ipasvi luglio 11 ok - ipasvitaranto.com · anno xviii numero 2 - luglio 2011 periodico trimestrale...

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ANNO XVIII Numero 2 - Luglio 2011 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P. Tariffa Associazioni senza fini di lucro: “Poste Italiane S.p.A.” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 (convertito in legge 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 2 DCB TA a Noi “La parola” “La parola” Il buio della Sanità

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Questo periodico è as so cia to alla Unione StampaPeriodica Italiana

ommarioSEditoriale .................................................................... Pag. 3La centralità del cittadino fra ospedale e territorio ............. » 4

Linee di indirizzo della unità di degenza infermieristicainserita nell’Unità Distrettuale ........................................ » 7

L’evoluzione dell’assistenza penitenziaria:il modello dell’ASL TA ............................................... » 11

Due anni di esperienza infermieristica nella gestionedel Catetere Venoso Centrale (CVC) in emodialisi ............... » 14

Assistenza al paziente anziano con frattura di femore ......... » 19

Tossicodipendenza e professionalità infermieristica:centralità e periferica di un ruolo .................................... » 28

Infermieri e tabagismo ............................................... » 47

Un sublime gesto d’amore .............................................. » 61

Giornata internazionale dell’infermiere ............................. » 62

Spigolando ................................................................... » 63

Master Universitario ...................................................... » 65

Avvertenze e norme editoriali ......................................... » 66

AVVISOLa redazione si riserva la valutazione degli articoli inviati, il rimaneggiamento del testo, la pubblicazione secondo esigenze giornalistiche. Il materiale inviato non è restituito.

Fotocomposizione e stampaStampa Sud - Mottola (Ta)

www.stampa-sud.it

Reg. Trib. di Taranto n. 462/94decreto del 23/03/1994

Direttore ResponsabileBenedetta Mattiacci

Coordinamento editorialee redazionale

Emma Bellucci Conenna

Hanno collaborato:

Benedetta MattiacciLuigia CarboniGianrocco RossiAttilio GualanoAngelo MarangiAntonio GravinaAnna CaricasuloU.O.C. Nefrologia e Dialisi, M.F.

Comitato di Redazione

A. SchiavoneR. Pollice

G. ArgeseN. Zicari

Collegio IPASVIVia Salinella, 15Tel. 099.4592699Fax 099.4520427

[email protected]

orari di apertura al pubblico

lunedì - mercoledì - venerdì9,00- 12,00

martedì 15,00 - 17,30venerdì 17,00 - 19,00

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Editoriale

Benedetta MattiacciPresidente Collegio IPASVI

L’editorialeIPASVI

ossiamo ben dire che ci avviamo verso il Medio Evo della Sanità, verso un futuro sempre più buio a dispetto di quell’incremento dello 0,5% dei fi nanziamenti governativi.

Il fatto notorio è che la Regione Puglia è penalizzata da un Piano di rientro dal quale è scaturito un Piano di riordino ospedaliero por-tatore di non poche conseguenze: chiusura o riconversione degli ospedali; “ghigliottina” per il personale infermieristico a tempo indeterminato, al quale non è stato rinnovato il contratto di lavoro. Ciliegina sulla torta per noi pugliesi, la sentenza nr. 42/2011 che sancisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 comma 40 della L.R. 31/12/07 n.40 che ha prodotto come effetto l’obbligo di fornire ai managers delle ASL e degli Enti del Servizio Sanitario Regionale indirizzi applicativi per le azioni “fi nalizzate alla cessazio-ne degli effetti dei contratti di lavoro a tempo indeterminato sottoscritti con i destinatari dell’art. 3 comma 40 della L.R. n. 40”. Scenari foschi, dunque, incertezze per la qualità delle prestazioni, per un gap nord-sud che si allarga anche al campo della ricerca e ne sono conferma i risultati del Bando 2009 della salute, che vedono nella parte del leone le regioni del nord con il 50% del totale dei progetti a fronte di una Puglia che vanta solo sette progetti. Comprensibile la sensazione di sfi ducia nei confronti degli organismi sanitari incapaci di offrire una sanità di qualità in grado di abbattere la mobilità passiva e di un’appeal in grado di attrarre malati dalle altre regioni. Per noi infermieri l’impossibilità di esprimere al meglio la professionalità, a dare il massimo delle capacità e potenzialità, costretti a rivedere la pianifi cazione del lavoro per mancanza di personale, ancora più risicato per il blocco del turn-over e delle assunzioni, sui quali è scesa la scure della manovra fi nanziaria 2011-2014. Parliamo di quella stessa manovra che contempla la possibilità “in deroga al predetto blocco del turn-over” di “autorizzazione al conferimento di incarichi di dirigenti medici di struttura complessa” per “assicurare il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza”. Ebbene, il blocco del turn-over delle assunzioni per noi infermieri, ma non solo, signifi ca l’im-possibilità di sostituzione o di ricambio per, ad esempio per quelli che andranno in pensione. Allora, che senso ha la deroga per i “dirigenti medici di struttura complessa” (non dimentichiamo che molto spesso l’incarico è stato conferito ad interim al medico più anziano) e non la deroga per il personale infermieristico? Si pensa che sia possibile “assicurare il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza” senza infermieri o con un numero insuffi -ciente? Noi infermieri, nelle corsie, ce la mettiamo tutta per essere ligi al nostro dovere, attenti a dare risposte puntuali ed adeguate alle richieste ed ai bisogni dei pazienti; operiamo giorno dopo giorno tra mille diffi coltà, talvolta aggravate da rapporti problematici con altri professio-nisti (per fortuna pochi), inclini per educazione o per cultura alla mancanza di rispetto per il ruolo e le funzioni dell’infermiere.Siamo professionisti seri e preparati, con funzioni statuite dal profi lo professionale, ed è no-stra ferma intenzione portare tutte le competenze per la crescita e la qualifi cazione dell’offerta sanitaria.

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La sanità regionale pugliese, oggi, vive un momento particolare per l’attuazione del Piano di riordino ospedaliero che ha pre-

visto la chiusura o la riconversione di ospedali, per noi dell’ASL Taranto degli ospedali di Mot-tola e Massafra, il che ha sollevato l’indignazio-ne dei sindaci jonici, inclini verosimilmente agli ospedali tout-court, fi nanche nelle frazioni.Naturale che alla chiusura o riconversione di stabilimenti ospedalieri debba corrispondere un potenziamento delle strutture territoriali. È, questo, il tema del Convegno “L’alternativa all’Ospedale”, una due giorni (27 e 28 mag-gio) organizzata dal Collegio IPASVI e dall’ASL TA, in collaborazione, a signifi care l’impegno per l’individuazione di soluzioni condivise allo scopo di ottimizzare le competenze professio-nali e di offrire ai Cittadini una Sanità persona-lizzata.Il tema, ripetiamo, è “L’alternativa all’ospedale”, tema quanto mai attuale nel momento in cui la Regione Puglia procede al piano di riordino.Di questo piano, tra contestazioni ed appro-vazioni, si parla da anni come soluzione per contenere la spesa sanitaria. Ciò non signifi ca ridurre le prestazioni ma ottimizzare l’esistente.

La spesa sanitaria, è inutile ripetercelo, rap-presenta la voce più esosa del bilancio regionale,una vera e propria emorragia di fondi, che condizionano pesantemente gli altri settori, a cominciare dal Welfare, i cui bisogni fi niscono per ricadere sulla Sanità. Esempio lampante è l’anziano solo ,indigente o quasi, che per una banale bronchite fi nisce in ospedale diventan-done, e questo è accaduto troppo spesso nel passato,ospite fi sso con una lievitazione dei costi ed un sovraccarico per i reparti. Siffatto sistema non può avere senso, soprattutto in un contesto di contrazione della spesa.Allora, cominciamo a ragionare. Va riequili-brato il rapporto Ospedale- Distretti Territoriali,i due soggetti della Sanità riconosciuti quali fonti paritarie di erogazione delle prestazio-ni con caratteristiche specifi che: gli uni, gli ospedali,preposti per defi nizione alla diagno-si ed alla cura della fase acuta della malattia, con disponibilità di alta tecnologia; gli altri, i distretti, deputati alla fase cronica, ovvero alla assistenza primaria, distretti con un ruolo stra-tegico nell’attuale sistema assistenziale, punto di forza per una assistenza territoriale virtuosa tarata sui bisogni di salute della popolazione.

Convegno “L’alternativa all’Ospedale”Convegno “L’alternativa all’Ospedale”

Da sinistra il Dott. F. Scattaglia, attuale D.G. ASL TA, il Dott. M. Tamburrano, sindaco di Massafra, l’Avv. G. Quero, sindaco di Mottola, la Presidente IPASVI TA B. Mattiacci nel corso del suo intervento.

B. MattiacciLA CENTRALITÀ DEL CITTADINOLA CENTRALITÀ DEL CITTADINOFRA OSPEDALE E TERRITORIOFRA OSPEDALE E TERRITORIO

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Su entrambi i soggetti fonda la rete dell’assi-stenza, soprattutto laddove e quando si realiz-za la continuità di cure, ovvero quando si crea un ombrello per la tutela del bene salute.Ospedali e Distretti, insieme, per risposte ef-fi cienti – effi caci—adeguate, in linea con i bi-sogni e le domande di salute, nell’ottica di un giusto rapporto prestazioni –costi, ma anche come sistema sinergico ed integrato.Con il piano di riordino della salute si vuole arri-vare ad una gestione corretta della Sanità,

• eliminando gli sprechi dovuti al ricorso improprio all’ospedale, all’ eccesso di ospedalizzazione con un sovraccarico, in termini di prestazioni ed erogazio-ni, come da sempre rimarcato dai ma-nagement aziendali, che impegna in modo,ripetiamo improprio, risorse uma-ne ed economiche;

• catalizzando la fi ducia dei cittadini per-ché trovino in loco risposte ottimali, sen-za dover ricorrere ai viaggi della spe-ranza, incrementando quella mobilità passiva, altra voce pesante nei bilanci aziendali. Le regioni del sud devono im-parare a gestire le risorse, per colmare quel gap ancora esistente con le regioni del centro nord. Abbiamo potenzialità, capacità, preparazione, forse manca la

voglia di crescere?Se, dunque, c’è una svolta nella politica sani-taria, con un ventaglio più ampio di “strutture per la salute” , di pari passo deve andare un rinnovamento dell’approccio all’ utenza, abitua-ta all’ospedale come panacea per tutti i mali, utenza la cui centralità è fuori discussione: gli operatori sanitari,i professionisti sanitari al servizio del cittadino, senza condizioni, negli ospedali e nelle strutture territoriali, senza limi-ti di orario e di accesso, come, purtroppo, ac-cade ancora. Cittadini, conditio sine qua non per la sopravvivenza delle strutture e dell’intero sistema, ma cittadini ai quali offrire una sanità di qualità, sia negli ospedali che sul territorio. Perciò, attenzione massima per i Distretti che, nella fase di ricorso tout-court agli Ospedali, sono stati ignorati dagli utenti, di conseguenza sono stati oggetto di disattenzione da parte de-gli organismi regionali, che hanno canalizzato le risorse verso gli ospedali ritenuti più affi dabi-li proprio perché sempre accessibili con mag-giore presenza di specialisti ed infermieri ,con strutture di Pronto-Soccorso.Ora la necessità di risparmiare, quindi l’in-versione di tendenza: mancato rinnovo delle assunzioni a termine con diffi coltà di gestio-ne come accaduto per l’astanteria del Pronto Soccorso di Castellaneta, chiusa per organico sottodimensionato, ospedali ridimensionati per numero di P.L., valorizzazione del territorio,

Al tavolo dei relatori: da sinistra Infermiere Dirigente dott. F. Germini; Dott. F. Fioretto Direttore Generale ENPAPI; Dott. M. Schiavon Presidente ENPAPI; A.S. B. Mattiacci Presidente Collegio IPASVI Taranto; Infermiera Dirigente dott.ssa G. Suma; Infermiere Dirigente dott. G. Rossi.

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potenziamento delle strutture territoriali, una politica di deospedalizzazione che, speriamo, non si traduca in un eccesso di deospedaliz-zazione. La salute è il bene primario. La neces-sità di una riduzione della spesa non deve tra-dursi in uno scadimento della qualità dell’offer-ta. Non c’è paragone tra il diritto alla salute e la necessità di contrazione della spesa. Tagliare si deve e si può, ma bisogna colpire gli sprechi reali, l’inutile, non l’utile ed effi ciente.Oggi parliamo di alternativa all’ospedale, par-liamo di tutela del cittadino, di ambulatori infer-mieristici, di day service, di libera professione, di raccordo tra ospedale e territorio,di medici di medicina generale quale collante tra Ospedale e Territorio. Il Cittadino deve avere centralità di fat-to, una centralità sancita sulla carta dalle leggi di riforma 502 e 517, rimasta lettera morta per una acquisita mentalità medico-centrica degli ospedali e delle cure.Il baricentro oggi si sta spostando, non abba-stanza celermente, fors’ anche per un non cor-retto impiego delle risorse umane quali posso-no essere i professionisti infermieri, professio-nisti formatisi nelle università, con responsabi-lità sancite dalle leggi,con bagaglio culturale e professionale non indifferente. Rammentiamo

che molti infermieri sono docenti universitari. Ritornando allo spostamento del baricentro, a sostegno c’è l’assistenza domiciliare, con équipe multidisciplinare, attivata dalla ASL Ta-ranto per alcune patologie tra cui,di recente, le patologie ad alta complessità assistenziale. Sono il segnale della Sanità futura che vede non più i cittadini andare negli ospedali, verso gli operatori, ma gli operatori andare “verso e dal cittadino” al cui benessere sono fi nalizzati gli interventi. Attorno al Cittadino si stanno, dunque, attivando strumenti e meccanismi per la soddi-sfazione dei bisogni, risposte appropriate alle domande di salute, frutto di un feeling tra ospe-dale e territorio. Tentativi soddisfacenti?Risposte ottimali? Modifi che work in progress? Abbiamo detto di strumenti della nuova sanità fra i quali ambulatorio infermieristico, unità di degenza infermieristica, day service, esercizio della libera professione, strumenti nella nostra regione in parte calendarizzati, ma tutti già pre-senti e collaudati in altre regioni.Ne sentiremo parlare da alcuni relatori esper-ti per averli attivati e lavorato .Ma ascolteremo anche i progetti del management infermieristi-co della ASL Taranto. Noi saremo attenti ascol-tatori. Infatti, il nostro Collegio da anni sostiene la necessità di ambulatori infermieristici territo-riali, di hospice a esclusiva gestione infermieri-stica, di convenzioni ASL –Infermieri libero pro-fessionisti ;- opportunità per i cittadini, soprattutto pazienti cronici, perché garanzia di serietà e sicurezza;- opportunità per gli Infermieri che possono esprimersi al massimo delle capacità e del-le esperienze, spesso maturate in ambito ospedaliero, perfezionate nella frequenza di corsi di aggiornamento e nei Masters. Gli ambulatori infermieristici sul territorio rap-presenterebbero la punta avanzata della sani-tà, un approccio nuovo dell’utenza, un approc-cio “a misura d’uomo” per la soluzione dei pic-coli problemi, quei problemi riversati nei posti di Pronto Soccorso e catalogati come “codici bianchi”. Ne conseguirebbe una maggiore sod-disfazione dell’utenza che si sentirebbe prota-gonista ed al centro di una sanità impegnata a risolvere i suoi problemi, anche piccoli.

Da sinistra la dott.ssa F. Parisi, infermiere dirigente P.O. di Martina Franca ed il dott. G. Argese, vice presidente Collegio IPASVI - Ta

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LINEE DI INDIRIZZO DELLA UNITA’ DI LINEE DI INDIRIZZO DELLA UNITA’ DI DEGENZA INFERMIERISTICA INSERITA DEGENZA INFERMIERISTICA INSERITA

NELL’OSPEDALE DISTRETTUALE NELL’OSPEDALE DISTRETTUALE Dott.ssa Luigia Carboni

Inf.ra Dir.te Dip. Assistenza ASL ROMA G

Negli ultimi decenni il progressivo au-mento della speranza di vita della po-polazione e il contemporaneo incre-

mento delle patologie cronico-degenerative, hanno portato come conseguenza l’aumen-to di bisogni assistenziali “a lungo termine”.La necessità di fornire risposte appropriate alla domanda di salute, espressa soprattutto dagli anziani, implica l’attivazione di nuove forme as-sistenziali, rispetto a quelle offerte tradizional-mente dagli ospedali per acuti.

Appare quindi strategico programmare la realizzazione di strutture in grado di forni-re risposte socio-sanitarie non basate sol-tanto sull’alta tecnologia ma appropriate ai bisogni del paziente e dei suoi familiari. La Regione Lazio ha proposto l’introduzione di un nuovo ambito assistenziale a livello distret-tuale, il Presidio territoriale di prossimità (PTP) la cui evoluzione è determinata dall’OSPEDALE DISTRETTUALE ( allegato A DCA 80 PRL 2010-2012). All’interno di questa struttura a vocazione multifunzionale e a gestione multiprofessiona-le, in linea generale, trovano collocazione una serie di servizi e funzioni distrettuali, alcuni dei quali già in attività ( RSA , Assistenza domicilia-re , Ambulatorio infermieristico etc) e una nuova tipologia di assistenza, la Degenza Infermieri-stica, destinata a trattare persone affette da pa-tologie cronico-degenerative in fase non acuta e con esigenze diversifi cate, che in passato af-ferivano alla tradizionale degenza ospedaliera,.L’Ospedale Distrettuale garantisce, infatti, attra-verso la Degenza Infermieristica (DI), l’assisten-

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za in regime residenziale di natura medico-infer-mieristica di quei soggetti che, spesso appar-tenenti alle fasce più deboli della popolazione, sono affetti da riacutizzazione di patologie cro-niche, che non necessitano di terapie intensive o di diagnostica ad elevata tecnologia e che non possono, per motivi sia di natura clinica che so-ciale, essere adeguatamente trattati a domicilio e, in caso di persistenza, in ricovero ospedaliero risulterebbero troppo onerosi per il SSN.L’Ospedale Distrettuale favorisce l’integrazione dei servizi sanitari e sociali, valorizza il ruolo del Medico di Medicina Generale e degli altri profes-sionisti che operano nell’area delle cure primarie e intermedie ed è da considerarsi quale “domici-lio allargato”.

delle cure sanitarie e per i tempi più prolungati di permanenza degli assistiti, che, in relazione al loro stato psico – fi sico, possono trovare nella stessa anche “ospitalità permanente”.L’ Assistenza Domiciliare Integrata ADI ha come presupposto fondamentale l’esigenza di man-tenere l’anziano nel proprio domicilio. Vi è una serie di situazioni che controindica l’ammissione in ADI di un paziente, per esempio un stato di bisogno troppo elevato, condizioni di salute tali da non consentire al paziente una organizzazio-ne autonoma della propria vita, oppure in pre-senza di barriere architettoniche tale da rendere poco funzionale l’assistenza ADI. In questi casi il paziente viene avviato ad uno dei servizi che compongono la rete assistenziale in cui l’ADI è, per l’appunto, integrata come la Degenza Infer-mieristica .

La Degenza Infermieristica, secondo le linee

La tipologia di assistenza erogata dalla DI pos-siede, infatti, caratteristiche intermedie tra il rico-vero ospedaliero e le altre risposte assistenziali residenziali (RSA) o domiciliari (ADI), alle qua-li non si pone in alternativa, ma piuttosto in un rapporto di forte integrazione e collaborazione, rappresentando uno snodo fondamentale della rete di assistenza territoriale.Infatti, la RSA trova riferimento normativo nella legge 67/88 e nel DPCM 22.12.89. Si differenzia dalle strutture riabilitative per la minore intensità

di indirizzo riportate nel DCA 43/2008 e nel PSR 2010-2012, è individuata come uno dei Moduli funzionali caratterizzanti dell’Ospedale Di-strettuale e fornisce un servizio per i pazienti affetti da patologie cronico-degenerative in fase post-acuta e in progressiva stabilizzazione o in fase di parziale riacutizzazione, caratterizzati da

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relativa stabilità clinica e da necessità assisten-ziali medio-elevate, comportanti monitoraggio permanente in regime residenziale (ad esempio modifi cazione della terapia, fasi di scompenso non grave, fase post-dimissione in assenza di possibilità temporanea di adeguato supporto do-miciliare). Il ricovero è garantito per un periodo di tempo massimo di 15 - 20 giorni, con presen-za h 24 di personale di assistenza infermieristica e assistenza medica prestata, secondo specifi ci accordi, da medici di medicina generale, o, al bi-sogno, da medici specialisti ASL e/o medici del-la continuità assistenziale (reperibilità h 24). Ai sensi del DCA 87/2009 – PSR 2010-2012 la do-tazione organica minima di personal, necessario alla gestione di una Unità D.I. per un modulo di 15 p.l., è costituita da: 1 infermiere coordinato-re, 5 unità di Infermieri (organico base), 7 unità di O.S.S. (organico base) più altre fi gure come terapisti della riabilitazione e assistenti sociali in condivisione con gli altri servizi della struttura.

Obiettivi

• Ridurre i ricoveri ospedalieri inappropria-ti, fornendo un’alternativa di cura e assi-stenza per pazienti post acuti o per sog-

domicilio, o di ricorso a forme assisten-ziali territoriali.

• Limitare gli ingressi a carattere defi nitivo in strutture residenziali, legati all’insor-genza di diffi coltà familiari e sociali o alle diffi coltà di gestione delle mutate con-dizioni fi siche e funzionali dell’anziano dopo un’evenienza acuta.

• Favorire l’integrazione tra strutture ospe-daliere e territoriali e la condivisione di risorse umane e tecnologiche.

Funzioni

• degenza nelle 24 ore, a gestione infermie-ristica (con presenza h 24) e assistenza medica prestata, secondo specifi ci accor-di, da medici di medicina generale, o al bi-sogno da medici specialisti e medici della continuità assistenziale (reperibilità h24);

Aspetti strutturali, tecnologici, organizzativiL’Unità di Degenza Infermieristica, al pari de-gli altri servizi, risponde al dirigente di distret-to, assumendo una specifi ca particolarità sulla gestione del paziente. Infatti, la responsabilità clinica del paziente è affi data al medico, preferi-bilmente al medico di medicina generale, men-tre la responsabilità del piano assistenziale è a carico del personale infermieristico, che gesti-sce direttamente il paziente, fornendo presta-zioni di differente peso assistenziale in tutte le fasce orarie. In questo specifi co contesto assi-stenziale l’infermiere è chiamato a svolgere una funzione di “case management”, strategica per l’impianto dell’Ospedale Distrettuale e, quindi,

getti con patologie cronico-degenerative in fase di riacutizzazione.

• Ridurre giornate di degenza ospedaliera inappropriate, attraverso il monitoraggio dello stato clinico generale dei pazien-ti con patologie cronico-degenerative e consolidando i risultati terapeutici ottenuti nel reparto ospedaliero per acuti; preve-nire le complicanze e favorire il recupero dell’autonomia, in un’ottica di rientro a

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particolarmente importante per la pianifi cazione e la gestione degli ambiti territoriali che fanno riferimento all’Ospedale Distrettuale stesso.

Il ricoveroLa persona accolta nella struttura deve esse-re dimessa entro il 15° giorno, salvo casi mo-tivati in cui la degenza può protrarsi fi no a 20 giorni. Tale periodo è da ritenersi normalmente congruo e suffi ciente, secondo evidenze scien-tifi che e prassi medica, a valutare le condizioni

cliniche o di rischio della persona interessata e a risolvere i problemi che hanno determinato il ricovero, consentendo il rientro al proprio domi-cilio, inserendo il paziente in un percorso ADI, o prevedendo il suo accoglimento in strutture residenziali.Non è comunque consentita la permanenza nel-la struttura oltre il ventesimo giorno.I soggetti, per i quali sarà formulata la propo-sta di ricovero, saranno valutati tramite appositi strumenti sia sotto il profi lo dell’eleggibilità (se-condo i criteri di seguito specifi cati), sia riguardo al potenziale carico assistenziale, quest’ultimo distinto in tre classi: basso, medio e elevato.

La suddivisione del carico assistenziale in classi di peso differente consentirà, oltre che una più fi ne valutazione delle attività della degenza, an-che la formulazione di tariffe differenziate.

Modalità di dimissioneIl paziente, ricoverato presso la Degenza In-fermieristica, verrà dimesso a seguito del raggiungimento degli obiettivi previsti dal Pia-no assistenziale individuale, oppure inviato ad altro ambito assistenziale, qualora questo risulti più adeguato. La dimissione sarà concordata tra l’infermiere coordinatore e il medico di medicina generale. Il medico di medicina generale stabi-lisce la compatibilità clinica delle condizioni del paziente e l’infermiere quella con il setting as-sistenziale di destinazione (esempio domicilio, ADI, RSA). Il medico di medicina generale con-segna al paziente ricoverato una relazione sin-tetica contenente informazioni sul programma eseguito durante la degenza e la terapia in atto alla dimissione; l’infermiere cura la parte di re-lazione relativa al programma eseguito durante la degenza, comprensivo di valutazione del peso assistenziale all’ingresso ed alla dimissione, a cui aggiungere eventuali suggerimenti necessari al proseguimento del programma a domicilio o presso altra struttura.

