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IL MONDO DEL LAVORO SECONDO DON BOSCO QUANDO SCOMMETTERE SUI GIOVANI CAMBIA LA SOCIETÀ TESINA DI MATURITÀ Pasin Veronica Classe 5^D Sistemi Informativi Aziendali Anno Scolastico 2016-2017 Istituto di Istruzione Superiore Statale - Marco Fanno Conegliano (TV)

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IL MONDO DEL LAVORO SECONDO DON BOSCO

QUANDO SCOMMETTERE SUI GIOVANI CAMBIA LA SOCIETÀ

TESINA DI MATURITÀ

Pasin Veronica Classe 5^D Sistemi Informativi Aziendali

Anno Scolastico 2016-2017 Istituto di Istruzione Superiore Statale - Marco Fanno

Conegliano (TV)

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 1 -

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 2 -

INDICE

PREMESSA ............................................................................................................................. - 3 -

CHI È GIOVANNI BOSCO? ...................................................................................................... - 5 -

DON BOSCO E GUIDO GOZZANO .......................................................................................... - 7 -

DON BOSCO CITTADINO DEL 1800 ....................................................................................... - 9 -

OPERA DEGLI ORATORI ....................................................................................................... - 11 -

LA SCUOLA PROFESSIONALE ............................................................................................... - 12 -

OPERA DEI LABORATORI ..................................................................................................... - 13 -

IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO .................................................................................... - 14 -

LO STATO E IL SOCIALE ........................................................................................................ - 17 -

OBAMA FOR YOUTH ............................................................................................................ - 18 -

PERCHÉ DON BOSCO È UN IMPRENDITORE........................................................................ - 19 -

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ............................................................................................... - 20 -

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 3 -

PREMESSA

“Già più di un secolo fa, c'era chi pensava a noi…

c'era chi aveva già considerato che il tuo futuro sei tu.

E lui tifava per noi, perché contava su chi,

con la speranza e la voglia di vivere, coltiva la vita sua”

-Musica musica mia-

Don Giovanni Bosco: sacerdote torinese dell’Ottocento, fondatore dell’ordine dei Salesiani,

ideatore del metodo educativo preventivo, inventore degli oratori. Questo è ciò che la

maggior parte delle persone, che hanno almeno una vaga idea di chi sia questo Santo, associa

alla sua figura. Bene, io dico che Don Bosco è molto di più. Azzardo a dire che sia il più italiano

fra i Santi, colui che visse pienamente integrato nella società, seppe essere un esempio, per i

suoi contemporanei, di instancabilità espressa con il proverbio “impara l’arte e mettila da

parte”. Don Bosco era un imprenditore, uno dei migliori del suo tempo e per certi aspetti

anche del nostro: all’avanguardia e sempre alla ricerca del

progresso e dell'innovazione, al passo con i nuovi modi di

vedere il mondo, senza mai dimenticare le proprie umili

origini di contadino. Comunicazione, istruzione, formazione

e messa in circolo delle idee di ognuno erano per lui i punti

cardine della sua Opera con i ragazzi, persone prima di tutto,

e poi lavoratori.

In una società materialista, dove il più forte domina i deboli,

in cui tutti si pongono come modelli per gli altri, è difficile

individuare qualcuno, autentico e vero, che agisca secondo

ciò che dice. Se dovessi scegliere qualcuno, la mia scelta

ricadrebbe su Don Bosco, che ha donato la vita per noi giovani, e io in quel “noi” mi ci immergo

pienamente.

Don Bosco ne ha avuto cura ed ha saputo far emergere da questi, fascia più povera della

società del tempo, il tesoro prezioso che ogni giovane, in quanto tale, ha dentro sé: la beata

incoscienza di vivere la vita e la speranza che qualcosa di migliore ci attende sempre nel futuro

o, come direbbe Ungaretti, “ardere d’inconsapevolezza”.

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Essendo giovane, vorrei che

qualcuno potesse aiutarmi a

realizzare i miei sogni, a preservare

e coltivare ideali e valori sani, a

darmi un ruolo nella società e le

giuste responsabilità. Vorrei non

sentir parlare male dei giovani,

generalizzazioni che non aiutano

certamente, anche perché le

persone che lo pensano sono le

stesse che hanno contribuito a

consegnarci il mondo così com’è oggi. Vorrei più attenzione per i giovani, per la nostra

formazione come persone. Anche noi, come i ragazzi di Don Bosco, siamo moralmente la

fascia più povera della nostra società: spremuti di tutte le energie e speranze, trattati da ultimi

arrivati, da non ascoltare perché “tanto non hanno esperienza”, ingannati con illusioni di falsi

grandi traguardi considerati da tutti come modelli ideali, ma che in realtà conducono solo ad

esistenze inconsistenti.

