il concetto di natura in bioetica - diocesi di verona · 2013-03-25 · cercando con ciò di...

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1 G:\Cultura\Contributi sito vicario\TESINA_Il concetto di natura in bioetica - non corretta.doc IL CONCETTO DI «NATURA UMANA» IN BIOETICA Mons. Giancarlo Grandis Vicario Episcopale per la Cultura, lUniversità e il Sociale Diocesi di Verona Articolo pubblicato in «La coppia giovane» 16/3 (2003) 8-14. e in «La coppia giovane» 17/1 (2004) 7-16. «Chiunque si pone il problema di un’etica naturale, presuppone già con questo solo termine che esista “la natura” dell’uomo; ma che cosa significa, se applicato all’uomo, un concetto apparentemente così chiaro come quello di natura?» (ROMANO GUARDINI) «Sono pessimista sulla sorte della razza umana perché essa ha troppo più ingegno di quanto ne occorra al suo benessere. Noi ci accostiamo alla natura solo per sottometterla. Se ci adatassimo a questo pianeta e lo apprezzassimo, invece di consideralo in modo scettico e dittatoriale, avremmo migliori probabilità di sopravvivere» (ELWYN BROOKS WHITE) 0. Introduzione Una riflessione sulle implicazioni di carattere antropologico e giuridico delle questioni riguardanti oggi la bioetica non può prescindere dall’affrontare una domanda preliminare che risulta quanto mai cruciale e decisiva per fondare e argomentare i giudizi etici di liceità e non liceità degli interventi tecnico/sperimentali sull’uomo: la domanda se esista o non esista una «natura umana» codificabile razionalmente da cui trarre una «legge naturale», culturalmente elaborabile, la quale ha poi i suoi riflessi sull’ambito del «diritto naturale». Di fronte allo sfondamento etico che la sperimentazione scientifica e le biotecnologie hanno oggi progressivamente operato sul versante della corporeità umana, il permanente interrogativo della storia del pensiero su chi è l’uomo e in modo specifico quale valenza di senso abbia il corpo umano s’impone in modo sempre più pressante. A partire dall’affermazione se sia data o non data una «natura umana» discendono due primati in bioetica che appaiono subito tra loro irriducibili se non addirittura opposti: il

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1 G:\Cultura\Contributi sito vicario\TESINA_Il concetto di natura in bioetica - non corretta.doc

IL CONCETTO DI «NATURA UMANA» IN BIOETICA

Mons. Giancarlo Grandis Vicario Episcopale per la Cultura, l’Università e il Sociale

Diocesi di Verona

Articolo pubblicato in «La coppia giovane» 16/3 (2003) 8-14.

e in «La coppia giovane» 17/1 (2004) 7-16.

«Chiunque si pone il problema di un’etica naturale, presuppone

già con questo solo termine che esista “la natura” dell’uomo;

ma che cosa significa, se applicato all’uomo, un concetto

apparentemente così chiaro come quello di natura?»

(ROMANO GUARDINI)

«Sono pessimista sulla sorte della razza umana perché essa ha

troppo più ingegno di quanto ne occorra al suo benessere. Noi ci

accostiamo alla natura solo per sottometterla. Se ci adatassimo

a questo pianeta e lo apprezzassimo, invece di consideralo in

modo scettico e dittatoriale, avremmo migliori probabilità di

sopravvivere»

(ELWYN BROOKS WHITE)

0. Introduzione

Una riflessione sulle implicazioni di carattere antropologico e

giuridico delle questioni riguardanti oggi la bioetica non può

prescindere dall’affrontare una domanda preliminare che risulta

quanto mai cruciale e decisiva per fondare e argomentare i giudizi

etici di liceità e non liceità degli interventi tecnico/sperimentali

sull’uomo: la domanda se esista o non esista una «natura umana»

codificabile razionalmente da cui trarre una «legge naturale»,

culturalmente elaborabile, la quale ha poi i suoi riflessi sull’ambito del

«diritto naturale». Di fronte allo sfondamento etico che la

sperimentazione scientifica e le biotecnologie hanno oggi

progressivamente operato sul versante della corporeità umana, il

permanente interrogativo della storia del pensiero su chi è l’uomo e in

modo specifico quale valenza di senso abbia il corpo umano s’impone

in modo sempre più pressante. A partire dall’affermazione se sia data

o non data una «natura umana» discendono due primati in bioetica che

appaiono subito tra loro irriducibili se non addirittura opposti: il

2

primato dell’etica sulla tecnica (ma dove e come fondare tale

primato?), il primato della tecnica sull’etica (ma in base a quali criteri

regolare poi l’uso della tecnica?). È venuta meno oggi una riflessione

filosofica sul fenomeno della vita, per cui essa si trova sempre più

esposta e ormai consegnata al “potere” della tecnica. «Oggi – afferma

Emmanuele Morandi presentando il saggio di Étienne Gilson,

Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno, che egli definisce un

“gioiello filosofico” – la vita ha di fronte a sé non più un sapere, ma

un “fare”, non più un fare all’interno di un sapere, ma un “fare” che

vuole essere il suo proprio sapere, quello che si sprigiona dalla

“tecnica” e dalla sua utopia, istallarsi sulla vita»1.

Data la vastità e la complessità della questione, l’obiettivo di

questo breve elaborato – richiesto al termine del corso di

perfezionamento in Bioetica promosso dalla Università Cattolica del

Sacro Cuore per ottenere il titolo previsto dal regolamento didattico

dell’Ateneo – è necessariamente circoscritto. Si tratta di porre la

questione della fondazione dell’etica a partire dal concetto di «natura

umana», in altre parole, dell’essenza e della specificità dell’humanum,

mostrando la problematicità ed anche l’equivocità a cui si va incontro

quanto si usa il termine «natura» applicata all’uomo. Romano

Guardini arriva ad affermare che la «natura» dell’uomo «consiste

addirittura nel fatto di non averne una»2, anche se afferma la

pertinenza di interrogarsi sulla natura dell’uomo: «L’uomo ha in

generale una natura? L’ha certamente nel senso che non è qualcosa di

indefinito», per cui «formulare una definizione della natura dell’uomo

è possibile solo fino ad un certo punto, oltre il quale si finisce

nell’indeterminato»3.

Ma allora esiste veramente una natura umana che costituisce il

presupposto imprescindibile per l’esercizio della responsabilità morale

da parte della libertà umana? Si può parlare di «legge naturale» in

riferimento all’etica e al diritto? Come mai il pensiero ufficiale della

Chiesa, in tensione critica col pensiero moderno post-metafisico,

considera la negazione della legge naturale e il dissolversi della teoria

1 MORANDI E., Presentazione a GILSON É., Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno,

Marietti, Genova 2003, p. X. 2 GUARDINI R., Etica, Morcelliana, Brescia 2001, p. 18. 3 Ib., pp. 17.18.

