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MONOGRAFIA AISA 118 Fiat 500 I 60 anni del mito AISA Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile

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IM O N O G R A F I A A I S A 1 1 8

Fiat 500I 60 anni del mito

AISAAssociazione Italiana per la Storia dell’Automobile

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Didascalia

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Fiat 500i 60 anni del mito

AISA - Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile Museo Nazionale dell’Automobile - Torino, 18 novembre 2017

3 L’Italia al tempo della Fiat Nuova 500 Lorenzo Boscarelli 6 Fiat 500 design story Roberto Giolito

9 Particolarità tecniche e genesi della Nuova 500 Lorenzo Morello 12 Le 500 fuoriserie Alessandro Sannia

15 500 da corsa Renato Donati

20 La Fiat 500: da utilitaria a mito Carlo Giuliani

M O N O G R A F I A A I S A 1 1 8

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1. Occupati per settore di attività (%)

Fonte: ISTAT.

2. La spesa delle famiglie italiane negli anni Cinquanta e oggi

3. Condizioni di salute e di sicurezza negli anni Cinquanta e oggi

Fonte: ISTAT.

Fonte: ISTAT.

Grandi mutamenti economici avvennero in Italia negli anni Cinquanta, indotti dalla rapida indu-

strializzazione di alcune aree, soprattutto al Nord, e dalla conseguente migrazione dal Sud di un gran nu-mero di persone e poi di famiglie. Nel 1951 gli occu-pati in agricoltura (42,2% del totale) erano molto più numerosi di quelli nell’industria (32,1%) e nei servizi (25,7%), ma proprio allora iniziò una rapida evolu-zione, cosicché nel 1955 per la prima volta il numero degli addetti dell’industria superò quello degli addetti all’agricoltura. Era una situazione, come si può vedere nella figura 1, che oggi – quando oltre due terzi degli occupati lavorano nei servizi (banche, trasporti, sani-tà, pubblica amministrazione, ...) – appare quasi incre-dibile. Oltre alle migrazioni interne vi era una forte emigrazione: per limitarci al 1957, l’anno di nascita della 500, più di 100.000 italiani andarono all’estero in cerca di lavoro, mentre solo circa 30.000 rientrarono in patria. Eravamo un paese ancora piuttosto povero, che non riusciva a offrire buone condizioni di lavo-ro a tante persone. Ciononostante, la disoccupazione (5,6% in media nel 1957) era la metà di quella attuale; questo dato può probabilmente spiegarsi con il fat-to che l’agricoltura offriva forme di lavoro marginale, che occultavano la disoccupazione.La sostanziale modestia delle condizioni di vita di tan-ti italiani si può leggere anche nei beni e servizi che acquistavano. Come mostra la figura 2, quasi due terzi della spesa era rivolta a consumi “di base”, cioè all’a-limentazione e all’abbigliamento, mentre oggi solo un terzo di ciò che spendiamo è destinato a questi beni. Come non bastasse, occorre ricordare che allora il pa-niere dei cibi consumati e il guardaroba degli italiani erano molto più modesti di oggi.Anche le condizioni di salute e di sicurezza da allora sono molto migliorate. L’aumento della speranza di vita alla nascita è un indicatore che esprime la qualità sia delle cure mediche, sia delle condizioni di vita (ali-mentazione, salubrità delle abitazioni e degli ambienti di lavoro, igiene pubblica e privata, ...). Il fatto che da allora la speranza di vita degli italiani sia cresciuta da 68 a 83 anni dice i progressi fatti. Altro indicatore delle condizioni di salute è la mortalità nel primo anno

di vita, che dal 1957 a oggi è diminuita di 17 volte! Merito di tanti fattori, tra i quali vanno ricordati i vac-cini (per fare un esempio, solo a metà anni Cinquanta fu disponibile quello contro la poliomielite, che prima di allora uccideva in Italia molte migliaia di persone all’anno).

Lorenzo Boscarelli, presidente AISA e studioso di storia dell’automobile.

L’Italia al tempo della Fiat Nuova 500Lorenzo Boscarelli

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E la sicurezza? Si fa un gran parlare, oggi, del conti-nuo aumento della delinquenza: i dati ci offrono un quadro opposto. Gli omicidi volontari per milione di abitanti erano a fine anni Cinquanta cinque volte più numerosi di oggi, cosa che può lasciare sbalordito chi non abbia la pazienza di documentarsi. Gli omicidi hanno cominciato a calare fortemente da una trentina d’anni a questa parte. Risalendo nel tempo, si riscon-tra che ai primi del Novecento il numero di vittime di omicidi volontari per milione di abitanti variava tra 35 e 45, mentre nel 1959 fu di 30. Per gran parte del secolo prevalse quindi una forma di violenza rivolta alla persona, che alcuni studiosi definiscono di tipo “medievale”, mentre in seguito aumentò quella rivolta alle cose (furti, rapine, estorsioni...).Altro miglioramento ancor più clamoroso è quello che riguarda le vittime di incidenti stradali: non solo oggi il numero assoluto dei morti è meno della metà di quello di allora, ma in rapporto al numero di veicoli circolanti è diminuito di oltre 20 volte! Merito di nu-merosi fattori: le automobili sono enormemente più sicure, in primo luogo per dispositivi di sicurezza pas-siva (airbag, cinture di sicurezza, imbottiture di tutte le parti contro cui può urtare il corpo degli occupanti, posizione del serbatoio del carburante in luogo “pro-tetto” e lontano da fonti di scintille, forme della par-te anteriore della carrozzeria prive di spigoli vivi., ...; per i motociclisti, obbligo del casco). Anche i fattori di sicurezza attiva hanno fatto grandi progressi: freni molto più potenti e che mantengono efficacia anche quando usati intensamente, sospensioni che garanti-scono una tenuta di strada molto elevata, pneumatici con coefficiente di aderenza assai più alto, capacità di accelerazione che consente di districarsi meglio da si-tuazioni problematiche...).Poi, un ruolo fondamentale per la sicurezza strada-le l’hanno avuto il miglioramento delle strade e della segnaletica. Nei primi anni Cinquanta solo un quarto delle strade provinciali erano asfaltate e non poche strade statali ancora erano in terra battuta, specie al Sud. Non esisteva segnaletica orizzontale, quindi in condizioni di scarsa visibilità anche andando adagio si rischiava di uscire di strada. Infine, gli incidenti stra-dali sono diminuiti anche in seguito all’adozione dei limiti di velocità sulle strade extra-urbane.

La scelta della Fiat di lanciare una vetturetta “di base” – con costi di acquisto e di manutenzione alla portata di un buon numero di potenziali acquirenti – derivò an-che dall’osservazione che quando fu avviato il progetto della Nuova 500 il parco circolante italiano era domi-nato dai motoveicoli. Il 1958 fu il primo anno in cui furono prodotte più automobili che biciclette e il 1960 il primo in cui la produzione di automobili fu maggiore dei motoveicoli; nel 1964 per la prima volta il parco delle autovetture superò quello dei motoveicoli. Altro dato interessante è il numero di abitanti per automobi-le: in Italia si scese sotto i 10 abitanti nel 1965, mentre in USA ciò era accaduto nel 1922 (oggi in Italia ci sono circa 1,7 abitanti per automobile). Il ritardo italiano era evidente ed è comprensibile che il maggiore costruttore nazionale abbia deciso di introdurre sul mercato una vettura molto piccola e di costo limitato. La Nuova 500 fu presentata nel luglio del 1957 in una forma molto spartana, addirittura a due soli posti, con una panchetta posteriore, anziché il consueto divanet-to, e un motore di 13 CV che consentiva una velocità massima di 85 km/h. Si dice che la Fiat avesse voluta-mente limitato le prestazioni e l’abitabilità della nuova vettura per evitare che “facesse concorrenza” alla Fiat 600, che si stava vendendo molto bene. Il prezzo era di 490.000 lire, un divario modesto rispetto alle 590.000 lire della 600. Prezzo e caratteristiche svantaggiaro-no la 500, che nel 1958 si vendette in meno di 10.000 esemplari, quasi uguagliata dalla “consorella” Bianchi-na, che costava un po’ di più, ma era meglio rifinita. La Fiat corse presto ai ripari, riducendo il prezzo della 500 e dotandola di un motore con 16,5 CV, il che portò la velocità massima a 95 km/h, dopodiché le vendite presero vigore, fino a raggiungere a metà degli anni Sessanta il primo posto sul mercato italiano. La 500 costava poco, ma chi poteva permettersela? Ogni oggetto ha un prezzo che è più o meno “ele-vato” a seconda della ricchezza di cui dispone chi si propone di acquistarlo. Un buon indicatore della ric-chezza disponibile a una popolazione, nel nostro caso quella italiana, è il Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite. Nel 1957 fu di 302.448 Lire, pertanto il prez-zo della 500 era pari a 1,62 volte (490.000/302.448) il PIL pro capite. Oggi in Italia il PIL pro capite è di cir-ca 26.000 euro, quindi – se il rapporto tra la ricchezza media disponibile e il prezzo della 500 fosse quello di allora – la 500 costerebbe 41.445 euro! Se invece rivalutassimo il prezzo della 500 nel 1957 solo in rapporto all’inflazione da allora a oggi, otterremmo un prezzo leggermente inferiore a 7.000 euro. Come si spiega la differenza tra 7.000 e 41.445? Con il fatto che l’economia italiana, quindi la ricchezza media dei cittadini, è enormemente cresciuta in questi 60 anni, divenendo circa 6 volte più grande, al netto dell’infla-zione. Ora valutiamo i 7.000 euro confrontandoli con il prezzo di un’attuale automobile “di base”, ad esem-

4. Il parco circolante di veicoli nel 1957

Fonte: ANFIA.

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pio la Fiat Panda, che nella versione più economica costa 11.000 euro. La Panda è un prodotto molto più ricco, sicuro, veloce e confortevole di una 500, quindi concludiamo che spendere 7.000 euro per comprare, oggi, una 500 non sarebbe un buon affare. Quanto co-sterebbe una 500 se fosse costruita con le caratteristi-che di allora, ma con le tecnologie odierne? Non siamo in grado di dirlo (occorrerebbe un’analisi tecnica mol-to approfondita per giungere a una stima ragionevole), ma possiamo ritenere che costerebbe molto meno di 7.000 euro; questa è una prova del progresso compiuto dalla tecnologia in questo lasso di tempo.Infine, quanto costava mantenere una 500, nel 1957? Per rispondere possiamo assumere come riferimento il prezzo della benzina “normale”, come allora si chia-mava quella di 84-86 ottani, adatta alla 500. Il prezzo era di 142 lire al litro, che rivalutato in rapporto al

PIL pro capite sarebbe, oggi, di 12 euro/litro! Una enormità, che ci fa ancor meglio comprendere perché nei primi anni della sua carriera le vendite della 500 andarono a rilento. Anche tenendo conto della sola inflazione, il prezzo di quella benzina sarebbe oggi di circa 2 euro al litro, nettamente superiore all’attuale.Cosa possiamo concludere? La Fiat Nuova 500 è stata un prodotto di grande successo e longevità, grazie alla sua concezione molto semplice e alla sua robustezza. Per questo è ancora la beniamina di tanti appassio-nati, che si divertono a possederle, a curarla, a usarla. Se però consideriamo il contesto economico e socia-le nel quale la 500 nacque e si diffuse possiamo solo rallegrarci, molto, di vivere oggi anziché nella secon-da metà degli anni Cinquanta, quando le condizioni economiche, di salute e di sicurezza della popolazione italiana erano ben peggiori di quelle attuali.

5. I progressi della Fiat Nuova 500 sul mercato italiano

Fonte: Quattroruote.

Gli inizi problematici della Fiat Nuova 500 (da Quattroruote, settembre 1959).

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L’occasione dei sessant’anni dalla presentazione della Nuova 500 è propizia non solo per un fla-

shback, ma anche per renderci conto di quanto siano mutate le nostre condizioni di vita da allora a oggi. La relazione di Lorenzo Boscarelli ci ha indotto a riflet-tere su come le automobili “viaggino” con la vita, con l’economia e soprattutto di come generino nuove for-me di sviluppo. La Nuova 500 allora è stata una sorta di suffragetta, una piccola rivoluzionaria per i costumi e le attitudini delle persone. Parlare della 500 oggi ci consente di uscire dal dibattito, tipico di un Centro Stile, se, ad esempio, adottare due fanalini o uno solo, perché la 500 “storica” ne aveva uno solo.La 500 del 1957 aveva a sua volta un’antenata, la To-polino, opera del grandissimo ingegner Dante Gia-cosa, una mente fulgida capace di incarnare nel vero senso della parola il pensiero laterale, il “fare diffe-rente”, un approccio che di recente ha avuto fortuna anche in prodotti assai diversi dall’automobile, come i computer della Apple, o tutta la nuova generazione di dispositivi digitali.Il progetto della 500 di oggi è stato affrontato con un approccio molto simile a quello adottato allora, che portò a inventare. A me piace dire inventare anziché disegnare, perché la Nuova 500 fu un’invenzione e noi per progettare quella attuale non ci siamo limitati a ripetere degli stilemi, degli ornamenti. Inventare vuol dire rivedere una soluzione: è bello parlare di inven-zione anche quando si interviene sull’insieme mecca-nico dell’impianto motore, della struttura, degli arche-tipi strutturali, ma soprattutto dell’insieme dell’auto, e sul suo rapporto con le persone. Preferisco parlare della 500 in chiave atemporale, senza considerare il 1957 e il 2007 per forza come ricorrenze magiche. Un po’ lo sono state, perché non è stato casuale rimettere mano dopo cinquant’anni a un’idea che non è stili-stica, bensì di linguaggio, e questo ci ha consentito di innovare. Eravamo stanchi di dover sempre restare nell’interpretazione dei trend, quelli talmente grandi da chiamarsi mega, ma che portano a fare per for-za automobili di un certo tipo, seguendo le credenze

che il mondo sviluppa, alle quali si va dietro un po’ tutti. Il think different della Fiat 500 è sempre stato un elemento scatenante di buone idee, così come altri elementi caratterizzanti sono l’efficienza, la razionalità e l’impiego sapiente delle energie dei materiali, ma an-che del pensiero portato su questa vettura.La 500 ha influito, in senso positivo, sulle vite delle persone. È la vettura dell’emancipazione delle fami-glie; è l’automobile che gli uomini davano volentieri alle donne perché la guidassero, è stata la vera emanci-pazione delle donne al volante che hanno dimostrato di guidare meglio degli uomini. Per questo la 500 è stata la suffragetta delle automobili, più della 2CV o di altre vetture semplici o comunque relativamente ac-cessibili, per quell’epoca. Quindi la 500 porta armonia ed emancipazione; quando abbiamo inventato la 500 attuale, ci è piaciuto l’affresco pubblicitario riporta-to in questa pagina, quasi di una scena campestre, da picnic, che abbiamo voluto ricreare nel 2007, con una simile gioia di vivere, semplicità, armonia, sorriso. Riprendendo i temi legati al successo e alla gioia di vivere, riguardo alle automobili c’è una parola molto moderna per chi fa design nel senso proprio di inven-zione, di concetto, che è quello di creare esperienze piacevoli, quindi positive, nel senso di come ci si tro-va dopo aver usato un oggetto, dopo aver fruito del suo risultato. Questa parola è “usabilità”. Qualcuno può pensare che sia un termine un po’ rigido, un po’ legato ai calcoli, invece l’usabilità è uno dei criteri più importanti che i progettisti di software seguono per ideare la sfera immateriale dei nostri oggetti d’uso, che sono quasi sempre non fisici, stanno all’interno di dispositivi, sono le app, i software che usiamo tutti i giorni in ufficio. Ebbene, chi li progetta si mantie-ne in perenne contatto con gli utenti e li aggiorna di continuo. A me piace pensare a queste versioni beta: per i progettisti di software, beta è la versio-ne che si dà in pasto agli utenti più bravi, e anche a quelli imbranati, per capire come funziona. Tor-nando a noi, l’esperienza d’uso positiva io l’associo a un altro oggetto, un po’ come la 500, la caffettiera Bialetti, denominata moka: non è l’oggetto perfetto in assoluto, ma crea un’esperienza positiva di gesto, di risultato e di impegno. È un oggetto che tutti noi vorremmo non cambiasse più di tanto. Da progetti-sta di auto l’idea che nell’automobile ogni sei anni si deve cambiare tutto mi ha sempre lasciato perplesso: cioè dover far fuori degli oggetti, pur perfettamente

Fiat 500 design storyRoberto Giolito

Roberto Giolito, designer italiano, autore di celebri vetture quali la Fiat Multipla (1998) e la Fiat 500 (2007). Compasso d’oro per il design industriale nel 2011. Dal 2007 al 2015 responsabile dello stile per i marchi Fiat e Abarth. Ore dirige il settore Heritage del gruppo.