Strumenti per la raccolta dati e sistema infor-mativoPer quanto attiene alle attività dell’UDI, gli stru-menti previsti per la raccolta dei dati amministra-tivi e clinico - assistenziali della degenza nell’ Ospedale Distrettuale sono di seguito elencati:• Scheda di valutazione multidimensionale per la verifi ca dei criteri di eleggibilità e la stima del carico assistenziale.• Cartella clinica e infermieristica integrata, ri-portante la diagnosi di ingresso, di dimissione e comprensiva di strumento per la rilevazione del bisogno assistenziale e scheda amministrativa.• Piano assistenziale individuale, contenente gli obiettivi assistenziali con il relativo programma di intervento.• Modulo di consenso informato.• Scheda di dimissione, contenente le informa-zioni amministrative, assistenziali (diagnosi in-fermieristiche) e cliniche fi nalizzate ad alimen-tare lo specifi co fl usso informativo.

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ignora che svolge la sua professione in luoghi molteplici, fi nanco nei penitenziari, una realtà lavorativa con grande autonomia professionale.Se il Regio Decreto prevedeva la presenza del medico e di agenti di custodia-infermieri, la legge 740/70, titolata “Ordinamento delle categorie

L’evoluzione dell’assistenza L’evoluzione dell’assistenza penitenziaria: il modello dell’Asl Tapenitenziaria: il modello dell’Asl Ta

di Gianrocco Rossidi Gianrocco RossiInf. Dir. P.O. Castellaneta ASL TAInf. Dir. P.O. Castellaneta ASL TA

dell’infermiere che può essere un libero professionista con partita Iva, un infermiere a parcella con convenzione tra Asl e Ministero di Grazia e Giustizia. Va evidenziato che la realtà del penitenziario è costituita da:

Il cittadino crede che l’infermiere lavori solo in ospedale, Il cittadino crede che l’infermiere lavori solo in ospedale,

del personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell’amministrazione penitenziaria” specifi cava le categorie: medico incaricato, infermiere, medici specialisti, infettivo logo, psichiatra. Ovvero, è sancita la presenza

regole da rispettarenorme di sicurezzasegretezza degli attisegreto professionaleintegrazione con altre fi gure professionali.

Ulteriore passo avanti per la sanità penitenziaria è il Decreto legislativo 230/99, che nell’ottica della Riorganizzazione della Medicina Penitenziaria, prevede il “Trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria dal Ministero della Giustizia al Ministero della Salute”.

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Modello della Asl TarantoIl modello della Asl Ta fonda su una serie di indici:

1. Capienza effettiva degli stabilimenti pe-nitenziari

2. Fattori di complessità:

a) Più plessi distanti tra loro

b) Plessi multipiano

c) Tipologie di detenuti: 416 bis, pazienti psichiatrici, tossicodipendenti, disabili

Obiettivi del modello organizzativo:

• Omogeneizzare l’assistenza ai detenuti su tutto il territorio regionale

• Criteri delle strutture penali oltre i 500 detenuti

• Assistenza medica (h 24 per il servizio medico di guardia)

• Assistenza medica di base (3/9 ore per 6 giorni)

• Assistenza infermieristica (h 24 7 giorni su 7)

Tipologia di malattie Decisamente ampia la gamma delle malattie

trattate:

1. Patologie infettive2. Gastroenterologiche3. Psichiatriche

Inf. Dirigente dott. G. Rossi

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4. Dipendenza da sostanze5. Apparato cardiovascolare6. Malattie osteoarticolari7. Malattie BPCO

I principi, secondo i quali organizzare l’attività professionale infermieristica, derivano da un modello concettuale che, per quanto qui di specifico interesse, è riferito alla teoria del nursing psicodinamico di Hildegard Papleu. Nel pensiero di Pepleu l’assistenza alla persona è un processo interpersonale che diventa, se opportunamente incanalato, una vera terapia, tant’è che subordina gli aspetti tecnici a quelli relazionali.L’assistenza infermieristica è vista come processo terapeutico attraverso una serie di ruoli che l’infermiere dev’ essere disponibile e preparato ad assumere, passando da “estraneo” a “consigliere”, ruoli dunque caratterizzati da competenze ed abilità sul piano relazionale.

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C. Suma, C. Pastore, A. Scialpi, P. Siliberto, A. Miali, L. Lisi, G. Argese, G. Semeraro, F. Vignola, A. Urgesi, A. Altavilla, A. Curri, A. Maiorano, D. Mezzopane, M. A. Gallo, R. Giordano

U.O.C. Nefrologia e Dialisi, P.O. Valle d’Itria, Martina Franca, Taranto, Italia

Due anni d’esperienza infermieristica nella gestione e nella prevenzione delle complicanze del Catetere

Venoso Centrale (CVC) in emodialisi

Introduzione

Il Catetere Venoso Centrale costituisce oggi una necessità inderogabile nella terapia emodialitica, data la complessità dei pa-

zienti avviati al trattamento sostitutivo e l’esau-rimento progressivo del patrimonio vascolare.Al tempo stesso il CVC è gravato da un’eleva-tissima morbilità e mortalità.Attualmente, è l’accesso vascolare di prima scelta nei pazienti acuti e uno dei più utilizzati in quelli cronici, anche in attesa di allestimento di una FAV.Tuttavia, per quanto presenti degli indubbi van-taggi (facilità d’impianto e di sostituzione, pre-cocità nell’utilizzo, non necessità di puntura), è soggetto a diverse complicanze, tre delle quali particolarmente importanti e, purtroppo, ancora molto frequenti:

1. il dislocamento,2. l’ostruzione/bassa portata3. l’infezione.

Quest’ultima risulta essere in USA la principa-le causa di batteriemia nel paziente emodializ-zato, con incidenza di 3.9 episodi/1000 giorni catetere.Il CVC a lungo termine è dotato di cuffi e, le quali forniscono una barriera meccanica alla migra-zione di microrganismi, inoltre favoriscono l’an-coraggio del catetere, ma non sono suffi cienti ad evitare il movimento a pistone del catetere.Questo movimento, infatti, provoca dolore acu-to sul punto d’uscita del catetere per l’irritazio-ne meccanica spesso causa di fl ebite, consen-te ai microrganismi presenti sulla cute di risalire lungo la parte esterna del catetere e di entrare direttamente in circolazione.

La gestione del CVC in emodialisi richiede qua-lifi cate competenze infermieristiche in grado di ridurre al minimo l’incidenza d’infezioni del sito d’inserzione, che spesso è l’elemento predi-sponente per ben più gravi infezioni sistemiche per via ematogena.L’infermiere ha un ruolo fondamentale nella ge-stione diretta dell’accesso vascolare, nell’infor-mazione e nell’educazione, concorre a limitare l’insorgenza delle infezioni e a mantenere una buona qualità di vita della persona assistita.

Scopo: Progettare azioni e comportamenti semplici in grado di prevenire l’infezione dell’e-xit- site ed aumentare l’emivita del CVC, sia temporaneo sia permanente.

Materiali e MetodiAbbiamo condotto un’analisi retrospettiva nel periodo tra il 01/01/2009 ed il 31/12/2010 su 13 pazienti in emodialisi cronica (7 femmine e 6 maschi, con un’età media di 76 anni (range 47-98 anni), con un’età dialitica media di 7 anni e 4 mesi. Tutti i pazienti utilizzavano come accesso va-scolare un CVC in silicone puro a doppio lume, con doppia cuffi a in poliestere posizionato in vena giugulare interna destra.L’età media del CVC nella nostra popolazione era di 56.8 mesi (range 12.8-142.3 mesi); le caratteristiche demografi che dei pazienti non mostravano differenze statisticamente signifi -cative.Su tutti i pazienti veniva eseguita la disinfezione dell’exit-site con cloro elettrolitico allo 0,11%, quindi veniva posizionato un ring di schiuma

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idrofi la assorbente in poliuretano, impregnata di clorexidina gluconato a rilascio prolungato.La schiuma ha la facoltà di assorbire i liquidi fi no a 8 volte il proprio peso, mentre la clorexi-dina inibisce la proliferazione batterica sotto la medicazione e nella zona circostante anche in presenza d’essudato.Il ring veniva posizionato direttamente a contat-to con la cute del paziente e fi ssato mediante una medicazione trasparente semipermeabile, permeabile al vapore ma non ai fl uidi.Infi ne, il CVC veniva ancorato con un sistema di fi ssaggio, (Statlock®), un dispositivo adesivo dotato di un sistema d’ancoraggio di plastica rigida preformata, il quale ha lo scopo fonda-mentale di evitarne il movimento e prevenire la formazione di microtraumi cutanei in prossimità dell’exit- site del CVC.La medicazione così confezionata veniva la-sciata in sede sette giorni.In ciascun paziente veniva, quindi, effettuata l’ispezione dell’exit-site ad ogni seduta emo-dialitica e veniva eseguito un tampone cutaneo di routine ogni tre mesi oppure in presenza di segni d’infezione.Durante il periodo osservato, un infermiere è stato responsabile della gestione infermieristi-ca dei CVC.Sono state utilizzate 2 procedure :

• Procedura per la medicazione dell’e-xit- site

• Procedura per l’applicazione e la ri-mozione del dispositivo di stabilizza-zione

RisultatiAbbiamo eseguito 78 determinazioni (tampone cutaneo per esame microbiologico) in 8 trime-stri d’osservazione, con una percentuale d’in-fezione del 3,8% (3 positività su 78 tamponi).Nessuna infezione dell’exit-site ha determinato batteriemia con necessità di ricovero del pa-ziente, sostituzione o dislocazione del CVC. In un caso solamente si è reso necessario l’u-tilizzo di antibiotico terapia per os sulla base dell’antibiogramma; i restanti due hanno rispo-sto alla sola disinfezione dell’emergenza cu-tanea con soluzione di Cloro attivo al 0,55% (Amuchina al 50%) applicata per tre minuti 3 volte la settimana.La medicazione si completava con l’applicazio-ne del ring di schiuma idrofi la contenente clo-rexidina gluconato a lento rilascio, fi ssato con cerotto trasparente semipermeabile.Il controllo del tampone cutaneo a distanza di 7 giorni risultava negativo.La sopravvivenza a due anni dell’accesso va-scolare risultava del 100% mentre la sopravvi-venza dei pazienti era del 76.9%.

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DiscussioneCome ampiamente dimostrato in letteratura, l’incremento delle misure assistenziali asetti-che, la gestione del CVC affi data a personale esperto, insieme all’ausilio di dispositivi medi-cati o di lock solution per la chiusura del CVC hanno consentito un incremento dell’emivita di questa tipologia di accessi vascolari, riducendo la morbilità e la mortalità per il paziente ma an-che i costi di gestione.Tuttavia, noi riteniamo che, insieme all’impiego di device premedicati per la disinfezione e la cura dell’exit-site, l’utilizzo di sistemi di anco-raggio che riducono il movimento spontaneo del CVC sia in grado di aumentare l’effi cacia della medicazione, prevenendo la formazio-ne di microtraumi cutanei che rappresentano un‘ottimale porta d’ingresso per patogeni.Inoltre, aumentando il comfort del paziente, si riducono l’eventualità che egli stesso induca in-fezioni attraverso una manipolazione del CVC a domicilio.

ConclusioniSemplici presidi e l’utilizzo di protocolli operati-vi interni standardizzati, condivisi da tutto il per-sonale medico ed infermieristico, hanno dimo-strato un impatto positivo sulla sopravvivenza del CVC nel nostro Centro Dialisi.

Bibliografi a

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• Garofali B., De Nisco G.,” Gestione degli Accessi Vascolari” http://www.gavecelt.org/

• Dougherty L. (2007) Cateteri venosi centrali gestio-ne e assistenza alla persona

ed. McGraw Hill; 108-112

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MEDICAZIONEFREQUENZA• Cateteri Tunnellizzati: una volta alla settimana• Catetere provvisorio: ad ogni seduta dialiticaComunque, in entrambi i casi, ogni volta che

essa si presenti aperta, sporca o non asciutta.MATERIALE NECESSARIOIl materiale descritto deve essere presente nel

carrello delle medicazioni:• Guanti non sterili• Guanti sterili• Amuchina 10% - 50%• Soluzione fi siologica in fi ale• Garze sterili• Siringhe di varie misure (2.5 - 5 - 10 - 20 ml)• Telo sterile cm 70X90• Cerotto in tessuto traspirante anallergico• Sacchetto per rifi uti, contenitore per aghi e

bisturiAltro materiale che deve essere facilmente

reperibile:• Tampone per esame microbiologico• Biopatch• Medicazione in poliuretano trasparente

PROCEDURAAmbiente• Durante la medicazione dei CVC i movimenti

d’aria dovrebbero essere ridotti al minimo (operazioni di pulizia, rifacimento letti, trasporto malati)

Paziente• In caso di catetere posizionato in vena

giugulare, posizionare il paziente con il capo girato dalla parte opposta del catetere e fargli indossare la mascherina.

Operatore/i• Rimuovere orologi, anelli, bracciali e tutto ciò

che può essere ricettacolo di sporco• Indossare cuffi a e mascherina• Lavarsi accuratamente le mani con sapone

antisettico per qualche minuto• Disporre il materiale occorrente

precedentemente preparato su un piano asciutto e pulito

• Aprire tutti i fl aconi e le fi ale, lasciarli pronti sopra il carrello

• Accertarsi che i disinfettanti non siano in uso da troppo tempo (possibile contaminazione)

PROCEDURA PER LA GESTIONE INFERMIERISTICA DEI CVC :PROVVISORI E TUNNELLIZZATI

• Indossare guanti non sterili e rimuovere adagio dal basso verso l’alto la vecchia medicazione facendo attenzione a non esercitare strappi o trazioni sul catetere

• Sostituire i guanti con altri puliti• Osservare attentamente il decorso

sottocutaneo del catetere (se tunnellizzato) e l’emergenza cutanea,effettuare una leggera compressione manuale vicino all’exit- site; nel caso si presentasse arrossata o fossero presenti secrezioni, praticare esame colturale con tampone sull’emergenza cutanea toccando solo dove è presente il siero, evitare di toccare il resto della cute per non ottenere un campione con “falso positivo”

• Pulire la cute con garze imbevute di soluzione fi siologica

• Rimuovere dalla superfi cie cutanea eventuali residui di cerotto con (Leukotape remover solvente) utilizzarlo eccezionalmente per rimuovere residui di colla

• Nel caso di catetere tunnellizzato evitare il contatto del solvente con lo stesso catetere

Disinfezione exit-site• Disinfettare l’emergenza cutanea con un

tampone imbevuto di Amuchina al 10% con una leggera pressione e con movimenti circolari partendo dall’emergenza cutanea verso l’esterno, evitando di tornare indietro con lo stesso tampone.

• Ripetere la stessa manovra una seconda volta con un tampone nuovo

• Pulire sempre con Amuchina al 10% il catetere per circa 7 cm dall’emergenza cutanea verso la parte più distale

Catetere provvisorio:• In presenza di sangue essiccato rimuoverlo

con acqua ossigenata• Pulire la cute con garze imbevute di soluzione

fi siologica, dopo l’uso dell’acqua ossigenata• Eseguire le stesse manovre utilizzando come

disinfettante Amuchina al 5% o iodopovidone liquido (Betadine)

• Applicare sull’exit-site il feltrino di BIOPATCH® con la parte blu rivolta verso l’esterno

Applicare il dispositivo di Stabilizazione Statlock (vedi procedura di applicazione e rimozione dispositivo di stabilizzazione)

Per entrambe i cateteri (tunnellizzato e provvisorio):

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Procedura per l’applicazione e la rimozione del dispositivo di stabilizzazione Statlock nei CVC

Applicazione

Frequenza: settimanale

Preparazione della cute del paziente• Con una salviettina imbevuta di sostanza

protettiva, preparare la cute prima dell’applicazione del dispositivo (elimina olio e umidità e crea un fi lm che aiuta prevenire le dermatiti da contatto)

• Distribuire la tintura di benzoino nella zona dove deve essere applicato il dispositivo, la tintura consente una durata più a lungo dell’adesione del dispositivo

• Evitare di porre il dispositivo a contatto con

alcool o solventi: queste sostanze possono indebolire la coesione dei componenti e compromettere l’adesione dello Statlock

• Collegare il dispositivo al catetere prima di applicare il cuscinetto alla cute

• Asportare la pellicola protettiva dal retro del dispositivo

• Applicare il dispositivo di stabilizzazione sull’area interessata, sistemandone un lato alla volta

• Annotare la sostituzione del dispositivo sulla cartella del paziente

Rimozione• Disinnestare il catetere dal dispositivo• Con un tampone imbevuto di alcool oppure

altro solvente staccare delicatamente il cuscinetto dello Statlock

• Eliminare tutti i componenti gettandoli nei contenitori appropriati

• Non applicare d’abitudine creme antibiotiche all’exit-site, utilizzarle solo in presenza di segni evidenti d’infezione e sempre su indicazione del medico. Se si applicano pomate, eliminare, rimovendola con la garza sterile, la prima parte che fuoriesce dal tubo perché è da considerarsi potenzialmente contaminata.

• Applicare il cerotto in poliuretano IV 3000• Eliminare tutti i componenti gettandoli nei

contenitori appropriati• Rimuovere i guanti e lavarsi le mani· Annotare il cambio della medicazione con i

relativi componenti nella cartella del paziente

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Introduzione

La frattura di femore, specie nella popola-zione anziana, è causa non trascurabile di mortalità e di disabilità (1-6). Nei Pae-

si occidentali si calcola che la mortalità annua delle fratture femorali abbia oramai superato quella del tumore gastrico e pancreatico e che il rischio di sviluppare, nel corso della vita, una frattura femorale sia maggiore, per le donne, del rischio complessivo di tumore mammario, endometriale e ovarico e, per gli uomini, sia maggiore del rischio di tumore della prostata (7).

Gli esiti di frattura femorale comportano un rischio di “exitus” vicino a quello del tumo-re della mammella, con una mortalità stimabile in circa il 5% in fase acuta e 15-25% entro un anno; la disabilità deambulatoria è permanente nel 20% dei casi e solo il 30-40% riacquista au-tonomia compatibile con le precedenti attività della vita quotidiana(7).

I costi sociali di una frattura di femore sono rilevanti (7, 8), basti pensare ai soli costi direttilegati al ricovero ospedaliero (9). È stato, ad esempio, osservato che la durata media dei ri-coveri

ASSISTENZA AL PAZIENTE ANZIANOCON FRATTURA DI FEMORE

Attilio GualanoCPS Infermiere Sala gessi - Presidio Osp. “SS.Annunziata”

ospedalieri per fratture di femore di origine osteoporotica è la più lunga tra tutte le patolo-gie acute (7).

Il “life time risk” di frattura del femore nella donna ultracinquantenne è del 17%.rischio che aumenta esponenzialmente dopo i 70 anni; per la donna il rischio è ritenuto doppio rispetto all’uomo. La diffusione dell’osteoporo-si, indiscutibile concausa della frattura di femo-re nella popolazione anziana, è stata recente-mente documentata in Italia dallo studio epide-miologico ESOPO (Epidemiological Study On the Prevalence of Osteoporosis) (10) da cui è emerso, in particolare, che quasi 4.000.000 di donne in Italia sono affette da osteoporosi quindi a rischio di frattura di femore, con una prevalenza di oltre il 40% per gli ultra-60 anni.

Con il progressivo invecchiamento del-la popolazione, in particolare di quella italiana che è tra le più anziane, è da attendersi un in-cremento esponenziale delle fratture di femore.

Si stima che i cambiamenti demografi ci dei prossimi anni comporteranno un aumento del numero di fratture del femore nel mondo dai 1,66 milioni del 1990 ai 6,26 milioni del 2050 (11, 12). Negli Stati Uniti i costi economici com-plessivi (ricoveri ospedalieri, riabilitazione etc.) si stima passeranno dai 7 miliardi di dollari del 1986 ai 62 miliardi di dollari nel 2020 (12).

Secondo gli Atti del Congresso ORTO-MED 2010 tenutosi a Firenze, in Italia si è pas-sati dai 94.000 ricoveri per fratture femorali del 2005 ad 84.000 nel 2008 sfondando il tetto dei 100.000 ricoveri nel 2010. Si tratta per lo più di donne ultra- settantacinquenni nel 70% dei casi. E’ ipotizzabile una spesa complessiva fra degenza e riabilitazione di un miliardo di euro.

L’anziano con frattura di femore è un

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paziente complesso, poiché spesso affetto da comorbilità; un approccio multidimensionale è d’obbligo, con piani di assistenza e cura per-sonalizzati e con il coinvolgimento di diverse fi gure professionali.In Scozia è stato pubblicato, nel 1997, il “Ma-nuale di Trattamento delle Persone Anziane con frattura di femore” da utilizzare in tutti gli ospedali, manuale molto interessante che si rivolge a tutto il personale medico e infermie-ristico, ai servizi sociali, ai fi sioterapisti, ai re-sponsabili sanitari agli amministratori locali.

Indica modalità e tempi di trattamento nelle varie fasi dell’evento traumatico:� 1) prima del ricovero� 2) in pronto Soccorso� 3) pre-operatoria� 4) intervento chirurgico� 5) post-operatoria e dimissione� 6) profi lassi e complicanze

Tutte le fasi si caratterizzano per tre punti fondamentali :� 1) valutazione multidimensionale � 2) rapidità degli interventi� 3) prevenzione

In base alla sede della frattura, si possono di-stinguere:

* fratture sottocapitate, pertrocanteriche, basi cervicali, trans cervicali, medio-diafi sarie, dia-fi sarie sovra condiloidee, fratture del condilo femorale.

Di seguito ne sono riportate alcune trocanteri-che.

IL TRASPORTO IN OSPEDALE NELLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI CASI AVVIENE TRAMITE IL SERVIZIO 118. che

� dev’essere Rapido con immobilizzazio-ne attraverso stecco benda come nella fi g 1

� sarà importantissimo il reperimento di un vaso venoso di adeguato calibro

� si predisporrà l’uso di materassi soffi ci per la prevenzione di decubiti

� fondamentale sarà la presenza di ope-ratori istruiti nel riconoscimento di una frattura di femore

� la sedazione del dolore dovrà comincia-re quanto prima possibile

� saranno rimosse bracciali, anelli, col-lane e quant’altro intralci le manovre di assistenza, si contrassegnerà con un pennarello la sede della frattura.

Fig 1

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Trattamento Pre ricoveroIl paziente è da ricoverare prima possibile. Le Informazioni da acquisire immedia-tamente sono:

� ora e luogo della frattura� terapie in corso� eventuale presenza di comorbilità � stato funzionale precedente� stato cognitivo precedente� stato sociale e supporto familiare

I pazienti fratturati devono essere visti

preferibilmente entro un’ora. La valutazione deve essere multidimensionale, la prima in Pronto Soccorso generale alla quale seguirà quella del pronto soccorso ortopedico .

L’arto fratturato, come ricordato poc’an-zi, sarà contrassegnato, in caso non eseguito in precedenza, con una freccia in prossimità della frattura (dopo controllo accurato e com-parazione fra clinica ed esami radiologici), come indicato dalle linee guida internazionali per escludere l’errore d’arto.Si escluderà la presenza di fratture in altri di-stretti anatomici. Particolare attenzione al ri-schio di lesioni da decubito, allo Stato di idrata-zione e nutrizione, al Dolore, alla Temperatura alla Continenza alla presenza di Comorbilità, allo Stato mentale Precedente, allo stato fun-zionale ed allo Stato sociale.

Trattamento immediato in pronto soccorso ortopedico

Bisogna ricordare sempre che il pazien-te arrivato in un reparto di orto-traumatologia è unindividuo che ha appena subito un trauma alte-rativo del suo bisogno di sicurezza: egli si sente“defraudato” della libertà, ha paura di soffrire, di non riacquistare il suo stato di salute prece-dente, ha paura di restare invalido per sempre e/o di morire.

Sarà importante la relazione d’aiuto, tran-quillizzarlo informandolo sulle procedure che lo riguarderanno, al fi ne di consentire un giusto approccio al proseguo delle cure.

L’arto inferiore, come si nota nella fi gura 2 e 3, si presenta accorciato, extra rotato, do-lente alla palpazione, tumefatto con presenza

di ematoma sottocutaneo, presenta mobilità preternaturale, presenza di crepitio osseo, im-potenza funzionale, deformità del profi lo ana-tomico

Le procedure vedranno:

� Reperimento di una vena di adeguato calibro

� Sedazione del dolore� Protezione dal freddo� Esame RX rapido� Trasferimento in degenza prima possi-

bile� Protezione dei talloni dai decubiti� Attenzione allo stato di idratazione� Immobilizzazione (trazione transchele-

trica skin traction-gesso o valva intraro-tante)

Fig 2

Fig3

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� Cateterizzazione qual’ora non eseguita in ps generale

� Contrassegno dell’arto qual’ora non eseguito nei passaggi precedenti.