3

aristotelica del finalismo della natura come la causa della deriva

tecnicista della bioetica oggi, con imprevedibili conseguenze per il

futuro dell’uomo?4 Sulla questione concernente la natura umana noi

incontriamo uno dei punti conflittuali tra una bioetica elaborata alla

luce del pensiero ebraico-cristiano e una bioetica cosiddetta laica che

intende prescindere da ogni riferimento confessionale/religioso5,

trovando in esso uno dei motivi dell’incomunicabilità tra laici e

cattolici nel dibattito politico concernente le questioni bioetiche6.

Le veloci riflessioni che seguono intendono rimanere

prevalentemente nell’ambito semantico del termine «natura»,

cercando con ciò di mostrare che chiarire il concetto di «natura

dell’uomo» nella modernità – cioè dopo la reimpostazione del

rapporto mente/corpo fatta da Cartesio il quale ha elaborato una nuova

spiegazione che attingeva alla concezione meccanicistica e

quantitativa con la quale il pensiero scientifico cominciava e

interpretare la natura e il mondo7, – è preliminare per ogni fecondo

dialogo in campo bioetico, allo stesso tempo sincero e rispettoso delle

varie posizioni.

Il lavoro, partendo dal una riflessione sul rapporto tra filosofia

dell’essere ed esperienza della libertà per definire la specificità della

natura dell’uomo (1), intende esaminare diacronicamente il concetto

di natura nella storia del pensiero (2) allo scopo di precisare in che

senso si possa parlare di ‘legge naturale’ in prospettiva etica (3). Si

cerca poi di evidenziare lo specifico contributo del pensiero cristiano

che ha introdotto il concetto di persona per definire l’uomo (4).

Vengono quindi messe in relazione tra loro due concetti di ragione per

rilevare una visione riduttiva della ratio intesa soltanto nella sua

funzione calcolante (5). Da ultimo viene descritta l’etica della

4 Sui riflessi etici delle biotecnologie in relazione al futuro dell’uomo, cf DI PIETRO

MARIA LUISA – SGREGGIA E. (edd.), Biotecnologie e futuro dell’uomo, V&P, Milano 2003. 5 Sui due punti di vista, quello religioso/cristiano e quello della laicità della dignità

umana, cf GORMALLY L., La dignità umana: il punto di vista cristiano e quello laicista, in

CORREA J. DE DIOS E SGREGGIA E. (edd.), La cultura della vita: fondamenti e dimensioni,

LEV, Città del Vaticano 2002, pp. 49-64. 6 Cf RUSCONI G.E., Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici e la democrazia, Einaudi,

Torino 2000, pp. 13-18; POSSENTI V., Laici o laicisti? Un dibattito su religione e democrazia,

Liberal, Firenze, 2002; SCARPELLI U., Bioetica Laica, Baldini&Castaldi, Milano 1998. 7 Cf SCARSINI DANIELA, Il corpo in occidente. Pratiche pedagogiche, Carocci, Roma

2003, p. 9.

4

responsabilità da intendere come rispetto per l’ordine dell’essere la cui

intelligibilità non può essere negata, ma affermata a partire da una

concezione sapienziale della ragione che può spingersi oltre lo

sguardo utilitaristico proprio della ragione tecnica verso lo sguardo

contemplativo proprio della ragione etica, antropologicamente fondata

(6).

1. La natura dell’uomo

in rapporto all’essere e alla libertà

La domanda sull’identità dell’uomo risulta assai complessa,

comportando, la sua definizione, l’affermazione dell’unità

sostanziale8 di due elementi che sembrano tra loro in una opposizione

alternativa: il regno dello spirito la cui legge è la libertà e il regno

della materia la cui legge è il determinismo.

Il rapporto tra essere e libertà in ordine alla definizione della natura

umana attraversa tutta la storia del pensiero antropologico fino alla

moderna concezione sartriana per cui l’uomo è la sua libertà, e proprio

per questo non esiste nessuna natura umana se non quella che l’uomo

liberamente diviene9.

8 La tesi dell’unità sostanziale di anima e corpo è uno dei punti più decisivi e qualificanti

dell’antropologia tomista. Con la nascita della scienza moderna tale tesi è rimasta isolata e

dimenticata. La responsabilità di ciò sembra debba essere attribuita a Cartesio che ha re-

impostato il problema della relazione mente/corpo fornendo una spiegazione che attingeva

alla concezione meccanicistica e quantitativa con la quale il pensiero scientifico cominciava e

interpretare la natura e il mondo (cf SCARSINI, Il corpo in occidente, cit., p. 9), riducendo il

concetto di vita a un meccanismo che ha in se il principio del movimento «senza invocare

l’anima come motore esterno e immateriale» (ib., p. 10). Ma la vita non è una semplice

«operazione» del vivente. Vivere è essere. «L’essere – afferma Aristotele – per i viventi è il

vivere, e causa e principio di esso è l’anima» (De Anima, (II, 4; 415 b9-15), in SALMERI G.,

La vita e la persona. L’idea dell’uomo tra pensiero greco e fede cristiana, PUL, Roma 2003,

p. 121).

Tale tesi dell’unità sostanziale, che fa parte della visione cristiana dell’uomo, è stata

ripresa dal Concilio Vaticano II sintetizzandola nella felicissima formula del «corpore et

anima unus» (Gaudium et Spes, 14), che richiama la formula esperienziale tomista «idem ipse

homo est qui percepit se intelligere et sentire» (Summa Theologiae, I, q. 76, a. 1). 9 «Io sono la mia libertà», si afferma nel dramma sull’esistenza umana Le mosche. Per

Sartre, l’esistenza precede l’essenza. Così interpreta S. Grygiel: «Se l’uomo è prima la sua

esistenza, la quale solo successivamente crea da se stessa la proprio essenza, ossia il

contenuto (il cosiddetto mondo degli oggetti), allora dobbiamo dire che l’uomo è libero. Non

vi è infatti in lui nulla che possa imporgli qualsivoglia legge e regola di comportamento. Non

v’è in lui nessuna “natura”» (GRYGIEL S., Il dio delle mosche e la libertà dell’uomo, in ID., Il

lavoro e l’amore, CSEO, Bologna 1983, pp. 12-13.

