l' architettura della salute seconda parte_approfondimentoospedali
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l' Architettura della saluteTRANSCRIPT
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il volume che ora si presenta vuol essere un contribu-
to alla riflessione sull’ospedale tra passato e futuro in
lombardia, regione il cui territorio è stato sottoposto
lungo tutto il XX secolo a un consumo spesso scriteria-
to, dove ormai ogni nuovo intervento edilizio non può
che essere concepito come “costruito nel costruito”,
come modifica ambientale in cui le preesistenze han-
no grande importanza, non solo in ragione di intrinseca
ed eccezionale qualità, ma anche in quanto stratifica-
zione insediativa complessa. per risultare efficace, il pri-
mato all’architettura nella progettazione ospedaliera
non può prescindere, infatti, da riflessioni a tutto cam-
po sullo stato di fatto del territorio lombardo, dalle quali
soltanto può discendere una correlazione corretta tra
nuovo modello o nuovi modelli di ospedali rispondenti
a esigenze sanitarie attuali e loro adattamento alle si-
tuazioni di contesto.Già si è segnalato quanto la storia
dell’architettura ospedaliera, italiana e lombarda in
primo luogo ma con echi rilevanti in tutto l’occiden-
te, sia stata profondamente segnata dall’eccezionale
esperienza della Ca’ Granda, l’ospedale maggiore di
milano di matrice filaretiana. l’edificio, che ha assunto
nel XX secolo destinazione funzionale radicalmente di-
versa dall’originaria ma non a essa indifferente, merita-
va l’esemplare percorso di conservazione, modifica e
nuovo progetto che lo ha investito, in cui di volta in vol-
ta le motivazioni della scelta di campo sono state rese
esplicite e condivise dalle istituzioni preposte a guidare
il processo. un percorso analogo – articolato tra con-
servazione, modifica e innovazione – dovrebbe essere
attivato anche nelle valutazioni del più ampio e artico-
lato patrimonio ospedaliero oggi a disposizione in tutto
il territorio lombardo. “oggi – ha scritto recentemente
Cesare Catananti – con le aziende ospedaliere dota-
Il patrimonio edilizio degli Ospedali di Lombardia dal secolo XV ad oggi di Maria Antonietta Crippa
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te di propria autonomia giuridica, organizzativa e finan-
ziaria, l’ospedale riacquista gli spazi di potere perduto
e ancora una volta risale sul trono dell’assistenza. ma
è un trono fragile; se non si rafforza il territorio entro cui
deve governare e se si pensa solo al “palazzo” del re,
questo potrà essere immaginato, progettato, realizza-
to e abbellito dai migliori professionisti e artisti, ma sarà
un altro imperdonabile errore. è la rete assistenziale nel
suo complesso che va pensata, una rete fatta di ospe-
dali e di strutture territoriali: una rete che tenga con-
to delle caratteristiche geomorfologiche del territorio,
delle sue peculiari esigenze demografiche e sanitarie,
della sua storia sociale, delle sue particolari tradizioni,
delle sue variabili umane”1. lo specialista delle struttu-
re ospedaliere si incontra dunque, si coglie dalle sue
parole, con le esigenze di chi, nel campo del progetto
paesaggistico, urbano e architettonico, si misura con
la tensione tra conservazione e innovazione, dramma-
ticamente avvertita in italia là dove il patrimonio edi-
lizio, artistico e di cultura nelle più diverse forme, non è
concepito come fenomeno astratto, valido in se stesso
a prescindere dalla sua incidenza storica particolare,
unica e irripetibile sempre, ma come effettiva tradizio-
ne di concreti gruppi umani. il tema ha grande rilievo in
rapporto al destino del patrimonio edilizio ospedaliero
attualmente a disposizione, all’attenta considerazione
della sua consistenza, qualità, ricchezza di compo-
nenti. non solo nel Quattrocento, ma anche in diversi
momenti successivi della loro storia, infatti, gli ospedali
italiani e lombardi hanno vissuto stagioni di carità ed
efficienza gestionale, testimoniate concretamente
in documenti e patrimoni edilizi e artistici a nostra di-
sposizione, tuttavia ancora troppo poco noti, troppo
poco tutelati e valorizzati. per le ragioni sinteticamente
esposte, la schedatura di ospedali lombardi proposta
in questo libro risponde a una logica di sintetica ma
puntuale ricognizione della loro lunga storia, a partire
dall’edificazione degli ospedali maggiori tra Xv e Xvi
secolo fino alla situazione attuale. si è tenuto conto
anche della distribuzione geografica di tali organismi
edilizi sul territorio regionale nella sua attuale delimita-
zione e nella articolazione per capoluoghi. si sono inol-
tre presi in esame gli ospedali tuttora attivi, lasciando
ai saggi più articolati sul piano storiografico dei diversi
studiosi, l’eventuale trattazione dei complessi ospeda-
lieri che hanno ormai del tutto perso la destinazione
originaria. Gli ospedali esaminati possono essere suddi-
visi in due grandi gruppi. il primo è quello dei complessi
che hanno avuto il loro avvio a partire dal tipo a cro-
ciera di matrice quattrocentesca2. essi sono:
- l’Ospedale Maggiore di Lodi (posa della prima pietra
nel 1459); venne ampliato nel corso del novecento,
1 C. Catananti, Esiste un modello ideale?, “Salute e territorio”, n. 131, 2002.2 Per una più completa ricognizione sul tema degli ospedali a crociera si veda: L. Franchini (a cura di), Ospedali lombardi del Quat-trocento. Fondazione, trasformazioni, restauri, New Press, Como 1995. Interessante, per i problemi di ristrutturazione degli antichi ospedali in Italia: Nelli-E. Vanzan Marchini, La ristrutturazione degli antichi Istituti, “Salute e territorio”, n. 147 2004.
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dapprima con un complesso di padiglioni specializzati
e negli anni sessanta con un monoblocco verticale;
- l’Hospitale Grande di San Marco a Bergamo (posa
della prima pietra nel 1474), esterno nel Quattrocen-
to al dominio sforzesco, ma sotto l’influsso cultura-
le milanese anche per il probabile coinvolgimento
dell’architetto antonio averulino detto Filerete nella
sua progettazione. nel 1927 l’ing. Giulio marcovigi rice-
vette l’incarico di progettare in area diversa il nuovo
ospedale, inaugurato nel 1930. il complesso si presen-
ta come un poliblocco composto da padiglioni orto-
gonali attestati su corte attrezzata rettangolare, con
padiglioni minori isolati. l’ingresso venne concepito in
monumentale linguaggio neoclassico. attualmente è
in corso la realizzazione di un nuovo ospedale, per il
quale è prevista la costruzione di una chiesa che svol-
gerà funzioni anche di parrocchia;
- il quattrocentesco Ospedale Maggiore di Pavia, sot-
to il titolo di San Matteo, è divenuto sede di università
attraverso un complicato percorso gestionale negli
anni Cinquanta e sessanta del novecento. ampliato
a più riprese tra settecento e ottocento, fu sottoposto
a tutela per settori a partire dal 1910 e trasformato in
caserma nel 1933. in area periferica rispetto al centro,
a nord della città, è stato realizzato il nuovo ospedale
nel XX secolo, su progetto degli ingegneri a. Gardella,
l. martini, G. mariani e l. sala, con edifici satellitari: l’isti-
tuto Carlo Forlanini, su progetto di a. bellani, e l’istituto
Casimiro mondino dell’ing. a. savoldi. nuovi progetti
sono stati realizzati tra 2003 e 2007. interessante la siste-
mazione a parco del contesto circostante;
- l’Ospedale Maggiore di Brescia di fondazione quattro-
centesca è attualmente anch’esso università. tra 1927
e 1934 l’ing. angelo bordone, specialista di vaglia in ar-
chitettura ospedaliera, progettò e realizzò un innovati-
vo complesso ospedaliero, con interessante impianto
di padiglioni raccolti attorno a una corte. modificato
e ampliato continuamente fino al 2000, il complesso
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Ospedali Riuniti di Bergamo - Padiglione Policlinico San Matteo di Pavia - Facciata
costituisce oggi una grande “cittadella della sanità” di
notevole interesse sia come centro di assistenza e di
ricerca medica che di architettura. notevole la chiesa
dedicata a san luca, aperta al culto nel 1954, per la
tessitura architettonica in mattoni e pietra, caratteristi-
ca anche di molti edifici ospedalieri, per le pale d’alta-
re, i mosaici e le sculture che la ornano;
- l’Ospedale di S. Anna a Como (fondato nel 1468) è
stato completamente dismesso; conservato solo in
parte, è stato sottoposto a un restauro tipologico nel
1978 sotto la direzione dell’arch. luigia martinelli dell’uf-
ficio tecnico del Comune di Como. l’ing. luigi marco-
vigi, con enrico ronzani e luigi Castelli, è autore di un
progetto in forma di cittadella di padiglioni ospedalieri
disposti a raggiera in una nuova area; un edificio am-
ministrativo di nobili forme è stato disposto lungo la via
napoleona, che porta al centro città. nel 1965 l’arch.
ettore rossi progettò un monoblocco a torre di nove
piani fuori terra, con planimetria a t; è attualmente in
corso la costruzione di un nuovo ospedale;
- l’Ospedale Maggiore di Cremona (fondato nel 1451)
venne presto dotato di patrimonio fondiario molto im-
portante. Dal 1972 in area diversa esiste in Cremona
un ospedale monoblocco con edifici bassi aggregati,
progettato dall’ing. arturo braga, con enrico ronzani,
nel 1965. Ha planimetria ad H, sviluppo in altezza per
nove piani fuori terra. è immerso in un parco di grande
interesse. la chiesa è anche sede parrocchiale. attual-
mente è in costruzione una nuova piastra operatoria;
- l’Ospedale Grande di San Leonardo in Mantova
(fondato nel 1449), divenuto ergastolo e poi casa di
reclusione a fine ottocento, è attualmente sede di uf-
fici della polstrada e di abitazioni di famiglie di militari
dell’arma dei Carabinieri. un nuovo ospedale venne
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Spedali Civili di Brescia. Corpo di ingresso, particolare del paramento
Ospedale vecchio di Lodi - Facciata
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realizzato, in un edificio che era stato convento, nel
1811, presto divenuto insufficiente. tra 1919 e 1925 ven-
ne realizzata una nuova struttura, composta da dodici
padiglioni, su progetto dell’ing. Giulio marcovigi, am-
pliato e ammodernato negli anni sessanta e nel 1994.
sono stati esclusi dalla schedatura:
- l’Ospedale Maggiore di Milano o Ca’ Granda, di cui
già si è detto, dal cui istituto, ancora attivo, dipendono
tre altri importanti ospedali milanesi: il policlinico, non
esaminato qui in apposita scheda, istituito in conco-
mitanza con l’università statale degli studi; il nuovo
ospedale maggiore a niguarda e l’ospedale san
Carlo borromeo, gli ultimi due descritti qui in apposita
scheda;
- l’Ospedale Maggiore della Misericordia a parma
(inizio lavori 1477), dedicato a sant’antonio e a tutti i
santi. negli anni venti del novecento venne realizzato
un complesso ospedaliero composto da diciotto pa-
diglioni, denominato ospedale civile, sostituito dall’at-
tuale ospedale maggiore tuttora in fase di amplia-
mento.
il quadro sintetico qui tracciato degli attuali ospedali
lombardi, provenienti da istituzioni quattrocentesche,
rende ragione di una estrema varietà di sviluppi sto-
rici, varietà che potrebbe essere ulteriormente carat-
terizzata esaminando l’articolazione e le specificità
dei presidi, in varie città non capoluogo di provincia,
da questi dipendenti, come le denominazioni attua-
li spesso segnalano, esclusi per ragione di spazio da
questo volume. Debbono essere, infine, almeno ricor-
dati alcuni ospedali quattrocenteschi siti in aree non
più appartenenti attualmente al territorio della lom-
bardia: l’Ospedale Grande della Beata Vergine della
Misericordia o Pammatone di Genova (posa della pri-
ma pietra nel 1474), città dal 1464 sotto il dominio de-
gli sforza; l’Ospedale Maggiore della Carità di Novara
(fondato nel 1482), l’Ospedale Maggiore di Sant’An-
drea di Vercelli, già dal 1427 sotto il dominio dei savoia,
ma con forti vincoli culturali con milano. Caso a sé, in
lombardia, è la storia dell’Ospedale Maggiore di Cre-
ma3, dove nel 1351 sorse un raggruppamento ospe-
daliero chiamato Domus Dei, gestito da un gruppo di
laici con autonomia finanziaria garantita da norme
statutarie. Cambiò sede più volte nel corso dei secoli,
fu costantemente sostenuto da importanti donazioni,
prese denominazione di ospedale maggiore. nel 1959
l’amministrazione dell’ospedale decise di realizzarne
uno nuovo, diede l’incarico del progetto all’ing. arturo
braga con il medico enrico ronzani. nel 1961 il nuovo
ospedale era concluso in forma di monoblocco a t, cui
vennero aggiunti altri edifici dal 1978 al 1998. il secon-
do gruppo di ospedali lombardi esaminati con appo-
site schedature in questo volume riguarda complessi
realizzati tra fine ottocento e inizio novecento.
3 S. Lini, Dalla “Domus Dei” all’Azienda Ospedaliera. Le vicende dell’Ospedale maggiore di Crema dal 1351 al 1998, Leva Artigra-fiche, Crema 1998.
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essi sono:
- l’Ospedale di San Gerardo dei Tintori a Monza, il cui
progetto, in forma di monoblocco di 15 piani ad an-
damento planimetrico ondulato, con aggiunta di un
corpo di quattro piani, risale al 1962;
- l’Ospedale di Circolo a Varese, costruito in zona pe-
riferica nel 1903, ampliato in continuazione con l’ag-
giunta di padiglioni fino ai 33 attuali, molto diversi tra
loro, in cittadella della salute;
- l’Ospedale di Lecco, che ha cambiato più volte sede,
dal 1840 ad oggi;
- il Sanatorio di Sondalo (sondrio) in alta valtellina, del
1927, oggi complesso monumentale vincolato, avreb-
be dovuto essere, nelle aspettative di mussolini, il più
grande sanatorio europeo;
- il Nuovo Ospedale Maggiore di Milano a Niguarda,
costruito tra 1932 e 1939, tipologia che attesta il pas-
saggio dall’ospedale a padiglione a quello a più bloc-
chi in italia; attualmente è in corso la realizzazione di
una grande piastra di ampliamento;
- l’Ospedale San Carlo Borromeo a Milano, inaugurato
nel 1967, su progetto dell’ing. arturo braga e consulen-
za artistica dello studio ponti-Fornaroli-rosselli. Di Gio
ponti è la chiesa, di grande interesse la sua architettura
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Azienda Ospedaliera di Circolo Fondazione Macchi di Varese
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e le opere d’arte che essa custodisce4.
anche per questo secondo gruppo sarebbero molte
le omissioni da segnalare in relazione alla strutturazione
territoriale per aziende ospedaliere, con diversi presidi.
tra tutti non può essere dimenticata l’evoluzione del mi-
lanese ospedale sacco, sorto come sanatorio di vial-
ba nel 1927, uno dei primi edificati in pianura in italia. in-
titolato al medico luigi sacco nel 1974, divenne anche
polo universitario dell’università degli studi di milano; nel
1975 gli vennero accorpati l’ospedale agostino bassi
e l’ospedale enea; è divenuto infine azienda ospe-
daliera nel 1992. il quadro che le schede presentano,
integrato dai saggi dei diversi autori, suggerisce alcune
riflessioni sia rispetto a tutela e conoscenza storica che
in relazione alle prospettive future. l’abbandono degli
antichi ospedali e la costruzione dei nuovi in lombar-
dia si è articolato in modi molto vari, caso per caso, nel
corso dei secoli. non per tutti è stata elaborata fino ad
ora una ricostruzione storica adeguatamente appro-
fondita. più in generale, inoltre, la storiografia relativa a
tipi ospedalieri succedutisi nel corso del tempo non è
molto vasta e articolata. Quella relativa ai monumenti
quattrocenteschi, sviluppatasi solo a partire dagli anni
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4 M.A. Crippa, C. Capponi (a cura di), Gio Ponti e l’architet-tura sacra. Finestre aperte sulla natura, sul mistero, su Dio, Credito Valtellinese, Pizzi, Cinisello Balsamo (Milano) 2005; M.A. Crippa, Una cappella d’ospedale: continuità di moderno umanesimo in architettura, in: AA. VV., Gio Ponti. Meraviglio-sa ventura costruire chiese. La chiesa della Santa Maria An-nunciata per l’Ospedale San Carlo Borromeo, Ospedale San Carlo, Milano 2006.