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funzionanti, per crearne altri più in linea con i mega-trends. Nel filmato pubblicitario della Nuova 500 di allora si vede un papà che va a prendere al reparto maternità la moglie e il neonato con la 500; è l’idea della 500 vissuta in una sfera familiare come vettura pratica, ancora con le sue porte ad apertura a vento. È una cosa molto particolare, legata alla positività e alla personalizzazione che si può fare di qualsiasi oggetto, così come per la moka con la sezione supe-riore in ceramica.Il design della 500 sfidava con grande coraggio le mode e la tendenza a creare degli abbellimenti, so-prattutto nel frontale della vettura, per far sembrare che il motore fosse lì. Invece, rispetto alla 600 che la precedette, sulla 500 si ebbe una riduzione di elementi decorativi nel frontale. Il motore è raffreddato ad aria e l’approccio essenziale al disegno di esterni e interni portò a eliminare quelle parvenze di motore collocato davanti che la 600 un po’ aveva, per via dei tripli baffi o di una mascherina un po’ più grande.L’idea della 500 trae origine da principi industriali, di non spreco, in contrasto con ciò che accade nella società contemporanea, anche se ci stiamo avvici-nando alla consapevolezza che occorra recuperare i materiali, riciclarli. La 500 attuale, concepita con criteri di riduzione e di essenzialità, ha qualcosa a che fare con l’idea travolgente di Giacosa di fare una vettura che visibilmente non spreca materiali, addi-rittura usa gli sfridi delle lavorazioni per rinforzare le sue fiancate. Anche la comunicazione adottata allora per far conoscere la Nuova 500 era vivida, semplice, usava già in maniera molto moderna le scene della vita per promuovere il prodotto. Rimane l’icona di una tendenza che forse oggi si sta manifestando, ov-vero comprare oggetti che si sa come sono costruiti, di cui si conoscono le istruzioni e in qualche modo il progetto. Questa idea moderna di 500 l’avevamo ben presente nel 2001, quando fondammo l’Advan-ced Design, un dipartimento separato dal Centro Stile, che era abituato ad intervenire sui modelli nuo-vi nel ciclo classico dei sei anni. Nell’Advanced De-sign ci dedicammo a riflettere su quali fossero i geni o il DNA veri della Fiat, nel momento in cui ci si accingeva a rimettere al mondo una vettura picco-la. La sua lunghezza non avrebbe dovuto superare i tre metri e tre, ci piaceva questa numerazione un po’ da numeri di Fibonacci, che richiamava anche il pi greco, un numero giusto. Creammo così un no-stro linguaggio, ben prima del 2007, quando la 500 fu lanciata. Si era nel 2001, costituimmo un gruppo di stagisti, di giovani progettisti, non tutti designer, anche laureati in Scienza della Comunicazione, ar-chitetti, esperti di materiali. Eravamo una quindicina, avevamo l’idea di occuparci della Fiat anche come rilancio del suo linguaggio; furono macinate mol-te informazioni, analizzammo anche la 8V, piccolo

abitacolo, grande motore, o la 600, grande abitacolo piccolo motore, non faceva differenza occuparci di un linguaggio che ancora oggi a me piace rappresen-tare in maniera atemporale. Alcune vetture Fiat sono celebri per il loro archetipo innovativo, come la Uno, la 127, la 600 Multipla, che era un derivato della 600, in realtà fu la prima monovolume. In un’azienda che ha una lunga storia, come la Fiat, si può ricostruire come un modello prenda spunto da uno precedente, come si trattasse dell’albero genealogico di una fami-glia; anche se non tutte le vetture sono in produzione oggi, è come se coesistessero, in una percezione di che cos’è la Fiat.Di questo ci siamo occupati proprio agli inizi del nuovo secolo, dicendo e spiegando al nostro mana-gement – che intanto cambiava velocemente in vari passaggi di una crisi che all’epoca era tutta nostra – che l’Italian design significa cura di come si produce, dettaglio nelle abilità artigianali, ma anche innovazio-ne spregiudicata sui materiali. I progettisti industriali italiani hanno creato oggetti d’uso come la macchi-na da scrivere Valentine dell’Olivetti, disegnata da Sottsass e King, il televisore Algol di Brionvega, di-segnato da Zanuso e Sapper, la Olivetti Divisumma, di Bellini, poi una calcolatrice impermeabile (a cosa serve? – guardate cosa c’è sotto i tasti delle vostre tastiere e poi ne riparliamo), la radio Cubo, anch’es-sa di Zanuso e Sapper per Brionvega, ancora oggi in produzione: sono icone che non tramontano perché, come dire, funzionano. Da quel nostro osservatorio, volendo creare una piccola macchina per gente che ha tante cose a cui pensare, e mirando anche a sem-plificare il nostro approccio mentale a quel tema, è nata forse una delle idee più calibrate, meglio assesta-te della mia squadra, che è andata oltre la semplice, ennesima riproduzione di un oggetto. Perché serve a poco fare cose moderne come fossero un’allegoria di un futuro che non ci sarà mai, come i razzi spa-ziali o le macchine volanti che disegnavo da ragazzi-no, già immaginando di fare il disegnatore di auto. E neppure funziona il retrò bieco, come ridisegnare la maschera di Google con la grafica delle bollette dei ragionieri degli anni Venti.La 500 nacque in una forma un po’ in sordina di con-cept-car, come show car, fuori dai nostri dipartimenti, impiegando anche fornitori assai interessati a capire le nuove dotazioni telematiche, i nuovi touch control, evitando di mettere tanti interruttori o manopole. La Trepiùno, che nessuno si aspettava di trovare al Sa-lone di Ginevra del 2004, fece breccia perché, sen-za pilotare testate giornalistiche - addirittura fino al giorno prima non eravamo sicuri di portarla - fu un successo immediato. Il magazine che stampa il tabloid del Salone di Ginevra l’aveva in copertina con il titolo “Bentornata 500!” quando il nome di questa vettura era Trepiùno; anche noi ce l’avevamo messa tutta per

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confondere le idee, non volevamo assolutamente osa-re dire che sarebbe nata una nuova 500.Le riviste del settore, come “Top Gear”, “Auto Motor und Sport”, “Auto Zeitung”, le francesi, le tedesche, le olandesi, tutte misero la 500 addirittura davanti a molte supercar italiane, e “Top Gear” ne diede già un’interpretazione. Su questo abbiamo lavorato mol-to, come su un’icona sempreverde, quindi longeva, che supera in fama e importanza vetture come le Fer-rari, Lamborghini, Maserati, Alfa Romeo: insomma, un’idea di vettura “instant-classic”. Allora nacque tra di noi la grande proiezione della Trepiùno, per farla diventare un prodotto, e qui sì che guardammo con at-tenzione gli usi, i consumi, la progettazione di una 500 moderna, in quel decalogo di parti, di interpretazioni, di stili estetici, nei limiti del progetto di ingegneria, ov-vero del package migliore che avevamo, un telaio che poi generò la nuova serie delle Panda e delle vetture di segmento A del Gruppo. Una buonissima abitabilità per i passeggeri anteriori, una discreta per quelli po-steriori, tanto che ci fu detto anche in America che era una dote inaspettata della 500, quando la provarono. Una capacità quindi di pensare in questo progetto e posso immaginare che anche l’ingegner Giacosa – che conobbi nel 1990 quando venne al Centro Stile a ve-dere in azione i computer che facevano i rendering in tempo reale delle matematiche – sarebbe stato emo-tivamente coinvolto da quello che stava succedendo ai tavoli da disegno del Gruppo Fiat tra la Trepiùno e la 500.La Nuova 500 del 1957 all’inizio faticò a imporsi sul mercato perché i clienti erano rimasti un po’ scon-certati dalle sue prestazioni modeste, ma Fiat rea-gì rapidamente affidando a Carlo Abarth una prima commessa importante per farla andare più forte, per renderla più efficiente. Ho parlato delle versioni beta dei software, ecco è come se la 500 fosse stata una be-ta-release e poi con Carlo Abarth e alcuni affinamenti dell’azienda fosse diventata una vettura più concreta, più consistente; peraltro, il prossimo anno si celebra l’anniversario dei record che questa vetturetta stabilì a Monza. Il mio tributo alla 500 di allora consiste nell’e-saltarne la genialità, la sopravvivenza, i suoi concetti importanti, l’essere a suo modo stata la “madrina” di un nuovo modo di intendere le auto al di fuori delle convenzioni.Per l’attuale 500 fu difficile convincere il management a fare delle portiere con doppia guarnizione, a sezio-ne ibrida, che aveva lo scopo di rendere l’interno più silenzioso, più anecoico per l’equipaggio. È stato uno sforzo enorme, ma poi fu accettato, così come fu ac-cettata anche una forma elementare, ma ben definita, con stampaggi accurati. Ancora mi chiedo quanto fu importante il contributo dei potenziali clienti, coin-volti in una delle prime iniziative telematiche, che diceva “500 wants you” come dice lo Zio Sam nelle

campagne americane, ahimè militari. Invece qui “500 wants you” era una parafrasi per dire “stiamo facendo la 500, ci abbiamo messo tre anni dal 2004 al 2007, dateci una mano a capire come la vorreste e che idee vorreste a bordo per renderla assolutamente la 500 di tutti”. Fu un successo enorme, arrivarono milioni di proposte, ne furono usate centinaia di migliaia e parliamo di 280.000 suggerimenti, disegni, idee, video, animazioni, che i surfisti dell’internet ci mandavano nel 2005, 2006, cioè in un’epoca in cui la diffusione di internet con i dispositivi palmari era ben inferiore a oggi.Quando la vettura è stata presentata, ce la siamo “sen-tita sulla pelle”, certo come vettura dell’azienda, ma addirittura come qualcosa di appartenente a tutta la schiera di persone che avevano partecipato a crearla. Poi ci fu il raduno di Garlenda, nel 2007, una delle feste più belle, più ricche di vita che io ricordi.Per me l’icona della 500 attuale è il suo master model, un oggetto all’apparenza opaco, ma che certifica lo style-freeze, cioè la forma definitiva delle superfici; è il risultato non del solo Centro Stile, ma di tutti coloro che hanno partecipato al progetto e hanno concluso l’analisi di fattibilità. Quando la 500 entrò nel mercato ci chiedevamo con trepidazione se sarebbe stata vera-mente un successo. Lo fu con una pioggia di premi, come il “Car of the Year” che è stato veramente la grande scommessa, ma abbiamo avuto anche quello della migliore scocca. Il premio EuroCarBody vinto dalla 500 fu una grande onorificenza e l’altra bella performance è stata l’assegnazione delle cinque stel-le dell’Euro-NCAP (European New Car Assessment Program). L’importanza della nostra 500 è stata di-mostrata anche dalla sua capacità di influenzare altri progetti. Voglio sottolineare che la 500 come la nuova Panda sono frutto di un entusiasmo che si è mani-festato nel marchio Fiat per creare vetture vicino al gusto e alla percezione delle persone. Spesso le idee sono nate da piccoli sketch, ambientando le vetture in diversi contesti, immaginando le persone che entrava-no a bordo o ne stavano fuori, per creare le propor-zioni del veicolo. In questo modo abbiamo conferito alla 500 la capacità di essere una vettura personale e personalizzabile, ma anche di essere la vettura di tutti, al passo con i tempi, compatibile, che non ti fa vergo-gnare di fronte ai problemi della mobilità, del traffico, delle emissioni. Quindi, inclusiva ed esclusiva. Diceva-mo all’epoca che ci sarebbe piaciuto definire – anche perché i miei collaboratori erano dei ventenni – un SuperMario tridimensionale, come se SuperMario a piccoli pixel fosse stata la 500 di Giacosa e quindi l’idea di renderla più brillante, più tridimensionale è stata uno degli input importanti del team di svilup-po. All’epoca non c’erano ancora tanti oggetti-culto, ma nel 2003-2004 già vedevamo il ritorno di oggetti che erano scomparsi, come la scarpa Allstar Converse.

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Allora avemmo l’idea di rendere la 500 una parafrasi giusta della 500 originaria in termini di materiali, di specifiche tecnologiche e di nuovi trend; è poi nata la famiglia completa, devo dire il bello della famiglia 500 è che non sono fatte esattamente con uno stam-po unico, quindi 500 è un modo di usare, di vivere i prodotti.Sono molto soddisfatto della famiglia attuale, che com-prende anche la Cabrio, però i tre archetipi sono la 500, la L e la X, con L e X che traspongono il concetto di 500 in altri mondi. Qui è importante capirne lo spirito, non il fatto di rivedere lo stesso fanale o la stessa linea laterale dei vetri. La 500 X è un’evoluzione della 500, che si colloca tra i piccoli SUV; nella 500 X tutto è al suo posto e soprattutto la gente ne apprezza le pro-porzioni, così come lo è stato per la vettura base, così come lo è stato per gli americani con la 500 costruita in Messico, che è distribuita in tutto il Nordamerica e in Cina. Se consideriamo le proporzioni, sarebbe interes-sante confrontare quelle dei veicoli del 1957 e di oggi; ci renderemmo conto che le dimensioni della 500 attuale

sono estremamente corrette per una vettura adatta a spostarsi non solo in città. Abbiamo fatto grandi espe-rienze progettuali con i marchi Diesel, Gucci e ora con la società di yacht Riva; abbiamo insomma disegnato la 500 insieme ad altri attori, stando così al passo con i tempi. Il designer Ron Arad usa sulla sua 500 a Londra uno sticker che riproduce la 500 del 1957, per far capire che quella nuova è più grande, ma rimane sempre la vettura più piccola che gira a Londra. È un modo per riconoscere il fatto che la Nuova 500 è stata allora un grande esempio di riduzione dimensionale, con un sen-so, e che la 500 moderna, pur non essendo una vettura scarna, né semplice o disadorna, rappresenta ancora quell’idea di semplicità che molti apprezzano e che ci permette di fare paragoni con il passato e di usare un’i-conografia che rimane viva nel tempo. Sono veramente felice di essere non tanto un progettista della 500 di oggi, ma un traghettatore verso altri sviluppi che questa vettura si meriterà in futuro, anche grazie alla compe-tenza e ai suggerimenti di coloro che la possiedono e la apprezzano.