5

Alla definizione di ciò che è essenzialmente umano risultano

quanto mai determinanti i due orizzonti di riferimento nei confronti

dei quali non è possibile affermare nessuna neutralità: l’orizzonte

trascendente e l’orizzonte immanente. «Trascendenza e immanenza –

afferma D. Coccopalmerio – sono due formae mentis radicalmente

diverse» che segnano una specie di spartiacque tra classicità e

modernità. «Il pensiero classico testimonia la verità dell’essere in un

ordine assoluto trascendente; il pensiero moderno testimonia la verità

dell’essere in un ordine che si identifica e si esaurisce nel divenire

nella natura e nella storia dell’uomo». La ricaduta sul problema dei

diritti umani e sulla responsabilità etica degli scienziati è quanto mai

decisiva e inquietante. Tutto ciò richiama l’ordine dell’essere e

l’ordine del gioco: «per il pensiero classico il problema dei diritti

umani è un problema che riguarda l’ordine dell’essere. Per il pensiero

moderno, invece, il problema dei diritti umani riguarda l’ordine del

gioco»10

. Sia l’essere sia il gioco chiamano in causa la libertà

dell’uomo, ma su versanti categoricamente diversi. Nel primo caso sul

versante della responsabilità (come risposta all’ordine dell’essere), nel

secondo caso sul versate della creatività (come libertà di creare nuovi

ordini dell’essere in continuità e in alternativa con quello della

natura). Nel primo caso l’uomo si sente chiamato a partecipare ad un

progetto di vita che non è stato lui a creare, nel secondo caso è l’uomo

stesso che si sente il dio della natura, non solo il suo custode, ma

anche il suo manipolatore. Non a caso gli anglosassoni hanno coniato

l’espressione Playing Good. Rostand l’aveva previsto già negli anni

’50: «Qualunque sia l’ultima parola sull’enigma vitale, il destino del

biologo è tale da risultare senz’altro grandioso […]. Finirà per

fabbricare la vita, per ricreare la struttura genetica e, autore di una

nuova natura, si collocherà nella schiera degli dei»11

.

La libertà costituisce certamente l’elemento qualificante la natura

dell’uomo. Tuttavia essa non può essere pensata come negazione

dell’essere (nichilismo), ma come una sua espressione che colloca

l’uomo nell’universo dell’etica. Per cui si può affermare che l’essere

10 COCCOPALMERIO D., La metafisica dei diritti della persona, in SGREGGIA E. – CALABRÒ

G.P., I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Marco, Lungro di Cosenza

2002, p. 25. 11 Cit. da BRUGUÈS J.L. Fecondazione artificiale: una scelta etica?, SEI, Torino 1991, p.

7.

6

precede la libertà, senza che questo significhi che l’essere limiti nei

confronti dell’uomo l’orizzonte delle libere scelte12

.

Parlare di natura dell’uomo in rapporto all’essere e alla libertà

significa che per quanto concerne l’uomo il termine natura deve essere

utilizzato in senso analogico rispetto a quello della natura extraumana.

Il termine natura, infatti, può essere adoperato sia in senso

cosmologico sia in senso antropologico. Parlare di natura in senso

antropologico e non cosmologico significa riconoscere che «l’essere

umano porta in sé autentiche determinazioni essenziali ed è inserito in

ordinamenti che derivano a loro volta da determinazioni essenziali,

che però vivono nella sfera della libertà: a questi essa può esprimere

assenso o dissenso, può influenzare in modo giusto o sbagliato la vita

umana, può edificarla o distruggerla»13

. Sotto questo aspetto si può

dire che «libero è sinonimo di naturale»14

. E che quindi «se l’etica non

si deduce dalla sola natura, e non si sviluppa senza o contro di essa,

necessita di altro fondamento: la libertà, quale “soggettività

metafisica, intendendo appunto per ‘metafisica’ che la libertà è l’unico

principio nuovo, dopo e sopra la natura”»15

.

Di fronte alla frammentazione dei saperi conseguenza della perdita

dell’unità dell’uomo, la scienza antropologica esige oggi, «una ripresa

forte della filosofia dell’essere, tale da collocare il discorso sull’uomo

al di là degli esiti problematici della modernità filosofica e

12 Secondo T. Styczeń, esponente della filosofia personalista dell’area polacca, la

questione della libertà chiama in causa due antropologie tra loro radicalmente divaricate sul

rapporto tra la verità. La prima antropologia dice che «l’esperienza rivela la libertà dell’uomo

e l’uomo stesso come autodipendenza del rendersi dipendente dalla verità che non dipende da

lui». La seconda «presenta la libertà dell’uomo e l’uomo stesso come autodipendenza pura,

ossia come il potere di determinare la verità su di sé, e dunque il potere di costituire la sua

propria essenza, la sua natura» (STYCZEŃ T., Essere se stessi e trascendere se stessi, in

WOJTYŁA K., Persona e atto, Rusconi, Milano 2000, p. 725). In questo secondo caso

l’essenza dell’humanum è ridotto alla libera autodeterminazione dell’individuo. Sul futuro

dell’humanum, cf MARCHESINI R., Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati

Boringhieri, Torino 2002. 13 GUARDINI, Etica, cit., p. 20. 14 FARO G, Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche(in dialogo con R.

Spaemann), in «Anthopotes» 18 (2002) 2, p. 291. 15 FARO, Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche (in dialogo con R.

Spaemann), cit., pp. 289-290.

7

scientifica»16

. È nel contesto di questa ripresa della filosofia

dell’essere e delle problematiche bioetiche che riguardano la

manipolazione dell’humanum che va rivisitato il concetto di natura

così come si è andato elaborando nella cultura europea e nel contesto

della quale è nata la nuova scienza, che costituisce un elemento che

caratterizza la stessa identità europea17

.

2. Il concetto di natura

La natura – afferma G. Cottier – «costituisce uno di quei dati

originari la cui messa a fuoco è decisiva per lo sviluppo globale del

pensiero filosofico e anche di quello teologico. Infatti, a seconda del

modo in cui la natura viene conosciuta ed espressa concettualmente è

possibile tracciare le linee di divisione e di opposizione tra i vari

sistemi filosofici»18

. Il termine natura, evidentemente, per la relazione

che passa tra antropologia ed etica, è decisivo non soltanto per la

filosofia e la teologia, ma anche appunto per l’etica.

Abbiamo già ricordato che il concetto di natura non è univoco, ma

polisemico. Esso, quindi, soprattutto quando è utilizzato in riferimento

alla fondazione del comportamento e della responsabilità morale, va

sempre esplicitato. La natura umana, infatti, non è identificabile alla

sua natura biologica. La domanda su che cosa è natura attraversa tutta

16 MURATORE S., L’uomo e la sua relazione al cosmo nell’antropologia cristiana, in «La

Civiltà Cattolica» 3513 (1996), p. 236. 17 Afferma H.G. Gadamer: «Se poi ci si interroga sul ruolo della scienza nel futuro

dell’Europa, occorrerà partire da un presupposto la cui evidenza è, a mio parere,

incontestabile: che cioè è proprio la scienza a definire l’identità europea come tale. La

scienza ha dato forma all’Europa nel suo divenire storico e nella sua stessa estensione

geografica. Ciò non vuol dire, ovviamente, che altre culture non abbiano ottenuto risultati

importanti e duraturi in determinati settori del sapere scientifico [...]. Tuttavia si può

senz’altro dire che solo in Europa la scienza ha creato un modello culturale autonomo ed

egemone, e con segnata evidenza a partire dall’Età Moderna. Da quando il cammino della

rivoluzione tecnico-scientifica si è esteso all’intero pianeta, il ruolo guida della scienza non è

limitato, a dire il vero, alla sola Europa, ma è pur sempre europeo il modello a cui si

richiamano ovunque la ricerca scientifica, l’istruzione scolastica e quella universitaria.

