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GLI EFFETTI TEMPORALI DELLA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA IN MATERIA FISCALE SULLA STABILITÀ DEI RAPPORTI TRIBUTARI NELLA PROSPETTIVA EUROPEA Giangiacomo D’Angelo

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GLI EFFETTI TEMPORALIDELLA GIURISPRUDENZA

COMUNITARIA IN MATERIA FISCALE

SULLA STABILITÀ DEI RAPPORTI TRIBUTARI NELLA PROSPETTIVA EUROPEA

Giangiacomo D’Angelo

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Copyright © MMXARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–3019–6

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: gennaio 2010

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Indice

9 Premessa 15 Capitolo I Il ruolo della Corte di giustizia nell’integrazione

comunitaria e la natura delle sentenze interpretative

1.1. Il ruolo della Corte di giustizia in materia fiscale, 20 — 1.2. Il divie-to di tasse ad effetto equivalente, 25 — 1.3. L’imposizione indiretta: l’IVA, 27 — 1.4. La direttiva 69/335, 30 — 1.5. L’imposizione diretta, 31 — 1.6. Il divieto di aiuti di Stato di carattere fiscale, 31 — 1.7. Il si-stema di tutela giuridica dei diritti comunitari: rimedi nazionali per diritti comunitari, 35 — 1.8. La dicotomia interpretazione / applicazione del diritto comunitario, 38 — 1.9.Abbandono della dicotomia: il giudice na-zionale interprete del diritto comunitario, 44 — 1.10. La natura delle sentenze interpretative della Corte di giustizia, 46 — 1.11. Effetti pro-cessuali ed effetti extraprocessuali. Il vincolo nei confronti del giudice nazionale, 49 — 1.12. Il dovere di stabilità nella giurisprudenza comuni-taria, 50 — 1.13. L’effetto erga omnes dei preliminary rulings, 53 — 1.14. L’efficacia nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, 58 — 1.15. L’obbligo di interpretazione del diritto interno “secondo gli scopi” del diritto comunitario, 60 — 1.16. Giurisprudenza “normativa” ed ef-fetti nel tempo delle sentenze. Precisazioni, 61 — 1.17. Conclusioni al primo capitolo, 68

71 Capitolo II Il problema delle retrospettività delle sentenze

“sulle norme” negli ordinamenti di civil law e di common law

2.1. Tre diversi modelli di limitazione temporale della giurispru-denza, — 2.2. Il Fristsetzung austriaco: la prospettività delle sen-tenze come regola, 80 — 2.3. L’esperienza tedesca: il Bundesver-

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fassungsgericht e le sentenze dell’Unvereinberkeit e dell’Appe-lensheidung, 83 — 2.4. La Corte costituzionale italiana. Tentativi di forzatura e sentenze monito, 88 — 2.5. Il prospective overruling della Supreme Court statunitense. La giurisprudenza realista, 90

105 Capitolo III I limiti temporali alla retrospettività delle sentenze

interpretative previsti nella sentenza stessa

3.1. Il fondamento del potere della Corte di limitare gli effetti nel tempo di una propria sentenza interpretativa, 111 — 3.2. L’evoluzione della giurisprudenza in materia di effetti temporali delle sentenze interpretative, 117 — 3.3. La Corte di giustizia uni-co giudice dell’efficacia delle proprie sentenze, 121 — 3.4. Le gravi conseguenze economiche. L’irrilevanza della situazione fi-nanziaria di uno Stato 125 — 3.5. L’incertezza giuridica, 131 — 3.6. Il dibattito recente nelle conclusioni degli avvocati generali, 136 — 3.7. Il principio di proporzionalità quale limite all’efficacia retro-spettiva di una sentenza. Critica, 139 — 3.8. La prontezza dei con-tribuenti quale criterio da apprezzare per la limitazione temporale di una sentenza, 143 — 3.9. Il rifiuto della Corte di modulare la pro-pria giurisprudenza in tema di effetti temporali dei preliminary ru-lings, 146 — 3.10. Le difficoltà interne di un preliminary ruling “ad effetti limitati nel tempo”, 150 — 3.10.1. Obbligo negativo di inter-pretazione, od interpretazione ad assetto variabile?, 150 — 3.11. Il diritto ad agire in giudizio ex art. 24 Cost. e le sentenze ad efficacia limitata nel tempo, 152 — 3.12. La diligenza del contribuente quale criterio di aggiudicazione del diritto alla restituzione dell’indebito, 155

157 Capitolo IV I limiti interni agli effetti retrospettivi dei preliminary rulings

4.1. I limiti temporali alla ripetibilità dei tributi versati in au-totassazione ed incompatibili con il diritto comunitario, 161 — 4.2. Gli effetti che derivano da un atto di accertamento inoppu-gnabile, 166 — 4.3. Segue l’inoppugnabilità degli atti all’esito dei moduli partecipativi, 170 — 4.4. Gli effetti che derivano da un giudicato tributario. Il problema dell’oggetto del giudicato, 172 — 4.5. Segue il problema del giudicato esterno, 177 — 4.6. Spunti per l’indagine: Inoppugnabilità e giudicato nei confronti dello ius superveniens retroattivo, e delle norme di interpretazione autenti-

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ca, 180 — 4.7. La posizione della giurisprudenza comunitaria. La legittimità comunitaria dei limiti nazionali, 185 — 4.8. La Corte di giustizia rispetta gli istituti interni volti a garantire la certezza del diritto…, 186 — 4.9. …ma in alcuni casi è necessario eliminare gli atti inoppugnabili contrari al diritto comunitario, 189 — 4.10. Il recupero degli aiuti di Stato illegittimi, 193 — 4.11. L’erosione comunitaria della nozione di giudicato (sostanziale), 194 — 4.12. La prospettiva interna, 199 — 4.12.1. I problemi di adeguamento del sistema nazionale, 199 — 4.13. L’atto inoppugnabile contrario al diritto comunitario, 205– 4.14. Il potere di riesame dell’Amministrazione come istituto per la piena attuazione del di-ritto comunitario, 210 — 4.15. Le difficoltà, nella visione del giu-dicato sul rapporto, ad accettare la revocabilità di un giudicato per vizio comunitario, 216