Villaggio sanatoriale di Sondalo - Vista dalla galleria di accesso
trenta del novecento, è attualmente la più solida; quel-
la degli ospedali a padiglione, scarna per non dire pra-
ticamente inesistente, risale agli anni settanta-ottanta.
all’interesse storiografico per i complessi monumentali
quattrocenteschi non conseguirono rapidamente né
una tutela adeguata né coerenti interventi di restauro,
ad esclusione del caso esemplare dell’ospedale mag-
giore di milano, seguito più tardi dai restauri del com-
plessi antichi di Como e Cremona. recentissimo, degli
ultimi anni, è il dibattito sui limiti della tutela del nuovo
ospedale maggiore di niguarda. la chiesa dell’ospe-
dale di san Carlo borromeo, opera di Gio ponti, è stata
interessata da un importante studio dello stato di de-
grado del paramento ceramico, a seguito del recente
restauro del grattacielo pirelli5.
mentre è viva da tempo l’attenzione per i rapporti tra
cura e cultura ospedaliera di area lombarda nel corso
della storia grazie a studiosi come Giorgio Cosmacini,
edoardo bressan, vittorio sironi, è ancora in fase di ge-
stazione l’interesse storico per l’edilizia ospedaliera del
novecento, per la sua evoluzione, per la connessione
con i problemi delle città in cui i nuovi complessi sono
stati insediati, per il mutare dei sistemi tecnologici che li
qualificano. l’estrema specializzazione delle tematiche
ospedaliere, i progressi scientifici e tecnologici della me-
dicina, i radicali mutamenti nella concezione della cura
delle malattie che arriva oggi a investire anche la nozio-
ne del benessere, l’importanza della programmazione
pubblica e del rapporto pubblico-privato nel contesto
della sanità, sono questioni che attraggono le attenzio-
ni maggiori, a discapito di una coscienza storica gene-
rale, tuttavia indispensabile. il volume che si presenta
intende offrire un contributo in questa direzione, senza
la pretesa tuttavia di esaurire l’argomento. molto re-
sta da fare per mettere in luce la lunga storia, ricca di
molta umanità e scienza, delle istituzioni ospedaliere
lombarde; per far conoscere il vasto patrimonio d’ar-
te accumulato in essi in vari modi, in raccolte o musei,
nei decori - pittorici scultorei e vetrari delle architetture,
degli edifici religiosi in particolare ma non solo in quelli -,
nella qualità artistica e monumentale di quanto giunge
fino a noi di molti complessi. il futuro, più che il passato
o il presente, contrassegnato da grande fervore edilizio
in questo ambito, implicherà, inoltre, necessariamente
un più stretto rapporto concreto - non utopico, come
fu ipotizzato, nel celebre progetto rimasto sulla carta
per l’ospedale di venezia6, da le Corbusier e tentato,
nell’ospedale di sarzana da Giovanni michelucci, nel
1967 - tra città ormai aperta, senza precisi confini, e cit-
tadelle ospedaliere in una integrazione che comporte-
rà una rinnovata attenzione per la centralità dell’uomo
in un sistema sempre più parcellizzato.
5 M. A. Crippa (a cura di), Il restauro del grattacielo Pirelli, Skira, Milano 2007.6 A. Petrilli, Il testamento di Le Corbusier. Il progetto per l’Ospedale di Venezia, Marsilio, Venezia 1999.
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NELLA PAGINA ACCANTO:Ospedale A. Manzoni di Lecco -
La corte centrale dell’edificio ospedaliero
l’attuale complesso architettonico degli ospedali
riuniti di bergamo, pur appartenendo al plurisecolare
sistema della cura del malato urbano formalmente
codificatosi nel 1457 per intervento del vescovo
Giovanni baronzio e dei rettori della città1, è una
costruzione risalente al secondo quarto del XX secolo.
la necessità della sua edificazione era tuttavia
avvertita da alcuni decenni, tanto che nel 1907 la
Commissione nominata dal Consiglio ospedaliero
per definire le necessità architettoniche e strutturali
dell’ente sanitario terminarono i loro lavori dichiarando
che l’unica soluzione possibile era quella di creare un
nuovo ospedale da erigere in una località esterna
al centro abitato. Qualche anno dopo il presidente
dell’ospedale, Callisto Giavazzi, ribadiva il giudizio
espresso in precedenza dalla commissione citata,
asserendo che erano molteplici i motivi per i quali i
vecchi fabbricati non erano più idonei ad ospitare
l’ospedale e che rendevano impossibile il “riattamento
ed ampliamento” dei luoghi di cura ospedaliera siti
in città. tra le molte ragioni elencate egli insisteva
sull’esiguità e l’insufficienza della superficie dei
fabbricati, giudicata metà dell’area richiesta come
minimum dalla moderna tecnica medico-ospedaliera
Gli Ospedali Riuniti di Bergamo di Fernidando Zanzottera
SCheda 1
1 Le prime notizie di un sistema ospedaliero compiuto di Bergamo risalgono, infatti, al 5 novembre del 1457, quando il Vescovo Giovanni Barozzi approva i Capitula hospitalis novi et magni structi in civitate Bergami. Insieme ai Rettori della città aveva infatti ottenuto l’autorizzazione di fondare un Ospedale Grande che riunisse in sè tutte le strutture di assistenza al malato e tutti i luo-ghi pii dediti alla cura sanitaria e all’assistenza paramedica. In quell’occasione, dunque, il Vescovo riunì sotto un’unica direzione l’ospedale di Sant’Erasmo fuori dalla porta di Borgo Canale, l’Ospedale di Santa Grata inter vites in Borgo Canale, l’Ospedale di San Lorenzo dell’omonimo borgo, l’Ospedale di San Bernardo presso il ponte della Morla, l’Ospedale di San Tommaso dentro porta di Santa Caterina, l’Ospedale di Sant’Antonio fuori borgo, l’Ospedale del monastero di Santo Spirito, l’Ospedale di San Lazzaro in Borgo San Leonardo, l’Ospedale di San Vincenzo in contrada di San Cassiano, l’Ospedale di Santa Maria Maggiore in Contrada Ante Scolis e l’Ospedale di Santa Caterina del borgo omonimo.
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Veduta interna del complesso ospedaliero
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e sull’errore di orientamento dei fabbricati e
sull’insufficienza delle distanze tra i differenti padiglioni,
che impediva un adeguato irraggiamento solare e
un conveniente ricambio d’aria. altre ragioni erano la
grande ampiezza dei cameroni per i malati che, nel
caso del padiglione della medicina femminile, arrivava
a contare 100 letti; l’esiguità dei locali di isolamento
limitati a 4 posti letto ogni 400 malati; l’insufficienza e
la poca salubrità del riscaldamento affidato ancora a
singole stufe; la mancanza di adeguati locali destinati
ad accogliere i refettori, le latrine, le sale da bagno e
i depositi per il vitto degli ammalati, della biancheria
e dei medicinali; l’assenza di pavimenti facilmente
lavabili e disinfettabili perché molti erano ancora
realizzati in mattone; la completa inadeguatezza dei
locali per i dormitori e il soggiorno del personale di
assistenza ai malati.
raccolto anche il parere favorevole del Consiglio
dell’ordine dei medici della provincia, si diede inizio
al progetto di costruire un nuovo grande ospedale
cittadino. per la sua edificazione fu scelta “una delle
posizioni più ridenti della città, in quel grandioso
anfiteatro formato dalla linea continua di colline,
che iniziano con l’antica bergamo alta, culminano al
centro con il colle di s. vigilio e vanno degradando
verso la selvosa punta di s. matteo”2. si trattava di
un luogo particolarmente adatto alla cura medica
riparato anche dai venti freddi di tramontana, dove,
già nel 1878, vi si era insediato l’attuale istituto sanitario
matteo rota, mentre negli anni seguenti si edificarono
la Clinica Castelli e la Clinica san Francesco.
l’incarico di studiare il progetto per edificare il nuovo
ospedale fu affidato negli anni venti all’ing. Giulio
marcovigi, che riuscì ad iniziare i lavori nel mese di
maggio del 1927. per la progettazione egli si ispirò
ai moderni principi dell’architettura ospedaliera che,
tuttavia, si espressero con una forma fortemente
influenzata dalle strutture architettoniche francesi e
inglesi di fine seicento e dei primi decenni del Xviii
secolo. egli progettò una struttura vagamente ispirata
al concetto di poliblocco sanitario, evoluzione e
reinterpretazione italiana dell’idea del monoblocco
ospedaliero di matrice americana, con forti influenze
della cultura europea dei decenni precedenti. Questo
progetto, a sua volta, fu probabile ispirazione allo studio
per l’ospedale Clinico di modena con il quale gli
ingegneri Giorgio rossi e Carlo tornelli parteciparono
al concorso del 1933. il complesso architettonico degli
ospedali riuniti mostra una disposizione planimetrica
centrale, con i differenti padiglioni ortogonali
organizzati attorno ad una ampia corte attrezzata
che accoglie un grande giardino verde con fontana
circolare. su questo spazio insistono gli ingressi principali
dei differenti padiglioni, raccordati tra loro attraverso
corpi di fabbrica di inferiore dimensione e di minor
pregio architettonico. nella parte centrale dei due
2 Cfr. Luigi Pelandi, Attraverso le vie di Bergamo scomparsa, vol. VI (Il Borgo Canale), Bergamo, 1967, pp. 52-53.
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fianchi sono presenti ingressi monumentali colonnati
con accessi facilitati per le ambulanze che immettono
nei padiglioni, che originariamente ospitavano la
medicina e la Chirurgia. i modelli di riferimento di
Giulio marcovigi furono certamente gli ospedali
a padiglioni inglesi di fine seicento, che all’epoca
avevano significativamente influenzato la coscienza
tecnologica sanitaria europea. il modello di maggior
ispirazione fu il progetto di J. b. le roy per la ricostruzione
dell’Hotel-Dieu di parigi, distrutto da un incendio che
cancellò l’intera struttura medievale. il modello, a scala
inferiore, fu ripreso con alcune piccole varianti inerenti
agli accessi alla struttura e alla collocazione della
chiesa: prospiciente alla corte centrale nell’ospedale
parigino e in posizione sopraelevata ma discosta dalle
architetture ospedaliere nel complesso bergamasco.
Dal progetto di J. b. le roy, marcovigi desume anche
il tema della conclusione della corte con un edificio
destinato ad accogliere i servizi Generali e le cucine,
correlate anche con la Farmacia, la pediatria e il
padiglione per gli studi oftalmici, che si raccorda con
la corte verde attraverso due colonnati semicircolari.
alle spalle del complesso centrale il progettista inserì
dei padiglioni autonomi destinati ad accogliere
i malati affetti da patologie della cute, gli studi di
anatomopatologia e alcuni volumi tecnici, quali
la cisterna dell’acqua, le caldaie, la ciminiera di
smaltimento dei fumi, la lavanderia e i locali per la
disinfestazione. ancora più discosto, sul limitare del
perimetro del complesso architettonico, fu collocato
il padiglione per le malattie infettive e per i pazienti da
porre in isolamento. nell’estremità sud-occidentale
fu invece edificato il padiglione per la cura dei
tubercolotici, che oggi è stato trasformato e ospita un
asilo aperto anche alla cittadinanza.
il modello sanitario perseguito nella fase di
progettazione si basava, dunque, sulla costruzione di
un sistema misto che prevedeva quantitativamente
l’emergere di padiglioni riuniti e la presenza di specifici
edifici distanziati a vocazione specifica. tra questi, sul
fianco occidentale vi era anche il convitto delle suore
e la piccola cappella eclettica.
l’elemento più significativo dell’ospedale, dunque,
non sono le singole architetture, gradevoli ma non
capolavori dell’architettura della prima metà del
XX secolo, ma l’impianto planimetrico, che mostra
anche alcune affinità distributive con il progetto
dell’ospedale di livorno ideato da Cambray Digny
nel 1836.
le scelte del progettista furono esemplarmente
raccolte nei discorsi pronunciati in occasione
dell’inaugurazione dell’ospedale, nei quali si affermò:
“è stato abbandonato intieramente il tipo a padiglioni
staccati o, per meglio dire, a decentramento
assoluto, che si deve ritenere sorpassato dappoicché,
odiernamente, l’igiene degli spedali deve ricercarsi
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soltanto nei metodi di cura e di profilassi, nell’antisepsi,
e meglio nell’asepsi che oggidì hanno raggiunto la
massima perfezione; si è cioè costruito un nosocomio,
di tipo intermedio, dove, pur conservando il padiglione
come elemento base, si sono avvicinate, entro termini
convenienti, non solo le fabbriche fra loro, ma le sale
dei malati ai servizi, al precipuo scopo di contemperare
l’interesse dell’igiene con quello tuttavia importante
dell’economia”3. tra le architetture si differenzia
qualitativamente la palazzina di ingresso all’intero
complesso ospedaliero, il cui disegno parrebbe
recuperare il progetto dell’architetto bianconi studiato
per l’ampliamento del 1846 dell’antico ospedale
cittadino di san marco. si tratta di un edificio dalle
vaghe reminescenze neoclassiche caratterizzato da
tre grandi arcate e un imponente atrio colonnato
nel quale, senza troppa grazia, oggi è collocato un
piccolo ma necessario prefabbricato che funge
da ufficio informazioni per il pubblico. l’affaccio
dell’ospedale sul vialone d’ingresso, inoltre, fu pensato
per rispondere ad alcune istanze funzionali e come
elemento di raccordo tra la cittadella sanitaria
degli ammalati e la grande città dei sani che svetta
preminente in lontananza. Come ha giustamente
osservato pizzigoni, infatti, la facciata dell’ospedale
non funge da fondale scenografico ma costituisce
un elemento arretrato rispetto al filo stradale, perché
il vero prospetto ideale doveva rimanere la città alta,
il borgo Canale e il contesto orografico naturale dei
monti bergamaschi4.
la costruzione del nuovo ospedale, inaugurato dai
principi umberto e maria Josè di savoia il 20 settembre
1930, costituisce anche uno degli elementi salienti dello
sviluppo urbano della città moderna. essa rappresentò,
3 AA.VV., Gli Ospedali Riuniti di Bergamo un’istituzione della comunità, Ospedali Riuniti di Bergamo, Tipografia-litografia Nove-cento Grafico, Bergamo, 1999, p.114 Per questo tema si rimanda al convegno “Il verde e la città” svoltosi il 14 marzo del 2007 presso l’Auditorium dell’Accademia della Guardia di Finanza di Bergamo organizzato dall’Ateneo di Scienza Lettere Arti di Bergamo e, in particolare, all’intervento di Graziella Colmuto Zanella. Dei singoli interventi dei relatori, che si spera possano essere raggruppati in un volume di prossima pubblicazione, esistono alcune trascrizioni dattiloscritte non corrette dagli autori.