Un'affermazione, questa, del tutto indipendente (si badi bene) da qualsiasi giudizio di merito

sulle prospettive di un’umanità esposta al dominio della scienza e delle sue applicazioni

tecnologiche» (cit. da REALE G., Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una rinascita

dell’“uomo europeo”, Cortina, Milano 2003, p. XV). 18 COTTIER G., Riflessioni sulla distinzione tra naturale e artificiale: conseguenze per

l’etica bio-medica, in ID., Scritti di etica, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 150.

8

la storia del nostro pensiero occidentale chiamando in causa

direttamente l’uomo (l’antropologia) nella sua facoltà intellettiva e

razionale capace di rilevare da essa i significati di cui è pregna.

La parola ‘natura’ ha la sua sorgente semantica nel participio futuro

del verbo latino nasci (nascere). Esso indica ciò che approda

all’esistenza per maturare nel divenire futuro, secondo modalità

nell’uomo in parte necessarie (sviluppo fisico e psichico); in parte

libere (progresso etico)»19

. In greco, natura viene resa col termine

physis che richiama sia il «crescere», ma anche il «produrre». Il

genere femminile del termine, mantenuto anche in molte lingue

moderne, «rimanda opportunamente alla donna in quanto madre e

quindi “generatrice” di vita. Così la natura è quella dimensione della

realtà in cui gli esseri vengono generati e crescono secondo un

orientamento, una regola: è il mondo del “divenire” (il che

nell’antichità veniva esteso anche agli oggetti inanimati dato che di

fatto tutto era ritenuto “vivente”), senza però, costituire

necessariamente una dimensione scissa dall’essere. Infatti, sempre alla

luce dell’etimologia, la natura può definirsi anche, e

significativamente, come “essere che si illumina, che appare”, dalla

radice indoeuropea bhu che significa “essere” e risulta strettamente

legata alla radice bha, che significa “luce”. La natura potrebbe

configurarsi come “epifania significante e significativa dell’essere”».

Accanto al termine physis «non è privo di interesse ricordare anche

che il termine “cosmo” (gr. Kósmos) fa riferimento sia a “ordine”,

“armonia”, sia a “ornamento” (si pensi a “cosmetico”). Esso, in base a

tale etimologia, si presenta come la cornice e il fondamento strutturale

della natura»20

.

Per il duplice significato di physis ricordato (crescere e produrre),

naturale non dice necessariamente opposizione ad artificiale. «Natura

e artificio costituiscono una coppia filosofica, un binomio correlativo

in cui un termine richiama l’altro e il significato preciso dell’uno

dipende dalla comprensione che si ha dell'altro. Spesso l’uso della

categoria di naturale allude a qualcosa di genuino, di sicuro, di non

19 FARO G, Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche(in dialogo con R.

Spaemann), in «Anthopotes» 18 (2002) 2, p. 301. 20 MONASTRA G., Natura, in TANZELLA-NITTI G. – STRUMIA A. (edd.), Dizionario

interdisciplinare di Scienza e Fede. Cultura scientifica, Filosofia e Teologia, UUP-Città

Nuova, Roma 2002, vol. 1, p. 1027.

9

ingannevole, mentre artificiale evoca il contraffatto, lo spurio, il

manipolato, qualcosa che si presenta come imitazione, di solito

maldestra, del naturale. Per lo più l’artificiale si dimostra perdente nei

confronti del naturale: l’allattamento artificiale è considerato un

succedaneo inadeguato dell’allattamento naturale, così come la mano

artificiale applicata ad un arto mutilato vicaria ben miseramente la

funzione dell’organo naturale. Volendo definire, in prima

approssimazione, i due termini della coppia possiamo dire che

naturale indica ciò che esiste indipendentemente dall’attività umana,

mentre artificiale è ciò che esiste come prodotto dell’attività

umana»21

.

Ciò che però qui è rilevante ai fini della nostra riflessione non è

tanto seguire tutto l’itinerario semantico dei due termini naturale e

artificiale, ma esaminare la ricaduta che il termine natura ha

nell’ambito dell’etica attraverso l’espressione correlata di legge

naturale.

3. La legge naturale

Il concetto di legge naturale evoca un preciso orizzonte nel pensare

la realtà che è propriamente quello creaturale. La legge naturale, come

forma di partecipazione alla lex aeterna, richiama la sapienza e la

volontà del Creatore. Essa custodisce le tracce che Dio ha lasciato

nella sua creatura, le quali riflettono la sua sapienza e la sua volontà.

Sono tracce però che vanno interpretate, per cui il passaggio dalla

natura all’etica, da ciò che è e ciò che la libertà è chiamata a fare, non

è diretto (l’etica non si deduce dalla natura), ma mediato dalla cultura.

Il legale e il naturale non sono tra loro ostili, analogamente al naturale

e artificiale, ma sono chiamati a coniugarsi insieme a servizio della

libertà dell’uomo. Un conto però è il legale che nasce dal naturale e un

conto è il legale che nasce da una normatività positiva. «Non esiste

ostilità perpetua tra fysis e nomos, ma si deve riconoscere che: “le

norme di legge sono accessorie [transitorie, contingenti], quelle di

natura essenziali [permanenti]; quelle di legge sono concordate, non

native; quelle di natura sono native, non concordate”»22

.

21 FAGGIONI M.P., La vita tra natura e artificio, in «Studia Moralia» 33 (1995), p. 334. 22 FARO G. , Dio, Natura, persone: riflessioni etiche e antropologiche (in dialogo con R.

Spaemann), in «Anthopotes» 18 (2002) 2, p. 290.