La tempistica sarà importantissima poiché ritardi nelle varie tappe possono peggiorare l’outcome del paziente, è d’ob-bligo ricordare che tutte le linee guida mon-diali sono concordi nell’intervenire preco-cemente chirurgicamente entro le 24-48 ore al fi ne di consentire un rapido recupero che avrà come obiettivo una precoce mobiliz-zazione nonché la riduzione delle compli-canze dovute all’allettamento(sindrome da allettamento) che si traduce nella riduzione del tasso di mortalità prima descritto.

Questo tipo di fratture, tipiche delle per-sone anziane affette da artrosi e osteoporosi, si verifi cano anche per traumi di lieve entità o cosi detti a bassa energia.Al momento dell’ingresso in reparto si esegue l’anamnesi infermieristica, utilizzando scale ap-propriate di valutazione, tra le più valide attual-mente quella di braden rappresenta un ottimo strumento.

L’esame obiettivo, molto importante, ci consentirà di formulare una diagnosi completa che ci permette di comprendere come mobiliz-zare il paziente.

Infatti, la mobilizzazione, come visto poc’anzi, ed il posizionamento saranno diver-si a secondo del tipo e della sede della frattura.A) Posizionamento e mobi-lizzazione in frattura sottoca-pitata, transcervicale e basi cervicaleB) Posizionamento e mobiliz-zazione in frattura pertrocan-terica,C) Posizionamento e mobiliz-zazione in frattura sovra con-diloidea,

La mobilizzazione in questo tipo di paziente è mol-to delicata ed importante allo stesso tempo, proprio per la peculiarità del segmento os-

seo interessato.Molte volte, pazienti con frattura pluriframmen-taria di femore sono esposti a rischio di graveanemizzazione per la perdita di sangue dal fo-colaio di frattura con la necessità di trasfusio-ni; quindi è molto importante una sorveglianza specifi ca.

Vanno attuati protocolli assistenziali specifi ci (ove non ci siano formularli) per le frat-ture di femore, in alcuni punti sovrapponibili a quelli attuati per i pazienti con frattura dell’ace-tabolo (preparazione all’intervento chirurgico, esami ematochimici di routine, controlli al ritor-no dalla sala operatoria, ecc.). Abbiamo visto, tra le procedure, l’immobilizzazione cui sono sottoposti nel trasporto i pazienti con frattura di femore, di seguito sono descritte alcune forme di immobilizzazione che sono di preparazione all’intervento chirurgico, esse variano a secon-da della sede e del tipo di frattura.

Tipi di trazione che si possono applicare in fase acuta.

• Trazione cutanea o skin-traction forza (max 4 Kg) applicata alla cute e ai tessuti molli tramite un sistema adesivo formato da fasce corde e pesi; è continua e di facile rimozione- importante effettuare igiene e sgrassaggio della cute, tricotomia-. Fanno parte del materiale: cerotto, tavoletta, ben-da elastica, corda, carrucola, pesi come illu-strato di seguito nella fi gura.

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Trazione transcheletrica

Controllo e disinfezione della trazione trans-scheletrica

DEFINIZIONE:

La trazione transcheletrica è una pra-tica di competenza medico-ortopedica, che trova applicazione nella riduzione incruenta e graduale delle fratture scomposte dei maggio-ri segmenti scheletrici, femore, tibia, omero, allorquando le imponenti masse muscolari non consentono una riduzione di tipo manuale.

Questo tipo di trazione si ottiene infi g-gendo trasversalmente (con un trapano elet-trico) un fi lo di acciaio inossidabile (fi lo di Kir-schner), in un particolare segmento scheletri-co.

Il fi lo è ancorato ai morsetti di una staffa metallica, collegata ad un peso, che esercita la trazione per mezzo di un tirante e di un sistema idoneo di carrucole.

Ciò allo scopo di applicare per alcuni

giorni, in attesa dell’intervento chirurgico, una forza traente sul moncone distale, allo scopo di correggere per quanto possibile il normale asse anatomico, perso a causa della frattura, aumentando lo spazio fra i monconi ossei.

Altro scopo della trazione è quello di contenimento, immobilizzazione e stabilizza-zione della la frattura stessa, diminuendo sia lo spasmo muscolare sia la deformità stessa del segmento scheletrico, quindi il dolore in sede di frattura.

Le fratture di femore che hanno bisogno della trazione trans-scheletrica per un corretto allineamento dei monconi ossei sono:

* medio-diafi sarie* sovracondiloidee* pluriframmentarie.

Di seguito ne sono descritte alcune tra le più comuni.

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Una buona tenuta igienica del fi lo di trazione è fondamentale per evitare che ger-mi possano penetrare nel focolaio di frattura e causare infezioni, vanno pertanto effettuate medicazioni dei tramiti dei fi li di kirschener.

Prevenire l’insorgenza di infezioni è alla base della riuscita dell’intervento chirurgico e dell’assistenza infermieristica.

E’ bene ricordare che, essendo il fi lo me-tallico transarticolare, un agente esterno, può verifi carsi una reazione cutanea locale con fuo-riuscita di materiale simil-purulento che deve essere sempre sorvegliato, ma che, almeno all’inizio, non è espressione di infezione.

Preparazione all’intervento chirurgico in re-parto ortopedia

Assicurare l’interazione nella comunicazione:- sarà importante indagare su eventuali pato-logie concomitanti, informare il paziente effet-tuando un colloquio sulle modifi che tempora-nee/permanenti comportate dall’intervento; se pazienti stranieri, programmare la presenza di un interprete e/o mediatore culturale per il ri-covero (avvalersi di interpreti e/o collaboratori); se pazienti con demenza o non collaboranti, ri-chiedere la presenza di un familiare o di chi sia

in possesso di notizie cliniche dettagliate.Assicurare l’alimentazione e idratazione : -programmare un regime dietetico adeguato in collaborazione con il dietista; far assumere una dieta ricca di ferro (per contrastare l’ane-mia post operatoria) e calcio (per favorire la formazione del callo osseo), eventualmente ipocalorica se persona obesa. Il giorno prece-dente l’intervento, l’assistito assume una dieta leggera, con digiuno dalla mezzanotte. Fornire diete di vario tipo, insegnare i comportamen-ti per favorire una alimentazione e idratazione equilibrata e indicare i motivi della dieta da se-guire, insegnare a monitorare l’introito di cibi/bevande.

Assicurare l’eliminazione urinaria e intesti-nale: -il pz sarà cateterizzato consentendo di mo-nitorare il bilancio Idro elettrolitico, evitando macerazioni della cute che deriverebbero dal contatto con le urine in caso di panno, evitando movimenti del bacino che potrebbero evocare dolore poiché sede di frattura; nel post-inter-vento la localizzazione del CV sarà contro la-terale all’arto operato ossia lontano dalla ferita chirurgica per impedire che le urine possano contaminare il sito chirurgico; ottenere l’eva-cuazione di feci mediante dei clisteri evacuativi

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il giorno precedente l’intervento.Assicurare l’igiene :- favorire l’igiene sarà importante: il giorno pre-cedente l’intervento, di solito la sera prima o prima del trasferimento in sala operatoria, ese-guire tricotomia ampia; il giorno dell’intervento: fornire il camice e la cuffi a; le unghie dovran-no essere prive di smalto, dovranno essere ri-mosse eventuali protesi e monili, il letto dovrà essere rifatto con biancheria pulita, traversa monouso e due coperte, e dovrà essere posi-zionato un archetto solleva-coperte).

Assicurare la funzione cardiocircolatoria :- programmare con il Centro Trasfusionale il deposito di sacche predonate da reinfondere al paziente nel post operatorio; insegnare come controllare lo stato della cute (le ferite anche se lontane dalla zona di incisione possono essere via d’accesso di germi nei tessuti molli) ; inse-gnare come utilizzare ausili che favoriscono la circolazione : il giorno precedente l’intervento il paziente dovrà essere provvisto di calze anti-trombo per gli interventi eseguiti agli arti inferio-ri. Il giorno precedente l’intervento per i pazienti obesi, operati di protesi d’anca individuare, uti-lizzando scale di valutazione validate, il rischio di LDD (la Scala di Norton rappresenta un vali-do strumento) affi nché venga fornito il materas-so antidecubito da posizionare il giorno stesso dell’intervento (azione: Sostenere: favorire la circolazione, atto: far utilizzare ausili atti a pre-venire la compressione in determinate aree); in collaborazione con il fi sioterapista insegnare gli esercizi per favorire la circolazione.

Assicurare la respirazione : -in collaborazione con il fi sioterapista eseguire esercizi respiratori e di tosse, drenaggio postu-rale, per evitare complicanze polmonari dovute all’allettamento post intervento.

Applicare le procedure terapeutiche -se il paziente assumeva terapie con anticoagulanti orali, andrebbero sospese alme-no una settimana prima dell’intervento, di soli-to sostituiti con trattamenti eparinici sottocute ; se assumeva terapia con acido acetilsalicilico la terapia andrebbe sospesa almeno 5 giorni prima dell’intervento; se assume terapie neu-

rolettiche (es : Anafranil) andrebbero sospese almeno 10 giorni prima dell’intervento, il tutto avviene su indicazione dell’ortopedico o dell’ Anestesista o degli specialisti ognuno per la sua area di competenza; vi sono comunque protocolli specifi ci a riguardo.Se il paziente deve autosomministrarsi terapia eparinica sottocute, a domicilio, in vista dell’in-tervento, mostrargli/mostrare a un familiare o care giver come dosare il farmaco e procedere all’auto somministrazione (insegnare ad otte-nere il dosaggio delle sostanze terapeutiche). Il giorno precedente l’intervento e il giorno stes-so dell’intervento somministrare i farmaci pre-scritti dall’anestesista come premedicazione e terapia domiciliare se indicato dall’anestesista (azione: Sostituire: somministrare sostanze te-rapeutiche).

Eseguire le procedure diagnostiche : Esami necessari sono tutti quelli di laboratorio (esami standard per intervento, gruppo san-guigno ed eventuale prelievo per la richiesta di sangue o di sacche predonate), esami strumen-tali standard (ECG, RX Torace) e inoltre RX e/o RMN bacino + articolazione coxo-femorale per rilevare le dimensioni della protesi da im-piantare (eseguire prelievo di sangue venoso, eseguire ECG, eseguire esami radiologici).

• Prima dell’intervento controllare che l’as-sistito sia stato informato (consenso infor-mato scritto) dei rischi inerenti l’intervento e l’anestesia ed abbia fi rmato entrambi i consensi.

Assistenza infermieristica POST OPERATO-RIA

Post operatorio Immediato (dalla fi ne dell’intervento alle prime 24 ore) :

� controllo parametri vitali (PAO, FC, FR, SaO2) valido anche per post operatorio intermedio

� controllo della Diuresi valido anche per post operatorio intermedio;

� controllo condizioni generali del pazien-te (orientamento, vigilanza) valido anche per post operatorio intermedio:

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� controllo del dolore (usare scale del do-lore validate VDS-VAS-NRS e riportare i dati sulla C.I.) portandoli all’attenzione del medico, controllo dell’effi cacia della terapia analgesica (generalmente due accessi: endovena e peridurale) valido anche per post operatorio intermedio;

� controllo della ferita chirurgica (se pre-senza di rossore, ematoma, sanguina-mento, adesione della medicazione) e di eventuali drenaggi (quantità/qualità), la medicazione dovrà essere asciutta e occlusiva per evitare il contatto con le urine, valido anche per post operatorio intermedio;

� controllo dell’arto operato (polso peri-ferico, sensibilità, motilità, temperatura, colore), posizionare borsa del ghiaccio e archetto sollevacoperte. valido anche per post operatorio intermedio;

� per la protesi d’anca: controllare che la persona sia stata sottoposta a RX di controllo prima di salire in reparto o se-condo protocollo interno.

� sorveglianza della terapia infusiva valido anche per post operatorio intermedio

� controllo posizione del paziente : supino con il cuscino divaricatore legato tra le ginocchia (a domicilio il paziente potrà mantenere anche un semplice cuscino tra le gambe)

� controllo eventuale ossigenoterapia, somministrazione di antibiotico terapia secondo protocollo di reparto.

� effettuare prelievi ematici su prescrizio-ne medica (per gli interventi di protesi : emocromo di controllo su prescrizione medica) valido anche per post operato-rio intermedio

controllo segni di comparsa complicanze che possono essere:

� Generali: immediate (shock, emor-ragie) a distanza (embolia polmonare, LDD). La perdita ematica media per frat-

ture è di circa 500-1500 ml per fratture del femore,

� Locali: immediate (rottura di vasi, le-sioni nervose, infezioni, TVP), a distan-za (ritardo di consolidamento, pseudo-artrosi)

Post operatorio Intermedio (dalle 24 ore ai primi 15 giorni dall’intervento) :

Caratterizzato dalla ripresa del movimen-to graduale, sotto prescrizione e sorveglianza medica, svolta dal fi sioterapista; controllo fe-rita chirurgica e medicazione, rimozione dre-naggi (di solito dopo 24/48 ore dall’intervento); i punti verranno tolti secondo la condizione di cicatrizzazione, in genere in 15A giornata

� controllo dello stato di cute e mucose (prevenzione LDD),

� controllo canalizzazione e rimozione del CV a partire dalla 2^ giornata post-ope-ratoria

� terapia antibiotica (in genere sino alle 24 ore dopo l’intervento) e terapia infusiva sino a 48/72 ore dall’intervento e co-munque come da protocollo di reparto.

� la dieta è libera sin dal 1° giorno post operatorio

� le calze antitrombo per almeno 10 giorni dall’intervento o sino a ripresa del movi-mento.

Post operatorio Tardivo (oltre i 15 giorni dall’intervento) :

Periodo trascorso a domicilio o pres-so centri di riabilitazione.

� Restrizioni a cui attenersi riguardo al movimento in seguito all’intervento di protesi d’anca : evitare di sedersi su pia-ni troppo bassi o morbidi che richiedono all’anca una fl essione >90% ; usare un rialzo per i servizi, non sedersi sul bi-det, evitare i sedili d’auto troppo bassi o troppo alti ; evitare di camminare su terreni accidentati o con grande penden-

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za ; indossare calzature chiuse, senza tacco, con la suola in gomma ; evitare eccessive fl essioni dell’arto operato (per chinarsi o per infi larsi le calze) ; evitare sport traumatici

� Dopo 40 giorni dall’intervento di protesi d’anca si consiglia una radiografi a del bacino di controllo e una visita ortope-dica

� Per gli interventi di protesi d’anca fare attenzione a segni e sintomi di lussazio-ne dell’anca e di frattura del femore (in-trarotazione dell’arto per la lussazione ed extrarotazione dell’arto per la frattura di femore ; accorciamento dell’arto, im-potenza funzionale, dolore al movimen-to e alla palpazione, per entrambi)

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Apparato osteoarticolare” Masson, Milano 1992

Parole chiave - Fratture, assistenza,femore, costi, osteoporosi.

Key words – Fracture, nursing, hip, burden, osteoporosis

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INTRODUZIONELa realtà operativa di questi anni ha inequivoca-bilmente dimostrato che nel settore della tossico-dipendenza non esiste una risposta esaustiva ed unica, così come non esiste uno strumento valido per tutte le situazioni e tutti i soggetti. Non esiste, dunque, “la tossicodipendenza”, ma tante tossicodipendenze quanti sono i soggetti, per i quali, necessariamente, va predisposta una rispo-sta personalizzata e fi nalizzata agli specifi ci proble-mi.

La necessità di rispondere a tutte le esigenze poste dall’uso/abuso di sostanze determina una comples-sità tale a livello organizzativo, strumentale, profes-sionale, operativo, che rende, di fatto, impossibile per un singolo servizio, anche qualora fosse ricco di personale e risorse strutturali, riuscire a soddi-sfare tutte le esigenze poste dal problema e a dare risposte esaustive. In questo lavoro il primo argomento che affrontato si riferisce “la psicologia della tossicodipendenza”, l’infermiere che opera in un Ser.T. deve conoscere

Dott. Inf. Angelo Marangi

TOSSICODIPENDENZA ETOSSICODIPENDENZA EPROFESSIONALITA’ INFERMIERISTICAPROFESSIONALITA’ INFERMIERISTICA

CENTRALITÀ E PERIFERIA DI UN RUOLOCENTRALITÀ E PERIFERIA DI UN RUOLO

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tutti i meccanismi psicologici della tossicodipenden-za per essere pronto ad affrontare situazioni varie. L’infermiere in un ipotetico percorso formativo deve conoscere naturalmente la sistematica della tossi-codipendenza; le varie sostanze; i sintomi e i segni; le varie terapie, la loro somministrazione.Un terzo elemento importantissimo è la normativa sulla tossicodipendenza; l’organizzazione del Di-partimento delle Dipendenze Patologiche non l’ul-timo il ruolo dell’ infermiere nel Ser.T. si propone quindi un processo assistenziale e alcune tecniche relazionali.Nello studio sperimentale cercheremo di fare uno spaccato generale di come oggi “può” essere un servizio per le tossicodipendenze tenendo conto della normativa vigente e del contributo che può ap-portare un infermiere inserendosi fra le molteplici professionalità esistenti in questo contesto. Ancora oggi, a distanza di trenta anni dalla emana-zione del primo testo unico sulle tossicodipendenze (T.U. 685/75) e nonostante la normativa successiva ( T.U. 309/90, L 444/90 Accordo Stato Regioni del ’99 e le numerose direttive regionali) non esiste un modello organizzativo omogeneo su tutto il territo-rio nazionale.

Certamente la fi gura dell’infermiere, è elemento co-stitutivo fondamentale dell’equipe dei servizi per le dipendenze patologiche, in molti servizi è la fi gura deputata all’accoglienza del paziente e certamente rappresenta un osservatorio privilegiato per un rap-porto quasi giornaliero che ha con l’utenza. Nono-stante ciò non sono noti in Italia studi che prendano in considerazione le attività di questa specifi ca fi gu-ra professionale.Purtroppo le funzioni attribuibili al personale infer-mieristico derivano priori-tariamente dalla connota-zione dell’attività infermieristica svolta all’interno di strutture ospedaliere. Non è ben radicata la cultura dell’operatività dell’in-fermiere a livello territoriale, all’interno di servizi socio-sanitari, se non per quelle prestazioni come l’assistenza domiciliare, tipicamente ospedaliere, che per ragioni di tipo logistico risultano traslate presso il domicilio del paziente: in pratica l’immagi-ne dell’infermiere rimane strettamente collegata al soggetto che pratica terapie farmacologiche e ac-cudisce ai bisogni del malato. E’ sicuramente poco enfatizzata l’attività dell’infer-miere in relazione al concetto del “prendersi cura” oltre che del “curare” nell’ottica di un presa in carico

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globale del paziente con le complesse problemati-che non solo sanitarie ma anche, e forse soprattut-to, sociali, esistenziali e relazionali. In considerazione di quanto detto, le proposte che verranno qua riportate saranno per lo più di tipo comportamentale e relazionale. Nell’ipotesi di un servizio valido per le tossicodipen-denze certamente sarebbe opportuno mettere in atto tutte quelle strategie organizzative, professio-nali affi nché la fi gura ed il ruolo dell’infermiere sia considerato anche “altro” da quella che è l’immagi-ne stereotipata di cui sopra. E’ evidente che per raggiungere tale obiettivo è in-dispensabile la voglia e la volontà di crescere da parte degli infermieri e quindi di partecipare ai pro-cessi formativi che vengono offerti e non adagiarsi nella routine di un lavoro che è in una grossa fase di evoluzione e che offre oggi numerose opportuni-tà di crescita professionale e umana. Questo lavoro svolto nei Ser.T. di Taranto e provin-cia (Castellaneta, Grottaglie, Manduria, Massafra e Martina Franca) ha come obiettivo di conoscere la realtà lavorativa dell’infermiere i suoi bisogni for-mativi e si propone di trovare delle risoluzioni per migliorare l’assistenza infermieristica.

PSICOLOGIA DELLA TOSSICODIPENDENZELa psicologia non presenta una tradizione consoli-data di studi sui fenomeni connessi all’uso, ma so-prattutto all’abuso, e alla dipendenza dalle droghe. Il fatto che si tratti di sostanze che esplicitano un effetto psicoattivo sull’organismo ha certamente contribuito a defi nire quest’ambito di ricerca e di in-tervento come di pertinenza medica (il ricorso alle droghe è una malattia), e perciò si è posta soprat-tutto attenzione ai fattori biologici e psicopatologici predisponesti e alle caratteristiche farmacologiche delle diverse droghe. Minore è stato invece l’interesse e l’impegno nei ri-guardi dell’analisi e della ricostruzione dei processi cognitivi, emozionali, motivazionali, di presa di de-cisione e delle infl uenze sociali che sono implicati nelle condotte di consumo, sia nella genesi sia nel-

la loro diversifi cata evoluzione.Con il termine droga indicheremo esclusivamente le molte sostanze naturali o di sintesi, capaci di mo-difi care l’umore, la percezione e l’attività mentale. Se ciò che le accomuna è il fatto di esplicitare un’a-zione farmacologia di tipo psicoattivo, esse sono tuttavia tra loro estremamente diverse, in ragione degli effetti che producono, della loro potenziale dannosità, ma anche della diversa considerazione sociale di cui godono

PERCHÉ LE PERSONE ASSUMONO DROGHE?Il potere di attrazione che le droghe hanno eser-citano sulle persone è strettamente collegato alle credenze e alle aspettative che esse hanno, ad un momento dato, a proposito dei loro possibili effetti.Ad esse, in altre parole, è attribuita la funzione di fornire qualche tipo di risposta, per lo più imme-diata, a bisogni e desideri personali che possono riguardare diversi ambiti. Così una droga può esse-re assunta soprattutto per modifi care o alterare gli stati di coscienza, per espandere i livelli di consa-pevolezza personale, per sperimentare sensazioni intense e inusuali, per ricercare una dimensione altra da quella della quotidianità. Può altresì essere identifi cata come un mezzo che consente di semplifi care, migliorare e rendere più intense le relazioni con gli altri, favorendo compor-tamenti più sciolti, disinibiti, socievoli o per facilitare sentimenti di fusione nei confronti di un gruppo di ampie dimensioni. Può rendere più soddisfacente l’immagine di sé fa-vorendo sentimenti di maggior effi cacia e controllo personale, rafforzando l’autostima, attenuando au-tovalutazioni negative, o addirittura, favorendo la defi nizione dell’identità. Può inoltre simboleggiare il passaggio a una nuova fase di vita, costituire una sfi da, facilitare esperien-ze di similarità e di appartenenza, o rappresentare un mezzo per fronteggiare disparate esperienze personali di disagio. Se l’uso di droga risponde a bi-sogni così diversifi cati, la comprensione del perché le persone vi ricorrono dovrà allora tenere stretta-

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mente conto della storia personale di ognuno e del rapporto che ognuno ha in un determinato momen-to con il suo mondo sociale.1

PROCESSI PSICOLOGICI NELL’USO E NELL’A-BUSO, FASI DEL CONSUMOOgni percorso di consumo è riconducibile all’inte-razione di tre fattori fondamentali: la persona con la sua organizzazione del sé, il suo funzionamento mentale, la sua storia familiare; il tipo di droga con i suoi effetti, le situazioni che mettono in rapporto la persona con la sua storia, con la sostanza, con i suoi effetti. L’uso di droga più che come un fenome-no è concettualizzabile come un processo, che ha un inizio, uno svolgimento e un epilogo. Tale Pro-cesso si svolge attraverso tre fasi cruciali:1.Fase preparatoria o di avvicinamento. Perché un individuo decida di assumere una droga occorre che abbia elaborato un orientamento fa-vorevole al consumo e che consideri l’eventualità di provare un’esperienza in grado di rispondere a bisogni e ad aspettative per lui rilevanti in rapporto a diversi ambiti: esperienzadi sé, relazione con gli altri, stile di vita, tutti in rapporto alla fase di vita in cui si trova. I signifi cati che possono essere attri-buiti a una droga variano, infatti, sia da individuo a individuo, sia in rapporto ai diversi momenti della vita di uno stesso individuo. L’attrazione per la dro-ga si spiega anche in rapporto a meccanismi spe-cifi catamente cognitivi. Il ruolo cruciale esercitato dai fattori cognitivi e motivazionali porta perciò ad escludere che l’attivazione di questo comportamen-to a rischio sia semplicemente spiegabile in base a processi imitativi.2.Fase di contatto o “iniziazione”. Se si presenta l’occasione e il soggetto che ha ela-borato qualche tipo di disponibilità decide di prova-re, prendono avvio ulteriori processi. L’esperienza concretamente vissuta gli permette, infatti, di va-lutare la qualità e l’entità degli effetti sperimentati, la loro congruenza con le precedenti aspettative, il confronto tra l’esperienza che ha di sé dopo aver

1 Convegno sulle tossicodipendenze, Ravenna, 1997

assunto la droga e con quella che ne ha in condizio-ni di astinenza. In base a questo insieme di consi-derazioni e di valutazioni egli può decidere o di non assumere più la droga o invece di continuare. Il ruo-lo delle infl uenze interpersonali non appare più così centrale come nel primo contatto: il rapporto con gli altri consumatori è utile per mantenere aperti i canali per approvvigionarsi la droga, per ottenere solidarietà e legittimazione, per trovare una propria identità sociale.3.Fase di stabilizzazione.Nel caso in cui il soggetto scelga di continuare si trova a dover scegliere se consumare la droga abi-tualmente, quando si presenta l’occasione, o più regolarmente, andandosela esplicitamente a pro-curare. Per diventare un vero e proprio consuma-tore occorre apprendere da persone più esperte la tecnica più corretta per assumere la droga affi nché essa possa produrre gli effetti desiderati; diventare capace di discriminare tali effetti quando essi si ve-rifi cano e di metterli in rapporto all’assunzione della sostanza; trarre piacere dalle sensazioni che prova, considerato che esse non sono necessariamente e intrinsecamente piacevoli.

