di concubinato e misgenation, cioè di rapporti sessuali illeciti fra le due razze.
Queste accuse furono utilizzate in vari modi dai suoi avversari politici, sia abolizionisti che
schiavisti e diedero vita, da allora, ad una inesauribile pubblicistica che è culminata nella
costruzione di un teorema psicologico: difficoltà di rapporti con le donne bianche; senso di
colpa per la realtà della schiavitù; paternalismo e su, su fino alle fantasie da psicoanalisi pop
sulla sua impotenza e la sua latente omosessualità.
La società americana nasce dal sistema di casta già istituzionalizzato da quasi due secoli di
dominio coloniale britannico. Con l’Indipendenza fu creato un meccanismo politico oligarchico
basato sui diritti di proprietà individuale, sul libero flusso dei capitali e delle merci, sul controllo
sociale della manodopera per caratteristiche razziali. In un tale contesto non suona affatto
cinica l’affermazione di George Washington secondo cui «la schiavitù è indubbiamente
immorale… e senza dubbio alcuno tutti gli schiavi avrebbero diritto alla libertà… Ma noi
dipendiamo da loro per il lavoro pesante necessario a garantire il benessere della nazione, e
per questo non possiamo abolirla».
Il fondamento giuridico dell’articolo 1, sezione 2 della Costituzione lo dette James Madison, uno
dei Padri Fondatori più autorevoli in materia di diritto. Leggiamo in The Federalist, n. 54: «Gli
schiavi assommano in sé due qualità. Le nostre leggi sotto certi aspetti li considerano persone,
e sotto altri proprietà… Gli schiavi non sembrano appartenere alla specie umana, ma piuttosto
a quella categoria di animali irrazionali che rientrano nella categoria del legittimo possesso…
D’altra parte, nella misura in cui la sua vita è protetta dalla legge che lo tutela anche
dall’essere fatto oggetto di eccessiva violenza, e in quanto è condannabile per qualsiasi reato
che commetta ai danni degli altri, lo schiavo può anche essere definito membro della società,
non della parte irrazionale della Creazione, ma come essere morale e non semplice articolo di
proprietà. La Costituzione federale li definisce nel modo più appropriato “i tre quinti degli
uomini liberi” per questo loro doppio carattere di persone e proprietà. Sono sì abitanti della
Repubblica, ma tanto degradati dalla condizione servile che rispetto al livello medio degli
uomini liberi hanno perduto i due quinti dell’umano » 14.
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Riguardo alla schiavitù John Carroll, teologo cattolico di Baltimora, firmatario della
Dichiarazione di Indipendenza e anche lui padrone di schiavi, insegnava che la Chiesa
riconosce solo quattro titoli validi per la schiavitù: cattura in guerra, punizione per i crimini più
gravi, compravendita e nascita.
La posizione della Chiesa cattolica era stata sempre favorevole nei confronti della schiavitù,
che aveva praticato direttamente fin dai primi secoli. Il terzo canone del Concilio Grangrense
del 325, tenutosi appena dodici anni dopo l’Editto costantiniano, afferma: «Se qualcuno, con
pretesto di pietà, insegna ad un servo a disprezzare il padrone, a venir meno alle proprie
mansioni e a non servirlo più di buon animo e con ogni onore, sia scomunicato ». Alla fine del
VI secolo, san Gregorio Magno scriveva al presbitero Candido, gestore del patrimonio delle
Gallie: «Il denaro che rende quel patrimonio serva per vestire i poveri, oppure per comprare
schiavi inglesi che abbiano dai diciassette ai diciotto anni i quali, donati ad un monastero, siano
di giovamento a Dio; così che il denaro gallico, non utilmente spendibile da noi, venga
convenientemente speso sul posto » 15.
Ai primordi dell’età moderna, però, la tratta degli schiavi e la conquista del Nuovo Mondo
avevano posto nuovi problemi. Nel 1537 i frati domenicani, su ispirazione di Bartolomè de las
Casas, ottennero da Paolo III Farnese l’Enciclica Sublimis Deus del 2 giugno del 1537, diretta
a tutta la cristianità. Nell’Enciclica si legge: «Dichiariamo che i predetti Indios e tutti gli altri
popoli che in futuro verranno scoperti dai cristiani, anche se non sono cristiani, non possono
essere privati della libertà e del dominio delle loro proprietà… né che si possano ridurre in
schiavitù», pena la scomunica per tutti i trasgressori. Ma un anno e diciassette giorni dopo,
il 19 giugno 1538, lo stesso Paolo III emette il Breve Non indecens videtur in cui dichiarava di
«cassare, cancellare e annullare» proprio l’Enciclica Sublimis Deus.
Cosa era accaduto? Nell’incontro di Nizza, l’imperatore Carlo V gli aveva fatto presente che la
applicazione dell’Enciclica lo avrebbe privato del quinto dell’oro e dell’argento di sua spettanza,
estratto dalle miniere del Nuovo Mondo; oltre al fatto che sia gli encomenderos che gli ordini
religiosi non avrebbero più potuto disporre della mano d’opera india 16.
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Dopo questa autocensura papale, che la Chiesa ha sempre cercato di occultare, non ci fu più
alcun intervento per l’abolizione della schiavitù 17. Tant’è vero che, dopo la sconfitta di las
Casas, e con l’esaurimento della manodopera india, anche nell’Impero spagnolo furono
importati schiavi negri soprattutto nelle capitali vicereali. Nel 1636, a Lima, su 27.394 abitanti
c’erano 14.481 negri e mulatti; mentre a Città del Messico, c’erano ottomila spagnoli,
altrettanti negri e mille mulatti.