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delle complicate trasmissioni allora disponibili.Alle stesse conclusioni sulla superiorità del motore posteriore erano anche giunti i maggiori costruttori di utilitarie, la Volkswagen e la Renault, e altri di minore importanza.Rimaneva ancora da scegliere il motore; coesisteva-no, infatti, due possibilità: il motore 100E1 a quattro cilindri raffreddati ad acqua, e 100E2, a due cilindri raffreddati ad aria, che si potrebbe ritenere all’origine di alcuni concetti motoristici applicati con successo alla Nuova 500.Tuttavia, a differenza del suo discendente, i cilindri erano disposti con un angolo d’inclinazione di circa 150°, per creare una camera di combustione più rac-colta di quanto era possibile in un motore tradizionale a valvole laterali; queste erano inclinate lateralmente, mosse da bilancieri di dimensioni importanti.Anche in questo caso prevalse la politica aziendale; per la 600, come già per la Topolino, la Fiat, probabil-mente ancora influenzata dai risultati delle sue prime automobili, non accettò niente di meno di quattro ci-lindri, ritenendo che due non offrissero un sufficiente confort.Parallelamente al 100 fu lanciato il progetto 110, per un’automobile ancora più piccola ed economica, in-dirizzata a trasformare in futuri clienti Fiat anche gli allora numerosi proprietari di scooter e motociclette. Un incoraggiamento a tentare questa strada veniva dalla Germania, in cui la lenta ripresa postbellica era stata accompagnata dall’offerta di molte vetture mini-me, con meccanica e carrozzeria ridotte all’essenziale, intermedie nell’uso fra le motociclette e le automobili. Non a caso, quindi, la prima proposta per la Nuova 500 venne proprio dalla Deutsche FIAT di Heilbronn, che aveva assunto, in quegli anni, il ruolo di centro di ricerca e di addestramento per i tecnici della FIAT che

La crescita del tasso di motorizzazione in Italia fra il 1955 e il 1971, quasi decuplicato da 2,4 a

22,7 automobili per cento abitanti, fu ottenuta gra-zie alle utilitarie a motore posteriore costruite dalla FIAT. Esse furono la 600 (progetto 1001), la Nuova 500 (progetto 110) e l’850 (progetto 100G), costruite in questo periodo in circa 8.000.000 di esemplari, o 10.000.000, se si comprende anche la 126.Il progetto 100 fu lanciato nel 1946; l’obiettivo era di sviluppare una valida sostituzione della 500 (Topoli-no), con abitabilità per quattro adulti, prestazioni mi-gliorate e prezzo inferiore.L’ingegner Giacosa aveva ben compreso che, per battere la Topolino nei suoi punti forti, non era suf-ficiente una sua versione evoluta e migliorata; per-tanto decise, per non lasciare nulla d’intentato, di av-viare lo studio e la realizzazione di due prototipi: la 100, una vettura con motore posteriore e la 102, con trazione anteriore.Nel corso del 1952, la 102 fu accantonata dai vertici aziendali, ancora in conseguenza del principio d’in-cendio cui fu esposto il Senatore Agnelli, ai tempi dello sviluppo della Topolino. L’incendio si verificò provando l’avanzatissimo prototipo dell’ingegner Lar-done, proposto con motori raffreddati ad aria, a due cilindri boxer o tre stellari.È opinione di chi scrive che con un po’ più di pa-zienza si sarebbe potuto ottenere un’automobile molto competitiva con prestazioni superiori a quelle della Topolino e non raggiunte da nessun’altra vet-tura della stessa categoria, per peso, prestazioni e abitabilità. L’episodio romanzato dell’incendio, non certo causato dal tipo di trazione, forse nascondeva la riluttanza dell’azienda nell’affrontare nuovi e in-genti investimenti e poteva essere stato influenzato dall’indiscussa minor affidabilità e dal maggior costo

Particolarità tecniche e genesi della Nuova 500

Lorenzo Morello

1. In quegli anni la Fiat introdusse una numerazione dei modelli da 100; il primo a seguire il nuovo sistema fu quello noto come 600; lo stesso numero fu attribuito alla vettura e al motore (prima si usava numerare da 500 la vettura e da 100 il motore). Nel corso dello sviluppo, si aggiungeva al numero la lettera E (esperienza), seguita da una cifra per distinguere le diverse varianti. Nei disegni della soluzione scelta per la produzione, era in seguito eliminata quest’in-formazione.

Lorenzo Morello, ingegnere, ha lavorato alla Fiat, dal 1970 al 2000. Al Centro Ricerche ha sviluppato propulsori ibridi, trasmissioni auto-matiche a controllo elettronico e il primo motore diesel a iniezione diretta per uso automobilistico. Nel 1987 è diventato direttore dell’Ingegneria motopropulsori Fiat Auto e sotto la sua guida è iniziata la produzione di nuovi motori fra cui una famiglia modulare con più di venti varianti. In seguito, è stato Docente alla Facoltà di Ingegneria dell’Autoveicolo presso il Politecnico di Torino. È autore di alcuni volumi, tra cui “FIAT: Storie d’innovazione tecnologica nelle automobili”.

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mozzi in alluminio e sedile posteriore imbottito; agli acquirenti del primo modello fu rimborsata la diffe-renza di prezzo di 25.000 Lit. Il motore 110 può essere pensato come derivato in parte dal 100, che ispirò lo schema della camera di combustione, l’asse a camme nel basamento e il collet-tore di aspirazione integrato nella testa, e dal 110E6, da cui provennero il sistema di raffreddamento ad aria e la scomposizione del basamento in due parti, una in alluminio pressofuso, per contenere l’albero a gomiti, ed una in ghisa perlitica, più resistente all’usura, per contenere le canne. Le due manovelle ruotavano in fase, come nella 3 ½ HP, per ottenere regolarità nella successione degli scoppi; per contro, le vibrazioni presentavano qual-che problema come nell’antenata, a causa del consi-stente squilibrio causato da bielle e pistoni. Solo per la soluzione a motore longitudinale si seppe risolvere efficacemente il problema, con l’applicazione di una sospensione elastica a molla, una specie di quadrila-tero articolato.Un dettaglio interessante è presentato dal filtro dell’o-lio centrifugo, integrato con la puleggia di coman-do del ventilatore, che dovette essere sviluppato per sostituire il filtro di carta, a causa del ridotto spazio disponibile. Questo nuovo elemento fu anche esteso, per la sua efficacia ed economicità, a vetture di mag-giori dimensioni.Il riscaldamento interno, ritenuto ormai irrinunciabile anche in un’utilitaria minima, presentava un problema da risolvere; in mancanza di acqua calda, fu realizzato con l’aria di raffreddamento del motore. Tuttavia, per evitare ogni possibile dispersione nell’abitacolo di gas combusti trafilati dalla guarnizione della testa, furono disposti su quest’ultima canali circolari, con la funzio-ne di scaricare tali gas all’esterno, senza contaminare l’aria di raffreddamento.L’autotelaio della Nuova 500 si ispirava a quello della 600 adottando molte parti della stessa, particolarmen-te per le sospensioni.Come nella 600, il cambio a quattro rapporti, dispo-sto verso l’abitacolo, aveva ruote dentate in cascata, con l’albero condotto inferiore che moveva diretta-mente la coppia conica della riduzione finale. I mozzi dei satelliti integravano gli alloggiamenti dei giunti per l’azionamento dei semiassi. A differenza della 600, il cambio era privo di sincronizzatori, in questo caso so-stituiti con innesti a denti (con imbocco facilitato, che rendeva più facile, ma sempre consigliabile, l’esecu-zione della manovra a doppio disinnesto nelle scalate di marcia.La sospensione anteriore era a quadrilateri articola-ti; per ridurre il peso e per un facile montaggio sulla scocca portante, i bracci superiori della sospensio-ne erano integrati con un’unica balestra trasversale; i punti di appoggio della balestra erano opportuna-

dimostravano il maggior potenziale di crescita profes-sionale. Un collaboratore, l’ingegner Bauhof, aveva ottenuto le risorse per sviluppare un prototipo di mi-nivettura con motore bicilindrico a due tempi.Dopo la sua realizzazione, fu portato a Torino per es-sere valutato. A conclusione delle prove, si decise di scartare il motore a due tempi, ritenuto non conforme ai canoni della Fiat in termini di confort, silenziosità e consumo; fu invece valutata positivamente la soluzio-ne di carrozzeria presentata ed il layout degli organi meccanici, dai quali trasse ispirazione la futura Nuova 500.In considerazione delle oggettive difficoltà nel con-cepire una meccanica più economica di quella della 600, furono sviluppati ben sei prototipi alternativi di vettura; per il solo motore, furono considerate la configurazione a cilindri contrapposti, come quelli del prototipo 100E2, e in linea, entrambe in due varianti, a valvole laterali e in testa, con disposizione longitu-dinale e trasversale: in tutto, quindi, otto diversi mo-topropulsori. Unici elementi comuni a questa famiglia di prototipi erano i due cilindri e il raffreddamento ad aria, considerati essenziali per raggiungere gli obiettivi di costo.Furono disegnati anche altri motori motore, come il 110E6 a cilindri contrapposti e valvole in testa. Il grande ingombro delineato dietro il motore contene-va il sistema di raffreddamento ad aria; un importante problema, la cui soluzione risultò di difficile indivi-duazione, fu la riduzione della potenza assorbita e del rumore del ventilatore.La Nuova 500 fu lanciata nel 1957, dopo l’ottimiz-zazione finale del prototipo 110E3 per la vettura e 110E5 per il motore. L’aspetto ricordava una 600 in miniatura, tuttavia ancora con abitabilità sufficiente a quattro persone con un po’ di spirito d’adattamento. La Fiat fece di tutto per non rendere evidente que-sta caratteristica positiva, allo scopo di non catturare i clienti orientati all’acquisto di una 600.L’ingegner Giacosa dovette accettare di eliminare le im-bottiture sul pavimento posteriore rialzato per non tra-sformarlo in un sedile e d’impiegare vetri anteriori apri-bili solamente per mezzo di un deflettore, per rendere ancora più inospitale la zona posteriore. Rifiutò, invece, con fermezza di adottare una forma di carrozzeria a tetto sfuggente, pensata con il solo scopo di ridurre l’altezza disponibile sulla panchetta posteriore. Quest’a-zione di svilimento comprese anche l’eliminazione di molti elementi decorativi allora graditi al pubblico.La prima Nuova 500 fu posta in vendita a 490.000 Lit, circa il 20% in meno della 600.La tiepida accoglienza fatta al nuovo modello, convin-se a sostituirlo, pochi mesi dopo il lancio, con due di-verse versioni: l’Economica, identica alla prima Nuova 500, a un prezzo ridotto a 465.000 Lit, e la Normale, a 490.000 Lit, equipaggiata con vetri discendenti, copri-

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Per ridurre gli sfridi, le forme di queste parti furono studiate in modo che la lamiera tranciata per creare il vano porta sull’intelaiatura della fiancata, invece di essere riconsegnata alle acciaierie con gli sfridi, po-tesse essere utilizzata come rivestimento della porta e quella tranciata dal rivestimento della fiancata in corrispondenza della porta, per costruirne l’intela-iatura.È doveroso ricordare che sulla base della Nuova 500 furono realizzati modelli derivati; il più rilevante di questi, da un punto di vista tecnico, fu la Giardiniera (progetto 120), una piccola station wagon a due porte.La parte posteriore della carrozzeria, completamente rifatta con l’aggiunta di un portellone a cerniere late-rali, offriva un più comodo alloggiamento ai passeg-geri e un bagagliaio di dimensioni ragionevoli; il ribal-tamento degli schienali posteriori permetteva, inoltre, di ottenere un vano di carico a fondo piano, esteso dal portellone agli schienali dei sedili anteriori. Per ottenere questo risultato, il motore 120 variava dal 110 per avere i cilindri collocati in posizione orizzon-tale e uno specifico e meno ingombrante sistema di raffreddamento.

mente distanziati, per ottenere un effetto stabilizzante senza barra antirollio.La sospensione posteriore aveva bracci oscillan-ti ad asse obliquo, passante per il centro dei giunti; quest’accorgimento rendeva minima la variazione di lunghezza dei semiassi, causata dallo scuotimento del-la sospensione.La carrozzeria ricalcava quella della 600 soltanto nella forma, presentando invece soluzioni innovative per il contenimento del peso, rese fattibili dalle minori di-mensioni. La funzione dei longheroni era svolta dai soli brancardi; la resistenza delle parti di estremità era ottenuta collegando semplicemente senza rinforzi il parafiamma e lo schienale posteriore ai rispettivi vani passaruota anteriori e posteriori. Il numero di elemen-ti stampati era conseguentemente ridotto e spesso semplificato nella forma.Sia fiancate che porte erano entrambe ottenute con due soli elementi stampati sovrapposti, il rivestimento esterno e l’intelaiatura, ciascuno in un solo pezzo, come illustrato nel disegno di Romolo Vercelli riportato in fig. 8, usato dall’ingegner Giacosa per convincere la di-rezione Fiat dell’economicità della Nuova 500.

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Come già per la Topolino, non è probabilmente esistito in Italia neppure un meccanico che non

abbia, almeno una volta, provato a mettere le mani su una 500 per farla andare un po’ più veloce o per renderla un po’ più bella. Tutto ciò si configura, però, essenzialmente come un variopinto universo di arti-gianato da cui i nomi più illustri si sono spesso tenuti abbastanza lontani. Soprattutto per quanto riguarda i carrozzieri, infatti, la 500 era troppo economica per “sopportare” delle trasformazioni eccessivamente co-stose e, dal punto di vista estetico, le sue modeste di-mensioni non furono certo d’aiuto nel realizzare linee molto riuscite. Al contrario, si è assistito ad un fiorire di trasformazioni modeste, eppur interessantissime come specchio di un’epoca, in cui tutto era lecito pur di distinguere la propria vettura dalla moltitudine pro-dotta in serie.E’ un universo estremamente eterogeneo e variegato, ricco di aneddoti e sfumature, cui in passato ho dedi-cato un intero libro (“Fiat 500 fuoriserie”, pubblicato nel 2002 e poi aggiornato nel 2010).

Il Salone del 1957Questo fenomeno ha, tuttavia, un’origine ben precisa: il Salone dell’Automobile di Torino del 1957.La 500 – può stupire, ma è un dato di fatto – ini-zialmente fu un flop commerciale. Troppo spartana, scomoda e troppo poco economica rispetto alla 600 a 4 posti, non fece certo innamorare gli italiani al pri-mo sguardo. La Fiat dovette correre ai ripari per au-mentarne molto rapidamente la popolarità, lavorando sulla vettura stessa (con la versione “Normale”, più ri-finita), sui prezzi, ma anche sull’immagine. E in quegli anni non c’era nulla di meglio dei carrozzieri quando si parlava di immagine di un modello.Ecco dunque che, con una strategia decisamente inu-suale e innovativa per quei tempi, la Fiat invitò i do-dici maggiori nomi del settore a proporre per il Salo-ne dell’Automobile di Torino del 1957, che si tenne a ottobre, tre mesi dopo il lancio della 500, una loro interpretazione sul tema.Fra le dodici proposte si distinguono chiaramente due

filoni abbastanza omogenei: uno più tradizionale, del-la fuoriserie di ispirazione se non proprio da sportiva, almeno da granturismo, e uno decisamente più origi-nale e legato ad una moda del momento, quella delle vetture da mare.Pininfarina, Moretti, Viotti, Siata e Vignale seguiro-no l’approccio convenzionale, realizzando tre coupé e due cabriolet quanto più possibile aggraziate, pur con la difficoltà di un passo molto corto. Solo il primo ci riuscì piuttosto bene, mentre le proposte degli altri carrozzieri, peraltro tutte disegnate da Giovanni Mi-chelotti, non furono all’altezza della tradizione né del-lo stilista né di chi le costruì. Ancora peggio furono le coupé di Sebastiano Canta e della Carrozzeria Monte-rosa di Giorgio Sargiotto, piuttosto goffe e sbilanciate.Felice Mario Boano, Francis Lombardi e la Ghia si de-dicarono, invece, alle vetture da mare, i primi due con la 500 Spiaggia e la Costa Azzurra, entrambe piccole cabriolet senza portiere, e l’altro con l’adattamento sul-la 500 della sua ormai celebre Jolly. Anche Pietro Frua ebbe suggestioni marine, con una piccola spider che sembrava un motoscafo, presentata con il proprio mar-chio, ma anche con la cabriolet disegnata per Savio.