83
Veduta dei padiglioni che affacciano sull’antica corte interna dell’ospedale
Particolare del nuovo padiglione
infatti, una delle principali istanze innovatrici della fascia
nord-occidentale della periferia di bergamo, capace
di mettere in moto un meccanismo di rapido sviluppo
urbano gestito da privati e dall’amministrazione
pubblica. il trasferimento in questa area della
struttura ospedaliera e la conseguente dismissione e
rapido abbattimento degli edifici costituenti l’antica
cittadella sanitaria, lasciarono inoltre la possibilità di
ripensare alla configurazione urbana di bergamo,
offrendo, di fatto, la possibilità concreta di poter
elaborare il Concorso del 1926, senza sviluppi positivi, e
di migliorare il successivo piano regolatore della città,
così importante per la definizione del volto moderno
di bergamo. la grandiosità dell’ospedale, inoltre,
rispose pienamente al desiderio dell’amministrazione
locale e del regime centrale di rispondere in maniera
monumentale alle istanze innovatrici espresse dalla
città e alla richiesta di dotare bergamo di una serie di
architetture sociali pubbliche.
nel corso dei decenni il complesso ospedaliero
ha subito numerose trasformazioni dovute
all’accorpamento di altre strutture sanitarie quali,
ad esempio, l’ospedale provinciale pediatrico ugo
Frizzoni (1972) e l’istituto ortopedico matteo rotta
(1975). nel 1983 l’ospedale accolse e creò numerose
altre realtà sanitarie finalizzate a migliorare la cura dei
pazienti secondo logiche di eccellenza, e, per questa
ragione, si è dotata del Dipartimento ostetrico-
pediatrico (1983), dell’unità operativa di nefrologia
e Dialisi (1991) e di un nuovo blocco per le sale
operatorie (1995).
il processo di integrazione e di sviluppo non è facile
ma fino ad oggi ha saputo ben armonizzarsi con
la struttura architettonica esistente, perseguendo
logiche di riempimento degli spazi non occupati
dagli edifici di marcovigi e conservando al suo
interno numerosi beni mobili meritevoli di attenzione
e di valorizzazione. sebbene nel 1993 l’azienda
ospedaliera sia stata riconosciuta “di rilievo nazionale
e di alta specializzazione” dal ministero, la relazione
programmatica dell’agosto del 1996 sottolineava
l’obsolescenza di alcuni elementi strutturali e
impiantistici, con la conseguente impossibilità di
fronteggiare pienamente le nuove frontiere della
scienza medica, sempre in continua evoluzione e
sempre più bisognosa di ospitare laboratori altamente
tecnologici e complessi servizi sanitari specialistici.
per questa ragione negli scorsi anni si è indetto un
concorso internazionale per la costruzione di un
nuovo ospedale di bergamo che ha visto vincitore
il raggruppamento d’imprese che fa capo a sCau
s.a. di parigi, rinnovando idealmente quel legame
storico che intercorre tra la sanità bergamasca e la
cultura ospedaliera d’oltralpe5.
84
5 Cfr. AA.VV., Nuovo Ospedale di Bergamo. Concorso Internazionale, Bolis Edizioni, Bergamo, 2002
NELLA PAGINA ACCANTO:Veduta dell’ingresso dell’ospedale in relazione
al contesto urbano della città alta
86
Gli Spedali Civili di Brescia di Irene Giustina, Elisa Sala*
I.“in una zona posta al centro dell’anfiteatro di colline, tra Costalunga e mompiano, zona fra le più fresche e riposanti della città, sta per completarsi il nuovo ospedale Civile di brescia”. esordiva così, nel 1953, angelo bordoni (1891-1957), illustrando il progetto del nuovo nosocomio cittadino. si stava allora concludendo una lunga vicenda iniziata intorno al 1927, quando bordoni, incaricato di riformare l’antico ospedale di s. Domenico, ormai inadeguato, constatava l’impossibilità di un riadattamento della vecchia struttura ed evidenziava la necessità di erigere un edificio innovativo nella concezione distributiva e nell’organizzazione funzionale. il giovane ingegnere bresciano in quegli anni svolgeva una vivace attività professionale, distinguendosi, tra l’altro, per la partecipazione a milano, con luigi m. Caneva e antonio Carminati, al concorso per il progetto del palazzo di giustizia, all’ideazione del palazzo dei sindacati fascisti dell’industria, allo studio di un nuovo piano regolatore; la realizzazione
dell’istituto bresciano lo impegnò per tutta la vita, consentendogli di maturare una riconosciuta specializzazione nell’edilizia sanitaria. il compimento dell’ospedale di brescia fu rallentato, fin dal principio, dalla scelta della sua ubicazione, condizionata da esigenze di economia e accompagnata da un acceso dibattito politico; erano contemplate tanto l’area di via moretto, dove insisteva l’antico spedale, quanto le più ampie e periferiche zone di s. eufemia e di s. rocchino. bordoni, pur producendo numerose varianti, lavorò su un’idea progettuale di fondo che riproponeva la tradizionale tipologia ospedaliera a padiglioni, attualizzata però dalla connessione reciproca dei corpi di fabbrica. intendendo superare anche la casualità della distribuzione che aveva caratterizzato i complessi a padiglione del secolo precedente, bordoni si ispirò al rigore geometrico presentato dagli istituti del tardo settecento, in cui i fabbricati erano rigidamente ordinati. pure se con un progetto in continua evoluzione, l’impianto
SCheda 2
86
* Il contributo è stato curato dalla prof.ssa Irene Giustina; la stesura è da attribuirsi per la parte I all’ing. Elisa Sala, e per la parte II a Irene Giustina.
Veduta del corpo di ingresso (concluso al rustico nel 1941-42)
dell’ospedale di brescia – con evidenti rimandi alla crociera rinascimentale, incardinata sulla chiesa al centro della composizione – fu informato su figure geometriche regolari, proponendo uno “schema base [che] non è più la forma aperta della dama ma quella conclusa, funzionale e quasi meccanica della ruota dentata” e adottando “il sistema detto stellare ed anche radiale per i raggi o ali che fuoriescono, simmetricamente, rispetto al centro della figura”. la matrice geometrica alla base di quella idea si scontrò con le contingenze, venendo modificata più volte, fino a giungere – nel terzo progetto, elaborato nel 1934 per l’area, poi prescelta, di s. rocchino – a un impianto costituito da due esagoni regolari concentrici dai cui vertici si proiettavano padiglioni con germinazione a forcella e al cui centro era collocata la chiesa. tale disegno, definito a “fiocco di neve”, subì numerose modifiche fino a che nel 1937-38 fu apprestato il progetto definitivo: l’esagono fu ridotto nelle dimensioni, mentre i bracci radiali acquistarono una particolare emergenza; la biforcazione fu mantenuta solo per il corpo a sud-est e per il suo simmetrico a nord-ovest, scomparendo invece negli altri padiglioni. Di fatto, però, con corpi di fabbrica di dimensioni pressoché uguali, furono eseguiti solo tre padiglioni (a, b e C), lasciando uno spazio libero al vertice settentrionale dell’esagono. nel centro geometrico ideale del complesso, che corrispondeva anche a quello dell’area destinata a contenere l’intera struttura, circolare con raggio di 500 metri, fu costruita la cappella, collegata ai padiglioni da corridoi sopraelevati. il 22 ottobre 1938 fu posata
la prima pietra. l’ospedale bresciano rappresentò una vera novità tra le strutture sanitarie internazionali: la suddivisione dell’edificio in padiglioni interconnessi corrispose a una loro classificazione in relazione alle diverse patologie e quindi dei vari reparti di cura; ognuno di questi fu realizzato su un unico piano. ne sortì un fabbricato di sette piani fuori terra, di cui i cinque superiori destinati al ricovero ammalati e i due inferiori ai servizi generali; i padiglioni furono orientati in modo tale da ottenere infermerie tutte a doppia esposizione. i percorsi interni furono studiati in relazione ai flussi di utenze, disegnando passaggi distinti per gli operatori medici e i visitatori, mentre quelli esterni furono risolti come passerelle aeree, per consentire il trasporto veicolare al livello terreno del complesso; i collegamenti verticali furono progettati soddisfacendo esigenze antisismiche e antincendio. particolare cura fu diretta alla definizione formale dell’edificio, risolto con paramenti di mattoni posati in rilievo a disegnare – interpretando la tradizione costruttiva lombarda secondo gli orientamenti neoclassici prevalenti negli anni venti e trenta – rigorose trame geometriche e nitidi contrasti chiaroscurali, con innesti di stucco di cemento bianco, calce e polvere di marmo. tale ricerca estetica raggiunse accenti monumentali soprattutto nella quinta di ingresso e grande ricercatezza nelle decorazioni e nei dettagli, suscitando l’apprezzamento, tra gli altri, di Franco moretti, che annoverò l’istituto bresciano fra le più rilevanti architetture ospedaliere del ‘900. la costruzione al rustico fu conclusa entro il 1942, ma solo nel 1951 poterono entrare i primi malati e nel 1953
87
fu definitivamente chiusa la vecchia sede ospedaliera di via moretto. nel 1958 il nosocomio cittadino, ormai in piena attività, era in grado di accogliere più di 1.600 degenti.Gli anni Cinquanta aprirono un periodo di grande fermento per l’ospedale bresciano e portarono a numerose nuove realizzazioni, tra cui l’istituto del radio “olindo alberti” e il Centro di alte energie, sollecitati dall’eccellenza mostrata dagli spedali civili nel campo della radioterapia cancerologica sin dal 1929. il boom economico e lo sviluppo demografico ebbero però notevoli ricadute sulla nuova struttura ospedaliera; già tra il 1960 e il 1961, la carenza di posti letto si attestava intorno alle 700 unità. II. si procedette dunque a realizzare l’ultimo settore del complesso, per altro già progettato da bordoni nel 1955 quale nuova sede per l’ospedale degli infettivi ma lasciato in sospeso nel 1957. il nuovo padiglione, isolato rispetto agli altri in ragione della sua funzione d’uso, sarebbe andato a completare la struttura, collocandosi all’estremità nord-ovest; i problemi determinati dalla carenza di spazi portarono però a una revisione dei programmi e alla costruzione di un padiglione più aggiornato, denominato policlinico
satellite, in grado di garantire nuovi posti letto e assicurare la differenzazione dei reparti in specialità sempre più numerose. il progetto fu commissionato allo “studio di edilizia ospedaliera a. bordoni”, fondato dallo scomparso ingegnere bresciano, e fu elaborato dall’architetto Gianni Griletto, mentre l’ingegnere Dario perugini eseguì i calcoli per le strutture in cemento armato. l’impianto del ‘satellite’, discostandosi da quello dei padiglioni bordoniani, presenta “uno svolgimento a nastro, con una fronte centrale curva ed ali rettilinee raccordantesi in parallelo agli edifici preesistenti”. l’edificio è organizzato secondo una tipologia a monoblocco, in un corpo centrale di dieci piani fuori terra e due ali laterali di sette piani ciascuna, e impiegata l’unità compositiva cellulare, riconducibile all’unione di due camere a tre letti e servizi comuni, che comporta un reparto costituito da multipli di sei letti unicellulari. la struttura, con la contestuale costruzione di una nuova accettazione, fu intrapresa nel 1966 e divenne interamente funzionante nel 1973, attrezzando ben 870 nuovi letti. tre anni dopo fu inaugurato anche il nuovo padiglione infettivi, a conclusione di un dibattito intrapreso fin dal
88
Veduta della cappella al centro del complesso progettato da Angelo Bordoni negli anni Trenta del Novecento. Sulla sinistra, il prospetto del recente ampliamento del padiglione bordoniano (2005); sulla destra, si intravede il Policlinico Satellite (1966-1973)
Veduta della cappella e del passaggio coperto di collegamento con i padiglioni.
1953 per risolvere il problema dei malati contagiosi, collocati nell’angusto ospedale di s. antonino. la nuova struttura, avviata nel 1973 su progetto dell’architetto paolo Dabbeni, e dell’ingegner Franco Dotti, fu situata in un’area compresa fra il padiglione C e il “satellite”, modificando e aggiornando radicalmente il piano dello studio bordoni, più volte variato nel tempo.la costruzione e le potenzialità del “satellite” evidenziarono la necessità di istituire a brescia una Facoltà di medicina e chirurgia, seguendo una vocazione didattica palesatasi nell’ospedale già nel 1952, quando era stata aperta una scuola di ostetricia, da affiancare a quelle già esistenti per infermiere professionali e per assistenti visitatrici. la nuova Facoltà, istituita nel 1970, comportò, insieme con la costruzione, nell’anno successivo, di una sede autonoma a nord della cinta ospedaliera, un capillare processo di adattamento del nosocomio, teso a conciliare nei diversi reparti le esigenze ospedaliere con quelle universitarie e di ricerca. la convenzione con l’università permise così di qualificare ulteriormente le attività assistenziali dell’ospedale, consentendo di conseguire posizioni di eccellenza nell’ambito della diagnosi e della cura di numerose patologie. tali avanzamenti hanno richiesto nel tempo un costante rinnovamento della dotazione tecnologica e continui interventi, tesi ad ampliare e adeguare le strutture sanitarie. nel 1989, secondo un articolato e pluriennale piano progettuale, è stato completato il trasferimento nella struttura bordoniana dell’ospedale dei bambini,
89
Paramento murario dei padiglioni bordoniani (anni Trenta del Novecento)
Particolare del paramento murario (anni Trenta del Novecento)
90
istituito nel 1900 e ospitato a lungo in sedi inadeguate e provvisorie; nuovi reparti dell’istituto pediatrico sono entrati in funzione anche nel 1998, nel 2004, fino all’ultimo trasferimento avvenuto nei primi mesi del 2008. tra il 1998 e il 2001, a seguito di un concorso di idee vinto dal gruppo di progettazione avente come capogruppo l’architetto antonio montanari e come componenti gli architetti bauerova in sestak e Kaderabek, è stato realizzato il nuovo edificio ovest per blocchi operatori, inserito fra tre corpi dell’ospedale esistente con una rilevante soluzione high-tech: il braccio si sviluppa come una passerella aerea con struttura a vista, costituita da una trave reticolare gigante appoggiata alle estremità a due torri in muratura, ove sono posti i collegamenti ai padiglioni bordoniani e le uscite di sicurezza. nel dicembre 2000 è stato ultimato l’avancorpo del “satellite”, su progetto dell’architetto paolo Dabbeni e degli ingegneri Franco Dotti e Carlo piemonte, offrendo un considerevole aumento di spazi per alcuni servizi ospedalieri e per il pronto soccorso, insieme con il nuovo ingresso del “satellite” e la nuova elisuperficie. ancora Dabbeni e Dotti, hanno compiuto l’ampliamento del padiglione infettivi (1998–2003), sovralzando di un piano la struttura esistente e aggiungendo nuovi corpi di fabbrica, tra cui il collegamento con l’attiguo “satellite”; nello stesso periodo, hanno progettato anche la nuova sede della medicina del lavoro, un fabbricato che riprende le forme curvilinee di un padiglione bordoniano di servizio, collocato in posizione speculare nell’area dell’ospedale. il raggruppamento temporaneo studio nightingale associates e studio tecnico ing. roberto
Ferrari ha poi provveduto al sopralzo di due piani della sede della medicina del lavoro per ricavare la nuova sede dell’immunologia Clinica (2003-2004). nel 2004-2005 è stato completato il raddoppio di due corpi di fabbrica dell’ospedale con un importante intervento, il primo realizzato in italia in project-financing, secondo il progetto preliminare dell’ufficio tecnico dell’ospedale e il progetto definitivo della società Catalyst brescia s.r.l., riprendendo all’esterno il disegno del paramento bordoniano. infine, nel 2006 è stato attivato, in complesse strutture interrate, il Centro pet/taC con Ciclotrone e radiofarmacia. Considerando anche i presidi ospedalieri di Gardone
90
Paramento murario dei padiglioni bordoniani (anni Trenta del Novecento)
val trompia e di montichiari e l’ospedale dei bambini, entrati nel 1998 a far parte dell’azienda ospedaliera – in cui gli spedali Civili sono stati trasformati nel 1997 – si è giunti oggi a un’offerta complessiva di 2.500 posti letto, con 71.000 ricoveri ordinari annuali sommati a 25.000 ricoveri in day-hospital.la superficie decentrata e vuota destinata inizialmente alla costruzione del nuovo ospedale è dunque divenuta, col tempo, una “cittadella della sanità”, un esteso centro di assistenza e di ricerca medica che ha assunto un ruolo di crescente rilievo anche nell’orientamento dei processi di crescita urbana e territoriale. l’ampiezza di tale area, fissata con grande intuizione previsionale, ha consentito di accrescere notevolmente il nucleo ospedaliero originario con l’aggiunta di numerosi nuovi volumi, lasciando tuttavia ancora oggi larghi spazi al verde e ai giardini che hanno costituito un altro elemento fondativo e di merito, del progetto bordoniano. la validità delle scelte progettuali adottate nella prima struttura ospedaliera, infine, rimane tuttora manifesta, sia per la versatilità della sua articolazione, che ha consentito l’adeguamento progressivo e l’ampliamento di diversi padiglioni senza intaccare il primitivo impianto “a fiocco di neve”, sia per la coerenza espressiva e la raffinatezza del suo disegno che, impreziosite da una eccezionale cura per il dettaglio e per i materiali costruttivi, ancora oggi la rendono riconoscibile e le permettono di spiccare rispetto agli interventi più recenti.
