impatto mag - issue #2

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www.impattomagazine.it ! mpatto issue #2 - anno 2 - 13 gennaio 2015 SIGNORI SONO IL NUMERO La vita di un clown. I falsi sorrisi e gli spettacoli beffardi. Tutto per celare le tristi paure dell’uomo dietro la maschera. divulgare la bellezza A Milano, in Piazza Scala, una mostra per avvicinarsi all’arte ed innamorarsi di essa. Da Tiepolo a Carrà. maduro e mujica Venezuela e Uruguay. M e M, storia di due iniziali che modificano gli equilibri di Paesi antichi e rivoluzionari.

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www.impattomagazine.it // [email protected] // Questa settimana in primo piano: Questa settimana in primo piano nel Magazine: La vita di un clown. I falsi sorrisi e gli spettacoli beffardi. Tutto per celare le tristi paure dell'uomo dietro la maschera. Follow Us on Facebook: https://www.facebook.com/impattomagazine

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www.impattomagazine.it

!mpattoissue #2 - anno 2 - 13 gennaio 2015

SIGNORISONO IL

NUMEROLa vita di un clown.

I falsi sorrisi e gli spettacoli beffardi.Tutto per celare le

tristi paure dell’uomo dietro la maschera.

divulgarela bellezzaA Milano, in Piazza Scala, una mostra per avvicinarsi all’arte ed innamorarsi di essa. Da Tiepolo a Carrà.

maduroe mujicaVenezuela e Uruguay. M e M, storia di due iniziali che modificano gli equilibri di Paesi antichi e rivoluzionari.

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Page 3: Impatto Mag - ISSUE #2

Investire nella pubblicità in tempo di crisi è costruirsi

le ali mentre gli altri precipitano

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!MPATTO - SommarioN.2 | 13 Gennaio 2015

CONTENUTI

Divulgarela bellezza

Una maschera come volto fino a perdere l’identità o fino a trovare la vera identità. La dicotomia di un clown. Il sentimento del contrario scatenato da una risata in un mondo circolare chiuso in un’arena.Sono il numero

Il pontedelle vocali

3

21.

31.

Pennellate che incantano e divulgano la bellezza. A Milano, in Piazza Scala, una mostra per avvici-narsi all’arte e amarla: Da Tiepolo a Carrà. I grandi temi della vita nelle collezioni delle Fondazioni. Promossa dalla Fondazione Cariplo, per una collaborazione fra le Fondazioni in nome di un co-mune impegno: creare e fare cultura attraverso l’arte.

7.

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magazine di approfondimento

[email protected]

Direttore ResponsabileEmanuela Guarnieri

ContributiAnna AnnunziataGiorgia MangiapiaMarina FinaldiFlavio Di FuscoGennaro BattistaMarco TreguaLiliana SquillacciottiEleonora BaluciValerio VarchettaJosy MonacoArmando De Martino

GraficaEnnio Grilletto

Edito da Gruppo Editoriale ImpattoIT [email protected] CoordinamentoPulseoIT 07369271213 [email protected]

Testata Registrata presso il tribunale di Napoli con decreto presidenziale numero 22 del 2 Aprile 2014.

Le foto presenti su Impatto Mag sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, lo possono segnalare alla redazione (tramite e-mail: [email protected]) che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate.

L’era della solitudine ci sta uccidendo

Je suis Jean Claude Juncker

La Banca del tempo

45.

Il 2014 segna l’ingresso dell’indice di progresso sociale teorizzato dagli economisti Sen e Stiglitz.

Indice di progresso sociale

4

59.

41.

!MPATTO

Nell’era della solitudine, dove al termine popolo

sostituiamo la parola individui, dove la paura

più grande è di essere un perdente agli occhi degli

altri. Loser è l’uomo che ha dimenticato ormai di essere

un animale sociale. Un animale che, per sua natura,

tende ad aggregarsi.

65.

Page 6: Impatto Mag - ISSUE #2

stanco della vecchia editoria?

!MPATTO MAG assume un impegno ecosostenibile ed etico.

!MPATTO MAG viene distribuito gratuitamente.

!MPATTO MAG offre ogni settimana una linea editoriale innovativa.

!MPATTO MAG con i suoi formati si apre a tutti i device digitali.

Page 7: Impatto Mag - ISSUE #2

Chi di voi vorrà fare il giornalistasi ricordi di scegliere il proprio padroneil lettore!Indro Montanelli

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Divulgare la bellezza, da Tiepolo a CarràUn universo collezionistico mostra temi universali: la vita e la morte, l’amore e la maternità, il lavoro. Pennellate che incantano e divulgano la bellezza. A Milano, in Piazza Scala, una mostra per avvicinarsi all’arte e amarla: Da Tiepolo a Carrà. I grandi temi della vita nelle collezioni delle Fondazioni. Promossa dalla Fondazione Cariplo, per una collaborazione fra le Fondazioni in nome di un comune impegno: creare e fare cultura attraverso l’arte.

!MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015

Un universo collezionistico mostra temi universali: la vita e la morte, l’amore e la maternità, il lavoro. Pennellate che incantano e divulgano la bellezza. A Milano, in Piazza Scala, una mostra per avvicinarsi all’arte e amarla: Da Tiepolo a Carrà. I grandi temi della vita nelle collezioni delle Fondazioni. Promossa dalla Fondazione Cariplo, per una collaborazione fra le Fondazioni in nome di un comune impegno: creare e fare cultura attraverso l’arte.

Un universo collezionistico mostra temi universali: la vita e la morte, l’amore e la maternità, il lavoro. Pennellate che incantano e divulgano la bellezza. A Milano, in Piazza Scala, una mostra per avvicinarsi all’arte e amarla: Da Tiepolo a Carrà. I grandi temi della vita nelle collezioni delle Fondazioni. Promossa dalla Fondazione Cariplo, per una collaborazione fra le Fondazioni in nome di un comune impegno: creare e fare cultura attraverso l’arte.

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u

“Il museo deve aprirsi a coloro a cui ap-partiene”. In una frase è racchiuso, emblematicamente, il senso di un pro-

getto. Una vocazione: il far sentire, il portare anima e il riuscire non solo a conservare ma a divulgare e comunicare l’arte perché sia av-vicinabile a tutti. Perché l’arte è di tutti. Perché l’arte è bellezza e come tale bisogna educare alla bellezza affinché non solo l’occhio e lo sguardo ma anche la mente e l’anima desiderino e si protendano verso l’eccellenza della vita, verso il sublime del mondo che ci circonda, per squarciare il velo dal volto e po-ter godere del motore che spinge l’uomo a creare, per poter entrare in un quadro, trarne l’intimità ed uscirne arricchito, caricato di en-ergia e curiosità. Come è stato sot-tolineato ripetutamente dalla Re-sponsabile della collezione d’arte della Fondazione Cariplo Lucia Molino: l’arte deve essere a dispo-sizione di tutti e deve affascinare. Il progetto in questione è la mostra Da Tiepolo a Carrà. I grandi temi della vita nelle collezioni delle Fon-dazioni, ospitata nelle sale pres-tigiose di Gallerie d’Italia, Piazza Scala, a Milano. La Fondazione

Commiato di Socrate dalla moglie Santippe

Un raggio di luce investe una donna. Il suo profilo di severa bellezza e l’elegante accostamento cromatico la

eleggono dolente protagonista della morte del grande Socrate.

(Pittore neoclassico, 1800 - 1810)

Commiato di Socrate dalla moglie Santippe

Un raggio di luce investe una donna. Il suo profilo di severa bellezza e l’elegante accostamento cromatico la

eleggono dolente protagonista della morte del grande Socrate.

(Pittore neoclassico, 1800 - 1810)

Commiato di Socrate dalla moglie Santippe

Un raggio di luce investe una donna. Il suo profilo di severa bellezza e l’elegante accostamento cromatico la

eleggono dolente protagonista della morte del grande Socrate.

(Pittore neoclassico, 1800 - 1810)

l museo deve aprirsi a coloro a cui ap-partiene”. In una frase è racchiuso, emblematicamente, il senso di un pro-

getto. Una vocazione: il far sentire, il portare anima e il riuscire non solo a conservare ma a divulgare e comunicare l’arte perché sia av-vicinabile a tutti. Perché l’arte è di tutti. Perché l’arte è bellezza e come tale bisogna educare alla bellezza affinché non solo l’occhio e lo sguardo ma anche la mente e l’anima desiderino e si protendano verso l’eccellenza della vita, verso il sublime del mondo che ci circonda, per squarciare il velo dal volto e po-ter godere del motore che spinge l’uomo a creare, per poter entrare in un quadro, trarne l’intimità ed uscirne arricchito, caricato di en-ergia e curiosità. Come è stato sot-tolineato ripetutamente dalla Re-sponsabile della collezione d’arte della Fondazione Cariplo Lucia Molino: l’arte deve essere a dispo-sizione di tutti e deve affascinare. Il progetto in questione è la mostra Da Tiepolo a Carrà. I grandi temi della vita nelle collezioni delle Fon-dazioni, ospitata nelle sale pres-tigiose di Gallerie d’Italia, Piazza Scala, a Milano. La Fondazione

l museo deve aprirsi a coloro a cui ap-partiene”. In una frase è racchiuso, emblematicamente, il senso di un pro-

getto. Una vocazione: il far sentire, il portare anima e il riuscire non solo a conservare ma a divulgare e comunicare l’arte perché sia av-vicinabile a tutti. Perché l’arte è di tutti. Perché l’arte è bellezza e come tale bisogna educare alla bellezza affinché non solo l’occhio e lo sguardo ma anche la mente e l’anima desiderino e si protendano verso l’eccellenza della vita, verso il sublime del mondo che ci circonda, per squarciare il velo dal volto e po-ter godere del motore che spinge l’uomo a creare, per poter entrare in un quadro, trarne l’intimità ed uscirne arricchito, caricato di en-ergia e curiosità. Come è stato sot-tolineato ripetutamente dalla Re-sponsabile della collezione d’arte della Fondazione Cariplo Lucia Molino: l’arte deve essere a dispo-sizione di tutti e deve affascinare. Il progetto in questione è la mostra Da Tiepolo a Carrà. I grandi temi della vita nelle collezioni delle Fon-dazioni, ospitata nelle sale pres-tigiose di Gallerie d’Italia, Piazza Scala, a Milano. La Fondazione

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DCariplo ed altre sette Fon-dazioni di origine bancaria (Ente Cassa di Risparmio di Firenze, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forli, Fon-dazione Cassa di Risparmio di Ferrara, Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia, Fon-dazione Cassa di Risparmio di Lucca, Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, Fondazione di Venezia) hanno messo a dis-posizione ventitré capolav-ori che svelano un patrimo-nio culturale nazionale. Un percorso alla scoperta di una storia comune. Una storia locale dei territori. Una sto-

ria che percorre e attraversa realtà territoriali grazie al nodo stretto che esiste fra opere e luoghi.

a Tiepolo a Carrà rientra nel progetto R’accolte svi-

luppato dall’Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio spa (Acri) e re-alizzato dalla Commissione per le Attività e i Beni Cul-turali con “l’obiettivo di inventariare, in conformità ai criteri ministeriali, le opere conservate nelle col-lezioni d’arte delle associate

e costruire una banca data on-line”. Nel giro di pochi anni, il progetto R’accolte ha portato all’inventariazione e alla documentazione foto-grafica di oltre 11.000 opere d’arte fra sculture, dipinti, ceramiche, stampe, disegni, numismatica e arredi. Il tut-to è accessibile sul sito rac-colte.acri.it con un catalogo che concretizza un rapporto di collaborazione e di inter-scambio fondamentale per una conoscenza preziosa e di valorizzazione. La prima sosta del percorso: Bologna. La rassegna Il barocco emil-iano (6 dicembre 2012-3

!MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015

Cariplo ed altre sette Fon-dazioni di origine bancaria (Ente Cassa di Risparmio di Firenze, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forli, Fon-dazione Cassa di Risparmio di Ferrara, Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia, Fon-dazione Cassa di Risparmio di Lucca, Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, Fondazione di Venezia) hanno messo a dis-posizione ventitré capolav-ori che svelano un patrimo-nio culturale nazionale. Un percorso alla scoperta di una storia comune. Una storia locale dei territori. Una sto-

ria che percorre e attraversa realtà territoriali grazie al nodo stretto che esiste fra opere e luoghi.

a Tiepolo a Carrà rientra nel progetto R’accolte svi-

luppato dall’Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio spa (Acri) e re-alizzato dalla Commissione per le Attività e i Beni Cul-turali con “l’obiettivo di inventariare, in conformità ai criteri ministeriali, le opere conservate nelle col-lezioni d’arte delle associate

e costruire una banca data on-line”. Nel giro di pochi anni, il progetto R’accolte ha portato all’inventariazione e alla documentazione foto-grafica di oltre 11.000 opere d’arte fra sculture, dipinti, ceramiche, stampe, disegni, numismatica e arredi. Il tut-to è accessibile sul sito rac-colte.acri.it con un catalogo che concretizza un rapporto di collaborazione e di inter-scambio fondamentale per una conoscenza preziosa e di valorizzazione. La prima sosta del percorso: Bologna. La rassegna Il barocco emil-iano (6 dicembre 2012-3

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Donna che cuce e due bambiniFigure che emergono dallo sfondo scuro, volutamente

indifferenziato, con prepotenza in un primo piano per

sottolinearne la povertà. Dagli strappi e dai buchi alle malformazioni e ai volti dei

bambini dallo sguardo adulto.(Meaestro della tela jean, XVII)

Donna che cuce e due bambiniFigure che emergono dallo sfondo scuro, volutamente

indifferenziato, con prepotenza in un primo piano per

sottolinearne la povertà. Dagli strappi e dai buchi alle malformazioni e ai volti dei

bambini dallo sguardo adulto.(Meaestro della tela jean, XVII)

Donna che cuce e due bambiniFigure che emergono dallo sfondo scuro, volutamente

indifferenziato, con prepotenza in un primo piano per

sottolinearne la povertà. Dagli strappi e dai buchi alle malformazioni e ai volti dei

bambini dallo sguardo adulto.(Meaestro della tela jean, XVII)

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febbraio 2013) che univa ventuno importanti dipinti legati al ter-ritorio. La seconda sosta, quella milanese, ha un fulcro nazionale. Nel visitare la mostra, si potrà godere non solo dei dipinti della Fondazione Cariplo ma anche del-le opere delle altre Fondazioni con cui poter intrecciare “un dialogo intessuto di convincenti rimandi tematici e stilistici, di assonanze iconografiche e compositive”. Nasce così un viaggio suggestivo attraverso tre secoli di pittura ital-iana, dal Seicento al Settecento al Novecento. Nel grande teatro della vita, offertoci da Cariplo, in cui ci si ritrova da spettatori a guardarsi attraverso dei dipinti, la prima tela ha un impatto straordinario.

apriccio italianiz-zante con scena di mercato, nella sua maestosa enor-mità (210x330 cm),

dell’artista fiammingo Si-mon Johannes van Douw con il suo capriccio architettonico in cui si mescolano gli elementi dell’archeologia dell’Urbe, la pit-tura dei paesaggi, la natura morta e la raffigurazione di animali in una fiumana umana. Uomini nelle più svariate attività: dal commer-cio, al gioco, al divertimento, al lavoro con le greggi. L’uomo e la vita. In un respiro epico. In una monumentalità che racchiude un mondo abbracciato dalle nuvole e dalle montagne. Nel passeggiare lungo un sentiero d’arte esem-plare ci si troverà di fronte a temi universali, come la vita e la morte, la maternità e il lavoro, l’amore. I capolavori esposti, perché di capolavori si tratta, con le loro tematiche, richiamano l’impegno profuso da sempre da Cariplo. L’agire della Fondazione è sociale, è fortemente e volutamente cen-trato sul benessere della propria comunità. Un occhio di riguardo volto ai giovani e alle fasce fragili della società. Dall’intervista a Lu-cia Molino è emersa questa forte

!MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015

febbraio 2013) che univa ventuno importanti dipinti legati al ter-ritorio. La seconda sosta, quella milanese, ha un fulcro nazionale. Nel visitare la mostra, si potrà godere non solo dei dipinti della Fondazione Cariplo ma anche del-le opere delle altre Fondazioni con cui poter intrecciare “un dialogo intessuto di convincenti rimandi tematici e stilistici, di assonanze iconografiche e compositive”. Nasce così un viaggio suggestivo attraverso tre secoli di pittura ital-iana, dal Seicento al Settecento al Novecento. Nel grande teatro della vita, offertoci da Cariplo, in cui ci si ritrova da spettatori a guardarsi attraverso dei dipinti, la prima tela ha un impatto straordinario.

apriccio italianiz-zante con scena di mercato, nella sua maestosa enor-mità (210x330 cm),

dell’artista fiammingo Si-mon Johannes van Douw con il suo capriccio architettonico in cui si mescolano gli elementi dell’archeologia dell’Urbe, la pit-tura dei paesaggi, la natura morta e la raffigurazione di animali in una fiumana umana. Uomini nelle più svariate attività: dal commer-cio, al gioco, al divertimento, al lavoro con le greggi. L’uomo e la vita. In un respiro epico. In una monumentalità che racchiude un mondo abbracciato dalle nuvole e dalle montagne. Nel passeggiare lungo un sentiero d’arte esem-plare ci si troverà di fronte a temi universali, come la vita e la morte, la maternità e il lavoro, l’amore. I capolavori esposti, perché di capolavori si tratta, con le loro tematiche, richiamano l’impegno profuso da sempre da Cariplo. L’agire della Fondazione è sociale, è fortemente e volutamente cen-trato sul benessere della propria comunità. Un occhio di riguardo volto ai giovani e alle fasce fragili della società. Dall’intervista a Lu-cia Molino è emersa questa forte

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Sir Charles WatsonLa precisione filologica del

costume attraverso una tecnica dalla resa accurata, quasi tattile,

per un giovane dai lineamenti morbidi e signorili, colto in una

posa di estrema naturalezza.(Pompeo Girolamo Batoni, 1775)

Sir Charles WatsonLa precisione filologica del

costume attraverso una tecnica dalla resa accurata, quasi tattile,

per un giovane dai lineamenti morbidi e signorili, colto in una

posa di estrema naturalezza.(Pompeo Girolamo Batoni, 1775)

Sir Charles WatsonLa precisione filologica del

costume attraverso una tecnica dalla resa accurata, quasi tattile,

per un giovane dai lineamenti morbidi e signorili, colto in una

posa di estrema naturalezza.(Pompeo Girolamo Batoni, 1775)

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P

!MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015

volontà, ancor meglio vo-cazione, al creare e fare cul-tura attraverso un lavoro di collaborazione. “Creare una rete per una divulgazione culturale, per una comparte-cipazione di competenze. Per la realizzazione di un prodot-to finale superiore. Mettere insieme per creare un valore aggiunto”. In questa visione intelligente e costruttiva di un progetto culturale, artis-tico e umano rientrano anche un fitto calendario di visite guidate rivolte agli adulti e laboratori dedicati ai più pic-

coli. Mostre per le famiglie con attività didattiche labo-ratoriali per i bambini. Per consentire un avvicinamento e per fare cultura.

erché non basta custodire la cul-tura o trasmet-terla agli addetti

ai lavori. Sarebbe un lavoro troppo semplice. Non rien-trerebbe in un’ottica così vasta e profonda di voca-zione come quella che la Fondazione Cariplo di pre-figge. Educare alla cultura.