219 Capitolo V 219 Tentativi di ricostruzione di limiti sistematici

all’applicazione retrospettiva delle sentenze della Corte di giustizia

5.1. La centralità del principio della certezza del diritto, 220 — 5.2. La certezza del diritto come chiarezza del diritto applicabile (certezza sincronica), 221 — 5.3. La certezza come (ragionevole) aspettativa di stabilità delle norme applicabili. (certezza diacronica), 224, — 5.4. Interpretazione in malam partem per il contribuente L’affidamento del contribuente, 226 — 5.5. Interpretazione in bonam partem per il contribuente. Equilibrio finanziaziario statale, e finanziamento degli enti subnazionali, 232

241 Conclusioni

La modulazione degli effetti delle sentenze come stru-mento di mediazione tra interessi nazionali ed inte-grazione comunitaria

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Capitolo I

Il ruolo della Corte di giustizia nell’integrazione comunitaria e la

natura delle sentenze interpretative

Muovendo dalle affermazioni più ovvie bisogna costatare come la

Corte di giustizia sia un organo giurisdizionale; il suo agire segue quindi le modalità proprie di tali organi, nel senso che essa normal-mente rende le proprie pronunce solo previa attivazione di un proce-dimento giurisdizionale, e solo al termine di questo procedimento giu-risdizionale fornisce la sentenza. Un intervento quindi che per forza di cose, come tutti gli interventi giurisdizionali, è frammentario, e soprat-tutto legato ― almeno normalmente ― al thema decidendum, ossia alla questione portata alla sua attenzione.

La qualificazione della Corte di giustizia quale organo giurisdizio-nale, che si limita a rendere il diritto a coloro che vi si rivolgono, non rende però giustizia di quello che è stato, e continua ad essere, il suo ruolo. Diffusissima è, infatti, nella letteratura l’idea che l’ordinamento comunitario sia arrivato allo stadio di sviluppo attuale proprio grazie all’azione di propulsione della Corte di giustizia1.

1 In prefazione alla prima edizione del suo volume, The European Union and its Court of

Justice, Oxford, 1999, pag. IX, dedicato integralmente alla Corte di giustizia, Anthony AR-NULL avverte che, «There is a risk that a book devoted entirely to just one of the European Union’s various institutions will give an exaggerated impression of that institution’s impor-tance. In the case of the Court of Justice of the European Communities, that risk is a small one». Peraltro a conferma del ruolo di primo piano svolto dalla Corte si potrebbe citare una

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Capitolo I 16

Buona parte delle ragioni per le quali la Corte ha potuto svolgere questo ruolo risiede senz’altro in ciò che l’assetto istituzionale comu-nitario non prevede, al contrario degli ordinamenti statuali nazionali, una rigida separazione dei poteri istituzionali al suo interno2. In tal guisa alla Corte stessa non si attaglierebbe il ruolo proprio degli orga-ni giurisdizionali quali organi deputati alla sola interpretazione della normazione di produzione legislativa. Al contrario l’architettura istitu-zionale comunitaria, senz’altro originale rispetto alle forme di orga-nizzazione statuale già conosciute, assegnerebbe alla Corte un ruolo

letteratura sulla Corte di giustizia quantomai ampia, tutta unanimemente orientata nel ricono-scerle un ruolo di primazia nel processo di formazione dell’ordinamento comunitario. Per tutti si riporta il celeberrimo passaggio tratto da STEIN, Lawyers, Judges and Making of a Tran-snational Constitution, Am. Jour. Int. Law, 75 (1981) pag. 1: «tucked away in the fairyland Duchy of Luxemburg and blessed, until recently, with the benign neglect by the powers that be and the mass media, the Court of Justice of the European Communities has fashioned a constitutional framework for a federal–type structure in Europe». Ma ancora POLLICINO Legal Reasoning of the Court of Justice in the Context of the Principle of Equality Between Judicial Activism and Self–restraint in German Law Journal, 2005, pag. 284 «Ever since the creation of the European Community, the Court of Justice has not simply been a group of judges with expertise in European law, but has represented one of the real driving forces of European integration. In other words, if today there exists something called E.C. law, with its own particular features, characteristics, and issues, all this is due to the Court’s work». An-cora si potrebbe citare l’attuale giudice della Corte, Antonio Tizzano che in un saggio sul ruo-lo del giudice comunitario nello sviluppo del sistema comunitario, non ha esitato nell’affer-mare che «nessuna altra istituzione comunitaria ha svolto, come la Corte di giustizia, un’azione così incisiva e determinante nel connotare le caratteristiche del sistema comunita-rio, nell’imprimere una straordinaria accelerazione di tale sistema e nell’indirizzarla, in mo-do assolutamente univoco, in direzione del rafforzamento del processo di integrazione» TIZ-ZANO Il ruolo della Corte di giustizia nella prospettiva dell’Unione Europea, in Scritti Pre-dieri, Milano, 1996, III, 1459. Si veda anche BIAVATI La funzione unificatrice della Corte di giustizia delle Comunità Europee, in Riv. Trim. Dir. proc. Civ., 1995,273 ss, CHITI I signori del diritto comunitario: la Corte di giustizia e lo sviluppo del diritto amministrativo europeo, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1991, 796 ss.

2 Per la verità il mito della separazione dei poteri, che la tradizione fa risalire a Monte-squieu nelle recente trattazioni si considera ampiamente superato e non più caratterizzante, ammesso lo sia mai stato, le architetture istituzionali dei singoli Stati. Si veda fin da adesso SILVESTRI, La separazione dei poteri, I, Milano, 1979, id. voce Poteri dello Stato (divisione dei), in Enc. Dir. dove si sostiene che «Negli ordinamenti liberali classici si poteva, con molta buona volontà e qualche forzatura, ridurre i poteri alla triade classica. La crisi definitiva del rapporto necessario forma–sostanza nella teoria delle funzioni ha provocato, da un lato, la disseminazione delle funzioni a tutti i livelli dell’ordinamento, e dall’altro, ha moltiplicato i centri istituzionali essenziali per l’equilibrio del sistema politico–costituzionale». Vedi per ulteriori approfondimenti sul significato dell’espressione “separazione dei poteri” la successi-va nota 85.

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Il ruolo della Corte di giustizia nell’integrazione comunitaria

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che trascende quello di “mero” interprete del diritto comunitario: non si può cioè riportare in sede comunitaria la stessa nozione nazionale di organismo giurisdizionale, con tutte le implicazioni circa la funzione e il ruolo che la giurisprudenza è chiamata a svolgere.