10

La legge naturale segnala alla libertà intelligente23

che l’uomo non

può vantare un dominio illimitato sulla natura e a maggior ragione sul

suo corpo. L’utopia baconiana secondo la quale la crescita

esponenziale del potere tecnico avrebbe portato l’uomo alla pienezza

della libertà si mostra fallace e viziata da pregiudizi di tipo dualista

tenuti continuamente in vita dal positivismo, che pensa l’uomo

unicamente come spirito e libertà, per cui il rapporto tra lui e il suo

corpo avrebbe solamente carattere estrinseco. Questo dualismo

antropologico – su cui la tecnica oggi si fonda per avvallare come

progresso e come bene ogni applicazione dei risultati della ricerca

scientifica identificando tecnica ed etica – non riconosce alla natura (e

al corpo) nessun significato, essa è materia bruta a disposizione

dell’efficacia tecnica e manipolatoria, e taccia di grossolano

‘biologismo’ chi discerne nelle leggi biologiche del corpo umano delle

indicazioni circa il modo di condurre l’esistenza24

. La legge naturale,

quindi, lungi dal significare la sottomissione dello spirito alle leggi

della natura biologica, è il prolungamento sul piano etico del

significato che la natura ha sul piano teologico e metafisico. La

normatività della natura scaturisce proprio dal fatto che essa è realtà

che si rivolge all’intelligenza, è in se stessa intelligibile. La legge

naturale come legge della ragione costituisce per l’uomo una specie da

“radar ontologico” che lo guida in tutte le sue operazioni, senza per

questo predeterminarlo25

.

23 Pinckaers, nella sua ricostruzione delle fonti della morale cristiana secondo i criteri di

rinnovamento suggeriti dal Concilio Vaticano II, ha mostrato come il Nominalismo di Occam

(1295/1300-1350) si deve collocare all’inizio di un nuova concezione della libertà, che

mostrerà la sua effettiva fisionomia in epoca moderna. Egli definisce questa nuova

concezione come ‘libertà di indifferenza’, e la distingue da una diversa concezione della

stessa, propria dei grandi pensatori cristiani, che chiama ‘libertà di qualità’. La libertà di

indifferenza, pur risultando storicamente posteriore, tuttavia è oggi la più diffusa. Si veda, al

riguardo, tutto il IV capitolo del suo saggio in PINCKAERS S., Le fonti della morale cristiana.

Metodo, contenuto, storia, Ares, Milano 1992, pp. 385-467. La libertà – afferma Pinckaers – è

«potenza stupefacente di innovazione e di cambiamento, ma anche di distruzione e di

contraddizione» (ib., p. 396). 24 Cf COTTIER, Riflessioni sulla distinzione tra naturale e artificiale: conseguenze per

l’etica bio-medica, cit. p. 153. 25 L’espressione è di Coccopalmerio che così interpreta il pensiero di Tommaso sulle

inclinazioni naturali, cf COCCOPALMERIO, La metafisica dei diritti della persona, cit., p. 28.

Sulla concezione tomista della legge naturale come legge della ragione pratica cf

RHONHEIMER M., Legge naturale e ragione pratica. Una visione tomista dell’autonomia

11

La legge naturale, in quanto rivelatrice di un ordine intrinseco

dell’essere conoscibile dalla ragione, si costituisce poi di conseguenza

come base per l’affermazione dei diritti della persona umana. A

partire, quindi, dalla questione della natura umana e della legge

naturale troviamo sulla via non soltanto le tematiche della bioetica, ma

anche quelle del cosiddetto biodiritto26

.

4. Lo specifico contributo del sapere cristiano

alla definizione dell’humanum

Non si può parlare di natura, di legge naturale e di diritti naturali in

rapporto all’uomo e alla sua responsabilità nella gestione delle

conoscenze scientifiche in ordine alla loro applicazione tecnica

tacendo o ignorando l’influsso e il contributo che il pensiero cristiano

ha dato riguardo alla definizione di ciò che è essenzialmente umano e

del posto che l’uomo occupa nell’universo.

Nella storia del pensiero europeo, in cui confluiscono la radice

greca, la radice ebraico-cristiana e la radice illuministica, si possono

individuare tre angolature tra loro connesse, ma anche diversificate, da

cui l’uomo è considerato.

La concezione ellenica è fondamentalmente una concezione

«cosmocentrica». L’uomo fa parte della natura del cosmo è con essa si

integra. Con l’avvento del cristianesimo, radicato a sua volta

sull’ebraismo, l’asse si sposta e da una concezione «cosmocentrica» si

passa ad una concezione «antropocentrica»27

. Nell’orizzonte di questa

concezione emerge il concetto di «persona» applicato all’essere

umano in analogia con le persone divine di cui l’uomo è immagine e

somiglianza (cf Gn 1,27). Con l’avvento del pensiero moderno – che

si discosta dall’orizzonte della fede cristiana alla quale il concetto di

persona si alimentava, e si sposta tutto verso la sola ragione – si passa

morale, Armando, Roma 2001; cf anche VENDEMIATI A., La legge naturale nella Summa

Theologiae di S. Tommaso d’Aquino, ED, Roma 1995. 26 Sul rapporto tra legge naturale e diritti naturali cf il saggio di TIERNEY B., L’idea dei

diritti naturali. Diritti naturali, legge naturale e diritto canonico 1150-1625, il Mulino,

Bologna 2002; sul rapporto tra diritto naturale e storia, cf STRAUSS L., Diritto naturale e

storia, il melangolo, Genova 1990. 27 È significativo notare come elementi di antropocentrismo si trovano nel pensiero stoico.

È stato accertato che essi sono di matrice ebraica introdotti dal fondatore di questa filosofia,

Zenone, che era appunto di origine giudaica.

12

poco a poco dal concetto di persona a quello ben più ristretto di

«individuo». Si deve alla “filosofia dei Lumi” l’aver ancorato nella

società moderna il concetto di uomo-individuo, e quindi

l’“individualismo”28

. Si può notare come la tecnica risponda molto

bene a questa concezione individualista dell’uomo e della libertà, in

quanto funzionale ad assecondare i desideri individuali, in cui

preponderante è l’aspetto egoistico del desiderio a scapito di quello

altruistico su cui la concezione personalistica dell’uomo orienta.

Infatti in questa concezione è il ‘tu’ a rivelare l’‘io’ e a introdurlo

nella esperienza comunionale. L’antropologia di comunione attinge

proprio dalla concezione personalistica dell’uomo come «essere per».

Per questo, nell’orizzonte del pensare cristiano la persona umana

«riveste un valore terminale nel contesto cosmico, in quanto capace di

dire il tutto e, proprio per questo, chiamato a rapportarsi in verità al

suo fondamento trascendente, e di rispondere, in termini di

responsabilità e di amore, al dono di esistere»29

.

Le questioni sollevate dalla bioetica, che chiamano in causa in

maniera così drammatica il futuro dell’uomo30

, spingono ad

interrogare il patrimonio della nostra cultura europea per trarre dal suo

tesoro le linee di condotta che aprano davanti a noi un nuovo futuro di

speranza, secondo la nota espressione di F. Hölderlin che «dove

aumenta il pericolo, aumenta anche ciò che salva» (Patmos).