Essere capaci di comunicarla, trasmetterla, farla sentire attraverso gli sguardi, con-sentire che venga percepita come ricchezza e che sia in-teriorizzata per un accresci-mento emotivo e mentale. E per far ciò ci si deve met-tere in gioco, alla prova. Ecco l’impegno della Fondazione. Nel sostare tra un dipinto e l’altro, ci si troverà im-mersi negli occhi del Cac-ciatore a cavallo di Giovan Battista Tiepolo. In una fig-ura ornata del suo costume, nell’irruenza di un braccio

!MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015

volontà, ancor meglio vo-cazione, al creare e fare cul-tura attraverso un lavoro di collaborazione. “Creare una rete per una divulgazione culturale, per una comparte-cipazione di competenze. Per la realizzazione di un prodot-to finale superiore. Mettere insieme per creare un valore aggiunto”. In questa visione intelligente e costruttiva di un progetto culturale, artis-tico e umano rientrano anche un fitto calendario di visite guidate rivolte agli adulti e laboratori dedicati ai più pic-

coli. Mostre per le famiglie con attività didattiche labo-ratoriali per i bambini. Per consentire un avvicinamento e per fare cultura.

erché non basta custodire la cul-tura o trasmet-terla agli addetti

ai lavori. Sarebbe un lavoro troppo semplice. Non rien-trerebbe in un’ottica così vasta e profonda di voca-zione come quella che la Fondazione Cariplo di pre-figge. Educare alla cultura.

Essere capaci di comunicarla, trasmetterla, farla sentire attraverso gli sguardi, con-sentire che venga percepita come ricchezza e che sia in-teriorizzata per un accresci-mento emotivo e mentale. E per far ciò ci si deve met-tere in gioco, alla prova. Ecco l’impegno della Fondazione. Nel sostare tra un dipinto e l’altro, ci si troverà im-mersi negli occhi del Cac-ciatore a cavallo di Giovan Battista Tiepolo. In una fig-ura ornata del suo costume, nell’irruenza di un braccio

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Socrate beve la cicutaIn un serrato dialogo, di

straordinaria potenza espressiva, di gesti e sguardi tra il filosofo e il suo aguzzino. In diagonali

opposte per mostrare le diversa tempra dei personaggi e la loro

stautura morale differente.(Giocacchino Assereto, 1640-1649)

Socrate beve la cicutaIn un serrato dialogo, di

straordinaria potenza espressiva, di gesti e sguardi tra il filosofo e il suo aguzzino. In diagonali

opposte per mostrare le diversa tempra dei personaggi e la loro

stautura morale differente.(Giocacchino Assereto, 1640-1649)

Socrate beve la cicutaIn un serrato dialogo, di

straordinaria potenza espressiva, di gesti e sguardi tra il filosofo e il suo aguzzino. In diagonali

opposte per mostrare le diversa tempra dei personaggi e la loro

stautura morale differente.(Giocacchino Assereto, 1640-1649)

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u

scoperto sotto la manica ar-rotolata, il suo sguardo fissa audacemente chi si trova di fronte. Sono gli stessi occhi degli autoritratti di Tiepo-lo, definito dai veneziani il “Tiepoletto”. “Quest’uomo piccolino, manieroso, mite […] covava dentro di sé un mare di fantasie, era agitato da una bruciante passione per l’arte”. Così lo ha de-scritto Antonio Morassi. Arte significa: fermare su tela una potenzialità creatrice senza limiti, erompere con una passione sensuale che è genialità, creare vibranti pennellate di eternità o di

morte che hanno in sé l’estro creatore di cui l’uomo, nella sua eterea essenza, è capace e che può stendere in un quadro.

ar amare l’arte è: saperla comu-nicare in modi diversi per gi-ungere a chi ne

è a digiuno. Per affascinare chi crede di esserne lonta-no. Per conquistare chi non sa soffermarsi. L’obiettivo delle Fondazioni va oltre un impegno sociale ed eco-nomico. È un impegno alta-mente umano ed educativo.

La vocazione che spinge ad agire l’organizzatrice Mo-lino e gli altri collaboratori è stimabile e serve da exem-plum per qualsiasi progetto a sfondo sociale. Partire dal “piccolo”, dal basso, per costruire una solida base su cui innalzare un edificio di cultura. Nella collezione della Fondazione ritroviamo i dipinti di Francesco Hayez, Giuseppe Molteni, Giovan-ni Migliara, Domenico e Gerolamo Induno, Giuseppe Canella, Angelo Inganni, Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Emilio Gola; leon-ardo Bazzaro, Gaetano

F

Venere con amoriniLa morbidezza dei paesaggi

chiaroscurali, accuratamente studiati dal vero. Un misterioso

paesaggio con case e boschi che affiora in lontananza e un

impianto scenico con Venere che discosta da sé il tendaggio nella

sua superba bellezza.(Carlo Cignani, circa 1685)

Venere con amoriniLa morbidezza dei paesaggi

chiaroscurali, accuratamente studiati dal vero. Un misterioso

paesaggio con case e boschi che affiora in lontananza e un

impianto scenico con Venere che discosta da sé il tendaggio nella

sua superba bellezza.(Carlo Cignani, circa 1685)

Venere con amoriniLa morbidezza dei paesaggi

chiaroscurali, accuratamente studiati dal vero. Un misterioso

paesaggio con case e boschi che affiora in lontananza e un

impianto scenico con Venere che discosta da sé il tendaggio nella

sua superba bellezza.(Carlo Cignani, circa 1685)

scoperto sotto la manica ar-rotolata, il suo sguardo fissa audacemente chi si trova di fronte. Sono gli stessi occhi degli autoritratti di Tiepo-lo, definito dai veneziani il “Tiepoletto”. “Quest’uomo piccolino, manieroso, mite […] covava dentro di sé un mare di fantasie, era agitato da una bruciante passione per l’arte”. Così lo ha de-scritto Antonio Morassi. Arte significa: fermare su tela una potenzialità creatrice senza limiti, erompere con una passione sensuale che è genialità, creare vibranti pennellate di eternità o di

morte che hanno in sé l’estro creatore di cui l’uomo, nella sua eterea essenza, è capace e che può stendere in un quadro.

ar amare l’arte è: saperla comu-nicare in modi diversi per gi-ungere a chi ne

è a digiuno. Per affascinare chi crede di esserne lonta-no. Per conquistare chi non sa soffermarsi. L’obiettivo delle Fondazioni va oltre un impegno sociale ed eco-nomico. È un impegno alta-mente umano ed educativo.

La vocazione che spinge ad agire l’organizzatrice Mo-lino e gli altri collaboratori è stimabile e serve da exem-plum per qualsiasi progetto a sfondo sociale. Partire dal “piccolo”, dal basso, per costruire una solida base su cui innalzare un edificio di cultura. Nella collezione della Fondazione ritroviamo i dipinti di Francesco Hayez, Giuseppe Molteni, Giovan-ni Migliara, Domenico e Gerolamo Induno, Giuseppe Canella, Angelo Inganni, Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Emilio Gola; leon-ardo Bazzaro, Gaetano

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l

17

PPreviati, Telemaco Signorini che rappresentano la Milano del XIX secolo - la Milano capitale morale, culturale ed economica – ma la mostra Da Tiepolo a Carrà vuol mostrare l’altra faccia delle collezioni della Fondazione. Altri secoli e altri artisti non legati solo all’ambiente mil-anese: Tiepolo, Guidonono, Van Douw; il Maestro della tela Jeans, Dudreville, Funi, Gemito, Mènageot, Annigo-

ni, Cignani, Assereto, Batoni, Carrà, De Maria, Kauffmann per far conoscere al pubblico dei secoli non così privilegia-ti, ma caratterizzati da dip-inti di assoluta bellezza, per coinvolgerne la sensibilità. Per potersi perdere e ritro-vare nei giochi cromatici, nei rimandi tematici, nel real-ismo magico e nei miti mod-erni raccontati per immagini in una dimensione narrativa che solo l’arte può creare.

er il progetto R’accolte pros-sima sosta del percorso sarà Fi-renze. Intanto si

percorrano i sentieri della mostra. Si osservino quei volti puntati ad interrogare e a far sì che lo spettatore s’interroghi, in un’affezione empatica, sui valori della quotidianità che racchiudo-no in sé il significato della vita.

!MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - CultureN.2 | 13 Gennaio 2015

Previati, Telemaco Signorini che rappresentano la Milano del XIX secolo - la Milano capitale morale, culturale ed economica – ma la mostra Da Tiepolo a Carrà vuol mostrare l’altra faccia delle collezioni della Fondazione. Altri secoli e altri artisti non legati solo all’ambiente mil-anese: Tiepolo, Guidonono, Van Douw; il Maestro della tela Jeans, Dudreville, Funi, Gemito, Mènageot, Annigo-

ni, Cignani, Assereto, Batoni, Carrà, De Maria, Kauffmann per far conoscere al pubblico dei secoli non così privilegia-ti, ma caratterizzati da dip-inti di assoluta bellezza, per coinvolgerne la sensibilità. Per potersi perdere e ritro-vare nei giochi cromatici, nei rimandi tematici, nel real-ismo magico e nei miti mod-erni raccontati per immagini in una dimensione narrativa che solo l’arte può creare.

er il progetto R’accolte pros-sima sosta del percorso sarà Fi-renze. Intanto si

percorrano i sentieri della mostra. Si osservino quei volti puntati ad interrogare e a far sì che lo spettatore s’interroghi, in un’affezione empatica, sui valori della quotidianità che racchiudo-no in sé il significato della vita.

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Ritratto della famiglia TiepoloLa nobile famiglia Tiepolo, dedita

al commercio della seta, ritratta in una studiata composizione

neoclassica. Le figure sono fermate nella loro dimensione

familiare semplice e quotidiana.(Francoise Ménageot, 1801)

Ritratto della famiglia TiepoloLa nobile famiglia Tiepolo, dedita

al commercio della seta, ritratta in una studiata composizione

neoclassica. Le figure sono fermate nella loro dimensione

familiare semplice e quotidiana.(Francoise Ménageot, 1801)

Ritratto della famiglia TiepoloLa nobile famiglia Tiepolo, dedita

al commercio della seta, ritratta in una studiata composizione

neoclassica. Le figure sono fermate nella loro dimensione

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Chi di voi vorrà fare il giornalistasi ricordi di scegliere il proprio padroneil lettore!Indro Montanelli

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Il pontedelle vocalidi Emanuela GuarnieriVenezuela e Uruguay: le rivoluzionarie del cambiamento. Un cambiamento ora macchiato di sangue, ora inondato di semplicità. Maduro e Mujica: in un gioco di lettere scomposte a confronto. In un modo di porsi e pensare scenicamente e diametralmente agli opposti. Tra miseria, mutamento, mescolanze, due iniziali determinanti per due mondi antichi.

!MPATTO - LifeN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - LifeN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - LifeN.2 | 13 Gennaio 2015

di Emanuela GuarnieriVenezuela e Uruguay: le rivoluzionarie del cambiamento. Un cambiamento ora macchiato di sangue, ora inondato di semplicità. Maduro e Mujica: in un gioco di lettere scomposte a confronto. In un modo di porsi e pensare scenicamente e diametralmente agli opposti. Tra miseria, mutamento, mescolanze, due iniziali determinanti per due mondi antichi.

di Emanuela GuarnieriVenezuela e Uruguay: le rivoluzionarie del cambiamento. Un cambiamento ora macchiato di sangue, ora inondato di semplicità. Maduro e Mujica: in un gioco di lettere scomposte a confronto. In un modo di porsi e pensare scenicamente e diametralmente agli opposti. Tra miseria, mutamento, mescolanze, due iniziali determinanti per due mondi antichi.

di Emanuela GuarnieriVenezuela e Uruguay: le rivoluzionarie del cambiamento. Un cambiamento ora macchiato di sangue, ora inondato di semplicità. Maduro e Mujica: in un gioco di lettere scomposte a confronto. In un modo di porsi e pensare scenicamente e diametralmente agli opposti. Tra miseria, mutamento, mescolanze, due iniziali determinanti per due mondi antichi.

di Emanuela GuarnieriVenezuela e Uruguay: le rivoluzionarie del cambiamento. Un cambiamento ora macchiato di sangue, ora inondato di semplicità. Maduro e Mujica: in un gioco di lettere scomposte a confronto. In un modo di porsi e pensare scenicamente e diametralmente agli opposti. Tra miseria, mutamento, mescolanze, due iniziali determinanti per due mondi antichi.

di Emanuela GuarnieriVenezuela e Uruguay: le rivoluzionarie del cambiamento. Un cambiamento ora macchiato di sangue, ora inondato di semplicità. Maduro e Mujica: in un gioco di lettere scomposte a confronto. In un modo di porsi e pensare scenicamente e diametralmente agli opposti. Tra miseria, mutamento, mescolanze, due iniziali determinanti per due mondi antichi.

di Emanuela GuarnieriVenezuela e Uruguay: le rivoluzionarie del cambiamento. Un cambiamento ora macchiato di sangue, ora inondato di semplicità. Maduro e Mujica: in un gioco di lettere scomposte a confronto. In un modo di porsi e pensare scenicamente e diametralmente agli opposti. Tra miseria, mutamento, mescolanze, due iniziali determinanti per due mondi antichi.

di Emanuela GuarnieriVenezuela e Uruguay: le rivoluzionarie del cambiamento. Un cambiamento ora macchiato di sangue, ora inondato di semplicità. Maduro e Mujica: in un gioco di lettere scomposte a confronto. In un modo di porsi e pensare scenicamente e diametralmente agli opposti. Tra miseria, mutamento, mescolanze, due iniziali determinanti per due mondi antichi.