Ma nondimeno si deve constatare come proprio agendo nell’eser-cizio della funzione giurisdizionale, ossia fornendo l’interpretazione del diritto comunitario, la Corte ha saputo allargare l’area di influenza del diritto comunitario e quindi decretarne l’affermazione. Se anche si deve riconoscere alla Corte un ruolo che va oltre la funzione dello ius dicere così come classicamente inteso negli ordinamenti nazionali, non si può ignorare che i mezzi utilizzati dalla Corte per svolgere una tale funzione rimangono tipici di un organismo giurisdizionale, ossia sentenze rese su attivazione di un procedimento giurisdizionale (in via incidentale o in via primaria).

Senza ripercorrere tutta la evoluzione che ha avuto il diritto comu-nitario, basterà osservare che si deve alla Corte la vera e propria “cre-azione”3 di intere categorie del diritto comunitario, che ne hanno se-gnato la definitiva affermazione. Il pensiero corre subito, tra i tantis-simi, al principio del primato del diritto comunitario rispetto al diritto interno4, alla diretta applicabilità delle norme di diritto comunitario5, alla elaborazione del concetto di direttive self–executing6, per arrivare

3 Nessun imbarazzo vi è nella dottrina comunitaria nel parlare di attività creativa da parte della Corte di giustizia di norme giuridiche che vanno al di là della norma scritta. Per tutti MENGOZZI, Il diritto comunitario e dell’Unione Europea, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ. diretto da F. Galgano, vol. XV, Padova 1997, 254.

4 L’affermata prevalenza del diritto comunitario, ormai considerata un a priori in tutte le trattazioni di diritto comunitario, è essa stessa frutto di uno slancio della Corte di giustizia, dal momento che nel testo del Trattato non vi è alcuna menzione sulla prevalenza del diritto di fonte comunitaria su quello nazionale; anzi si ritiene generalmente che il diritto sopranaziona-le possa entrare nel diritto nazionale solo a condizione di recepimento della specifica normati-va. L’aver imposto la prevalenza indiscussa e la diretta applicabilità delle norme di diritto comunitario sul diritto nazionale, è stato allora il frutto di una scelta della Corte.

5 Sent. Van Gend en Loos C–26/62, in cui la Corte affermò per la prima volta che le nor-me del Trattato possono essere fatte valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali quando ga-rantiscano loro un diritto diritto e pongano agli Stati un obbligo così preciso e incondizionato da potersi adempiere senza bisogno di misure di attuazione.

6 Tale giurisprudenza è particolarmente significativa della capacità della Corte di dare at-tuazione concreta ai diritti comunitari, fino al punto di inventarsi qulla fonte del diritto comu-nitario che comunemente oramai è chiamata direttiva “self–executing”, sent. Van Duyn C–41/74. Come noto si tratta di direttive comunitarie, le quali essendo sufficientemente precise ed incondizionate sono idonee a produrre di per sé diritti in capo ai cittadini dell’Unione e

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Capitolo I 18

alle recenti configurazioni delle ipotesi di responsabilità dello Stato7 ― anche per mezzo di propri organi giurisprudenziali8 ― per mancata o inesatta applicazione del diritto comunitario.

Certamente pacifica è l’idea che tutti questi interventi non siano stati necessitati nella giurisprudenza della Corte, ossia non sembra a- quindi a trovare, applicazione diretta ed immediata negli ordinamenti nazionali, fin dal termi-ne assegnato agli Stati per il recepimento all’interno dell’ordinamento nazionale, e prescin-dendo dal fatto che tale recepimento sia avvenuto o meno, o sia avvenuto solo in maniera par-ziale. A leggere il testo dell’art. 249 del Trattato difficilmente si può, almeno secondo una interpretazione piana e letterale che ragionevolmente coordini e giustapponga le nozioni di direttiva a quella di regolamento, pervenire alle conclusioni per le quali la direttiva trova ap-plicazione diretta laddove contenga degli obblighi precisi e sia scaduto il termine assegnato allo Stato per il recepimento; tanto più che il testo dell’art. 249 nello specificare l’obbligo che la direttiva crea in capo allo Stato precisa che resta salva “la competenza degli organi naziona-li in merito alla forma e ai mezzi” che essi decidono di adottare per l’assolvimento di tali ob-blighi. Tuttavia la Corte, partendo da un’ottica di tutela effettiva dei diritti che l’ordinamento comunitario attribuisce ai singoli, non si è fatta scrupolo nel forzare il testo, affermando che «non può essere tollerato che uno Stato opponga il proprio inadempimento ad un cittadino che intenda far valere un diritto di fonte comunitaria… e che pertanto il cittadino è abilitato a far valere i suoi diritti che derivino da una direttiva non implementata dalla Stato». Una simi-le interpretazione evidentemente involge una certa militanza ideologica, nella quale la tutela effettiva di un diritto di fonte comunitaria, ossia l’affermazione concreta della dimensione comunitarie delle tutele spettanti ai singoli prevale sull’organizzazione delle fonti normative comunitarie. Per converso, così facendo la Corte ha proceduto in maniera “eroica” per estirpa-re alla radice il fenomeno della inadempienza da parte degli Stati dell’obbligo di trasporre le direttive. L’introduzione di una fonte siffatta, evidentemente voluta e non frutto di una scelta necessitata che discenda in maniera piana dal testo del Trattato (che invece sembrerebbe de-porre, almeno letteralmente, in altro senso), ha permesso infatti un’accelerazione formidabile dell’adempimento da parte degli Stati degli obblighi di recepimento delle direttive, che ha, a sua volta contribuito in maniera considerevole alla affermazione del diritto comunitario.

7 Responsabilità da parte dello Stato membro, per mancata o inesatta implementazione del diritto comunitario che è stata affermata in maniera netta nella sentenza Francovich e Bo-nifaci Cause riunite C–6/90 e C–9/90. Anche in questo caso è evidente come tale principio discenda da un’elaborazione esclusiva della Corte, che nel caso di specie va a colmare una lacuna esistente nell’ordinamento comunitario il quale contempla esplicitamente prevede una norma in materia di responsabilità degli organismi comunitari, ma tace sulla responsabilità degli Stati membri. Anche qui il principio affermato è volto alla tutela effettiva delle posizioni dei singoli, garantite dall’ordinamento comunitario nuovo, ed è frutto di uno sforzo della Cor-te volto alla sempre maggiore affermazione dello spazio del diritto comunitario.