91
Dettaglio decorativo nel giardino
Como, città di fondazione romana, accoglie i viaggiatori
alla porta di Camerlata con due monumenti della
storia antica e moderna: la torre del baradello, residua
testimonianza della fortificazione del colle, e la fontana
realizzata a metà degli anni trenta su disegno di Cesare
Cattaneo e mario radice.
Qui si trova l’ospedale sant’anna, a capo dell’omonima
azienda ospedaliera, costituita con i presidi di menaggio
(ospedale erba-renaldi), Cantù (ospedale s. antonio
abate) e mariano Comense (ospedale Felice villa).
il sito particolarmente favorevole, ben vicino alla stazione
delle ferrovie nord milano e all’autostrada che collega la
città al capoluogo lombardo, è un caposaldo del territorio
comasco, rappresentativo del legame che unisce la città
all’ospedale in un rapporto costruito in oltre cinque secoli
di storia, con relazioni dirette sull’intera regione e sul vicino
Canton ticino.
Cinque secoli di alterne vicende, luoghi e tempi diversi
che si sono aggiunti all’antica vocazione ospitaliera della
città. al 1468 risale il primo documento che si possa riferire
all’ospedale; si tratta della bolla pontificia redatta da
papa paolo ii per conferire l’atto di fondazione dell’istituto
sant’anna, su richiesta del vescovo di Como. sorto come
luogo di ospitalità per pellegrini, di assistenza a poveri e
di ricovero per deboli e indifesi, viandanti o bambini, ha
una storia lunghissima nella quale l’istituzione è divenuta
una potenza economica e fondiaria, espressione
della municipalità e, con i luoghi pii collegati, punto di
riferimento del mondo cattolico, non mancando fra i suoi
amministratori alcuni illustri rappresentanti della curia.
la prima sede dell’ospedale era in via Cadorna,
all’interno della Città murata, sul luogo di un precedente
ospedaletto, che faceva parte della chiesetta dedicata
a sant’anna, unito all’ospedale di san vitale sin dal
92
L’Ospedale Sant’Anna di Como di Daniele Garnerone
SCheda 3 Il palazzo dell’ingresso
e degli uffici direzionali
1353. Già alla fine del XiX secolo si erano manifestati i
limiti di spazio e attrezzature della struttura cittadina.
all’inizio del novecento la città contava 40.000 abitanti,
e l’incremento della popolazione, con la conseguente
domanda di nuove abitazioni, costituiva un elemento
di stimolo per l’espansione urbana e la progettazione di
nuovi edifici. in quegli anni non fu tanto l’amministrazione
pubblica del Comune a determinare la scelta della
costruzione di un nuovo ospedale, quanto piuttosto una
“modesta e pia signora”, teresa rimoldi. alla sua morte,
avvenuta nel 1924, la benefattrice lasciò una cospicua
donazione all’ospedale sant’anna, comprendente circa
cinque milioni di lire in denaro e il patrimonio fondiario
del quale era parte un ampio terreno pianeggiante ai
piedi del rilievo del baradello, tra la frazione di Camerlata
e la chiesa di san Carpoforo. nel 1925, la commissione
tecnica costituita allo scopo di studiare la riorganizzazione
dell’ospedale aveva scartato l’ipotesi di ristrutturare
la vecchia sede cittadina, valutando favorevolmente
l’area ricevuta in donazione. il presidente dell’istituto luigi
negretti affidò all’ingegnere bolognese Giulio marcovigi,
che firmava in quegli anni il nuovo ospedale di mantova,
il compito di elaborare il progetto per il nuovo ospedale,
studiando la soluzione più idonea con la consulenza
dell’ingegner luigi Castelli e del professor enrico ronzoni,
direttore dell’ospedale maggiore di milano, per gli aspetti
propriamente sanitari. Dal vecchio al nuovo ospedale, il
processo di modernizzazione passava attraverso corsie e
93
Dettaglio di una bifora sulla facciata del palazzo direzionale
laboratori, padiglioni e camere di degenza, secondo un
modello di concreta razionalizzazione e miglioramento
delle condizioni di assistenza e cura, di igiene e salubrità,
con particolare attenzione all’esposizione solare. la scelta
è quella di un complesso a padiglioni elevati su due e
tre piani, oltre al sotterraneo, con uno spazio centrale
per i servizi sanitari comuni, e un numero di posti letto per
ciascun edificio compreso tra 30 e 100.
il progetto prevedeva che ogni padiglione avesse ad ogni
piano un locale ampio destinato a soggiorno e refettorio,
con ampie superfici vetrate comunicanti direttamente
coi giardini al piano terra e con terrazze ai livelli superiori.
il 25 marzo 1928 è avviata la costruzione con le imprese
più importanti del settore, la Croci e buongiorno e la
saile, entrambe milanesi. Con la nuova “cittadella” della
medicina, basata sulla perfetta organizzazione degli spazi
e dotata di centinaia di ambienti e servizi d’avanguardia,
sono garantiti con largo anticipo quei requisiti e quelle
condizioni di prima categoria poi previste dalle
prescrizioni tecniche sull’edilizia ospedaliera emanate
nel 1939. il nuovo ospedale progettato da marcovigi
ha impianto planimetrico a raggiera, impostato su
un fulcro centrale attorno al quale sono distribuiti i
padiglioni che costituiscono il sistema, 12 edifici collegati
mediante percorsi in parte coperti da una pensilina
su pilastri. attestato alla via napoleona è il palazzo
dell’amministrazione, caratterizzato da architettura
consona al ruolo di rappresentatività, con l’ingresso
principale preceduto da un colonnato con terrazza
superiore e gli uffici amministrativi, le sale di presidenza e
di consiglio al primo piano, dove sono oggi conservati la
notevole quadreria e arredi d’epoca. ai lati, due edifici
bassi attrezzati in origine con i servizi di accettazione e
pronto soccorso, ambulatori di medicina e chirurgia.
sull’asse principale di orientamento dell’impianto, da nord
a sud, era in origine innestata una grande fontana in forma
di esedra, sorta di balconata attorno alla quale salivano
in leggera pendenza i percorsi diretti ai due blocchi
edilizi principali di chirurgia e medicina, ad u. Centrale al
sistema la chiesa dedicata alla santa, con l’abside rivolta
a sud e la facciata a monte, verso il rilievo del baradello.
attestato all’edificio sacro, il sistema di collegamento
94
Il monoblocco con la piastra del pronto soccorso
95
coperto sviluppato su tre bracci, il più lungo dei quali
diretto a monte, verso il padiglione dei servizi ospedalieri.
Da questo, un percorso chiuso da vetrate portava da un
lato al sanatorio, per la prima volta inserito nel perimetro
dell’ospedale, dall’altro all’ospedaletto per i fanciulli.
isolati dal nucleo principale, sono variamente dislocati
altri edifici tra i quali la centrale termica e la lavanderia, e
di notevole rilievo architettonico, il palazzo degli infettivi,
al margine nord del complesso.
alla metà del novecento si afferma un nuovo modello di
organizzazione degli spazi ospedalieri; progressivamente
abbandonato il modello a padiglioni, è introdotto
il tipo edilizio a monoblocco a sviluppo verticale. in
quegli anni l’ufficio tecnico dell’ospedale, presieduto
dall’ingegner Giovanni todeschini, elabora una soluzione
per sopraelevare di un piano i padiglioni.
Già allora si parlava di un nuovo nosocomio per far
fronte alle necessità. nasce da quel confronto il progetto
del monoblocco, dovuto all’architetto milanese ettore
rossi, un edificio a t con facciata principale curvilinea,
elevato su nove piani fuori terra, collocato al centro del
sistema a collegamento tra i reparti e i servizi generali. la
realizzazione dell’edificio, avviato a costruzione nel 1965
dall’impresa comasca nessi e majocchi, ha non poco
alterato l’impianto di marcovigi, del quale si è persa la spina
centrale costituita dalla sequenza della fontana esedra,
della chiesa, sostituita dalla nuova cappella interna, e dei
percorsi coperti tra i padiglioni. all’inizio degli anni ottanta
95
La testata del padiglione Giovanni Battista Grassi
si torna a pensare a un nuovo ospedale. il dibattito si è
svolto intenso sull’opportunità di realizzare altrove una
moderna struttura o, piuttosto, ristrutturare e ampliare
l’esistente. il confronto sul tema ha interessato ampia
parte della comunità, coinvolgendo parti sociali, politiche
e gli stessi operatori sanitari di fronte alla realizzazione del
nuovo ospedale, la cui costruzione è iniziata nel novembre
2006 e, secondo le previsioni, dovrebbe essere conclusa
nel 2009. la società infrastrutture lombarde presiede la
costruzione che copre una superficie di oltre 76.000 mq
su un’area molto vasta, compresa fra i comuni di Como,
san Fermo della battaglia e montano lucino. il nuovo
complesso è impostato su due corpi di fabbrica allungati
e quattro edifici disposti a raggiera attestati al corpo lungo
mediano, a pianta leggermente curvilinea. sviluppato su
cinque piani, due dei quali interrati, sarà dotato di quasi
600 posti letto, 22 sale chirurgiche, negozi, servizi di bar e
ristorazione e spazi per la cultura e socializzazione. nelle
previsioni il nuovo ospedale della città lariana avrà requisiti
di elevato livello, con una spiccata caratterizzazione
di tipo alberghiero. l’importanza del sito è testimoniata
anche dai reperti archeologici portati alla luce nel corso
degli scavi sull’area, tra cui una necropoli di età romana,
con una ventina di tombe, e una struttura preistorica ad
impianto circolare del diametro di circa 70 metri, risalente
all’età del Ferro (iX sec. a. C.), o forse al neolitico.
96
La Cappella dedicata a Sant’Anna all’interno dell’edificio monoblocco
Gli Istituti Ospitalieri di Cremona di Daniele Garnerone
Cremona, città che ha ereditato un monumentale
nucleo storico costituito in età comunale, è anche un
centro di primaria importanza per l’attività agricola
del suo territorio. lo è stato tanto più in passato quan-
do la struttura del contado era improntata da forti
caratterizzazioni di forma e qualità.
alle porte della città moderna, in direzione sud-est,
percorrendo la strada provinciale 87 (la via Giuseppi-
na a memoria del governo austriaco), il tessuto rurale
ripropone solo in parte le forme storiche del paesag-
gio agrario.
in questo settore è localizzato l’ospedale maggiore,
moderno complesso realizzato alla fine degli anni
sessanta, attestato su viale della Concordia, oggi a
capo dell’azienda ospedaliera istituti ospitalieri di
Cremona; di questa fa parte anche l’ospedale di
oglio po, recentemente ampliato e attrezzato di nuo-
ve funzioni. attorno al centro abitato e al territorio del
contado si è dunque costruita la plurisecolare storia
dell’istituto ospitaliero, una vicenda lunga oltre cin-
quecento anni.
la sua fondazione risale al 1450, quando il consiglio
generale della città ne ordinò l’erezione, auspicata
da nobili, mercanti e dalle gerarchie ecclesiastiche.
la realizzazione trovò sostegno nelle autorità del Du-
cato di milano, dal duca Francesco sforza alla con-
sorte bianca maria visconti, che assicurarono al nuo-
vo istituto la necessaria protezione, esentandolo da
ogni tributo e obbligazione. in tal modo si sarebbero
riuniti sotto una sola giurisdizione tutti i luoghi deputati
al sostentamento e al ricovero dei bisognosi, luoghi
pii, confraternite e ospitali minori sparsi sul territorio.
Con la bolla pontificia del 6 maggio 1451, papa ni-
colò v riconobbe ai cittadini cremonesi l’erezione
SCheda 4
98
Veduta dell’ospedale dal parco
del nuovo ospedale, ai bordi della città storica, verso
nord, acconsentendo all’accorpamento in perpetuo
del vasto patrimonio che faceva capo ai vecchi rico-
veri gestiti dalla chiesa nel nuovo istituto, intitolato alla
beata vergine maria della pietà.
accanto ai numerosi siti aggregati figuravano i pos-
sedimenti terrieri incorporati fra i beni del nuovo
ente. Fra le maggiori dotazioni, vi era quella derivata
dall’ospedale di santo spirito, detentore dei poderi
di spinadesco, borgo rurale a ovest della città, estesi
su oltre 400 ettari.
si trattava già per quel tempo di fertile campagna sul-
la quale le incessanti attività di bonifica e irrigazione,
con lo scavo dei navigli cremonesi e milanesi, del Ca-
nale della muzza e della fittissima rete di rogge e fossi,
avrebbero poi condotto a elevata produttività le terre,
con l’affermazione dell’azienda capitalista che face-
va capo alla cascina della bassa pianura irrigua.
alla prima costituzione quattrocentesca del patrimo-
nio del nuovo istituto fece poi seguito l’aggregazione
dell’ospedale di san lazzaro, nel 1594. nella seconda
metà del settecento, in occasione della soppressio-
ne degli ordini monastici, furono aggregati anche i
Conventi di san Francesco e di san luca (1777) e del
Convento di san pietro po (1782), quest’ultimo con la
consistente dote di oltre 700 ettari di campagna, oltre
a un elevato numero di livelli, capitali e fitti d’acque.
al volgere dell’ottocento l’ospedale di Cremona,
secondo solo all’ospedale maggiore di milano per
dimensioni e importanza, poteva così disporre di
estesissime possessioni terriere, corrispondenti quasi al
territorio dell’attuale provincia, con talune proprietà
estese anche al basso milanese.
per secoli il ricco patrimonio fondiario dell’ospedale è
stato gestito in regime di affittanza, prevalentemente
a conduzione diretta stante la dimensione media dei
fondi. la progressiva alienazione delle terre, sostanzial-
mente votata a finanziare la gestione dell’ospedale,
quando non a risanarne i bilanci, ha eroso dramma-
ticamente il complesso dei beni posseduti, giunto ad
annoverare, con le aggregazioni e le donazioni, 80 di-
more nella città e 8.500 ettari di campagna e ridotto
agli inizi del novecento a circa 3.150 ettari.
in quegli anni le condizioni igieniche e la dotazione di
spazi rispetto alle esigenze risultavano alquanto pre-
carie. prese avvio in quel periodo l’intenso dibattito
tra gli esponenti di governo locali circa la necessità
di erigere un nuovo ospedale, dotato dei requisiti ne-
cessari a soddisfare le necessità di una moderna città
e nel quale concentrare i servizi ospedalieri sparsi in
numerosi piccoli centri di assistenza e cura del ca-
poluogo. nel confronto, che durò trent’anni, si profi-
lò anche la possibilità di riunire sotto la giurisdizione
dell’ospedale maggiore anche il secondo nosoco-
mio esistente in città, l’ospedale ugolani Dati, fonda-
to nel 1603 e insediato nel cinquecentesco palazzo
99
affaitati. la riunificazione tardò molti anni prima di
concretizzarsi e, nel frattempo, nel 1910, fu reso pub-
blico il progetto del cremonese Jotta per un nuovo
ospedale, sviluppato con soluzioni architettoniche e
tecnologiche derivate dalla visita ai migliori ospedali
europei del tempo.
nel 1935, col raggruppamento in un’unica ammini-
strazione degli ospedali maggiore e ugolani Dati, e di
altre minori strutture cittadine, fu costituito l’ente degli
istituti ospitalieri.
alla metà del secolo alla vecchia sede di piazza
dell’ospedale, oggi piazza Giovanni XXiii, si erano ag-
giunti in fasi successive altri corpi e fabbricati; pur se
organizzato in sedi diverse, con le conseguenti dise-
conomie di esercizio, gli istituti ospitalieri di Cremona
raggiungevano il livello di prima Categoria, garanten-
do il massimo dell’assistenza con tutte le prestazioni
specialistiche e una capienza complessiva di quasi
1500 posti letto.
solo nella seconda metà del novecento si concre-
tizzò la costruzione dell’odierno ospedale, inaugurato
nel 1972. il nosocomio è inserito in un’area pressoché
quadrangolare, in buona parte sistemata a parco e
giardino alberato, entro la quale una trama di percor-
si e di viabilità conduce all’imponente nucleo cen-
trale, cosiddetto monoblocco, e da questo si allunga
alla serie di edifici bassi distribuiti a corona, da ovest
a est. il progetto è dovuto ad arturo braga, capo in-
100
Il blocco dell’ospedale, dal parco
gegnere dell’ospedale maggiore di milano, che ha
lavorato in collaborazione con lo specialista igienista
professor enrico ronzani (entrambi impegnati anche
nella progettazione dell’ospedale di Crema).
alla realizzazione dell’opera, iniziata nel 1965 e porta-
ta a completamento nel 1970 dalla senese impresa
di costruzioni pa-bar, hanno contribuito gli ingegneri
romano sora e evandro sacchi.