Credo che il segreto del successo dell’Opera iniziata da Don Bosco sia dato dal suo

entusiasmo. Entusiasmo è una parola che deriva dal greco “en-Theos”, divinamente ispirato.

Fondando i propri progetti su valori saldi e grandi ideali si riesce sempre a costruire qualcosa

di positivo, lui ne è l’esempio sotto tutti gli aspetti.

Tanti sono i messaggi che Don Bosco ha voluto lasciare con

l’esempio della sua vita, ma credo che il più importante sia

di credere nei giovani e di ricordare che noi non siamo il

futuro, ma il presente della società.

A noi giovani fa bene sentirci dire che c’è qualcuno che

crede in noi così come siamo, anzi proprio perché siamo

giovani.

“Miei cari giovani io vi amo di tutto cuore e basta che siate

giovani perché io vi ami assai” (S. Giovanni Bosco)

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CHI È GIOVANNI BOSCO?

“Di Don Bosco si può dire tanto” -Papa Francesco-

Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 in una famiglia contadina ai Becchi, una frazione di

Castelnuovo d’Asti (ora Castelnuovo Don Bosco). Il padre, Francesco, che aveva sposato in

seconde nozze Margherita Occhiena madre di Giovanni, morì

quando lui aveva due anni perciò in casa non mancarono

difficoltà economiche e nelle relazioni, soprattutto con il

fratellastro Antonio, il quale, essendo il principale soggetto

che contribuiva al sostentamento economico della famiglia,

era contrario a far studiare il ragazzino dal momento che

mantenere uno studente rappresentava una spesa non di

poco conto per dei poveri contadini, per questo motivo

spesso Antonio picchiava Giovanni.

A nove anni Giovannino fece un sogno che gli svelò la

missione che il Signore gli aveva affidato: dare un’istruzione

ai suoi amici e a tutti i ragazzi che ne avrebbero avuto

bisogno.

All’età di undici anni, per fuggire alle prepotenze del

fratellastro, la madre a malincuore lo mandò via di casa a

lavorare come garzone alla cascina Moglia. Lì si imbatté in don Giovanni Calosso, cappellano

di Morialdo, il quale restò stupito dell’intelligenza straordinaria del ragazzo e si impegnò ad

aiutarlo negli studi dandogli le prime lezioni di latino. Purtroppo il buon prete morì

improvvisamente un anno dopo e Giovanni poté riprendere a studiare soltanto nel 1831,

terminando a tempi di record in quattro anni le elementari e il ginnasio. Si pagava la scuola

facendo ogni sorta di mestiere: sarto, barista, falegname, calzolaio,

apprendista fabbro.

A vent’anni entrò nel seminario di Chieri e, cinque anni dopo, il 5

giugno 1841 fu ordinato sacerdote. Trasferitosi alla periferia di

Torino, iniziò il suo apostolato tra i giovani. Creò negli anni successivi

diversi oratori, fondò numerose Società e consacrò la sua vita intera

per i suoi giovani che raccoglieva dalla strada per istruirli e insegnare

loro un mestiere. In tutto questo, Don Bosco dovette affrontare

innumerevoli difficoltà a causa della situazione politica (visse infatti

negli anni del Risorgimento italiano, nella capitale del Regno d’Italia)

e delle idee conservatrici con cui i suoi metodi innovativi

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quotidianamente si scontravano. I problemi economici erano molti e tutta la sua Opera fu

fattibile solamente grazie ai numerosi benefattori che con le loro donazioni contribuivano alla

sopravvivenza degli oratori.

Il 18 dicembre 1859 invita i suoi primi collaboratori ad unirsi a lui e fonda ufficialmente la

Congregazione Salesiana (Societas Sancti Francisci Salesii) ispirata a San Francesco di Sales: in

seguito si moltiplicarono rapidamente oratori, scuole professionali, collegi, centri vocazionali,

parrocchie, missioni, opere del carisma Salesiano.

Nel 1872, insieme a Maria Domenica Mazzarello, fonda l’Istituto delle Figlie di Maria

Ausiliatrice per compiere la stessa Opera dei Salesiani, ma indirizzata alla gioventù femminile.