8 Il riferimento è ovviamente a quella giurisprudenza della Corte di giustizia affermata nel caso Köbler C–224/01, e ribadita nella sentenza Traghetti del Mediterraneo C–173/03. Una giurisprudenza del genere, anche qui senz’altro “creativa” e del tutto nuova rispetto alle tradi-zioni giuridiche nazionali — dove il principio della libera interpretazione del giudice sembra godere di margini piuttosto ampi, e nel caso dell’ordinamento italiano trova il suo limite solo nella colpa grave o dolo del giudice — con una facile previsione è destinata a causare una sensibilizzazione senza uguali sulle tematiche comunitarie da parte dei giudici nazionali.

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Il ruolo della Corte di giustizia nell’integrazione comunitaria

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vere pregio l’affermazione che essi, pur non trovando sicuro appiglio normativo all’interno del Trattato, rappresentino la traduzione obbli-gata di quello che è il senso dell’ordinamento comunitario. È evidente, infatti, che l’introduzione di queste scelte sia stata voluta dalla Corte stessa che, colmando una lacuna, o interpretando un testo del Trattato piuttosto plastico, ha finito per spostare sempre più in avanti l’area di influenza della dimensione giuridica comunitaria. La dottrina non ha esitato nell’individuare in tal senso un ruolo “creativo” della Corte di giustizia, che di fronte alle resistenze e alle lungaggini connaturate al sistema istituzionale di produzione della normativa comunitaria ha preso iniziative di propulsione “creando” la normazione concreta di diritto comunitario, quale interpretazione del diritto già vigente9. In questa prospettiva l’intervento della Corte non solo ha consolidato i risultati raggiunti dal negoziato politico ― che soprattutto in materia fiscale si è rivelato sempre particolarmente ostico per la naturale ritro-sia degli Stati a cedere quote della propria sovranità impositiva ― ma è andata molto oltre, incidendo in modo significativo sul sistema delle fonti, sui rapporti fra norme comunitarie e norme interne, e sulla stes-sa ripartizione delle competenze fra Comunità e Stati membri.

Si potrebbero sprecare esempi di giurisprudenza della Corte, che pur in funzione di organo giurisdizionale, riesce ad intervenire nelle dinamiche del diritto comunitario in maniera unica tra le istituzioni comunitarie, ampliando notevolmente lo spazio di influenza del diritto europeo sul diritto interno. Dove gli organi politici avvertono ritardi e stentano a portare in avanti il processo di integrazione, la giurispru-denza della Corte fa da apripista e segna il cammino di tale integra-zione10.

9 La letteratura sull’attivismo giudiziario della Corte di giustizia è molto vasta. Per un pe-riodo infatti ha serpeggiato in una certa dottrina l’idea che la Corte di giustizia avesse supera-to i limiti dell’azione giudiziaria per entrare in vere e proprie valutazioni politiche. In questo senso estremamente provocatoria è l’intera opera di RASMUSSEN On law and policy in the Eu-ropean Court of Justice: A comparative study in judicial policymaking, Dordrecht, Boston, 1986, dove l’autore mette in evidenza proprio l’emergere del ruolo politico della Corte dinan-zi all’incapacità di produzione normativa degli organi a ciò istituzionalmente deputati. Per una critica all’opera di Rasmussen, si veda CAPPELLETTI Is the European Court of Justice Running Wild?, 12 Eur. L. Rev. 3 (1987).

10 Peraltro, ma in questa sede è solo il caso di segnalarlo, secondo una certa dottrina un simile ruolo propulsivo non si arresta alla promozione ed espansione del diritto comunitario così come delineato dalla normazione vigente, ma la Corte di giustizia ha giocato un ruolo

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Capitolo I 20

1.1. Il ruolo della Corte di giustizia in materia fiscale

Corre l’obbligo quindi di chiarire, preventivamente, quello che la dottrina considera essere il ruolo della Corte di giustizia nel processo di formazione della dimensione comunitaria del diritto tributario. È necessario cioè interrogarsi sull’importanza del giudice del Lussem-burgo in materia di fiscalità comunitaria, e in particolare chiedersi se sia lecito riconoscere alla Corte quel ruolo di referente ineludibile per il processo di formazione del diritto tributario europeo, o se piuttosto non sia più utile rivolgersi ad altri attori della fiscalità comunitaria per individuarne i propulsori ed i regolatori. In altri termini bisogna veri-ficare se la giurisprudenza comunitaria abbia un’importanza tale nel processo di costruzione e di definizione della fiscalità comunitaria da giustificare un’analisi accurata dei suoi mezzi di intervento ed in par-ticolare della sentenza interpretativa.

In effetti in alcune trattazioni sembra che alla Corte di giustizia debba attribuirsi un ruolo di secondo piano nello sviluppo della fiscali-tà comunitaria, essendo questo guidato principalmente da altre istitu-zioni comunitarie11.

Ma, a chi scrive, pare che debba essere condivisa al contrario quel-la impostazione assolutamente prevalente che assegna alla Corte di giustizia un ruolo di primo piano nello specifico settore della fiscalità comunitaria ― sia che si prenda a riferimento il settore dell’impo-

fondamentale nella “costituzionalizzazione” del Trattato laddove per costituzionalizzazione deve però intendersi la creazione di un’entità sopranazionale diversa da un’organizzazione internazionale classicamente intesa, ma comunque non coincidente — o quantomeno non an-cora — con la nozione di Stato Federale. Si ritiene cioè che la Corte abbia tentato in diverse occasioni di rompere gli argini dell’interpretazione meramente giuridica per andare ad influire nella “political question”, ossia per affermare la propria voce in materia di assetto istituzio-nal–politico che l’Unione Europea. Evidentemente questo tipo di problematiche non è confe-rente con un’analisi di tipo giuridico, ma si ritiene di doverla segnalare come sintomo estremo dell’attivismo a tutto campo della Corte di giustizia.

11 Si veda TRAVERSA Eduardo La fiscalità comunitaria in L’Unione Europea. Principi – Istituzioni – Politiche – Costituzione, Bologna, 2005 che inizia la sua trattazione affermando proprio che «gli attori istituzionali dello sviluppo della fiscalità comunitaria sono nell’ordine di importanza della loro partecipazione, la Commissione, la Corte di giustizia e il Consiglio». relegando quindi la Corte di giustizia ad una posizione di secondo piano rispetto alla Com-missione.