Le fuoriserie convenzionaliLa rassegna del Salone di Torino del 1957 dimostrò in modo abbastanza evidente che lo châssis della 500 non era adatto all’allestimento di fuoriserie di tipo convenzionale. Al di là degli aspetti legati a dimensio-ni e proporzioni, c’era anche il fatto che da un mero punto di vista commerciale non aveva senso lavora-re sulla 500 a fronte di una differenza di costo tanto esigua rispetto alla 600, certamente più appetibile per la clientela. Questo spiega come mai i carrozzieri che hanno proposto, nel corso degli anni, delle piccole coupé o cabriolet siano stati pochissimi. L’unico ad avere una certa costanza è stato Giovanni Moretti, che dopo la versione del 1957 ne ha realiz-zate altre due, nel 1961 e 1964 (le prime disegnate da Michelotti, l’ultima da Dany Brawand, anche se pro-babilmente lo stilista svizzero aveva già lavorato sulla seconda versione, quando collaborava con Michelot-ti), tutte prodotte in un numero esiguo ma comunque non trascurabile di esemplari. Vignale accompagnò alla Cabriolet “Mickey Mouse” esposta al Salone la versione coupé “Minnie”, ma ri-nunciò quasi subito. La più riuscita esteticamente fu la

Le 500 fuoriserieAlessandro Sannia

Alessandro Sannia, appassionato e studioso di storia dell’automobile, è autore di numerosi libri, dedicati soprattutto alle Fiat e alle loro derivate.

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Le 500 da lavoroIl motore posteriore fu inizialmente un grande limi-te all’impiego della 500 per usi professionali. Questo spiega il perché in un’epoca in cui ancora le giardi-nette godevano di una certa popolarità, quasi nessuno modificò la 500 in questo modo. Gli unici due a pro-varci, già nel 1957, furono Francis Lombardi e Gio-vanni Moretti. Il primo comprese ben presto che la sua “Utility”, pur con i vetri posteriori apribili dall’e-sterno per agevolare l’accesso al piano di carico, era sostanzialmente inutile perché lo spazio a disposizio-ne era minimo e il costo della modifica ne portava il prezzo troppo vicino a quello della 600 Multipla. Il secondo, caparbio come suo solito, non si arrese e cercò una soluzione a tutti i costi, arrivando a spostare il motore anteriormente, girandolo di 180 gradi, sosti-tuendo il cambio e facendo diventare la 500 a trazione anteriore. Fu un’operazione costosissima, sviluppata lungo diverse varianti di carrozzeria ed evoluzioni del-la meccanica, che finì impietosamente col naufragare tre anni dopo, quando la Fiat realizzò la sua 500 Giar-diniera col motore posteriore “a sogliola” e la mise in vendita a prezzi decisamente inferiori. Ebbe un successo leggermente migliore il camioncino realizzato a metà anni Sessanta da Giannini partendo proprio dalla Giardiniera.

“Spiaggine”, buggy e fuoristradaPer le sue doti di funzionalità e di simpatia, la 500 ebbe un buon successo nel fiorente mercato delle “spiaggi-ne”. Ogni hotel di lusso di una località marina, nel-la seconda metà degli anni Cinquanta, doveva poter accompagnare i propri clienti importanti con vetture aperte, allestite appositamente. Era una tipologia di veicoli inventata dalla Ghia e poi largamente copia-ta, con ampie variazioni sul tema, anche da molti altri carrozzieri. La base di gran lunga più diffusa è stata la Fiat 600, normale o Multipla, a seconda dei posti necessari, ma anche la 500 ebbe un ruolo importante. I modelli più celebri sono proprio le Jolly di Ghia, esportate in tutto il mondo e costruite fino alla metà degli anni Sessanta, ma godette di una certa popolarità anche la Elegance di Savio, che poi era la vettura rea-lizzata da Boano per il Salone del 1957, che gli aveva ceduto il progetto quando aveva chiuso la carrozzeria per andare a dirigere il neonato Centro Stile Fiat. Lo stesso si può dire per la Decathlon della Carrozze-ria Sibona-Basano, un progetto più recente, del 1963, particolare anche perché la scocca era costruita in ve-troresina, un sistema per quei tempi innovativo, di cui loro erano degli specialisti.Con la fine degli anni Sessanta la moda delle vetture da spiaggia andò via via scomparendo, lasciando il posto a quella, di importazione americana, delle du-ne-buggy, il più delle volte con carrozzeria in vetro-resina. Tuttavia, la base usata quasi universalmente

“Coccinella” realizzata anni dopo, nel 1964, da Fran-cis Lombardi, ma anch’essa non ebbe alcun riscontro commerciale e la produzione si limitò a poche unità.

Le “elaborate”Funzionò molto meglio con le “elaborate”, cioè vet-ture con carrozzeria strettamente di serie che veniva-no arricchite di dettagli vistosi, come cornici croma-te, griglie anteriori (e poco importava se davanti non c’era nessun motore da raffreddare), vernici speciali e interni più ricercati. Il prezzo, solitamente, si in-crementava di poco, attorno al 10-20%, ma la cosa più importante, oltre al distinguersi dalla moltitudine di vicini di casa che possedevano tutti un’automobi-le identica e quasi sempre di colore bianco, era che i carrozzieri avevano sempre delle auto in pronta con-segna, mentre a quei tempi l’attesa per riceverne una nuova dalla Fiat poteva arrivare anche a sei mesi. E in un’Italia letteralmente affamata di automobili que-sto era un ulteriore elemento in grado di giustificare il prezzo leggermente maggiore.Certamente non si trattava di lavorazioni particolar-mente gratificanti o impegnative, ma per i carrozzieri era un’eccellente fonte di guadagno. Addirittura, nel vivace contesto piemontese si sviluppò una rete di subfornitura a supporto dei carrozzieri più illustri, che si limitavano a fornire il proprio marchio e la propria clientela, ma non realizzavano direttamente le vettu-re, subappaltandole a piccole aziende specializzate. Questo è un aspetto del fenomeno che nel tempo era andato dimenticato, ma ricerche approfondite hanno dimostrato come, in un mercato in rapidissima cresci-ta, molti carrozzieri illustri – Vignale o Bertone, per fare due esempi – avessero alla fine degli anni Cin-quanta difficoltà persino a soddisfare tutti i clienti che commissionavano loro esemplari unici di lusso. Impensabile che distogliessero forza lavoro per mo-dificare delle umili 500 e 600, che pure vendevano, e con ottimi profitti. In realtà, questo tipo di attività veniva svolta per conto loro da specialisti sconosciuti al grande pubblico, come Salvatore Amandonico o la Carel (Carrozzerie Elaborate) di Domenico Filipponi, per citare due delle aziende torinesi più importanti, e tuttavia oggi pressoché sconosciute.Per quanto riguarda la 500, i maggiori produttori di elaborate furono Moretti e Scioneri. Entrambi aveva-no un’ampia gamma di prodotti di questo tipo, che andava dalla 500 alla 1100 e, occasionalmente, com-prese anche modelli Lancia e Alfa Romeo. Entrambi sfruttarono appieno questo filone, dedicandocisi con convinzione dalla metà degli anni Cinquanta fino alla loro chiusura, alla fine degli anni Ottanta. La più fa-mosa delle 500 elaborate, tuttavia, è probabilmente la “My Car” di Francis Lombardi, che con un leggero restyling del frontale ed il tetto interamente in lamiera incontrò particolarmente i gusti del pubblico.

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per queste vetture per il tempo libero era la Volkswa-gen Maggiolino. Avendo un telaio separato, era la più semplice da impiegare, mentre la 500, per quanto economica e diffusissima, richiedeva una certa capa-cità nella rimozione della carrozzeria e nel rinforzo dell’autotelaio. Ciò nonostante, uno dei pionieri di questo tipo di vetture in Italia, la Auto Mirage di Bo-logna, realizzò la Pick Wick, adatta ad essere allestita su base Fiat 500 o 126. Altri effimeri tentativi furono realizzati da OTAS e Giannini, ma non superarono lo stadio di prototipo. Fu, invece, realizzata una pic-cola serie della Betty e della Tilly, due varianti sul medesimo tema proposte nei primi anni Settanta dal ligure Nino Baldi, che sfruttava alternativamente au-totelai Fiat ricavati da 500 usate o châssis tubolari di propria costruzione.Molto più diffuse furono le “fuoristrada leggere”, che ben rispondevano ai gusti della clientela più giovane, che non si riconosceva più nel concetto di automo-bile come status-symbol ma, al contrario, privilegia-va valori diversi, come la riscoperta della natura. Per soddisfare chi aveva questa visione più alternativa e anticonvenzionale ci volevano vetture spartane e sba-razzine, pratiche e non troppo costose. La capostipite fu la Jungla della Carrozzeria Savio, su base Fiat 600, ma qualche carrozziere provò a realizzare modelli più piccoli, sulla 500. Il tema della torpedo essenziale fu riproposto dallo stesso Savio con la 500 Albarella del 1967, che però non fu prodotta in serie, dalla piccola carrozzeria CAP di Riva del Garda con lo Scoiattolo, che al contrario ebbe un ottimo successo, e ancor più da Moretti, con la Minimaxi.Alcuni si spinsero oltre, realizzando delle vere e proprie piccole fuoristrada, come la Ferves Ranger e la FART Breack (sic!), che della 500 impiegavano solo il motore. Il massimo sviluppo tecnico ci fu alla fine degli anni Sessanta con modelli 4x4, come il Ranger 4x4 ed il Su-per Scoiattolo, e addirittura 6x4, come la Lucertola co-struita sul Lago di Como dai fratelli Ferrario.

Le “vecchio stile”Nel tentativo di trovare nuovi mercati che compen-sassero la grave crisi del settore delle carrozzerie fuo-riserie di fine anni Sessanta, gli specialisti del settore cavalcarono anche l’onda effimera delle vetture co-siddette “vecchio stile”. Fu una moda poco duratura, che riprendeva qualcosa di analogo già visto all’estero e che fu rilanciata in Italia dalla rivista Quattroruote, che promosse con Zagato la realizzazione di una re-plica di Alfa Romeo 6C 1750 su meccanica moderna della Giulia. Di questo curioso fenomeno fu protago-

nista anche la 500 con due modelli divenuti famosi. Il più importante fu certamente la Gamine, costruita da Vignale dal 1967, su imitazione piuttosto libera delle linee della “Balilla” Coppa d’Oro. L’altra, meno dif-fusa, era la Erina della Carrozzeria Zanella di Parma, che si rifaceva invece allo stile della MG TD e che fu commercializzata l’anno successivo. L’idea, pur accolta con apparente favore dal pubblico, non servì a risolvere la crisi e con la fine degli anni Sessanta fu presto dimenticata.

Le concept-carPoche sono le vere e proprie concept-car realizzate sulla base della 500, soprattutto nei primi anni, poi-ché poteva apparire non sufficientemente attraente dal punto di vista delle dimensioni e delle prestazioni. L’unico esempio illustre è la piccola cabriolet con pa-rabrezza a scomparsa disegnata da Rodolfo Bonetto e costruita da Viotti per il Salone dell’Automobile di Torino del 1960.Successivamente, però, proprio le dimensioni estre-mamente compatte la resero una base interessante per lo sviluppo del tema delle city-car, via via sempre più d’attualità con il crescere dei problemi legati alla con-gestione delle grandi città. Fra i primi esempi di questo genere ci sono la Tse-Tse di Sibona-Basano, del 1964, in vetroresina, con uno strano sistema di apertura che faceva ruotare in avanti parte della carrozzeria, e la Aruanda di Fissore, dell’anno successivo, disegnata dall’architetto brasiliano Ari Antonio da Rocha.Più improntate alla pura ricerca di stile, con qualche connotazione sportiva sono, invece, la Mongho 650, sempre di Fissore (su disegno di Aldo Sessano e un giovanissimo Paolo Martin), la Ragno, costruita dal-la Carrozzeria Caprera in collaborazione con Misar Eurodesign, e la Giannini 650 NP Sirio, progettata dall’ingegner Adolfo Melchionda. Ancora più anti-convenzionale è la Zanzara, realizzata da Ercole Spa-da, che porta all’estremo il tema della sportiva a moto-re posteriore, con carrozzeria aperta e una posizione di guida pressoché sdraiata. Sono tutte del 1969.Il tema della mobilità urbana ritornò con l’ultima con-cept-car basata sulla 500 (ma in questo caso non fu mai detto ufficialmente che impiegava un autotelaio Fiat, perché De Tomaso, nuovo proprietario, era nel corso di una complessa trattativa per la cessione delle sue aziende alla Ford): la City Car della Carrozzeria Vignale, esposta al Salone dell’Automobile di Torino del 1971. Ormai, però, l’epoca delle fuoriserie stava per finire per sempre.