FATTORI DI RISCHIOTra i molteplici fattori ritenuti in grado di favorire il primo contatto con una droga, quelli relativi alle

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infl uenze interpersonali sono ritenuti i più rilevanti.Gli studi si sono concentrati in modo particolare sui soggetti adolescenti.Il clima familiare, lo stile edu-cativo, i modelli proposti dai genitori, hanno un in-fl uenza solo indiretta sullo stile di vita del giovane e quindi sul consumo di droga. Eventi che modifi -cano radicalmente la struttura della famiglia, come la separazione o la morte di un genitore, sembrano aver ruolo meno rilevante di quello esercita-to da rapporti intrafamiliari disfunzionali. I geni-tori costituiscono un modello importante anche per l’acquisizione delle abilità ad affrontare situazioni diffi cili e problematiche. Defi cit e carenze nell’abi-lità di fronteggiare gli eventi, gli incontri sociali e la diffi coltà dei compiti di sviluppo, con cui si confron-ta, possono convincere l’adolescente che il ricorso a una sostanza può aiutarlo a ridurre la tensione, a ripristinare condizioni più accettabili, a rafforzare la sua immagine sociale. Quanto più l’adolescen-te è orientato verso coetanei favorevoli alla droga o che sono gia consumatori, tanto più aumenta la probabilità che egli possa essere attratto dall’idea di provare una sostanza.

L’EPIDEMIOLOGIA, LA NORMATIVA SUGLI STU-PEFACENTI, I SER.T.I DATI DEL CONSUMO DI SOSTANZE STUPEFA-CENTIQuesti dati sono relativi al consumo di sostanze stupefacenti in Italia, la fonte è la “relazione annua-le al parlamento sull’uso di sostanze stupefacenti e sullo stato delle tossicodipendenze in Italia 2010”.Le analisi del consumo sono state eseguite uti-lizzando diverse ed indipendenti fonti informative al fi ne di poter stimare il più correttamente possi-bile il fenomeno da vari punti di vista. Per meglio comprendere la situazione è stato stimato quindi il numero totale dei consumatori (intendendo con questo termine sia quelli occasionali che con di-pendenza da sostanze – uso quotidiano) che è di circa 2.924.500. Nel 2008 tale numero era stimato in circa 3.934.450 persone e quindi con un calo del 25,7%.2

2 Dati elaborati dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT)

Le percentuali di persone che nella popolazione ge-nerale contattata (su un campione di 12.323 sog-getti d’età compresa tra 15-64 anni) hanno dichia-rato di aver usato almeno una volta nella vita stupe-facenti sono risultate rispettivamente di 1,29% per l’eroina (1,6% nel 2008), 4,8% per la cocaina (7% nel 2008), 22,4% per la cannabis (32% nel 2008), per gli stimolanti – amfetamine – ecstasy 2,8% (3,8% nel 2008), per gli allucinogeni 1,9% (3,5% nel 2008).Tali percentuali variano nella popolazione studen-tesca contattata (su un campione di 34.738 sog-getti di età compresa tra 15-19 anni) e sono per l’eroina 1,2% (2,1% nel 2008), per la cocaina 4,1% (5,9% nel 2008) e per la cannabis 22,3% (31,5% nel 2008), per gli stimolanti – amfetamine – ecstasy 4,7% (4,7% nel 2008), per gli allucinogeni 3,5% (4,7% nel 2008).Le indagini mostrano quindi un calo generalizzato dei consumi che viene riassunto nella tabella suc-cessiva.

Popolazione generale: decrementi % oscillanti tra i -19,4 e i -45,7

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Tale andamento è stato confermato anche nell’ana-lisi eseguita per l’uso negli ultimi 12 mesi fatto sal-vo per gli stimolanti nella popolazione studentesca dove si è registrato un aumento della prevalenza passando dal 2,8% del 2008 al 3,1% del 2009.

Per quanto riguarda l’andamento temporale dal 2008 del consumo delle sostanze nella popolazio-ne generale (valutata attraverso il consumo di al-meno una volta negli ultimi 12 mesi), è da rilevare una diminuzione dei trend di consumo (2008-2010) di tutte le sostanze, con particolare rilevanza per la cannabis che perde 9,1punti percentuali.Persiste in ogni modo la tendenza al policonsumo

con una forte associazione soprattutto con l’alcol (oscillante tra il 91,2% e il 79,2%) e la cannabis (oscillante tra il 64,0% e il 54,2%) delle varie altre sostanze.

Per quanto riguarda l’andamento temporale dal 2008 del consumo delle sostanze nella popolazio-ne studentesca (valutata attraverso il consumo di almeno una volta negli ultimi 12 mesi), è da rilevare una diminuzione dei trend di consumo (2008-2010) di tutte le sostanze, ad eccezione del consumo di stimolanti, per i quali si osserva un incremento esclusivamente nel genere maschile (diminuzione nel genere femminile)anche se tali sostanze vengono utilizzate con una bassa prevalenza (3,1%).Persiste anche in questa popolazione la tendenza al policonsumo con una forte associazione soprattutto con l’alcol (oscillante tra il 98,6% e il 97,6%), la can-nabis (oscillante tra il 96,0% e il 95,9%) e il tabacco (oscillante tra il 96,2% e il 89,3%) delle varie altre sostanze.Alla diminuzione dei consumi di sostanze stupefa-centi va in contro tendenza il consumo di alcol. Re-lativamente a questo consumo infatti è da segnalare un aumento percentuale dell’assunzione quotidia-na, dal 2007 al 2010, del 18,2%. L’incremento percentuale delle ubriacature (oltre 40

Popolazione studentesca: decrementi % oscil-lanti tra lo 0,0 e i -42,9

Popolazione generale: decrementi % oscillanti tra i -35,9 e i -70,3

Popolazione studentesca: decrementi %oscillanti tra i -15,4 e i -24,1 con incremento %degli stimolanti di +10,7

P l i t d t d ti %

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volte nella vita) è stato purtroppo del 200% passan-do da una prevalenza dell’1% nel 2007 al 3% del 2010.Quest’andamento contrapposto potrebbe trovare spiegazione in relazione ad una minor capacità di spesa, soprattutto negli utilizzatori occasionali di so-stanze stupefacenti, conseguente alla crisi econo-mica e a una diversifi cata e minore percezione del rischio nei confronti dell’alcol rispetto alle sostanze stupefacenti; questo potrebbe aver comportato uno spostamento dei consumatori occasionali di sostan-ze verso gli alcolici in quanto più accessibili e meno costosi e comunque in grado di dare effetti forte-mente psicoattivi.

I DATI SUI SOGGETTI CON BISOGNO DI TRAT-TAMENTO3

I soggetti con dipendenza da sostanze (tossicodi-pendenti con bisogno di trattamento) risultano es-sere 393.490 che rappresentano 1l 9,95/1000 resi-denti d’età compresa tra i 15 e i 64 anni. Di questi 216.000 per oppiacei (5,5/1000 residenti) e 178.000 per cocaina (4,5/1000 residenti).Le regioni con mag-gior bisogno di trattamento per oppiacei o cocaina sono Nell’ordine la Liguria, la Lombardia, il Piemon-te, la Sardegna, la Campania, la Valle d’Aosta e la Toscana, che presentano una prevalenza superiore alla media italiana che è di 10,0/1000 residenti d’età compresa tra 15 - 64 anni. Le regioni più problema-tiche con maggior bisogno di trattamento per oppia-cei sono Liguria e Toscana, mentre per la cocaina sono la Lombardia e la Sardegna.I soggetti che hanno richiesto per la prima volta un trattamento sono stati 33.984 con un tempo medio di latenza stimato tra inizio uso e richiesta di primo trattamento di 5,5 anni (oscillante tra i 4 e gli 8 anni), differenziato da sostanza a sostanza. L’età media dei nuovi utenti è circa 30 anni, con un arrivo più tar-divo rispetto agli anni precedenti. Questo signifi ca che vi è un aumento del tempo fuori trattamento con tutti i rischi che ne conseguono e quindi un arrivo

3 Dati elaborati dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT)

sempre più tardivo ai servizi. Da segnalare la minor età media degli utenti europei rispetto agli utenti ita-liani.Le sostanze primarie maggiormente utilizzate risul-tano essere il 69% eroina, il 16% cocaina e il 9,3% cannabis. In calo l’assunzione per via iniettiva. Le sostanze secondarie maggiormente utilizzate sono state la cocaina (37,7%) e la cannabis (34,3%).Il totale delle persone in trattamento nei Ser.T. sono stati 168.364, nel 2009. Questi dati sono stati calco-lati dal fl usso informativo del Ministero della Salute con un indice di copertura del 90%. Vi è una stabiliz-zazione negli ultimi quattro anni degli utenti in trat-tamento per uso d’eroina, mentre vi è un aumento degli utenti in trattamento per uso di cocaina.Le regioni con maggior numero assoluto di utenti in carico per uso primario di eroina sono nell’ordine: Lombardia, Campania, Veneto, Toscana e Piemon-te.Le regioni con maggior numero assoluto di utenti in carico per uso primario di cocaina sono nell’ordine: Lombardia, Campania, Piemonte, Lazio, Emilia Ro-magna e Veneto.Tra gli utenti in trattamento nei Ser.T. vi è un trend in crescita dell’uso di cocaina anche come sostanza secondaria che risulta essere dal 2007 la sostanza secondaria più usata.Si osserva, inoltre, una diminuzione generalizzata dell’uso iniettivo dell’eroina, a favore dell’assunzio-ne inalatoria e respiratoria di tale sostanza.Da segnalare un aumento dei soggetti in carico con uso iniettivo di morfi na che dal 2008 ha incremen-tato di circa 20 punti percentuali il suo valore nel 2009 con una concentrazione del fenomeno quasi esclusivamente nella Regione Piemonte.

I SER.T.Acronimo di Servizi per le Tossicodipendenze, il Ser.T. è un servizio pubblico del Sistema Sanitario Nazionale dedicato alla cura, alla prevenzione alla riabilitazione delle persone che hanno problemi de-rivanti dall’abuso di sostanze psicoattive (droghe e alcool) in grado di generare dipendenza.

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I Ser.T dipendono in maniera diretta dalla Regione e dispongono di una propria pianta organica che pe-riodicamente la Regione stessa defi nisce. All’interno del Ser.T operano vari tipi di professionisti qualifi cati e specializzati nella dipendenza da sostanze psi-coattive: medici, infermieri professionali, educatori professionali, assistenti sociali e psicologi. I servizi al cittadino erogati dai Ser.T. sono gratuiti e garantiscono l’anonimato, fermo restando l’obbliga-torietà da parte del paziente nel fornire i propri dati anagrafi ci alla struttura. I servizi erogati dal Ser.T sono mirati a fornire pri-mo sostegno e orientamento ai tossicodipendenti e alle proprie famiglie dal punto di vista medico-infer-mieristico ma anche attraverso campagne di infor-mazione e prevenzione. Sono soprattutto le fasce più giovani di popolazione ad essere interessate da interventi mirati da parte dei Ser.T. Le strutture nello specifi co accertano lo stato di salute psicofi sica del soggetto arrivando alla defi nizione di programmi te-rapeutici individuali che possono essere effettuati o nel Ser.T stesso o in altre strutture convenzionate come i centri di recupero. In questo modello assi-stenziale viene tenuto in fortissima considerazione il monitoraggio continuo del paziente: essendo molto frequenti le ricadute, gli stessi pazienti vengono sot-toposti costantemente ad analisi di vario tipo (san-gue, urine, capelli) al fi ne di accertare la cessazione nell’assunzione di sostanze stupefacenti. La verifi -ca periodica dell’andamento della terapia prende in considerazione in maniera sinergica tutti gli aspetti che riguardano il paziente quello clinico, quello psi-cologico e quello sociale.

I Ser.T operano nel rispetto dei criteri fi ssati dai livel-li essenziali di assistenza (LEA) assicurando la di-sponibilità dei principali trattamenti relativi alla cura e riabilitazione dall’uso di sostanze, garantendo, compatibilmente con le risorse economiche a loro disposizione, la libertà di scelta del cittadino e del-la sua famiglia ad attuare i programmi terapeutico-riabilitativi presso qualunque struttura autorizzata in tutto il territorio nazionale. I Ser.T, in accordo con il paziente e con il proprio nucleo familiare, anche mediante l’utilizzo di altri servizi specialistici, pubblici e privati accreditati o autorizzati, si occupano della prevenzione e della cura di tutte le patologie correlate alla dipendenza da sostanze. Le prestazioni sono erogate individual-mente o a piccoli gruppi nelle sedi operative, o, se necessario, a domicilio. Le prestazioni di prevenzio-ne possono essere erogate anche mediante unità mobili sul territorio. I Ser.T, fatte salve le ulteriori funzioni eventualmente loro attribuite dalle Regioni da cui dipendono in ma-niera diretta, si occupano di: garantire accoglienza, diagnosi e presa in carico del paziente; predisporre, per ogni singolo utente, un programma terapeutico - riabilitativo con valutazione diagnostica multidiscipli-nare iniziale e monitoraggio periodico delle variazio-ni dello stato di salute, in relazione ai risultati degli interventi effettuati, in termini di uso di sostanze, di qualità della vita, di abilità e capacità psico-sociali, di comparsa delle principali patologie correlate sulla cartella individuale del soggetto; effettuare terapie farmacologiche specifi che, sostitutive, sintomatiche e antagonistiche, compreso il monitoraggio clinico e laboratoristico, verifi cando l’opportunità’ di tali inter-venti e mantenendo contemporaneamente l’obietti-vo del superamento dello stato di dipendenza an-che dai farmaci sostitutivi. Nei casi in cui e’ prescritta una terapia farmacologica, accanto agli opportuni controlli sono previsti supporti relazionali intensi (colloqui almeno settimanali, gruppi di discussione e di informazione, appoggi alle famiglie), che garan-tiscano un’attenzione costante alle condizioni psico-fi siche del paziente mantenendo in vita la possibilità

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di sviluppare più ampi percorsi di cambiamento. Un ulteriore aspetto che i Ser.T considerano come pericoloso è l’emergere di quella che viene defi nita cronicità iatrogena, vale a dire quel fenomeno per il quale, alla dipendenza dalla sostanza psicoattiva si sostituisce la dipendenza alla cura che il medico ha adottato per il paziente stesso. Per evitare o limitare l’insorgere di questa cronicità i Ser.T. in collabora-zione con gli enti accreditati esercitano: attività di osservazione, diagnosi e cura intensiva di disintos-sicazione, con modalità residenziale (ospedali, co-munità, centri crisi), semiresidenziale o ambulatoria-le; attività riabilitative articolate in centri diurni, semi-residenziali, comunità residenziali; attività di reinse-rimento lavorativo e psico-sociale, post riabilitative, fi nalizzate a prevenire le recidive; nei casi in cui la cronicizzazione venga ritenuta inevitabile deve ri-sultare dalla cartella individuale un dettagliato reso-conto delle ragioni cliniche e dei tentativi effettuati per ridurre la dose di metadone; svolgere attività di “counseling” e psicoterapia, di psicodiagnosi, e nel complesso di sostegno psicologico; svolgere attività di orientamento e di sostegno in ambito sociale e educativo; svolgere specifi che e strutturate attività per la prevenzione delle principali cause di morte e di inabilità (malattie infettive, overdose, etc.); attiva-re specifi ci programmi destinati alle donne, anche in collaborazione con altri servizi specialistici, preve-dendo, in particolare, interventi relativi a gravidan-za, prostituzione, episodi di violenza; rilevare, sulla base delle indicazioni stabilite a livello nazionale e regionale, i dati statistici ed epidemiologici relativi alle attività e al territorio di competenza per fornirli all’Osservatorio Nazionale delle Tossicodipenden-ze. I Ser.T. attuano inoltre per le persone in carico sva-riati interventi relativi alle infezioni da HIV e alle altre patologie correlate alla tossicodipendenza attraver-so: individuazione dei comportamenti a rischio; in-formazione e educazione sanitaria; visite mediche ed interventi diagnostici e terapeutici, in collabora-zione con strutture specialistiche; test di laboratorio per l’HIV, previo consenso, e counseling; collabora-

zione e integrazione degli interventi con altri presidi a forte specializzazione.

L’INFERMIERE NEL SER.T.“L’infermiere è il professionista sanitario responsabi-le dell’assistenza infermieristica”. L’assistenza infer-mieristica è un servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività.Si realizza attraverso interventi specifi ci, autonomi e complentari di natura intellettuale, tecnico-scientifi -ca, gestionale, relazionale e educativa.L’atto assistenziale è quindi sancito dal Codice De-ontologico come complesso dei saperi, delle prero-gative, delle attività, delle competenze e delle re-sponsabilità dell’infermiere in tutti gli ambiti profes-sionali e nelle diverse situazioni assistenziali.Nel percorso evolutivo della professione, gli infer-mieri hanno progettato ed utilizzato diversi sistemi organizzativi per rispondere al mutamento costante dei bisogni dell’utenza, ed ognuno di questi modelli è stato fortemente condizionato dal periodo storico, dal contesto, dalle risorse umane e materiali, dalla formazione, livello di professione ed esercizio del ruolo.L’ambiente in cui oggi l’infermiere agisce è sempre più complesso: il paziente non è più oggetto passivo nelle mani del professionista sanitario, ma è uten-te, cioè persona che utilizza un servizio e partecipa attivamente al suo percorso di cura o tutela della salute.Come in altri scenari sanitari, anche all’interno del servizio che si occupa di Patologia delle Dipenden-ze il modello infermieristico di organizzazione fun-zionale non sembra essere più adeguato alla com-plessità della progettazione di percorsi terapeutici, alla necessità di integrazione delle competenze, alle esigenze dell’utenza, e tantomeno al concetto di responsabilità ed autonomia del professionista infermiere.L’infermiere non pensa più al numero di cose da fare; il modello organizzativo si arricchisce del lavoro in-tellettuale che consiste nel pianifi care l’assistenza e progettare la presa in carico ed il trattamento, perso-

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nalizzandoli il più possibile per ogni utente, tenendo conto che “ l’interazione fra professionisti e l’integra-zione interprofessionale sono modalità fondamenta-li per far fronte ai bisogni dell’assistito”

LA PROFESSIONE INFERMIERISTICA NEL SER.T., LA SUA STORIA LA SUA EVOLUZIONE.La storia della professione infermieristica inizia XIX secolo, già a partire dalla seconda metà dell’800 in seguito alla riforma legata al mone di Florence Nightigale. Per poter però parlare di “professione” è necessario ricorrere all’analisi sociologica fatta sul “processo di professionalizzazione, cioè quel susse-guirsi di fasi che tutte le occupazioni, durante le loro evoluzione, hanno vissuto e attraverso il quale sono riuscite ad ottenere i requisiti del professionalismo.Il sociologo americano Harold Wilensky per descri-vere questo processo ha identifi cato cinque fasi:

• Occupazione a tempo pieno• Istituzione di scuole di formazioni specialisti-

che• Nascite di associazioni professionali profes-

sionali (prima al livello locale e poi a livello nazionale).

• Conquista del riconoscimento dello Stato a protezione dell’attività o professionale).

• Elaborazione di un codice etico formale.Naturalmente nelle professioni che Wilensky tiene in considerazione parlando del suo processo esiste anche quella infermieristica.Il processo di professionalizzazione dell’infermiere ha inizio nell’800, quando l’assistenza infermieristi-ca, da assistenza orientata a persone con proble-mi d’igiene e di comfort, comincia ad individuare un “corpus” di conoscenze scientifi che o tecniche, su cui fonderà la propria competenza e dalla quale ha inizio l’origine della disciplina infermieristica.Per poter analizzare il passaggio dal saper culturale a quello disciplinare ci si avvale dell’opera di Meleis la quale afferma che la Disciplina Infermieristica nel percorso di formazione disciplinare ha attraversato, degli stadi di evoluzione, dai quali risulta che alcu-ni concetti, come confort-salute e benessere, sono

stati messi prima in pratica e poi teorizzati.Gli stadi evolutivi di Meleis sono cinque:lo Stadio della PRATICA, che storicamente corri-sponde alle prime elaborazioni di Florence Nigh-tingale, lo Stadio della EDUCAZIONE, che invece corrisponde alla fondazione e alla diffusione delle scuole di Florence Nightingale, lo Stadio della RI-CERCA ovvero le prime elaborazioni teoriche di Virginia Henderson, lo Stadio della TEORIA che corrisponde al compimento dell’espressione del pensiero di Virginia Henderson ed infi ne lo Stadio della FILOSOFIA che corrisponde alla fase attuale con numerose teorie a disposizione e una ricerca di sensi più profondi.Quest’ultimo è lo stadio in cui gli infermieri incomin-ciano a porsi quesiti più specifi ci e profondi verso la propria disciplina e per incominciare a rispondere a questi è indispensabili tenere presente che esistono punti di vista epistemologici differenti. Ma senza i quali on si potrebbe far fronte agli interrogativi logici ed etici nati con questa fase.Molto importante è sottolineare il fatto che questi stadi non hanno un inizio ed una fi na storicamen-te determinati, ma sono contemporaneamente pre-senti e il nuovo stadio della fi losofi a rappresenta un nuovo avvio.Attualmente lo stadio della pratica è quello più diffu-so, mentre quello della teoria è costantemente ap-plicato pur mantenendo un piano di secondo piano.La fase fi losofi ca invece, è ancora agli inizi del suo percorso e sono gli infermieri che devono darle un reale senso, altrimenti il nostro sapere disciplinare non progredirà mai abbastanza per essere ricono-sciuto dagli altri e dai noi stessi.Una conferma del fatto che siamo in questo stadio ci giunge dal Piano Sanitario Nazionale attraverso queste parole:“Altrettanto necessaria appare la valorizzazione della professione infermieristica e delle altre pro-fessioni sanitarie, per le quali si impone la nascita di una nuova “CULTURA DELLA PROFESSIONE” così che , il ruolo dell’infermiere sia ricondotto, nella percezione sia della classe medica sia dell’utenza,

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all’autentico fondamento epistemologico del nur-sing.Ma che cos’è l’epistemologia?Questa è la fi siologia della scienza che si occupa di chiarire le strutture e le tematiche dei saperi scien-tifi ci. Oggi è intesa come l’insieme dei presupposti teorici della conoscenza scientifi ca e fi losofi ca.E la disciplina infermieristica?Essa è l’insieme delle conoscenze, delle metodologie e degli strumenti dell’infermiere. Il tutto è fi nalizzato a realizzare l’assistenza infermieristica.Come tutte le discipline è defi nita attraverso attra-verso degli elementi degli elementi, ovvero:un OGGETTO di studio, che in questo caso è l’UO-MO e le prospettive con cui approcciarsi;un INSIEME DI CONOSCENZE;un METODO ovvero il raggiungimento dell’autono-mia del paziente;un CAMPO in cui mettere in pratica l’assistenza in-fermieristica, che non è solo l’Ospedale, ma qualsi-asi ambiente di vita dell’uomo.Per meglio defi nire quando detto si può far riferi-mento ad alcune Teorie infermieristiche:Hidegarde Peplau la quale defi nisce l’assistenza infermieristica come un processo interpersonale; Dorothea Orem la quale ritiene che l’infermiere in-tervenga quando l’uomo non è autonomo; Jean Watson secondo cui per una buona assistenza è necessaria una base fi losofi ca costituita dalla capa-cità di comunicazione dell’infermiere dalla crescita professionale e personale.Il contenuto e il pensiero delle teorie enunciate si ri-feriscono all’assistenza infermieristica presente nel

Dipartimento delle Di-pendenze Patologiche e al delineamento di quella che è la profes-sionalità al suo interno.Si parla di “Dipartimen-to “ poiché il modello dipartimentale è quello che sembrerebbe più effi cace per riuscire a

integrare il comparto sanitario con quello dei Ser-vizi Sociali. In base a quando detto, con il Decreto del 14 Giugno 2002 viene stabilito che i servizi per le tossicodipendenze (Ser.T.) sono unità operative delle Aziende Sanitarie locali coordinate nell’ambi-to di uno specifi co dipartimento per le Dipendenze Patologiche.Il D.D.P si occupa del trattamento, del reinserimen-to e della prevenzione dei problemi correlati all’uso di sostanze psicotrope legali ed illegali e per i com-portamenti simili (disturbi dell’alimentazione, gioco d’azzardo, video dipendenze).All’interno del D.D.P. il ruolo dell’infermiere è quello di “ collaboratore professionale sanitario”.Egli si occupa dell’organizzazione , della continuità del funzionamento e della struttura, istaura un rap-porto clinico-psicologico con l’utente e si sostituisce alle sue funzioni mentali quando questo è in crisi, ma con il fi ne ultimo l’autonomia del paziente.