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Il ruolo della Corte di giustizia nell’integrazione comunitaria

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sizione diretta, sia che si rivolga la propria attenzione al settore del-l’imposizione diretta.

Come si accennava anche nelle premesse, nelle trattazioni che si occupano dell’evoluzione del complesso dell’ordinamento tributario comunitario sembra assolutamente dominante l’idea che la Corte di giustizia debba essere considerata il vero e proprio traino dell’allarga-mento della sfera di influenza del diritto comunitario al settore della fiscalità, e che in assenza dell’intervento del giudice comunitario, probabilmente gli Stati membri avrebbero continuato a percepire la dimensione comunitaria come sostanzialmente poco influente sul-l’ordinamento tributario interno, e quindi in definitiva sul potere impositivo.

L’idea che sembra essere condivisa è cioè quella in base alla quale se dal quadro generale dell’ordinamento comunitario si sposta l’attenzione sullo specifico ambito della fiscalità comunitaria, la valu-tazione circa il ruolo fondamentale che la Corte svolge non possa cam-biare. Anzi, si può forse ritenere che proprio la fiscalità ― ed in partico-lare il settore della fiscalità diretta — sia il settore in cui l’intervento della Corte abbia manifestato con maggiore evidenza, per una congerie di situazioni sulle quali sarà necessario soffermarsi, la propria centralità, e dove l’attività giudiziaria della Corte si evidenzia particolarmente per la sua capacità di modellare i tratti fondamentali di una fiscalità comunitaria che prende forma solo con il passare degli anni.

Per trovare le radici di tale intervento della Corte di giustizia, biso-gna allora in un’ottica sistematica che muove dal testo legislativo, par-tire dalla constatazione che il Trattato sull’Unione Europea, pur volto alla creazione di un Mercato Interno, che postula quindi la rimozione di tutti gli ostacoli al suo interno ― ostacoli che possono essere anche e soprattutto di tipo fiscale — non ha dedicato grande attenzione alle questioni fiscali; pur essendo chiaramente intuibile che gli ostacoli al-la piena implementazione di un Mercato Unico possono essere anche e soprattutto ostacoli di tipo fiscali legati alla coesistenza di 27 sistemi fiscali differenti all’interno della Unione.

Pochi però sono gli articoli dedicati in maniera specifica a questioni fiscali, e inoltre, almeno secondo la lettera del Trattato, il processo di integrazione in materia di normazione fiscale dovrebbe avere assetti di-versi a seconda degli ambiti impositivi che si prendono a riferimento.

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Capitolo I 22

Così l’integrazione comunitaria12 dovrebbe avvenire in materia di imposizione indiretta per il tramite di una “armonizzazione”13 delle legislazioni nazionali, mentre nel settore dell’imposizione diretta te-stualmente si potrebbe fare ricorso ad un “ravvicinamento”14 delle le-gislazioni funzionale alla creazione di un Mercato Interno. La Com-missione Europea poi sembra ritenere che, da un punto di vista politi-co, in materia di imposizione diretta la migliore strategia possibile sia quella di un “coordinamento”15 dei vari sistemi fiscali.

12 In generale sull’integrazione comunitaria vedi COSCIANI, Problemi fiscali del mercato

comune, Milano, 1958; CROXATTO, Armonizzazione fiscale e mercato unico europeo, in Le società, 1990, p. 105 ss.; RUSSO — CORDEIRO GUERA, L’armonizzazione fiscale nella Comu-nità Europea, in Rass. trib., 1990, p. 628 ss.; CECAMORE, Armonizzazione, in Rass. trib., 1988; AA.VV., Aspetti fiscali del completamento del mercato interno europeo, a cura di A. MAJOCCHI, G. TREMONTI, Milano 1990; AA.VV., Sistemi fiscali e integrazione europea, Ri-cerca Prometeia coordinata da F. Cavazzuti e S. Giannini, Bologna, 1991; AAVV. Lo stato della fiscalità nell’Unione Europea, a cura di A. Di Pietro; GALLO Ordinamento comunita-rio e principi fondamentali tributari, Napoli, 2006, SACCHETTO Il diritto comunitario e l’ordinamento tributario italiano, in Dir. Prat. Trib. Int., 2001, I, 3, id. L’armonizzazione nel-la comunità europea, in Dir. Prat. Trib., 1989,564.

13 L’art. 93 (ex art. 99) del Trattato, infatti, recita che «Il Consiglio, deliberando all’u-nanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, adotta le disposizioni che riguardano l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari, alle imposte di consumo ed altre impo-ste indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno entro il termine previsto dall’art. 14».

14 Infatti l’art. 94 (ex art. 100) del Trattato afferma che: «Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposi-zioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati Membri che abbiano un’in-cidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune».

15 Cfr. Comunicazione della Commissione Politica fiscale dell’Unione europea – Priorità per i prossimi anni [COM (2001) 260] disponibile sul sito web della Commissione Europea http://www.ec.europa.eu. Peraltro per una distinzione tra Coordinamento e Armonizzazione si rinvia a AUJEAN Le fonti europee e la loro efficacia in materia tributaria, tra armonizzazione, coordinamento e concorrenza fiscale leale, in Per una Costituzione fiscale europea, atti del Convegno tenutosi a Bologna nell’ottobre 2005, in cui l’autore afferma che «L’armo-nizzazione consiste nell’introduzione di un corpus di legislazione comune all’interno delle legislazioni nazionali (come, per esempio, è accaduto con la sesta direttiva IVA). Il coordi-namento, invece, non incide sulle legislazioni a livello nazionale, ma le rende compatibili con il Trattato e tra loro. Tali obiettivi possono essere raggiunti, con accordi non giuridicamente coercitivi (soft law), ma anche, in certi casi, tramite direttive». Sul coordinamento si veda MELIS Coordianmento fiscale nell’Unione europea, in Enc. Dir., Annali I, Milano, 2007, 397.

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Queste differenze, che a prima vista sembrano importare delle ef-fettive divergenze a seconda del settore della fiscalità, vengono però piuttosto svalutate dalla dottrina16 che sembra propendere per un supe-ramento di simili distinzioni, concludendo per l’esistenza di differenze di natura per lo più terminologiche, o comunque talmente evanescenti da non poter fondare una diversa impostazione quanto alla direttrice da seguire in materia di integrazione delle normative fiscali.