Nelle varie confessioni cristiane le posizioni assunte nei confronti della schiavitù erano
sostanzialmente identiche. I testi giustificativi di Paolo sono sempre gli stessi (1 Corinzi 7:20;
Colossesi 3:24; Efesini 6:5-8; Pietro 1-2:18-20; Filemone 25:8-20), tutti a prova dell’eterna
simbiosi fra missione cristiana e potere economico-sociale.
«Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da
schiavo? Non ti preoccupare: anche se puoi diventare libero, approfitta della tua condizione.
Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore è un uomo libero al servizio del Signore.
Allo stesso modo, chi è stato chiamato da libero è schiavo di Cristo» (1 Corinzi 7:35). La Bibbia
CEI commenta così questa tautologia: «L’apostolo non si preoccupa di abolire la schiavitù. La
fede cristiana ne elimina le radici trasformando interiormente gli esseri umani».
E in seguito: «Schiavi, obbedite ai vostri padroni terreni secondo la carne, con timore e
tremore, come a Cristo… prestando servizio volentieri come chi serve il Signore e non gli
uomini» (Efesini 6:5-8).
E ancora: «Servi, siate sottomessi con profondo rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli
buoni e miti, ma anche a quelli prepotenti. Questa è grazia: subire afflizioni, soffrendo
ingiustamente a causa della conoscenza di Dio. Che gloria sarebbe infatti sopportare di essere
percossi quando si è colpevoli?» (1 Pietro 3:1).
La dottrina che attribuiva alla saggezza divina la caduta della razza negra nella condizione di
schiavitù ebbe la sua copertura biblica con la grottesca Teologia di Canaan (Genesi 9:21-27).
Noè, ubriaco, si addormenta nudo. Il più giovane dei suoi figli, Cam, lo guarda mentre giace in
quell’atteggiamento scomposto e ne parla con i fratelli Sem e Jafet, i quali ricoprono il
vegliardo tenendo lo sguardo volto altrove. Al risveglio raccontano tutto all’ormai sobrio Noè il
13
quale maledice Canaan, il più giovane dei quattro figli di Cam, assegnandolo in perpetua
schiavitù con tutti i suoi discendenti a Sem e Jafet. Quell’episodio servì al clero schiavista per
legittimare il principio secondo cui i figli meritano di essere puniti per le colpe dei padri e per
riaffermare che l’autorità dipende dal dettato biblico.
Forest G. Wood, che ha studiato a fondo e con certosina pazienza tutte queste fonti, osserva
che «giustificare la schiavitù con la maledizione di Noè presupponeva che Dio avesse cambiato
di colpo il colore della pelle di Canaan o dei suoi discendenti, in ogni caso in un periodo
relativamente breve».
Wood passa quindi ad elencare una serie di spiegazioni teologiche comuni a tutte le chiese
cristiane che «vanno dall’improbabile al ridicolo», come i calcoli di Thomas Smith (The Unity
of the Human Races, 1851) secondo cui si sa che la razza nera esiste da 3345 anni, cioè da
sessantotto anni dopo l’apparizione della razza bianca. Oppure il modello matematico del
luterano John Bachman (The Doctrine of the Unity of the Human Race, 1850) che doveva
dimostrare come, grazie all’intervento divino, la generazione per coppie era la prova che
l’umanità aveva raggiunto il numero che aveva allora in non più di seimila anni, e che le altre
razze avevano avuto inizio dopo quella bianca, e con uno sviluppo più lento e primitivo 18.
Era ormai giunto il tempo per le spiegazioni “scientifiche” e non è un fatto accidentale che le
teorie razziali cosiddette sistematiche sull’inferiorità biologica dei neri comincino a dominare
nelle università e nei circoli intellettuali intorno alla metà del XIX secolo. «A partire da allora, i
teorici del razzismo americano si proposero di spiegare la riduzione dei negri in schiavitù,
l’annientamento degli indiani e le sconfitte dei messicani nei modi più adatti affinché gli Stati
Uniti non ne fossero ritenuti responsabili o ne ricevessero discredito.»
L’organizzazione socio-economica cristiana della schiavitù era, pur a vari livelli operativi e di
espressione, congegnata razionalmente in modo da garantire l’infantilizzazione permanente dei
neri. Dapprima l’esclusione e poi, con la fine della schiavitù, il peonaggio e all’inizio del secolo
la ghettizzazione urbana e l’emarginazione erano istituzionalizzate e vissute specialmente dalla
classe media bianca come naturali conseguenze di una inferiorità che teologia, scienza,
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istituzioni, leggi e interiorizzazione degli stereotipi del nero confermavano, ciascuna per le sue
competenze.
«Una delle ragioni principali per cui siamo chiamati negri è che, in questo modo, non possiamo
sapere chi siamo ― insegnava Malcolm X nel 1965, un mese prima di essere assassinato. ―
Non sapete chi siete, non sapete di dove venite né che cosa vi appartiene. Finché vi chiamate
negri, niente vi appartiene… La parola “negro” non vi dà una lingua, perché non esiste una
lingua negra; non vi dà una cultura, perché una cultura negra non esiste. La terra non c’è, la
cultura e la lingua non esistono, e neanche l’uomo esiste. Chiamandovi “negri” vi tolgono
anche l’esistenza.» 19
Nelle piantagioni del Sud degli Stati Uniti, ai negri battezzati si lasciava intendere che la loro
condizione dipendeva dalla volontà divina, ed era a causa della loro depravata natura che
dovevano soffrire; mentre l’uomo bianco, il padrone, era solo lo strumento di una giustizia
provvidenziale. La religione che veniva offerta al negro aveva l’unica funzione di ridurre a un
livello ragionevole i rischi impliciti nel possesso e nello sfruttamento degli schiavi.