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u

Maduro e Mujica. Due cognomi di sei lettere, en-trambi comin-ciano per M. M come madre,

M come miseria, M come muta-mento. Venezuela e Uruguay. La piccola Venezia e il piccolo stater-ello. Quando Vespucci arrivò nel 1499, quel golfo con le palafitte fuori dalle acque gli ricordò una Venezziola, una Venezuola, e poi gli spagnoli gli cambiarono la e. Questi ultimi, nel 1516, trovarono invece in Uruguay la strenua re-sistenza dei Charrúas, gli indigeni di cui oggi resta traccia, oltre che nei dipinti murali delle loro caverne di lottatori, nel nomignolo della na-zionale di calcio uruguaiana. Oggi, Venezuela e Uruguay, rimandano a un’unica parola: cambiamento. Cambiamento voluto, propagan-dato, imposto o naturalmente dato? La risposta non è univoca, ma quel che è certo, è che questa idea è pas-sata di bocca in bocca all’indomani della morte di Hugo Chávez che come ultime parole aveva pronun-ciato “Yo no quiero morir, por favor no me dejen morir”, “Non voglio morire, per piacere non lasciatemi morire”. E così fu. Salito al potere Nicolás Maduro, dallo stesso

aduro e Mujica. Due cognomi di sei lettere, en-trambi comin-ciano per M. M come madre,

M come miseria, M come muta-mento. Venezuela e Uruguay. La piccola Venezia e il piccolo stater-ello. Quando Vespucci arrivò nel 1499, quel golfo con le palafitte fuori dalle acque gli ricordò una Venezziola, una Venezuola, e poi gli spagnoli gli cambiarono la e. Questi ultimi, nel 1516, trovarono invece in Uruguay la strenua re-sistenza dei Charrúas, gli indigeni di cui oggi resta traccia, oltre che nei dipinti murali delle loro caverne di lottatori, nel nomignolo della na-zionale di calcio uruguaiana. Oggi, Venezuela e Uruguay, rimandano a un’unica parola: cambiamento. Cambiamento voluto, propagan-dato, imposto o naturalmente dato? La risposta non è univoca, ma quel che è certo, è che questa idea è pas-sata di bocca in bocca all’indomani della morte di Hugo Chávez che come ultime parole aveva pronun-ciato “Yo no quiero morir, por favor no me dejen morir”, “Non voglio morire, per piacere non lasciatemi morire”. E così fu. Salito al potere Nicolás Maduro, dallo stesso

Mujica per il bene socialeUn atipico presidente povero e dà esempio per i suoi cittadini. Nessun conto in banca e tanta

umanità. L’esempio di una dirigenza semplice ma concreta.

Mujica per il bene socialeUn atipico presidente povero e dà esempio per i suoi cittadini. Nessun conto in banca e tanta

umanità. L’esempio di una dirigenza semplice ma concreta.

Mujica per il bene socialeUn atipico presidente povero e dà esempio per i suoi cittadini. Nessun conto in banca e tanta

umanità. L’esempio di una dirigenza semplice ma concreta.

Mujica per il bene socialeUn atipico presidente povero e dà esempio per i suoi cittadini. Nessun conto in banca e tanta

umanità. L’esempio di una dirigenza semplice ma concreta.

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Il Comandante del VenezuelaSulla scia del socialismo boliviano, per un Governo macchiato dal sangue. In un paese produttore che perde quota e mostra le deboli basi economiche e finanziarie.

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Il Comandante del VenezuelaSulla scia del socialismo boliviano, per un Governo macchiato dal sangue. In un paese produttore che perde quota e mostra le deboli basi economiche e finanziarie.

Il Comandante del VenezuelaSulla scia del socialismo boliviano, per un Governo macchiato dal sangue. In un paese produttore che perde quota e mostra le deboli basi economiche e finanziarie.

Il Comandante del VenezuelaSulla scia del socialismo boliviano, per un Governo macchiato dal sangue. In un paese produttore che perde quota e mostra le deboli basi economiche e finanziarie.

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Chávez designato come pos-sibile successore, il Venezu-ela ha deciso che, il suo Co-mandante, non sarebbe mai morto davvero. Sette giorni di lutto nazionale, giornate in segno di rispetto orga-nizzate in tutta l’America Latina, l’annuncio, poi riti-rato, di imbalsamazione del corpo , la messa, a Genova, celebrata da un rivoluzion-ario nostrano: Don Andrea Gallo. Il mondo si è mosso per celebrare il cambiamen-to attuato nell’unione di cul-ture differenti e nella lotta al

capitalismo, un cambiamen-to che non poteva e non può avere fine con la morte.

er quanto Maduro si sia mosso sulla linea del socialismo bolivariano firmato

Chávez, comunque, questo cambiamento è avvenuto in negativo, sporcato dal sangue di oppositori al gov-erno, che sia nella seconda metà del 2013, che nel 2014, sono stati uccisi a causa delle loro proteste anti Maduro e la violenta crisi economica

e finanziaria, oggi diventata una vera e propria tragedia con l’aggravarsi di quella petrolifera: il Venezuela è un paese produttore, con le riserve di idrocarburi più grandi del mondo e proprio per questo il crollo delle quotazioni petrolifere preme oggi sul governo a svalutare il bolivar, la moneta nazio-nale. Più che odore di cam-biamento, si sente puzza di bruciato, una puzza che sa di default. Bell’esempio di cambiamento, è invece stato quello dell’Uruguay, che,

PChávez designato come pos-sibile successore, il Venezu-ela ha deciso che, il suo Co-mandante, non sarebbe mai morto davvero. Sette giorni di lutto nazionale, giornate in segno di rispetto orga-nizzate in tutta l’America Latina, l’annuncio, poi riti-rato, di imbalsamazione del corpo , la messa, a Genova, celebrata da un rivoluzion-ario nostrano: Don Andrea Gallo. Il mondo si è mosso per celebrare il cambiamen-to attuato nell’unione di cul-ture differenti e nella lotta al

capitalismo, un cambiamen-to che non poteva e non può avere fine con la morte.

er quanto Maduro si sia mosso sulla linea del socialismo bolivariano firmato

Chávez, comunque, questo cambiamento è avvenuto in negativo, sporcato dal sangue di oppositori al gov-erno, che sia nella seconda metà del 2013, che nel 2014, sono stati uccisi a causa delle loro proteste anti Maduro e la violenta crisi economica

e finanziaria, oggi diventata una vera e propria tragedia con l’aggravarsi di quella petrolifera: il Venezuela è un paese produttore, con le riserve di idrocarburi più grandi del mondo e proprio per questo il crollo delle quotazioni petrolifere preme oggi sul governo a svalutare il bolivar, la moneta nazio-nale. Più che odore di cam-biamento, si sente puzza di bruciato, una puzza che sa di default. Bell’esempio di cambiamento, è invece stato quello dell’Uruguay, che,

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in coerentissima linea con la rivoluzione del “papa pove-ro”, ha potuto godere, fino a qualche mese fa, di un “pres-idente povero”, un “atipico” che ha stupito il mondo in-tero: José Pepe Mujica, oggi sostituito da Tabaré Vazquez, proveniente dal suo stesso partito, il Fronte Ampio. Tanto diverso dai presiden-ti che l’hanno preceduto, e decisamente opposto al populismo e personalismo che ha invece caratterizzato l’altra figura carismatica di cui abbiamo appena parlato, el “Comandante” Chávez. Ma quale è stato l’apporto al cambiamento di Mujica? Innanzitutto la legalizzazi-one della marijuana, scelta

rischiosa e coraggiosa, e per questo probabilmente vin-cente, nel continente dei narcos, a due passi dal Para-guay, il maggiore produttore ed “esportatore illegale” di marijuana in America Latina.

i proteste, an-che qui ce ne sono state: non solo per la marijuana, ma

anche per la legalizzazione dell’aborto, libero fino alla dodicesima settimana, per la legge che rende automat-ica la donazione degli organi (salvo firma preventiva di una dichiarazione di rifiuto) e l’unione matrimoniale omo-sessuale. Quello che ha stu-pito il mondo, però, è stata la

sua semplicità: il rifiuto della residenza presidenziale e la scelta di continuare a vivere nella sua piccola fattoria vi-cino Montevideo, “approfit-tando” appena di mille euro, il 10% del suo stipendio come capo di stato, per il resto completamente devoluto al sociale. Unici beni posseduti: due maggiolini e tre trat-tori. Conti in banca: nessuno. Maduro e Mujica. Due cogno-mi di sei lettere. Uno finisce per O, l’altro per A. O come odio, A come Amore. In mezzo servirebbe un ponte, l’unico che, passando dalla O di odio alla A di Amore, può condurre (invertendo la tendenza) al mutamento, che comincia per M. AMO, solo così, CAMBIO.

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in coerentissima linea con la rivoluzione del “papa pove-ro”, ha potuto godere, fino a qualche mese fa, di un “pres-idente povero”, un “atipico” che ha stupito il mondo in-tero: José Pepe Mujica, oggi sostituito da Tabaré Vazquez, proveniente dal suo stesso partito, il Fronte Ampio. Tanto diverso dai presiden-ti che l’hanno preceduto, e decisamente opposto al populismo e personalismo che ha invece caratterizzato l’altra figura carismatica di cui abbiamo appena parlato, el “Comandante” Chávez. Ma quale è stato l’apporto al cambiamento di Mujica? Innanzitutto la legalizzazi-one della marijuana, scelta

rischiosa e coraggiosa, e per questo probabilmente vin-cente, nel continente dei narcos, a due passi dal Para-guay, il maggiore produttore ed “esportatore illegale” di marijuana in America Latina.

i proteste, an-che qui ce ne sono state: non solo per la marijuana, ma

anche per la legalizzazione dell’aborto, libero fino alla dodicesima settimana, per la legge che rende automat-ica la donazione degli organi (salvo firma preventiva di una dichiarazione di rifiuto) e l’unione matrimoniale omo-sessuale. Quello che ha stu-pito il mondo, però, è stata la

sua semplicità: il rifiuto della residenza presidenziale e la scelta di continuare a vivere nella sua piccola fattoria vi-cino Montevideo, “approfit-tando” appena di mille euro, il 10% del suo stipendio come capo di stato, per il resto completamente devoluto al sociale. Unici beni posseduti: due maggiolini e tre trat-tori. Conti in banca: nessuno. Maduro e Mujica. Due cogno-mi di sei lettere. Uno finisce per O, l’altro per A. O come odio, A come Amore. In mezzo servirebbe un ponte, l’unico che, passando dalla O di odio alla A di Amore, può condurre (invertendo la tendenza) al mutamento, che comincia per M. AMO, solo così, CAMBIO.

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La forza della coerenzaLibertà mentale e apertura. Unica

ricchezza: un maggiolino e una vita in una fattoria per l’uomo del cambiamento.

Le idee decisive di un Presidente che hanno permesso una svolta.

La forza della coerenzaLibertà mentale e apertura. Unica

ricchezza: un maggiolino e una vita in una fattoria per l’uomo del cambiamento.

Le idee decisive di un Presidente che hanno permesso una svolta.

La forza della coerenzaLibertà mentale e apertura. Unica

ricchezza: un maggiolino e una vita in una fattoria per l’uomo del cambiamento.

Le idee decisive di un Presidente che hanno permesso una svolta.

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Page 29: Impatto Mag - ISSUE #2

Maduro successore di Chàvez Un presidente segue ad un altro e, da Chavez a Maduro, si assiste

alla vita di due presidenti che non lasciano lo stesso segno. Il primo

onorato per sette giorni, il secondo tra proteste e crolli petroliferi.

Maduro successore di Chàvez Un presidente segue ad un altro e, da Chavez a Maduro, si assiste

alla vita di due presidenti che non lasciano lo stesso segno. Il primo

onorato per sette giorni, il secondo tra proteste e crolli petroliferi.

Maduro successore di Chàvez Un presidente segue ad un altro e, da Chavez a Maduro, si assiste

alla vita di due presidenti che non lasciano lo stesso segno. Il primo

onorato per sette giorni, il secondo tra proteste e crolli petroliferi.

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!MPATTO - StoriesN.2 | 13 Gennaio 2015 !MPATTO - StoriesN.2 | 13 Gennaio 2015

Signori!Io sono il numeroUna vita che diventa una finzione e una finzione che diventa vita. Una maschera come volto fino a perdere l’identità o fino a trovare la vera identità. La dicotomia di un clown. Il sentimento del contrario scatenato da una risata in un mondo circolare chiuso in un’arena con il terreno sotto i piedi e l’odore acro di animali in gabbia. Come un animale in gabbia o come un domatore al centro dell’arena.

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Signori!Io sono il numero

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u

Il fascino ambiguo di un’arenaDove regna la logica della

finzione, incontrastati sono i costumi, il trucco ed un sorriso

tirato fino allo stremo. Signori e signore, benvenuti al circo.

Altra corsa. Altro in-castro. Autostrada, campagna, soste. Nitriti e odore di zampe pietrifi-cate. Paura, disin-

canto, appartenenza. La vita sotto il bianco. Il nero sotto il rosso. Le misure del cielo si assottigliano sotto gli occhi di chi si arrampica e salta. Per divertire. Per far ridere. Le tende sotto il sole. Nascondono le anime incallite di chilometri. Sotto le ruote dei camper, sos-piri a fuochi spenti. Il fumo che si alza dalle braci e l’acquolina che si densa tra le labbra di una tigre. Morta. Inginocchiata al suo pa-drone. Unghie curate come la peg-giore sgualdrina di Parigi del primo 900. Dà un’occhiata a Bengo, color avorio. Di fronte a lei. Alza appena il lungo naso per salutarla. Lei gli sorride. Sbadigliando gli dà corag-gio. Lui si scrolla di dosso l’ultimo alito di un nano malconcio e si av-vicina alle sbarre. Barrisce. Sem-bra una risata. La tigre apprezza. Si guarda le unghie inermi. Gira la lingua sulla bava. Mi guarda. Men-tre il cerone va via con un colpo di panno. Dall’altro lato si allungano le scimmie. In prova sul selciato si guadagnano la zuppa. Oreste le dirige. Ha un orecchio tagliato.

ltra corsa. Altro in-castro. Autostrada, campagna, soste. Nitriti e odore di zampe pietrifi-cate. Paura, disin-

canto, appartenenza. La vita sotto il bianco. Il nero sotto il rosso. Le misure del cielo si assottigliano sotto gli occhi di chi si arrampica e salta. Per divertire. Per far ridere. Le tende sotto il sole. Nascondono le anime incallite di chilometri. Sotto le ruote dei camper, sos-piri a fuochi spenti. Il fumo che si alza dalle braci e l’acquolina che si densa tra le labbra di una tigre. Morta. Inginocchiata al suo pa-drone. Unghie curate come la peg-giore sgualdrina di Parigi del primo 900. Dà un’occhiata a Bengo, color avorio. Di fronte a lei. Alza appena il lungo naso per salutarla. Lei gli sorride. Sbadigliando gli dà corag-gio. Lui si scrolla di dosso l’ultimo alito di un nano malconcio e si av-vicina alle sbarre. Barrisce. Sem-bra una risata. La tigre apprezza. Si guarda le unghie inermi. Gira la lingua sulla bava. Mi guarda. Men-tre il cerone va via con un colpo di panno. Dall’altro lato si allungano le scimmie. In prova sul selciato si guadagnano la zuppa. Oreste le dirige. Ha un orecchio tagliato.

Il fascino ambiguo di un’arenaDove regna la logica della

finzione, incontrastati sono i costumi, il trucco ed un sorriso

tirato fino allo stremo. Signori e signore, benvenuti al circo.

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Sogni surrealiCome da svegli sognando ad occhi aperti o nella fase rem in cui domina l’inconscio. Le paure e i desideri assumono le forme più improbabili.

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Sogni surrealiCome da svegli sognando ad occhi aperti o nella fase rem in cui domina l’inconscio. Le paure e i desideri assumono le forme più improbabili.

Sogni surrealiCome da svegli sognando ad occhi aperti o nella fase rem in cui domina l’inconscio. Le paure e i desideri assumono le forme più improbabili.