Fulcro del sistema è il palazzo elevato su nove piani
fuori terra, con pianta ad H, o doppia t, modello rico-
noscibile anche nell’ospedale san paolo alla barona
di milano (Carlo Casati, 1964-1984).
il nucleo centrale è delimitato da due corpi lunghi e
curvilinei dove sono organizzati gli ambienti di degen-
za e gli studi medici; di superficie pressoché identica,
sono opportunamente distanziati per esser raccorda-
ti al centro dagli spazi di pronto soccorso, dai labora-
tori, dagli spazi di distribuzione e dai servizi ospedalieri.
sul fronte opposto all’ingresso principale si trova an-
che la chiesa, elevata a sede parrocchiale, dedicata
alla beata vergine maria della pietà. pressoché uni-
co nel complesso, presenta prospetti rivestiti in lastre
lapidee, alle quali si aggiunge un’ampia soluzione in
mattone sulla facciata principale.
i fabbricati distribuiti all’intorno, limitati a due e tre
piani, assolvono alle diverse funzioni di supporto; fra
questi, la palazzina direzionale, attestata su viale del-
la Concordia, il vicino polo universitario e al margine
opposto, l’edificio adibito alla cura delle malattie
infettive e la palazzina dei servizi tecnici. la chiara
immagine architettonica che li accomuna è caratte-
rizzata dalle regolari aperture secondo un disegno a
griglia e dalla prevalente finitura in mattonelle di gres
ceramico di colore azzurro. in fase di completamento,
101
Dettagli della facciata della palazzina direzionale e del monoblocco
la nuova piastra operatoria introduce interessanti ele-
menti di discontinuità architettonica, su progetto di
alberto stasi, ingegnere a capo del servizio tecnico
patrimoniale dell’ospedale.
Grande attenzione è posta anche agli spazi del par-
co, con alberature rigogliose tipiche della pianura irri-
gua: aceri, acacie, tigli, ippocastani, pioppi e platani
oltre a conifere, distribuite prevalentemente nel set-
tore a sud-est, secondo un disegno a macchia che
genera scorci continui e visuali sugli edifici, delimita e
asseconda i percorsi di distribuzione, anche attraver-
so contenute ondulazioni del suolo.
Col tempo, l’istituto ospitaliero è divenuto un com-
plesso centro di ricerca scientifica che ha saputo far
tesoro della incessante attività di tanti illustri medici,
protagonisti della vita civile e della cultura del capo-
luogo, primi fra tutti Gaspare aselli (1581-1625), me-
dico chirurgo e anatomista, docente all’università di
pavia, e Francesco robolotti, medico, storico e patrio-
ta mazziniano.
l’alto valore storico ed artistico del patrimonio pro-
dotto e accumulato nei secoli è ben rappresentata
della notevole documentazione conservata all’ar-
chivio di stato di Cremona, e dalla collezione d’arte.
102
Ingresso della palazzina direzionale
L’Ospedale A. Manzoni di Lecco di Daniele Garnerone
SCheda 5
104
lecco, e “Quel ramo del lago di Como che volge a
mezzogiorno...”, sono centrali nella storia della lette-
ratura e del risorgimento d’italia. ad alessandro man-
zoni è intitolato il nuovo ospedale alle porte della
città, a est del nucleo antico, nella residua zona pia-
neggiante ai piedi dei rilievi montuosi che si innalzano
verso le frazioni Germanedo e acquate, in posizione
particolarmente favorevole rispetto al sistema di via-
bilità che collega la città con i capoluoghi delle vici-
ne province.
si tratta di una struttura modello – a guida dell’omo-
nima azienda ospedaliera costituita nel 1995 e com-
prendente il presidio di merate, dov’è attivo l’ospe-
dale san leopoldo mandic, e l’ospedale umberto i
di bellano – caratterizzata da elevati contenuti tec-
nologici e improntata a una immagine di grande mo-
dernità che rende onore agli oltre 250 anni di storia
dell’istituto. il primo momento relativo alla costituzio-
ne di un luogo per il soccorso dei bisognosi, il ricovero
e la cura dei malati a lecco ha origini religiose. risale
al 1741, quando il sacerdote della città manzoniana
Don Giovanni battista pagani, parroco del borgo di
acquate, dispose nel testamento che gran parte del-
le proprie risorse patrimoniali fossero impegnate nella
fondazione di un ospedale.
alla morte dell’illustre reverendo, avvenuta nel 1768, il
testamento venne aperto fra le rimostranze degli ere-
di. D’altro canto, la stessa amministrazione austriaca,
contraria con la propria politica alla concentrazione
dei patrimoni di provenienza ecclesiastica, pose il veto
all’operazione limitando a un quinto dell’ammontare
il lascito a favore dell’ente in via di costituzione.
tale provvedimento impedì di fatto la realizzazione
del nuovo istituto e, con il capitale a disposizione, fu
L’edificio ospedaliero, collegato al polo amministrativo-didattico
costituito un servizio sanitario attivo sul territorio lec-
chese, garantendo altresì un sussidio mensile agli indi-
genti, agli infermi e alle puerpere.
Fu per iniziativa privata e per il tramite di benefatto-
ri che l’ospedale potè alfine costituirsi. tra il 1830 e il
1835, il ricco commerciante lecchese antonio muzzo
elargì la somma di 40.000 lire milanesi allo scopo di
erigere un ospedale “di ampiezza sufficiente a col-
locarvi i poveri di un comune che conta oltre 4.000
abitanti”.
il proposito fu raccolto anche da pompeo redaelli
che mise generosamente a disposizione il terreno su
cui erigere la costruzione, corrispondente all’attuale
sede del municipio, e dall’architetto Giuseppe bova-
ra che prestò gratuitamente la propria opera per re-
digere il progetto dell’edificio.
l’opera ebbe inizio e, non senza difficoltà, fu portata
a compimento nel 1840. Di fronte alla mancanza di
residue risorse per affrontare le spese di gestione, la
chiesa sollecitò l’intervento dei fedeli per consentire
l’entrata in funzione del nuovo ospedale. Fra i promo-
tori dell’iniziativa anche il sacerdote vittorio Cremo-
na, primo amministratore dell’ente, che nel 1843 pre-
stò giuramento per ricoprire la carica. nell’agosto di
quell’anno l’attività ospedaliera prese avvio dando
ospitalità ai primi pazienti.
Già verso la fine del secolo si erano manifestate le
ristrettezze e le limitazioni della struttura, di fronte alle
quali gli operatori più illustri della città promossero la
costruzione di un nuovo edificio.
Gli ingegneri mella e ongania, incaricati dall’ammi-
nistrazione di elaborare il progetto, proposero una
soluzione mirata a ottenere il massimo di modernità,
“escludendo il tipo (dei) vecchi ospedali caserme”;
105
Collegamento verticale al piano 2°
l’area individuata, affacciata alla via Ghislanzoni, tra
il lago e la ferrovia, avrebbe consentito ampliamen-
ti futuri. i lavori avviati sono portati a compimento
nell’arco di diciotto mesi. nel 1900, trasferiti i degenti
nel nuovo nosocomio dotato di 80 posti letto, il vec-
chio fabbricato è venduto al Comune per la somma
di 100.000 lire. le vicende storiche e politiche dei pri-
mi decenni del secolo vedono affermarsi il ruolo degli
ospedali minori distribuiti sul territorio; per l’ospedale
di Circolo di lecco è disposta la funzione a servizio di
61 comuni della provincia di Como. attorno agli anni
trenta, con i contributi erogati anche della Cassa di
risparmio, sono messi a cantiere i lavori di ampliamen-
to dell’edificio, realizzati su progetto dell’architetto e
ingegnere mario ruggeri.
alla metà del novecento si creano i presupposti
per quello che diverrà, molto più tardi nel tempo, il
nuovo e attuale ospedale. è del 1954 la disponibilità
dell’area circostante villa eremo su iniziativa del sin-
daco ugo bartesaghi. l’antica dimora, edificata alla
fine del seicento dai marchesi serponti, viene ven-
duta al Comune che, all’indomani dell’acquisizione,
destina la grande proprietà terriera adiacente alla
costruzione di un nuovo ospedale. è ancora lo stesso
ruggeri a studiare una soluzione sull’area, ma il pro-
getto non ha seguito.
Frattanto, ai successivi ampliamenti e adeguamenti
funzionali dell’ospedale cittadino si accompagnano
le prime iniziative concrete per il nuovo complesso
ospedaliero. alla fine degli anni ottanta è approva-
to il progetto preliminare e, con gara d’appalto, nei
primi anni novanta sono aggiudicati i lavori di costru-
zione, condotti da un consorzio di imprese costituito
attorno alla impregilo.
il progetto, elaborato dall’architetto aurelio Gorgeri-
no, con la consulenza architettonica di marco zanu-
so e di bohdan paczowski, è portato a compimento
nell’arco di un decennio, con solenne inaugurazione
il 5 febbraio 2000.
principi ordinatori sono l’immagine architettonica, net-
ta e definita, e il rapporto con il contesto. ne deriva un
giusto inserimento nel paesaggio, sia rispetto ai valori
naturali, primariamente determinati dai rilievi che domi-
nano il territorio lecchese, sia rispetto agli elementi dello
spazio urbano, qui caratterizzato dai consueti tipi edilizi
non definiti unitariamente della periferia.
l’organizzazione planimetrica del complesso, un si-
stema costituito da tre corpi principali – l’edificio
ospedaliero, il palazzo direzionale e amministrativo, il
blocco degli impianti tecnologici e dei servizi – col-
legati da percorsi e strutturato da spazi verdi a prato
e alberature a filare ne fanno un modello particolar-
mente riuscito. all’albero, del resto, è fatto esplicito
riferimento nella definizione dell’impianto nel quale
l’edificio che ospita i servizi e le attrezzature tecnolo-
giche corrisponde alle radici, la palazzina direzionale
106
assolve alla funzione del tronco e l’ospedale vero e
proprio rappresenta la chioma.
un modello che alla natura fa esplicito riferimento,
dunque, e con le sue componenti di forma, materia,
colore e luce l’architettura si confronta, generando
paralleli particolarmente efficaci: cosicché le scabre
rocce che si ergono monumentali a corona della
città si ritrovano nei materiali, nel cromatismo, nell’al-
ternarsi di vuoti e pieni, nel contrapporsi di luci e om-
bre generate dai volumi dell’ospedale, nettamente
emergenti dai prati circostanti, anche in pronuncia-
to declivio. se la componente naturale ha ispirato
il progetto, è alla vita umana che è riconosciuta la
centralità delle funzioni e degli spazi dell’ambiente
ospedaliero. nel palazzo delle degenze, le camere
sono a uno o due letti, con ampie superfici vetrate
che consentono di allargare la vista sul paesaggio
del lago e dei monti lecchesi. non di meno gli aspetti
tecnologici e costruttivi restituiscono l’immagine della
modernità e dell’efficienza. accanto alla netta distin-
zione dei volumi edificati per specificità di funzione, vi
è una pressoché perfetta organizzazione delle attivi-
tà propriamente ospedaliere, con la netta divisione
dei percorsi, l’automazione mediante carrelli robot
dei trasporti in galleria – lungo l’asse di collegamen-
to dei tre edifici – dei materiali sanitari e dei servizi
di cucina, una spiccata attenzione all’umanizzazione
degli ambienti con particolare dotazione di requisiti
107
L’edificio ospedaliero e la palazzina del polo amministrativo-didattico
accessori e complementari. le imponenti dimensio-
ni del complesso, oltre 500.000 mc di volume e circa
140.000 mq di superficie coperta, sono peraltro miti-
gate dall’altezza massima di quattro piani fuori terra
dell’ospedale vero e proprio. il volume dell’edificio, a
pianta rettangolare, risulta peraltro notevolmente “al-
leggerito” da sei corti originate dalla doppia crociera
interna – impianto che rievoca la milanese Ca’ Gran-
da – e dall’apertura centrale, attestata lungo l’asse
longitudinale, dove lo spazio di accesso pubblico di-
venta una piazza, raccogliendone gli elementi costi-
tutivi di forma e funzione. su di essa si apre l’ingresso al
palazzo delle degenze, con un vasto salone di acco-
glimento e attesa sul quale affacciano le vetrine dei
negozi a perimetro. i collegamenti verticali, mediante
ascensori e scale mobili, consentono di raggiungere
anche i due piani sotterranei a livello dei quali sono
distribuiti l’ampia autorimessa per 1.250 posti, il polo
didattico con aule di studio e un’aula magna per riu-
nioni e conferenze, dov’è esposta la quadreria con i
ritratti delle illustri personalità legate alla storia dell’isti-
tuto, l’archivio generale, laboratori e sale operatorie.
108
La piazzetta all’ingresso dell’ospedale con il collegamento coperto
110
L’Ospedale Maggiore di Lodi di Adele Simioli
SCheda 6 l’ospedale maggiore di lodi, che occupa l’intero iso-
lato compreso tra piazza ospitale e le vie bassi, Go-
rini, pallavicino e serravalle, è attualmente adibito a
sede asl e indicato anche come ospedale vecchio
per distinguerlo da quello nuovo costruito negli anni
sessanta nella non lontana area adiacente viale sa-
voia. nel nuovo ospedale è stata concentrata l’attivi-
tà sanitaria organizzata in reparti e laboratori, mentre
nella sede storica trovano posto uffici amministrativi e
attività ambulatoriali.
la calda facciata gialla dell’ospedale vecchio, di
marcata orizzontalità, insieme alla mole duecente-
sca della chiesa di s. Francesco racchiude e ripara
l’accogliente piazza ospedale; penetrando all’inter-
no dell’edificio ci si imbatte in spazi interni ed esterni
che dichiarano l’indubbia rilevanza del complesso
dal punto di vista storico-artistico, in merito allo svi-
luppo urbanistico-architettonico della città di lodi e
come specchio del mutare delle concezioni ospe-
daliere dal medioevo ai nostri giorni. l’aspetto attua-
le del vecchio ospedale è il risultato di una serie di
ampliamenti e edificazioni succedutesi intorno a un
primitivo edificio a crociera quattrocentesco, in un
continuo sforzo di adeguamento funzionale. l’ente
nacque nel 1457 come aggregazione di diciassette
diversi antichi nosocomi esistenti nella diocesi di lodi
grazie alla committenza di Carlo pallavicino, vescovo
della città dal 1456 al 1497. tra gli istituti preesistenti
quello di maggior rilevanza era la casa di carità in-
titolata al santo spirito, fin dagli inizi del Xiii secolo1
110
1 La lapide oggi posta sull’entrata della chiesa dell’ospedale, proveniente da una delle demolite chiese dell’area e datata 1246, testimonia l’esistenza dell’ospedale già in quella data. L’iscrizione in volgare (santo e salutevole pensiero è l’orare per gli defunti - 2 mag 1246), che risale a venti anni prima della nascita di Dante, ha inoltre un elevato valore archeografico.