Emblematica è la «tragedia di Southampton» in Virginia dove, nel 1831, scoppiò la rivolta più
famosa nella storia della schiavitù della Repubblica. La capeggiava Nat Turner, schiavo
comprato e rivenduto più volte a cui, fra un trasferimento e l’altro, qualche benevolo padrone
― o, meglio, qualche padroncina ― aveva insegnato a leggere la Bibbia e a scrivere. Il suo
fervore religioso gli guadagnò il permesso di predicare da exhorter, funzione che battisti e
metodisti lasciavano esercitare a chiunque dimostrasse fede sicura e conoscenza dei
fondamentali principi cristiani. Nei momenti liberi dal lavoro dei campi, andava a predicare da
una piantagione all’altra. I suoi temi preferiti erano la salvezza di Daniele, tratto vivo dalla
fossa dei leoni, e la vittoria di David sul gigante Golia.
Nella Confessione che Nat Turner fece in carcere al medico Thomas Gray prima di essere
impiccato l’11 novembre 1831, si legge: «Un giorno, mentre spingevo l’aratro pregando, lo
Spirito mi parlò… Era lo stesso Spirito che parlava agli antichi profeti… Il 12 maggio udii un
gran tuono, e lo Spirito mi apparve e questa volta mi disse che il Serpente era in libertà e che
Cristo aveva deposto il giogo che portava a causa dei peccati degli uomini. Mi annunciò che
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dovevo prepararmi a combattere contro il Serpente perché stava per arrivare il tempo in cui i
primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi».
Ottenuto il segno divino, Nat Turner si mise a capo di un centinaio di schiavi che incendiarono
alcune fattorie uccidendo una cinquantina di bianchi, tra cui donne e bambini. Alcuni dei ribelli
furono catturati dalla milizia e bruciati vivi. La rappresaglia venne gestita da bande di bianchi
che «presero la legge nelle loro mani», lasciando un solco di sangue e di terrore tra gli schiavi
di tutte le piantagioni dello Stato e nei negri liberi. Le vittime della corda, della frusta, dei
roghi, degli smembramenti furono molte centinaia. Non si saprà mai quante.
Molto più tardi, nel secolo XX, Nat Turner diventò una leggenda nell’immaginario della Nazione
Nera; ma, subito dopo il bagno di sangue di Southampton, negli stati del Sud furono
promulgate drastiche leggi che impedivano a chiunque di insegnare ai negri a leggere e a
scrivere. Inoltre, dal momento che il matrimonio fra schiavi non aveva nessun valore giuridico
né di costume, aumentarono vertiginosamente le vendite interne che garantivano la
separazione fra madri e figli, mariti e mogli, fratelli o, semplicemente, schiavi che erano stati
assieme troppo tempo.
Una legge della Carolina del Nord, emanata nello stesso anno, recita così: «Fatta eccezione
per le illustrazioni, è proibito dare in uso o vendere libri ed opuscoli a schiavi singoli o a
gruppi. I trasgressori, se uomini o donne bianchi, saranno multati da cento a duecento
dollari; se si tratta di una persona di colore libera, sarà multata e imprigionata a discrezione
della Corte, condannata a ricevere non più di trenta frustate e non meno di venti… Se poi è
uno schiavo a insegnare a leggere e a scrivere agli altri schiavi, sempre facendo eccezione per
le illustrazioni, verrà condannato a ricevere trentanove frustate sulla schiena nuda» 20.
Le stampe facevano da complemento ai catechismi recitati di cui si servivano i pastori bianchi
delle chiese per schiavi negri. Ecco uno degli esempi più comuni, con schema a domanda e
risposta.
D.: Chi ti protegge dai serpenti e da tutte le altre cose cattive?
R.: Dio
D.: Chi ti ha dato un padrone e una padrona?
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R.: È Dio che ce li ha dati.
D.: Chi dice che dovete obbedire al padrone e alla padrona che Dio vi ha dati?
R.: Lo dice Dio.
D.: Come si chiama il libro in cui sono insegnate queste cose?
R.: La Bibbia
D.: Come è tutto il lavoro che fa Dio?
R.: Sempre perfetto.
D.: A Dio piace lavorare?
R.: Sì, Dio lavora sempre.
D.: E gli angeli lavorano?
R.: Sì, fanno sempre tutto quello che Dio ordina loro di fare.
D.: Sono contenti di lavorare?
R.: Sì, sono contenti perché fanno piacere a Dio.
D.: Cosa dice Dio del tuo lavoro?
R.: Dice che chi non lavora, non mangia.
D.: Adamo ed Eva lavoravano?
R.: Sì, dovevano tener bene il giardino.
D.: Era difficile allora tener bene quel giardino?
R.: No, allora era facile.
D.: E ora, che cosa impedisce alle messi di crescere senza tanta fatica?
R.: Il PECCATO
D.: Cos’è che vi fa essere così pigri?
R.: Il nostro cuore malvagio.
D.: Come sai che il tuo cuore è malvagio?
R.: Lo sento tutti i giorni.
D.: Chi è che vi insegna tante cose cattive?
R.: Il DIAVOLO
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Quanto ai contenuti della predicazione, in certe piantagioni si consigliava di non insistere
sull’episodio biblico di Mosè che guidò gli Israeliti fuori dall’Egitto; e, se proprio volevano
servirsene ed inserirlo nelle loro prediche, si limitassero ad illustrare il ruolo di Mosè,
tralasciando di scendere in particolari sulle onde del Mar Rosso.
Alcuni piantatori, specialmente nel Profondo Sud, incoraggiavano i predicatori-schiavi sicuri
come erano che non sapessero né leggere né scrivere. «Il padrone mi aveva insegnato a dire a
them niggers che chi obbedisce ai suoi ordini va direttamente in Paradiso… Sapevo che si
doveva promettere loro qualcosa di meglio della torta in cielo, pie in the sky, ma non osavo.