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È

u

cileno. Parla uno spagnolo mas-ticato. Parla. Lo capiscono solo loro. Le due scim-

mie si grattano le ascelle. Lui le ammaestra come fossero sue figlie. Attente. Si ferma-no all’improvviso e saltano ogni volta che lui batte la mano sulla gamba. È stanco Oreste. Segue la carovana da dieci anni. “La vita è andare ovunque non ci sia nessuno ad aspettarti”. Mi disse una volta, mentre seduto, giravo una sigaretta spenta tra le dita. “Nessuno che ti aspet-ta. Ricorda. Siamo animali. Loro però ridono di noi: gli animali. Ci deridono e ci odiano. Perché li rendiamo inermi. Loro potrebbero am-

maestrarci. Se solo voles-sero e fossero uniti. Invece prevale la legge del più forte. La legge della fame. La legge del territorio.” Mi faceva riflettere molto. Guardavo la mia giacca a rombi color-ati. Il mio naso rosso che mi stringeva le narici. Io non appartengo a quel mondo là. Sono una cartina per posti lontani. Strappo sorrisi. Non li ottengo naturalmente. La gente non vuole pagliacci. Vuole persone reali. Se mi guardo intorno il mondo è costruito e comandato da chi impone la propria forza. Da chi è più forte. Da chi è ca-pace di rendere inerme un altro, un popolo, una nazi-one. Un continente. Io sono un pagliaccio per scelta. La

gente lo sa per questo ride a malapena. Si rattrista. Io espongo un disegno di lib-ertà condizionata. Ho ca-tene legate all’ombelico, che mi stringono la bocca in una morsa. Sono un omino di paglia, non ho il potere di cambiare le cose. Dietro ogni pagliaccio c’è un uomo che ha un conto aperto con i propri passi. Per questo non riesce a camminare ordina-to. Per questo la mia bocca è ingigantita, per poter cacci-are fuori quanta più rabbia, merda e schifo possibile. Sul palco a tener su l’umore di un bambino, che mangia pop-corn sulle gambe del padre. La bocca ingerisce quell’immagine perfetta, di un’infanzia lasciata

cileno. Parla uno spagnolo mas-ticato. Parla. Lo capiscono solo loro. Le due scim-

mie si grattano le ascelle. Lui le ammaestra come fossero sue figlie. Attente. Si ferma-no all’improvviso e saltano ogni volta che lui batte la mano sulla gamba. È stanco Oreste. Segue la carovana da dieci anni. “La vita è andare ovunque non ci sia nessuno ad aspettarti”. Mi disse una volta, mentre seduto, giravo una sigaretta spenta tra le dita. “Nessuno che ti aspet-ta. Ricorda. Siamo animali. Loro però ridono di noi: gli animali. Ci deridono e ci odiano. Perché li rendiamo inermi. Loro potrebbero am-

maestrarci. Se solo voles-sero e fossero uniti. Invece prevale la legge del più forte. La legge della fame. La legge del territorio.” Mi faceva riflettere molto. Guardavo la mia giacca a rombi color-ati. Il mio naso rosso che mi stringeva le narici. Io non appartengo a quel mondo là. Sono una cartina per posti lontani. Strappo sorrisi. Non li ottengo naturalmente. La gente non vuole pagliacci. Vuole persone reali. Se mi guardo intorno il mondo è costruito e comandato da chi impone la propria forza. Da chi è più forte. Da chi è ca-pace di rendere inerme un altro, un popolo, una nazi-one. Un continente. Io sono un pagliaccio per scelta. La

gente lo sa per questo ride a malapena. Si rattrista. Io espongo un disegno di lib-ertà condizionata. Ho ca-tene legate all’ombelico, che mi stringono la bocca in una morsa. Sono un omino di paglia, non ho il potere di cambiare le cose. Dietro ogni pagliaccio c’è un uomo che ha un conto aperto con i propri passi. Per questo non riesce a camminare ordina-to. Per questo la mia bocca è ingigantita, per poter cacci-are fuori quanta più rabbia, merda e schifo possibile. Sul palco a tener su l’umore di un bambino, che mangia pop-corn sulle gambe del padre. La bocca ingerisce quell’immagine perfetta, di un’infanzia lasciata

cileno. Parla uno spagnolo mas-ticato. Parla. Lo capiscono solo loro. Le due scim-

mie si grattano le ascelle. Lui le ammaestra come fossero sue figlie. Attente. Si ferma-no all’improvviso e saltano ogni volta che lui batte la mano sulla gamba. È stanco Oreste. Segue la carovana da dieci anni. “La vita è andare ovunque non ci sia nessuno ad aspettarti”. Mi disse una volta, mentre seduto, giravo una sigaretta spenta tra le dita. “Nessuno che ti aspet-ta. Ricorda. Siamo animali. Loro però ridono di noi: gli animali. Ci deridono e ci odiano. Perché li rendiamo inermi. Loro potrebbero am-

maestrarci. Se solo voles-sero e fossero uniti. Invece prevale la legge del più forte. La legge della fame. La legge del territorio.” Mi faceva riflettere molto. Guardavo la mia giacca a rombi color-ati. Il mio naso rosso che mi stringeva le narici. Io non appartengo a quel mondo là. Sono una cartina per posti lontani. Strappo sorrisi. Non li ottengo naturalmente. La gente non vuole pagliacci. Vuole persone reali. Se mi guardo intorno il mondo è costruito e comandato da chi impone la propria forza. Da chi è più forte. Da chi è ca-pace di rendere inerme un altro, un popolo, una nazi-one. Un continente. Io sono un pagliaccio per scelta. La

gente lo sa per questo ride a malapena. Si rattrista. Io espongo un disegno di lib-ertà condizionata. Ho ca-tene legate all’ombelico, che mi stringono la bocca in una morsa. Sono un omino di paglia, non ho il potere di cambiare le cose. Dietro ogni pagliaccio c’è un uomo che ha un conto aperto con i propri passi. Per questo non riesce a camminare ordina-to. Per questo la mia bocca è ingigantita, per poter cacci-are fuori quanta più rabbia, merda e schifo possibile. Sul palco a tener su l’umore di un bambino, che mangia pop-corn sulle gambe del padre. La bocca ingerisce quell’immagine perfetta, di un’infanzia lasciata

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in Belgio a dodici anni. Sul camper C del cirque de Paris. Il bambino ride. Ho bisogno del pubblico meno di quanto il pubblico abbia bisogno di me. Ho bisogno di uno spec-chio profondo. Che guardi dentro. Che non si appanni. Che rifletta l’immagine del mio stomaco. Il bambino mangia pop-corn e ride. Il silenzio del mio petto però contrasta con le risate. Il pagliaccio annerisce il velo bianco dell’innocenza. Il pa-gliaccio decide che quello è il momento di proiettarsi in

un altro mondo, che gli ap-partiene solo il tempo dello spettacolo e poi svanisce, nell’oblio di una vita che dondola le incertezze come neonati insonni. Andavo a scuola. Mi piaceva la storia. Amavo la storia. Quel mat-tino decisi di non andarci. Dovevano accompagnarmi i miei genitori. Io non glielo dissi. Non ci andai. Vidi Bengo che camminava per le strade e sopra Renaud lanciava volantini del circo. Andai li. C’erano le gabbie. C’era puzza di animali. Posai

lo zaino sull’erba e mi avvic-inai alla tenda delle prove. I giocolieri, i mangiafuoco, i trapezisti, ed io. Fermo. Mi innamorai. Nessuno si ac-corse di me. Mi sembrò un segno. Nessuno si accorse della mia presenza. Mi sen-tivo a casa. Cercai un de-posito del trucco. Lo trovai. Era una specie di camerino. Mi truccai gli occhi, misi il cerone; mi allargai la bocca con il rossetto e feci il naso grande e rosso. Mi presen-tai dal capo. Dissi: “Sono un pagliaccio”. “Qual è

in Belgio a dodici anni. Sul camper C del cirque de Paris. Il bambino ride. Ho bisogno del pubblico meno di quanto il pubblico abbia bisogno di me. Ho bisogno di uno spec-chio profondo. Che guardi dentro. Che non si appanni. Che rifletta l’immagine del mio stomaco. Il bambino mangia pop-corn e ride. Il silenzio del mio petto però contrasta con le risate. Il pagliaccio annerisce il velo bianco dell’innocenza. Il pa-gliaccio decide che quello è il momento di proiettarsi in

un altro mondo, che gli ap-partiene solo il tempo dello spettacolo e poi svanisce, nell’oblio di una vita che dondola le incertezze come neonati insonni. Andavo a scuola. Mi piaceva la storia. Amavo la storia. Quel mat-tino decisi di non andarci. Dovevano accompagnarmi i miei genitori. Io non glielo dissi. Non ci andai. Vidi Bengo che camminava per le strade e sopra Renaud lanciava volantini del circo. Andai li. C’erano le gabbie. C’era puzza di animali. Posai

lo zaino sull’erba e mi avvic-inai alla tenda delle prove. I giocolieri, i mangiafuoco, i trapezisti, ed io. Fermo. Mi innamorai. Nessuno si ac-corse di me. Mi sembrò un segno. Nessuno si accorse della mia presenza. Mi sen-tivo a casa. Cercai un de-posito del trucco. Lo trovai. Era una specie di camerino. Mi truccai gli occhi, misi il cerone; mi allargai la bocca con il rossetto e feci il naso grande e rosso. Mi presen-tai dal capo. Dissi: “Sono un pagliaccio”. “Qual è

in Belgio a dodici anni. Sul camper C del cirque de Paris. Il bambino ride. Ho bisogno del pubblico meno di quanto il pubblico abbia bisogno di me. Ho bisogno di uno spec-chio profondo. Che guardi dentro. Che non si appanni. Che rifletta l’immagine del mio stomaco. Il bambino mangia pop-corn e ride. Il silenzio del mio petto però contrasta con le risate. Il pagliaccio annerisce il velo bianco dell’innocenza. Il pa-gliaccio decide che quello è il momento di proiettarsi in

un altro mondo, che gli ap-partiene solo il tempo dello spettacolo e poi svanisce, nell’oblio di una vita che dondola le incertezze come neonati insonni. Andavo a scuola. Mi piaceva la storia. Amavo la storia. Quel mat-tino decisi di non andarci. Dovevano accompagnarmi i miei genitori. Io non glielo dissi. Non ci andai. Vidi Bengo che camminava per le strade e sopra Renaud lanciava volantini del circo. Andai li. C’erano le gabbie. C’era puzza di animali. Posai

lo zaino sull’erba e mi avvic-inai alla tenda delle prove. I giocolieri, i mangiafuoco, i trapezisti, ed io. Fermo. Mi innamorai. Nessuno si ac-corse di me. Mi sembrò un segno. Nessuno si accorse della mia presenza. Mi sen-tivo a casa. Cercai un de-posito del trucco. Lo trovai. Era una specie di camerino. Mi truccai gli occhi, misi il cerone; mi allargai la bocca con il rossetto e feci il naso grande e rosso. Mi presen-tai dal capo. Dissi: “Sono un pagliaccio”. “Qual è

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Una smorfia sorridenteCoperti di bianco cerone

per nascondere, labbra rosse per coprire, linee nere

per delimitare ma occhi impossibili da mascherare.

Una smorfia sorridenteCoperti di bianco cerone

per nascondere, labbra rosse per coprire, linee nere

per delimitare ma occhi impossibili da mascherare.

Una smorfia sorridenteCoperti di bianco cerone

per nascondere, labbra rosse per coprire, linee nere

per delimitare ma occhi impossibili da mascherare.

Una smorfia sorridenteCoperti di bianco cerone

per nascondere, labbra rosse per coprire, linee nere

per delimitare ma occhi impossibili da mascherare.

Una smorfia sorridenteCoperti di bianco cerone

per nascondere, labbra rosse per coprire, linee nere

per delimitare ma occhi impossibili da mascherare.

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E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

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Il trucco dov’è?È nell’inganno e nel confondere, nel mostrare e nascondere, mentire fingendo di confessare. Finché il trucco non viene svelato.

Il trucco dov’è?È nell’inganno e nel confondere, nel mostrare e nascondere, mentire fingendo di confessare. Finché il trucco non viene svelato.

Il trucco dov’è?È nell’inganno e nel confondere, nel mostrare e nascondere, mentire fingendo di confessare. Finché il trucco non viene svelato.

Il trucco dov’è?È nell’inganno e nel confondere, nel mostrare e nascondere, mentire fingendo di confessare. Finché il trucco non viene svelato.

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il tuo numero ragazzo?”. Io sono il numero, non ho altri numeri. Cominciai da allora ad aspettare il mio turno, in fila, dietro lo sportello della vita. Lui mi guardò “Sai che perderai tutto?” mi guardò fisso, ebbi timore. “Dipende, potrei anche guadagnare tutto”. Come dice Oreste quando è ubriaco fradicio, e fuma ebra, la prospettiva

è importante. Niente è per forza ovvio. Il mare non è solo acqua, è anche strada. Il cielo non è solo aria è anche speranza; la terra non è solo risorsa ma anche morte. Io non perdevo tutto. Guadag-navo tutto. La libertà servile. La vigliaccheria manifesta, di nascondermi dietro al trucco, protetto sopra ad un palco, a recitare per la vita un

ruolo. Guadagnavo un ruolo. Una posizione. Un pasto. Un animale. Un labrador bastar-do, un incrocio. Bello. Nick. Stava sempre con me. Di-videvamo anche la birra. Gli preparavo il riso con i miei avanzi nella birra. Gli piaceva la birra. Quella chiara. Ab-baiava. Era l’unico in grado di riconoscermi, e leccarmi anche di primo mattino. u

il tuo numero ragazzo?”. Io sono il numero, non ho altri numeri. Cominciai da allora ad aspettare il mio turno, in fila, dietro lo sportello della vita. Lui mi guardò “Sai che perderai tutto?” mi guardò fisso, ebbi timore. “Dipende, potrei anche guadagnare tutto”. Come dice Oreste quando è ubriaco fradicio, e fuma ebra, la prospettiva

è importante. Niente è per forza ovvio. Il mare non è solo acqua, è anche strada. Il cielo non è solo aria è anche speranza; la terra non è solo risorsa ma anche morte. Io non perdevo tutto. Guadag-navo tutto. La libertà servile. La vigliaccheria manifesta, di nascondermi dietro al trucco, protetto sopra ad un palco, a recitare per la vita un

ruolo. Guadagnavo un ruolo. Una posizione. Un pasto. Un animale. Un labrador bastar-do, un incrocio. Bello. Nick. Stava sempre con me. Di-videvamo anche la birra. Gli preparavo il riso con i miei avanzi nella birra. Gli piaceva la birra. Quella chiara. Ab-baiava. Era l’unico in grado di riconoscermi, e leccarmi anche di primo mattino.

il tuo numero ragazzo?”. Io sono il numero, non ho altri numeri. Cominciai da allora ad aspettare il mio turno, in fila, dietro lo sportello della vita. Lui mi guardò “Sai che perderai tutto?” mi guardò fisso, ebbi timore. “Dipende, potrei anche guadagnare tutto”. Come dice Oreste quando è ubriaco fradicio, e fuma ebra, la prospettiva

è importante. Niente è per forza ovvio. Il mare non è solo acqua, è anche strada. Il cielo non è solo aria è anche speranza; la terra non è solo risorsa ma anche morte. Io non perdevo tutto. Guadag-navo tutto. La libertà servile. La vigliaccheria manifesta, di nascondermi dietro al trucco, protetto sopra ad un palco, a recitare per la vita un

ruolo. Guadagnavo un ruolo. Una posizione. Un pasto. Un animale. Un labrador bastar-do, un incrocio. Bello. Nick. Stava sempre con me. Di-videvamo anche la birra. Gli preparavo il riso con i miei avanzi nella birra. Gli piaceva la birra. Quella chiara. Ab-baiava. Era l’unico in grado di riconoscermi, e leccarmi anche di primo mattino.

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Era l’unico che mi saltava in braccio anche senza trucco. Nick dal pelo corto. Mi fece dormire nella tenda con due nani. Mi diede una notte per trovare un numero da pre-sentare la mattina. Guardavo i nani dormire. Io disteso a pancia all’aria con le mani dietro la testa pensavo al provino all’indomani. Non sapevo cosa proporre. Mi tornava in mente la mia ris-posta “Io sono il numero”. Io dovevo essere il numero. La notte era lenta. Fuori la

luna si accucciava attenta dietro ad una nuvole densa. Il russare degli animali si ac-cordava a quello dei nani. Ed io pensavo a cosa proporre al capo. Mi addormentai tardi. Mi svegliò il ruggito di un leone cucciolo. Mi lavai. Mi truccai. Mi presentai dal capo. “Buongiorno, non vi mostro alcuna caduta, non vi mostro alcuno impaccio, mi seggo e aspetto. Io sono il numero, la tristezza che fa ridere, giocando con i vostri occhi. Basto io per far ridere,

non c’è bisogno che spruzzi acqua dal naso, bastano già le mie pupille, non c’è bisogno che lanci coriandoli dal pet-to, bastano già i miei capelli. Sono il numero che toccate tutti in fila per guardarmi. Sono un pagliaccio, uno che a stento riesce ad essere cred-ibile per se stesso. Datemi una scimmia, e saprò tenere la gente in pugno. I nostri discorsi saranno semi per fragorose risate. Io sono il pagliaccio, l’immagine della mia anima”.

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Era l’unico che mi saltava in braccio anche senza trucco. Nick dal pelo corto. Mi fece dormire nella tenda con due nani. Mi diede una notte per trovare un numero da pre-sentare la mattina. Guardavo i nani dormire. Io disteso a pancia all’aria con le mani dietro la testa pensavo al provino all’indomani. Non sapevo cosa proporre. Mi tornava in mente la mia ris-posta “Io sono il numero”. Io dovevo essere il numero. La notte era lenta. Fuori la

luna si accucciava attenta dietro ad una nuvole densa. Il russare degli animali si ac-cordava a quello dei nani. Ed io pensavo a cosa proporre al capo. Mi addormentai tardi. Mi svegliò il ruggito di un leone cucciolo. Mi lavai. Mi truccai. Mi presentai dal capo. “Buongiorno, non vi mostro alcuna caduta, non vi mostro alcuno impaccio, mi seggo e aspetto. Io sono il numero, la tristezza che fa ridere, giocando con i vostri occhi. Basto io per far ridere,

non c’è bisogno che spruzzi acqua dal naso, bastano già le mie pupille, non c’è bisogno che lanci coriandoli dal pet-to, bastano già i miei capelli. Sono il numero che toccate tutti in fila per guardarmi. Sono un pagliaccio, uno che a stento riesce ad essere cred-ibile per se stesso. Datemi una scimmia, e saprò tenere la gente in pugno. I nostri discorsi saranno semi per fragorose risate. Io sono il pagliaccio, l’immagine della mia anima”.