Ospedale vecchio di Lodi, fronte principale
dedicata al soccorso dei bisognosi. Gli storici lodigiani
rilevano che il luogo fu trasformato dal frate fondato-
re Facio in vero e proprio ospizio gestito da un ordine
d’infermieri obbedienti alla regola di s. agostino e
costituito da un’infermeria e da una chiesa con sa-
crestia. l’ospedale vecchio è sorto sullo stesso luogo
del primitivo istituto di carità ereditandone il ruolo, il
primo personale e lo stemma, in cui è rappresenta-
ta una colomba che reca un ramoscello d’ulivo nel
becco. l’istituto fu eretto a partire dal 1459 secondo
un impianto a crociera apertamente ispirato alla fila-
retiana Ca’ Granda di milano (la cui costruzione era
stata avviata nel 1456) tanto da suggerire in passato
l’ipotesi di un intervento diretto di Filarete stesso nel
progetto2. la paternità dell’opera, tradizionalmente
attribuita a Giovanni battista da Comazzo e beltramo
da pandino, non può essere stabilita con certezza: il
ruolo dei due architetti è stato infatti ridimensionato
di recente da serena pesenti a favore di antonio da
zurlengo3 mentre raffaela Gorini propende per il bre-
sciano tonino da lumezzane4. l’impianto originario a
croce semplice è oggi solo immaginabile: esso era
costituito da due corsie di uguale lunghezza che si
incrociavano in un vasta sala dove era posto l’alta-
re. la soluzione a crociera rappresentava una solu-
zione artisticamente soddisfacente per la regolarità
della pianta e un grande avanzamento della tecnica
ospedaliera: dalla sala centrale era infatti possibile
vedere tutti gli ammalati i cui letti erano disposti lun-
go le pareti perimetrali delle quattro corsie, allo stesso
modo l’altare era nel campo visivo di tutti i degenti.
la fabbrica è stata interessata da continui amplia-
menti dal Xvi alla fine del Xviii secolo fino a giunge-
re all’impianto il cui scheletro è visibile ancora oggi
nonostante le superfettazioni. tra i vari progetti di
ampliamento rinvenuti in archivio, un disegno data-
to 1537 ed oggi disperso, è stato attribuito al celebre
architetto pellegrino tibaldi. il progetto non realizzato
immediatamente per difficoltà economiche, potreb-
be rappresentare la base degli interventi successivi
dilazionati nel tempo. la figura che ne è derivata è
una doppia croce costituita da due lunghe infermerie
parallele attraversate da un braccio più corto (69 m)
esteso tra via bassi e via pallavicino. la doppia croce
permetteva di separare le corsie femminili da quelle
maschili e in un secondo momento i malati cronici o
incurabili da quelli convalescenti dando inizio ad un
certo grado di separazione degli ammalati, che rima-
111
2 Agnelli G., Ospedale di Lodi – Monografia storica, Il Pomerio, Lodi 1964, p. 47.3 Pesenti S., L’Ospedale Maggiore di Lodi, in Franchini L. (a cura di), Ospedali lombardi del 400. Fondazioni, trasformazioni, re-stauri, Newpress, Como, 1995, pp. 179-200.4 Gorini R., L’ospedale di Santo Spirito della Carità a Lodi: storia della fabbrica in «Artes - periodico annuale di storia delle arti», vol. IV, Università di Pavia, Pavia 1996, pp. 44-53.
nevano comunque non distinti per patologia. Quan-
do la richiesta di posti letto superava le capacità
dell’ospedale, essi venivano aumentati aggiungendo
campate ai bracci della crociera, motivo dell’irrego-
larità della figura le cui estremità si allungano fino ai
limiti del lotto. le altissime infermerie erano illuminate
da grandi finestre e attraversate da piccoli ballatoi
con ringhiera (ancora visibili e ben conservati) che
correvano in alto lungo i muri perimetrali e da cui era
possibile sorvegliare i degenti. lo spazio interno della
crociera viene utilizzato ancora oggi: in anni recenti
esso è stato suddiviso in altezza tramite l’edificazio-
ne di un solaio intermedio, così da ottenere ambienti
più piccoli da adibire ad uffici. Dalle testate terminali
della crociera, specie dall’ingresso dell’ospedale, è
ancora possibile percepire la volumetria originaria.
negli spazi adiacenti la crociera erano inseriti servizi
e luoghi di riunione e riposo per gli ammalati: rimane
memoria di sedici cortili, di cui il più bello e armonioso
è il piccolo chiostro quattrocentesco della farmacia.
si tratta di un cortile quadrato, con piccolo pozzo al
centro, circondato da un portico a due ordini. al li-
vello inferiore si succedono 16 archi a tutto sesto, 4
per lato, sostenuti da colonne con capitelli a foglie
lobate; a ogni arco ne corrispondono due più piccoli
nel secondo ordine, soluzione adottata di frequente
nella tradizione architettonica lombarda. Gli archivolti
del portico terreno sono arricchiti da fregi variamente
112
Chiostro della farmacia, particolare decorativo
stampati in terracotta con ghirlande vegetali e moti-
vi a tortiglione che restituiscono un effetto di grande
eleganza e leggiadria al cotto a vista, materiale larga-
mente prevalente nel chiostro, anche da questo punto
di vista equiparabile ai più noti edifici del rinascimento
lombardo. tra le imposte degli archi al piano inferio-
re sono scolpiti tondi con l’immagine della colomba
sostituita al piano superiore da melograni, frutto la cui
interpretazione simbolica, tradizionalmente connessa
all’idea di fertilità e longevità, si è arricchita di nuovi
sensi nella lettura cristiana arrivando a simboleggiare
la carità e la resurrezione di Cristo. sul cortile della far-
macia si apre una delle sale interne più riccamente
decorate, l’ex sala capitolare con le volte affrescate
nel Xvi secolo da Giulio Cesare Ferrari a grottesche
con fantasiosa commistione di motivi di varia ispirazio-
ne. la sala, adibita nel tempo a usi diversi, è oggi sede
del museo Gorini composto da 166 dei numerosi pre-
parati anatomici prodotti dallo scienziato paolo Gorini
(1813-1881) tra il 1840 e il 1880.
un rinnovamento dell’ospedale di grande entità fu av-
viato nel Xviii secolo: nel 1767 maria teresa d’austria
stabilì l’immunità del censo per il pio ente rendendo
l’amministrazione dell’ospedale in grado di avviare un
riordino generale dell’isolato da poco divenuto inte-
ramente di proprietà dell’ospedale tramite successive
acquisizioni e demolizioni di edifici preesistenti. a questa
fase risalgono alcuni degli spazi più monumentali del
complesso ospedaliero: l’odierna facciata principale
e la chiesa dell’ospedale lungo via pallavicino costru-
ita al posto di un più semplice oratorio seicentesco
con cortile annesso usato come fossa comune detto
“foppone”. la chiesa “dei morti” a croce greca, fu edi-
ficata nella seconda metà del ‘700 dal frate-architetto
plana, completa di un piccolo chiostro porticato di for-
ma rettangolare, scandito da archi su colonne e pila-
stri. tale spazio si presenta gravemente compromesso
da quando nel 1902 fu separato dalla chiesa da un
muretto con inferriata e ridotto a cortile tramite l’ac-
cecamento delle arcate del portico mediante pareti
in muratura. si accede alla chiesa dall’entrata di via
pallavicino, ingresso talmente ravvicinato al portale
della chiesa da consentirne solo una visione molto rav-
vicinata che purtroppo non consente di percepire con
chiarezza i volumi. la chiesa dell’ospedale fu costruita
anche utilizzando materiale recuperato dalla demo-
lita chiesa di s. maria del sole che sorgeva nell’odier-
na via indipendenza; gli altari delle cappelle laterali
provengono dalle demolite chiese di s. matteo e s.
andrea mentre l’altare maggiore in marmo intarsiato
apparteneva alla confraternita di s. Croce. tra le ope-
re che decorano l’interno, si ricorda la tela di Camillo
procaccini raffigurante La discesa dello Spirito Santo.
il riordino settecentesco coinvolse anche l’immagine
esterna dell’ospedale tramite l’edificazione del nuovo
fronte su piazza ospedale realizzata nel 1792 dagli ar-
113
chitetti angelo bassi e marcello segre insieme al cortile
interno e al nuovo corpo di uffici. la lunga facciata
neoclassica è di chiara impronta piermariniana, tanto
che alcuni storici lodigiani hanno parlato non di libera
ispirazione del progetto ma di vera e propria paternità
dell’idea di Giuseppe piermarini. l’elemento centrale
della facciata, scandito da paraste ioniche giganti
con alta trabeazione e timpano finale, corrisponde alla
testata di una delle crociere. l’ingresso mistilineo con
piccolo giardino in via bassi pone invece attenzione
sull’inizio della crociera di minori dimensioni. Dal punto
di vista dell’organizzazione ospedaliera, durante l’800
iniziò quel processo di dislocazione razionale dei servizi
che condurrà al moderno ospedale organizzato in pa-
diglioni specializzati. una riforma generale delle strut-
ture e dei servizi venne tuttavia attuata solo nei primi
anni del ‘900 su progetto dell’ingegnere dell’ospedale
pietro Ferrari e di emilio speroni. punto focale di tale
riforma fu la costruzione di un nuovo reparto chirurgico
secondo le indicazioni del prof. tanzini, terminato nel
1906 su via Gorini. nonostante l’apertura di vari centri
specializzati (ad esempio i reparti radiologico e pedia-
trico), l’ospedale non era più in grado di soddisfare la
richiesta di cura dei cittadini, motivo per cui negli anni
’60 si decise per l’edificazione del nuovo ospedale a
monoblocco verticale, progettato dallo studio bordo-
ni di milano, specializzato in edilizia ospedaliera, sotto
la direzione dell’architetto vittorio Caneva.
114
Chiostro della farmacia, secondo ordine
L’Ospedale Carlo Poma di Mantova di Daniele Garnerone
SCheda 7 mantova, città a misura d’uomo, prese forma dalle
condizioni naturali del territorio (“cruda”, così scris-
se Dante della leggendaria manto, fondatrice del-
la città), dalla struttura militare, e da una Corte che
amava i fasti dell’arte. tracciandone un profilo, Guido
piovene annotò che “un visitatore distratto, che attra-
versi mantova in fretta, può rimanere inconsapevole
delle bellezze che racchiude […] il meglio di manto-
va è chiuso, i suoi paesaggi sono interni come quelli
dell’anima” 1.
ritroviamo dunque una “città di grande bellezza…
perché belle vi sono anche le cose minori e affasci-
nante il carattere generale dell’ambiente urbano” 2.
Fra le “cose minori”, belle, mantova annovera anche il
suo ospedale, in particolare quella parte dell’attuale
ospedale che risale agli anni venti. a questa si sono
poi aggiunti per fasi successive ampliamenti e ade-
guamenti sino a determinare l’odierno ampio com-
plesso intitolato a Carlo poma che fa capo all’omo-
nima azienda ospedaliera, costituita anche dalle
strutture provinciali di asola, bozzolo, pieve di Coirano,
dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione
delle stiviere e dal presidio di viadana, dov’è presen-
te un centro di lungodegenza.
una vicenda plurisecolare attraverso la quale si è
svolta la storia della città. la fondazione dell’ospeda-
le risale al Xv secolo quando, per iniziativa di ludovi-
co Gonzaga, secondo marchese della città, fu istituito
l’ospitale poi riconosciuto nel 1449 con la bolla pon-
tificia di papa nicolò v. Con successive deliberazioni,
tra le quali le bolle papali del 1471 e le disposizioni del
Delegato apostolico della Diocesi mantovana, nel
116
1 Guido Piovene, Viaggio in Italia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1957, p. 1122 AA.VV., Lombardia, Guida d’Italia, Touring Club Italiano, Milano 1987, p. 740
L’edificio dei nuovi reparti di degenza
1576, l’istituto fu accresciuto con l’aggregazione di
ospitaletti cittadini e dei sobborghi del contado.
la città vantava a quel tempo il proprio ospedale
Grande all’interno del nucleo cittadino, in fase di
espansione con grandi dimore patrizie, chiese e inse-
diamenti religiosi. si trattava del primo importante in-
tervento a scala urbana dell’epoca rinascimentale.
il prosciugamento del lago paiolo, compiuto a metà
del settecento, restituì un’ampia zona per l’amplia-
mento urbano a sud della città. Con la fine della do-
minazione austriaca, mantova potè dotarsi a partire
dal 1811 dell’ospedale insediato in via pradella, poi
corso vittorio emanuele. il palazzo, restaurato a metà
dell’ottocento, costituiva una porzione del convento
di sant’orsola, del cui antico impianto rimane ancora
l’omonima chiesa.
Questa sede ospedaliera copriva un’area di quasi
15.000 mq che, benché ampia, ben presto si rivelò
inadeguata alla crescita della popolazione e alle esi-
genze che si andavano manifestando. il complesso
poco si prestava a riforme e ampliamenti e la scelta
di indirizzare gli sviluppi verso un nuovo ospedale fu
ritenuta opportuna. l’area fu così individuata lungo
la direttrice di espansione sud-ovest della città, in
località borgo pompilio, una delle zone più elevate
sul bordo delle terre prosciugate dell’antico lago.
la porta belfiore era lontana un chilometro, ciò che
garantiva le necessarie distanze dal nucleo abitato
per la costruzione di un insediamento che avrebbe
dato ospitalità anche agli infetti, senza al contempo
precludere le possibilità di mantenere buoni collega-
menti e la possibilità di sviluppo urbano. il programma
117
Il percorso pedonale coperto di collegamento tra i padiglioni dell’ospedale storico
Un padiglione dell’originario impianto
di realizzazione destò la generale soddisfazione nella
popolazione che accorse numerosa all’inaugurazio-
ne, avvenuta il 28 ottobre 1928. una via ferrata per il
servizio di tram elettrico garantiva il migliore servizio di
collegamento con la città.
il trasferimento degli ammalati fu realizzato gradual-
mente nel corso di un mese. Già con il primo dicem-
bre la vecchia sede di corso vittorio emanuele venne
completamente abbandonata, dopo oltre un secolo
di attività.
il nuovo ospedale, realizzato tra il 1919 e il 1925, porta
la firma di Giulio marcovigi, ingegnere di bologna, au-
tore del progetto iniziale e della successiva modifica,
in seguito all’adattamento a un nuovo piano finan-
ziario, alla quale concorsero anche gli ingegneri an-
gelo azzi, alberto Cristofori e l’architetto livio provasoli
Ghirardini3.
il modello ospedaliero, prevalente in quegli anni (lo
stesso marcovigi lo propone per l’ospedale sant’an-
na di Como), è costituito da padiglioni dedicati a
specifiche funzioni, opportunamente distribuiti secon-
do regole di assialità e gerarchia, collegati mediante
percorsi opportunamente protetti. orientato sull’asse
sud-ovest/nord-est, l’impianto rivela la matrice a sca-
la urbanistica, strettamente connessa al programma
di espansione della città verso sud, sulle aree recupe-
rate dal prosciugamento del lago paiolo. nell’orga-
nizzare il sistema, l’ingegnere progetta gli spazi con
rigore, individua un asse principale di riferimento al
quale sono innestati i collegamenti secondari, proget-
118
3 Consiglio di Amministrazione, Il nuovo Ospedale Civico di Mantova, L’Artistica di A. Bedulli, Mantova 1929
Particolare dell’edificio delle degenze
ta edifici in linea e articolati con pianta a u, a t, con
absidi, li raddoppia lungo l’asse di attraversamento
principale, prevede slarghi e giardini, e un lunghissimo
percorso pedonale coperto che, con le diramazioni
ortogonali, le gallerie sotterranee e i passaggi soprae-
levati, consente di raggiungere ogni padiglione. tutto
è organizzato con armonia di forme e proporzioni su
una superficie di 12.000 mq, a fronte di 210.000 mq di
terreni liberi di cui 80.000 sistemati a giardino.