Facendo finta di parlare d’altro dicevo loro che, se pregavano, Dio li avrebbe liberati.»
Nella testimonianza di Letitia Alexander (1849) leggiamo: «Viene il predicatore bianco e non ci
sa dire altro che: servite i vostri padroni, non rubate i polli, i tacchini, i maiali perché voi non
dovete mangiare carne come i vostri padroni; obbedite loro in tutto. Quando volevamo sentire
una predica vera andavamo da lui, ma anche lì bisognava cantare con un filo di voce e
bisbigliare le preghiere. Li chiamavamo “incontri di preghiera”. Ma se i bianchi venivano a
saperlo, ci frustavano tutti perché erano convinti che le nostre preghiere non fossero altro che
maledizioni contro di loro» 21.
Il termine più frequentemente usato nella versione autorizzata della Bibbia per descrivere il
rapporto servile era “servo”. Ma, sia per i diversi contesti in cui veniva adoperato sia per le
condizioni che si presumeva esistessero ai tempi biblici, molti cristiani pensavano che “servo”
fosse sinonimo di “schiavo”.
Tale convinzione serviva perfettamente ai sostenitori della schiavitù perché, nelle traduzioni
della Bibbia nelle colonie americane, il termine greco doulos appariva sia come “servo” che
come “schiavo”. I traduttori inglesi dei famosi passi di Paolo (Efesini 6: 5-8; Colossesi 3: 22-
25) si servirono dei termini bond e servant che, per chi cercava una giustificazione morale
per la schiavitù, non significavano altro che “schiavi”.
Quanto alla legge mosaica (Levitico 25: 44-46) definiva dettagliatamente chi poteva essere
ridotto in schiavitù: erano gli stranieri che vivevano in mezzo agli ebrei, ed erano definiti
proprietà da trasferire in eredità ai propri discendenti. «Il traffico transatlantico degli schiavi
18
veniva considerato come la replica e insieme il compimento della legge mosaica: gli africani
erano “stranieri”, “esterni”, candidati ideali alla servitù perpetua. In tal modo la schiavitù
veniva distinta da tutte le altre forme di servitù involontaria» 22
L’importazione di schiavi dall’Africa nelle Americhe era iniziata subito dopo i viaggi di
esplorazione, mentre i primi grossi carichi cominciarono ad arrivare verso il 1510. Tra gli
schiavi c’erano anche bianchi cristiani, come per esempio le prostitute europee che la regina
Isabella di Castiglia sperava contribuissero alla conversione dei negri. Nel 1513 il re di Spagna
fissò la tassa per ogni schiavo esportato in America; più tardi nacque l’asiento, un appalto
temporaneo che il re di Spagna dava a privati e per il quale percepiva percentuali dal 12 al
21%. In quegli anni gli spagnoli scoraggiavano l’esportazione di schiavi nordafricani perché
«contaminati dall’Islam».
Nel 1526 John Hawkins, uno dei più audaci corsari della Regina, dette inizio al “meccanismo
del triangolo”: acquisto di negri in Africa con merci prodotte in Inghilterra, rivendita dei negri
in America in cambio di oro e argento, importazione in Inghilterra dei prodotti delle piantagioni
americane. Il meccanismo economico triangolare fu portato alla massima perfezione
soprattutto dagli inglesi. Cominciano in quegli anni il grande contrabbando di carne nera, che
durerà più di tre secoli, e la parallela guerra di corsa dei bucanieri inglesi contro i galeoni
spagnoli 23.
Tutta l’Europa investì nella tratta: sovrani, nobili, clero, mercanti e banchieri ebrei e cristiani. Il
filosofo John Locke, in teoria abolizionista, investì seicento sterline nella Royal African
Company il cui simbolo RAC era marchiato a fuoco sul petto di migliaia di schiavi. Voltaire, che
aveva ridicolizzato i padroni di schiavi nel suo Candide, non solo investiva nelle navi negriere
ma si compiacque di accettare che una di queste portasse il suo nome. Altre navi furono
chiamate Libérté, Fratérnité, Égalité. L’americano James de Wolff, del Rhodes Island, battezzò
la sua nave negriera «Monticello» in onore del presidente Jefferson.
Gli investimenti nelle navi negriere erano garantiti da potenti compagnie assicurative che
calcolavano i premi in base alla perdita di un terzo del carico, esclusa l’ipotesi della ribellione.
Basta un solo esempio: il 18 marzo 1793 il «Morning Chronicle & London Advertiser» dette la
19
notizia che «centotrenta negri erano stati gettati in mare vivi dalla nave negriera inglese Zong
che trasportava quattrocentoquaranta schiavi dall’Africa alla Giamaica». Durante i quattro mesi
del viaggio era morta più della metà del carico e, prima dell’arrivo in Giamaica, il capitano Luke
Collingwood ordinò di sbarazzarsi dei rimanenti schiavi, perché tutti malati.
Gli schiavi erano assicurati per trenta sterline pari, nel 2005, a quattromila dollari. Il capitano
si giustificò con il fatto che non c’era più acqua a bordo, ma le assicurazioni chiesero una
condanna per omicidio plurimo. Il loro avvocato sostenne con successo che «i negri erano
proprietà», e un ineffabile giudice ribadì nella sentenza che si trattava di un caso «come se
fossero stati uccisi dei cavalli». Unica concessione: non era necessario gettare in mare i negri
ancora vivi 24.