Così, la tematica dello ‘specifico umano’ urge oggi nel panorama

dei vari saperi che indagano sull’uomo, sulla sua origine e sul suo

fine. Punto qualificante dell’antropologia di ispirazione cristiana è la

caratterizzazione personale dell’Homo sapiens. Per caratterizzazione

28 Per questa ricostruzione, cf REALE, Radici culturali e spirituali dell’Europa, cit., pp.

XIV-XV; cf anche tutto il cap. 5, Dal cosmocentrismo all’antropocentrismo: il concetto di

uomo, pp. 79-97. 29 MURATORE S., L’uomo e la sua relazione al cosmo nell’antropologia cristiana, in «La

Civiltà Cattolica» 3513 (1996), p. 231. Per una riflessione sull’identità relazionale dell’uomo

in rapporto alle varie impostazioni bioetiche cf JERUMANIS A.M., La bioetica alla prova

dell’identità relazionale dell’uomo, in «Rivista Teologica di Lugano» 8 (2003) 2, pp. 289-

315.Sulle varie teorie morali presenti nelle varie impostazioni bioetiche, cf anche MORDACCI

R., Una introduzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica, Feltrinelli, Milano 2003. 30 Il carattere drammatico del nostro futuro a cui le moderne tecnologie ci hanno messo di

fronte è stato autorevolmente evidenziato da M. Heidegger nella famosa intervista a Der

Spiegel del 23 settembre 1966 e resa pubblica il 31 maggio del 1976: Ormai solo un Dio ci

può salvare, in HEIDEGGER M., Ormai solo un Dio ci può salvare (a cura di Alfredo Marini),

Guanda, Parma 1987.

13

personale si intende la sua capacità iscritta nella natura umana «di

rapportarsi conoscitivamente ed esistenzialmente al Mistero

trascendente, a Colui che sta a fondamento di ogni esistenza e di ogni

emergenza»31

. Sul tavolo delle problematiche bioetiche sono chiamati

oggi a sedersi tutti i saperi che studiano l’uomo in un dialogo serrato

che permetta di elaborare una antropologia adeguata alla natura meta-

fisica della persona umana dotata di intelligenza (capax veri) e di

libertà (capax boni).

La tradizionale categoria ‘natura umana’ torna prepotentemente

alla ribalta e necessita di essere ripensata e rifondata come categoria

capace di indicare dentro quali limiti all’uomo tecnico è dato di poter

intervenire nella realtà biologica di cui egli stesso fa parte integrante.

«Dobbiamo tornare a riflettere intensamente sull’antica categoria di

“natura umana”, per sviscerare la dinamicità, l’eticità e la creatività

dell’essere e dell’autoperfezionarci»32

.

Ma di fronte a un nuovo concetto di ratio introdotto dalla scienza e

dalla tecnica con l’applicazione del sapere matematico nell’analisi

della realtà, allo scopo di sfuggire alla deriva tecnicista, ci si deve

chiedere: qual è la razionalità adeguata capace di indagare sullo

specifico umano?

5. Ratio technica e ratio ethica

Nella nostra tradizione occidentale sono presenti tre saperi che si

rifanno a tre razionalità che esigono di una loro integrazione: la

razionalità filosofica, la razionalità teologica e la razionalità tecnica.

Tra la razionalità filosofico/teologica e la razionalità tecnica esiste una

differenza che va colta, valorizzata e riproposta a motivo del suo

riflesso nell’esercizio della responsabilità morale. Mentre la

razionalità tecnica è una razionalità calcolante che risponde alle

finalità trasformative della realtà che tale razionalità si propone, la

razionalità filosofico/teologica33

risponde alla domanda di senso che

31 MURATORE, L’uomo e la sua relazione al cosmo nell’antropologia cristiana, cit., p.

237. 32 MICCOLI P., L’esaltante avventura di essere persona, in Osservatore Romano del 18

settembre 2003, p. 3. 33 La differenza tra ragione filosofica e ragione teologica non sta nella domanda di senso,

ma nel fondamento a cui tale domanda attinge. La domanda filosofica attinge dalla ragione

14

tale razionalità contiene nel suo approccio con la realtà e che si

esprime attraverso la semplice domanda: che cosa è? Il sapere tecnico,

rispetto al sapere sapienziale, «chiede alla scienza di corrispondere

unicamente alle pretese manipolanti il mondo e la vita, nella totale

indifferenza alla sua natura di sapere, che è invece l’essenza più

propria della scienza»34

. Continuando il pensiero di E. Morandi, «solo

affermando la vocazione sapienziale della scienza e delle scienze è

possibile pensare la non coincidenza tra scienza e tecnica, e quindi

problematizzare la già avanzata istallazione della tecnica sulla vita,

quella che sembra rendere neutralizzabile ogni domanda etica nel

cuore stesso della scienza»35

.

Alla domanda quale etica per la bioetica?36

, in analogia all’altra

domanda che la precede quale antropologia o vita per la bioetica?37

,

diventa decisivo sottolineare la distinzione e la specificità

dell’interrogativo etico rispetto all’interrogativo tecnico e l’inclusione

di quest’ultimo nel primo. Se è già difficile affermare la neutralità

dell’interrogativo tecnico già nell’ambito della natura cosmologica,

diventa impossibile affermare la neutralità del «fare tecnico»

nell’ambito dell’antropologia, per cui nell’orizzonte dell’etica –

scienza chiamata a salvaguardare il bene della persona ut persona e

non soltanto ut natura – rientra anche l’orizzonte della tecnica, avendo

il primo carattere normativo nei confronti del secondo. Dal punto di

vista antropologico, quindi, l’etica precede la tecnica e la norma. Ciò

non significa imprigionare né quantomeno ridurre la libertà o

misconoscere la bontà della tecnica. Significa solo affermare che la

tecnica è a servizio dell’uomo e del suo bene. Ma qui si ritorna alla

questione della fondazione del bene della persona che chiama in causa

l’identità dell’uomo, vale a dire la sua ‘natura di uomo’. Nel pensiero

cristiano, tale domanda l’uomo se la pone davanti a Dio, che riconosce

trascendente il fenomeno, la domanda teologica, soprattutto quella ebraico-cristiana, attinge

dalla autorivelazione di Dio allo scopo di poter vedere la realtà come la vede Dio che l’ha

creata, cioè conoscendola come la conosce Dio, il quale ha su di essa uno sguardo

contemplativo. 34 MORANDI E., Presentazione a GILSON É., Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno,

Marietti, Genova 2003, p. XII. 35 MORANDI, Presentazione a GILSON É., Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno,

cit., p. XIII. 36 Cf il saggio di AGAZZI E. (ed.), Quale etica per la bioetica?, Angeli, Milano 1990. 37 Cf SCOLA A. (ed.), Quale vita?. La bioetica in questione, Mondadori, Milano 1998.