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La Nuova 500La Fiat Nuova 500 fu ufficialmente presentata a Tori-no il 4 luglio 1957 e rimase in produzione fino all’ot-tobre 1957. La potenza del motore era di 13,5 CV a 4.000 giri/minuto, la cilindrata di 479 cc, la velocità massima di 85 km/h, quindi con prestazioni stradali assai modeste, fin troppo. Era una vettura semplice e spartana, rivolta a una clientela variegata, cioè ai ceti meno danarosi, ai tanti motociclisti che così avrebbe-ro potuto trovare un tetto per le loro gite e un posto per i loro bagagli, ai possessori di un’altra automobile, come seconda macchina, più piccola ed economica, adatta al traffico già allora convulso delle città, a qual-che studentello di famiglia agiata che l’avrebbe avuta in dono al conseguimento del titolo di studio, ai pos-sessori di 500 Topolino ormai troppo acciaccate dal tempo. La 500 era parecchio rumorosa e traballante, col suo bicilindrico verticale raffreddato ad aria. Ini-zialmente fu un insuccesso commerciale, anche per-ché non costava poco, 490.000 lire, quando un opera-io guadagnava allora meno di 50.000 lire mensili.Questa premessa serve per capire i motivi dello svi-luppo sportivo di questa vettura, che per le sue carat-teristiche non fu all’inizio nemmeno presa in conside-razione dai piloti, anche i meno abbienti. D’altronde l’ingegner Dante Giacosa, responsabile del suo pro-getto, ebbe l’incarico dai vertici Fiat di creare una vettura economica e dai costi di gestione molto bassi (da cui la scelta del raffreddamento ad aria) senza al-cuna neppur lontana prospettiva di utilizzo sportivo. L’ingegner Giacosa aveva fatto disegnare anche un motore boxer sofisticato, che però avrebbe aumenta-to troppo il costo della vettura. Dall’ottobre 1957 al 1958 al modello definito Normale fu affiancata la 500 Economica, dal costo di 465.000 lire, con aumento dei CV a 15. Dal novembre 1957 al 1960 fu prodotto un ulteriore modello, la Trasformabile, con potenza di 16,5 CV e prezzo di 490.000 lire, versioni che avevano lo scopo di migliorare le prestazioni e il comfort o di

diminuire il prezzo. In vista dell’utilizzo sportivo della vettura, queste caratteristiche tecniche non erano an-cora adeguate. La vera svolta del modello, che diede inizio al suo utilizzo sportivo, si ebbe con la presen-tazione nell’ottobre 1957 al Salone dell’Automobile di Torino della “Fiat 500 Abarth derivazione Fiat” – e soprattutto con i record di velocità da essa conseguiti dal 13 al 20 febbraio 1958 all’Autodromo di Monza – e, a fine 1957, con la presentazione della berlinet-ta 500 GT Zagato, versioni che possiamo definire “le 500 da corsa”. La 500 SportLa Fiat decise di mettere in produzione nei primi mesi del 1958 un modello di 500 con prestazioni più eleva-te, la 500 Sport, nelle versioni con tetto tutto metallico e in seguito anche la versione con tetto parzialmente apribile, con 21,5 CV di potenza a 4.600 giri/minuto, velocità massima 105 km/h, prezzo di 560.000 lire, ci-lindrata maggiorata a 499,5 cc. L’intento era di creare una Fiat 500 per uso quotidiano, ma anche adatta alle competizioni sportive, obiettivi che si evincono anche dal depliant pubblicitario che la Fiat divulgò alla pre-sentazione della 500 Sport, che raffigura due vetture, una con tetto apribile e una con quello chiuso metal-lico, entrambe con numeri da gara, rispettivamente 2 e 5, con due piloti, chiaramente in attesa di gareggiare su una pista. Una striscia di colore rosso percorreva la fiancata superiore dei modelli, ad evidenziare le carat-teristiche corsaiole. La vettura partecipò a parecchie competizioni di velo-cità in pista, come la 12 ore di Hockenheim (Franco-forte) in Germania, il 26 maggio 1958, nella categoria Gran Turismo classe fino a 600 cc. Le quattro vetture partecipanti ottennero il fantastico risultato di aggiu-dicarsi i primi quattro posti in classifica di categoria, contro un’agguerritissima concorrenza di vetture stra-niere. La 500 Sport si fece onore anche nelle gare su strada, come la massacrante Liège-Brescia-Liège. La ricaduta mediatica, in particolare sulla stampa, di que-sti importanti risultati sportivi spinse finalmente le vendite della 500, diventata nell’immaginario colletti-vo quasi un’icona di velocità, con grande soddisfazio-ne della dirigenza Fiat. Gli esemplari prodotti furono però pochi e la produzione della Sport cessò con la fine del 1960, soprattutto per la concorrenza, iniziata già nel 1958, delle Fiat 500 Abarth derivazione Fiat,

500 da corsaRenato Donati

Renato Donati è un attento conoscitore dei vari modelli Fiat 500 e soprattutto delle loro derivate Abarth, sulle quali ha scritto vari libri, pubblicazioni e articoli anche per riviste estere, raccogliendo materiali e documentazioni. Tiene rapporti con collezionisti e appassionati di tutto il mondo ed è referente per le bicilindriche Fiat e Abarth dei più importanti Registri di Modello.

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prodotte e commercializzate dall’Abarth, che però aveva scelto di gareggiare pochissimo per non dan-neggiare l’ascesa sportiva della Fiat e anche per la con-temporanea concorrenza vincente delle 500 Zagato.

Le 500 D / F / L / R Dal 1960 entrò in produzione il nuovo modello 500 D, con motore di 499,5 cc, derivato da quello della 500 Sport, 17,5 CV a 4.400 giri/minuto, velocità 95 km/h e prezzo di 450.000 lire. Finalmente si cominciarono a vedere le 500 nelle competizioni di velocità, in pista e in salita, nella categoria Turismo, proprio nella ver-sione D, piuttosto che nella successiva F, che pesava di più. Varie furono le elaborazioni meccaniche permesse dai regolamenti sportivi e studiate da molti prepara-tori, che riuscirono a mettere tanto “pepe” nel tran-quillo bicilindrico. L’auspicato traino delle versioni Abarth e Zagato infine si ebbe e tanti piloti comin-ciarono a gareggiare con la Fiat 500, dando vita a competizioni che di fatto erano quasi monomarca, in mancanza di una vera concorrenza. Le vetture era-no veloci, con potenze fino a oltre 30 CV e velocità dell’ordine di 140 km/h. Spesso si vedevano schiera-menti di partenza in pista con 30 e più vetture, con piloti scatenati, che a volte eseguivano manovre ai limiti regolamentari, e vetture che per la loro legge-rezza strutturale tenevano andature di tutto rispetto divertendo piloti e spettatori, che assistevano a gare infuocate di agonismo. I costi di acquisto della vettura e della sua preparazio-ne erano accessibili anche a piloti non molto danarosi. Le 500 vinsero i Campionati Italiani di Velocità e della Montagna, ininterrottamente dal 1960 al 1965. Poi, cominciando a gareggiare le 500 potenziate con un kit di preparazione Giannini, per le Fiat 500 le vittorie divennero meno frequenti. Iniziarono la loro carriera sulle Fiat 500 anche piloti destinati a brillanti traguar-di, in particolare Ignazio Giunti, detto il “reuccio di Vallelunga“, poi ufficiale Alfa Romeo nelle gare per vetture Sport-Prototipi, in seguito alla Ferrari, con la quale gareggiò anche in Formula 1. La produzione della versione D terminò nel 1965, sostituita fino al 1972 dalla versione F, che aveva le portiere incernierate anteriormente, sempre 499,5 di cilindrata, 18 CV a 4.600 giri/minuto, velocità mas-sima 95 km/h e prezzo iniziale di 475.000 lire, poi aumentato a seconda delle varie versioni, come la 500 L (Lusso). Dal 1972 al 1975 fu prodotto il nuovo mo-dello R e le 500 continuarono a gareggiare, anche se dopo il 1974 non ci fu più una netta distinzione fra Fiat 500 e Fiat 500 Giannini in quanto i nuovi regola-menti sportivi non richiesero più all’iscrizione di una vettura l’identificazione del modello. Il pilota poteva iscriversi alla gara sotto il marchio Fiat o Giannini a sua discrezione, mantenendo inalterati solo carrozze-

ria, scocca e monoblocco originario del bicilindrico Fiat, con numerosissime possibilità di elaborazioni meccaniche.

La 500 GiardinieraLa Fiat sentì l’esigenza di creare una vettura con un piano di carico più ampio, per soddisfare le richieste di chi usava la 500 come strumento di lavoro o di svago. Taluni carrozzieri costruirono delle versioni “giardiniera”, ma il motore con cilindri verticali non permetteva di creare un buon vano di carico. Il pro-blema fu risolto dalla Fiat stessa che iniziò a produr-re, nella primavera del 1960 col marchio Fiat e poi fino al 1977 col marchio Autobianchi, la Giardiniera (denominazione brevettata). La nuova vettura ave-va una cilindrata di 499,5 cc, 17,5 CV a 4.400 giri/minuto, velocità massima di 95 km/h e un prezzo di 565.000 lire. La vera novità consisteva nel moto-re che, derivato dal 500 originario, aveva i due cilin-dri affiancati non verticali, ma orizzontali, da cui il nome popolare di motore “a sogliola“, la cui mo-desta altezza consentiva una maggiore cubatura di carico. Se all’interno di una trattazione delle “500 da corsa“ citiamo questa vettura è perché il suo motore verrà usato nella Formula 875 Monza, una 500 da corsa a ruote scoperte.

Le derivateLa vita sportiva della Fiat 500 si incentra soprattutto sulle cosiddette “derivate“, vetture che mantenevano la scocca e il gruppo motore-cambio della Fiat, però sottoposti a estese elaborazioni. Le “derivate“ non nascono con l’obiettivo principale dell’economicità, come per la 500 Fiat, ma spesso sono prodotti raffina-ti, con costi di acquisto e gestione piuttosto onerosi.

1. Abarth Carlo Abarth non era tipo da farsi sfuggire occasioni economicamente favorevoli: come già detto, presentò al Salone dell’Automobile di Torino il 30 ottobre 1957 il prototipo della sua versione elaborata della Fiat 500 che chiamò “Fiat 500 Abarth derivazione Fiat”, con un motore di cilindrata come in origine di 479 cc, ma modificato, che eroga 19 CV (dai 13,5 della 500 Fiat) e velocità massima di 100 km/h (dagli 85 della 500 Fiat). La Fiat commissiona, con un chiaro intento propagandistico per la propria 500, le cui prestazioni erano carenti, 200 di queste vetture, da vendere con la sua rete commerciale. La produzione della Fiat 500 Abarth terminò con i 200 esemplari, ma non fu un insuccesso commerciale, perché volutamente ci si li-mitò a quel quantitativo. Nel frattempo Carlo Abarth, abile nel creare opportunità propagandistiche a fini commerciali, organizzò dal 13 al 20 febbraio 1958 all’Autodromo di Monza una seduta per abbattere vari record internazionali di velocità e durata per la

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Classe 500 cc. Il successo dell’iniziativa fu strabiliante, con la conquista di innumerevoli record internazio-nali, creando un indubbio traino per le scarse vendite della 500 Fiat, che crebbero in maniera considerevo-le, tanto che Carlo Abarth ottenne dalla Fiat, con alla testa il Presidente professor Vittorio Valletta, lucrosi accordi commerciali: Fiat avrebbe versato ad Abarth un cifra predeterminata per ogni vittoria conseguita da una vettura Fiat Abarth. La Fiat 500 Abarth debut-tò nelle competizioni internazionali il 26 maggio 1958 alla già citata 12 ore di Hockenheim in Germania, con l’intento, concordato con Fiat, di fare da “lepre”, cioè tirare allo spasimo, sin dall’inizio della gara, per sfian-care la temibilissima concorrenza di vetture stranie-re, soprattutto tedesche e inglesi, favorendo la gara delle nuove 500 Sport, che conquistarono i primi 4 posti della classifica finale di categoria, mentre le Fiat 500 Abarth si ritirarono per guasti dovuti alle ecces-sive sollecitazioni. La Fiat 500 Abarth fu anche pre-sente nella massacrante Liège-Brescia-Liège del 1958, dove ottenne un eccellente risultato di categoria. Poi le apparizioni in gara delle Fiat 500 Abarth divennero sporadiche, per non danneggiare, come da accordi, le competizioni a cui partecipava la 500 Sport. Ma Fiat, raggiunto il successo commerciale della 500, non di-mostrò interesse a futuri progetti sportivi per la 500 e tutto fu lasciato all’iniziativa dei privati e dei loro pre-paratori. Carlo Abarth però vedeva in quella vettura, che ormai stava avendo un buon successo di mercato, un interessante sbocco economico e di immagine e, col consenso e l’accordo di Fiat, presentò una vettu-ra, su base Fiat 500, ma con il suo marchio. È così che nel settembre 1963 fu presentata alla stampa la Fiat Abarth 595, per gareggiare nella classe fino a 600 cc. Una vettura ufficiale con alla guida Franco Patria debuttò e vinse la sua classe il 19 marzo 1964 in una gara di velocità all’Autodromo di Monza. La 595 ave-va una cilindrata di 593,7 cc, 27 CV a 5.000 giri/minu-to, velocità massima 120 km/h e costava 595.000 lire. La carrozzeria, la scocca e il monoblocco erano della Fiat 500 D, con naturalmente tante modifiche. Anche nei rally la 595 ottenne delle vittorie, dimostrando una robustezza complessiva, considerato che a quei tempi tutti o quasi i rally si svolgevano su terreni sterrati. La 595 si distinse pure nelle gare di velocità in sali-ta. Nel 1964 furono presentate la 595 SS, con 32 CV, costo di 650.000 lire, 130 km/h di velocità massima, per venire incontro ai piloti che desideravano maggio-ri potenze, e la 695, per gareggiare nella classe fino a 700, con 689,5 cc a 4.900 giri /minuto, 640.000 lire, 130 km/h di velocità massima. A questa si aggiunse, sempre nel 1964, la 695 SS, con la stessa cilindrata, 38 CV, 5.200 giri/ minuto, 140 km/h di velocità mas-sima e costo di 695.000 lire: ottenne ottimi risultati nelle gare di velocità soprattutto in pista. Lo sviluppo estremo della 695 fu la 695 SS assetto corsa, del 1965,

con carreggiate allargate, per avere migliore stabilità in curva, e prestazioni veramente esaltanti, soprattutto se confrontate con quelle della Fiat 500. Nel 1970 fu-rono presentate le versioni “Competizione” della 595 e 695, con potenza e prestazioni ancora più elevate. Le 595 raggiunsero potenze di oltre 50 CV e le 695 dell’ordine di oltre 60, con velocità di punta superiori a 170 km/h con rapporti al cambio lunghi: veri “mis-sili”. Nei primi anni le 595 non ebbero praticamente rivali, fino all’arrivo delle temibilissime Fiat elaborate 590 Giannini. Pure nella classe 700 cc le 695 domina-rono quasi incontrastate con sempre però alle calca-gna e a volte davanti le Fiat elaborate 650 Giannini. Nel 1971 l’Abarth fu ceduta alla Fiat, che non aveva alcun interesse per le competizioni sportive di questi bicilindrici; il loro sviluppo si arrestò, a vantaggio del-le Giannini, che invece usufruirono di sempre nuove omologazioni di particolari meccanici.

2. GianniniLa Giannini operava dagli anni Venti nel settore au-tomobilistico; dopo la Seconda Guerra Mondiale si dedicò soprattutto a costruire motori e vetturette da corsa, oltre che a elaborare e potenziare vetture di serie, come la Fiat 600. Nel 1963 vide un’opportunità produttiva ed economica attraente nell’elaborazione estetica e meccanica della Fiat 500 D. Nacque così la Fiat Giannini 500 TV (Turismo Veloce). La fascia di mercato era particolarmente interessante in quanto la 500 Fiat aveva prestazioni limitate e finiture modeste. La TV manteneva la cilindrata della 500 Fiat, 499,5 cc, erogava la bella potenza di 25 CV a 5.000 giri/mi-nuto, per una velocità massima di 105 km/h e un co-sto di 548.000 lire. Poco dopo si aggiunse la versione Sport e nel 1964 la Special, con 29 CV e 115 km/h di velocità massima, per dare al cliente una vettura stra-dale con tanto “pepe” in più. Con la presentazione della Fiat 500 F, nel 1965, la Giannini decise di entra-re anche nelle competizioni, approfittando dei nuovi regolamenti sportivi che permettevano di omologa-re tanti nuovi particolari meccanici, che la Giannini produceva. Così la Fiat Giannini 500 TV cominciò a vincere, soprattutto con la versione Montecarlo, con 27 CV e 125 km/h di velocità massima, cosicché nella classe fino a 500 cc dal 1966 al 1971 i Cam-pionati Italiani di velocità furono appannaggio delle velocissime Giannini. Nelle competizioni sportive si mise particolarmente in luce la grintosissima Liliana De Menna, che nel 1968 vinse il Campionato Italiano Assoluto Femminile di velocità. Piccola curiosità: con la Fiat Giannini 500 TV gareggiava in pista anche un pilota con lo pseudonimo di “Nerone“, per nascon-dere alla famiglia le sue rischiose attività corsaiole. Il debutto fu il 31 marzo 1968 sul circuito romano di Vallelunga, a bordo di una vettura di colore rosso, che condivideva alla guida con un altro pilota che si

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cela pure lui, per gli stessi motivi di Nerone, sotto uno pseudonimo, “Virgilio“. La vettura andava come una scheggia, i due piloti erano scatenati, soprattut-to Nerone, che, per tener fede al suo pseudonimo, infuocava il circuito con la sua guida funambolica e per questo incappò in una reprimenda da parte del direttore di gara per le sue scorrettezze e intempe-ranze sportive. Ma chi era il fantomatico Nerone? Nientedimeno che un giovanissimo Luca Cordero di Montezemolo, poi Direttore Sportivo Ferrari in For-mula 1, con forti legami con la famiglia Agnelli, come lo era pure Virgilio, l’altrettanto blasonato, sempre della stirpe Agnelli, Cristiano Rattazzi. Incoraggia-ta da questi successi sportivi, la Giannini mette in produzione nel 1966 la 590 GT, per competere nel-la classe fino a 600 cc. Aveva una cilindrata di 585,6 cc, 31 CV a 5.500 giri/minuto, 120 km/h di velocità massima, prezzo di 590.000 lire. Seguì poco dopo la 590 GT Special con 35 CV, prezzo di 640.000 lire, e poi ancora la 590 GTS Vallelunga, sempre alla ricerca di maggiori prestazioni. Nel 1969, per fare concor-renza all’Abarth 695 fu posta in vendita la 650 NP, con 32 CV, 5.800 giri/minuto, 135 km/h di velocità massima, costo 830.000 lire. Nel 1969 nacque la Fiat Giannini NP Modena, con 38 CV, 6.000 giri/minuto, velocità massima oltre 140 km/h. Con l’arresto dello sviluppo delle Fiat Abarth 595 e 695, nel 1971, le Fiat Giannini iniziano a dominare le competizioni. Il 1972 fu l’anno fatidico dei successi delle Fiat Gian-nini 590 e 650, che vinsero il Campionato Italiano Velocità in entrambe le categorie; molti piloti delle bicilindriche Abarth negli anni successivi acquistaro-no le Giannini. Nel 1974 i regolamenti sportivi nazionali non preve-devano più la distinzione per marca, per correre era necessario solo che scocca, carrozzeria e monobloc-co fossero di una Fiat 500, quindi i piloti potevano gareggiare sotto il marchio Abarth o Giannini a loro piacimento.