Don Bosco seppe tener fede alla consacrazione che aveva fatto della sua vita: “Ho promesso

a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per

i miei poveri giovani”: a 72 anni, sfinito dal lavoro

e per logoramento, muore a Torino-Valdocco

circondato dai suoi amati giovani, all’alba del 31

gennaio 1888. Fu beatificato il 2 giugno 1929 e

dichiarato santo da Papa Pio XI l’1 aprile 1934, oggi

si festeggia il 31 gennaio, una settimana dopo la

festa di San Francesco di Sales.

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 7 -

DON BOSCO E GUIDO GOZZANO

"Dietro ogni grande uomo c'è sempre una grande donna"

-Virginia Woolf-

Guido Gozzano è uno scrittore torinese nato nel 1883 e morto

nel 1916. Riceve un’educazione letteraria che spazia da Dante

e Petrarca a scrittori più contemporanei come Nietzsche.

Tra le sue opere più importanti si ricordano le raccolte di versi

“La via del rifugio” (1907) e “Colloqui” (1911). Da quest’ultima,

è tratta la sua opera più celebre “La Signorina Felicita ovvero

la felicità” in cui il protagonista è un avvocato (identificabile

con Gozzano stesso) che, durante una vacanza, si innamora di

Felicita. All’autore, Felicita sembra sprecata nelle sue vesti

campagnole e parla di lei e della villa di campagna dove è

ambientata la vicenda in toni ironici.

Di lei ne osserva soprattutto le azioni quotidiane e il suo

sguardo che gli comunica speranza: “Vedevo questa vita che m’avanza: chiudevo gli occhi nei presagi grevi; aprivo gli occhi: tu mi sorridevi, ed ecco rifioriva la speranza!” (vv. 127-130)

L’autore, seppur chiuso nel pessimismo causatogli dalla malattia che lo porterà alla morte,

trova la forza di andare avanti guardando a una donna che, addirittura, la definisce “la

felicità”. “Tu non fai versi. Tagli le camicie per tuo padre. Hai fatto la seconda classe, t’han detto che la Terra è tonda, ma tu non credi... E non mediti Nietzsche... Mi piaci. Mi faresti più felice d’un’intellettuale gemebonda...” (vv. 308-313)

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Come lui, anche Don Bosco ebbe bisogno di una figura femminile al suo fianco che lo

accompagnò durante la sua vita: sua madre Margherita. Vi è una forte somiglianza tra Felicita

e Margherita: entrambe donne di campagna, povere,

dedite ai propri mestieri, senza un’istruzione perché il

loro compito è occuparsi della casa e dei figli. Eppure,

entrambe, infondono la speranza agli uomini a cui stanno

accanto.

Negli oratori, essendo accolti solo ragazzi maschi, era

importante la presenza di una figura femminile per

l’educazione dei giovani: nella sua Opera educativa, Don

Bosco fu aiutato da sua madre che, con la dolcezza che

solo una donna possiede, faceva da mamma ai suoi

ragazzi, molti dei quali erano rimasti orfani.

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DON BOSCO CITTADINO DEL 1800

“Miriamo a formare buoni cristiani e onesti cittadini”

-San Giovanni Bosco-

LO STATO DEL PIEMONTE SABAUDO Giovanni Bosco visse al tempo del Risorgimento italiano.

Mentre nel resto d’Italia tornavano al potere i sovrani legittimi e il consolidamento

dell’egemonia austriaca, in Piemonte la situazione era diversa: si adottò un regime

costituzionale e si intraprese un’opera di modernizzazione dello Stato, soprattutto nei

rapporti con la Chiesa; Don Bosco, da parte sua, manifestò sempre rispetto e fedeltà verso

Casa Savoia.

A causa dell’elezione di Papa Pio IX considerato un liberale e dei moti rivoluzionari scoppiati

a Parigi, a Vienna e a Berlino, il Piemonte stava vivendo gli anni più frenetici della sua storia.

Fu il Re Carlo Alberto che prese l'iniziativa dei mutamenti: nell'ottobre 1847, promulgò una

prima serie di riforme: l’abolizione della censura della stampa, la concessione ai Valdesi dei

diritti politici e civili e la libertà di culto e la concessione dei diritti civili anche agli Ebrei. La più

importante fu però la concessione dello Statuto Albertino e una legge elettorale con cui si

passava dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale.