15

come Creatore, e non davanti al cosmo di cui l’uomo fa parte, ma

anche da cui l’uomo si differenzia qualitativamente: «Se guardo il tuo

cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che

cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne

curi? (sal 8,4-5).

Il rischio di ributtare l’uomo nell’immanenza della natura

cosmologica negandogli la dimensione trascendentale della sua natura

e di identificare la ratio ethica con la ratio tecnica38

, ha indotto un

noto teologo moralista, J.L. Bruguès, a richiamare l’attenzione sulla

necessità di affermare tre primati che rischiano di sfuggire alla

mentalità utilitaristica moderna: 1. il primato del senso sul primato del

fare; 2. il primato del diritto su quello del desiderio; 3. il primato

dell’essere su quello della volontà39

.

6. L’etica della responsabilità e l’ordine dell’essere

Quest’ultimo primato ci riporta al punto di partenza: chi è l’uomo

in rapporto al suo essere e al suo volere che si esprime attraverso le

libere scelte? Come l’uomo può affermare il suo essere in relazione al

suo volere? Oggi i vari sistemi etici che vengono elaborati in rapporto

alle questioni bioetiche trovano un loro punto di convergenza attorno

al principio responsabilità. L’uomo deve riscoprire in modo nuovo, e

per alcuni versi inedito, la sua responsabilità verso il creato, verso se

stesso, verso il suo futuro. Colui che ha richiamato e tematizzato il

paradigma della responsabilità verso il futuro è stato il filosofo

tedesco Hans Jonas40

. Secondo Jonas l’etica della responsabilità si

fonda sul primato dell’essere e costituisce un baluardo innalzato dalla

coscienza per impedire al «Prometeo irresistibilmente scatenato, al

quale la scienza conferisce forse senza precedenti e l’economia un

impulso incessante […], di diventare una sventura per l’uomo»41

.

Secondo l’antropologia cristiana, il principio “responsabilità” si

fonda sull’etica dell’amore come riconoscimento dell’essere nel suo

38 Cf Donum vitae, Intr., 4. 39 Cf BRUGUES J.L., Les trois chocs de la bioéthique, in «NRT» 112 (1990), pp. 859-869. 40 Cf JONAS H., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi,

Torino 1993. 41 Ib., p. XXVII.

16

ordine, la quale etica attinge ad una concezione dell’essere come

dono, cioè ad una concezione creaturale dell’esistenza (essere creato =

essere donato).

Chi in epoca moderna ha richiamato questo orizzonte etico a partire

dalla prima legge morale così formulata: «segui, nel tuo operare il

lume della ragione» è stato Antonio Rosmini (1797-1855). Secondo

questo pensatore, considerato dalla Fides et Ratio tra in grandi maestri

che hanno fatto una coraggiosa ricerca del rapporto tra fede e

ragione42

, la presenza dell’essere alla mente fa sì che «noi portiamo

inserita da natura nell’anima nostra tutta la morale in germe, cioè

quella legge prima, che è principio e fonte di tutte le altre, e il dettame

dell’onesto e del giusto»43

. E siccome la formula dell’intelligenza è la

vista dell’essere universale, «così – afferma Rosmini – la formula

della morale è l’amore universale, l’amore di tutti gli esseri, di tutti i

beni, l’amore che tanto si stende quanto si stende la cognizione, cioè a

dire all’infinito»44

. Sempre secondo Rosmini, l’essere precede la

volontà. E il fatto che lo preceda permette alla volontà di volerlo non

come mero oggetto strumentale, ma di amarlo nel suo ordine.

Sentiamo ancora il grande Roveretano: «Vale adunque un medesimo il

dire “Segui il lume della ragione”, e il dire “Ama gli esseri tutti”;

giacchè ciò che il lume della ragione ci mostra e ci presenta sono gli

esseri, e ce li presenta acciocché noi li amiamo, essendo il lume della

ragione quello che ci mostra in ogni essere un bene, in ogni essere un

ordine interiore, cioè un ordine che riesce fuori dalla costituzione

dell’essere stesso»45

. Quindi non è l’essere a disposizione dispotica

della volontà, ma la volontà ad essere chiamata a rispondere all’essere

conosciuto come tale: «Vedemmo, che il lume della ragione non è che

l’essere conosciuto, e che la volontà è la facoltà morale, quella che

rende l’uomo autore delle sue azioni, e potremo convertire quella

prima formola in un’altra più chiara, che dice, ‘doversi inclinare la

volontà verso l’essere’, o sia doversi amar l’essere dovunque egli si

percepisca, doversi amare ogni essere perché tale»46

.

42 Cf Fides et Ratio, 73. 43 Principi della Scienza Morale, c. I, a. III, p. 57. 44 Ib., c. IV, a. V. p. 107. 45 Ib., c. IV, a. V. p. 107. 46 Ib., c. IV, a. X, p. 116.

17

Da queste premesse, Rosmini, nell’ordine dell’essere, vede iscritti i

tre fondamentali principi etici di un’etica dell’amore responsabile: 1.

Ama le cose, in quanto sono a servizio della persona (dignità di

mezzo); 2. Ama le persone in sé e per sé (dignità di fine); 3. Ama Dio

al di sopra di ogni cosa (dignità infinita)47

.

7. Per concludere

Per concludere può risultare assai significativo riferire questo

dialogo tra uno scienziato, Edoardo Bonicelli, è un filosofo, Umberto

Galimberti, giornalista e autore di un famoso saggio su Psiche e

techne48

. Lo scopo è anche di riportare la questione sul piano

giornalistico che è, nel bene e nel male, quello sul quale la gente della

strada viene a conoscenza delle delicate problematiche che riguardano

la sopravivenza dell’uomo sulla terra nel cui orizzonte Van Rensselaer

Potter aveva coniato negli anni ’70 il fortunato neologismo bioetica

come scienza per la sopravivenza.

Il dialogo raccolto da Giovanni Maria Pace, che vuole richiamare

l’attenzione sulla necessità di una maggior comunicabilità sui temi

della bioetica tra pensatori che si rifanno a diversi orizzonti fondativi,

ruota tutto attorno ad un interrogativo: e ora?49

.

Questa parte finale di dialogo che riportiamo è introdotto con una

domanda su una questione particolare che ha suscitato dibattito

qualche anno fa, l’introduzione sul mercato della cosiddetta «pillola

dell’amore». La prospettiva è quanto mai interessante, perché si mette

dalla parte della gente che si pone il problema che cosa fare e chi

ascoltare.

«– PACE Chi dobbiamo dunque ascoltare: la scienza, la psicologia,

la Chiesa?