L’INFERMIERE NELLA PREVENZIONE E RIABI-LITAZIONE DEL TOSSICODIPENDENTEIl decreto 14 settembre 1994, n.739 individua la fi gura professionale dell’infermiere con il seguen-te profi lo: “l’infermiere è l’operatore sanitario che in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica”.4

L’assistenza infermieristica, preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, è l’educazione sanitaria. Tra le funzioni svolte dell’infermiere vi sono: la preven-zione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei di-

4 Art.1 Profi lo Professionale dell’infermiere1992.

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sabili di qualunque età e condizioni sociale, e l’edu-cazione sanitaria.L’infermiere che lavora in un Ser.T., insieme all’èqui-pe curante costituita da medici,psicologi, psichiatri ed assistenti sanitari, deve collaborare ad un trat-tamento caratterizzato dalla personalizzazione dei percorsi terapeutici e dall’integrazione fra interventi farmacologici, psicologici e socio-riabilitativi. Es-sendo spesso l’infermiere l’operatore sanitario che per primo incontra la persona tossicodipendente e la sua famiglia, a lui spetta il compito di accoglie-re la richiesta d’aiuto e di valutare la reale urgen-za d’intervento. Gli obiettivi che l’infermiere di un Ser.T. si prefi gge di raggiungere, cosi come quelli di un infermiere che lavoro in un ambito ospedaliero, rispecchiano le norme dettate da Codice deontolo-gico della professione. L’infermiere perciò, cura del-la salute della persone, riconoscendola come bene dell’individuo e della collettività da tutelare con at-tività di prevenzione, cura e riabilitazione, indipen-dentemente dall’età e dalle cause di malattie.5Nei Ser.T. l’infermiere deve gestire un notevole carico di lavoro costituito da numerosi utenti che ogni giorno arrivano in ambulatorio per ricevere il metadone e psicofarmaci, per eseguire i controlli urinari e per un colloquio con lo psicologo o l’assistenza sanitario. A questi occorre aggiungere i familiari di alcuni utenti costretti agli arresti domiciliari che vanno a ritirare la terapia per la settimana successiva. Un’organiz-zazione interna ottimale del servizio prevede che l’infermiere, a rotazione settimanale, si occupino di determinati compiti: gestione del lavoro ambulato-riale che prevede la somministrazione della terapia metadonica e di psicofarmaci, e preparazione della terapia domiciliare per gli utenti agli arresti. Inoltre insieme agli assistenti sanitari, i quali si occupano principalmente degli screening sierologici per l’HIV, l’HBV E l’HVC, gli infermiere eseguono i controlli sui campioni urinari per ricercare tracce di cocaina o di altri oppioidi. In base alle risposte degli esami il medico concorderà con l’utente se alzare o ab-bassare il dosaggio giornaliero di metadone. Inoltre

5 Art. 3., 6.,capo I del Codice Deontologico dell’infermiere, 2009

l’èquipe del Ser.T., composta da psicologi, assistenti sociali, infermieri e medici, si reca in carcere, dove è sempre presente un’equipe appartenente al servi-zio composta a sua volta da medici e infermieri, per somministrare la terapia alle persone tossicodipen-denti detenute.Il Ser.T. è una struttura attorno alla quale ruotano gli operatori presenti nelle Case Circondariali, quelli che lavorano nei Centri di Consulenza, Diagnosi e Psicoterapia e nelle Comunità Terapeutiche Diurne e Residenziali, portando l’infermiere a collaborare con altre realtà professionali.6

La collaborazione fra le suddette strutture si estrin-seca nell’identifi care quali utenti necessitano di te-rapia con metadone a scalare o a mantenimento, quali possono essere inseriti in un programma a più alta soglia di accesso che preveda l’accoglimento in centri e comunità. Fra i doveri che spettano all’in-fermiere di un Ser.T., vi è la tenuta del libro di cari-co e scarico delle dosi di metadone somministrate. Ogni dose più totale delle dosi date a domicilio ed in carcere, devono essere scaricate in un apposito registro, indicando la quantità, la denominazione, la data, l’ora e il nominativo dell’utente. A fi ne giornata il registro dovrà essere fi rmato dal medico di turno responsabile. La gestione di tale documento rappre-senta una responsabilità giuridica7 e un dovere etico e deontologico.L’infermiere è tenuto infatti al segreto professiona-le verso tutte quelle informazioni alle quali viene a conoscenza attraverso intima rivelazione dell’assi-stito, o nello svolgimento dell’attività assistenziale, che possono riguardare la persona stessa, o i suoi familiari, o altre persone. Il lavoro all’interno di un Ser.T. costituisce peraltro per l’infermiere una forte fonte di stress a causa dell’elevato numero di uten-ti, di compiti e di responsabilità che si concentrano nell’arco di poche ore.Uno dei problemi che l’infermiere deve saper risol-vere per lavorare a contatto quotidiano con questa tipologia di utenti, sono i pregiudizi nei confronti

6 Art 41 capo v codice deontologico dell’infermiere, 2009

7 Art. 622 del codice penale

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della tossicodipendenza. Occorre infatti riconoscer-la come un vero e proprio disagio esistenziale che tende a strutturarsi in una condizione patologica che non dipende più dalla sola volontà del soggetto.I sentimenti che più frequentemente l’infermiere si trova a vivere sono: l’aggressività come risposta ad un atteggiamento violento del paziente, la delusio-ne e la svalorizzazione del proprio lavoro di fronte alle ricadute, al non rispetto per il proprio impegno, l’impotenza nel vedere l’insorgenza di casi di AIDS o di overdose. Il rischio che corre l’infermiere può derivare perciò dalla mancanza di equilibrio nella relazione con l’utente: un investimento emotivo esa-gerato o troppo scarso, con alternanza di comporta-menti, incomprensioni e problemi sia per il paziente che l’infermiere stesso e per il resto dell’èquipe.Da tale situazione sorge la necessità di imporre all’u-tente alcune regole da rispettare inerenti gli orari di accesso al servizio, le modalità di assunzioni della terapia, la consegna dei campioni urinari, il com-portamento da tenere. All’utente viene offerto un programma terapeutico multidisciplinare, che vede cioè impegnate diverse fi gure professionali: medici di base, infettivologi, psicologi, infermieri, assistenti sanitari e sociali, educatori, operatori di strada.In genere il percorso curativo prevede un primo in-contro dell’utente con l’èquipe per capire il suo livel-lo di dipendenza dalla sostanza, la sua situazione familiare, lavorativa ed economica. Se il soggetto mostra una forte dipendenza, viene deciso l’inse-rimento ambulatoriale con terapia metadonica, af-fi ancata dalla psicoterapia individuale o familiare, e dalla frequentazione di centri diurni. In seguito, qualora si arrivi a dosi giornaliere più basse di me-tadone, il tossicodipendente potrà essere accolto in una comunità residenziale che lo prepari per il suo reinserimento sociale e lavorativo.Il ruolo che l’infermiere riveste nel programma tera-peutico è quello di valutare giorno dopo giorno l’e-volversi della situazione, cogliendo piccoli migliora-menti, o al contrario momenti di sconforto e di arre-sa da parte del tossicodipendente, capire se vi sono nuove diffi coltà quali al esempio un licenziamento,

l’abbandono della propria famiglia, il timore di aver contratto qualche patologia infettiva.L’infermiere si confronterà poi con il resto dell’èqui-pe per trovare delle possibili strategie, non solo ri-solutive dei problemi insorti, ma soprattutto respon-sabilizzanti. Per incentivare il tossicodipendente a reagire. Attraverso tali attività l’infermiere partecipa attivamente al progetto di riduzione del danno. Que-sto però è un processo lento e diffi cile che per poter essere praticato ha bisogno di personale preparato e compente.Ecco perché in genere gli infermieri che lavorano al Ser.T. hanno alle spalle anni di esperienza,e nel pri-mo periodo di assunzione dovranno essere affi an-cati a colleghi più anziani. Essi dovranno frequenta-re inoltre dei corsi di aggiornamento o incontri di di-scussione e di confronto. L’infermiere che partecipa ad un progetto educativo deve saper individuare e personalizzare ogni forma di intervento terapeutico e riabilitativo possibile, rispettando allo stesso tem-po le condizioni poste dalla persona, incoraggiando-la nel fare scelte consapevoli e responsabili. Gli in-terventi farmacologici di riduzione del danno devono essere, per tale ragione, supportati da una psicote-rapia responsabilizzante, liberatoria dalla sostanza, orientata a quattro livelli:

1. del singolo: deve essere reso collaboratore, responsabile,attento ad una cultura della sa-lute vitale;

2. della famiglia: deve essere sostenuta e resa fi duciosa nel programma riabilitativo;

3. della società: devono essere usati adeguati interventi educativi, dove l’informazione re-ale diventa formazione alla responsabilità, diventa luogo di comprensione ed adesione libera a modelli culturali di “normalità posi-tiva”;

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4. del volontariato; per preparare gruppi di per-sone a trasmettere tali messaggi educativi ed informativi.

Il compito educativo-riabilitativo dell’infermiere nel settore della tossicodipendenza, si esplica anche at-traverso l’esecuzione di un programma informativo rivolto al tossicodipendente, alle famiglie e alle ca-tegorie a rischio. Questa azione è fi nalizzata al fatto che la r.d.d. non può essere l’approccio cronico alla tossicodipendenza, ma una tappa che ha lo scopo di interrompere l’uso non terapeutico di sostanze psicoattive, che si basi su principi e metodi che pro-muovono l’adesione volontaria del singolo individuo a stili di vita consoni alla salute.Il tossicodipendente dovrebbe essere responsabi-lizzato sul fatto che il proprio comportamento può incoraggiare altre persone al consumo di sostanze e a diventare dipendenti. Gli interventi di informazio-ni, e conseguente educazione, devono concentrarsi principalmente su tre livelli d’azioni8, in conseguen-za del fatto che l’assistenza infermieristica si rivolge al singolo individuo e alla collettività:9

1° Livello: sulle persone a potenziale rischio e sul-le famiglie, attraverso programmi di intervento con lo scopo di promuovere nelle persone conoscenze, consapevolezza e senso di responsabilità. Si do-vranno inoltre tutelare gli ambienti pubblici, privati e di lavoro dalla circolazione di sostanze stupefacenti e scoraggiare le persone dal mettersi alla guida o dallo svolgere attività impegnative dopo aver usato delle droghe. Inoltre si dovranno attuare delle misu-re di controllo affi nché nessuna forma di pubblicità colleghi le sostanze psicoattive ad eventi e compor-tamenti presentati come positivi e di tendenza.2° Livello: sulle persone che facciano gia uso non terapeutico di sostanze. Occorre garantire prima di tutto l’accesso precoce e la disponibilità di servizi di supporto, trattamento e riabilitazione. I percorsi che si intraprenderanno dovranno avere come obiettivo la sospensione permanente dell’uso di stupefacen-

8 Documento della Regione Veneto per la terza Conferenza Nazionale”Le politiche della regione Veneto per una società libera dalle droghe”, novembre 2008

9 Art.6., del Codice Deontologico dell’infermiere,2009

ti, ed il recupero della persona e di uno stile di vita sano.3°Livello:la comunità e le organizzazioni socio-sani-tarie dovranno impegnarsi per promuovere e condi-videre modelli culturali contro l’uso non terapeutico di sostanze psicoattive; inoltre si dovranno occupa-re della formazione degli operatori coinvolti.Per quanto riguarda le categorie a rischio, si è potu-to osservare che le informazioni preventive alla tos-sicodipendenza, sono molto più effi caci se trasmes-se in un’età del soggetto in cui non è ancora emerso il problema. Per tale ragione si sono individuate tre aree prioritarie di intervento:10

• il tempo libero, in quanto vi è un’alta possibi-lità di entrare in contatto con le sostanze psi-coattive, dette “ricreazionali”, in compagnia del gruppo di coetanei;

• la scuola, ambito di elezioni per le azioni preventive;

• il mondo lavorativo.Un processo educativo rivolto a persone con proble-mi di tossicodipendenza deve avere come obiettivi principali:

10 Documento della Regione Veneto per la terza Conferenza Nazionale”Le politiche della regione Veneto per una società libera dalle droghe”, novembre 2008

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• rendere consapevole l’utente dei rischi e danni nei quali può incorrere la sua salute, fi sica e psichica, nell’usare sostanze stupe-facenti;

• responsabilizzarlo sul fatto che il suo com-portamento può favorire, in persone vulne-rabili, l’uso di droghe;

• favorire uno stile di vita sano, ossia privo dall’uso non terapeutico di sostanze psicoat-tive e che costituisce la “normalità positiva”;

• portarlo a conoscere le strutture assistenzia-li alle quali può chiedere un sostegno.

Il processo educativo può essere rivolto al singolo individuo o a gruppi di persone. Gli incontri si do-vranno tenere nei luoghi di abituali frequentazione dei tossicodipendenti e coinvolgeranno diversi ope-ratori sanitari.Per quanto riguarda le strategie di r.r.d. , le informa-zioni da dare sono:

• non usare siringhe e altro materiale iniettivo in promiscuità con altri tossicodipendenti;

• non lasciare le siringhe usate per terra o in luoghi pubblici per evitare che qualcuno di punga;

• evitare di iniettarsi alte dosi di droga dopo un periodo di astinenza, perché si può incorrere nel rischio di un’overdose;

• evitare di iniettarsi droga in luoghi troppo ap-partati e da soli, in modo tale che se si ha un’overdose c’è la possibilità che qualcuno intervenga ed allerta i soccorsi;

• come poter salvare un compagno in overdo-se: chiamare 118, guardare se respira ecc.

Punto fondamentale che l’infermiere deve tener pre-sente, è che la sua opera deve essere un’opera di formazione responsabile e non di imposizione di so-luzioni. Infatti le proposte risolutive causano in gene-re nel tossicodipendente sentimenti di abbandono e di dipendenza poiché sono vissute come un precet-to. Nel corso di tale lavoro educativo è necessario coinvolgere, per quanto possibile, anche i genitori, i partners, i fi gli, perché spesso vivono in modo ri-levante i rischi e i danni che la droga causa ad un

loro congiunto. Il tossicodipendente con il recupero della sua autonomia e della sua autostima, indiche-rà agli operatori sanitari quali persone coinvolgere, e in quale misura11. Al contrario invece, qualora il gruppo familiare non sia adeguato, esso non verrà coinvolto nel piano di recupero e l’infermiere si occuperà di attivare oppor-tune forme di sostegno nella rete sociale.12

Per avere un ruolo nella prevenzione e nella riabi-litazione l’infermiere deve avere una conoscenza della realtà ed in particolare della persona del tossi-codipendenza.Ciò allo scopo di costruire prima di tutto una relazio-ne e di seguito un’alleanza terapeutica. Quest’ulti-ma l’infermiere la realizza prestando assistenza, la quale non deve essere rivolta tanto al sintomo o alla malattia ma alla persona, entrando nel suo mondo, nel suo vissuto e nella sua cultura, modulando gli in-terventi infermieristici a seconda delle esigenze che ne derivano.L’infermiere infatti per poter entrare in relazione con la persona deve capire la realtà in cui vive, asse-condando i suoi bisogni anche se sono diversi delle proprie convinzioni morali.13

La relazione deve essere presenza, cioè il modo di essere presente in un rapporto terapeutico, favoren-do un’interscambio di sentimenti tra l’utente e l’infer-miere, il quale userà l’ascolto attivo che consenta un’espressione sincera e spontanea delle emozioni, senza alcuna fi nzione e diffi denza.Ruolo importante del processo terapeutico è rivesti-to dal counselling, il quale rientra tra gli interventi in-fermieristici. Tale modalità di relazione favorisce nel-la persone una maggiore autonomia nel prendere le decisioni. L’infermiere interviene aiutando l’utente a formulare una serie di scelte, contribuisce all’anali-si delle probabili conseguenze di ognuna, corregge eventuali informazioni errate, incoraggia ad effettua-re la necessaria scelta.Collegabile al concetto di counselling, vi è quello

11 Art 2 capo I codice deontologico dell’infermiere, 2009

12 Art.21 capo IV codice deontologico dell’infermiere 2009

13 Art.4 capo IV codice deontologico dell’infermiere 2009

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dell’empowerment, traducibile come il favorire l’ac-quisizione di potere, l’accrescere la possibilità dei singoli e dei gruppi di controllare attivamente la pro-pria esistenza.14

Per poter compiere tale aiuto è richiesto lo svilup-po di una relazione d’aiuto, l’infermiere si adopera per favorire nell’altro una maggiore valorizzazione delle risorse personali e una migliore possibilità di espressione.

COUNSELLING E TOSSICODIPENDENZA“Il Counselling è un uso della relazione abile e strut-turato che sviluppi l’autoconsapevolezza, l’accetta-zione delle emozioni, la crescita e le risorse perso-nali. L’obiettivo principale è vivere in modo pieno e soddisfacente. Il counselling può essere mirato alla defi nizione e soluzione di problemi specifi ci, alla presa di decisioni, ad affrontare i momenti di crisi, a confrontarsi con i propri sentimenti e i propri confl ittiinteriori o a migliorare le relazioni con gli altri. Il ruolo del Counsellor è quello di facilitare il lavoro dell’u-tente in modo da rispettarne i valori, le risorse per-sonali e la capacità di autodeterminazione”.15

Nell’esperienza tossicomanica l’accoppiamento so-stanza-benessere determina un’assoluta inderivabi-le certezza che porta a comportamenti compulsavi, ripetuti perché rassicuranti, e a comportamenti per i quali l’equivalente tutto/niente,scarsamente presen-te nella nostra esperienza quotidiana, è invece l’u-nica realtà percepita.Inserirsi con un’azione di counselling nel comporta-mento tossicomanico, non importa con quale ragio-namento o contributo, è comunque sempre un ten-tativo di intromettersi in una relazione estremamente soddisfacente, fra soggetto e sostanza, per la quale il tossicomane è disposto a spendere lo spendibile e a giocare il giocabile; ne consegue la consapevolez-za che il counselling non è agevole né semplice. Per tanto l’infermiere dovrà formarsi adeguatamente per rispondere ai bisogni del tossicodipendente.

14 Art.7 capo II codice deontologico dell’infermiere 2009

15 Defi nizione di counselling (British Association for Counselling, 1992)

ALCUNE FUNZIONI DEL COUNSELLING NELLE TOSSICODIPENDENZE

• Fornire al paziente informazioni cliniche e scientifi che sul concetto di tossicodipenden-za, mirate all’acquisizione da parte del pa-ziente di una presa di coscienza del suo sta-to di malattia e delle possibilità terapeutiche da utilizzare per contrastarla;

• Informazioni pratiche su come ridurre i danni connessi all’utilizzo di sostanze da strada, in attesa di una sua piena adesione al pro-gramma terapeutico;

• Revisione delle conoscenze del paziente in merito alle sostanze, alla tossicomania e ai possibili percorsi da intraprendere per un af-francamento dalla malattia;

• Scardinare le opinioni errate frutto di miti che provengono dalla cultura della strada e dal senso comune;

• Suggerimento di modelli comportamentali tesi al cambiamento dello stile di vita tossi-comanico;

• Sostegno e informazione anche nei con-fronti dei familiari del paziente, che nella maggior parte dei casi hanno recepito mo-delli di spiegazione della tossicodipendenza non scientifi ci.

COUNSELLING NELLA RIDUZIONE DEL DAN-NO; CAMPI DI INTERVENTOIl counselling rappresenta uno degli strumenti utiliz-zabili nel campo della riduzione del danno. Il counselling, sia di gruppo che individuale, aumen-ta la frequenza ai servizi e l’effi cacia degli interventi. Il counselling familiare funziona sia con gli adulti che con gli adolescenti ed è un valido strumento, in termini di costo-benefi cio, in aggiunta al trattamento con metadone. I campi di intervento del counselling sono:� Trattamento con metadone

• L’obiettivo del counselling individuale o di gruppo per i pazienti in trattamento con metadone (in particolare nei programmi a

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mantenimento) è fondamentalmente quello di modifi care il comportamento del paziente in relazione all’uso di droghe, alla situazione occupazionale, alla frequenza di attività ille-gali ed al miglioramento delle relazioni fami-liari e sociali.

• Il counselling durante il trattamento metado-nico rappresenta una modalità specialistica di terapia e riabilitazione delle tossicodipen-denze basata su coordinamento della cura, utilizzo della relazione counsellor-utente, attenzione allo stadio di recupero, interven-to strutturato e fl essibile, facilitazione delle risorse del paziente. I trattamenti metadoni-ci integrati con attività di counselling sono, se non più effi caci in termini di utilizzo di sostanze, sicuramente più frequentati e più graditi al paziente.� Abuso di cocaina

• Il counselling, sia individuale che di gruppo, è effi cace nel limitare l’uso della sostanza durante il trattamento della dipendenza da cocaina: tutti i soggetti che rimangono in trattamento e completano il programma mo-strano un miglioramento in termini di uso di sostanze e funzionamento psicologico.

• Il counselling individuale e di gruppo nel trattamento dei cocainomani, può utilizzare strumenti non tradizionali (“maps” e “concep-tual matrices”), per favorire la comprensione personale del comportamento di assunzione di alcool e cocaina o servirsi della tecnica cognitivo-comportamentale.� Trattamenti specifi ci per le donne

• Gli obiettivi principali degli interventi di counselling rivolti specifi camente alle donne con problemi di dipendenza sono l’aumento dell’auto-consapevolezza e delle capacità e l’acquisizione di conoscenze, la riduzione dell’isolamento, attraverso l’allargamento della rete interpersonale. Programmi speci-fi ci possono essere rivolti alle donne gravide e alle donne appartenenti a minoranze etni-

che. La partecipazione ad un trattamento per la tossicodipendenza durante la gravidanza è associata ad un esito favorevole della gra-vidanza stessa. Anche in questo ambito le diverse tipologie di intervento di counselling proposte (programma di case-management basato sulla organizzazione di visite a domi-cilio, counselling telefonico, trasporto delle pazienti a visite ed appuntamenti e la indivi-duazione di operatori di riferimento) possono contribuire signifi cativamente alla ritenzione in trattamento durante la gravidanza ed al suo buon esito (meno probabilità di avere fi gli sottopeso e di nascite premature).� Riduzione del rischio sessuale e pre-

venzione HIV• Gli interventi di counselling per la prevenzio-

ne dell’infezione da HIV sono effi caci nell’in-fl uenzare il cambiamento comportamentale e nel ridurre la frequenza di comportamenti a rischio legati all’uso di droghe e di com-portamenti sessuali a rischio. Il counselling in questo settore si basa sull’educazione sanitaria relativa a HIV/AIDS, ai comporta-menti legati alla trasmissione del virus e su informazioni per ridurre il rischio di contagio. I counsellor devono, inoltre, incoraggiare gli utenti ad eseguire il test HIV. La formazio-ne degli operatori in questo campo è fonda-mentale, al fi ne di aumentare la coscienza dello staff sull’importanza del counselling sessuale e di ridurre la percezione di diffi col-tà a discutere di questi argomenti.

� Approccio alle minoranze etniche• I trattamenti per le tossicodipendenze si ade-

guano con diffi coltà a soggetti appartenenti a minoranze etniche; è opportuno, pertanto, adottare specifi che modalità di approccio per ridurre le barriere comunicative sociali, culturali e razziali, migliorando l’interazione counsellor - utente e, di conseguenza, l’effi -cacia del trattamento.

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� Diagnosi e doppia diagnosi• La capacità di identifi cazione della comor-

bilità psichiatrica, situazione molto frequen-te nella popolazione tossicodipendente, è uno strumento utile ad accorciare i tempi di diagnosi e trattamento.

La capacità da parte del counsellor di rico-noscere un danno cognitivo od altri distur-bi psichiatrici, sulla base delle informazioni raccolte durante l’anamnesi psicosociale ed il colloquio clinico, utile in una fase preli-minare di screening.