Con ciò, però, non si nega la necessità di distinguere in maniera netta tra unificazione e/o uniformazione dei sistemi fiscali da un lato ― che si avrebbe allorquando ci siano imposte che trovano la loro re-golamentazione esclusivamente o comunque prevalentemente in fonti comunitarie — e armonizzazione, ravvicinamento e coordinamento dall’altro. Anche se dal punto di vista della realizzazione di un effetti-vo mercato unico senza ostacoli di alcun genere al suo interno, l’armonizzazione probabilmente risulterebbe insufficiente ― risultan-do necessaria una vera e propria unificazione — allo stadio attuale gli strumenti giuridici del diritto comunitario sembrano permettere “solo” questa alternativa. È quindi sulla strada della armonizzazione ― o ravvicinamento, o ancora coordinamento ― che si è in larga misura sviluppata fino ad oggi la fiscalità comunitaria, cui come si vedrà nel corso del presente lavoro la giurisprudenza ha contribuito notevol-mente.

Ma lo stesso tema dell’armonizzazione, che fa da leit motif in quasi tutte le trattazioni di fiscalità comunitaria, e che sembrerebbe essere lo

16 Per tutti SACCHETTO voce Armonizzazione fiscale nella Comunità europea, in Enc.

giur. Treccani, Roma, 1994, III, 1 «alternativi al termine armonizzazione sono a volte quelli di ravvicinamento e coordinamento. Questi termini sono rinvenibili nelle norme comunitarie per definire il procedimento dell’integrazione comunitaria secondo un indirizzo che non sia l’immediata applicazione del diritto comunitario. La dottrina tende inoltre ad interpretarli nello stesso modo e a non attribuire loro effetti diversi dalla integrazione legislativa anche se sussistono differenziazioni dovute sia all’oggetto delle procedure, che in rapporto ai poteri di cui gli organi della CEE dispongono nei vari settori». Tuttavia in uno scritto recente lo stesso Autore deriva il concetto di coordinamento dall’art. 4 del Trattato, andandolo ad identificare in una “generica attività di convergenza minima dei sistemi, degli istituti e delle norme ap-partenenti a ordinamenti diversi” e affermando che “Espressione normativa di questo coor-dinamento sono ad es. l’armonizzazione fiscale ed i ravvicinamento delle legislazioni tributa-rie degli Stati membri.” Cfr. SACCHETTO Efficacia del coordinamento degli ordinamenti della Corte di giustizia, Relazione tenuta al Convegno Sovranità fiscale tra integrazione e de-centramento, Ravenna 12–13 ottobre 2006, p. 2 del dattiloscritto.

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strumento con il quale procedere nel cammino dell’integrazione dei sistemi fiscali europei, non è comprensivo di tutte le manifestazioni dell’incidenza dell’ordinamento comunitario sui sistemi fiscali nazio-nali. Infatti, indipendentemente dalle misure di normazione comunita-ria secondaria che in maniera positiva hanno cercato di porre delle ba-si normative per un’armonizzazione, la Corte di giustizia ha comun-que svolto un lavoro di espansione del significato e degli effetti di al-cuni articoli del Trattato elaborando, e quindi ampliando, quelli che si sono rivelati dei veri e propri limiti alla potestà impositiva degli Stati nazionali derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea.

1.2. Il divieto di tasse ad effetto equivalente

Tra i primi filoni che hanno caratterizzato l’intervento della Corte di giustizia in materia fiscale senz’altro c’è da annoverare tutta la giu-risprudenza della Corte in materia di “tasse ad effetto equivalente” ai dazi doganali, e di prelievi interni discriminatori. È quantomai utile cominciare la ricognizione del ruolo delle sentenze della Corte in ma-teria fiscale dalle pronunce che appartengono a tale filone, in quanto proprio con riferimento a tale giurisprudenza è possibile comprendere due aspetti fondamentali che caratterizzano poi tutta la giurisprudenza della Corte in materia fiscale: il ruolo “creativo” della Corte di giusti-zia che ha come suo corollario l’affermazione di un diritto tributario comunitario di fonte, essenzialmente, giurisprudenziale; e la forza e-spansiva connaturata in una pronuncia pregiudiziale, in considerazione degli effetti che questa ha sull’intero sistema impositivo interno.

Come noto infatti, dall’instaurazione di un’unione doganale di-scende in maniera diretta la soppressione di dazi doganali all’esporta-zione e all’importazione dei prodotti, o di misure, anche fiscali, che hanno effetto equivalente. Ancorché il Trattato taccia sul significato da attribuire all’espressione “tassa di effetto equivalente”, la Corte di giustizia si è sforzata di precisare i contorni di tale concetto, che deve quindi ritenersi concetto comune di diritto comunitario, andando a precisarne i confini nel corso degli anni.

Secondo tale giurisprudenza si tratta di quegli oneri pecuniari, di-versi dai diritti doganali propriamente detti, anche minimi, imposti u-

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nilateralmente (qualunque sia la loro denominazione, la loro tecnica, il fine in vista del quale sono stati istituiti, la destinazione del gettito), che colpiscono le merci nazionali o straniere in quanto attraversino la frontiera, anche nei casi in cui non vengono percepiti a profitto dello Stato, e non esercitino alcun effetto discriminatorio o di protezione di un prodotto nazionale, in quanto il prodotto tassato non si trova in concorrenza con la produzione nazionale.17 La Corte è pervenuta a questa definizione collegando teleologicamente il divieto di simili im-posizioni all’esigenza di libera circolazione delle merci all’interno del Mercato unico, garantita dall’art. 93 del Trattato, ed è proprio un simi-le collegamento teleologico che– ha portato la Corte ad estendere ben al di là del dato letterale la portata del divieto di tasse equivalenti. Se si esamina attentamente il testo degli articoli 23, 1 c., e 25 del Trattato si può notare come questo divieto sia da ricondurre esclusivamente al commercio “fra gli Stati Membri”. Un’interpretazione letterale, del te-sto avrebbe potuto quindi indurre a tenere fuori dal divieto di tasse ad effetto equivalente tutte le imposte che gravano sugli scambi “interni” ai singoli Stati. Ma questa non è stata la lettura consegnata agli opera-tori dal giudice del Lussemburgo, dal momento che la Corte, forzando il dato letterale, è pervenuta a dichiarare illegittimi parimenti le impo-sizioni fiscali interne che hanno come presupposto l’attraversamento di una frontiera territoriale, anche interna al singolo Stato18.