L’opinione pubblica sosteneva che si dovesse cacciare gli Austriaci per completare l’Unità

d’Italia, così Carlo Alberto iniziò una guerra che si rivelò però prematura: entrato in Lombardia

nel ‘48, dopo alcuni successi iniziali fu sconfitto a Custoza e a Novara ed abdicò nel marzo

1849 in favore del figlio, Vittorio Emanuele II.

LA CONDIZIONE GIOVANILE A TORINO

Le condizioni morali, di vita e di lavoro dei giovani del

tempo erano deplorevoli, questo determinò l’esodo

dalle campagne verso la Torino industrializzata. I

giovani trovavano lavoro specialmente nei cantieri

come muratori, scalpellini, selciatori, stuccatori ecc.

Erano però sfruttati, vivevano in catapecchie

sovraffollate in periferia, lontani da qualsiasi ente

sociale, senza famiglia e la loro unica educazione

consisteva nel ricevere le percosse dai capi cantiere.

Molti altri, per sopravvivere, erano costretti a chiedere

la carità per le strade.

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Don Bosco vide la miseria di questi giovani, soprattutto negli anni che passò dentro il carcere

minorile, ed era la cosa che più di tutto lo commuoveva. Dunque, i giovani della Torino di

metà ‘800 si potevano definire come la fascia più povera della società.

Per Don Bosco occorreva preparare degli onesti cittadini con particolare attenzione a chi era

in una condizione di svantaggio. Si trattava di modificare “dal basso” un sistema non equo.

L’AMICIZIA CON IL MINISTRO RATTAZZI E RAPPORTI CON I POLITICI Tra il 1851 e il 1861 Don Bosco proseguì nella sua linea educativa ed assistenziale, nota ai

vertici dello Stato sabaudo che consideravano la sua Opera «benemerita della religione e della

società».

Lo strappo tra Santa Sede e Regno di Sardegna si

accentuò con l’approvazione della legge Cavour-

Rattazzi del 1855 sulla soppressione degli ordini

religiosi non aventi scopo di utilità sociale e con la

volontà di Cavour di ridurre il numero delle diocesi

del Regno. A questo punto si inserì il primo

intervento di Don Bosco per avvicinare Stato e

Chiesa; il sacerdote torinese seppe sempre tenere

fede sia alla Santa Sede sia al Re, anche dopo il

1870 (breccia di Porta Pia) quando i rapporti già labili tra le due parti si aggravarono

ulteriormente.

Nel 1857, fu ricevuto dal Ministro Urbano Rattazzi per parlare dell’Opera degli oratori e di

come assicurarne la continuità. Rattazzi consigliò a Don Bosco di scegliere qualcuno tra i suoi

collaboratori più fidati e fondare una Società affinché la sua Opera potesse avere un seguito

anche quando lui non ci sarebbe più stato. Questo consiglio sorprese Don Bosco dal momento

che Rattazzi aveva approvato l’omonima legge per cui cessavano di esistere gli ordini religiosi

come enti morali riconosciuti dalla legge e ora gli stava proponendo di creare una nuova

società che sarebbe stata vista dallo Stato soltanto come un’associazione di liberi cittadini.

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OPERA DEGLI ORATORI

“La genialità dell’Oratorio di Don Bosco è che essa prescrive ai suoi frequentatori

un codice morale e religioso, ma poi accoglie tutti”.

-Umberto Eco-

Nacque a Valdocco il primo oratorio come l’aveva inteso Don Bosco: un semplice cortile, una

tettoia, una casa che si trasformava in un ambiente educativo accogliente dove i giovani e i

ragazzini potessero trascorrere il tempo libero, offrendo loro la possibilità di socializzare con

i propri coetanei in un ambiente protetto.

Purtroppo anche in essi, la situazione che si

respirava a Torino negli anni 1848 e1849,

determinò una profonda crisi. Furono anni terribili

per Don Bosco: nel clero si erano formate alcune

divisioni e lui, rimanendo fedele all’Arcivescovo e

al Pontefice e preoccupandosi più dei suoi giovani

che della situazione politica di Torino, subì una

violenta reazione da parte dei suoi collaboratori

che lo lasciarono solo e fecero in modo che molti

ragazzi non si recassero più in oratorio.

Ma nonostante tutte le difficoltà, l’oratorio sopravvisse e addirittura Don Bosco riuscì ad

aprire due nuovi centri nel 1847 nel quartiere di Porta Nuova e due anni dopo nel quartiere

di Vanchiglia.