CONCLUSIONIIn questo lavoro si è voluto porre l’accento su un aspetto estremamente interessante della profes-sione infermieristica, ovvero il ruolo dell’ infermie-re nel Ser.T. Più di una volta è stato evidenziato che l’infermiere che opera nel Dipartimento delle Dipendenze Patologiche ha un ruolo importante e centrale sia per l’organizzazione interna sia per il servizi o che si presta all’utenza. Questo ruolo centrale pur importantissimo andreb-be maggiormente riconosciuto e sostenuto da una formazione specifi ca. L’elemento signifi cativo che emerge dalle risposte ottenute è la mancanza e la richiesta, di una formazione ad hoc che addestri l’infermiere. La tipologia dovrebbe prevedere l’ac-quisizione di competenze relative al counselling e alla gestione dei confl itti tra operatori e tra questi ultimi e i pazienti. La centralità del ruolo obbliga l’infermiere a cono-scere tutti gli aspetti della “tossicodipendenza” al fi ne di garantire e tutelare la propria professiona-lità.La fi gura sanitaria in questione deve risultare fl es-sibile e dinamica, pronta ad acquisire nuove infor-mazioni che interessano tutti gli aspetti dall’assi-stenza, dall’area psicologica a quella sociale.L’infermiere nel Ser.T deve essere preparato in maniera specifi ca per non perdere di vista l’obiet-tivo principale dell’assistenza che è “il paziente tossicodipendente”. L’infermiere deve percorrere insieme a questo tutte le tappe dall’accoglienza al

trattamento fi no al recupero, per meglio soddisfare i bisogni e migliorare l’assistenza infermieristica.

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L’abitudine al fumo costituisce uno dei mag-giori fattori di rischio nello sviluppo di alcu-ne patologie (neoplastiche, cardiovasco-

lari e respiratorie), tanto che, per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il fumo di tabacco rappresen-ta la seconda causa di morte nel mondo. Secondo i dati della stessa OMS, ammontano ad alcuni mi-lioni l’anno le vittime connesse al fumo di tabacco. La situazione è destinata a peggiorare: i decessi dovuti al fumo infatti, sono aumentati in modo pre-occupante negli ultimi trent’anni. Nel 1965, l’OMS stimava le vittime del tabagismo a circa 800.000 l’anno, di cui 700.000 nei paesi industrializzati. Ora, in questi ultimi anni, i decessi dovuti al fumo sono 2,5 milioni all’anno per gli uomini e 1,5 milioni per le donne.

Secondo i dati più recenti forniti dall’OMS si regi-strano ogni anno, nel mondo, circa 4 milioni di mor-ti per malattie derivanti dal tabacco; si tratta di un dato destinato a crescere, secondo stime che in-dicano un numero di morti pari a 10 milioni annui negli anni 2020-2030.Il consumo delle sigarette dai primi del novecento ad oggi è andato in crescendo in tutti i Paesi del mondo, risentendo di varie situazioni ambientali e storiche: in aumento fi no agli anni 70, poi, con l’in-dividuazione del rapporto tra fumo e danni (in par-ticolare con il cancro del polmone), con l’abolizione della pubblicità delle sigarette, con la presa di co-scienza dei movimenti dei diritti dei non fumatori, con l’introduzione di tasse sulle sigarette, si è as-sistito ad una riduzione del numero delle sigarette

INFERMIERI E TABAGISMODott. Inf. Antonio Gravina

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fumate. Dagli anni 90 in poi le cosa sono cambiate.Nuove categorie di cittadini hanno provveduto a ri-costituire i plotoni dei fumatori, ridottisi per l’elevata incidenza di morti o per l’esistenza di pentiti. Ci si riferisce alle donne e alle classi di immigrati dai pa-esi in via di sviluppo.Ecco quindi che negli ultimi dieci anni il consumo di sigaretta non solo non è diminuito, ma sembra addirittura in aumento.Negli ultimi trent’anni la percentuale di fumatori in Europa si è ridotta dal 45 al 30 per cento nel-la popolazione adulta; tuttavia la tendenza globale negli ultimi tempi è relativamente costante, con un declino solo lieve dagli anni Novanta ad oggi. Nel 2001 fumavano il 38 per cento degli uomini e il 23 per cento delle donne, pur con ampie differenze di numeri all’interno dei singoli stati. Tra i giovani l’abitudine tabagica coinvolgeva il 27-30 per cen-to dei soggetti: una quota leggermente in rialzo e che, comunque, non ha registrato fl essioni dalla seconda metà degli anni Novanta ad oggi. In Italia, in particolare, fumano attualmente il 22 per cento degli adolescenti maschi e ben il 28 per cento delle adolescenti femmine. Circa 85 mila persone all’an-no in Italia, peraltro, muoiono per cause collegate al fumo.1

Incidenza sulle varie fasce di etàL’incidenza del tabagismo, emersa dallo studio Eu-roaspire II, condotto in nove paesi europei (Repub-blica ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Slovenia e Spagna) e pubblicato sul “Lancet”, non si è modifi cata negli ultimi anni. In particolare, non ci sono state variazioni rispetto a quanto rilevato in un primo studio, realizzato tra il 1995 e il 1996, secondo cui l’incidenza del tabagi-smo era del 20 per cento circa. Dopo quattro anni lo studio ha analizzato quanti malati seguono le re-gole consigliate per un’effi cace prevenzione, con-frontando questi dati con quelli raccolti nella ricerca precedente (Euroaspire I, condotto quattro anni pri-ma nei medesimi Paesi). Ebbene, il fenomeno del tabagismo è risultato avere un’incidenza maggio-re e una preoccupante tendenza ad aumentare tra i più giovani, dove 4 su 10 fumano. Nei gruppi di popolazione dove l’uso della sigaretta è diffuso da decine d’anni, il 90-95 per cento dei casi di cancro polmonare, l’80-85 per cento di quelli di bronchite cronica e d’enfi sema polmonare, il 20-25 per cen-to dei decessi per cardiopatia ed incidenti cerebro-vascolari sono dovuti al fumo. I fumatori sono più numerosi delle fumatrici: nei paesi occidentali fuma il 40 per cento della popolazione maschile, e nei

1 Dati ISTAT 2001.

paesi in via di sviluppo il 40-60 per cento; per le donne le percentuali sono rispettivamente del 20-40 per cento e del 2-10 per cento. In Italia fuma il 31,5 per cento degli uomini e il 26,6 per cento delle donne. Queste differenze percentuali tra uomo e donna giustifi cano i tassi d’incidenza delle malattie fumo-correlate, specie quelle dell’apparato respira-torio. Un italiano su 3 dopo i quindici anni è fuma-tore di oltre cinque sigarette al giorno; la massima prevalenza si ha fra i trenta e i quarantanove anni, con una media di quindici sigarette al giorno. Fra le donne, le emiliane sono al primo posto con il 35 per cento di fumatrici; le laziali con il 31 per cento sono al secondo; seguono le sarde con il 12 per cento. Sembra che solo il 3 per cento delle fumatrici decida di abbandonare defi nitivamente la sigaretta, mentre la disponibilità dei maschi “pentiti” sarebbe del 15 per cento . Uno studio commissionato nel 2003 alla DOXA dall’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga ha messo in evidenza che, in quello stesso anno, nell’ampia fascia di età dai quindici ai venti-quattro anni, la quota di fumatori è del tutto simile a quella rilevata nelle altre classi d’età (il 32.6 per cento dei maschi e il 20.7 per cento delle femmi-ne). In tale studio, se da un lato i dati sui giova-ni sono ancora molto alti in percentuale, dall’altro la tendenza sembra essere positiva, con un calo dei giovani fumatori dal 34,1 per cento del 2001, al 29,1 per cento del 2002 e al 26,8 per cento del 2003. In Italia, nel 2001, si è abbassata sempre di più l’età in cui si comincia a fumare e, se l’età della prima sigaretta è intorno ai tredici anni, 6-7 ragazze su 10 la anticipano addirittura a dodici anni. Tra i giovanissimi, inoltre, il 70 per cento dei maschi e l’80 per cento delle femmine non disapprovano il consumo casuale di sigarette, perché non ne rico-noscono il rischio. Il fatto che dal 1993 a oggi, in Europa come in Italia, siano progressivamente in aumento i giovanissimi, ossia gli adolescenti in età scolare che fumano, dimostra che la prevenzione a livello comunitario ha avuto delle falle, mentre, parallelamente, le multinazionali del tabacco hanno adeguatamente studiato il campione di popolazione a cui indirizzare le proprie campagne pubblicitarie, cioè la fascia più giovane. Si tratta di adolescenti fra i tredici e i diciassette anni, in maggioranza ragazzi, i quali abitano al nord e fumano in media sette siga-rette al giorno, che comprano quasi sempre da soli. Sei miliardi di euro di spesa, migliaia di morti, e altri migliaia che, purtroppo, moriranno. A tirare le som-me è stato un panel di esperti riuniti a Trieste in oc-casione del convegno “Fumo Salute e Sanità”, che ha sgranato cifre davvero impressionanti: il 6,7% della spesa sanitaria italiana impiegato per curare

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le patologie legate al fumo; 5,4 milioni di morti in tutto il mondo destinati a diventare 8,3 milioni del 2030; un fumatore su due destinato ad una morte prematura. Date e cifre che fanno chiaramente del fumo il principale rischio di morte della nostra so-cietà.2

Incidenza tra studenti infermieriIl fumo dilaga tra gli infermieri del futuro, ovvero gli studenti di Scienze Infermieristiche: il 44% di loro fuma, cioè un numero doppio rispetto alla frequen-za di questo vizio nella popolazione generale. Lo dimostra uno studio italiano pubblicato sul Journal of Advanced Nursing da Anna Maria Tortorano, del Dipartimento di Salute Pubblica dell’Universi-ta’ di Milano. L’indagine ha coinvolto 812 matrico-le di Scienze Infermieristiche: e’ risultato che fuma il 39% delle studentesse e il 53% degli studenti, (media 44%); il 37% fuma fi no a cinque sigarette al giorno, il 4% oltre 20. Gli ex-fumatori sono invece il 12% degli intervistati. Gli esperti hanno riscontrato che molti dei fumatori hanno almeno un genitore che fuma se non entrambi; inoltre molti hanno una sorella o un fratello a loro volta fumatore. E’ inte-ressante notare non solo che la quota di studenti di

2 Commissionato nel 2003 alla DOXA dall’Osservatorio Fumo.

Scienze Infermieristiche che fuma e’ quasi il doppio della quota di fumatori tra gli studenti di Medicina dello stesso ateneo, sottolinea Tortorano; ma anche che la percentuale di infermieri nei fumatori accaniti e’ circa doppia della percentuale di fumatori nella popolazione generale. Gli infermieri, come i medi-ci, devono dare il buon esempio ai propri assistiti, conclude Tortorano; e’ diffi cile che un infermiere fu-matore consigliera’ o sara’ incisivo nel dissuadere un suo paziente.3

Incidenza in ItaliaFinalmente, è il caso di dirlo, in Italia il numero dei fumatori ricomincia a calare pur restando molto ele-vato. Lo sostiene uno studio della Doxa per conto dell’Istituto superiore di sanità, della Lega italiana per la lotta contro i tumori e dell’ Istituto Mario Negri. Rispetto al 2009 i fumatori sono diminuiti del 5%, anche se continuano a essere più di 11 milioni di persone, 5,9 milioni di uomini e 5,2 milioni di donne. In percentuale si parla di più del 20% della popola-zione italiana, neonati compresi.Il dato è diverso tra popolazione maschile e femmi-nile: gli uomini hanno smesso di più, passando dal 28,9% al 23,9%, contro il passaggio dal 22,3% al 19,7% delle donne. Un calo quasi doppio. Se vo-

3 (ANSA) - ROMA, 14 GEN 2010.

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gliamo contare le sigarette, la Doxa stima che ven-gano consumate ogni giorno 13 sigarette per fuma-tore, anche se il 43,3% dei tabagisti arriva a 24 al giorno e il 6% supera addirittura le 25.Riguardo all’età dei fumatori, il gruppo maggiore è quello delle persone comprese tra 25 e 44 anni (26,6%), seguiti dalla fascia 45-64 anni (25,7%). E chi fuma comincia prestissimo: più di uno su tre ac-cende la prima sigaretta prima di compiere 15 anni, più della metà prima dei 18: in totale quindi l’85% dei fumatori comincia a scuola, prima di diventare maggiorenne.Alla Commissione sanità del Senato si sta discu-tendo il disegno di legge fi rmato da Ignazio Marino e Antonio Tomassini, che prevede il divieto di fumo per i minorenni (oggi il tabacco è vietato a chi ha meno di 16 anni). E poi, per rendere ancora più ef-fi cace la legge sul divieto di fumo nei locali pubblici, prevede di bandire le sigarette anche dagli spazi all’aperto di bar, ospedali, scuole e ristoranti. Infi ne, tra gli altri provvedimenti, propone di vietare il fumo mentre si è alla guida di un’automobile. Se verrà approvato, la vita sarà un po’ più dura per fumatori e fumatrici.4

Nella sigaretta abbiamo la presenze di due famiglie di agenti:agenti tossici: ossidi di azoto, ammoniaca, monos-sido di carbonio, formaldeide, acetaldeide, acrolei-na, acido cianidrico, nicotina e altri alcaloidi, metalli (cadmio, arsenico, nickel, piombo), fenoli.agenti cencerogeni: nitosamine, formaldeide, amine aromatiche, idrocarburi aromatici policiclici, composti radioattivi (polonio 210, radon), benzeni. Gli effetti tossico-irritativi e cancerogeni sono ca-paci anche di determinare signifi cative compromis-sioni del sistema immunitario locale e generale. Il materiale che si ritrova nel fi ltro per effetto della combustione si defi nisce “catrame”. Il monossido di carbonio, invece, non è trattenuto da nessuno dei fi ltri oggi disponibili.

Fumo PassivoSi parla di esposizione a fumo passivo quando, in-volontariamente, una persona respira il fumo di ta-bacco consumato da altri. Il fumo passivo è la prin-cipale fonte di inquinamento dell’aria negli ambienti confi nati. Sostanze cancerogene specifi che del ta-bacco sono state trovate nel sangue e nelle urine di non fumatori esposti a fumo passivo.Studi di non fumatori esposti a fumo passivo sul la-voro mostrano un aumento del rischio di cancro del polmone tra il 16% ed il 19%.

4 Doxa (LILT), 25/05/2010.

Numerosi studi hanno dimostrato la correlazione tra fumo passivo e tumori al punto che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro( IARC) dell’OMS, lo ha classifi cato come cancerogeni di classe A, ed inserito tra le 88 sostanze sicuramente cancerogene. 5

Ecco i principali danni da fumo passivo:aumento del rischio di tumore del polmone di oltre il 20% per le donne e del 30% per gli uomini;aggregazione piastrine del sangue con un aumento della viscosità e del rischio di trombosi;aumento del 30% del rischio di malattie del cuore;aumento dell’80% del rischio di ictus cerebrale;aumento del 40-60% del rischio di asma bronchiale;per i bambini, la cui mamma è fumatrice, aumento del 70% del rischio di malattie delle vie respiratorie, e incremento di asma e otite;morte improvvisa in culla del lattante.Altri effetti provati riguardano: respiro corto, irrita-zione delle vie aeree, tosse, mal di testa, mal di gola, irritazione agli occhi.E’ stato mostrato che il fumo passivo, come del resto il fumo attivo, aumenta il rischio di ictus ce-rebrale. L’entità dell’incremento è pari all’82%. In confronto i fumatori attivi hanno un rischio 4 volte maggiore rispetto ai mai fumatori o agli ex fumatori che hanno smesso da almeno 10 anni. Poiché l’ic-tus è molto frequente, questo signifi ca che il fumo passivo ha un impatto esteso sulla salute dei non fumatori. Il fumo passivo ha un lieve ma signifi cativo impatto sull’apparato respiratorio degli adulti non fumatori provocando aumento del rischio di tosse, produzio-ne di muco, riduzione della funzione respiratoria. Gli adulti esposti a fumo passivo a casa o sul luo-go di lavoro hanno un rischio di asma bronchiale aumentato del 40-60% in confronto con adulti non esposti. L’associazione tra fumo passivo e bronco-pneumopatia cronico ostruttiva (BPCO) è stata evi-denziata in numerosi studi. Si tratta di una associa-zione piccola, ma non è ben chiaro se ciò dipenda da una carenza di dati o dalla diffi coltà di disegnare studi ben fatti in questo caso, perché si tratta di ef-fetti a lungo termine per malattie respiratorie croni-che non maligne.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa la metà dei bambini di tutto il mondo sono esposti al fumo ambientale prodotto dai fumatori adulti. In Italia, il 22% dei bambini tra 13 e 24 mesi hanno una madre fumatrice, e circa la metà, il 52%, sono esposti a fumo di tabacco in casa. Il fumo ma-

5 Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro( IARC) dell’OMS.

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terno è la maggiore fonte di fumo passivo, a causa dell’effetto cumulativo dell’esposizione durante la gravidanza e la stretta prossimità nelle prime fasi della vita.E’ stato stimato che i fi gli di madri fumatrici hanno un eccesso di rischio del 70% di avere malattie del-le basse vie respiratorie rispetto ai bambini fi gli di madri non fumatrici.Il fumo materno durante la gravidanza è la principa-le causa di morte improvvisa del lattante (sudden infant death sindrome, SIDS) e di altri effetti sulla salute, incluso il basso peso alla nascita e ridotta funzionalità respiratoria. L’asma, la malattia cronica più comune nei bambini, è più frequente tra i bam-bini i cui genitori fumano.Azione lesiva a livello polmonareI fattori tossico-irritativi, provocano molteplici azioni lesive a livello polmonare che vengono così rias-sunte:Azione citolitica (ditruzione della cellula) diretta sul-le cellule brachiali e parenchimali;Ridotta rimozione delle sostanze nocive a livello delle vie aeree per compromissione della dinamica delle cilie ed importanti modifi cazioni a carico delle proprietà visco-elastiche del muco, per azione di-retta sulla sua composizione e secrezione;Degradazione delle componenti della matrice ex-tracellulare ed alterazioni delle strutture connettivali di sostegno, esposte all’azione degli enzimi proteo-litici rilasciati dalle cellule infi ammatorie;Ossidazione diretta sull’alfa-1-antitripsina che de-termina la riduzione fi no al 50% dell’attività di que-sto enzima; la riduzione dell’alfa-1-antitripsina è responsabile delle lesioni distruttive della matrice connettivale tipiche dell’enfi sema.Le alterazioni strutturali a carico della parete bron-chiale, il danno ipersecretivo e l’incapacità funzio-nale della difesa meccanica (clearance mucocilia-re), bio umorale e cellulare favoriscono le aggres-sioni ripetute da parte di agenti patogeni batterici e virali. Il fumo, poi, stimolando una parte del nostro sistema nervoso (adrenergico) può favorire la va-socostrizione o gli spasimi delle arterie (soprattutto delle coronarie). Smettendo di fumare il rischio si ri-duce dopo solo un anno di astinenza. Dopo 20 anni diventa simile, ma sempre un po’ superiore a quello di chi non ha mai fumato.Il ripetersi degli episodi infettivi porta alla croniciz-zazione del processo fl ogistico con eventi lesivi dei tessuti interessati e riparativi anormali, che si susseguono e che conducono, inevitabilmente, ad alterazioni anatomo-funzionale irreversibili a carico di tutte le vie aree, soprattutto di quelle periferiche.Il fumo di sigaretta è la causa di maggior rilievo nel-

lo sviluppo della BPCO. Altre possibili cause posso-no agire come fattori di rischio indipendente,ma la loro importanza è minima se paragonataa quella del fumo. Solo nell’1% dei casi di BPCO si rileva un fattore di rischio di importanza paragona-bile, che è il defi cit di alfa1-antitripsina.Nei soggetti non fumatori, vi è una diminuzione fi -siologica della funzione polmonare del 25-35%, mentre per quanto riguarda i fumatori vi è una di-minuzione della funzione polmonare pari al 90%. Questo processo può essere arrestato ed in parte fatto regredire mediante la cessazione del fumo. Lo studio “Lung Health Study”ha evidenziato come pazienti che avevano sospeso il fumo presentas-sero un aumento medio della funzione polmona-re post-broncodilatazione pari al 57%, mentre per quelli che avessero continuato a fumare vi era stato un ulteriore diminuzione della funzione polmonare del 38%. Ciò dimostra che la sospensione del fumo non solo arresta il progressivo declino della funzio-ne polmonare ma può addirittura farla migliorare.6

Alterazione Sistema Cardio-VascolareIl fumo di tabacco è un fattore di rischio di malattie cardiovascolari. E’ un fattore di rischio sicuro e modifi cabile.Il concetto di identifi cazione e modifi cazione del fat-tore di rischio si basa sulla premessa che l’esposi-zione a certi fattori incidentali e ambientali aumenta statisticamente il rischio di sviluppare una patologia e che il mutamento di queste condizioni diminuisce il rischo.Nel Framinigham Heart Study la mortalità cardio-vascolare è aumentata del 18% negli uomini e del 31% nelle donne per ogni 10 sigarette al giorno. Fumare aumenta il rischio di malattia coronarica, ictus cerebrale, infarto e malattie vascolari periferi-che a qualsiasi livello di pressione arteriosa. Il fumo passivo è anche associato ad aumento ri-schio di patologie cardiovascolare. In un’analisi di 9 studi epidemiologici il rischio relativo per malattie di cuore tra individui che non hanno mai fumato era di 3,0 in soggetti che vivevano con fumatori abituali. Infatti, in questa analisi è stato visto che per i non fumatori che vivevano con fumatori accaniti le pos-sibilità di morire di patologie cardioischemiche en-tro l’età di 74 anni era del 9,6% mentre nei soggetti che vivevano con non fumatori era del 7,4%.L’uso di tabacco riduce il colesterolo HDL.In uno studio epidemiologico il colesterolo HDL era più basso del 12% in fumatori e del 7% in fumatrici che in non fumatori. La sospensione del fumo mi-gliora altri fattori di rischio cardiovascolare. In un re-cente studio, il colesterolo LDL diminuiva del 5,6%

6 Lung Health Study.

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ed il colesterolo HDL aumentava del 3,4% in sog-getti che avevano smesso di fumare e di masticare gomma nicotinica per almeno 12 settimane.In uno studio di 1282 casi con 2068 controlli il ri-schio d’infarto nei fumatori esaminati era di 2,7 negli uomini e 4,7 nelle donne, confrontato con i rispettivi rischi nei non fumatori. Dopo la sospen-sione del fumo il rischio è diminuito ed in circa 3 anni divenne simile a quello dei soggetti che non avevano mai fumato.La nicotina e l’ossido di carbonio favoriscono il de-posito di grassi sulla parete delle arterie e questo determina un restringimento ed un indurimento dei vasi. Ne deriva un rallentamento della circolazione, che può avere gravi conseguenze(trombi) a livel-lo del cuore(infarto), del cervello(ictus) e degli arti inferiori(arterie).La nicotina provoca la mobilizzazione delle cateco-lamine, per cui si può avere:Aumento della frequenza cardiaca;Aumento della contrattilità atriale e ventricolare;Aumento della velocità di conduzione nell’atrio, nel nodo A-V e nel ventricolo.Aumento dell’eccitabilità miocardica e della suscet-tibilità del ventricolo alla fi brillazione.I fumatori presentano livelli elevati di fi brinogeno, variabile associata ad aumento dell’aterosclerosi e degli eventi cardiovascolari acuti. L’aterosclerosi delle arterie del sistema nervoso centrale causa frequentemente ischemia cerebrale transitoria ed ictus. Se colpisce la circolazione pe-riferica si può avere claudicatio intermittens, gan-grena e defi cit della funzionalità degli arti. Il coinvol-gimento del circolo splancnico può dare origine ad ischemia mesenterica ed infarto intestinale.Il fumo di sigaretta insieme all’ipertensione, al colesterolo e all’inattività fi sica è uno dei principali fattori di rischio per l’infarto. Più sigarette una per-sona fuma, più è a rischio di infarto. L’angina pectoris si verifi ca quando il cuore non ri-ceve una suffi ciente quantità di ossigeno; questo provoca un forte dolore al petto. L’ossido di carbo-nio riduce la percentuale di ossigeno nel sangue, accelerando i battiti cardiaci. Il risultato è che i fu-matori che soffrono di angina pectoris risentono di dolori al petto molto più frequentemente dei non fu-matori. Perciò per evitare il dolore al petto i fumatori devono limitare le loro attività molto più di quanto accada ai non fumatori.Effetti del fumo sull’esteticaVi sono anche effetti sull’estetica personale ed a carico del cavo orale, infatti:Diminuisce le difese immunitarie nei confronti della placca batterica.

Determina un ingiallimento della dentina.Aumenta il rischio di gengiviti.Promuove l’insorgenza del cancro della bocca.Accelera l’invecchiamento della pelle etc.Aumento dell’irsutismo del volto e della raucedine con un rischio relativo per le forti fumatrici (+ di 10 sigg./giorno) di 5,6 per l’irsutismo del volto e di 14,2 per la raucedine.