Nel Maryland, in gran parte cattolico, gli schiavi erano proprietà personale dei preti, dei
conventi, dei seminari e delle scuole cattoliche. In Louisiana, in base al Black Code, il Codice
Nero di Bienville (1724) fondatore di New Orleans, tutti gli schiavi dovevano essere battezzati;
ammessi sì in chiesa e ai sacramenti, ma esclusi da ogni altra pratica religiosa.
Tutti gli ordini religiosi avevano schiavi a loro disposizione. Il religioso francese Pierre Labat,
arrivato alla Martinique nel 1603, raccontò che nel suo monastero c’erano nove frati, una
raffineria di zucchero e trentacinque schiavi, oltre a quindici bambini in stato di denutrizione.
Due anni dopo lo stesso Labat acquistò, senza alcun rimorso, altri schiavi provenienti da una
nave negriera con base a Marsiglia 25.
Tra il 1830 e il 1838 la Compagnia di Gesù, che da più di un secolo gestiva nel Maryland una
serie di grandi piantagioni, in presenza di una grave crisi economica vendette centinaia di
schiavi ai piantatori cattolici della Louisiana. Fino al 1865, due anni dopo l’emancipazione, i
Cappuccini e le Orsoline del Kentucky possedevano ancora moltissimi schiavi e, nel 1856, suor
Giacinta aveva comprato uno schiavo, «un mulatto di nome Simon, padre di otto figli,
seguendo il consiglio del nostro vescovo e del nostro assistente spirituale al prezzo di
millequattrocento dollari, somma pagata dalla diocesi e non dal convento», come specifica il
documento.
20
Nelle colonie francesi era in vigore l’editto di Luigi XIII del marzo 1685, il Codice Nero,
confermato nel 1716 da Luigi XV 26. Era obbligatorio battezzare gli schiavi; i sorveglianti
dovevano essere cattolici professanti, pena la confisca degli schiavi affidati loro dai padroni.
Era vietato far lavorare gli schiavi di domenica, pena ammenda, confisca dello zucchero e degli
schiavi 27.
La critica degli illuministi alla schiavitù e al connubio proprietà–schiavitù-missione religiosa
sono oggetto della voce esemplare «Esclavage» nella Encyclopédie di Diderot e D’Alembert.
«L’esclavage n’est utile ni au maître ni à l’esclave, parce que il n’est peut rien faire par vertu;
au maître, parce qu’il contracte avec ses esclaves toutes sortes de vices et de mauvaises
habitudes, contraire au lois de la société… C’est donc aller directement contre les droit des
gens et contre la nature, que de croire que la religion chrétienne donne à ceux qui la
professent, un droit de réduire en servitude ceux qui ne la professent pas pour travailler plus
aisément à sa propagation. Ces fut pourtant cette manière de penser qui encouragea les
destructeurs de l’ Amérique dans leur crimes, et ces n’est pas la seule fois que l’on se soit servi
de la religion contre les maximes qui nous apprennent que la qualité de prochaine s’étendes
sur tout l’univers.» 28
Dal canto suo, il vescovo Martin D. Natchitoches definiva la schiavitù «una soluzione
autenticamente cristiana grazie alla quale milioni e milioni di esseri umani passano dalla notte
dell’ignoranza e del paganesimo alla luce abbagliante dello Spirito Santo».
Nel 1840 il vescovo cattolico di Charleston, John England, sosteneva che «se la schiavitù
fosse davvero un male e non semplicemente un peccato, la Chiesa l’avrebbe condannata da
tempo». Per i cattolici il vero problema di coscienza era denunciare gli abusi e non
l’istituzione, che riguarda soltanto le autorità secolari.
In piena guerra civile Augustin Verot, vescovo della Georgia e della Florida orientale, predicava
che «la schiavitù non è in contrasto né con il diritto di natura né con le Scritture» e che il
tragico conflitto tra l’Unione e la Confederazione era stato provocato dall’ignoranza di «fanatici
bigotti (gli abolizionisti), che hanno sconsacrato e distorto la parola divina addirittura
pretendendo di parlare a nome di Dio».
21
Forte di questi principi, la Chiesa cattolica non prese mai una vera posizione contro la schiavitù
reale e, anche a livello individuale, la partecipazione dei cattolici al movimento per l’abolizione
della schiavitù fu del tutto irrilevante rispetto agli abolizionisti inglesi laici ed evangelici 29.
* * *
Ai pensatori dell’antichità fu ben chiara la distinzione fra superstizione e religione. «Coloro che
trascorrono intere giornate a pregare e a fare sacrifici perché i loro figli sopravvivessero ―
scriveva Cicerone ― e cioè perché fossero dei “superstiti”, furono detti superstiziosi… Coloro
invece che riconsideravano e, per così dire, “rileggevano” tutte le pratiche del culto furono
detti religiosi dal verbo relegere… Accadde così che il termine “superstizioso” esprimesse un
difetto, “religioso” un pregio.» 30
La distinzione fra superstizione e religione è sempre dipesa, dall’antichità in poi, da chi detiene
il potere di definizione. La Religione Pubblica proposta da Cicerone era una semplice questione
di osservanza: «bisognava rispettare le gerarchie divine, e non coinvolgere gli dei nelle
faccende umane». Si trattava di quell’insieme di regole e forme di culto «da cui non ci si
devono attendere effetti sugli dei o sul corso della natura, ma che servono a mantenere la
convivenza tra i cittadini» 31.
Per gli antichi, la Religione pubblica richiedeva l’adesione formale ad un complesso di leggi e
tradizioni di cui le varie religioni facevano parte. Le radici della Religione pubblica americana,
invece, affondano in un testo religioso già egemone nella tradizione europea.