l’originario complesso è costituito da 12 edifici: il pa-
lazzo d’ingresso, quattro padiglioni principali, due
dedicati a medicina generale, uno per la chirurgia,
il quarto per ginecologia e maternità. il padiglione
per l’ospedale infantile bulgarini, che sarà aggregato
all’ospedale Civico, altri padiglioni per le cure di fisio-
terapia e dermosifilopatia, l’edificio dei servizi genera-
li, la chiesa – aperta al pubblico per le funzioni religio-
se festive – con la camera mortuaria, la casa dei frati
cappellani, la lavanderia e la centrale termica.
oltre il limite dell’ospedale propriamente detto si tro-
va il sanatorio belfiore, oggi padiglioni ravà sforni e
D’arco, una dipendenza dell’ospedale, raggiungibile
percorrendo un viale.
accanto a questi edifici vi era una casa colonica,
dimora dei contadini impiegati nella conduzione dei
terreni coltivati all’interno del perimetro dell’ospedale
e destinati a future edificazioni.
il 19 settembre 1952 il Consiglio dei primari delibera di
119
La facciata principale del recente ampliamento
dedicare l’ospedale al martire Carlo poma, medico
dell’ospedale, nato nel 1823 a mantova. la sua pro-
fessione, svolta con alto senso di responsabilità e ca-
pacità, è stata accompagnata dall’attività politica
ispirata al pensiero mazziniano. arrestato dalla polizia
austriaca nel giugno 1952, poma è imprigionato nel
carcere della mainolda; processato nel novembre
successivo, condannato a morte e impiccato con al-
tri quattro patrioti. oltre alla lapide a memoria dell’il-
lustre martire, sono numerose le iscrizioni variamente
distribuite all’interno degli edifici, prevalentemente
negli atri e negli ambienti di rappresentanza.
alla fine degli anni sessanta è avviato un piano opera-
tivo per un primo consistente ampliamento e ammo-
dernamento della struttura ospedaliera, individuando
nel centro della vasta area il sito del nuovo nucleo. su
progetto degli ingegneri molinari e pavesi, è costituito
da una serie di edifici alti, portati a compimento tra
il 1975 e il 1994, attestati sull’allineamento principale
del vecchio ospedale e sviluppato secondo un im-
pianto ortogonale con andamento prevalente nord-
ovest/sud-est. Ciò di fatto ha determinato le linee di
indirizzo per i futuri sviluppi, confermate dall’ultimo
ampliamento del fabbricato polichirurgico.
il progetto relativo è stato curato a partire dal 1994
dallo studio olbos – ora a lodi ma a quel tempo con
sede a milano – costituito dall’ingegnere attilio susani
e dall’architetto Filippo terzaghi.
Con l’intervento è riproposta la direttrice di sviluppo
del precedente ampliamento, e individuato un se-
condo ingresso che, per caratteri architettonici, spa-
ziali e di funzionalità, è divenuto l’ingresso principale,
in stretta relazione con la viabilità di circonvallazione
e la città storica. il nuovo aggregato, elevato sino a
sei piani fuori terra, è sviluppato attorno a un primo
nucleo centrale, entrato in funzione nel 2003, arretrato
e affacciato a un vasto piazzale, al quale si aggiunge
un edificio in linea affiancato destinato alle degen-
ze, portato a compimento nella primavera del 2006
con la partecipazione dell’ingegnere Fiorenzo beruffi,
membro dell’ufficio tecnico dell’ospedale. previsto
nel progetto anche un secondo edificio in linea, con-
trapposto e simmetrico a quello realizzato.
la grande attenzione dedicata alla progettazione
degli spazi, all’organizzazione delle funzioni e al siste-
ma dei collegamenti orizzontali e verticali si è tradot-
ta in un nucleo ospedaliero particolarmente efficien-
te, dotato di ogni requisito e comfort di elevato livello.
non di meno, gli edifici risultano coerentemente in-
seriti nel contesto, grazie anche all’immagine archi-
tettonica improntata dal mattone, giusta ripresa dei
materiali di finitura tipicamente lombardi e, nel caso
specifico, del vecchio ospedale.
120
NELLA PAGINA ACCANTO: L’edificio di anatomia patologica
L’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Ferdinando Zanzottera di Milano
SCheda 8 nei pressi della quattrocentesca villa lonati, nota
anche come Cascina lunara, oggi sorge l’imponen-
te complesso nosocomiale di niguarda, la cui edifi-
cazione è connessa alla decisione d’inizio secolo di
abbandonare la storica struttura della Ca’ Granda
dei poveri di Dio progettata dal Filarete alle spalle
del Duomo di milano. l’inadeguatezza della struttu-
ra architettonica ai dettami della scienza medica
tardo-ottocentesca aveva portato nei primi anni del
novecento alla coscienza che il capoluogo lombar-
do necessitasse di un ospedale più moderno e ca-
piente. Dopo numerosi anni di dibattito e trattative
il 24 giugno del 1919 gli istituti ospedalieri di milano
stipularono il contratto preliminare di acquisto di un
terreno di 336.578 mq collocato a nord della città, nei
pressi della strada valassina, comprendente alcuni
fabbricati obbligatoriamente da demolire. l’accor-
do fu preso dopo che la stessa direzione della Ca’
Granda aveva deciso di cedere al Comune l’an-
tico ospedale sforzesco, oramai non più suscettibile
ad ampliamenti e trasformazioni, affinché ne venisse
tramandata la memoria dopo un attento restauro e
dietro il compenso economico di 600.000 lire. il Comu-
ne di milano si impegnava a realizzare le infrastruttu-
re di servizio (ad esempio fognatura, allacciamento
alla rete elettrica e all’acquedotto, ecc.), a realizzare
nuovi collegamenti stradali e a costruire una rete di
trasporto tramviario che unisse la nuova sede ospe-
daliera con il centro cittadino, il Cimitero di musoc-
co e il Cimitero monumentale. in realtà la decisione
di acquisire l’area edificabile tra i comuni autonomi
di affori e niguarda era già stata deliberata il 12 giu-
gno 1917, nella certezza che tale appezzamento di
terreno sarebbe presto rientrato nei limiti del confine
122
L’ingresso principale
dell’ospedale, al centro del
quale è inserito l’altorilievo
raffigurantel’Annunciazione
di Franco Lombardi
del territorio comunale, poiché in tale data erano già
stati attivati i procedimenti amministrativi per l’allar-
gamento del perimetro urbano e l’annessione dei
comuni di niguarda e Greco milanese.
numerose erano state le ragioni che avevano spinto
l’ente sanitario a scegliere un terreno posto a circa
cinque chilometri dal centro urbano. tra queste vi era
certamente l’alto tasso di inurbamento industriale
che caratterizzava la fascia settentrionale della città.
Dei 12.650 operai residenti nei comuni dell’hinterland
di milano censiti nel 1911, infatti, oltre 9.000 risiedeva-
no ad affori, Greco, niguarda e il comune di musoc-
co e uniti. la costruzione dell’ospedale niguarda Ca’
Granda si inserisce, quindi, in un complesso di opera-
zioni economico-infrastrutturali che miravano alla tra-
sformazione del volto della città ed erano finalizzate
a dotare l’intero territorio regionale di una rete sanita-
ria efficiente basata sul policentrismo di strutture mo-
derne ed economicamente sostenibili. il processo di
trasformazione e di completo abbandono dell’antico
ospedale filaretiano, tuttavia, ebbe una fase germi-
nale particolarmente complessa e lenta, tanto che il
concorso a carattere nazionale per la progettazione
del nuovo ospedale urbano fu pubblicato solamente
il 20 ottobre del 1926, fissando come scadenza ulti-
ma per la consegna dei progetti il 20 luglio dell’anno
successivo. molti furono i professionisti che risposero
al bando di concorso che prevedeva la progettazio-
ne di un ospedale con 1.500 posti letto, ulteriormen-
te ampliabile in base alle molteplici necessità che il
tempo avrebbe rivelato.
il bando poneva particolare importanza alla suddivi-
sione dei reparti ospedalieri e all’edificio di ingresso,
che doveva necessariamente corrispondere a criteri
123
Facciata della cappella, al cui interno sono custodite le vetrate artistiche di Mario Sironi, Aldo Carpi e Alberto Salietti e una serie di bassorilievi, in parte di Adolfo Wildt.
Struttura interna della cappella a pianta centrale, il cui disegno è da attribuire all’architetto Giulio Arata
estetici e di rappresentanza, risultando “decoroso e
degno della città di milano”.
oltre all’ampiezza dei singoli reparti il bando prescri-
veva rigide norme relative ai percorsi del personale
sanitario e dei visitatori, e sanciva la presenza di al-
cuni ambienti specifici, tra i quali: la chiesa, l’alloggio
per i sacerdoti e i medici interni, i dormitori e relativi
ambienti per ospitare 100 “suore sorveglianti” e 300
infermiere, le biblioteche per il personale sanitario e
i pazienti, la stazione di disinfestazione e tutti gli am-
bienti, modernamente intesi, correlati al funziona-
mento razionale dell’ospedale stesso.
tra i numerosi concorrenti la commissione giudica-
trice1 valutò meritevole di vittoria l’ingegner antonio
bertolaia e virgilio riva, ai quali il 26 febbraio del 1929
fu ufficialmente affidato l’incarico della progettazio-
ne esecutiva del nuovo ospedale. a tutti era tuttavia
evidente la delusione della commissione per quanto
concerneva alcuni aspetti progettuali, soprattutto per
le soluzioni prospettate per il fronte principale rivolto
verso la città, poiché si era dimenticato “che per tutti,
colti e non colti, e specialmente per il popolo, l’ospe-
dale maggiore si è fissato e permane nella mente e
nel cuore con la visione del grande edificio sforzesco,
rivalorizzato con rinata ricchezza da F. m. richino”.
Ciò che la commissione ricercava era dunque una
nuova magnificenza che, in chiave moderna, potes-
se in qualche modo competere con la magnificenza
dell’antica struttura filaretiana, profondamente radi-
cata nell’immaginario collettivo della città.
1 La Commissione del concorso era composta dall’ing. Giuseppe Gorla, il dott. Edoardo Ligorio, l’arch. Gaetano Moretti, l’ing. Angelo Radaelli e il prof. Andrea Scarpellini.
124
Particolare delle piscine riabilitative interne all’ospedale
per verificare l’adesione del progetto vincitore alle
nuove istanze della scienza medica, il Consiglio ospe-
daliero incaricò enrico ronzani (direttore medico) di
esprimere un suo giudizio scritto. il 7 aprile del 1930
egli manifestò tutte le sue perplessità nei confronti del
progetto bertolaniano che, il 13 luglio 1932, condusse il
Consiglio ospedaliero ad affidare il compito della pro-
gettazione e realizzazione del nuovo ospedale all’in-
gegner Giulio marcovigi, coadiuvato per gli aspetti ar-
chitettonici dall’architetto Giulio arata. sovrintendente
sanitario, invece, fu nominato lo stesso ronzani.
pur avendo subito nel corso dei decenni alcune tra-
sformazioni e ampliamenti, la struttura originaria è ri-
masta abbastanza integra e ancora oggi rispecchia
lo schema planimetrico ideato da marcovigi, al qua-
le, dopo la morte avvenuta nel 1937, subentrò l’inge-
gner Casalis.
la struttura, che secondo alcuni critici vagamente ri-
corda il corpo umano, presenta un impianto che cer-
ca di armonizzare lo schema a padiglioni e la matrice
americana del monoblocco, richiamando lo schema
proposto nel 1933 dall’ingegner arturo braga e dall’in-
gegner Giuseppe Casalis al concorso per l’ospedale
Clinico di modena.
il rapporto con la città è affidato al magniloquente
padiglione di ingresso principale, contraddistinto da
una sequenza di tre fornici arcuati, ai lati dei quali
si trovano gli imponenti vani scala vetrati. al centro
125
Particolare della sala destinata agli sportelli per il pagamento dei ticket sanitari
dell’edificio l’altorilievo raffigurante l’annunciazione
di Franco lombardi sembra completare il ciclo de-
corativo monumentale esterno affidato al gruppo
scultoreo di Francesco messina che ritrae san Car-
lo borromeo che consegna ai deputati ospedalieri
la bolla di pio iv e l’opera di arturo martini intitolata
Francesco sforza e bianca maria fanno le offerte per
la fondazione dell’ospedale.
superato l’ingresso, che ospita l’amministrazione, gli
uffici della direzione e alcune sale di rappresentanza,
marcovigi ha voluto un ampio cortile con due fonta-
ne circolari, dal quale si può accedere al nucleo prin-
cipale dell’ospedale. esso è costituito da una serie di
edifici di degenza che sorgono attorno a una corte
parzialmente porticata. lontana da essa, ai margini
dell’intera cittadella sanitaria, i convitti, gli ambulatori,
le lavanderie e altri edifici ritenuti di minore importan-
za. al centro dell’ampia corte principale, invece, an-
cora oggi si trova la cappella a pianta centrale, il cui
disegno è da attribuire all’architetto Giulio arata. essa
costituisce una sorta di museo di arte contempora-
nea perché al suo interno sono conservati, tra l’altro,
una serie di bassorilievi raffiguranti le guarigioni mira-
colose di Gesù, in parte di adolfo Wildt, e le vetrate
artistiche di mario sironi, aldo Carpi e alberto salietti.
ereditando la funzione dell’ospedale maggiore, in
cui la quadreria dei donatori e le opere d’arte costi-
tuivano la scenografia naturale nel quale si svolgeva
la ritualità della scienza medica lombarda, il nosoco-
mio di niguarda ricerca con attenzione lo splendo-
re e la comunicazione artistica. per questa ragione
fu nominata una speciale commissione composta
dall’ingegner Casalis, dall’architetto arata, dallo scul-
tore artista edoardo rubino, dal critico raffaele Cal-
zini e dall’architetto Gaetano moretti. essa si doveva
principalmente occupare delle decorazioni architet-
toniche poiché per gli aspetti primariamente artistici
il progettista si poteva avvalere della collaborazione
dell’esistente Commissione artistica dell’ospedale
maggiore, composta dall’architetto ambrogio anno-
ni, dallo sculture mario amman, dal critico vincenzo
bucci, dallo scultore Giannino Castiglioni, dal pittore
Carlo Cressini, dall’architetto e pittore Cesare Jacini
e da Giorgio nicodemi, soprintendente delle Civiche
raccolte d’arte di milano.
nelle scelte iconografica operate all’interno dell’ospe-
dale, inoltre, ebbe un ruolo fondamentale l’arcivesco-
vo milanese alfredo ildefonso schuster che, secondo
Franca moiraghi, seppe trasformare l’ospedale nel
luogo di riconciliazione tra etiche diverse e seppe
mediare “in modo più che onorevole” la presenza
della Chiesa con la medicina laica e le forze politiche
126
127
non sempre a lei favorevoli2. oggi l’ospedale niguar-
da Ca’ Granda è al centro di un importante trasfor-
mazione architettonica che sta cercando di mediare
l’inserimento di edifici tecnologicamente innovati-
vi con concetti di flessibilità della suddivisione degli
spazi interni, rispettando, nel contempo, il patrimonio
architettonico riconosciuto meritevole di tutela e di
valorizzazione da parte delle istituzioni regionali, del
mondo accademico universitario e delle soprinten-
denze. un’attenzione che oramai da anni caratte-
rizza le iniziative della direzione sanitaria capace di
far convivere realtà profondamente differenti, quali il
museo d’arte paolo pini, ad esso giuridicamente col-
legato, la ricerca scientifica applicata, l’attenzione ai
disabili, il recupero della deficienza motoria e la ippo-
terapia, vere eccellenze in campo culturale e sanita-
rio invidiate, insieme ad alcuni specializzazioni medi-
che, nel vasto contesto della medicina europea.