Era l’unico che mi saltava in braccio anche senza trucco. Nick dal pelo corto. Mi fece dormire nella tenda con due nani. Mi diede una notte per trovare un numero da pre-sentare la mattina. Guardavo i nani dormire. Io disteso a pancia all’aria con le mani dietro la testa pensavo al provino all’indomani. Non sapevo cosa proporre. Mi tornava in mente la mia ris-posta “Io sono il numero”. Io dovevo essere il numero. La notte era lenta. Fuori la

luna si accucciava attenta dietro ad una nuvole densa. Il russare degli animali si ac-cordava a quello dei nani. Ed io pensavo a cosa proporre al capo. Mi addormentai tardi. Mi svegliò il ruggito di un leone cucciolo. Mi lavai. Mi truccai. Mi presentai dal capo. “Buongiorno, non vi mostro alcuna caduta, non vi mostro alcuno impaccio, mi seggo e aspetto. Io sono il numero, la tristezza che fa ridere, giocando con i vostri occhi. Basto io per far ridere,

non c’è bisogno che spruzzi acqua dal naso, bastano già le mie pupille, non c’è bisogno che lanci coriandoli dal pet-to, bastano già i miei capelli. Sono il numero che toccate tutti in fila per guardarmi. Sono un pagliaccio, uno che a stento riesce ad essere cred-ibile per se stesso. Datemi una scimmia, e saprò tenere la gente in pugno. I nostri discorsi saranno semi per fragorose risate. Io sono il pagliaccio, l’immagine della mia anima”.

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Rosso vermiglio di veritàIl vero se prima o poi si

manifesta. L’identità si perde per ritrovarla fino alla frantumazione

e dispersione di chi si è è di ciò che si rappresenta.

Rosso vermiglio di veritàIl vero se prima o poi si

manifesta. L’identità si perde per ritrovarla fino alla frantumazione

e dispersione di chi si è è di ciò che si rappresenta.

Rosso vermiglio di veritàIl vero se prima o poi si

manifesta. L’identità si perde per ritrovarla fino alla frantumazione

e dispersione di chi si è è di ciò che si rappresenta.

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uuuLA BANCAdel tempoE Lo splendido

UNIVERSODELLA MONETA

SOLIDALEilliam Shakespeare ci aveva vi-sto lungo quando a suo tempo compose “Il tempo che fug-ge”. In una società dove essere retribuiti è quasi un lusso, ci pensano le Banche del Tempo

a rendere giustizia a chi offre la propria professio-nalità o ha bisogno di servizi che non può pagare. Sono associazioni che si creano tra gruppi di perso-ne abbastanza vicini e che operano per lo scambio gratuito di tempo. Per esempio, un socio della Bdt, paga con un assegno di un’ora la riparazione del PC mentre, in questo lasso di tempo, può dedicarsi ad altro. Barattare la preparazione di una torta con la manutenzione di un rubinetto, fare l’orlo ai panta-loni in cambio di un massaggio, ottenere una consu-lenza legale da una madre avvocato e in cambio fare la baby sitter, insegnare una lingua al costo di un po’ di compagnia, pulizie domestiche, liste della spesa, traduzioni, impacchettamento di regali, prepara-zione fisica e sportiva, attività di commercialista, volontariato per diversamente abili, app dedicate, sono solo alcune delle molteplici attività proposte dalla Banca del Tempo. Un vero e proprio Istituto di Credito con tanto di conti e sportelli che anzi-ché il denaro, monetizza le ore. Occorrono pochi

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elementi per dare vita ad una Banca del Tempo. É sufficiente mettere insieme un gruppo di una decina di persone disposte a compila-re un documento dove oltre ai propri dati inseriscono quello che sanno fare, che vorrebbero ricevere e scam-biare con gli altri, diffondere le copie di tali dichiarazioni e distribuirle ad ogni asso-ciato. Anche i requisiti per aprire una banca del tempo sono minimi: buona volon-tà, cuore, un dispositivo di comunicazione per metter-si in contatto con gli altri, materiale cartaceo per do-cumenti e assegni e autofi-nanziamento. Ogni ora che si presta, fa salire il proprio conto temporale. Quando si consumano ore, quest’ulti-mo si riduce. Per usufruire dei servizi della Banca del tempo, si cerca una presta-zione, ci si accorda con chi la offre e quando viene rice-vuta si stacca un assegno di un’ora. Nel caso delle piat-taforme virtuali, si dà anche un voto pubblico.

è una persona che coordina la banca e che con-trolla periodica-

mente i conti e i blocchetti e predispone il bollettino mensile delle disponibilità di tempo, convoca riunioni, ha uno sportello, esamina le domande di adesione. La monetizzazione del tempo è stata messa in atto per la prima volta nella Gran Bre-tagna degli anni ‘80 attra-verso i LETS o Local Exchan-

ge Trading System. Nel giro di qualche anno, le Bdt si sono diffuse a macchia d’o-lio in altri paesi come Fran-cia con le Sel – Systèmes d’èchange, Spagna e Ame-rica con i TROCA, Germania con le ZeitBank o Zeitbör-se, Tauschringe o cerchi di scambio, i Talents, in Olan-da con AktieStrohalm. Nella New York degli anni ‘90, ad Ithaca sono state stampate persino delle monete locali note come le Ithaca-Hours accettate da bar, ristoran-ti e cinema. L’Argentina ha visto invece sorgere i Club de Treque e in Senegal sono

nati i SEC – Systèmes d’E-changes Communautaires.

n Italia, nel 1991, l’i-stituzione della prima Banca del Tempo si deve a Giuliana Ros-

si, segretaria provinciale del sindacato UIL di Parma. La Banca del tempo ha dimo-strato di essere un sistema rivoluzionario che, con il passare degli anni, ha pre-so una piega positiva tale da arginare i problemi econo-mici, aumentare le occasioni di lavoro e di esperienza fino ad avere la possibilità di fare del bene al prossimo. Una

Concentrarsi sugli altri Meditare e offrire il proprio

tempo. Chiudere gli occhi per concentrarsi sugli altri. Una pratica che dona pace interiore e fa sentire bene

noi stessi e chi ci circonda.

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tosi può offrire la propria competenza in cambio di ore e ottenere persino un feedback che può avere ri-scontri positivi sul fronte lavorativo. La tecnologia è solo la ciliegina sulla tor-ta di un valore più profon-do che si esplica attraverso le pratiche del credito del tempo. Tutti vengono messi sullo stesso piano. Non esi-stono livelli o caste sociali di appartenenza. Quello che conta sono le capacità che si decide di mettere a ser-vizio degli altri. Insomma un Istituto di credito che fa bene al cuore e che si fonde con i sentimenti più nobili e reconditi dell’animo uma-no. Una realtà che quasi si può definire come l’anti-doto ad una delle principali cause dei mali dell’umanità: il denaro. Attraverso il va-lore dello scambio, si cre-ano relazioni, si riscopre il piacere di donare una parte di sé al prossimo. Una sor-ta di giustizia nei confronti di chi si vede ogni giorno rubare il tempo senza ri-cevere indietro gratifica-zione alcuna. Infine, sulla scia della reciprocità, dello scambio di doni e di patti che surclassano qualsiasi contrattazione monetaria al punto tale da far scomoda-re l’anima di un certo Adam Smith c’è da chiedersi quali saranno gli step successivi. Lo stesso valore temporale potrebbe muoversi tra on-line e off-line superando i confini delle azioni locali di solidarietà. Qualche esem-pio? Redigere file di testo a distanza in cambio della realizzazione di un sito web oppure perché non ipotiz-zare di scambiarsi ore per la consegna di documenti car-tacei in città diverse?

dimensione che si rende profonda in un’epoca come quella attuale caratterizzata da condivisione con l’intan-gibile e riservatezza con ciò che è vicino.

n’era dove la favola del lupo cattivo del qua-le diffidare, dello

sconosciuto da tenere alla larga, inizia a colorarsi con i dettami delle Banche del Temp, o dove la ricchezza si costruisce attraverso la mo-netizzazione solidale delle ore. Viene messo in pratica quello che filosoficamente parlando si definisce cura di sé e cura degli altri. Lo

spirito che attualmente vige nell’anima degli abitanti dell’era della velocità, del tutto e subito e dell’egoi-smo trova indulgenza at-traverso questi particolari istituti di credito. Sembra che esistano ancora gruppi di persone che preferiscono condividere il proprio tem-po anziché scrivere post sui principali social network. Infatti, in linea con i trend della rivoluzione attuata dai new media, la Banca del Tempo è sbarcata nel mon-do digitale con piattaforme web e app specifiche. Em-blematico è TimeRepublik, un social network dove ogni utente una volta registra-

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Sembra che esistano ancora

gruppi di persone che preferiscono

condividere il proprio tempo

anziché scrivere sui social

network. Infatti la Banca del Tempo

è sbarcata nel mondo digitale

con piattaforme specifiche.

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L’era della solitudine ci

sta uccidendo

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L’era della solitudine ci

sta uccidendodi George Monbiot (The Guardian)

Nell’era della solitudine, dove al termine popolo sostituiamo la parola individui, dove la paura più grande è di essere

un perdente agli occhi degli altri. Loser è l’uomo che ha dimenticato ormai di essere un animale sociale. Un animale

che, per sua natura, tende ad aggregarsi. L’uomo versus l’uomo si rannicchia su se stesso e su rapporti para- sociali, legati e

limitati. Limitanti e involutivi, regressivi e depressivi.

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di George Monbiot (The Guardian)Nell’era della solitudine, dove al termine popolo sostituiamo

la parola individui, dove la paura più grande è di essere un perdente agli occhi degli altri. Loser è l’uomo che ha

dimenticato ormai di essere un animale sociale. Un animale che, per sua natura, tende ad aggregarsi. L’uomo versus l’uomo

si rannicchia su se stesso e su rapporti para- sociali, legati e limitati. Limitanti e involutivi, regressivi e depressivi.

di George Monbiot (The Guardian)Nell’era della solitudine, dove al termine popolo sostituiamo

la parola individui, dove la paura più grande è di essere un perdente agli occhi degli altri. Loser è l’uomo che ha

dimenticato ormai di essere un animale sociale. Un animale che, per sua natura, tende ad aggregarsi. L’uomo versus l’uomo

si rannicchia su se stesso e su rapporti para- sociali, legati e limitati. Limitanti e involutivi, regressivi e depressivi.

di George Monbiot (The Guardian)Nell’era della solitudine, dove al termine popolo sostituiamo

la parola individui, dove la paura più grande è di essere un perdente agli occhi degli altri. Loser è l’uomo che ha

dimenticato ormai di essere un animale sociale. Un animale che, per sua natura, tende ad aggregarsi. L’uomo versus l’uomo

si rannicchia su se stesso e su rapporti para- sociali, legati e limitati. Limitanti e involutivi, regressivi e depressivi.

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C ome dovremmo chiamare que-sto tempo? Non è l’era dell’infor-

mazione: il crollo dei movi-menti di educazione popolare ha lasciato un buco riempito dal marketing e dalle teorie cospirative. Come nell’età della pietra, del ferro e del-lo spazio, l’età digitale dice molto sui nostri manufatti ma poco riguardo la nostra società. L’antropocene, l’era in cui gli esseri umani han-no cominciato a condiziona-re pesantemente la biosfe-ra, non distingue tra questo secolo e il ventesimo. Quale chiaro cambiamento socia-le divide il nostro tempo da quello che ci ha preceduto?

Per me è ovvio. Questa è l’e-tà della solitudine. Quando Thomas Hobbes sostenne che nello stato di natura, prima che nascesse un’ autorità per tenerci sotto controllo, fos-simo coinvolti in una guerra in cui “ogni uomo era contro ogni altro uomo”, non poteva avere più torto. Eravamo cre-ature sociali fin dall’inizio, le api dei mammiferi, che dipendevano del tutto l’uno dall’altro. Gli ominidi dell’A-frica orientale non sareb-bero sopravvissuti una sola notte da soli. Noi veniamo formati, in misura maggiore di qualsiasi altra specie, dal contatto con gli altri. L’età in cui stiamo entrando, in cui le nostre esistenze sono sepa-

rate, è diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. Tre mesi fa abbiamo letto che la solitudine è ormai diventa-ta un’epidemia tra i giovani. Ora veniamo a scoprire che affligge altrettanto gli an-ziani. Uno studio condotto dall’Indipendent Age dimo-stra che le vite di 700mila uomini e 1 milione e 100 mila donne over 50 sono afflitte da una grave solitudine, e i nu-meri stanno crescendo con una velocità sorprendente. È improbabile che ebola pos-sa ammazzare più di questa malattia. L’isolamento so-ciale è così potente da causa-re tante morti precoci quanto lo farebbe fumare 15 sigarette al giorno; la solitudine, se-

ome dovremmo chiamare que-sto tempo? Non è l’era dell’infor-

mazione: il crollo dei movi-menti di educazione popolare ha lasciato un buco riempito dal marketing e dalle teorie cospirative. Come nell’età della pietra, del ferro e del-lo spazio, l’età digitale dice molto sui nostri manufatti ma poco riguardo la nostra società. L’antropocene, l’era in cui gli esseri umani han-no cominciato a condiziona-re pesantemente la biosfe-ra, non distingue tra questo secolo e il ventesimo. Quale chiaro cambiamento socia-le divide il nostro tempo da quello che ci ha preceduto?

Per me è ovvio. Questa è l’e-tà della solitudine. Quando Thomas Hobbes sostenne che nello stato di natura, prima che nascesse un’ autorità per tenerci sotto controllo, fos-simo coinvolti in una guerra in cui “ogni uomo era contro ogni altro uomo”, non poteva avere più torto. Eravamo cre-ature sociali fin dall’inizio, le api dei mammiferi, che dipendevano del tutto l’uno dall’altro. Gli ominidi dell’A-frica orientale non sareb-bero sopravvissuti una sola notte da soli. Noi veniamo formati, in misura maggiore di qualsiasi altra specie, dal contatto con gli altri. L’età in cui stiamo entrando, in cui le nostre esistenze sono sepa-

rate, è diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. Tre mesi fa abbiamo letto che la solitudine è ormai diventa-ta un’epidemia tra i giovani. Ora veniamo a scoprire che affligge altrettanto gli an-ziani. Uno studio condotto dall’Indipendent Age dimo-stra che le vite di 700mila uomini e 1 milione e 100 mila donne over 50 sono afflitte da una grave solitudine, e i nu-meri stanno crescendo con una velocità sorprendente. È improbabile che ebola pos-sa ammazzare più di questa malattia. L’isolamento so-ciale è così potente da causa-re tante morti precoci quanto lo farebbe fumare 15 sigarette al giorno; la solitudine, se- u

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u

condo la ricerca, fa il doppio dei morti dell’obesità. De-menza, alta pressione san-guigna, alcolismo e incidenti – tutto questo, e anche la de-pressione, la paranoia, l’an-sia e il suicidio, diventano più probabili quando ven-gono tagliate le connessioni col mondo. Non possiamo affrontare la vita da soli.

ì, le fabbriche hanno chiuso, le persone viaggia-no in auto invece

che nei bus, usano Youtube piuttosto che andare al ci-nema. Ma questi cambia-

menti non sono sufficienti a spiegare la velocità del crollo della nostra socialità. Que-sti cambiamenti strutturali sono accompagnati da un’i-deologia che nega la vita, e rafforza e celebra il nostro isolamento sociale. La guer-ra di ogni uomo contro tutti gli altri – la concorrenza e l’individualismo, in altre pa-role – la religione del nostro tempo, giustificata da una mitologia di cavalieri soli-tari, imprenditori visiona-ri, self made man, tutti che vanno da soli. Per la più so-ciale delle creature, che non può prosperare senza amore,

non c’è niente che somigli a una società, soltanto eroi-co individualismo. Ciò che conta è vincere. Il resto è un effetto collaterale.

bambini britannici non sognano più di guidare treni o fare gli infermieri – più di un

quinto di loro dice di voler “solo essere ricco”: benes-sere e fama sono le uniche ambizioni del 40% di loro. Uno studio del governo pub-blicato nel mese di Giugno ha rivelato che la Gran Bre-tagna è la capitale europea della solitudine. Siamo

SI

condo la ricerca, fa il doppio dei morti dell’obesità. De-menza, alta pressione san-guigna, alcolismo e incidenti – tutto questo, e anche la de-pressione, la paranoia, l’an-sia e il suicidio, diventano più probabili quando ven-gono tagliate le connessioni col mondo. Non possiamo affrontare la vita da soli.