Il fumo provoca un precoce invecchiamento della pelleE’ quanto si legge anche su alcuni pacchetti di si-garette e, anche se i danni effettivi sono pochi, le conseguenze sono pesanti. Il principale problema è che, aspirando il fumo di sigaretta, si dà il via ad una reazione a catena che porta alla formazione di radicali liberi. Sono molecole che, per tornare alla loro stabilità, vagano alla ricerca di strutture da at-taccare e, nel derma, fi niscono con il legarsi alle fi bre di collagene ed elastilna, l’impalcatura della nostra pelle la cui perfetta funzionalità consente di avere un viso compatto, fresco e giovane. Una volta danneggiate, queste fi bre si atrofi zzano perdendo la loro elasticità e provocando rughe in superfi ce.

Per quanto riguarda l’ingiallimento della dentina, esso è determinato dal catrame, presente nella si-garetta, che nel momento dell’inspirazione si depo-sita sui denti.Su scala mondiale i tumori del cavo orale insieme a quelli della laringe e della faringe rappresentano il 10 per cento circa di tutte le neoplasie maligne negli uomini e il 4 per cento nelle donne.La maggior parte dei tumori del cavo orale nasco-no nelle cellule pavimentose che rivestono l‘inter-no della bocca. Delle aggressioni ripetute con dei prodotti chimici (sigarette) o per sfregamento (pipa, tabacco da masticare) possono causare delle ulce-re o delle ferite dolorose (lesioni precancerose) che sono all’origine del cancro. Il cancro del cavo orale può manifestarsi sulle labbra, sul rivestimento inter-no di labbra e guance (detto mucosa orale), sulle gengive, sulla lingua, sui tessuti sotto la lingua (il “pavimento” della bocca), sui tessuti dietro i denti del giudizio, sulla parte ossea della bocca (palato duro o volta palatina). Molte volte però il fumo di sigaretta non agisce da solo nel Cancro del Cavo Orale, ma spesso ad esso è associato l’abuso di alcol. I tumori della bocca e del cavo orale colpiscono di solito dai 40 anni in su.

Il fumo e la GravidanzaFumare durante la gravidanza nuoce gravemente al nascituro, aumenta il rischio d’aborto o di parto

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prematuro, moltiplica il pericolo di morte improvvisa del lattante e il bambino è maggiormente esposto al rischio di ammalarsi di tumore.

La fertilità è ridottaUn team di ricercatori dell’Università di Copena-ghen ha scoperto che fumare riduce di oltre il 30 per cento le probabilità di rimanere incinte. Nelle donne le cui madri erano già fumatrici la fertilità è ri-sultata ridotta addirittura di quasi il 50 per cento. Le sostanze tossiche inalate pregiudicano il control-lo ormonale e infl uenzano la maturazione ovulare della donna e la produzione di sperma dell’uomo. Il concepimento della fumatrice risulta più diffi cile perché l’endometrio alterato ostacola la risalita de-gli spermatozoi.

Durante la gravidanzaLe tossine del fumo del tabacco che la madre as-sorbe volontariamente o involontariamente passano tramite i vasi del cordone om-belicale e la placenta direttamente al bambino che si trova nel grembo del-la madre. La nicotina provoca una diminuzione dell’irrorazione san-guigna dell’utero e della placenta e quindi anche un minore apporto di sostanze vitali al nascituro. Il mo-nossido di carbonio (CO) assunto con il fumo riduce inoltre l’apporto d’ossigeno nella circolazione materna e del bambino. Infatti, questa sostanza rimuove già in deboli concentrazioni l’ossi-geno dal suo vettore di trasporto, i globuli rossi.Complicazioni e pericoli 30 % di possibilità in più di ammalarsi d’asmaDa uno studio compiuto su 15.000 bambini, effet-tuato presso l’Università di Nottingham, è risulta-to che i bambini le cui mamme fumano durante la gravidanza corrono un rischio del 30% maggiore di ammalarsi di asma in gioventù.

Maggiore rischio di parti prematuri e abortiIn una fumatrice incinta il rischio di un parto pre-maturo a dieci sigarette al giorno aumenta del 70 per cento: è quanto risulta da una ricerca compiuta da medici svedesi in base alle nascite avvenute dal 1991 al 1993. Anche un ridotto consumo di sigaret-te comporta il 40 per cento di parti prematuri in più rispetto alle non fumatrici.

Le sostanze cancerogene raggiungono il nascituroBen tre sostanze cancerogene contenute nel fumo

del tabacco sono state rinvenute dai ricercatori anche nel sangue del feto. Tali sostanze possono danneggiare il patrimonio ereditario e quindi provo-care la leucemia o altri tumori durante la crescita. Malattie psichiatriche e fumoNonostante gli innumerevoli sforzi che vengono ripetutamente messi in atto, oggi più di qualche tempo fa, per prevenire e trattare la dipendenza da nicotina, ancora una parte considerevole della po-polazione continua a fumare. Le spiegazioni ed i perché di tale dipendenza, sembrano essere insiti nel comportamento stesso del fumatore e possono essere attribuiti in gran parte all’azione farmacolo-gica della nicotina, alcaloide presente nella foglia di tabacco. La nicotina, così come la morfi na, la cocai-na e l’amfetamina, aumenta il rilascio di dopamina nel nucleus accumbens e rinforza l’autostimolazio-ne intracranica nell’animale da esperimento.

Allo stato attuale delle conoscenze è noto che i neuroni dopaminergici che origi-

nano nell’Area ventrale tegmenta-le (AVT) del mesencefalo ed in-

nervanti, tra gli altri, il Nucleus accumbens, giocano un ruolo fondamentale nei meccanismi di incentivazione all’azione e di ricompensa coinvolti nel de-terminare una condizione di di-pendenza.

Con riferimento alla frequenza di associazione con il disturbo da

uso di altre sostanze psicoattive, si ipotizza che nel tentativo di compen-

sare un defi cit nel sistema dopaminergico, i pazienti con problemi di dipendenza potrebbero inconsciamente cercare di stimolare i circuiti meso-corticolimbici del cervello, ritenuti essere importanti nel comportamento di gratifi cazione e rinforzo.In effetti, una forma del gene DRD2, l’allele A1, ren-de il sistema dopaminergico ineffi ciente e premia l’abuso di sostanze come meccanismo per aumen-tare i livelli di dopamina nel cervello.Sembra che, in aggiunta alle sue primarie proprietà di rinforzo, la nicotina eserciti anche effetti in corso di avvenimenti stressanti, la qual cosa potrebbe es-sere tenuta in conto per spiegare il suo aumentato potere addittivo in pazienti depressi. La depressio-ne, infatti, sensibilizza i pazienti agli effetti avversi degli stimoli stressanti e ciò può essere alleviato da sostanze che stimolano il rilascio di dopamina nel cervello. L’aumentato craving verso il fumo in fuma-tori astinenti esposti a tali stimoli potrebbe essere il risultato di un condizionamento all’uso di questa proprietà della nicotina per produrre un rapido sol-

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lievo dagli effetti avversi dello stress.Al contrario, altri rilievi indicherebbero i soggetti con depressione come più inclini a divenire fumatori, a divenire fumatori dipendenti, a sperimentare diffi -coltà nello smettere di fumare e ad esperire sintomi di astinenza più severi in fase di disassuefazione . Inoltre, tali soggetti sembrerebbero maggiormente a rischio di andare incontro ad una depressione se-vera una volta che abbiano smesso di fumare, per cui sarebbe raccomandata una valutazione sulla vulnerabilità alla depressione nei confronti dei fu-matori intenzionati a smettere.Fumare tabacco è quindi un comportamento co-mune tra i pazienti psichiatrici, e non solo tra i de-pressi, ma specialmente tra quelli con diagnosi di schizofrenia, tra i quali la prevalenza di fumatori è estremamente alta, tra il 74 e l’88 %. Il Fumo e il Peso CorporeoFumare fa perdere un po’ di peso in quanto si con-suma di più, principalmente a livello di attività mu-scolare. Soprattutto fa consumare glucosio. È pro-babile che all’inizio dell’abitudine al fumo, la perdita di peso sia legata ad una inibizione dell’insulina da parte delle catecolamine. Nel tempo il fumatore mantiene le condizioni di sottopeso raggiunte sen-za aggravarle, nonostante l’aumento del consumo di tabacco. Curiosamente, mentre la sola responsa-bile di questo effetto sembrerebbe essere la nicoti-na, nelle ricerche sui ratti, l’ossidazione del gluco-sio aumenta nel fumatore rispetto al non fumatore, anche se non ha fumato dal giorno prima, mentre la nicotinemia è bassa. Tuttavia si continua a mangia-re di più. La sigaretta è conosciuta come qualcosa che “toglie l’appetito”, e chi smette di fumare si ri-trova con un maggiore senso di fame, in particola-re per alimenti zuccherati. Perciò ingrassano. Non si tratterebbe di neo-appetenza per i glucidi, ma di una depressione del gusto per il dolce, che tende a ritornare ai livelli basali dei non fumatori. La nicotina alza rapidamente la glicemia perché stimola i ricet-tori colinergici nicotinici dei neuroni post-gangliari simpatici dei gangli della catena simpatica.Le fi bre postgangliari dei nervi glucosecretori libe-

rano la noradrenalina a contatto con gli epatociti, che producono glucosio rapidamente dal glicogeno.Inoltre alcune fi bre pregangliari si articolano diretta-mente con la midollo-surrenale, l’equivalente di un ganglio simpatico, e liberano adrenalina nella circo-lazione sanguigna, fornendo così glucosio a partire dal glicogeno epatico, ma anche degli acidi grassi liberi a partire dagli adipociti.Questo innalzamento rapido della glicemia potreb-be essere responsabile dell’effetto a breve termine della sigaretta sull’appetito. Tale stimolazione glice-mica, ripetuta molte volte, ha prodottonumerose ricerche sulla relazione tra tabagismo e diabete, a partire dalle congiunzione di questi due fattori e dal rischio di diventare diabetici.

Tutela della saluteArt.32 della CostituzioneL’ART 32 della Costituzione Italiana, nel sancire la tutela della salute come “diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività”, di fatto obbliga lo Stato a promuovere ogni opportuna ini-ziativa ad adottare precisi comportamenti fi nalizzati alla migliore tutela possibile della salute in termini di generalità e di globalità atteso che il mantenimen-to di uno stato di completo benessere psico-fi sico e sociale costituisce oltre che diritto fondamentale per l’uomo, dei valori di cui esso è portatore come persona, anche preminente interesse della collet-tività per l’impegno ed il ruolo che l’uomo stesso è chiamato ad assolvere nel sociale, per lo sviluppo e la crescita della società civile. Piano Sanitario Nazionale 2002-2004

Il Piano Sanitario Nazionale 2002-2004, in linea con gli intenti degli organismi sanitari internazionali ha inserito la lotta al tabagismo tra gli obiettivi diretti a promuovere comportamenti e stili di vita per la sa-lute. Oltre ad auspicare la drastica diminuzione del numero dei fumatori il Piano pone l’accento sulle necessità del rispetto della normativa esistente sul divieto di fumo.

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Al fi ne di attivare una più incisiva azione di dissua-sione l’applicazione del divieto di fumo dovrà esse-re esteso a tutti gli spazi confi nati, ad eccezione di quelli adibiti ad uso privato e a quelli eventualmente riservati ai fumatori che dovranno essere dotati di appositi dispositivi di ricambio d’aria per tutelare la salute dei lavoratori addetti.Gli interventi legislativi, comunque, devono essere coniugati con maggiori e più incisive campagne di educazione ed informazione sui danni procurati dal fumo attivo e/o passivo, la cui effi cacia potrà essere maggiore se verranno rivolte soprattutto ai giovani in età scolare e alle donne in età fertile.Dovrà essere inoltre varato un piano di comunica-zione istituzionale sugli stili di vita, i comportamenti salutari e non salutari, la prevenzione e l’appropria-tezza degli interventi, curando l’aggiornamento dei medici e degli altri operatori sanitari.L’Italia diventa il modello di riferimento in Europa per la lotta alle ‘bionde’. Con una riduzione dei fu-matori del 15% circa infatti, la legge che ha intro-dotto severe restrizioni al consumo di sigarette nei luoghi pubblici, si e’ gia’ dimostrata un successo.La Società Europea di Cardiologia (ESC), infatti, ha chiesto uffi cialmente che la nostra legislazione ven-ga applicata anche negli altri Paesi europei.7

L’Italia è stata il primo “grande” Paese europeo ad applicare il divieto di fumo in tutti i luoghi chiusi, pubblici e privati. La legge italiana ha rappresenta-to un modello per altri Paesi europei: la Francia è l’esempio più recente. Inoltre, la comunità scientifi ca internazionale ha ri-conosciuto all’Italia un ruolo di capofi la nella promo-zione di politiche “smoke-free”. Nel settembre del 2007 il “Sistema Italia” (ministero della Salute, Re-gioni, Lilt, Cspo, Cpo di Torino, Ior di Forlì, Int di Mi-lano) ha infatti ricevuto il premio di eccellenza della Global Smoke-free Partnership per “l’ottimo lavoro di preparazione, applicazione e monitoraggio della

7 AGI - Association for Geographic Information, 04/09/200

normativa sul divieto di fumo quale politica effi cace per la tutela dei non fumatori e la promozione della salute pubblica”. 8

Centri Anti-Fumo.La storia dei trattamenti di disassuefazione dal fumo è lunga, più lunga di quanto sembra se si osserva il fatto che più della metà dei Centri Antifumo italia-ni ha iniziato la propria attività negli ultimi quattro anni. La nascita dei primi centri di disassuefazione risale alla fi ne degli anni ‘80. Oggi i posti presso i quali si può effettuare un trattamento antitabagico sono 345 in tutto il territorio nazionale, stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, che sul proprio sito fornisce una mappatura dei vari centri e censi-sce alcune tra le caratteristiche salienti dei servizi forniti da ciascuno di essi. Si osserva una certa ete-rogeneità nella tipologia di prestazioni fornite e di composizionedelle equipe. Il medico è presente nel 98% di que-ste strutture, mentre lo psicologo nel 55% dei casi circa. Un’equipe che preveda entrambe le fi gure professionali è disponibile solo nel 54% dei casi. La maggior parte dei centri, comunque,effettua una valutazione preliminare dei pazienti, pratica tratta-menti di disassuefazione sotto forma di counselling individuale (80%) in più colloqui o di gruppo (60%), offre la prescrizione di NRT o bupropione. Resta alta l’esigenza di formazione, di una maggiore possibilità di integrazione fra le varie risorse pro-fessionali (medici, psicologi, infermieri etc…),di un inquadramento istituzionale di questi servizi e di un adeguato riconoscimento delle prestazioni erogate. Gli operatori devono almeno parzialmente staccarsi dal loro background culturale e clinico per calarsi in una professionalità “diversa”, che richiede compe-tenze specifi che. I trattamenti devono rispondere a requisiti di effi cacia, convenienza, sicurezza.

Smettere di FumareRicerche condotte sui fumatori mostrano che circa l’85% dei fumatori desidera smettere ma il fumo dà così tanta assuefazione che meno del 10% delle persone riesce effettivamente nell’intento di abban-donare quest’abitudine. Smettere di fumare è una decisione personale che richiede una vera motivazione, molta forza di volon-tà ma soprattutto un vero sostegno.

Come smettereI metodi utilizzati per poter smettere di fumare sono molti, alcuni più efficaci ed altri meno, ma

8 Ccm - Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie del ministero della Salute.

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in realtà ciò che determina l’efficacia del meto-do è la volontà della persona nello smettere di fumare.Possiamo dividere i vari metodi in due gruppi, che rappresentano i provvedimenti da prendere per ovviare alle due caratteristiche di dipenden-za:Sostituti di nicotina(dipendenza fisica);Eliminazione delle condizioni che aumentano il desiderio della sigaretta(dipendenza psichica).

Prima di iniziare una terapia di sostituti di nico-tina, è opportuno eseguire il Test di Fagerstrom per valutare lo stato di dipendenza in modo da poter eseguire un giusto dosaggio della nicoti-na. I sostituti alla nicotina devono apportare una quantità di nicotina vicina a quella che consuma-vate all’inizio.Per smettere di fumare, esistono diverse forme di sostituti della nicotina :La gomma da masticare: esiste in due dosaggi : 2 e 4 mg. La dose media liberata è di 1 mg per le gomme da 2 mg e un pò meno di 2 mg per le gomme da 4 mg. La nicotina è assorbita dalle mucose.Il sistema transdermico(timbro o patch) è stato sviluppato per evitare e difficoltà d’uso legate alle gomme. Questo sostituto è il più sviluppato per smettere di fumare.La sigaretta elettronica o e-sigaretta : Il sostituto alla nicotina più efficace oggigiorno. In effetti ol-tre all’apporto di nicotina, la sigaretta elettronica permette di mantenere il gesto e il fumo di una sigaretta tradizionale. Questo metodo può far anche parte del gruppo dei metodi utilizzati per vincere la dipendenza psichica, ossia dell’abitu-dine alla sigaretta, data la somiglianza dell’appli-cazione del metodo al fumare una sigaretta. I sostituti alla nicotina, di cui la sigaretta eletronica,sono sconsigliati alla seguenti per-sone : donne in stato di gravidanza,durante l’allattamento,pazienti colpiti da malattie cardiovascolari,minorenni e prima di un interven-

to chirurgico.Per poter eliminare, invece, la dipendenza psi-chica è necessario coinvolgere le altre abitudini di vita, come: l’alimentazione e l’esercizio fisico, è inoltre importante che vi sia anche un aiuto da-gli altri che vi circondano.La nicotina, un alcaloide facilmente assorbito dall’organismo che induce sul sistema nervoso e cardiovascolare dipendenza e altri effetti simili, è tra i maggiori responsabili del temuto aumento di peso. In quanto, la nicotina è causa di un’azione ano-ressizzante; perciò, una volta abbandonate le si-garette, l’appetito, come risposta alla reazione di abbandono, aumenta.Ed è questa la motivazione che molte volte porta alla ricaduta, per questo è molto importante an-che apportare delle tempestive modifiche all’ali-mentazione, facendo una dieta ricca di ortaggi, frutta e verdura; evitare quei alimenti che stimo-lano il desiderio di sigaretta, come ad esempio la cioccolata, il caffè e tutti i cibi altamente calorici ed infine è importante evitare gli alcolici. L’ideale sarebbe quello di consultare un dietologo e farsi aiutare nella formazione della dieta adeguata. Se si avvertono i sintomi d’astinenza da nicotina ed aumenta il desiderio di fumare una sigaretta, è utile bere un bicchiere d’acqua, mangiare della frutta, masticare un chewing gum senza zucche-ro o delle caramelle.Praticare dello sport aiuta sicuramente a dimen-ticare la sigaretta.Con lo sport si vanno a migliorare le capaci-tà respiratorie le quali, trarranno anche vantag-gio dall’assenza del fumo di sigaretta e in questo modo si può riscoprire le sensazioni piacevoli di un’attività sportiva ma soprattutto il benessere.Individuale o di squadra, in un club o in pale-stra, lo sport è un alleato effi cace; l’attività fi si-ca non solo allontanerà il desiderio di nicotina evitando cosi l’aumento di peso, ma soprattutto ti terrà occupato in un’attività e ti darà dei nuo-vi interessi, tutto ciò è incompatibile col fumo.

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Per essere effi cace, la pratica sportiva deve essere costante e regolare.

Perché non è facile smettere di fumare.Studi scientifi ci controllati rivelano che i fumatori cercano di mantenere dei livelli costanti di nico-tina nel cervello. La nicotina e’ una sostanza d’a-buso (droga) e come tale agisce come un rinfor-zo positivo primario. Quando la nicotina e’ som-ministrata per via endovenosa a fumatori, questi la classifi cano come piacevole e gratifi cante e le assegnano un punteggio elevato nella scala di godimento. Questa classifi cazione soggettiva e’ molto simile a quella dell’anfetamina e della morfi -na per le sue proprietà euforizzanti. E’ importante notare che la somministrazione endovenosa non sopprime del tutto il desiderio di fumare, proba-bilmente a causa di altri rinforzi associati al fumo.In una certa misura gli effetti della nicotina asso-migliano a quelli degli stimolanti psicomotori, co-caina e anfetamine, ma, a causa della sua azione indiretta, il suo limite superiore di rinforzo e’ molto più basso.La nicotina stimola la liberazione di un neurotra-smettitore chiamato dopamina agendo sulle cellu-le specifi che che la producono mentre la cocaina e l’anfetamina agiscono sulla dopamina con un al-tro meccanismo. Gli effetti specifi ci della nicotina sull’umore sono molto diffi cili da dimostrare se non mediante il sollievo che essa induce nei fumatori quando essi si trovano in astinenza. Inoltre l’altra diffi coltà nello smettere di fumare è quella non le-gata alla nicotina, ma all’abitudine del fumare, ad esempio: dopo il caffè, dopo i pasti, dopo o duran-te aver fatto il bagno a mare ecc.

Assistenza InfermieristicaL’assistenza infermieristica o nursing è una discipli-na focalizzata nell’assistere e prendersi cura degli individui, le famiglie e le comunità per ottenere, ri-ottenere e mantenere salute e funzionalità ottimali. “Funzione specifi ca dell’infermiere è quella di assi-stere l’individuo, sano o malato, per aiutarlo a com-piere tutti quegli atti tendenti al mantenimento della salute o della guarigione - atti che compirebbe da solo se disponesse della sua forza, della volontà, o delle cognizioni necessarie - e di favorire la sua partecipazione attiva in modo da aiutarlo a riconqui-stare il più rapidamente possibile la propria indipen-denza” (Virginia Henderson - 1953). Oggi più che di assistenza infermieristica si parla di Processo di assistenza.L’assistenza infermieristica è la disciplina che con-sente al professionista adeguatamente formato di

rilevare e rispondere al bisogno di salute attraverso l’utilizzo della strategia del problem solving. Il pro-cesso di assistenza consiste nella presa in carico dell’individuo che presenti un bisogno di salute.Il problem solving, detto anche processo scientifi co, può dunque essere defi nito come un processo me-todico e dinamico che permette di studiare un fatto, una situazione o un problema, allo scopo di trovare una soluzione. Benché tale processo abbia origine nelle scienze dell’amministrazione, esso è oggi dif-fuso in diversi ambiti professionali. Il problem solving comporta cinque fasi distinte:La raccolta dei dati;L’interpretazione e analisi dei dati;La pianifi cazione;L’attuazione;La valutazione.Il metodo scientifi co deve essere considerato un metodo di lavoro che consente di migliorare l’effi ca-cia professionale. Esso, ed esempio, aiuta a visua-lizzare con rapidità il o i problemi esistenti e con-sente di defi nire un paio di azioni per la risoluzione dei problemi, di eseguire il piano ed infi ne verifi care se i problemi identifi cati siano stati risolti. Il processo scientifi co ha molto in comune con gli elementi propri dell’atto infermieristico. In Canada la professione infermieristica è governa-ta da una legge, la “Loi des infi rmiers” o Loi 273, che interviene in materia di professione infermie-ristica e dunque anche sull’atto infermieristico(art. 36 – 37):E’ proprio della professione infermieristica ogni atto che ha per oggetto l’identifi cazione dei bisogni di salute della persona, il contributo alle metodiche diagnostiche, lo svolgimento e la responsabilità dell’assistenza infermieristica in materia di promo-zione sanitaria, prevenzione della malattia, tratta-mento terapeutico e riadattamento, così come ogni assistenza prestata su prescrizione medica.Gli infermieri possono, nell’esercizio della profes-sione, svolgere attività di educazione sanitaria per la popolazione.Il DM n° 739 del 14/09/1994 – Art. 1- comma 2,dice che l’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa, e riabilitativa è di natura tecnica, relazio-nale, educativa. Le principali funzioni sono la pre-venzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria. Marisa Cantarelli propone un modello manageriale, che fa proprie le istanze di professionalizzazione degli infermieri: il modello delle prestazioni infer-mieristiche. Mentre il compito richiede un passivo esecutore, la mansione arricchita del professionista richiede completezza, autonomia e responsabilità.

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Chiariti i concetti di bisogno, uomo, salute e am-biente, l’autrice individua i bisogni di assistenza in-fermieristica: - bisogno di respirare - bisogno di alimentarsi e idratarsi - bisogno di eliminazione urinaria e intestinale - bisogno di igiene - bisogno di movimento

- compensare - sostituire. Il modello della Cantarelli è già stato sperimentato con successo in alcune realtà nazionali, aumentan-do il grado di soddisfazione di infermieri e clienti e migliorando la qualità dell’assistenza. Si tratta di un modello manageriale nuovo, che ri-chiede agli infermieri maggiore autonomia e più motivazione. Rappresenta una forte gratifi cazione per l’infermiere il passaggio da un’assistenza tecni-ca standardizzata ad un’assistenza per prestazioni, più personalizzata e professionale.

L’Infermiere nella prevenzioneIl DM 739/94 individua cinque aree della specializ-zazione infermieristica: sanità pubblica; pediatria; salute mentale/psichiatria; geriatria; area critica.