Il trapianto missionario anglosassone nel Nuovo Mondo si legittimava sui due principi
fondamentali della narrazione biblica: il Popolo Eletto e l’adempimento della profezia della
Terra Promessa. L’immaginario biblico offriva i modelli adeguati per la Nazione Missionaria:
l’Esodo, lo sterminio dei nativi, la Terra Promessa.
Il secondo Covenant si sarebbe realizzato con il compimento della Missione di cui la razza
bianca anglosassone era portatrice: la Religione Pubblica consolidata con l’Indipendenza non fu
altro che la versione estesa del Covenant missionario dei Puritani.
22
Quanto a Thomas Jefferson, riteneva che «la differenza di opinioni va a vantaggio della
religione perché le varie sette svolgono la funzione di censor morum, e quindi contribuiscono
alla elevazione morale della società». Tuttavia, quando si sforzava di distinguere fra morale e
religione, finiva per domandarsi con preoccupazione se «le libertà della nazione non vengano
messe in pericolo quando sono sradicate dall’unica base sicura: la convinzione di tutti che
quelle libertà sono un dono di Dio» 32.
Nel 1749 Benjamin Franklin laicizzò l’autopercezione istituzionalizzata della Repubblica
definendola Religione Civile. Si trattava di un contenitore per tutte le realtà confessionali
disposte ad accettare le stesse premesse: esistenza di un Dio creatore, dispensatore dei diritti,
e missione perpetua della Nazione volta a garantire una convivenza globale fondata sui valori
di una democrazia oligarchica della razza bianca.
La Repubblica nasce schizofrenica, come risultato di una frattura rispetto al Governo coloniale
inglese, e non di una rivoluzione: fu rifiutato il passato e la nuova nazione si fece figlia
dell’eternità, di un vuoto al di là della storia. Negare il fondamento biblico “profetico” della
democrazia americana equivale a commettere un sacrilegio nei confronti dell’unità nazionale.
L’idea guida del Popolo Eletto che, come disse il presidente John Adams nel 1798, per volere
divino «promuove moralità e pietà senza di cui non si hanno né i benefici di un governo
basato sulle libertà né la felicità sociale», viene strutturata in un’unità religiosa politico-
cerimoniale che ha vita propria.
Di volta in volta, l’immaginario della Missione perpetua si chiamerà Destino manifesto, Guerra
giusta, Esportazione della democrazia, Difesa della civiltà occidentale contro grandi o piccoli
Imperi del Male 33.
Il globalismo economico, mediatico e militarizzato che definisce e decide chi deve vivere e chi
deve morire si intreccia indissolubilmente con tutta la violenza della Missione.
23
“Note”
1 West D.C. - King A. 1991: 30
Non trovo commento migliore di questa riflessione di un’afro-americana, Bell Hooks, espressa
nel cinquecentenario della scoperta dell’America (1992): «Dalle elementari in poi, partendo
proprio dalla storia di Cristoforo Colombo, ci hanno insegnato a credere che la volontà di
conquistare, sottomettere e convertire gente diversa fosse un fatto “naturale”, e non il portato
di una cultura specifica. Ci insegnavano che, se gli indiani fossero stati potenti e intelligenti
come i bianchi, avrebbero fatto lo stesso. Era implicito che il maggior potere dei conquistatori
derivava dal fatto che erano di razza bianca e di religione cristiana. Anche se non si parlava
mai del colore della pelle, per noi giovani il fatto di “essere bianco” equivaleva al fatto di
essere “portatore di civiltà”. Se, per diventare civili, si erano dovuti subire gli orrori della
dominazione e della conversione, ciò era presentato come un costo necessario. Alla base della
nostra cultura c’è il presupposto che il dominio è non soltanto un fatto “naturale”, ma
l’elemento centrale del processo di incivilimento» (Giammanco R. cur. 1993: XV).
2 Hill Chr. 1993: 266
3 Hill Chr. 1964: 243
Il “gran sacerdote” della tradizione nella Nuova Inghilterra, Cotton Mather, si scagliava contro i
poveri accusandoli di essere tali a causa della loro pigrizia e del loro rifiuto della laboriosità,
chiamandoli «sentina di tutti i vizi». Predicava: «Coloro che si lasciano andare alla pigrizia,
dobbiamo lasciarli morire di fame, come ci comanda espressamente Dio». Nell’autunno del
1590 vagabondi, gente senza lavoro né dimora venivano frustrati e marchiati a fuoco dalle
autorità locali della Contea di Middlesax a ritmo di almeno uno al giorno.
Agli albori del XX secolo Theodore Roosevelt, presidente degli Stati Uniti dal 1901 al 1909 e
premio Nobel per la pace (conferitogli per la sua mediazione nella guerra russo-giapponese),
scriveva nel suo The Winning of the West. False Sentimentality About the Indians, Washington,
DC: «In certi casi, come i Cherokee o Chief Joseph dei Nez percés, abbiamo fatto dei torti agli
24
indiani; ma era impossibile evitare i conflitti con questa razza più debole. La nostra politica
verso gli indiani può essere criticata solo perché fu troppo debole e troppo influenzata da
umanitari sentimentali… Dopo tutto, le tribù erano bellicose e assetate di sangue…
Personalmente non giungo a pensare che gli unici indiani buoni siano gli indiani morti, ma
credo che nove su dieci lo siano, e non mi piacerebbe indagare troppo a fondo nel caso del
decimo. Per quanto riguarda i degenerati, i criminali e le persone deboli di mente, a questi
dovrebbe essere vietato lasciare una discendenza. Le migliori classi di americani bianchi
avrebbero potuto essere sopraffatte dalla riproduzione incontrollata dei gruppi razziali inferiori,
i totalmente incapaci, gli inutili».
4 Mason J. 1736: 21
5 Bradford W., (Morrison S.E. Ed.) 1967: 296
Confronta anche: Deloria V.jr.- Wilkins D. 1999: 50 sgg.