Da questa precisazione, l’attenzione del tributarista si rivolge subi-to al ruolo della fiscalità regionale o comunque sub statale: ed è evi-dente che simili statuizioni stabiliscono in maniera definitiva il coin-

17 Rimanendo alla dottrina italiana si cfr. MURATORI, Sulla nozione di “tassa d’ effetto

equivalente” ad un dazio doganale in Dir. Prat. Trib. 1970, p. 958, oppure dello stesso autore Les taxes d’effet equivalant a des droits de douane — le tasse di effetto equivalente a diritti doganali anche questo in Dir. Prat. Trib. 1980, più di recente poi ARMELLA Osservazioni in materia di tasse di effetto equivalente, divieto di discriminazione e ripetizione dell’indebito in Riv. Dir. Trib. 1996, pp. 312–331. Da ultimo con riferimento alla tassa sul marmo del Comu-ne di Carrara ALFANO, Tasse di effetto equivalente e libera circolazione delle merci all’interno del territorio dello Stato membro, Riv. Dir. Trib., 2005, III, pp. 65 nota redaziona-le a Carbonati Apuani C–72/03.

18 Sent. Legròs C–163/90, punto 16 «un’ imposta riscossa ad una frontiera regionale per il fatto dell’introduzione di beni in una regione di uno Stato membro costituisce un ostacolo alla libera circolazione delle merci di gravità almeno pari a quella di un’ imposta riscossa alla frontiera nazionale a causa dell’introduzione dei prodotti nel complesso del territorio di uno Stato membro».

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volgimento della fiscalità regionale al rispetto dei limiti che derivano dall’ordinamento comunitario.

Non si vuole in questa sede discutere della condivisibilità o meno delle statuizioni della Corte di giustizia sia in termini di innovatività che in termini di allargamento della sfera di operatività, ma semplicemente porre in evidenza il duplice ruolo di creazione e di allargamento della sfera di influenza dei limiti comunitari alla potestà impositiva che de-ve essere riconosciuto alla giurisprudenza della Corte di giustizia. 1.3. L’imposizione indiretta: l’IVA

Come noto, il settore dell’imposizione indiretta è il settore che per

primo ha formato oggetto di intervento dal parte del diritto comunita-rio, essendo esplicitamente previsto dall’art. 93 (ex art. 99) del Tratta-to l’adozione di disposizioni che riguardino l’armonizzazione delle le-gislazioni relative all’imposta sulla cifra d’affari, alle imposte di con-sumo ed altre imposte indirette. Pertanto tra i primi provvedimenti emanati in attuazione dell’art. 93 vi sono state senz’altro le direttive in materia di Imposta sul Valore aggiunto, direttive volte tutte alla crea-zione di un sistema unico di imposizione sul valore aggiunto all’interno dei singoli Stati, con l’introduzione di un’unica imposta che proprio per questo ha assunto ormai correntemente nella letteratu-ra tributaristica il nome di tributo europeo o, con diversa ma equiva-lente dizione, imposta comunitaria.

Nessuno dubita che le direttive nel loro complesso tendono alla creazione di un sistema comune europeo di imposizione sul valore ag-giunto, ma corre l’obbligo di rilevare che, a dispetto di una comune matrice comunitaria, l’iva non ha trovato da subito una omogenea im-plementazione da parte di tutti gli Stati membri.

Il meccanismo applicativo dell’imposta, che si presentava nuovo alla maggior parte degli Stati membri, e i suoi caratteri di generalità, neutralità e proporzionalità non sono stati compresi a fondo fin dall’approvazione delle direttive e quindi dall’implementazione all’in-terno dei singoli stati; ciò ha condotto inevitabilmente alla nascita di un’imposta che ancorché armonizzata al livello europeo, veniva im-plementata in maniera affatto differente all’interno dei singoli sistemi

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fiscali dei diversi Stati Membri. Si era in presenza, e la situazione at-tualmente non può dirsi affatto diversa, di tante iva quanti sono i Paesi europei. Prendendo quindi atto della realtà che vedeva da un lato l’idea di imposta armonizzata affermata nelle disposizione delle Diret-tive, e dall’altro innumerevoli asimmetrie tra sistemi impostivi degli Stati membri, la Corte di giustizia ha assunto su di sé la responsabilità di enucleare19, in chiave funzionalmente collegata alla creazione del sistema comune comunitario dell’imposizione sul valore aggiunto, i principi ispiratori dell’iva andando a consegnare agli operatori una vi-sione sistematica e funzionale del tributo sul valore aggiunto, sia negli aspetti sostanziali che riguardano i vari meccanismi applicativi del tri-buto (si pensi alla nozione di soggetto passivo, o ancora alle categorie comunitarie di cessione di beni e prestazioni di servizi, o ancora al di-ritto alla detrazione che caratterizza l’originalità dell’imposta etc..) sia in quelli procedimentali (si pensi al diritto al rimborso, o ancora agli obblighi di fatturazione e conservazione della documentazione) o di attuazione del tributo. Un simile approccio da parte della Corte di giu-stizia non deve stupire minimamente dal momento che esiste un lega-me ermeneutico inscindibile tra normazione nazionale di recepimento, e dimensione comunitaria del tributo sul valore aggiunto. Le norme nazionali in materia di imposta sul valore aggiunto devono essere con-siderate quali norme di implementazione di direttive comunitarie, e ciò porta univocamente a riconoscere alla Corte di giustizia un ruolo di referente ineludibile per la comprensione non solo degli aspetti fon-damentali e sistematici dell’iva nazionale, ma anche per l’elabora-zione all’interno dei singoli tributi di concetti e categorie proprie della dimensione comunitaria del tributo.

Fatte queste premesse è agevole verificare l’indubbia consistenza numerica delle pronunce della Corte di giustizia in materia di iva, e l’ampiezza delle statuizioni contenute in alcune di esse, laddove la Corte offre non solo l’interpretazione puntuale della disposizione, ma anche chiavi di lettura utilizzabili per l’intero sistema iva.