Si crearono alcuni contrasti all’interno del gruppo dirigente degli oratori torinesi a causa

della diversità dei metodi educativi utilizzati; Don Bosco sapeva che le sue idee erano quelle

giuste in quel momento e lottò per non farsele sottrarre.

Intervenne l’Arcivescovo in favore di Don

Bosco nominandolo direttore e capo

spirituale dell’Oratorio di S. Francesco di Sales

(Valdocco), di S. Luigi (Porta Nuova) e

dell’Angelo Custode (Vanchiglia). Don Bosco

assunse quindi la guida dei tre oratori i quali,

evolutisi a vere e proprie case, accoglievano

gli orfani, i garzoni, gli apprendisti provenienti

dalla provincia con famiglie inesistenti alle

spalle e socialmente emarginati.

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LA SCUOLA PROFESSIONALE

“Educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco”

-William Yeats-

Don Bosco si accorse subito della necessità dei suoi ragazzi di ricevere un’istruzione, la gran

parte dei quali era infatti analfabeta.

Inizialmente istituì delle scuole domenicali dove i

giovani imparavano a leggere, scrivere, eseguire le

prime quattro operazioni aritmetiche, la grammatica

italiana e il sistema metrico. Ma ciò si rivelò non

sufficiente perché spesso i ragazzi da una domenica

all’altra dimenticavano tutto. Allora Don Bosco creò

tra il 1846 e il 1847 delle scuole serali quotidiane nelle

quali si studiavano lettura, musica, scrittura,

aritmetica, disegno e francese.

Don Bosco reclutava e formava personalmente i

maestri che erano solitamente molto giovani;

volendo dare ai suoi ragazzi dei buoni libri scrisse i

libri di testo con un metodo tutto suo, come ad

esempio una piccola commedia per far apprendere il

sistema metrico decimale.

La formazione per Don Bosco non era solo sui libri: nei momenti liberi coltivavano diversi

passatempo quali canto, musica (la banda dei ragazzi di Don Bosco era diventata molto

popolare in città) e il teatro; quest’ultimo, più degli altri, ancora oggi esiste negli oratori e

nelle parrocchie. Queste attività erano consigliatissime da Don Bosco, in quanto aiutavano a

rilassare la mente e favorire il benessere dei ragazzi che, divertendosi, imparavano una nuova

arte.

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 13 -

OPERA DEI LABORATORI

“Nell’apostolato della stampa, Don Bosco vuole essere sempre all’avanguardia del progresso”

-Papa Pio XI-

ORIGINE DEI PRIMI LABORATORI E LA STAMPA SALESIANA Nel 1853 Don Bosco stabilì nella sua casa i primi due laboratori, uno per i calzolai e uno per i

sarti, nel 1854 avviò il laboratorio dei legatori, nel 1856 quello dei falegnami, nel 1861 quello

degli stampatori, nel 1862 quello dei fabbri.

Per Don Bosco, il più significativo tra i laboratori fu sicuramente la “Tipografia dell’Oratorio di

San Francesco di Sales” che svolgeva sia il ruolo di scuola per i giovani artigiani sia quello di

un centro editoriale per i suoi scritti. Don Bosco capì fin da subito l’utilità della stampa come

mezzo di comunicazione sociale più importante del tempo, la diffusione dei buoni libri era

uno degli scopi principali della sua Congregazione.

Nel 1862 iniziarono ad uscire i primi libretti; il numero delle pubblicazioni fu impressionante:

1174 titoli. Le caratteristiche di questi scritti sono quelle di un autore popolare: semplicità,

chiarezza, uso di esempi e metafore, senso del concreto. Chiaramente, queste caratteristiche

erano necessarie dal momento che il pubblico a cui erano indirizzati i suoi libri apparteneva

ai ceti sociali più umili del tempo. Don Bosco ebbe sempre a cuore la stamperia-libreria

salesiana e, dopo la sua morte, ebbe seguaci anche all’estero in Francia, Argentina e Spagna.

I MAESTRI Con la nascita del primo laboratorio ci fu il problema di come inquadrare i nuovi apprendisti:

si accorse infatti che i capi del laboratorio salariati non si occupavano né della formazione

degli allievi nel mestiere (temevano di essere sostituiti dai migliori di questi), né del buon

andamento del laboratorio. Perciò Don Bosco prese in mano l’organizzazione dei laboratori

e si adoperò come loro primo maestro insegnando loro

tutto ciò che in gioventù aveva appreso; scrisse un

regolamento che assegnava a ognuno la propria

responsabilità, infatti i maestri per lui non dovevano

limitarsi all’insegnamento dell’arte ma dovevano

occuparsi anche della condotta morale degli alunni.