ì, le fabbriche hanno chiuso, le persone viaggia-no in auto invece

che nei bus, usano Youtube piuttosto che andare al ci-nema. Ma questi cambia-

menti non sono sufficienti a spiegare la velocità del crollo della nostra socialità. Que-sti cambiamenti strutturali sono accompagnati da un’i-deologia che nega la vita, e rafforza e celebra il nostro isolamento sociale. La guer-ra di ogni uomo contro tutti gli altri – la concorrenza e l’individualismo, in altre pa-role – la religione del nostro tempo, giustificata da una mitologia di cavalieri soli-tari, imprenditori visiona-ri, self made man, tutti che vanno da soli. Per la più so-ciale delle creature, che non può prosperare senza amore,

non c’è niente che somigli a una società, soltanto eroi-co individualismo. Ciò che conta è vincere. Il resto è un effetto collaterale.

bambini britannici non sognano più di guidare treni o fare gli infermieri – più di un

quinto di loro dice di voler “solo essere ricco”: benes-sere e fama sono le uniche ambizioni del 40% di loro. Uno studio del governo pub-blicato nel mese di Giugno ha rivelato che la Gran Bre-tagna è la capitale europea della solitudine. Siamo

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meno propensi degli altri europei ad avere amici stretti o conoscere i nostri vicini. Chi può sorprendersi, quando ovunque veniamo esortati a combattere come se fossimo cani randagi che si contendono un bi-done?

bbiamo cambiato il nostro linguaggio per riflettere questo cam-biamento. L’insulto più grave che possia-

mo rivolgere a qualcuno è “Loser”, perdente. Non parliamo più di “people”, popolo. Ora li chiamia-mo “individuals”, individui. È così pervasivo questo termine alienan-te, atomizzante, che ormai anche le associazioni che combattono la solitudine lo usano per descrivere le entità bipedi precedentemente note come “human beings”, esse-ri umani. Difficilmente possiamo completare una frase senza farla diventare “personal”, individua-le. “Personalmente (per distin-guere me stesso dal manichino di un ventriloquo) preferisco avere amici personali alla varietà imper-sonale e alle credenze personali ri-guardo cose che non mi apparten-gono. Anche se questa è soltanto la mia personale opinione, altri-menti nota come la mia opinione”. Uno dei tragici esiti della solitudi-ne è che le persone si rivolgono ai loro televisori per consolarsi. Due quinti delle persone anziane rife-riscono che il Dio da un solo occhio è la loro principale compagnia. Questa automedicazione peggiora la malattia. Una ricerca degli eco-nomisti dell’università di Milano suggerisce che la televisione aiuta a sviluppare aspirazioni competi-tive. Rafforza fortemente il para-dosso reddito-felicità: il fatto che, all’aumentare dei redditi naziona-li, la felicità non cresca insieme a loro. L’aspirazione, che cresce col reddito, fa sì che il punto d’arrivo, di soddisfazione imperitura, si al-lontani da noi. I ricercatori hanno scoperto che coloro che guardano molta TV ottengono meno sod-

meno propensi degli altri europei ad avere amici stretti o conoscere i nostri vicini. Chi può sorprendersi, quando ovunque veniamo esortati a combattere come se fossimo cani randagi che si contendono un bi-done?

bbiamo cambiato il nostro linguaggio per riflettere questo cam-biamento. L’insulto più grave che possia-

mo rivolgere a qualcuno è “Loser”, perdente. Non parliamo più di “people”, popolo. Ora li chiamia-mo “individuals”, individui. È così pervasivo questo termine alienan-te, atomizzante, che ormai anche le associazioni che combattono la solitudine lo usano per descrivere le entità bipedi precedentemente note come “human beings”, esse-ri umani. Difficilmente possiamo completare una frase senza farla diventare “personal”, individua-le. “Personalmente (per distin-guere me stesso dal manichino di un ventriloquo) preferisco avere amici personali alla varietà imper-sonale e alle credenze personali ri-guardo cose che non mi apparten-gono. Anche se questa è soltanto la mia personale opinione, altri-menti nota come la mia opinione”. Uno dei tragici esiti della solitudi-ne è che le persone si rivolgono ai loro televisori per consolarsi. Due quinti delle persone anziane rife-riscono che il Dio da un solo occhio è la loro principale compagnia. Questa automedicazione peggiora la malattia. Una ricerca degli eco-nomisti dell’università di Milano suggerisce che la televisione aiuta a sviluppare aspirazioni competi-tive. Rafforza fortemente il para-dosso reddito-felicità: il fatto che, all’aumentare dei redditi naziona-li, la felicità non cresca insieme a loro. L’aspirazione, che cresce col reddito, fa sì che il punto d’arrivo, di soddisfazione imperitura, si al-lontani da noi. I ricercatori hanno scoperto che coloro che guardano molta TV ottengono meno sod-

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disfazione da un dato livello di reddito rispetto a quelli che guardano meno televisione. La tv accelera il tapis roulant dell’edonismo, costringen-doci a sforzarci ancora di più per ottenere lo stesso livello di soddisfazione. Basti solo pensare ai provini muro con-tro muro dei TV show come Dragon Den, The Apprentice e la miriade di altre competi-zioni basate sulla carriera ce-lebrate dai media, l’ossessio-ne generalizzata per la fama e la ricchezza, la sensazione pervasiva, guardandoli, che la vita sia diversa da quella in

cui sei immerso, che potrebbe essere come quella in TV.

llora, qual è il punto? Cosa ci guadagniamo da questa guerra

che vede tutti contro tutti? La competizione spinge alla crescita, ma la crescita non ci fa stare meglio. Le cifre pub-blicate questa settimana mo-strano che, mentre il reddito dei dirigenti è cresciuto di più di un quinto, i salari per la manodopera nel complesso sono precipitati, in termini reali, nel corso dell’ultimo

anno. I padroni guadagnano – scusate, voglio dire pren-dono – 120 volte di più del lavoratore medio a tempo pieno (nel 2000, era 47 volte). E anche se la competizione ci ha fatti più ricchi, non ci sta facendo più felici, dato che la soddisfazione derivata da un aumento di salario è compro-messa dagli impatti sull’a-spirazione della competizio-ne. L’1% più ricco possiede il 48% della ricchezza globale, ma neppure loro sono felici. Un sondaggio del Boston Col-lege condotto su persone con un patrimonio netto me-

Adisfazione da un dato livello di reddito rispetto a quelli che guardano meno televisione. La tv accelera il tapis roulant dell’edonismo, costringen-doci a sforzarci ancora di più per ottenere lo stesso livello di soddisfazione. Basti solo pensare ai provini muro con-tro muro dei TV show come Dragon Den, The Apprentice e la miriade di altre competi-zioni basate sulla carriera ce-lebrate dai media, l’ossessio-ne generalizzata per la fama e la ricchezza, la sensazione pervasiva, guardandoli, che la vita sia diversa da quella in

cui sei immerso, che potrebbe essere come quella in TV.

llora, qual è il punto? Cosa ci guadagniamo da questa guerra

che vede tutti contro tutti? La competizione spinge alla crescita, ma la crescita non ci fa stare meglio. Le cifre pub-blicate questa settimana mo-strano che, mentre il reddito dei dirigenti è cresciuto di più di un quinto, i salari per la manodopera nel complesso sono precipitati, in termini reali, nel corso dell’ultimo

anno. I padroni guadagnano – scusate, voglio dire pren-dono – 120 volte di più del lavoratore medio a tempo pieno (nel 2000, era 47 volte). E anche se la competizione ci ha fatti più ricchi, non ci sta facendo più felici, dato che la soddisfazione derivata da un aumento di salario è compro-messa dagli impatti sull’a-spirazione della competizio-ne. L’1% più ricco possiede il 48% della ricchezza globale, ma neppure loro sono felici. Un sondaggio del Boston Col-lege condotto su persone con un patrimonio netto me-

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Mdio di 78 milioni di dollari ha scoperto che anche loro sono state assalite da ansia, insod-disfazione e solitudine.

olte di loro hanno rife-rito di sen-tirsi econo-micamente

insicure: per raggiungere un terreno sicuro credono di necessitare, in media, alme-no del 25% in più di denaro (E se ci riuscissero? Senza dubbi avrebbero bisogno di un altro 25%). Uno degli in-tervistati ha detto che non

si sarebbe sentito al sicuro finché non sarebbe arrivato ad avere 1 miliardo di dollari in banca. Per questo, abbia-mo fatto a pezzi il mondo naturale, degradato le nostre condizioni di vita, ceduto le nostre libertà e le prospet-tive di appagamento per un compulsivo, atomizzante, edonismo privo di gioia, in cui, avendo consumato tutto il resto, abbiamo iniziato a mangiarci da soli. Per tutto questo, noi abbiamo distrut-to l’essenza dell’umanità: la nostra connessione. Sì, ci sono palliativi, intelligenti e

deliziosi schemi come “Men in Sheds” e la “Walking Fo-otball” sviluppati dagli enti di beneficenza per gli anziani soli. Ma se vogliamo rompere questo ciclo e stare insieme ancora una volta, noi dobbia-mo abbattere il sistema car-nivoro e mangia-mondo in cui siamo stati imprigionati. La condizione pre-sociale di Hobbes era un mito. Ma noi stiamo entrando in una condizione post-sociale che i nostri antenati avrebbero creduto impossibile. Le no-stre vite stanno diventando nauseanti, brutali e lunghe.

dio di 78 milioni di dollari ha scoperto che anche loro sono state assalite da ansia, insod-disfazione e solitudine.

olte di loro hanno rife-rito di sen-tirsi econo-micamente

insicure: per raggiungere un terreno sicuro credono di necessitare, in media, alme-no del 25% in più di denaro (E se ci riuscissero? Senza dubbi avrebbero bisogno di un altro 25%). Uno degli in-tervistati ha detto che non

si sarebbe sentito al sicuro finché non sarebbe arrivato ad avere 1 miliardo di dollari in banca. Per questo, abbia-mo fatto a pezzi il mondo naturale, degradato le nostre condizioni di vita, ceduto le nostre libertà e le prospet-tive di appagamento per un compulsivo, atomizzante, edonismo privo di gioia, in cui, avendo consumato tutto il resto, abbiamo iniziato a mangiarci da soli. Per tutto questo, noi abbiamo distrut-to l’essenza dell’umanità: la nostra connessione. Sì, ci sono palliativi, intelligenti e

deliziosi schemi come “Men in Sheds” e la “Walking Fo-otball” sviluppati dagli enti di beneficenza per gli anziani soli. Ma se vogliamo rompere questo ciclo e stare insieme ancora una volta, noi dobbia-mo abbattere il sistema car-nivoro e mangia-mondo in cui siamo stati imprigionati. La condizione pre-sociale di Hobbes era un mito. Ma noi stiamo entrando in una condizione post-sociale che i nostri antenati avrebbero creduto impossibile. Le no-stre vite stanno diventando nauseanti, brutali e lunghe.

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opo la versione beta del 2013, il 2014 vede la pubblicazione dell’indice del “Pro-gresso Sociale”, nato sulla base del pen-siero e degli scritti di alcuni tra i più ac-clamati economisti degli ultimi anni, tra cui i premi Nobel Amartya Sen e Joseph

Stiglitz. Le risultanze ambientali e sociali sono il cuore delle valutazioni proposte con il Social Progress Index, a differenza delle numerose valutazioni che nel tempo si sono radicate attorno a variabili di matrice strettamente economica. Nel dettaglio le componenti dell’indice sono il soddisfacimento dei bisogni umani elementari, spesso conosciuti come esigenze alla “base della piramide”, gli elementi fondamentali del benessere e le opportunità che un paese offre ai propri cittadini. Andando più a fon-do, tra i bisogni elementari si ritrovano l’alimentazione, la disponibilità di cure mediche e la sicurezza personale, mentre il benessere dipende dall’accesso alle cono-

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di Marco Tregua

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Il debutto dell’indice di progresso sociale dei Nobel Sen e Stiglitz

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scenze di base, al benessere fisico e alla sostenibilità ambientale; infine, l’area delle opportunità guarda ad aspetti socio-politici, quali l’accesso all’istruzione supe-riore, la libertà personale e di scelta, il ris-petto dei diritti della persona e le politiche di tolleranza.

a contemporanea considera-zione delle tre classi di fattori descritte ha portato la Nuova Zelanda ad agguantare la vetta

di questa prima edizione dell’indice, grazie soprattutto all’ottima performance ris-petto alle opportunità che il paese offre. Poco più dietro si colloca la Svizzera, che primeggia per soddisfacimento dei bisogni di base e per i risultati in termini di ben-essere. Proprio il benessere è il vanto anche dell’Islanda che conclude lo speciale podio di questa classifica.

li altri paesi che occupano le posizioni principali del Social Progress Index sono i Paesi Bassi, la Norvegia, la Svezia,

il Canada, la Finlandia, la Danimarca e l’Australia. Singolare è la posizione della Danimarca, che primeggia per soddis-facimento dei bisogni di base, ma il suo ranking è affievolito da risultati meno ec-cellenti nell’ambito delle opportunità. Il mondo occidentale primeggia, dunque, in termini di progresso sociale e le altre aree del mondo, così come per gli aspetti econ-omici, arrancano; nel Centro - America, ad esempio, i più fortunati sono i costaricensi (25° posto), seguiti dai primi sudamericani (Uruguay) e poco più dietro dagli abitanti delle Mauritius, primi tra gli africani, al 34° posto. Il 2015 spingerà verso l’alto alcune di questi paesi, con la convinzione che gli as-petti economici non sono l’unica necessità, come mostrano i problemi riscontrati da alcune potenze o l’eccellente performance del Ruanda per partecipazione alla scuola primaria.

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Je suisJean C.JunckerUn piano strutturale e la creazione di un nuovo fondo destinato agli investimenti strategici si pongono l’obiettivo di riuscire a mobilitare 315 miliardi di euro nel prossimo triennio. Sicurezza, salute, protezione costituiscono l’incipit di un pensiero. Il pensiero di una mente di spicco: Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione europea del Parlamento.

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Je suisJean C.Juncker

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Jean-Claude JunkerPolitico e avvocato

lussemburghese. Presidente della Commissione Europea. Il

volto di una politica fondata su efficienza, solidarietà in una

forte visione del futuro.

“La mia prima pri-orità sarà far sì che le politiche che servono a creare crescita ed occupazi-

one siano al centro dell’agenda politica della Commissione euro-pea. Per fare tutto ciò, abbiamo bisogno di un ingrediente chi-ave: dobbiamo creare un mercato unico digitale per consumatori ed imprese. Voglio riformare e rior-ganizzare la politica energetica europea in una nuova Unione en-ergetica europea. Come Presidente della Commissione, sarò anche molto chiaro sul fatto che non sacrificherò gli standard europei sociali, di sicurezza, di salute e di protezione dei dati sull’altare del libero scambio. In particolare, la sicurezza del cibo che mangiamo e la protezione dei dati personali dei cittadini europei saranno per me, da Presidente della Commis-sione, principi non negoziabili.”Tre valori chiave: leadership ef-ficiente, solidarietà tra popoli e Nazioni, forte visione del futuro. Ruolo chiave nella firma del trat-tato di Maastricht, pilastro fon-dante dell’Unione Europea. Mer-itevole di aver forgiato la riforma del Patto di Stabilità e Crescita.

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Uno sguardo lungimiranteAlla guida del Lussemburgo per

vent’anni, Junker ha reso il Paese un paradiso fiscale per almeno 340

compagnie internazionali, attraendo così cospicui fondi d’investimento

all’interno del già ricco granducato.

uale personag-gio più adatto per guidare, dal 1 novembre 2014, la Commis-

sione Europea, degno erede dell’illustre predecessore Santer? Jean- Claude Juncker ha seguito le sue orme, suc-cedendo a Santer sia come Premier che come presiden-te della Commissione Euro-pea. Può essere considerato uno dei leader con maggio-re esperienza in Europa. Potrebbe tranquillamente essere definito “l’uomo delle prime volte”: difatti la sua grande esperienza e la sua innegabile competenza lo hanno portato ad es-sere Primo Presidente per-

manente dell’Eurogruppo, venendo meno alla prassi di assicurarne la presidenza semestrale al Ministro delle Finanze dello Stato eserci-tante la presidenza semes-trale del Consiglio dell’UE. Per la prima volta, il Presi-dente della Commissione Europea viene eletto a mag-gioranza qualificata e non nominato all’unanimità, a causa del dissenso di Cam-eron e Orbàn. Juncker non ha guidato il Lussemburgo per una o due legislature, ma per vent’anni. Primo ministro, nonché ministro delle Finanze, del Lavoro e del Tesoro. Vent’anni du-rante i quali il Paese si è ar-ricchito immensamente,

diventando la residenza fiscale di almeno 340 delle più importanti compagnie internazionali, senza con-tare fondi di investimento di quasi 3 mila miliardi di euro di attività, secondi solo agli Stati Uniti. È anche grazie a queste operazioni che il granducato è diventato una delle nazioni più ricche al mondo, secondo solo al Qa-tar.Luci,luci che hanno reso Juncker uno degli uomini più potenti, dall’interminabile curriculum vitae colmo di onorificenze e incarichi prestigiosi. Ma anche om-bre, ombre lunghe che in-vestono la sua figura e in-ducono a porsi tanti, troppi interrogativi. Lo scandalo u

uale personag-gio più adatto per guidare, dal 1 novembre 2014, la Commis-

sione Europea, degno erede dell’illustre predecessore Santer? Jean- Claude Juncker ha seguito le sue orme, suc-cedendo a Santer sia come Premier che come presiden-te della Commissione Euro-pea. Può essere considerato uno dei leader con maggio-re esperienza in Europa. Potrebbe tranquillamente essere definito “l’uomo delle prime volte”: difatti la sua grande esperienza e la sua innegabile competenza lo hanno portato ad es-sere Primo Presidente per-

manente dell’Eurogruppo, venendo meno alla prassi di assicurarne la presidenza semestrale al Ministro delle Finanze dello Stato eserci-tante la presidenza semes-trale del Consiglio dell’UE. Per la prima volta, il Presi-dente della Commissione Europea viene eletto a mag-gioranza qualificata e non nominato all’unanimità, a causa del dissenso di Cam-eron e Orbàn. Juncker non ha guidato il Lussemburgo per una o due legislature, ma per vent’anni. Primo ministro, nonché ministro delle Finanze, del Lavoro e del Tesoro. Vent’anni du-rante i quali il Paese si è ar-ricchito immensamente,

diventando la residenza fiscale di almeno 340 delle più importanti compagnie internazionali, senza con-tare fondi di investimento di quasi 3 mila miliardi di euro di attività, secondi solo agli Stati Uniti. È anche grazie a queste operazioni che il granducato è diventato una delle nazioni più ricche al mondo, secondo solo al Qa-tar.Luci,luci che hanno reso Juncker uno degli uomini più potenti, dall’interminabile curriculum vitae colmo di onorificenze e incarichi prestigiosi. Ma anche om-bre, ombre lunghe che in-vestono la sua figura e in-ducono a porsi tanti, troppi interrogativi. Lo scandalo

Uno sguardo lungimiranteAlla guida del Lussemburgo per

vent’anni, Junker ha reso il Paese un paradiso fiscale per almeno 340

compagnie internazionali, attraendo così cospicui fondi d’investimento

all’interno del già ricco granducato.