L’Infermiere di Sanità Pubblica è un Infermiere che ha conseguito il titolo universitario di Master in in-fermieristica in Sanità Pubblica ed ha acquisito competenze specifi che nell’area della prevenzione allo scopo di attuare interventi volti al miglioramen-to continuo di qualità

L’Infermiere di Sanità Pubblica ha competenze per:effettuare un’analisi della comunità oggetto d’inda-gine;Realizzare un’assistenza infermieristica centrata sui problemi di salute e le necessità della persona assistita e/o la famiglia in relazione all’età, al grado di autonomia, alla necessità di mantenere e svilup-pare legami affettivi e sociali;Gestire (pianifi care, monitorare e valutare) il proces-so infermieristico in cooperazione con la persona, la famiglia, la comunità nell’ambito del gruppo di lavoro;Promuovere l’educazione terapeutica della fami-glia, della persona e del caregiver;Contribuire alla promozione della salute attraverso l’educazione alla salute della popolazione, la pre-venzione e la diagnosi precoce;Ecc….

L’Infermiere di famiglia è cardine della continui-tà assistenziale, è un professionista sanitario che progetta, attua, valuta interventi di promozione pre-venzione, educazione e formazione. E’ colui che si occupa dell’assistenza infermieristica all’individuo e

- bisogno di riposo e sonno - bisogno di mantenere la funzione cardiocircola-torie - bisogno di un ambiente sicuro - bisogno di interazione nella comunicazione - bisogno di procedure terapeutiche - bisogno di procedure diagnostiche.

Ad ogni bisogno corrisponde una particolare pre-stazione infermieristica e cioè: - assicurare la respirazione - assicurare l’alimentazione e l’idratazione - assicurare l’eliminazione urinaria e intestinale - assicurare l’igiene - assicurare il movimento - assicurare il riposo e il sonno - assicurare la funzione cardiocircolatoria - assicurare un ambiente sicuro - assicurare l’interazione nella comunicazione - applicare le procedure terapeutiche - eseguire le procedure diagnostiche.

Soltanto per quanto riguarda le procedure diagno-stiche e terapeutiche l’autonomia dell’infermiere è limitata dall’autorità del medico. Nell’ambito di ciascuna prestazione, l’infermiere mette in atto delle azioni, che modulano il suo inter-vento. Lungo il continuum autonomia-dipendenza della persona assistita, l’infermiere si preoccuperà di: - indirizzare - guidare - sostenere

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alla collettività; sostiene interventi di ricerca, indagi-ni epidemiologiche in comunità e in ambito familia-re promuovendo azioni educative e preventive oltre che curative.L’infermiere di famiglia gioca un ruolo importan-te nel potenziamento della comunità e nel lavoro congiunto con questa per incrementarne le risorse e perché riesca a trovare soluzioni proprie ai loro problemi. L’infermiere di famiglia svolge un ruolo essenziale per raggiungere il pieno potenziale di salute per tutti, attraverso il perseguimento di due obiettivi principali:promuovere e proteggere la salute della popolazio-ne, lungo tutto l’arco della vita;ridurre l’incidenza delle malattie e degli incidenti più comuni e alleviare le sofferenze che questi causa-no.L’infermiere di famiglia giocherà inoltre un ruolo importante nel potenziamento della comunità e nel lavoro congiunto con questaper incrementarne le risorse e perché riesca a tro-vare soluzioni proprie ai loro problemi. L’infermiere di famiglia svolgerà un ruolo essenziale per rag-giungere il pieno potenziale di salute per tutti, at-traverso il perseguimento di due obiettivi principali:promuovere e proteggere la salute della popolazio-ne, lungo tutto l’arco della vita;ridurre l’incidenza delle malattie e degli incidenti più comuni e alleviare le sofferenze che questi causano.Il lavoro dell’infermiere di famiglia è una relazione interattiva in cui infermiere e famiglia sono partner.Obiettivo dell’intervento infermieristico è quello di mantenere e, se possibile nel tempo, migliorare l’e-quilibrio o lo stato di salute della famiglia, aiutando-la ad evitare o ad adattarsi alle sollecitazioni o alle minacce per la salute.In questo modello sono identifi cate quattro modalità di intervento:prevenzione primaria: verifi care la possibile pre-senza di fattori dannosi che minacciano la salute e lavorare attivamente per evitare che questo si ripercuota sulla famiglia. Può aiutare la famiglia a costruirsi le proprie risorse difensive attraverso l’e-ducazione sanitaria ed il sostegno ed aiutandola a mobilitare altre risorse e monitorando l’integrità del sistema per identifi care possibili fattori dannosi.Prevenzione secondaria: attraverso attività come screening, programmi vaccinali ed una approfondi-ta conoscenza della famiglie, permette rapidi inter-venti per ridurre al minimo la disgregazione indivi-duale e famigliare, coinvolgendo altre risorse e altri professionisti della salute.Prevenzione terziaria: ha come obiettivo la riabili-tazione e la ricostruzione delle “risorse di resisten-

za e difensive” della famiglia.Interventi in casi critici/ assistenza diretta: implica una collaborazione tra l’infermiere e la famiglia o con il singolo per appropriati interventi di cura, ria-bilitazione, cure palliative e o sostegno.

Nel’ambito della cessazione al fumo, l’infermiere di famiglia deve mostrare il giusto atteggiamento e non giudicare le abilità della persona nel counseling e nel proporre l’intervento appropriato. La sua conoscenza dei diversi e seri impatti del fumo sulla salute lo sprona ad assicurare un sup-porto continuo alla persona e alla sua famiglia.

Comprende inoltre che ci sono spesso motivi com-plessi per cui una persona fuma e che questi motivi rendono diffi cile smettere di fumare. La sua cono-scenza delle strutture di sostegno locali e nazionali per coloro che desiderano smettere di fumare gli permette di raggiungerle e di presentarle alla fami-glia. La prevenzione e la cessazione del fumo sono tra le attività più diffi cili del lavoro di un infermiere di Famiglia in tutti i campi di cura.Egli, insieme con altri gruppi attivi nell’assistenza sociale e della salute, è in una posizione chiave sia per organizzare programmi individuali per smettere di fumare, che per coordinare e partecipare ad in-terventi anti-fumo a livello di comunità.Nel rispetto del proprio codice deontologico, l’infer-miere dovrebbe essere il primo ad evitare stili di vita che possono compromettere il proprio stato di salu-te al fi ne di assicurare anche la riuscita dell’attività educativa che esso deve esercitare.Uno studio sperimentale, che si è avvalso del me-todo di ricerca sul campo e come strumento di un questionario rivolto agli infermieri del “SS. Annun-ziata” e del “G. Moscati”, ha evidenziato le attitudini degli infermieri nei riguardi del fumo ed il loro com-portamento nei presidi ospedalieri. Su 350 questionari ne sono stati compilati 273.Dall’elaborazione dei dati è emerso che il 54% degli infermieri non hanno mai fumato, il 20% sono fuma-

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tori abituali, il 18% sono fumatori occasionali. Nel voler sapere se e dove gli infermieri fumano nelle strutture ospedaliere, è emerso che tra gli in-fermieri abituali il 75% di loro fumano in ospedale in luoghi esposti all’occhio dell’utente, il 12% fuma in luoghi più riservati, il 13% non fuma in ospedale. Tra i fumatori occasionali invece, il 72% di loro non fuma in ospedale, il 18% fuma in luoghi riservati e solo il 10% fuma in luoghi esposti all’occhio dell’u-tente.Nonostante vi sia una buona parte di infermieri fu-matori, l’88% degli infermieri è consapevole che il fumo è molto dannoso per la salute.Volendo conoscere il comportamento degli infer-mieri dei riguardi del divieto di fumo, si è visto che solo il 69% fa rispettare il divieto.Il comportamento dell’infermiere deve essere con-siderato come modello per il cittadino, ma solo il 46% degli infermieri è d’accordo con questa teoria.Nel rispetto del proprio codice deontologico l’infer-miere e per dare un buon esempio ai fi ni di una buona riuscita dell’attività preventiva ed educativa, l’infermiere dovrebbe essere il primo ad evitare stili di vita che compromettono lo stato di salute.Pertanto l’obiettivo delle proposte operative è quel-lo di eliminare il tabagismo nella professione infer-mieristica e quindi nelle strutture ospedaliere, con collaborazione di organizzazioni infermieristiche che si impegnino a dissuadere e formare l’infer-miere, avvalendosi anche di agenzie onlus specia-lizzate nella prevenzione, terapia del tabagismo e formazione.Negli Stati Uniti d’America è già presenta una orga-nizzazione infermieristica con tali obiettivi, la “TO-BACCO FREE NURSES”.

Per eliminare o ridurre il fenomeno del tabagismo è importante agire con messaggi persuasivi che cerchino di impaurire il fumatore,come per esempio accadrà dal 2012 negli USA dove sui pacchetti del-le sigarette saranno stampati immagini che faranno capire quanto il fumo è dannoso per la salute.

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Mangiaracina G., “GFT - Manuale per Operatori dei programmi anti-fumo”,GEA Progetto Salute, Roma 1999 Copertina NICOTINA.Numeri Speciali M.U.R.S.T. “Il Cervello e le sue Droghe”: ARGOMENTI

Principi fondamentali dell’assistenza infermieristica / Ruth F. Craven, Costance °i.e. Constance! J. Hirnle ; edi-zione italiana a cura di Giorgio Nebuloni ; traduzione di Pierluigi Badon ...°et al.!. - 2. ed. - Milano : CEA, 2004. N. BIZIER, Dal pensiero al gesto, Ed. Sorbona, Milano, 1992.

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dell’infermiere possa es-sere di supporto, interve-nendo sia nella relazione con i familiari dei poten-ziali donatori, che durante il colloquio del rianimatore con i familiari. Riconoscia-mo la fi gura e l’importanza del coordinatore locale del prelievo, che in Italia è una fi gura medica, la quale può avvalersi di collaborato-ri, fi gure collaborative che possono e devono essere di estrazione infermieristi-ca, in modo che la giusta collaborazione (integrazio-ne tra le due fi gure medi-co e infermiere) stia alla base del raggiungimento di un risultato terapeutico ottimale. E’ stato ricono-

sciuto che gli infermieri rappresentano il per-no critico del PROCUREMENT. Infatti, sono i primi a stabilire una relazione con i familiari. Come aiutare? Offrire uno spazio d’ascolto,non esistono parole giuste o sbagliate, solo rispet-to per chi sta soffrendo. La sofferenza si può manifestare attraverso lunghi silenzi; bisogna saperli ascoltare, non interromperli per favorire l’istaurarsi di una relazione di aiuto consapevo-le, interazione unica e irripetibile.Il rapporto umano e il colloquio sono un pas-so fondamentale per il Procurement; attuare una relazione d’aiuto signifi ca, quindi, accom-pagnare i familiari in tutte le fasi del processo di donazione, sia che essi siano favorevoli, sia che essi siano sfavorevoli. E’ necessario forni-re uno spazio d’ascolto alla famiglia nel quale possano essere espresse le emozioni legate alla perdita e al lutto.

UN SUBLIME GESTO D’AMOREAnna Caricasulo

CPS Infermiera Rianimazione S.S Annunziata TA

Perché donare? Donare in tutte le sue for-me è un atto d’amore, può essere rivolto verso tutto e tutti, ma donare per salvare

è quanto di più grandioso un individuo possa fare. Si può essere solidali con il prossimo in molti modi, ma la donazione di organi rappre-senta un gesto umano e generoso.Il termine dono racchiude in sé solidarietà, al-truismo, generosità.Donare quando si perde qualcuno, però, è quanto di più diffi cile e incomprensibile si possa chiedere. La separazione irreversibile dalla persona amata è una tra le sofferenze psichiche più grandi che la vita può portare. Ruolo fondamentale riveste, oggi, l’infermiere di terapia intensiva nel rapporto con i familiari del potenziale donatore di organi, ruolo attual-mente non completamente riconosciuto. L’e-sperienza ha evidenziato quanto la presenza

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MASCHI E FEMMINE MASCHI 222 UNITA’ FEMMINE 131 UNITA’

ETA’ MASCHI 11 – 20 5 21 – 40 29 41 – 60 86 61 – 80 94 81 – 90 6 DUBBIO 2 TOTALE 222 FEMMINE 11 – 20 3 21 – 40 33 41 – 60 55 61 – 80 38 81 – 90 2 DUBBIO 0 TOTALE 131

ALCOOL MASCHI SI 44 NO 173 DUBBIO 5 TOTALE 222 FEMMINE SI 8 NO 121 DUBBIO 2 TOTALE 131

FUMO

MASCHI SI 55 NO 161 DUBBIO 6 TOTALE 222 FEMMINE SI 25 NO 104 DUBBIO 2 TOTALE 131

ATTIVITA’ FISICA MASCHI SI 71 NO 146 DUBBIO 5 TOTALE 222 FEMMINE SI 38 NO 91 DUBBIO 2 TOTALE 131

GIORNATA INTERNAZIONALEDELL’INFERMIERE

In occasione della Giornata Internazionale il Collegio IPASVI di Taranto ha deciso di incontrare i cittadini nelle principali piazze

di Grottaglie, Manduria, Martina e Taranto per misurare l’indice di massa corporea allo sco-po di accertare e prevenire quelli che sono i mali della nostra società, ovvero sovrappeso e obesità, causa di una serie di patologie decisa-mente gravi.Notevole l’affl uenza di uomini e donne presen-tatisi nelle postazioni infermieristiche.

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SPIGOLANDOMANOVRA FINANZIARIA E RIPERCUSSIONI IN SANITA’E’ di 48 miliardi l’entità della manovra approvata dal consiglio dei ministri che dovrà, comunque, pas-sare in Parlamento entro il 5 agosto. Tra le misure adottate la conferma del blocco del turnover e la proroga di un anno del congelamento degli aumenti contrattuali degli statali, ora previsti fi no al 2013, nonché l’applicazione dei costi standard per la Sanità…..Una manovra, questa, che non piace, non convince, non ha ben individuato i rami secchi da tagliare, risolvendosi con le solite penalizzazio-ni per i soliti soggetti. Blocco del turn over, degli aumenti, delle assunzioni, salco eccezioni delle forze di polizie e qualche altra categoria, nelle quali non rientra la Sanità, voragine nera dei bilanci regionali. Pure, nel blocco esiste uno spiraglio per il conferimento di incarichi di dirigenti medici re-sponsabili di struttura complessa anche nelle regioni, come la Puglia, sottoposte ai piani di rientro “per le quali …, può essere disposta, in deroga al predetto blocco del turn over, l’autorizzazione al conferimento di incarichi di dirigenti medici responsabili di struttura complessa, previo accertamento, in sede congiunta, della necessità di procedere al predetto conferimento di incarichi al fi ne di assi-curare il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza, nonché della compatibilità del medesimo conferimento con la ristrutturazione della rete ospedaliera e con gli equilibri di bilancio sanitario, come programmati nel piano di rientro, ovvero nel programma operativo, da parte del Comitato per-manente per la verifi ca dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza e del Tavolo tecnico per la verifi ca degli adempimenti regionali, di cui rispettivamente agli articoli 9 e 12 dell’intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005, sentita l’AGENAS”.

CONSENSO INFORMATO In un recente seminario del Consiglio superiore della Magistratura è stato sancito l’inviolabile diritto del paziente all’informazione, nonché affermato “il principio del consenso informato quale fondamento dell’attività medica”. Cinque le questioni ritenute fondamentali, la prima delle quali riguarda il soggetto che dovrà dare l’informazione, soggetto dalla giurisprudenza di merito individuato nel “personale sanitario, mentre non si è pronunciata sull’idoneità dell’informativa fornita dal personale paramedico”.Al medico spetta l’obbligo dell’informazione in modo oggettivo, senza spingere il paziente all’atto medico, creando aspettative eccessive di successo. La sentenza 5342 del 21 dicembre 2010 della Corte d’appello di Roma ha analizzato “la responsabilità per dato esagerato”, cioè la colpa del medico quando l’esito dell’intervento, pur positivo e privo di errori, abbia un decorso clinico diverso dal garantito, accogliendo il ricorso del paziente e condannando medico e clinica al risarcimento del danno.Va ribadito che è il medico l’unico responsabile dell’informazione al paziente, al quale, solo dopo gli opportuni chiarimenti, dovrà porgere il modulo per la fi rma. Nessuna interferenza o delega o attribuzione d’incarico ad altri professionisti, infermieri inclusi.

GARANTE DELLA PRIVACY: “DALLA PARTE DEL PAZIENTE”Il vademecum offre indicazioni perché alle persone che entrano in contatto con il personale medico e paramedico (la L.42/’99 ha cancellato la dizione “paramedico “ ed introdotto la dizione “personale sanitario”nonché con le strutture sanitarie, per ricevere cure o prestazioni mediche o per svolgere pratiche amministrative, siano garantiti la più assoluta riservatezza e rispetto della loro dignità. Ad es. il vademecum indica che nei locali di grandi strutture sanitarie i nomi dei pazienti in attesa di una prestazione o di un documento non devono essere

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divulgati ad alta voce. Occorre adottare soluzioni alternative. Altro esempio, il certifi cato di malattia dei dipendenti con l’indicazione della diagnosi non può essere raccolto dal datore di lavoro; in attesa di specifi che deroghe previste da leggi o regolamenti, il lavoratore assente per malattia deve fornire un certifi cato contenente esclusivamente la prognosi con la sola indicazione dell’inizio e della durata dell’infermità, così come nei certifi cati che attestano l’idoneità al servizio va riportato il solo giudizio medico, senza diagnosi.

LE REGOLE DELL’AUDIT CLINICOIn arrivo il primo manuale dell’audit clinico, elaborato…. rivolto agli operatori, opportunità per impegnarsi, con professionisti esperti, in un metodo per il miglioramento della qualità delle cure. E’ importante che le regioni inseriscano tra gli indirizzi per i direttori generali delle strutture sanitarie e per i rappresentanti istituzionali delle professioni sanitarie “l’utilizzo sistematico e continuativo dell’audit clinico al fi ne di sviluppare la capacità di valutare, di innovare e di rispondere alle aspettative dei pazienti e dei professionisti”.

PERSONALE INFERMIERISTICO MILITARE: ISCRIZIONE ALL’ALBO?Le linee di indirizzo del Ministero della Difesa- direzione generale della sanità militare- propendono per la non iscrizione all’albo. Di fatto, l’Uffi cio legislativo del ministero ha comunicato a varie istituzioni militari “che, al momento, l’obbligo di iscrizione all’albo professionale, introdotto dalla L.43 del 2006, non sembra possa trovare applicazione anche nei confronti del personale infermieristico e tecnico sanitario militare che svolge la propria attività esclusivamente all’interno dell’istituzione che li arruola e li forma, sottoponendolo ad una disciplina ed a vincoli particolari che lo collocano in una situazione atipica rispetto agli altri dipendenti pubblici, quali la preclusione, salvo che nei casi autorizzati di cui sopra (casi consentiti ed autorizzati dalla norma e appositamente disciplinati dalla Direzione generale per il personale militare), all’esercizio della libera professione”.

Quindi, per il Ministero della Difesa nessun obbligo. Diverso è il parere contenuto nella risposta ad analogo quesito posto alla redazione Sanità de “Il Sole-24 Ore Sanità”( anno XIV n.19) che recita: “ Il personale militare rientra nella categoria più ampia del “pubblico impiego”. Inoltre l’articolo 2, comma 3, della legge 43/2006 prevede che l’iscrizione all’albo sia subordinata al conseguimento del titolo abilitante all’esercizio professionale comprendendo anche il personale sanitario militare”. Due posizioni nettamente contrapposte. La Federazione dei Collegi IPASVI si è, pertanto, attivata per chiarire la questione..

CARE MANAGERRidurre il numero dei ricoveri inappropriati, in particolare di pazienti anziani affetti da patologie croniche, introducendo la fi gura del “care manager”. E’ l’obiettivo di Nardino, il progetto con cui la Regione Puglia mette a disposizione 4 milioni per 2 anni, incidendo su una popolazione di circa 400.000 persone, nei comuni interessati dal Piano di rientro e dal riordino ospedaliero. Nardino …è “un progetto di presa in carico dei pazienti dalle malattie più ad alta prevalenza, quelle su cui c’è il maggior numero dei ricoveri inappropriati c che prevede il “care manager”, un infermiere fornito dal distretto e assunto con fondi aggiuntivi che noi mettiamo nel progetto, oppure direttamente dai Mmg” ha spiegato l’assessore alle Politiche per la salute, Tommaso Fiore. Quest’infermiere prende in carico il paziente e lo accompagna nel percorso delle cure specialistiche e della programmazione delle cure, trasformando una parte degli accessi spontanei in accessi programmati.

Da “il Sole 24 Ore” Sanità

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S A N I T À

Per informazioni rivolgersi alla segreteria del Centro di Formazione e di Studi Sanitari “P. L. Monti” - IDI Via Santa Maria Mediatrice, 22/G - 00165 Roma - dal lunedì al venerdì, dalle ore 09.00 alle ore 12.00

Tel. 06/39366062 - Fax 06/39366066 – E-mail: [email protected] Per scaricare i bandi di concorso consultare i siti - www.uniroma2.it – www.infermieritorvergata.com

PROVINCIA ITALIANA DELLA CONGREGAZIONE DEI FIGLI DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE

ISTITUTO DERMOPATICO DELL’IMMACOLATA CENTRO DI FORMAZIONE E DI STUDI SANITARI

“Padre Luigi Monti”

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA

“TOR VERGATA”

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

M a s t e r U n i v e r s i t a r i o d i 1 ° l i v e l l o * M a n a g e m e n t p e r l e f u n z i o n i d i c o o r d i n a m e n t o

i n f e r m i e r i s t i c o e p r o f e s s i o n i s a n i t a r i e A N N O A C C A D E M I C O 2 0 1 1 / 2 0 1 2

SSSeeedddeee dddiii TARANTO

Riservato a: Infermieri, Infermieri Pediatrici, Ostetrici, Podologi, Fisioterapisti, Logopedisti, Ortottisti-Assistenti di Oftalmologia, Terapisti della neuro psicomotricità dell’età evolutiva, Tecnici di Riabilitazione Psichiatrica, Terapisti occupazionali, Educatori professionali,Tecnici audiometristi, Tecnici sanitari di laboratorio biomedico,Tecnici sanitari di radiologia medica, Tecnici di neuro fisiopatologia, Tecnici ortopedici, Tecnici Audioprotesisti, Tecnici della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare, Igienisti dentali, Dietisti, Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, Assistenti sanitari. Il Master in "Management per le funzioni di coordinamento infermieristico e per le professioni sanitarie ha come obiettivo “fornire conoscenze avanzate e sviluppare le competenze per la gestione delle risorse umane, economiche ed organizzative dei processi assistenziali, tecnici, riabilitativi e della prevenzione all’interno delle unità operative, nell’ambito delle diverse organizzazioni sanitarie. Obiettivi didattici Al termine del Master lo studente sarà in grado di: - Analizzare e contribuire all’attuazione delle politiche sanitarie - Individuare ed interpretare la domanda ed eventuali disfunzioni nell’organizzazione dell’offerta assistenziale - Progettare e gestire interventi di miglioramento dei processi organizzativi ed assistenziali sviluppando la continuità necessaria al

sostegno dei pazienti e delle famiglie - Progettare e gestire un sistema di sviluppo delle risorse umane assegnate - Contribuire alla valutazione del personale e del sistema premiante - Progettare e gestire un sistema d’ottimizzazione dell’utilizzo delle attrezzature e delle altre risorse assegnate all’unità - Sostenere programmi di valutazione e di ricerca in ambito organizzativo e assistenziale - Contribuire alla gestione del sistema informativo Struttura del Master in Management Il master ha una durata di 1500 ore corrispondenti a 60 Crediti Universitari (CFU) distribuite in 5 moduli nei quali vengono sviluppate le specifiche competenze nelle funzioni di gestione e organizzazione per il coordinamento dei servizi sanitari e socio – sanitari. Le lezioni teoriche, le esercitazioni, le simulazioni ed i seminari si svolgeranno prevalentemente presso le strutture della sede suindicata. Le sedi di tirocinio verranno identificate in base agli obiettivi formativi dello studente, tenendo conto di criteri correlati alla complessità organizzativa, presenza di processi gestionali-operativi efficienti ed innovativi e saranno indicate dalla direzione del corso. Potranno essere individuate e concordate con gli studenti anche eventuali altre sedi che abbiano adeguate caratteristiche e requisiti di qualità. Le lezioni si svolgeranno nelle date programmate (salvo diverse comunicazioni ), generalmente dalle ore 09.00 alle 17.50

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IL COLLEGIO RESTERA’

CHIUSO DAL 16 AL 19

AGOSTO.

L’apertura pomeridiana

del venerdì è soppressa

per tutto il mese

di agosto.

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1. "La parola a noi" pubblica - previa approvazione del Comitato di Redazione - articoli inerenti la professione infermieristica, la formazione, la legislazione sanitaria, nonché tutto quanto concerne l'attività infermieristica.

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Auguri diBuone Vacanze

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