3. Steyr-PuchSteyr-Puch, azienda austriaca nata nel 1934 a Vienna, che costruiva fra tante cose anche automobili, aveva stretti rapporti tecnici e commerciali con Fiat. Nel 1957 fu stipulato un accordo per la costruzione a Graz di una vettura sulla scocca e carrozzeria della Nuova 500 Fiat destinata al solo mercato interno. Fiat avrebbe fornito scocca, carrozzeria, impiantistica, avantreno, mentre Steyr-Puch avrebbe costruito il motore, del tutto ori-ginale. Nel settembre 1957 nacque così la Steyr-Puch 500. Il propulsore era un raffinato bicilindrico di 493 cc, 16 CV, a 4.600 giri/minuto, 100 km/h di velocità massima, raffreddato ad aria, boxer, tutto in alluminio, un retrotreno del tutto nuovo, un pianale parecchio mo-dificato, con anche diverse modifiche estetiche e di in-terni. Questa vettura non nacque con gli stessi obiettivi

di economicità della Fiat 500, quindi la sua produzione fu inferiore, anche a causa di un prezzo più elevato. Per accordi fra Fiat e Steyr-Puch fu inibita l’esportazione in Italia, perché non si volle la concorrenza di un mo-dello che, seppure più costoso, era più allettante per le finiture e la meccanica più sofisticata. Fiat capì subito che la vettura in gara sarebbe stata molto competitiva, quindi di intralcio all’utilizzo agonistico dei suoi bici-lindrici. Nel 1960, con la presentazione della Fiat 500 D, anche il modello Steyr-Puch si adeguò esteticamente e adottò un cambio ZF totalmente sincronizzato. Alla versione Base fu affiancata la Speciale, con 19,8 CV a 4.600 giri/minuto, e 105 km/h di velocità massima: il confronto con le prestazioni della Fiat 500 era sempre più a svantaggio di quest’ultima. Nel 1962 si aggiunse la versione 650 T, di 643 cc e 25 CV, che si distinse soprattutto nei rally, per la potenza dei suoi motori ela-borati e la scocca particolarmente robusta. Nel 1964 fu presentata la versione 650 TR , 660 cc, 27 CV, 5.500 giri/minuto, velocità massima di 123 km/h, a cui seguì il modello 650 TR 2, con 34 CV e oltre 130 km/h di velocità massima. Con l’ulteriore versione Montecarlo si raggiunsero i 39,5 CV a 6.000 giri /minuto e una ve-locità massima superiore a 140 km/h. Con queste vet-ture “mostro“ le Steyr-Puch vincevano dovunque, nelle gare in pista e in salita e soprattutto nei rally. La Com-missione Sportiva Automobilistica Italiana si premurò, a tutela degli interessi nazionali, di stabilire che avreb-bero potuto gareggiare nei campionati nazionali solo vetture regolarmente distribuite sul mercato interno. Comunque non fu possibile impedire che le Steyr-Puch prendessero parte a gare “a partecipazione straniera”, purché il pilota avesse patente e licenza rilasciata all’e-stero o che la vettura fosse iscritta da un concorrente estero. Per le Fiat era uno scontro impari, ma lo era anche per le Abarth e le Giannini. In pratica pochissime Steyr-Puch delle varie cilindrate gareggiarono in Italia, sempre comunque con targa straniera, anche se alcu-ne vetture tramite qualche strano “canale” corsero con targa italiana. Anche a causa della vendita quasi solo in Austria, la produzione ebbe un calo vertiginoso; dal 1968 fu arrestata la produzione delle versioni 643 e 660 cc e rimase in produzione solo la 500, fino al 1973, su base Fiat 500 F.

4. Patriarca Baby JuniorUn tentativo di avere una monoposto economica di gestione, dal costo accessibile e abbastanza perfor-mante è molto sentito fra i giovani piloti desiderosi di emergere. Parecchi costruttori, soprattutto arti-gianali, si cimentarono nell’impresa, ma le difficoltà economiche li bloccarono quasi subito, visti i costi per allestire un prototipo di questo genere. Nei pri-mi mesi del 1960 l’officina meccanica Patriarca riuscì nell’intento, anche se solo in parte, con la 500 Baby Junior, ma purtroppo non trovò appoggi economici,

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né regolamenti condivisi. Fu all’inizio prodotta col motore della Fiat 500, poi con quello della 500 Steyr-Puch. Ma i problemi erano tanti e la formula non de-collò. Comunque Bruno Patriarca col padre Rodolfo decisero di proseguire: promossero insieme alla Scu-deria Roma un apposito campionato dedicato alle piccole monoposto con motore Fiat 500 Sport, di 499,5 cc, motore posteriore centrale, 30 CV a 7.500 giri/minuto, carrozzeria in lega leggera dei Fratel-li Morelli di Ferrara, peso vettura 260 kg, velocità massima 150 km/h. In seguito fu adottato il moto-re della 500 Steyr-Puch, con prestazioni più elevate, adattando anche il telaio. Bruno Patriarca iniziò su-bito a gareggiare col modello motorizzato Fiat 500, sia in salita che in pista, soprattutto su quella romana di Vallelunga. Poi Bruno utilizzò anche la più veloce 500 Baby Junior motorizzata Steyr-Puch, con risul-tati e tempi veramente di rilievo. Furono prodotti complessivamente una decina di esemplari con tela-io tubolare a traliccio in cromo-molibdeno costrui-to in proprio. Ma le istituzioni sportive italiane non sostennero questo modello anche perché esisteva la Formula Junior che però, contrariamente alle inten-zioni originarie, stava diventando sempre più costo-sa, per cui sarebbe stata opportuna una formula più economica, adatta ai giovani meno abbienti. Ma gli aiuti economici e regolamentari non arrivarono, per cui tutto amaramente finì.

5. 875 MonzaIl sogno di realizzare una monoposto da corsa a bas-so costo, ma con buone prestazioni è sempre vivo. Dopo tanti tentativi falliti, nel settembre 1964, con il patrocinio dell’AC Milano, nacque la Formula 875 Monza, 875 perché era fissato a 875.000 lire il prezzo massimo per una vettura pronta alla gara, e Monza come omaggio all’autodromo che si era reso dispo-nibile a far correre le vetture gratuitamente. Fu stila-to un regolamento e furono costruiti 3 prototipi. Il motore doveva essere quello della 500 Fiat Giardi-niera, detto “a sogliola“, collocato in posizione cen-trale posteriore. Il telaio fu disegnato dall’ingegner Massimino, che era stato progettista anche di Ferrari e Maserati. Nel 1969 i costruttori furono una decina. Le gare erano quasi sempre in notturna, anticipando i grandi eventi sportivi di Monza. A fine anni Ses-santa però l’interesse per questo progetto diminuì perché nel frattempo era nata la Formula 850, col motore della Fiat 850, con prestazioni più elevate, caratteristiche più vicine a quelle di una Formula 3 (in grado quindi di essere una migliore “palestra” per i giovani piloti) e più affidabile. Non è comunque da dimenticare che con la 875 Monza si formarono tanti piloti che poi gareggeranno in categorie anche molto impegnative, come Michele Alboreto, poi an-che pilota ufficiale Ferrari in Formula 1.

6. ZagatoLa Fiat 500 GT coupé Zagato fu presentata il 30 ot-tobre 1957 al Salone dell’Automobile di Torino nello stand del carrozziere, quasi a evidenziare che il pro-dotto non era ufficialmente riconosciuto come pro-prio né dall’Abarth né tanto meno dalla Fiat. Non a caso, in quanto questa vettura sarebbe stata in diret-ta concorrenza, nella categoria Gran Turismo fino a 500 cc, sia con la Fiat 500 Sport che con la 500 Abarth derivazione Fiat. Le sue velleità erano deci-samente di natura sportiva, anche se fu pubbliciz-zata pure per uso stradale dal pilota Ovidio Capelli, campione italiano nel 1958 con questa vettura, che si fece ritrarre accanto alla macchina, elegantemente vestito e con nella mano una borsa professionale. La prima serie del 1957 aveva un motore Fiat di 479 cc, portato a 23 CV a 4.800 giri/minuto, per 115 km/h di velocità massima, con meccanica, poi incre-mentata nelle prestazioni, della 500 Abarth deriva-zione Fiat. La seconda serie, del 1958, aveva un motore di 499,5 cc, 33 CV a 5.200 giri/minuto e 140 km/h, di ve-locità massima, con meccanica derivata dalla Fiat 500 Sport. La carrozzeria era in alluminio. La 500 Zagato iniziò a gareggiare nel 1958 nella categoria Gran Turismo fino a 500 cc e subito si affermò pe-rentoriamente sia in salita che in pista, ma non ave-va avversari rilevanti. La vettura aveva prestazioni non eccelse e un prezzo di listino troppo elevato, per quanto giustificato da una qualità costruttiva di prim’ordine. La conseguenza fu un netto insuccesso commerciale, essendone state prodotte non più di 10 unità. Nel 1959 entrarono in lizza vetture estere più competitive (in particolare le inglesi Berkeley) e da quel momento non ci fu più storia per la 500 Zagato, che nel 1960 terminò il suo ciclo produttivo, anche per la concomitante abolizione da parte della Fede-razione Internazionale Automobilistica della catego-ria Gran Turismo fino a 500 cc.

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La Fiat 500: ai giorni nostri questa vettura è in-discutibilmente entrata a far parte del mito. Nel

sentimento collettivo, in Italia e all’estero, la 500 sto-rica è un autentico simbolo dello stile italiano, dell’”I-talian way of life”, di un paese dove talvolta l’arte che lo rende famoso nel mondo permea anche oggetti di grande diffusione o di uso quotidiano.Ma come si fa a trasformarsi in un mito? Perché lo si diventa e quali sono le dinamiche che permettono di entrare nell’Olimpo dell’immaginario collettivo?Non è semplice schematizzare un fenomeno che sfugge alla consapevolezza e alla razionalità, ma che prende vita autonomamente, senza particolari impulsi o stimoli.Vi sono due tipologie di miti: quelli imposti dall’alto, cioè artificialmente creati tramite un “battage” con-tinuo e prolungato per far riconoscere un oggetto o una persona come facente parte di questa privilegiata categoria.Vi sono poi i miti che si creano in modo autonomo, grazie al riconoscimento da parte delle masse che identificano quell’entità come mitica a tutti gli effetti.Per riassumere, la creazione di un mito richiede che l’oggetto o il soggetto rivestano caratteristiche di uni-cità nel contesto in cui si trovano e che dalla base que-ste figure vengano riconosciute come mitiche.Questo secondo requisito può essere, come detto, im-posto dall’alto o generato autonomamente dalla so-cietà, che ne individua e ne celebra le caratteristiche carismatiche peculiari. Un mito, quando nasce su impulso popolare, è un’au-tentica alchimia. Si può provare a favorirne la nascita, a proporre un personaggio o un oggetto, ma è diffici-lissimo che il processo parta dando luogo a un’escala-tion che si autoalimenti con progressione geometrica.Un’alchimia è qualcosa che spesso nasce per caso, non volutamente, e dà luogo a un risultato prodigioso, tal-volta assolutamente imprevisto.

Basta però che le proporzioni fra i vari ingredienti mutino anche di poco per inibire il fenomeno, così come può verificarsi che l’alchimia non si ripeta pro-vando a realizzarla in un secondo tempo, rispettando tutte le regole ed i dosaggi.Per capire come possa essere nato il mito della 500, occorre anzitutto inquadrare il contesto socio-econo-mico in cui il progetto ha preso vita, le caratteristiche che la vettura doveva avere ed il suo posizionamento di mercato.A metà anni Cinquanta, la Fiat aveva creato un vei-colo indovinatissimo e perfettamente rispondente alle esigenze della clientela del momento, la 600, nata nel 1955.Per la Nuova 500 si pensò a qualcosa di diverso, decli-nando il nuovo modello in una chiave più essenziale ed economica. La Nuova 500 doveva essere sì un’au-tomobile, ma l’intenzione era di proporre una sorta di scooter a quattro ruote, un veicolo dal carattere mini-male a cavallo fra la moto e l’automobile.Gli anni Cinquanta videro l’esplosione degli scooter: Vespa e Lambretta spopolavano fra le allora nume-rosissime famiglie che ancora non potevano pensare all’acquisto di una 600 e fu proprio a questo genere di pubblico che la Fiat pensò di offrire la Nuova 500.Una macchina che abbinasse un costo di esercizio non troppo lontano da quello di uno scooter al conforto di una carrozzeria chiusa, per viaggiare all’asciutto in caso di maltempo, evitando a mogli e figli scomodi viaggi con le gambe penzoloni o a cavalcioni del sellino fra i genitori e garantendo maggior sicurezza su strada.Non solo: con la 500, la Fiat intendeva strizzare l’oc-chio anche alle famiglie benestanti della borghesia medio-alta, proponendo l’opportunità, fino ad allora inconcepibile, di avere una seconda auto di famiglia da abbinare alla grossa berlina o alla fuoriserie.I tempi però non erano maturi per nessuna delle due tipologie d’uso proposte: l’Italia del 1957 iniziava solo ad intravedere quel benessere che il boom economico inizierà a garantire solo dopo qualche anno.La 500, all’inizio, apparve un mezzo voluttuario e poco utilizzabile. Due soli posti (la panchetta posteriore non era imbottita e mancava lo schienale), un motore asfit-tico e dotazioni di bordo ridotte all’osso portavano i potenziali acquirenti a concludere che avesse più senso compiere un ulteriore sforzo mirando a una 600, oppu-re limitarsi a uno scooter, abbinandogli magari l’acqui-sto di un elettrodomestico per la casa.