Uno sguardo lungimiranteAlla guida del Lussemburgo per

vent’anni, Junker ha reso il Paese un paradiso fiscale per almeno 340

compagnie internazionali, attraendo così cospicui fondi d’investimento

all’interno del già ricco granducato.

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I

LuxLeaks, uno dei temi più scottanti e gettonati degli ultimi tempi, tanto da gua-dagnarsi titoloni e titoloni sulle maggiori testate eco-nomiche, da Bloomberg al Financial Times, è associato in automatico al suo nome. Eppure, prima ancora del sorgere di questo scandalo definito senza precedenti – che di scandaloso, agli ef-fetti, non avrebbe proprio nulla- dubbi e perplessità sono stati sollevati sia al momento della sua elezi-one come Presidente della Commissione Europea. Anche prima, in realtà.

chiaroscuri della elezione di Juncker. Uno stile in linea a quello dei “padri

europei” - Nel discorso di presentazione al Parla-mento europeo, Juncker aveva sottolineato tra le sue priorità «la necessità di

rimettere l’Europa al lavoro, presentando nei primi tre mesi del suo mandato un programma di occupazi-one, crescita e investimenti per 300 miliardi di euro nei prossimi tre anni». Ha promesso di sostituire la ‘troika’ - «lo spauracchio delle istituzioni finanziarie che hanno gestito la crisi di questi ultimi anni», con una struttura «più demo-cratica e legittima con un programma di aiuti soste-nuti da uno studio appro-fondito del loro impatto so-ciale». Ha anche evocato un accordo commerciale con gli Stati Uniti «ragionevole ed equilibrato», e soprattutto «trasparente», una politica estera veramente comune con un «ampio portafoglio a sostenerla» e una nuova politica di asilo basata sulla solidarietà ma anche sulla legalità, «con paletti comu-ni», perché l’Europa possa

diventare una destinazione di spicco per attirare i tal-enti di tutto il mondo. Un contentino finale alla parità di genere e un invito a tutti a «mostrare al mondo che insieme possiamo ridare un nuovo slancio all’Europa».I “chiaroscuri” dell’elezione di Juncker sono stati ben sintetizzati da Pier Vir-gilio Dastoli, Presidente del Consiglio italiano per il Movimento Federalista Europeo. Secondo Dastoli, non solo “c’è stata molta esagerazione nel ritenere che questa elezione rap-presenti un passo avanti in direzione di una mag-giore democratizzazione dell’Europa, ma, Juncker, parlando a Bilt, ha detto che è stata Angela Merkel a conferirgli l’incarico di cap-olista dei popolari. Juncker nasce quindi da una deci-sione di Angela Merkel, non è stato eletto dai cittadini

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LuxLeaks, uno dei temi più scottanti e gettonati degli ultimi tempi, tanto da gua-dagnarsi titoloni e titoloni sulle maggiori testate eco-nomiche, da Bloomberg al Financial Times, è associato in automatico al suo nome. Eppure, prima ancora del sorgere di questo scandalo definito senza precedenti – che di scandaloso, agli ef-fetti, non avrebbe proprio nulla- dubbi e perplessità sono stati sollevati sia al momento della sua elezi-one come Presidente della Commissione Europea. Anche prima, in realtà.

chiaroscuri della elezione di Juncker. Uno stile in linea a quello dei “padri

europei” - Nel discorso di presentazione al Parla-mento europeo, Juncker aveva sottolineato tra le sue priorità «la necessità di

rimettere l’Europa al lavoro, presentando nei primi tre mesi del suo mandato un programma di occupazi-one, crescita e investimenti per 300 miliardi di euro nei prossimi tre anni». Ha promesso di sostituire la ‘troika’ - «lo spauracchio delle istituzioni finanziarie che hanno gestito la crisi di questi ultimi anni», con una struttura «più demo-cratica e legittima con un programma di aiuti soste-nuti da uno studio appro-fondito del loro impatto so-ciale». Ha anche evocato un accordo commerciale con gli Stati Uniti «ragionevole ed equilibrato», e soprattutto «trasparente», una politica estera veramente comune con un «ampio portafoglio a sostenerla» e una nuova politica di asilo basata sulla solidarietà ma anche sulla legalità, «con paletti comu-ni», perché l’Europa possa

diventare una destinazione di spicco per attirare i tal-enti di tutto il mondo. Un contentino finale alla parità di genere e un invito a tutti a «mostrare al mondo che insieme possiamo ridare un nuovo slancio all’Europa».I “chiaroscuri” dell’elezione di Juncker sono stati ben sintetizzati da Pier Vir-gilio Dastoli, Presidente del Consiglio italiano per il Movimento Federalista Europeo. Secondo Dastoli, non solo “c’è stata molta esagerazione nel ritenere che questa elezione rap-presenti un passo avanti in direzione di una mag-giore democratizzazione dell’Europa, ma, Juncker, parlando a Bilt, ha detto che è stata Angela Merkel a conferirgli l’incarico di cap-olista dei popolari. Juncker nasce quindi da una deci-sione di Angela Merkel, non è stato eletto dai cittadini

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Luci e ombre di un leaderLuci e ombre nella politica e nelle scelte

di un uomo che si è posto l’obiettivo di rimettere l’Europa al lavoro:

occupazione, crescita e investimenti, solidarietà e collaborazione.

Luci e ombre di un leaderLuci e ombre nella politica e nelle scelte

di un uomo che si è posto l’obiettivo di rimettere l’Europa al lavoro:

occupazione, crescita e investimenti, solidarietà e collaborazione.

Luci e ombre di un leaderLuci e ombre nella politica e nelle scelte

di un uomo che si è posto l’obiettivo di rimettere l’Europa al lavoro:

occupazione, crescita e investimenti, solidarietà e collaborazione.

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perché la gran parte dei cittadini non sape-va nemmeno che Juncker fosse candidato”. Lo “stile” Juncker, secondo i molti detrattori, si richiama direttamente a quello dei “padri” dell’Unione Europea: all’indomani di elezioni in cui tutti i partiti in lizza avevano invocato meno rigore, più democrazia e più trasparen-za, Juncker incarnerebbe la figura dell’uomo giusto al momento giusto. Leali e obbedienti, soprattutto perché ricattabili: è la regola d’oro in base alla quale il super-potere sceglie i suoi ineffabili candidati. Ombre lunghe, dunque, sulla nomina di Juncker al vertice della Com-missione Europea: Angela Merkel, che l’ha im-posto alla Gran Bretagna con la collaborazione di Renzi e Hollande, sa di poter sempre con-tare sulla fedeltà di un uomo molto chiacchi-erato, storica pedina dei poteri forti e accusato, nel suo paese, di aver fatto schedare migliaia di persone a loro insaputa, dopo aver coperto la strategia della tensione di marca Gladio.

na vicenda dallo stile tipicamente italiano - La storia processuale della Gladio del Lussemburgo ri-corda quella delle tante stragi ital-

iane: processi rinviati, amnesie, testimoni scomparsi, sparizione delle prove. Juncker ha annunciato le dimissioni dal governo del Lus-semburgo nel 2013, a seguito di uno scandalo riguardante i servizi di intelligence, accusato di aver schedato illegalmente centinaia di migli-aia di cittadini. L’accusa, nello specifico, è per la mancata vigilanza sulle operazioni della Srel, l’agenzia di servizi segreti lussemburghese. In un rapporto della commissione d’inchiesta presentato al Parlamento, emergono le vio-lazioni commesse tra il 2003 e il 2009 che in-cludono un giro di tangenti, corruzione e in-tercettazioni telefoniche, sulle quali il premier avrebbe chiuso un occhio. La Gladio in Lussem-burgo era stata sciolta ufficialmente nel 1990, come in altri paesi europei. Tuttavia i funzion-ari dei servizi segreti avrebbero poi continuato a spiare illegalmente singoli individui per mo-tivi privati senza che il premier intervenisse. L’establishment politico tentò di fermare la magistratura che stava cercando di far luce su quegli strani episodi di terrorismo. Per zittire il giudice Robert Biever, che era giunto ad ac-cusare direttamente il ministro della giustizia Luc Frieden di sabotare le indagini, fu scatenata una campagna di disinformazione e discredito, arrivando a incolpare il magistrato di turismo pedofilo in Thailandia. Gli oscuri attentati de-gli anni ‘80 contro l’innocuo Lussemburgo, in

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perché la gran parte dei cittadini non sape-va nemmeno che Juncker fosse candidato”. Lo “stile” Juncker, secondo i molti detrattori, si richiama direttamente a quello dei “padri” dell’Unione Europea: all’indomani di elezioni in cui tutti i partiti in lizza avevano invocato meno rigore, più democrazia e più trasparen-za, Juncker incarnerebbe la figura dell’uomo giusto al momento giusto. Leali e obbedienti, soprattutto perché ricattabili: è la regola d’oro in base alla quale il super-potere sceglie i suoi ineffabili candidati. Ombre lunghe, dunque, sulla nomina di Juncker al vertice della Com-missione Europea: Angela Merkel, che l’ha im-posto alla Gran Bretagna con la collaborazione di Renzi e Hollande, sa di poter sempre con-tare sulla fedeltà di un uomo molto chiacchi-erato, storica pedina dei poteri forti e accusato, nel suo paese, di aver fatto schedare migliaia di persone a loro insaputa, dopo aver coperto la strategia della tensione di marca Gladio.

na vicenda dallo stile tipicamente italiano - La storia processuale della Gladio del Lussemburgo ri-corda quella delle tante stragi ital-

iane: processi rinviati, amnesie, testimoni scomparsi, sparizione delle prove. Juncker ha annunciato le dimissioni dal governo del Lus-semburgo nel 2013, a seguito di uno scandalo riguardante i servizi di intelligence, accusato di aver schedato illegalmente centinaia di migli-aia di cittadini. L’accusa, nello specifico, è per la mancata vigilanza sulle operazioni della Srel, l’agenzia di servizi segreti lussemburghese. In un rapporto della commissione d’inchiesta presentato al Parlamento, emergono le vio-lazioni commesse tra il 2003 e il 2009 che in-cludono un giro di tangenti, corruzione e in-tercettazioni telefoniche, sulle quali il premier avrebbe chiuso un occhio. La Gladio in Lussem-burgo era stata sciolta ufficialmente nel 1990, come in altri paesi europei. Tuttavia i funzion-ari dei servizi segreti avrebbero poi continuato a spiare illegalmente singoli individui per mo-tivi privati senza che il premier intervenisse. L’establishment politico tentò di fermare la magistratura che stava cercando di far luce su quegli strani episodi di terrorismo. Per zittire il giudice Robert Biever, che era giunto ad ac-cusare direttamente il ministro della giustizia Luc Frieden di sabotare le indagini, fu scatenata una campagna di disinformazione e discredito, arrivando a incolpare il magistrato di turismo pedofilo in Thailandia. Gli oscuri attentati de-gli anni ‘80 contro l’innocuo Lussemburgo, in

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Nello stile dei Padri dell’UnioneLo scandalo LuxLeaks tra le ombre

che oscurano la sua immagine. Uno scandalo che non scandalizza e che non lo lascia senza poltrona ma che lo fa sentire indebolito per le accuse

contro la sua etica e la sua morale.

Nello stile dei Padri dell’UnioneLo scandalo LuxLeaks tra le ombre

che oscurano la sua immagine. Uno scandalo che non scandalizza e che non lo lascia senza poltrona ma che lo fa sentire indebolito per le accuse

contro la sua etica e la sua morale.

Nello stile dei Padri dell’UnioneLo scandalo LuxLeaks tra le ombre

che oscurano la sua immagine. Uno scandalo che non scandalizza e che non lo lascia senza poltrona ma che lo fa sentire indebolito per le accuse

contro la sua etica e la sua morale.

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Il caso JunckerJuncker: il primo Presidente della

Commissione europea eletto dal Parlamento Europeo su proposta

del Consiglio europeo, partendo dai risultati delle elezioni europee in cui i

candidati alla guida della Commissione erano stati indicati dalle famiglie politiche europee prima del voto.

realtà «servivano a creare una tensione allarmante nella popolazione, al fine di far accettare leggi restrittive e un controllo totale su ogni singola persona», come af-ferma lo storico svizzero Daniel Ganser, che denun-cia i contatti “coperti” tra l’intelligence lussembur-ghese e il Bnd, il servizio segreto della Germania. L’affare Gladio diventava una guerra interna tra il governo, la magistratura e le diverse famiglie di alto rango implicate. Chiamato a deporre insieme al ministro Frieden, lo stesso Juncker disse di non sapere nulla e che non era suo dovere sa-pere cosa facessero i servizi

segreti. A smentirlo prov-vide Marco Mille, direttore dell’intelligence, che attirò Juncker in una trappola: doveva essere un colloquio privato, ma fu registrato con una microspia nascosta nell’orologio del generale – cosa che scatenò le proteste di Juncker, indispettito per la registrazione “illegale” e la diffusione di informazioni “protette da segreto di Sta-to”. Non fece mistero delle ombre lunghe di Gladio, in-vece, un altro politico lus-semburghese, Jacques Sant-er, predecessore di Juncker sia come Premier che come Presidente della Commis-sione UE. Juncker alla rivista “Focus” dichiarò: «Nulla

deve essere portato in pub-blico, noi del gruppo Europa Unita discutiamo tutto in segreto, e quando la cosa diventa seria dobbiamo dire esclusivamente le bugie».

uxLeaks: lo scan-dalo ... non scan-dalo - Francese ed ex dipendente della

società di revisione e con-sulenza fiscale Price water-house Coopers (PwC): queste le sole informazioni che si conoscono sull’identità della presunta “talpa” che con le sue rivelazioni ha in-nescato lo scandalo Lux-Leaks, scoperchiando il vaso di Pandora su trattamenti fiscali estremamente u

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Il caso JunckerJuncker: il primo Presidente della

Commissione europea eletto dal Parlamento Europeo su proposta

del Consiglio europeo, partendo dai risultati delle elezioni europee in cui i

candidati alla guida della Commissione erano stati indicati dalle famiglie politiche europee prima del voto.