– BONICELLI Personalmente ascolto tutti, valuto da chi provengono

47 Cf NEBULONI R., Amore e morale. Idee per la fondazione dell’etica, Borla, Roma 1992.

Per una analisi del pensiero antropologico rosminiano in prospettiva etica, ci permettiamo di

rimandare al nostro studio GRANDIS G., Il dramma dell’uomo. Eros/Agape & Amore/carità nel

pensiero antropologico di Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), San Paolo, Cinisello

Balsamo (MI) 2003, soprattutto il secondo capitolo. 48 Cf GALIMBERTI U., Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano

2002. 49 Il testo riportato si trova in BONICELLI E. e GALIMBERTI G. con Giovanni Maria Pace, E

ora? La dimensione umana e le sfide della scienza, Einaudi, Torino 2000, pp. 154-157.

18

le varie affermazioni, se si tratta di chiacchiere senza base

dimostrabile, oppure di cose fondate ma poco interessanti, faccio la

media dei vari contributi e trovo la mia risposta. È un metodo che

consiglio.

– GALIMBERTI Hursserl [fondatore della Fenomenologia] diceva

che la scienza è pur sempre una ideazione umana, e guai se l’umanità

si fa guidare da una sola delle sue ideazioni.

– BONICELLI Anche perché è materialmente impossibile farsi

guidare solo dalla scienza…

– GALIMBERTI Però a voi scienziati piacerebbe!

– PACE Il tema della supremazia della tecnica è corso lungo tutto il

nostro discorso. Vorrei ora avviarlo a conclusione. Galimberti ritiene

davvero che il mondo sia dominato, se non dalla scienza,

dall’onnipresente tecnica.

– GALIMBERTI Non ancora, e in questo concordo abbastanza con

Bonicelli. Gli uomini che verranno dopo di noi, quelli delle prossime

generazioni, forse già i nostri nipoti saranno trasformati in senso

tecnico, cioè avranno un rapporto con la tecnica meno problematico di

noi che veniamo da uno sfondo umanistico. Noi siamo per così dire

arretrati nell’accettazione indiscriminata della tecnica per ragioni

psichiche, perché il nostro sentire è limitato. L’età della tecnica per

me comincia dalla seconda guerra mondiale. Ancora negli ani Trenta

la pianura padana era più o meno coltivata come al tempo dei

babilonesi. Adesso è tutta una fabbrica: nei prati non vedo le immagini

bucoliche delle foto d’epoca, ma industrie. In cinquant’anni c’è stata

una completa conversione economica, con ricadute sociali

significative. Ma la nostra psiche è lentissima nell’assimilare.

Pensiamo per esempio al nostro sentimento: se muore un mio

familiare, forse piango; se muore un mio vicino di casa, faccio le

condoglianze ai parenti; se muoiono cinquemila Tutsi, è una notizia

televisiva. Le capacità di reazione del mio sentimento, della mia

percezione, della mia immaginazione sono limitatissime rispetto agli

scenari tecnici. I bombardamenti Nato in Serbia erano uno scenario

tecnico. E che cosa abbiamo provato? Non sappiamo rispondere, di

fronte alle scene di macerie eravamo afasici, analfabeti emotivi.

Perché il nostro sentimento è ancora a livello antropologico rispetto

allo scenario dischiuso dalla tecnica, che lo oltrepassa. Questa

distanza è il nostro pericolo: non riuscire a sentire gli effetti della

19

tecnica. In questa distanza sta il rischio.

– PACE La tecnica è potente ma anche fragile. Forse l’intrinseca

fragilità le impedirà di conseguire quel dominio del mondo che

Galimberti paventa.

– GALIMBERTI È vero, la tecnica è fragile. Vent’anni fa, quando ci

fu il black-out a New York, successe il finimondo. Basta un terrorista

per bloccare una città, pochi ferrovieri dei cobas riescono a far saltare

il sistema ferroviario, è sufficiente uno sciopero dei controllori di volo

per sconvolgere il traffico aereo. Il sistema è vulnerabile nei suoi

snodi e gangli vitali: o funziona compatto o s’incaglia. C’è poi

un’altra considerazione da fare: la tecnica riguarda un quinto

dell’umanità, gli altri quattro quinti usano prodotti tecnici ma non

hanno mentalità tecnica. Ora non è pensabile che il mondo vada avanti

con quattro quinti dell’umanità che muoiono di fame affinché il

mondo tecnico possa continuare a consumare l’80 per cento delle

risorse. La sproporzione è inaccettabile, e anche questo è un punto di

inabilità dello scenario tecnico nel quale ci inoltriamo. Ma il maggiore

punto di instabilità è nel fatto che, nell’età della tecnica, la nostra

capacità di fare è enormemente superiore alla nostra capacità di

prevedere e quindi prendere posizione. In questo senso non siamo più

i soggetti della nostra storia.

– PACE Anche per Bonicelli la tecnica è fragile?

– BONICELLI La tecnica non si contrappone all’umanesimo. Sono

nati insieme e per ora continuano a procedere insieme. La tecnica è un

prodotto dell’uomo e non potrebbe esistere senza la società, e

dell’assetto sociale ha la stessa potenza e impotenza. Come la società,

può essere colpita in infinite maniere. Se andava via la corrente

cinquant’anni fa, quasi non ce ne accorgevamo. Oggi è la paralisi. La

tecnica si basa su una serie cospicua di condizioni che vanno

rispettate, altrimenti decade. Non so che cosa succederà tra

cinquant’anni e onestamente non saprei a chi chiederlo. Posso solo

dire che, se continuiamo così, ci sarà un aumento delle tecnologie e il

mondo si complicherà ulteriormente.

– PACE Con quali conseguenze sulla futura umanità?

– BONICELLI Per come la vedo io, l’uomo è in un certo senso

immutabile, ha radici solide che superano il divenire della Storia e

assicurano una stabilità di fondo all’organizzazione sociale, quale che

sia la sua forma. Insomma, l’uomo ne ha viste tante, ne ha passate

20

tante e ne ha risolte tante che non mi preoccuperei. Io sono ottimista.

In qualità di biologo – anche se acquisito – ho, come dire, introiettato

la visione di equilibrio, di sostanziale stabilità che l’Evoluzione

suggerisce».

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22

Indice

0. Introduzione……………………………………………… p. 1

1. La natura dell’uomo in rapporto all’essere e alla libertà…. p. 4

2. Il concetto di natura………………………………………. p. 7

3. La legge naturale…………………………………………. p. 9

4. Lo specifico contributo del sapere cristiano alla

definizione dell’humanum…………………………….….

p. 11

5. Ratio technica e ratio ethica……………………………... p. 14

6. L’etica della responsabilità e l’ordine dell’essere………... p. 15

7. Per concludere……………………………………………. p. 17

Bibliografia………………………………………………. p. 21