La Fiat 500: da utilitaria a mitoCarlo Giuliani

Carlo Giuliani - nato nel 1975, si occupa di amministrazione di beni immobiliari. Appassionato di automobili d’epoca sin dalla prima età, inizia per passione ad occuparsi di documentazione storica e di restau-ro di veicoli storici già dall’adolescenza.Attualmente ricopre incarichi nel Fiat 500 Club Italia e nell’Asi, è autore di manuali tecnici per la riparazione della Fiat 500 e parteci-pa in qualità di esperto di settore a master e seminari tecnici o storici sulla Fiat 500.

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Le classi più agiate, a loro volta, non trovavano inte-ressante un veicolo troppo scarno, ritenendolo ecces-sivamente essenziale e poco pratico.Una volta lanciata la 500 sul mercato, nel luglio del 1957, la Fiat si rese presto conto che le vendite non erano quelle sperate; anzi, erano sconfortanti.Così come Fiat fu lesta a rendersi conto dell’errore di valutazione commesso, altrettanto rapidi e accorti fu-rono i provvedimenti presi per cercare di evitare quel-lo che già iniziava a profilarsi come un autentico flop.La Fiat introdusse diverse migliorie tecniche e di fi-nitura, cosicché la 500 divenne più attraente, cioè si qualificò come un prodotto ben realizzato, proposto a una cifra ragionevole e da prendere in seria consi-derazione.Il grafico di vendite della 500, dopo alcuni tentenna-menti dovuti all’onda lunga della diffidenza iniziale, s’impennò improvvisamente, risalendo una china che impiegherà numerosi anni prima di iniziare a dare qualche segno di flessione. Grazie a ciò, la vettura venne con prepotenza proiet-tata fuori da quell’iniziale scenario, che l’avrebbe vista irrimediabilmente uscire di produzione dopo pochi anni nel generale disinteresse.Ecco. Ed è proprio qui che i primi germi del mito hanno iniziato a nascere ed a riprodursi, in virtù di una felice alchimia data dall’inconsapevole e casuale commistione di condizioni storiche, socio-economi-che, temporali e materiali.Per tutti gli anni Sessanta la 500 ebbe un grande succes-so di mercato, divenendo per qualche tempo il modello più venduto in Italia. Alla fine del decennio però, nono-stante i volumi di vendita sempre altissimi, in Fiat ci si rese conto che la 500 mostrava i segni del tempo, anche dal punto di vista estetico, con la linea della carrozzeria che era ormai lontana dal gusto imperante.Si iniziò allora a progettare un’erede della 500, con una linea al passo coi tempi, ma che mantenesse l’in-dovinatissima impostazione meccanica del modello precedente, ormai celebre per la sua affidabilità e sem-plicità costruttiva.Nel 1972, quindici anni dopo la nascita della 500, fu presentata la 126, contraddistinta da una carrozzeria nuova e più spaziosa all’interno, da una meccanica ul-teriormente potenziata e raffinata e da finiture miglio-ri di quelle della 500 L.Contemporaneamente, la 500 continuava a restare in produzione con un modello semplificato, denominato 500 R, dove “R” sta per “Rinnovata”.Alla nuova nata, però, mancava evidentemente qual-cosa rispetto alla 500.Forse la spigolosità delle linee che la rendevano più severa e impersonale nell’aspetto, forse le mutate esi-genze di una società che nel frattempo si era evoluta e che stava attraversando un periodo socialmente com-plicato...

Fatto sta che per la 126 l’alchimia non ebbe luogo.Quando, nel 1975, si decise di fermare la catena di montaggio della 500 e di proseguire con la produ-zione della sola 126, non poche furono le proteste. A diciott’anni dalla sua presentazione, non solo non veniva riconosciuta come superata nella sua conce-zione, ma per molti risultava preferibile al successivo modello, per quanto più moderno e pratico. Prova ne sia il fatto che la 500 venne tolta dal mercato pur man-tenendo un volume di vendite che poco si addiceva ad un modello giunto a fine carriera.Ma cerchiamo di capire come si è alimentato il mito della 500 una volta uscita di produzione: quando si è cominciato a realizzare la portata di questa vettu-ra nell’universo delle icone “pop” e quando, invece, questa sua caratteristica è venuta pienamente alla luce?Terminata la sua carriera, la 500 avrebbe dovuto in-contrare il destino di qualsiasi autoveicolo quando, complice anche l’età anagrafica, sia considerato vetu-sto e sorpassato.Curiosamente, invece, la Nuova 500 non fu ritenuta vecchia se non per un limitato periodo di tempo ed in situazioni abbastanza estreme, rappresentate da vettu-re incidentate o fortemente deteriorate, avviate sen-za eccessive remore alla demolizione in un momento storico in cui, ad onor del vero, appariva più oneroso il ripristino rispetto all’acquisto di un altro esemplare in buono stato.Anche nel periodo in cui il valore di una 500 e la sua praticità erano inferiori a quelli della più recente e performante 126, i casi in cui si preferisse cercare sul mercato dell’usato una vettura del modello preceden-te erano tutt’altro che rari.Ad accorgersi per primi del fatto che la 500 fosse una macchinetta dalla linea simpatica e accattivante e che continuasse a popolare massivamente le strade italiane ad alcuni anni dalla sua uscita di produzione non fu-rono però gli italiani, bensì altre popolazioni europee che da sempre subiscono il fascino del Bel Paese, pri-mi fra tutti tedeschi e olandesi.Questi ultimi, infatti, si erano riuniti in un club di appas-sionati della piccola bicilindrica già nei primi anni Ottan-ta, organizzando periodicamente raduni che permettes-sero momenti di incontro e di svago fra gli associati. Fu quasi per caso che questo sodalizio fu scoperto nel 1983 da un cinquecentista ligure, che partecipò a una delle manifestazioni che si svolgevano nei Paesi Bassi.Sulla scorta dell’entusiasmo emanato da questo gene-re di accolite, nell’estate successiva fu organizzato il primo raduno di Fiat 500 in Italia.Inaspettatamente, la risposta fu migliore del previ-sto, considerando che quasi per gioco si era cercato di riunire possessori di un’automobile allora soltanto vecchia e contraddistinta da un valore commerciale ai minimi storici.Gli incoraggianti risultati spinsero alla creazione di

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un sodalizio che riunisse gli appassionati di Fiat 500 e l’anno successivo le adesioni al raduno furono netta-mente superiori al precedente.Da allora, il Fiat 500 Club Italia è cresciuto fino a di-ventare da svariati anni il più grande Club di modello al mondo, con oltre 20.000 soci che si iscrivono da ogni paese.Non è un caso che proprio la Fiat 500 sia il principio agglomerante di un sodalizio di questa portata. Al di là delle indiscutibili capacità di chi ha fatto nascere e crescere un Club così vasto, uno dei motori di que-sto fenomeno non poteva che essere qualcosa che nel frattempo è entrato di diritto a far parte dell’epopea.Ma se non fosse mai nato il Fiat 500 Club Italia, oggi la 500 rappresenterebbe ugualmente il mito che tutti conosciamo?Non è facile dare una risposta a questo interrogati-vo. Di sicuro va considerato come questo sodalizio sia sorto in un momento in cui il senso comune non aveva ancora realizzato quanto la piccola utilitaria fos-se radicata nella memoria e nelle esperienze di vita di un’intera generazione. Sotto questo profilo, la presen-za di un Club che già a pochi anni dalla sua costituzio-ne vantava alcune migliaia di iscritti, ha svolto un’in-dubbia funzione di cassa di risonanza nel dare voce a un sentimento già vivo e pulsante, ma ancora sopito nelle sue manifestazioni esteriori.Negli ultimi anni, poi, il mito della 500 è stato am-piamente celebrato e portato alla ribalta dalle attività di un sodalizio estremamente vitale e ramificato, ri-empiendo le piazze con i colori e le forme di un’au-tomobile che non stona in un contesto storico-arti-stico come quello italiano, ma che contribuisce anzi a celebrarne la bellezza, diventandone quasi parte integrante.Ma alla creazione di un’icona che ormai era già depu-tata a contraddistinguere l’Italia al pari dei suoi monu-menti, delle sue eccellenze gastronomiche e del suo paesaggio mancava ancora un tassello; quel quid plu-ris che desse alla genesi di un mito la sua completezza, una sua totale sublimazione.Forte anche della particolarità di un modello che non ha mai smesso di mantenere una vocazione nazional-popolare, vuoi per il suo innato carattere, per la sua diffusione o per quell’aspetto simpatico e pacioso che le sue linee ispirano istintivamente, la 500 era diven-tata un oggetto di culto, senza però essere, parados-salmente, considerata per quello che gli anni l’avevano resa: un’auto d’epoca.Vista con un certo distacco dai collezionisti di veicoli blasonati, che ne sopportavano le rare presenze ai ra-duni di veicoli storici con malcelato disagio, la Nuova 500 ha per un certo periodo della sua storia vissuto la contraddittoria situazione di costituire un’icona po-polare, senza riuscire ad esser vista come un oggetto ascrivibile al collezionismo storico.

Per assurdo, un suo riconoscimento come mito creava il contrappasso di non raggiungere la considerazione alla stregua di qualsiasi altro autoveicolo che avesse raggiunto la medesima anzianità.Due furono i fattori che contribuirono a portare fuori la 500 da questa curiosa situazione.Il primo fu il naturale decorrere del tempo, che rende-va l’aspetto della vettura via via più lontano dai tempi attuali e ne comportava la progressiva sparizione dalle strade a favore di più confortevoli garage, facendo sì che la presenza di queste vetture fosse sempre più rara nelle vie dei centri urbani.Un secondo fattore, decisamente più determinante, fu la nascita della Fiat 500 del 2007.Questo felice progetto, derivante da uno studio par-ticolarmente indovinato dal punto di vista tecnico ed estetico, raccoglieva idealmente il testimone della sua progenitrice, riprendendo numerosissimi stilemi che contraddistinguevano il modello divenuto ormai storico.La campagna pubblicitaria che precedette il lancio della 500, non a caso avvenuto esattamente a cin-quant’anni di distanza e con una cerimonia a cui par-tecipò un massiccio quantitativo di 500 d’epoca, pose in maniera preponderante l’accento sulla comunanza di stili con il modello precedente, dando particolare risalto all’aspetto sentimentale suggerito dai richiami in chiave rétro di svariati particolari.Questa scelta, oltre a spianare la strada per il successo al nuovo modello, collegandolo idealmente a qualcosa da tutti conosciuto e del quale in un certo senso si avvertiva una sorta di nostalgica mancanza, ha con-tribuito a conferire un alone mitico alla “antenata”, rafforzandone l’immagine di icona e rendendola fi-nalmente ambìta come auto d’epoca oltre che come oggetto di culto.Non è, infatti, un caso se molti possessori di 500 sto-rica abbiano senza nessun indugio acquistato la nuova creatura così come, allo stesso modo, numerosi feli-ci possessori della neonata Fiat si siano avvicinati al mondo del motorismo d’epoca mettendosi in garage una 500 d’annata.Con gli ultimi anni, si può quindi affermare che a tutti gli effetti il mito della 500 abbia raggiunto una sua compiutezza con l’effettivo riconoscimento anche come auto d’epoca, da conservare e mantenere nel pieno rispetto delle sue configurazioni originali.Il che stride solo in parte con chi, ancora oggi, pre-ferisca personalizzare la propria bicilindrica equipag-giandola con i più svariati accessori o elaborandola all’estremo.Si tratta soltanto di alcune delle numerose sfaccetta-ture con cui è vissuto e riconosciuto un mito, quando questo consta di una sua natura genuina e non arte-fatta. Il riconoscimento popolare di un oggetto di culto pas-sa anche e soprattutto attraverso i modi, i gusti e i

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sentimenti di chi lo considera come tale con sincero trasporto; se la mitizzazione della 500 fosse stato solo un programma commerciale o un tentativo di sdo-ganare una semplice immagine, non ci troveremmo davanti ad un fenomeno così sfaccettato, duraturo e riconosciuto come tale in tutto il mondo. La 500 non sarebbe infatti presente in modo così mas-siccio nei souvenirs, negli oggetti di uso quotidiano e in molte delle raffigurazioni in cui si intenda caratte-

rizzare l’italianità di una situazione. Non rappresen-terebbe una delle automobili preferite nei matrimoni o nei più svariati contesti caratteristici, dentro o fuori dai confini nazionali. Il mito della 500 costituisce, in definitiva, un fenome-no del quale non possiamo che ritenerci orgogliosi, in quanto rappresenta un autentico vessillo della genialità italiana e della coesione sociale attorno ad un simbolo, legato a filo doppio all’immagine del nostro Paese.

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118 Fiat 500. I 60 anni del mito L. Boscarelli, R. Giolito, L. Morello, A.

Sannia, R. Donati, C. Giuliani Conferenza Aisa, Museo Nazionale

dell’Automobile, Torino, 18 novembre 2017

117 Giovanni Savonuzzi Il designer dei due mondi G. Boetto Cohen, A. Silva, A. Sannia Conferenza Aisa, Museo Nazionale

dell’Automobile, Torino, 31 marzo 2017

116 Correre nel dopoguerra. La scuderia Milan, 1946-1966 A. Silva, A. Zana, L. Boscarelli Conferenza Aisa, CMAE, Milano, 3 dicembre 2016

115 Il record assoluto di velocità per motocicli A. Colombo Conferenza Aisa, CMAE, Milano, 5 novembre 2016

114 Leonardo Fioravanti rigore progettuale, onestà estetica Conferenza Aisa, Show-room Fioravan-

ti, Moncalieri, 10 settembre 2016

113 Topolinottanta L. Morello, A. Sannia, A. Silva Conferenza Aisa, Mirafiori Motor Villa-

ge, Torino, 19 giugno 2016

112 La motorizzazione del Regio Eserci-to nella Grande Guerra

A. Saccoman, A. Molinari, F. Cappella-no, L. Ceva Valla

Conferenza Aisa, Scuola Militare Teullié Milano, 5 marzo 2016

111 Scuderia Brescia Corse Dino Brunori Conferenza Aisa, Museo Mille Miglia, Brescia, 7 novembre 2015

110 La motorizzazione del dopoguerra L. Boscarelli, A. Colombo, A. Sannia Conferenza Aisa, CMAE, Milano, 13 giugno 2015

109 Fermo Immagine Lafotografiael’automobile-1900-1940, TazioNuvolariel’obiettivo G. Cancellieri, G. Calvenzi Conferenza Aisa, CMAE, Milano, 28 marzo 2015

108 Lancia: uomini, tecnica, vittorie Conferenza Aisa in collaborazione con

CPAE e Facoltà di Ingegneria di Piacen-za (Politecnico di Milano), Castell’Ar-quato (PC), 9 maggio 2014

107 Giotto Bizzarrini: l’ingegnerecostruttore a cura di Lorenzo Boscarelli gennaio 2015

106 Aerospecials - Automobili con moto-rid’aereoprimaedopoEmilioMa-terassi

Conferenza Aisa in collaborazione con Biblioteca Comunale, Pro Loco di San Piero a Sieve (FI) e “Il Paese delle corse”,

Auditorium di San Piero a Sieve, 28 marzo 2014

105 Passioni & Progetti Innovazione e tradizione nelle auto

da corsa made in Italy Conferenza Aisa in collaborazione con

CPAE, Politecnico di Milano, Piacenza, 4 e 5 maggio 2013

104 OM - gli uomini, le macchine, le corse Presentazione del libro di A. Silva Museo Mille Miglia, Brescia, 19 ottobre 2013