Alla fine Don Bosco trovò una formula definitiva per i capi

laboratorio: essi dovevano essere oltre che maestri di

mestiere, anche dei religiosi (Coadiutori Salesiani).

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 14 -

IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO

“Don Bosco è un uomo da leggenda” -Victor Hugo-

DON BOSCO INVENTA IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO Don Bosco vedeva il male e il marcio che c’era nel mondo del lavoro della Torino del 1800 e

si prodigava per portare rimedi con i metodi e i mezzi che aveva a disposizione.

Una delle sue più grandi preoccupazioni per i giovani che prendeva con sé era quella di

collocarli presso un padrone onesto. Pertanto Don Bosco compì un atto a dir poco

rivoluzionario per il suo tempo, ma di cui c’era tanto bisogno: inventò il contratto di

apprendistato.

L’8 febbraio 1852 presso l’oratorio S. Francesco di Sales a Valdocco, il giovane apprendista

falegname Giuseppe Odasso firmò il primo contratto di “apprendizzaggio” in Italia, in carta

bollata da 40 centesimi. I garanti erano il direttore dell’oratorio, ossia Don Giovanni Bosco, e

il padre del ragazzo (Vincenzo Odasso) con una fideiussione in caso di danni non dovuti a «un

semplice effetto di accidentalità o per conseguenza d'imperizia nell'arte».

Il contratto obbligava il datore di lavoro Giuseppe Bertolino a far eseguire all’apprendista solo

il mestiere di falegname e non compiti «estranei alla professione», a correggerlo solo a parole

e senza percosse, rispettando la salute, l’età, le capacità, il riposo festivo e i doveri che il

giovane aveva come allievo dell’oratorio e retribuendolo con il giusto denaro.

L’apprendista, da parte sua, si impegnava a comportarsi «come dovere di buon apprendista

richiede».

Nel caso in cui l’apprendista venisse espulso dalla casa dell’oratorio, il direttore era libero da

ogni impegno contrattuale, mentre per le altre parti contraenti poteva persistere il rapporto

lavorativo.

Oggi il contratto originale è conservato nell'archivio della Congregazione Salesiana. A seguire

il testo originale del contratto:

“1. Il Sig. Bertolino Giuseppe Mastro Minutiere esercente la professione in Torino, riceve nella

qualità di apprendista nell’arte di falegname il giovane Giuseppe Odasso […] e si obbliga di

insegnargli l’arte suddetta, per lo spazio di anni due che si dichiarano aver avuto principio col

primo del corrente anno, ed avere termine con tutto il 1853; di dare al medesimo nel corso del

suo apprendistato le necessarie istruzioni e le migliori regole onde ben imparare ed esercitare

l’arte suddetta di Minutiere; di dargli relativamente alla sua condotta morale e civile quegli

opportuni salutari avvisi che darebbe un buon padre al proprio figlio; correggerlo

amorevolmente in caso di qualche suo mancamento, sempre però con semplici parole di

ammonizione e non mai con atto alcuno di maltrattamento; occuparlo inoltre continuamente

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 15 -

in lavori propri dell’arte sua, e proporzionati alla di lui età e capacità, ed alle fisiche sue forze,

ed escluso ogni qualunque altro servizio che fosse estraneo alla professione.

2. Dichiara formalmente e si obbliga l’anzidetto Mastro di lasciar liberi per intiero tutti i giorni

festivi dell’anno, onde l’apprendista possa attendere alle sacre funzioni, alla scuola

domenicale, e ad ogni altro dovere che gli incombe come allievo dell’Oratorio anzidetto […]

3. Lo stesso Mastro si obbliga di corrispondere settimanalmente all’apprendista l’importare

della sua mercede […]. Si obbliga inoltre a segnare al fine di ciaschedun mese, in un apposito

foglio che gli verrà presentato, e schiettamente dichiarare quale sia stata la condotta durante

il mese tenuta dall’apprendista.