Il caso JunckerJuncker: il primo Presidente della

Commissione europea eletto dal Parlamento Europeo su proposta

del Consiglio europeo, partendo dai risultati delle elezioni europee in cui i

candidati alla guida della Commissione erano stati indicati dalle famiglie politiche europee prima del voto.

realtà «servivano a creare una tensione allarmante nella popolazione, al fine di far accettare leggi restrittive e un controllo totale su ogni singola persona», come af-ferma lo storico svizzero Daniel Ganser, che denun-cia i contatti “coperti” tra l’intelligence lussembur-ghese e il Bnd, il servizio segreto della Germania. L’affare Gladio diventava una guerra interna tra il governo, la magistratura e le diverse famiglie di alto rango implicate. Chiamato a deporre insieme al ministro Frieden, lo stesso Juncker disse di non sapere nulla e che non era suo dovere sa-pere cosa facessero i servizi

segreti. A smentirlo prov-vide Marco Mille, direttore dell’intelligence, che attirò Juncker in una trappola: doveva essere un colloquio privato, ma fu registrato con una microspia nascosta nell’orologio del generale – cosa che scatenò le proteste di Juncker, indispettito per la registrazione “illegale” e la diffusione di informazioni “protette da segreto di Sta-to”. Non fece mistero delle ombre lunghe di Gladio, in-vece, un altro politico lus-semburghese, Jacques Sant-er, predecessore di Juncker sia come Premier che come Presidente della Commis-sione UE. Juncker alla rivista “Focus” dichiarò: «Nulla

deve essere portato in pub-blico, noi del gruppo Europa Unita discutiamo tutto in segreto, e quando la cosa diventa seria dobbiamo dire esclusivamente le bugie».

uxLeaks: lo scan-dalo ... non scan-dalo - Francese ed ex dipendente della

società di revisione e con-sulenza fiscale Price water-house Coopers (PwC): queste le sole informazioni che si conoscono sull’identità della presunta “talpa” che con le sue rivelazioni ha in-nescato lo scandalo Lux-Leaks, scoperchiando il vaso di Pandora su trattamenti fiscali estremamente

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vantaggiosi per oltre 370 multinazionali, ed mettendo nei guai Juncker. Un’inchiesta gior-nalistica di ICIS, Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi, definita Luxembourg Leaks, pubblicò nel novembre del 2014 i nomi di più di 300 aziende e multinazionali diret-tamente coinvolte nelle decisioni fiscali prese da Juncker nel suo governo tra il 2002 e il 2010. Si è parlato di accordi vantaggiosi sui prezzi di trasferimento globale, collegati con direttive dell’UE, che riguardavano il regime fiscale del Lussemburgo. Sarebbero state garantite, in-somma, esenzioni fiscali e minori imposizioni. Addirittura trattamenti fiscali ridotti al mini-mo, il 2 % appena, per gruppi finanziari inten-zionati a basare i loro assets nel Granducato. Tra le 35 nuove aziende citate nei documenti ottenuti dal Consorzio internazionale dei giornalisti di inchiesta figurano anche Skype, Walt Disney, Telecom Italia e Koch Industries Apple, Amazon, Ikea, Pepsi, Heinz, Verizon e AIG. L’obiettivo era per tutti lo stesso: ridurre al minimo l’imposizione fiscale. Un’operazione che negli anni ha drenato miliardi di euro alle casse dei paesi europei. Nel dettaglio, il sistema di accordi denominato tax ruling per-mette a una società di chiedere a un paese in che modo ha intenzione di trattare la propria situazione fiscale in un modo da ottimizzare le proprie imposte. Una volta ottenuta la ris-posta le aziende scelgono anche dove prendere la residenza fiscale o dove completare una de-terminata operazione. Juncker è finito così nel mirino, destabilizzato a meno di una settimana dalla sua nomina al vertice della Commissione Europea. Eppure egli si è tenuto bel stretta la sua poltrona, proclamando, anzi, lotta serrata all’evasione fiscale e informazione maggiore in materia di tax ruling. “Non ho nulla da rim-proverarmi, ma mi sento indebolito, perché Luxleaks lascia credere che io abbia partecipato a delle manovre che non rispondono alle regole elementari dell’etica e della morale. Io non sono l’architetto del sistema, ma ne sono politica-mente responsabile”, ha asserito in sua difesa Juncker. Inizia, dunque, a concentrarsi il fuoco su Juncker, anche da parte di testate economi-che come Bloomberg e il Financial Times, che evidenziano come il ruolo di Juncker sarebbe in conflitto d’interessi dal momento che oggi si trova a capo dell’istituzione che sta inda-gando le pratiche fiscali da lui supervisionate quando era Primo ministro. Non solo: a rendere forse ancora più complessa la sua situazione è il fatto che l’arricchimento del Lussemburgo sotto la guida di Juncker è avvenuto, di fatto,

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vantaggiosi per oltre 370 multinazionali, ed mettendo nei guai Juncker. Un’inchiesta gior-nalistica di ICIS, Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi, definita Luxembourg Leaks, pubblicò nel novembre del 2014 i nomi di più di 300 aziende e multinazionali diret-tamente coinvolte nelle decisioni fiscali prese da Juncker nel suo governo tra il 2002 e il 2010. Si è parlato di accordi vantaggiosi sui prezzi di trasferimento globale, collegati con direttive dell’UE, che riguardavano il regime fiscale del Lussemburgo. Sarebbero state garantite, in-somma, esenzioni fiscali e minori imposizioni. Addirittura trattamenti fiscali ridotti al mini-mo, il 2 % appena, per gruppi finanziari inten-zionati a basare i loro assets nel Granducato. Tra le 35 nuove aziende citate nei documenti ottenuti dal Consorzio internazionale dei giornalisti di inchiesta figurano anche Skype, Walt Disney, Telecom Italia e Koch Industries Apple, Amazon, Ikea, Pepsi, Heinz, Verizon e AIG. L’obiettivo era per tutti lo stesso: ridurre al minimo l’imposizione fiscale. Un’operazione che negli anni ha drenato miliardi di euro alle casse dei paesi europei. Nel dettaglio, il sistema di accordi denominato tax ruling per-mette a una società di chiedere a un paese in che modo ha intenzione di trattare la propria situazione fiscale in un modo da ottimizzare le proprie imposte. Una volta ottenuta la ris-posta le aziende scelgono anche dove prendere la residenza fiscale o dove completare una de-terminata operazione. Juncker è finito così nel mirino, destabilizzato a meno di una settimana dalla sua nomina al vertice della Commissione Europea. Eppure egli si è tenuto bel stretta la sua poltrona, proclamando, anzi, lotta serrata all’evasione fiscale e informazione maggiore in materia di tax ruling. “Non ho nulla da rim-proverarmi, ma mi sento indebolito, perché Luxleaks lascia credere che io abbia partecipato a delle manovre che non rispondono alle regole elementari dell’etica e della morale. Io non sono l’architetto del sistema, ma ne sono politica-mente responsabile”, ha asserito in sua difesa Juncker. Inizia, dunque, a concentrarsi il fuoco su Juncker, anche da parte di testate economi-che come Bloomberg e il Financial Times, che evidenziano come il ruolo di Juncker sarebbe in conflitto d’interessi dal momento che oggi si trova a capo dell’istituzione che sta inda-gando le pratiche fiscali da lui supervisionate quando era Primo ministro. Non solo: a rendere forse ancora più complessa la sua situazione è il fatto che l’arricchimento del Lussemburgo sotto la guida di Juncker è avvenuto, di fatto,

vantaggiosi per oltre 370 multinazionali, ed mettendo nei guai Juncker. Un’inchiesta gior-nalistica di ICIS, Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi, definita Luxembourg Leaks, pubblicò nel novembre del 2014 i nomi di più di 300 aziende e multinazionali diret-tamente coinvolte nelle decisioni fiscali prese da Juncker nel suo governo tra il 2002 e il 2010. Si è parlato di accordi vantaggiosi sui prezzi di trasferimento globale, collegati con direttive dell’UE, che riguardavano il regime fiscale del Lussemburgo. Sarebbero state garantite, in-somma, esenzioni fiscali e minori imposizioni. Addirittura trattamenti fiscali ridotti al mini-mo, il 2 % appena, per gruppi finanziari inten-zionati a basare i loro assets nel Granducato. Tra le 35 nuove aziende citate nei documenti ottenuti dal Consorzio internazionale dei giornalisti di inchiesta figurano anche Skype, Walt Disney, Telecom Italia e Koch Industries Apple, Amazon, Ikea, Pepsi, Heinz, Verizon e AIG. L’obiettivo era per tutti lo stesso: ridurre al minimo l’imposizione fiscale. Un’operazione che negli anni ha drenato miliardi di euro alle casse dei paesi europei. Nel dettaglio, il sistema di accordi denominato tax ruling per-mette a una società di chiedere a un paese in che modo ha intenzione di trattare la propria situazione fiscale in un modo da ottimizzare le proprie imposte. Una volta ottenuta la ris-posta le aziende scelgono anche dove prendere la residenza fiscale o dove completare una de-terminata operazione. Juncker è finito così nel mirino, destabilizzato a meno di una settimana dalla sua nomina al vertice della Commissione Europea. Eppure egli si è tenuto bel stretta la sua poltrona, proclamando, anzi, lotta serrata all’evasione fiscale e informazione maggiore in materia di tax ruling. “Non ho nulla da rim-proverarmi, ma mi sento indebolito, perché Luxleaks lascia credere che io abbia partecipato a delle manovre che non rispondono alle regole elementari dell’etica e della morale. Io non sono l’architetto del sistema, ma ne sono politica-mente responsabile”, ha asserito in sua difesa Juncker. Inizia, dunque, a concentrarsi il fuoco su Juncker, anche da parte di testate economi-che come Bloomberg e il Financial Times, che evidenziano come il ruolo di Juncker sarebbe in conflitto d’interessi dal momento che oggi si trova a capo dell’istituzione che sta inda-gando le pratiche fiscali da lui supervisionate quando era Primo ministro. Non solo: a rendere forse ancora più complessa la sua situazione è il fatto che l’arricchimento del Lussemburgo sotto la guida di Juncker è avvenuto, di fatto,

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Fautore della logica europeaRappresentante della logica europea e del nuovo trattato

transatlantico alla cui base vige un’idea di assoluta

liberalizzazione dei mercati.

Fautore della logica europeaRappresentante della logica europea e del nuovo trattato

transatlantico alla cui base vige un’idea di assoluta

liberalizzazione dei mercati.

Fautore della logica europeaRappresentante della logica europea e del nuovo trattato

transatlantico alla cui base vige un’idea di assoluta

liberalizzazione dei mercati.

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E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

E poi lo sguardo si perdeIl sogno di viverti e goderti tra le fabbriche, l’amianto e lo sporco che ammala, perchè guardarti è un amore malato da cui non si vuol guarire.(Napoli - Lungomare e Golfo)

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L’appoggio pieno di DraghiLa BCE accoglie totalmente il piano Juncker perchè spingerà le riforme strutturali all’attuazione rapida, agli investimenti con elevato ritorno ed opportunità.

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L’appoggio pieno di DraghiLa BCE accoglie totalmente il piano Juncker perchè spingerà le riforme strutturali all’attuazione rapida, agli investimenti con elevato ritorno ed opportunità.

L’appoggio pieno di DraghiLa BCE accoglie totalmente il piano Juncker perchè spingerà le riforme strutturali all’attuazione rapida, agli investimenti con elevato ritorno ed opportunità.

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a scapito delle nazioni che, fra le altre, oggi fanno par-te dell’Unione Europea. Lo scandalo ha suscitato reazi-one viscerali, generando un vero e proprio scontro sot-terraneo tra Paesi forti e deboli dell’UE. Dall’ Ikea a Finmeccanica, da Deutsche Bank a Unicredit a Fiat. Tutte operazioni che hanno permesso ai grandi ricchi di sottrarre miliardi di tasse ai Paesi nei quali il reddito viene generato. Tutte cose che non erano affatto seg-rete, ma anzi propagandate per mostrare come il Gran-ducato fosse un bengodi.

l vero scandaloLuxleaks non può af-fatto essere inteso come uno scandalo.

Il motivo è semplice, logi-

co, elementare. Nessuno può negare di sapere che il Lussemburgo è il paradiso fiscale per eccellenza, che Juncker per 18 anni è stato padrone assoluto della po-litica lussemburghese. Forse non tutti comprendono che è frequente che un Paese possa “contrattare” le sue condizioni di insediamen-to, che la moneta unica sia stata introdotta senza prima un’armonizzazione fiscale. Juncker è stato semplice-mente fautore e più autor-evole rappresentante della logica europea, del nuovo trattato transatlantico. Alla base della governance euro-pea c’è un’idea di liberalizza-zione assoluta, presente fin dal Trattato di Lisbona, oltre che nella direttiva Bolken-stein: gli Stati concorrenti

sul terreno fiscale, avreb-bero abolito o reso simbolica la tassazione sulle attività economiche. Il vero scandalo sarebbe stato, da parte di Juncker, rifiutare di prestarsi a questa truffa a vantag-gio di emissari di banche e aziende in cerca di assoluzi-oni fiscali. L’ironia del rig-orista divenuto Arcangelo del paradiso fiscale, quale è il Lussemburgo, non è affatto incomprensibile. Tutto ciò è ironico ma non strano o in-spiegabile. Il rigore europeo si riferisce esclusivamente agli strumenti con cui si deve far fronte al debito pubblico e al deficit di bilancio, non di sicuro al livello di tassazione delle aziende. Juncker ha il profilo perfetto, le caratter-istiche più adatte.

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a scapito delle nazioni che, fra le altre, oggi fanno par-te dell’Unione Europea. Lo scandalo ha suscitato reazi-one viscerali, generando un vero e proprio scontro sot-terraneo tra Paesi forti e deboli dell’UE. Dall’ Ikea a Finmeccanica, da Deutsche Bank a Unicredit a Fiat. Tutte operazioni che hanno permesso ai grandi ricchi di sottrarre miliardi di tasse ai Paesi nei quali il reddito viene generato. Tutte cose che non erano affatto seg-rete, ma anzi propagandate per mostrare come il Gran-ducato fosse un bengodi.

l vero scandaloLuxleaks non può af-fatto essere inteso come uno scandalo.

Il motivo è semplice, logi-

co, elementare. Nessuno può negare di sapere che il Lussemburgo è il paradiso fiscale per eccellenza, che Juncker per 18 anni è stato padrone assoluto della po-litica lussemburghese. Forse non tutti comprendono che è frequente che un Paese possa “contrattare” le sue condizioni di insediamen-to, che la moneta unica sia stata introdotta senza prima un’armonizzazione fiscale. Juncker è stato semplice-mente fautore e più autor-evole rappresentante della logica europea, del nuovo trattato transatlantico. Alla base della governance euro-pea c’è un’idea di liberalizza-zione assoluta, presente fin dal Trattato di Lisbona, oltre che nella direttiva Bolken-stein: gli Stati concorrenti

sul terreno fiscale, avreb-bero abolito o reso simbolica la tassazione sulle attività economiche. Il vero scandalo sarebbe stato, da parte di Juncker, rifiutare di prestarsi a questa truffa a vantag-gio di emissari di banche e aziende in cerca di assoluzi-oni fiscali. L’ironia del rig-orista divenuto Arcangelo del paradiso fiscale, quale è il Lussemburgo, non è affatto incomprensibile. Tutto ciò è ironico ma non strano o in-spiegabile. Il rigore europeo si riferisce esclusivamente agli strumenti con cui si deve far fronte al debito pubblico e al deficit di bilancio, non di sicuro al livello di tassazione delle aziende. Juncker ha il profilo perfetto, le caratter-istiche più adatte.

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ra il 6 e il 9 gennaio, in quel di Las Ve-gas, si è svolta la più importante fiera al mondo relativa all’elettronica di con-sumo (Per il mercato professionale es-iste il CeBIT di Hannover, per quella en-thusiast il Computex di Taipei). Proprio

per questa particolare caratteristica, grande risonanza mediatica hanno avuto quei prodotti dedicati all’utenza casalinga, in particolare Televisori e Smartwatch. Par-tendo dai primi, sono stati presentati numerosi modelli di TV caratterizzati da una risoluzione 4K (3840x2160) o superiore. Constatato che i modelli in grado di ripro-durre contenuti in 3D si sono rivelati un flop commer-ciale, le case hanno deciso di puntare su fattori fruibili da un pubblico più ampio, e cioè la risoluzione video e la qualità del pannello. Ad esempio, LG ha presentato le SmartTV della serie UF, caratterizzate da uno schermo OLED con risoluzione 4K in grado di riprodurre colori

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molto più realistici rispetto ad un classico schermo LCD e dall’integrazione del sistema operativo webOS 2.0 in abbinamento ad un SoC quad core. Samsung, altro gigante del settore, ha presentato le SmartTV della serie SuHd, sempre con schermo 4K, le quali saranno equi-paggiate con il sistema operativo proprietario Tizen, in sostituzione ad Android di Google. Con questa mossa Samsung spera di poter en-trare da protagonista nel mercato software, aprendo un proprio Store di App, aumentando i già notevoli introiti.

assando agli Smartwatch, fan-no la propria comparsa i primi modelli che forse possono essere considerati utilizzabili, dopo che

l’iniziale ondata di modelli, circa due anni fa, è stata un buco nell’acqua dal punto di vista commerciale. Garmin presenta tre modelli, tra i 249 e i 599 euro, destinati a tre tipologie di acquirenti: il Fenix 3 è uno sportwatch des-tinato agli sportivi, in quanto integra, oltre al GPS, diverse funzionalità specifiche dedicate a chi pratica anche sport estremi (altitudine, distanze percorse, pendenze, ritmo cardia-co, calorie bruciate, ecc). Epix, invece, è uno smartwatch dedicato a chi pratica escursionis-mo, in quanto integra anche una mappa euro-pea topografica. L’ultimo modello, Vivoactive, è dedicato a chi pratica fitness e sport classici in quanto, ad esempio, nella memoria interna sono memorizzate le mappe di oltre 38.000 campi da tennis dislocati in tutto il mondo. LG, al contrario di Garmin, offre uno smartwatch decisamente più classico, il G Watch R, realiz-zato in collaborazione con AUDI ed in grado di controllare alcune funzionalità delle auto della casa tedesca tramite la connessione NFC.

aturalmente non sono mancate altre interessanti new entry, come ad esempio il SoC nVidia Tegra X1, dedicato al mercato Au-

tomotive (lo si vedrà integrato nelle auto di AUDI, Wolkswagen e Porsche), e l’introduzione dei primi monitor per videogiocatori dotati di tecnologia FreeSync, in grado di limitare il fastidioso effetto di tearing (difetto per cui lo schermo, durante la riproduzione di un video o di un gioco, appare “strappato” in due o più punti). Contrariamente a quanto si è visto gli anni passati, questo 2015 si è dimostrato un ot-timo anno per il CES, finalmente ricco di inter-essanti novità a 360°.

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