6 Slorkin R.– Folsom J. Ed.s 1978: 142
7 de Tocqueville A. 1995: 345
Dopo il 1830, quando si trattò dell’occupazione dell’Algeria, Alexis de Tocqueville si rivelò come
l’apostolo del dominio totale e del saccheggio del paese. Scriveva: «Ho spesso sentito dire da
francesi che rispetto, ma dei quali non approvo le opinioni, che trovano inaccettabile che si
brucino le messi, che ci si impadronisca di tutte le loro provviste e che si catturino uomini
inermi e, insieme, le loro donne e i bambini. Purtroppo, queste sono fastidiose necessità che si
è costretti ad accettare se si vuole fare guerra agli arabi… Sono convinto che il diritto di guerra
ci autorizzi a mettere a ferro e a fuoco tutto il paese, a distruggere le messi al momento della
mietitura, o a fare tutta una serie di rapide incursioni, chiamate razzie, che hanno la scopo di
catturare gli uomini e le greggi» (de Tocqueville A. 1991: 704-5).
Cfr. : Le Cour Grandmaison O. 2005
25
8 Georgakas D. 1968: 16 sgg.
9 Stannard D.E. 2001 [1992]: 199-203
10 Giammanco R. cur. 1993: 19-21
11 Rogin M.P. 1975: 218 sgg.
12 Hochschild A. 2005: 149
13 Giammanco R. cur. 1993: 19-23
14 Giammanco R. cur. 1993: 26-27
Per una analisi critica non convenzionale ed un’eccellente rilettura giuridica del ruolo primario
del diritto di proprietà nell’elaborazione e applicazione dei diritti costituzionali fino ai nostri
giorni è fondamentale lo studio di Jennifer Nedelsky: Private Property and the Limits of
American Constitutionalism: The Madisonian Framework and Its Legacy, 1990.
La Nedelsky sottolinea come «la tacita presenza e la supremazia degli interessi economici
egemoni nelle istituzioni politiche furono i fattori determinanti di tutto l’impianto costituzionale
e della sua applicazione nella società civile». Nelle costituzioni di tutti gli Stati della Repubblica
fu recepita l’esclusione dei non-proprietari dal voto e dalla candidatura a qualsiasi carica
politico-amministrativa (le prime ad essere escluse erano le donne), mentre ai proprietari
terrieri, alla ricchezza mercantile e alle istituzioni urbane ed educative furono garantite forme
multiple di rappresentanza. La Corte Suprema di John Marshall (1801-1835) sanzionò la netta
distinzione tra area politica e area giuridica affidando ai giudici eletti localmente dal potere
sociale la difesa dei diritti di proprietà. «Si fece di tutto – conclude la Nedelsky – per fare,
dell’ineguaglianza e dell’esclusione dal diritto di voto, costi accettabili per la sicurezza del
diritto di proprietà e per la certezza delle attività imprenditoriali.»
26
Cfr. anche: Fresia James, 1988, Toward an American Revolution. Exsposing the Constitution
and Other Illusions, South End Press, Boston.
15 Corvisieri A. 2002: 24
Gli studi di Alessandro Corvisieri sono corredati da un formidabile apparato di documenti
pontifici spesso passati sotto silenzio, o introvabili o, in alcuni casi, scomparsi dalle biblioteche
italiane.
Oltre a Chiesa e schiavitù, 2002, ricordo i tre volumi de La Chiesa di Roma (vol. I: Quale
apostolicità, quale primato, 2004; vol. II: Conseguenze del primato, 2009; vol. III: Letture,
2009). Questi studi sono uno strumento indispensabile a chi voglia chiarirsi i lati oscuri della
storia ecclesiastica.
16 Calpini R. 2007: 395
17 Corvisieri A. 2002: 150
Fino al XII secolo più di cento papi si erano preoccupati non della schiavitù reale, ma
esclusivamente della possibilità che lo schiavo cristiano andasse a servire padroni di fede
diversa. Alla scopo di evitare l’apostasia vigeva la legge di Giustiniano Ne christianum
mancipium… hereticus habeat, che comminava la pena capitale per i trasgressori.
Nel 1160 papa Alessandro III pronunciò un’autentica condanna di qualsiasi schiavitù che
diciannove anni dopo, nel 1179, il Concilio lateranense da lui voluto abrogò, «condannando alla
schiavitù indiscriminatamente tutti i Catari oltre agli individui dediti al brigantaggio».
18 Wood F.G. 1990: 93
19 Giammanco R. 1994: 109
All’analisi di Malcolm, si può ricollegare l’atteggiamento di gran parte dell’antropologia
culturale. «Allo stato attuale della ricerca ― scrive Claude Meillassoux ― sembra che la
schiavitù sia percepita molto meno come istituzione che non attraverso la definizione dello
27
schiavo. Se da un lato semantica e diritto contribuiscono a puntualizzare il fenomeno, dall’altro
non consentono di caratterizzare la schiavitù come istituzione» (C. Meillassoux 1988:15)
20 Acts of the General Assembly of the State of North Carolina 1831: 16, nota 19
21 Raboteau A.J. 1980: 213 sgg.
22 Wood F.G. 1990: 43 sgg.
23 Blackburn R. 1997: 219-236
Questo monumentale saggio di Robin Blackburn è forse lo studio più completo sulla tratta che
consentì sia in Inghilterra che nelle sue colonie, poi diventate Stati Uniti, l’accumulazione del
capitale necessario all’industrializzazione. Un esempio recente è la celebrazione del
duecentesimo anno della fondazione dell’università di Yale, nata per ricordare la
partecipazione di molti dei suoi docenti al movimento abolizionista. Contemporaneamente sono
apparsi documenti che dimostrano come, per quasi cento anni, l’università di Yale ha ricavato i
suoi principali redditi direttamente o indirettamente dalla tratta degli schiavi.