4. Il giovane Odasso promette e si obbliga di prestare, per tutto il tempo dell’apprendimento

il suo servizio al detto Mastro Minusiere, con prontezza assiduità ed attenzione, ed obbediente

al medesimo, comportandosi verso di lui come il dovere di buon apprendista richiede […]

5. Avvenendo il caso in cui l’apprendista fosse per venire espulso, in seguito a qualche suo

mancamento, dalla casa dell’Oratorio di cui presentemente è allievo, cessando allora ogni suo

rapporto col Direttore dell’Oratorio, si intenderà conseguentemente anche cessata ogni

influenza e relazione tra esso sig. Direttore e il Mastro Minutiere summentovato. Ma quando

il commesso mancamento riguardasse soltanto l’oratorio e non riflettesse particolarmente il

Mastro suddetto, s’intenderà ciò nonostante durativa ed obbligatoria nel resto la presente

convenzione, fino al compimento dello stabilito termine di due anni, relativamente ad ogni

altra condizione concernente esso Mastro, l’apprendista, ed il fideiussore.

6. Il Sig. Direttore dell’Oratorio summentovato promette di prestare la sua assistenza per la

buona condotta dell’apprendista infintantoché continuerà questi ad appartenere all’Oratorio,

epperò accoglierà sempre con premura qualunque lagnanza che occorresse al Sig. Mastro di

fare sui diportamenti del detto giovane. […]”

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L’APPRENDISTATO OGGI L'apprendistato è un contratto di lavoro in cui il datore di lavoro, oltre a pagare la retribuzione

all’apprendista per il lavoro svolto, è obbligato a garantire all’apprendista la formazione

necessaria per acquisire competenze professionali adeguate al ruolo e alle mansioni per cui

è stato assunto. L’apprendista ha, da parte sua, l’obbligo di seguire il percorso formativo che

può essere svolto internamente o esternamente all’azienda. Oggi è la principale tipologia

contrattuale per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani di età compresa tra i 15

e i 29 anni.

Esistono tre tipologie di apprendistato:

1) Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, il diploma di istruzione

secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore

Permette di conseguire una qualifica o un diploma professionale alternando lavoro e

studio. La durata non può essere superiore a tre o quattro anni a seconda dei casi. Con

questa tipologia possono essere assunti giovani tra i 15 e i 25 anni, senza una qualifica

o un diploma professionale.

2) Apprendistato professionalizzante

Permette il conseguimento di una qualifica professionale, la durata del contratto non

può essere inferiore ai 6 mesi e superiore a tre anni (cinque per l’artigianato). Possono

essere assunti giovani tra i 18 e i 29 anni, in tutti i settori di attività, privati o pubblici.

3) Apprendistato di alta formazione e ricerca

Permette di conseguire diversi livelli di titoli di studio, può essere utilizzato anche per

il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche. Possono essere assunti

giovani tra i 18 e i 29 anni compiuti, in tutti i settori di attività, privati o pubblici.

Le aziende, assumendo giovani apprendisti, beneficiano dei seguenti vantaggi:

o Gli apprendisti possono essere retribuiti meno rispetto agli altri lavoratori adibiti alle

stesse mansioni

o È previsto un trattamento contributivo agevolato

o Sono previsti incentivi provinciali all’assunzione e conferma di apprendisti

Normativa di riferimento

Per Regioni e Province Autonome le regolamentazioni sono eterogenee. Rimane,

comunque, un quadro normativo generale individuato dal Decreto Legislativo 15 giugno

2015, n. 81.

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 17 -

LO STATO E IL SOCIALE

“Fare il Bene senza comparire. La violetta sta nascosta ma si conosce e si trova grazie al suo profumo”

-San Giovanni Bosco-

IMPATTO DI DON BOSCO NEL SOCIALE L'opinione pubblica contemporanea apprezzò molto la preziosa Opera sociale da lui attuata,

anche se la stampa laica gli fu sempre avversa.

Don Bosco operò al posto della classe politica, troppo impegnata nel questione dell’Unità

d’Italia per preoccuparsi della popolazione e della società stravolta dall’ondata di

industrializzazione che giungeva dall’Europa molto più avanzata.

Don Bosco adottò la politica dei piccoli passi, non eclatanti, ma quotidiani e che partivano

dalla gente comune. Da qui, nacque un lavoro di rete che consolidò il modo di lavorare del

prete torinese che portò a scelte concrete come il contratto di apprendistato, i corsi

scolastici, gli oratori.

Ancora una volta, quest’uomo si era portato in vantaggio di parecchi anni rispetto al mondo,

che inizierà a concepire il Welfare State solamente dopo la Seconda Guerra Mondiale.

LO STATO SOCIALE OGGI (WELFARE STATE) Lo Stato sociale (Welfare State) è caratterizzato dal fatto che le autorità pubbliche si

interessino del benessere dei cittadini e si preoccupano di sostenere e aiutare i più bisognosi

nel rispetto dei valori di solidarietà e giustizia sociale.