19 COMELLI, Iva comunitaria ed iva nazionale, Padova 2000, 283 ss.. L’autore denuncia, tra le cause del ritardo che la dottrina tributaristica italiana sconta in materia di elaborazione del sistema iva, la scarsa attenzione prestata alla dimensione comunitaria del tributo ed in par-ticolare alla giurisprudenza della Corte di giustizia, che nella manualistica, salvo sporadiche eccezioni, non veniva considerata come fonte del diritto comunitario.

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Basti citare in proposito la giurisprudenza sul principio di neutrali-tà20 dell’imposizione IVA ― unanimemente riconosciuto come cardi-ne della imposizione IVA ― che ha come corollario quello della ne-cessaria interpretazione ampia della nozione di attività imponibile, e restrittiva delle esenzioni21; oppure i principi in materia di divieto di tributi aventi le stesse caratteristiche essenziali dell’IVA22 ― che co-me noto costituiscono una delle principali restrizioni alla sovranità impositiva degli Stati membri in materia di imposizione indiretta — oppure ancora, per rifarci ai recenti sviluppi, all’elaborazione della nozione di “abuso del diritto”23 ― nozione evidentemente non conte-nuta nella Direttiva ― quale limite non scritto, all’applicazione della Direttiva stessa, e quindi della normativa nazionale.

Tutti questi principi innegabilmente hanno permesso la ricostruzio-ne del tributo e la sua sistemazione ordinata all’interno di un sistema di carattere comunitario con una propria coerenza intrinseca e con una sua funzione ben determinata24.

20 Principio di neutralità che in base alla giurisprudenza della Corte può essere inteso in

un duplice profilo: da un alto neutralità esterna dell’imposta ossia neutralità dell’imposizione intesa come inidoneità dell’imposta ad alterare il gioco della concorrenza tra operatori eco-nomici; e dall’altro come neutralità interna alle dinamiche stesse dell’imposta dove la neutra-lità viene assicurata dal peculiare meccanismo di rivalse e detrazioni peculiare dell’iva e che necessità di aggiustamenti in caso di operazioni esenti e/o escluse. Quanto al primo profilo (neutralità concorrenziale) si può fare riferimento alle sentenze Hong Kong Trade C–89/81, Bergandi 252/86, Kerrut C–73/85, Lange C–11/92, Van Tiem C–186/89, per una diversa ac-cezione del concetto di neutralità Wellcome Trust C–155/94.

21 La neutralità esterna, ossia la non alterazione da parte dell’iva della leale concorrenza tra gli operatori, è garantita anche dalla applicazione generalizzata del tributo, laddove quindi al fine di garantire la parità concorrenziale bisogna assicurare un’applicazione dell’imposta quanto più ampia possibile per le operazioni di carattere economico.

22 Proprio in materia di divieto di tributi che duplicassero il tributo sul valore aggiunto la Corte ha avuto modo di chiarire quali sono le caratteristiche essenziali dell’iva, ovvero un’imposta i) generale, nel senso che si applica in maniera generalizzata a tutte le operazioni commerciali; ii) proporzionale rispetto ai beni e ai servizi; iii) la cui riscossione si verifica in ciascuna fase del processo di produzione, e iv) che colpisce solo il valore aggiunto dei beni e dei servizi. Si cfr. Dansk Denkavit e Poulsen Trading C–200/90.

23 Cfr. Optigen C–354/03, e più di recente Halifax C–252/02. 24 Proprio partendo dal carattere europeo del tributo sul valore aggiunto, e quindi dal co-

spicuo materiale normativo a disposizione, alcuni autori hanno assegnato alla Corte di giusti-zia in materia di IVA una funzione “riproduttiva”, ossia chiarificatrice del significato di testi normativi che nel loro insieme costituiscono un quadro ordinamentale compiuto. Ciò in quan-to la giurisprudenza in materia di IVA sarebbe basata sull’interpretazione del testo di diverse direttive che dovrebbero avere un carattere di organicità e coerenza. Pare di capire che la giu-

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Ma al fianco della ricostruzione dell’imposta nei suoi profili essen-ziali, la Corte di giustizia ha dimostrato di voler anche intervenire su aspetti specifici della normazione della vicenda tributaria, quali il si-gnificato ed i limiti delle diverse formalità applicative, o la natura del diritto al rimborso dell’imposta, oppure l’ampiezza delle singole esen-zioni. Nel fare ciò la Corte ha proceduto alla precisazione e all’elabo-razione di concetti comunitari, che hanno permesso di comprendere con dettaglio i singoli aspetti della normativa iva i cui contorni sareb-bero stati tratteggiati in maniera differente da ciascuna giurisdizione degli Stati Membri. Proprio da quest’ultima attività, con minor valore sistematico in termini di teoria generale dell’imposta sul valore ag-giunto, ma di definizione dettagliata della disciplina iva, discende for-se il ruolo attivo della Corte di giustizia che ne rende fondamentali le statuizioni anche in termini di applicazione quotidiana dell’imposta all’interno dei singoli stati nazionali25. Un’attività che chiarendo i sin-goli aspetti dell’imposizione sul valore aggiunto non può che far as-surgere la Corte a referente immediato per la tutela delle posizioni giuridiche che si intendono far valere.

Non può quindi che dedursi la fondamentale importanza della giu-risprudenza della Corte di giustizia per la comprensione della fiscalità comunitaria, valorizzando gli aspetti di elaborazione di principi rico-struttivi del tributo e la capacità della Corte di imporsi quale referente diretto per la costruzione, comprensione e l’evoluzione di un disegno specifico e puntuale dell’Imposta sul Valore Aggiunto.

In definitiva la Corte non ha svolto solo il ruolo nomofilattico del diritto comunitario, ma ha senz’altro estratto dalla Direttiva la regola-mentazione della Imposta sul Valore Aggiunto da leggere in chiave ordinata ed attuale.

risprudenza viene perciò definita “riproduttiva” e/o con diversa dizione “ricognitiva”, in con-trapposizione alla giurisprudenza chiaramente “creativa” nel settore dell’imposizione diretta. BORIA Diritto tributario europeo, Milano 2006, p. 123.

25 Si pensi alla giurisdizione della Corte in merito all’ampiezza del diritto alla detrazione o alla definizione specifica delle operazioni da intendersi “esenti”. È chiaro che la precisazio-ne dei confini di tali concetti influisce in maniera concreta ed immediata su quelli che sono i diritti e gli obblighi dei singoli contribuenti.