103 Fermo Immagine Ercole Colombo fotografa la Formula 1 Conferenza Aisa, Milano, 30 novembre 2013

102 Best of British - Storia e tecnica del-le vetture inglesi da competizione

Conferenza Aisa in collaborazione con CPAE e Politecnico di Milano, Castell’Arquato (PC), 6 maggio 2012

101 Velocità e bellezza Ladoppiasfidadeiprogettisti F. Lombardi, A. Orsi, M. Forghieri, E.

Spada, L. Fioravanti, G. Rosani Conferenza Aisa in collaborazione con MEF (Museo Casa Enzo Ferrari) e Fon-

dazione Casa Natale Enzo Ferrari, Modena, 16 marzo 2013

100 Bugatti in Italia Conferenza Aisa in collaborazione con Historic Club Schio e Bugatti Club Italia, Schio, 12 novembre 2011

99 Gilles Villeneuve visto da vicino Letestimonianzedichil’haconosciuto M. Forghieri, P. Scaramelli, S. Stohr, J. Giacobazzi Modena, 19 maggio 2012

98 Vittorio Ghidella, il manager del rilancio Fiat R. Gaffino Rossi, C. Callieri, P. G. Tron-

ville, F. Zirpoli, L. Morello, M. Coppini Museo Nazionale dell’Automobile di

Torino, 27 ottobre 2012

97 Modena e Motori: gli anni Cinquanta visti da lontano K. van Stokkum, G. Gauld Rocca di Vignola (MO), 4 giugno 2011

96 Sessantacinque anni tra moto e auto Sandro Colombo Milano, 31 marzo 2012

95 Ferrari. Mito, racconti, realtà - Sessant’anni dalla prima vittoria in

Formula 1 L. Boscarelli, F. Lombardi, V. Stradi Fiorenzuola d’Arda (Piacenza), 8 maggio 2011

94 Formeecreativitàdell’automobile cento anni di carrozzeria 1911-2011 A. Sannia, E. Spada, L. Fioravanti Museo Nazionale dell’Automobile di

Torino, 29 ottobre 2011

93 Materiali e metodologie perlastoriografiadell’automobile Giornata in onore di Andrea Curami ed Angelo Tito Anselmi Conferenza Aisa, Milano, 16 aprile 2011

92 L’AlfaRomeodiUgoGobbato(1933-1945)

F. Amatori, E. Borruso, L. Boscarelli, M. Fazio, A. Mantoan, P. Italiano, F. Morlacchi

Conferenza Aisa in collaborazione con Università Commerciale Bocconi, Milano, 2 aprile 2011

91 Giorgio Valentini progettista indi-pendente eclettico e innovativo

settembre 2011

90 Abarth:l’uomoelesueauto Conferenza Aisa in collaborazione con

CPAE, Fiorenzuola d’Arda (PC), 9 maggio 2010

89 MV Agusta tre cilindri Conferenza Aisa in collaborazione con

GLSAA-MV Cascina Costa di Samarate (VA), 22 maggio 2010

88 IlFuturismo,lavelocitàel’automobile Conferenza Aisa in collaborazione con

CMAE, Milano, 21 novembre 2009

87 Mercedes-Benz 300SL Tecnica corse storia L. Boscarelli, A. Curami, A. Zana in collaborazione con CMAE Milano, 17 ottobre 2009

Le Monografie AISA

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86 PierUgoeUgoGobbato, dueviteperl’automobile con il patrocinio del Comune di Volpa-

go del Montello, Milano, 14 marzo 2009

85 Jean-Pierre Wimille il più grande prima del mondiale Alessandro Silva in collaborazione con Alfa Blue Team Milano, 24 gennaio 2009

84 Strumento o sogno. Il messaggio pubblicitariodell’automobile inEuropaeUsa1888-1970 Aldo Zana in collaborazione con

CMAE, Milano, 29 novembre 2008

83 La Formula Junior cinquanta anni dopo 1958-2008 Andrea Curami Monza, 7 giugno 2008

82 Alle radici del mito. Giuseppe Merosi, l’AlfaRomeoeilPortello Conferenza Aisa-CPAE, Piacenza, 11 maggio 2008

81 I primi veicoli in Italia 1882-1899 Conferenza Aisa-Historic Club Schio, Vicenza, 29 marzo 2008

80 Automobili made in Italy. Più di un secolo tra miti e rarità Tavola rotonda Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar, Romano d’Ezzelino (VI), 1 marzo 2008

79 Aisa 20 anni 1988-2008 Riedizione della Monografia 1 I progettisti della Fiat nei primi 40

anni: da Faccioli a Fessia di Dante Giacosa Milano, 15 marzo 2008

78 Vittorio Valletta e la Fiat Tavola rotonda Aisa-Fiat Torino, 1 dicembre 2007

77 Dalla Bianchi alla Bianchina Alessandro Colombo Milano, 16 settembre 2007

76 60 anni dal Circuito di Piacenza, debutto della Ferrari Tavola rotonda Aisa-CPAE Palazzo Farnese, Piacenza, 16 giugno 2007

75 Giuseppe Luraghi nella storia dell’industriaautomobilisticaitaliana Tavola rotonda Aisa-Ise Università Boc-

coni, Università Bocconi, Milano, 26 maggio 2007

74 La Pechino-Parigi degli altri Antonio Amadelli Palazzo Turati, Milano, 24 marzo 2007

73 Laverda, le moto, le corse Tavola rotonda Università di Vicenza, 3 marzo 2007

72 100 anni di Lancia Tavola rotonda, Museo Nicolis, Villafranca di Verona (VR), 25 novembre 2006

71 1950-1965. Lo stile italiano allaconquistadell’Europa Lorenzo Ramaciotti, Palazzo dell’Arte,

Milano, 14 ottobre 2006

70 Fiat 124 Sport Spider, 40 anni tra attualità e storia Tavola Rotonda Torino, 21 maggio 2006

69 L’evoluzionedellatecnica motociclistica in 120 anni Alessandro Colombo Milano, 25 marzo 2006

68 Dalle corse alla serie: l’esperienzaPirelli nelle competizioni

Mario Mezzanotte Milano, 25 febbraio 2006

67 Giulio Carcano, il grande progettista della Moto Guzzi

A. Colombo, A. Farneti, S. Milani Conferenza Aisa in collaborazione con

CMAE, Milano, 26 novembre 2005

66 Corse Grand Prix e Formule Libre 1945-1949 Alessandro Silva Torino, 22 ottobre 2005

65 Ascari.Unmitoitaliano Tavola rotonda Milano, 28 maggio 2005

64 Itala, splendore e declino di una marca prestigiosa

Donatella Biffignandi Milano, 12 marzo 2005

63 Piloti italiani: gli anni del boom Tavola Rotonda Autodromo di Monza, 29 gennaio 2005

62 Autodelta, dieci anni di successi Tavola rotonda Arese, Museo Alfa Romeo, 23 ottobre 2004

61 Carlo Felice Bianchi Anderloni: l’uomoel’opera Tavola rotonda Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar Romano d’Ezzelino, 8 maggio 2004

60 I mille giorni di Bernd Rosemeyer Aldo Zana Milano, 20 marzo 2004

59 Moto e corse: gli anni Settanta Tavola rotonda Milano, 29 novembre 2003

58 Le automobili che hanno fatto la sto-ria della Fiat. Progressi della moto-rizzazione e società italiana.

Giorgio Valentini, Lorenzo Boscarelli Milano, 7 giugno 2003

57 Dallacarrozzaall’automobile E. Aspetti, L. Boscarelli, S. Pronti Piacenza, 22 marzo 2003

56 Le moto pluricilindriche Stefano Milani Milano, 30 novembre 2002

55 Carrozzeria Bertone 1912 - 2002 Tavola rotonda Torino, 30 ottobre 2002

54 L’ing.PieroPuricellieleautostrade Francesco Ogliari Milano, 18 maggio 2002

53 Come correvamo negli anni Cinquanta Tavola rotonda Milano, 12 gennaio 2002

52 L’evoluzionedell’auto fra tecnica e design Sandro Colombo Verona, 8 ottobre 2001

51 Quarant’annidievoluzione delle monoposto di formula Giampaolo Dallara Milano, 8 maggio 2001

50 Carrozzeria Ghia Design a tutto campo Tavola rotonda Milano, 24 marzo 2001

49 Moto e Piloti Italiani Campioni del Mondo 1950 Alessandro Colombo Milano, 2 dicembre 2000

48 1950: le nuove proposte Alfa Romeo 1900, Fiat 1400, Lancia Aurelia

Giorgio Valentini Milano, 8 ottobre 2000

47 Comenasceun’automobile negli anni 2000 Tavola rotonda Torino, 23 settembre 2000

46 Maserati 3500 GT una svolta aperta al mondo The Maserati 3500 GT (English text) Giulio Alfieri Milano, 12 aprile 2000

45 Lancia Stratos Pierugo Gobbato Milano, 11 marzo 2000

44 Il record assoluto di velocità su terra Gliannid’oro:1927-1939 Ugo Fadini Milano, 21 ottobre 1999

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43 L’aerodinamica negli anni Venti eTrenta - Teorie e sperimentazioni

Franz Engler Milano, 4 giugno 1999

42 Adalberto Garelli e le sue rivoluzionarie due tempi Augusto Farneti Milano, 17 aprile 1999

41 La Carrozzeria Zagato vista da... Tavola rotonda Trieste, 13 settembre 1998

40 Tenni e Varzi nel cinquantenario della loro scomparsa Convegno Milano, 7 ottobre 1998

39 Ilfuturismoel’automobile Convegno Milano, 16 maggio 1998

38 I fratelli Maserati e la OSCA Tavola rotonda Genova, 22 febbraio 1998

37 Enzo Ferrari a cento anni dalla nascita Tavola rotonda Milano, 18 aprile 1998

36 La Carrozzeria Pininfarina vista da... Tavola rotonda Trieste, 14 settembre 1997

35 Passatoepresentedell’autoelettrica Tavola rotonda Milano, 26 maggio 1997

34 Gli archivi di disegni automobilistici Tavola rotonda Milano, 19 aprile 1997

33 D’Annunzioel’automobile Tavola rotonda Milano, 22 marzo 1997

32 Lancia - evoluzione e tradizione Vittorio Fano Milano, 30 novembre 1996

31 Gli aerei della Coppa Schneider Ermanno Bazzocchi Milano, 26 ottobre 1996

30 Imotoridegliannid’oroFerrari Mauro Forghieri Milano, 24 settembre 1996

29 La Carrozzeria Touring vista da... Tavola rotonda Trieste, 15 settembre 1996

28 75-esimo Anniversario del1°GranPremiod’Italia Tavola rotonda Brescia, 5 settembre 1996

27 RicordodiUgoGobbato1945-1995 Duccio Bigazzi Milano, 25 novembre 1995

26 Intensamente Cisitalia Nino Balestra Milano, 28 ottobre 1995

25 Cesare Bossaglia: ricordi e testimo-nianze a dieci anni dalla scomparsa

Tavola rotonda Milano, 21 ottobre 1995

24 Moto Guzzi e Gilera: due tecniche a confronto Alessandro Colombo Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar,

Romano d’Ezzelino, 7 giugno 1995

23 Le Benelli bialbero (1931-1951) Augusto Farneti Milano, 18 febbraio 1995

22 Tecniche e tecnologie innovative nelle vetture Itala Carlo Otto Brambilla Milano, 8 ottobre 1994

21 I record italiani: la stagione di Abarth Tavola rotonda Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar, Romano d’Ezzelino, 16 aprile 1994

20 Lancia Aurelia Francesco De Virgilio Milano, 26 marzo 1994

19 Battista Pininfarina 1893-1993 Tavola rotonda Torino, 29 ottobre 1993

18 Antonio Chiribiri, pioniere del motorismo italiano Giovanni Chiribiri Milano, 27 marzo 1993

17 Gilera 4 - Tecnica e storia Sandro Colombo Milano, 13 febbraio 1993

16 Tazio Nuvolari tra storia e leggenda Tavola rotonda Milano, 17 ottobre 1992

15 La vocazione automobilistica di To-rino:l’industria,ilSalone,ilMuseo,il design

Alberto Bersani Milano, 21 settembre 1992

14 Pubblicità auto sui quotidiani (1919-1940) Enrico Portalupi Milano, 28 marzo 1992

13 Lanascitadell’Alfasud Rudolf Hruska e Domenico Chirico Milano, 13 giugno 1991

12 Tre vetture da competizione: espe-rienze di un progettista indipendente

Giorgio Valentini Milano, 20 aprile 1991

11 Aspetti meno noti delle produzioni Alfa Romeo: i veicoli industriali Carlo F. Zampini Salazar Milano, 24 novembre 1990

10 Mezzo secolo di corse automobilisti-che nei ricordi di un pilota

Giovanni Lurani Cernuschi Milano, 20 giugno 1990

9 L’evoluzionedelconcettodisicurez-zanellastoriadell’automobile

Tavola rotonda Torino, 28 aprile 1990

8 Teoria e storia del desmodromico Ducati Fabio Taglioni Milano, 25 novembre 1989

7 Archividistoriadell’automobile Convegno Milano, 27 ottobre 1989

6 La progettazione automobilistica primaedopol’avventodelcomputer Tavola rotonda Milano, 10 giugno 1989

5 Il rapporto fra estetica e funzionalità nella storia della carrozzeria italiana Tavola rotonda Torino, 18 febbraio 1989

4 Le moto Guzzi da corsa degli anni Cinquanta: da uno a otto cilindri Giulio Carcano Milano, 5 novembre 1988

3 Maserati Birdcage, una risposta ai bisogni Giulio Alfieri Torino, 30 aprile 1988

2 Alfa Romeo: dalle trazioni anteriori di Satta alla 164

Giuseppe Busso Milano, 8 ottobre 1987

1 I progettisti della Fiat nei primi 40anni: da Faccioli a Fessia

Dante Giacosa Torino, 9 luglio 1987

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Didascalia

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Pilotidell’altromondo Come si correva tanto tempo fa Nuova edizione delle Monografie Nuvolari (16), Varzi (40), Lurani (10) a cura di Aldo Zana

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AISAAssociazione Italiana per la Storia dell’Automobile

AISA è l’associazione culturale che dal 1988 promuove stu-di e ricerche sulla storia e sulla cultura dell’automobile, della moto e di altri mezzi di trasporto. I suoi soci sono persone, enti, associazioni o società che condividono questo interes-se per passione o ragioni professionali. L’obiettivo fondante dell’AISA è la salvaguardia di un pa-trimonio di irripetibili esperienze vissute e di documenti di grande interesse storico.Nella sua attività, l’Associazione ha coinvolto protagonisti di primo piano e testimoni privilegiati del mondo dell’auto e della moto: sono state organizzate conferenze e tavole rotonde, il cui contenuto è registrato nelle Monografie di-stribuite ai soci. La qualità e quantità delle informazioni e dei documenti delle Monografie ne fanno un riferimento di grande valore.

Per diventare soci è sufficiente compilare l’apposita richie-sta sul sito dell’Associazione: www.aisastoryauto.it

©AISA•AssociazioneItalianaperlaStoriadell’Automobile(marzo2018)

Si ringraziano per la collaborazione: Donatella Biffigandi, Rodolfo Gaffino Rossi, il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, FCA Heritage e il Fiat 500 Club Italia

Pubblicazione a cura della Società Editrice Il Cammello, Torino

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AISA • Associazione Italiana per la Storia dell’AutomobileC.so di Porta Vigentina, 32 - 20122 Milano - www.aisastoryauto.it