Gli obiettivi perseguiti dal Welfare State sono fondamentalmente tre:

o Assicurare un tenore di vita minimo a tutti i cittadini

o Fornire sicurezza agli individui e alle famiglie in presenza di eventi naturali ed

economici sfavorevoli di vario genere

o Consentire a tutti i cittadini di usufruire di alcuni servizi fondamentali

Gli strumenti tipici per perseguire gli obiettivi del welfare sono:

o Corresponsioni in denaro, specie nelle fasi non occupazionali del ciclo vitale e nelle

situazioni di incapacità lavorativa (sussidi)

o Erogazione di servizi in natura

o Concessione di benefici fiscali

o Regolamentazione di alcuni aspetti dell’attività economica

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 18 -

OBAMA FOR YOUTH

“Being young means keeping open the door of hope,

even when the sea is bad and the sky is tired of being blue.”

-Bob Dylan-

In the 2008 presidential election Democrat Barack Obama became the first African American

President of the United States and he was in

charge until 2017.

Recently Obama has been in Italy, precisely in

Milan, as spokesman at a conference

organized at the Seed & Chips by the Global

Food Innovation Summit. During his speech, he

talked about a project that he wants to start

with Matteo Renzi, ex Italian First Minister and

currently secretary of Democratic Party with

whom he has established a strong friendship.

Here is a piece of his speech.

“The problem is so often that people’s voices aren’t heard and when they want to get involved

in issues they don’t know how and they don’t have the tools. So Matteo and I and others have

been talking about how we can create an effective network of global activists. Someone who

are in politics, someone who are in business, someone who are in journalism or are working

for NGOs and providing the tools, the training, the networks, the relationships, the founding

so that they can be even more effective”.

Obama and Renzi agree that young people will defeat populism that today affect the world.

Obama wants to concentrate on new generations and young

people. He is convinced that change will come from them. For

Obama, a lot of things have happened because we do not speak

adequately to young people. We need to create leaders and

languages that talk to new generations. They have other ways of

communicating and other languages and we need to understand,

adapt and speak their own language.

Obama, like Don Bosco, wants to focus on young people to revive

the world economy still marked by the 2008 crisis and has

realized how young people today need help to get into the world

of work.

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 19 -

PERCHÉ DON BOSCO È UN IMPRENDITORE

“Don Bosco è veramente il tipo di un grande fondatore:

idealista e realista insieme” - Daniel-Rops-

Don Bosco era un imprenditore in quanto incamerava nel suo carattere tutti i seguenti

aspetti:

o Se non c’è qualcosa, bisogna inventarselo

o Se le cose non funzionano, si cercano delle soluzioni, non si molla tutto

o Non esiste la frase: “Si è sempre fatto così”

o Credere nelle proprie idee

o Risolvere i problemi prima che emergano

o Saper operare delle scelte

o Andare controcorrente, essere un outsider

o Puntare su educazione, formazione e progresso per essere sempre un passo avanti

agli altri

o Attuare una buona propaganda e soprattutto trasparente

o Avere regolamenti e progetti operativi affinché il proprio lavoro abbia una

continuità nel tempo

o Avere fiducia nei giovani

A mio parere, per un imprenditore che voglia definirsi tale nel 2017, questi requisiti sono la

base di partenza su cui fondare e a cui ispirarsi per la buona riuscita della propria professione.

In particolare, mi piace ricordare il fatto che quando don Bosco fondò la Congregazione di

San Francesco di Sales insieme a 17 dei suoi collaboratori, la media d’età era di 21 anni. Dai

giovani possono nascere idee innovative, con i giovani si può realizzare ciò che non è mai

stato fatto in passato.

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Pasin Veronica Il mondo del lavoro secondo Don Bosco - 20 -

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

BIBLIOGRAFIA

Di Don Bosco si può dire tanto (Giancarlo Isoardi)

Don Bosco (Joseph Gillain)

Don Bosco (Pietro Stella)

Don Bosco (Teresio Bosco)

Memorie biografiche (Giovanni Bosco)

SITOGRAFIA

cliclavoro.gov.it

donboscoborgo.it

donboscoland.it

it.donbosco-torino.org

italiaoggi.it

pmi.it

SDB.org

storiain.net Per la presentazione della tesina ho realizzato il website tesinaveronicapasin.wordpress.com utilizzando la piattaforma online wordpress.com.