Dal 1700 al 1807 partirono da Liverpool quattromila spedizioni negriere, duemila da Nantes e
millecinquecento da Bordeaux (Cfr.: Thomas H. 1997: 283-4). Sia i cattolici che i protestanti
ignoravano qualsiasi condanna della schiavitù che era sotto i loro occhi sulla costa atlantica.
Sappiamo dai documenti dell’epoca che fino dal XVII secolo non c’è traccia di una sola predica
contro la schiavitù, o riguardo ad essa.
Blackburn ha anche calcolato i redditi delle grandi compagnie e delle banche derivanti, in circa
cinquanta anni, dal lavoro degli schiavi.
Cfr. anche: Genovese Eugene – Fox Genovese Elisabeth, 1983, Fruits of Merchant Capital:
Slavery and Bourgeois Property in the Rise and Expansion of Capitalism, Oxford University
Press, New York.
24 Hochschild A. 2005: 79-82
28
25 Thomas H. 1997: 455
26 Nel 1993 Gianni Tognoni, segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli, ha
pubblicato la prima traduzione italiana del Code noir, ou recueil d’édites, declarations et arrets
concernant la discipline & le commerce des esclaves négres des isles françaises de l’Amerique ,
con testo originale a fronte. Nella sua prefazione, dopo aver collegato la condizione della
schiavitù odierna e i delitti impuniti contro l’umanità al Codice Nero, Tognoni conclude:
«Sarebbe bello se il futuro vedesse le nostre periferie non più alleate, più o meno involontarie
o rassegnate, degli autori dei Codici, ma ospiti–alleate–coprotagoniste del diritto dei fuggitivi.
Ricordando che anche noi siamo stati fuggitivi–esuli. Ma soprattutto “sapendo” che i Codici
Neri sono sempre possibili e di fatto silenziosamente o drammaticamente applicati finché la
specie-padroni viene dichiarata legittima di diritto naturale, di quello che un tempo si rifaceva
a Dio, e che via via ha trovato altri dei ».
27 I portoghesi, che furono i primi ad organizzare la tratta africana, praticavano il battesimo
obbligatorio degli schiavi; secondo un editto di D. João III del 1530 era considerato immorale
la vendita degli schiavi battezzati agli “infedeli”.
Nel corso degli anni si sviluppò tutta una rete di confraternite (irmandades) tra il Portogallo e il
Brasile con chiese dedicate ai santi protettori delle navi negriere e degli schiavi che vi venivano
trasportanti. Preziosa è la collezione di ex votis, dedicati particolarmente dalla Confraria de
Nossa Senhora do Rosario dos pretos, e di dipinti e statue dei “Santos Negros” a cui è stata
dedicata nel 1999 una epocale mostra a Lisbona.
In Brasile i mercanti di schiavi di Bahia avevano la loro congregazione religiosa che tutti gli
anni organizzava la processione a Pasqua. Una grande folla seguiva la processione che partiva
dalla chiesa di San Antonio de Barra dove, nel 1752, venne portato un busto di san Giuseppe
che fino ad allora era stato venerato a Elmina come il patrono dei mercanti di schiavi.
28 Encyclopédie 1772, vol V: 873
29
La voce «Esclavage» riflette fedelmente le idee di Montesquieu il quale, peraltro, relativizza
tutta la sua teoria riguardo alla libertà e alla schiavitù introducendo il criterio della «natura
delle cose». Infatti, come afferma Michel Foucault, «una cosa sono le civiltà occidentali, e
un’altra il resto del mondo».
«Je répond avec Montesquieu qu’il y a des pays où l’esclavage paroisse fondé sur une raison
naturelle: ce sont ceux où la chaleur énerve les corps et affaiblit si fort le courage que les
hommes ne sont portés à un devoir pénible que par la crainte du châtiment. Dans ces pays-là,
le maître étant aussi lâche à l’égard de son prince, que son esclave l’est à son regard ;
l’esclavage civil y est encore accompagné de l’esclavage politique.» (Encyclopédie 1772: vol.
V: 878)
29 Giammanco R. cur. 1993: 107-129
Negli Stati Uniti, il primo prete cattolico nero ricevette gli ordini nel 1891, e fino al 1930 erano
attivi solo tre preti neri. Al contrario i battisti e i metodisti permettevano ai neri convertiti di
predicare; e furono queste le origini della Chiesa Nera, che peraltro rimase sempre segregata.
Le Chiese Nere, autofinanziate e poverissime, divennero il microcosmo ideale della società che
i neri non avevano, e insieme l’arena in cui esercitare i modelli, le facoltà e le aspirazioni che la
società bianca proponeva e materializzava per sé, negandoli a loro.
30 Cicerone M.T. 2004: 184-6
31 Viano C.A. 2005: 13
32 Marty M. 1987: 61 sgg.
33 In coincidenza con l’elezione alla Casa Bianca di Ronald Reagan nel 1980, il movimento
fondamentalista evangelico attraverso la voce di decine di telepredicatori, come Pat Robertson
e Jerry Falwell, realizzò un’alleanza politico-militare-religiosa per il compimento di missioni
contro il cosiddetto Impero del Male. La Teologia di Armageddon divenne il centro
dell’immaginario globale della Repubblica, ispirandone gli sviluppi futuri.
30
Alle radici storiche, agli sviluppi mediatici di questo immaginario e alle sue conseguenze
politiche, ho dedicato una vasta analisi dal titolo: L’immaginario al potere. Religione, media e
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