2 Cfr. Franca Moiraghi, Precedenti e vicissitudini del progetto per il nuovo Ospedale Maggiore di Niguarda (1882-1939): un percorso nella storia reale, in: Aldo Selvini (a cura di), Cinquant’anni di evoluzione della medicina, s.e., Milano 1989, p. 32.
Il gruppo scultoreo di Francesco Messina raffigurante San Carlo Borromeo che consegna bolla di Pio IV ai deputati ospedalieri
L’Ospedale San Carlo Borromeodi Milano di Adele Simioli
SCheda 9 il complesso ospedaliero è sito nel quadrilatero com-
preso tra le vie pio ii, arioli venegoni, Cardinale tosi e
san Giusto nella zona ovest di milano, un’area meno
congestionata rispetto al centro città, poco distan-
te dal parco agricolo sud milano. l’ospedale, inau-
gurato nel 1967, è nato come presidio dell’ospedale
maggiore di milano che ne ha gestito l’attività fino al
1976, anno in cui il san Carlo venne scorporato acqui-
sendo autonomia gestionale. la dedicazione si deve
al fatto che san Carlo borromeo fu uno dei principali
benefattori del maggiore che nominò suo erede uni-
versale nel 1572.
il san Carlo nasce come ospedale generale dotato di
un reparto di pronto soccorso per far fronte all’emer-
genza sanitaria divenuta particolarmente grave a mi-
lano negli anni Cinquanta - sessanta anche a causa
della forte espansione urbana; l’area ovest della cit-
tà, in particolare, risultava completamente scoperta
da presidi medici.
il complesso si presenta come un insieme di edifici li-
beramente disposti in un’area verde intorno a un edi-
ficio centrale monoblocco di maggiori dimensioni. il
san Carlo ha tre ingressi (cui si aggiungono l’ingresso
rifornimenti e l’entrata del parcheggio): quello prin-
cipale e l’accesso diretto al pronto soccorso si trova-
no su via pio ii, l’ingresso alla Camera mortuaria è in
via venegoni. la progettazione fu opera dell’ufficio
tecnico dell’ospedale sotto la direzione dell’ingegner
arturo braga, con la collaborazione degli ingegner
stefano sfondrini e novello pieroni per gli impianti
tecnologici. lo studio d’architettura ponti-Fornaroli-
rosselli si occupò della supervisione generale e a Gio
ponti si deve in toto la progettazione della cappella.
a partire dall’ingresso principale posto a nord-est si
128
Vista del monoblocco e del padiglione servizi
snodano per il visitatore tre possibili percorsi: a sini-
stra si va verso la chiesa; al centro si arriva al blocco
ospedaliero passando per il piccolo padiglione con
i servizi destinati al pubblico e al personale (mense -
negozi – spogliatoi) posto nella posizione più comoda
sul percorso di chi si reca all’ospedale; andando a
destra si costeggia il Dea (pronto soccorso) e l’edi-
ficio quadrato del Cup (Centro unico prenotazioni).
più appartati gli altri edifici: verso nord-ovest il padi-
glione dell’anatomia patologica (camera mortuaria)
e i piccoli edifici dei servizi tecnici e dell’ingresso rifor-
nimenti, a sud-ovest tra le vie venegoni e tosi il “villag-
gio” con gli alloggi del personale, le aule per i corsi di
infermieristica e fisioterapia e la direzione.
l’ingegner braga ha esplicitato i criteri che lo hanno
guidato nel progetto nella monografia sull’ospedale
edita nel 19681: essi rispondono a esigenze di caratte-
re funzionale. ubicazione e collegamenti tra gli edifici
sono stati stabiliti in vista della massima semplificazio-
ne dei percorsi; a funzioni diverse corrispondono edifi-
ci differenti in modo da agevolare futuri ampliamenti.
l’accentramento delle degenze in un monoblocco e
la collocazione dei servizi generali in corpi bassi distin-
ti ma opportunamente articolati con esso, risponde
alle idee più avanzate dell’edilizia ospedaliera degli
anni sessanta.
l’edificio del pronto soccorso è stato edificato nella
seconda metà degli anni ’90, il fondamentale servizio
negli anni precedenti era svolto nel “quadrato”. la di-
stribuzione interna degli ambienti subirà nuove modi-
fiche a partire dal 2009 e in quest’occasione i reparti
di medicina e chirurgia d’urgenza verranno trasferiti
all’interno del monoblocco.
il vicino edificio di cinque piani, a pianta quadrata
1 Braga A., Progettazione e costruzione, in Chiappa F. (a cura di), L’Ospedale San Carlo Borromeo, Edizioni de “La Ca’ Granda”, Milano 1968, pp. 60-119.
129
Monoblocco, padiglione servizi e viale d’accesso
con giardino centrale, è destinato al Centro unico
prenotazione e agli ambulatori. anche questo edi-
ficio sarà interessato da modifiche interne tra cui si
prevede la realizzazione di laboratori di analisi al
quarto piano e con ogni probabilità la trasformazione
dell’area “interna” del quadrato in giardino d’inverno
da utilizzare come sala d’aspetto. l’edificio è collega-
to tramite gallerie al piano terra e al primo piano del
monoblocco.
il cuore del complesso, l’edificio a 14 piani per le de-
genze presenta una peculiare forma ad Y, data dalla
presenza di tre ali che si diramano da un corpo cen-
trale. l’edificio ha una capacità di circa 750 posti let-
to, il numero stimato più idoneo a garantire adeguate
condizioni di funzionamento si colloca infatti tra i 650 ei
850 posti. per quanto riguarda la distribuzione interna, i
piani da uno a nove sono destinati ai vari reparti, il de-
cimo a quelli operatori, l’undicesimo alle centrali tec-
nologiche; al piano terra e nei due piani sotterranei si
trovano servizi e uffici. nei suddetti nove piani, all’inter-
no dei tre bracci si trovano le camere degli ammalati
mentre nel corpo centrale dell’edificio sono riuniti gli
studi medici, le scale e gli elevatori. anche in questo
caso la forma dell’edificio deriva da ragioni di ordine
funzionale cioè dalla volontà di creare tre divisioni di
letti i cui fronti siano tutti orientati verso sud, sud-est. le
camere progettate da due o quattro posti letto con
bagno esterno, verranno tra breve adeguate - a co-
130
Atrio dell’ospedale
minciare da due dei piani - agli standard attuali che
prevedono camere doppie dotate di bagno interno.
i percorsi interni si svolgono prevalentemente in senso
verticale mediante gli ascensori contenuti in mag-
gior parte nel nucleo centrale del blocco; altre vie
di traffico sono i percorsi al piano rialzato dedicati al
pubblico e a chi accede, i percorsi al piano seminter-
rato riservati al trasporto dei materiali puliti quali vitto e
medicinali, i percorsi al piano sotterraneo dedicato al
trasporto del materiale “sporco”.
all’atto della fondazione l’ospedale era stato pensa-
to per contenere tutti i servizi indispensabili (radiolo-
gia, laboratori di microbiologia, biochimica, anatomia
patologica, farmacia) e tre divisioni di chirurgia gene-
rale, tre di medicina generale, una divisione di pedia-
tria, una di neurologia, una di ostetricia e ginecologia.
al termine del riordino interno di prossima attuazione
si avranno: tre reparti di Chirurgia, uno di urologia, uno
di pneumologia, tre di oncologia, uno di Cardiologia,
tre di riabilitazione speciale, uno di nefrologia, uno di
neurologia, uno di psichiatria, due di ortopedia, uno
di Gastroenterologia, due di medicina, due di Dialisi,
due di pediatria, uno di ostetricia, uno di Ginecologia,
un blocco parto, uno di rianimazione, uno di Chirur-
gia vascolare.
in posizione appartata e circondata da una vege-
tazione più fitta si trova il “villaggio” che ospita gli
ambienti in cui si svolgono i corsi universitari di infer-
mieristica e fisioterapia, gli alloggi dei dipendenti (at-
tualmente sono in uso 270 camere) completi di con-
vitto e un richiestissimo asilo nido.
i locali progettati negli anni sessanta per il convitto
delle suore sono attualmente occupati dalle tre di-
rezioni (sanitaria, amministrativa e generale) e dagli
131
Chiesa dell’Annunciata, particolare dei Santi ospedalieri rea-lizzati da Costantino Ruggeri
Chiesa dell’Annunciata, interno
uffici del personale. il complesso è formato da pic-
cole costruzioni modulari collegate fra loro anche in
modo da consentire ampliamenti successivi tramite
l’aggiunta di elementi. la conformazione del grup-
po di edifici crea un ambiente di privacy, per quanto
possibile, e di distacco per i dipendenti dal posto di
lavoro.
Di assoluto rilievo la chiesa dell’ospedale dedicata a
santa maria annunciata, comprendente anche sale
per spettacoli e conferenze al piano sotterraneo, re-
alizzato da Gio ponti tra 1963 e il 1969. Due gallerie
sovrapposte collegano il monoblocco alla chiesa
(consentendo ai malati di raggiungere l’edificio sen-
za uscire all’esterno) e alle sale sottostanti. l’opera si
distacca dagli schemi ospedalieri, che prevedono
nella grande maggioranza dei casi una modesta
cappella, ed è riconosciuta come una delle opere
maggiormente espressive nell’itinerario dell’architet-
to, come testimoniano anche le recenti pubblicazio-
ni dedicate all’opera2. la chiesa è a navata unica
e pianta a esagono irregolare con due lati molto
allungati; i due ingressi dell’edificio, inusitatamen-
te, sono posti sui lati lunghi della figura che fungono
da facciate, determinando un’asse di penetrazione
perpendicolare rispetto al percorso del fedele che
in genere procede in senso longitudinale in direzione
dell’altare. la facciata nord della chiesa è allineata
con una delle ali del monoblocco, in questo modo la
chiesa viene percepita come se fosse di dimensioni
maggiori e non sparisce al confronto con la grande
massa dell’ospedale. i due fronti rivestiti in ceramica si
differenziano per la tipologia delle aperture: mentre il
fronte nord è tagliato da numerose finestre esagona-
li di diverse dimensioni e orientamento, quella verso
meridione prevede solo strette feritoie che modulano
la luce solare. all’interno, il pavimento sale di livello
dal centro verso le due estremità dell’aula, in modo
che l’altare sia visibile a tutti; contemporaneamente i
muri perimetrali si dilatano verso il centro suggerendo
la forma di una nave, un’arca con una poppa e una
prua in corrispondenza dell’altare. l’immagine della
chiesa-nave che guida i fedeli e della fede come
ancora di salvezza è tema simbolico particolarmente
caro all’universo pontiano che ricorre anche in altre
opere, ad esempio nelle croci-ancore della Concat-
tedrale di taranto che ricordano l’iconografia della
croce ortodossa.
133
2 Crippa M. A. - Capponi C. (a cura di), Gio Ponti e l’architettura sacra, Banca Agricola Milanese- Silvana Editoriale, Milano 2005; AA. VV., Gio Ponti – Meravigliosa ventura costruire chiese, Ospedale San Carlo Borromeo, Milano 2006.
NELLA PAGINA ACCANTO: Chiesa dell’Annunciata, fronte nord
L’Ospedale San Gerardo dei Tintori di Monza di Ferdinando Zanzottera
SCheda 10 nella zona settentrionale di monza, sul limitare del
confine con i comuni di lissone e di vedano lambro,
su un’area di circa 17 ettari, sorge l’imponente struttu-
ra del nuovo ospedale san Gerardo dei tintori, carat-
terizzato da un volume edilizio di oltre 600.000 mc.
esso è storicamente connesso a una tradizione pluri-
secolare della cura dei malati da parte di enti religiosi
e laici della città, che trova nella mensa dei poveri
di theodald a sant’agata (768) una delle sue prime
testimonianze. l’attenzione per i poveri e gli ammalati,
infatti, si sviluppò nei secoli attraverso la realizzazione
di numerose istituzioni sanitarie, tra le quali si posso-
no ricordare l’ospedale di Deusdedit e verullo (835),
l’ospedale di sant’agata (1135), l’ospedale di san
biagio (1141), gli ospedali di san Donato, san mau-
rizio, san rocco e sant’alessandro (citati nel 1169),
l’ospedale di san Gerardo (già in funzione nel 1174),
l’ospedale di san bernardo (Xiv secolo) e la scuola
di santa marta, organizzata nel trecento attorno alla
chiesa omonima1.
il 7 agosto del 1769 le strutture sanitarie ancora esisten-
ti furono aggregate per decreto imperiale nell’unico
ospedale di san bernardo ed uniti, collocato prov-
visoriamente nell’area attualmente corrispondente
a piazza trento e trieste. numerose furono le vicissi-
tudini storiche che si alternarono in questa struttura
ospedaliera, che culminarono con il dono del 1890
da parte di umberto i di un’ingente cifra di denaro
per la realizzazione di un nuovo ospedale, capace di
testimoniare perennemente il suo affetto nei confronti
della città di monza.
Divenuto obsoleto anche questo ospedale, alla fine
134
1 Per questo tema si rimanda a: Alberto Crespi, Augusto Merati, L’ospedale S. Gerardo dei Tintori e la sua quadreria, Tipografia sociale S.p.a., Monza, 1982; Ernesto Marelli, Un Santo, un re, una città. Storia dell’Ospedale di Monza, Editori Laterza, Roma-Bari, 1996.
Veduta del fronte principale dell’ospedale
degli anni Cinquanta l’amministrazione pubblica
e quella sanitaria cominciarono seriamente a inte-
ressarsi dell’opportunità di trasferire o di ampliare il
vecchio ospedale ottocentesco. il dibattito fu molto
articolato e interessò animosamente la sfera politi-
ca, le corporazioni economico-industriali e l’opinio-
ne pubblica. a favore dell’ampliamento del vec-
chio ospedale, ad esempio, si espresse il presidente
mario malfer (presidente del complesso ospedaliero
voluto dal re il secolo precedente), mentre a favore
del trasferimento si dichiararono nel 1956 e nel 1957
numerosi amministratori locali, tra i quali aldo buzzelli
ed enrico Farè. per redimere la controversia fu nomi-
nata anche un’apposita commissione, il cui pensiero
fu anticipato nel 1959 dall’indizione di un concorso
pubblico per la progettazione del nuovo ospedale
di monza. esso prevedeva l’edificazione della nuova
struttura nosocomiale nell’area oggi occupata dal
complesso di via solferino e da alcune aree limitro-
fe a vocazione agricola. nel 1962 i mutamenti politici
e alcuni eventi storici accaduti nella città di mon-
za convinsero la nuova amministrazione a revocare
il concorso indetto negli anni precedenti, il quale
aveva visto la partecipazione di due distinti progetti.
particolarmente interessanti furono giudicate le idee
presentate dagli architetti romani marino marrazzi e
G. Franco righini, affidando il compito di valutare la
possibilità di reimpiegare parte del progetto in una
nuova struttura sostitutiva del vecchio ospedale, da
erigere all’estrema periferia della città, a un’apposita
commissione. il 23 luglio del medesimo anno l’ospe-
dale affidò ufficialmente l’incarico di progettare il
nuovo complesso sanitario ai due architetti roma-
ni2. i primi riconoscimenti e approvazioni ufficiali non
tardarono ad arrivare e il 14 novembre 1964, giorno
dell’inaugurazione della Casa di riposo per anziani
villa serena, fu posta la prima pietra del nuovo ospe-
dale monzese. i progettisti si avvalsero anche della
consulenza strutturale degli ingegneri mario aquilino,
Fabrizio Cerqua e ugo leone viale, dell’assistenza per
le strutture medico-scientifiche del professor pier luigi
Casini e della collaborazione del pittore Giorgio luz-
zietti per alcune scelte formali e cromatiche. nei loro
processi decisionali marazzo e righini rimasero cer-
tamente influenzati nelle scelte progettuali proposte
nel nuovo ospedale san Giovanni di roma, costruito
nel 1958 dall’ingegner Gasbarri in collaborazione con
l’architetto G. Francisci.
la nuova struttura ospedaliera, il cui progetto origina-
rio si è dovuto modificare in corso d’opera anche a
135
2 La commissione nominata per compiere le verifiche tecniche atte a stabilire se il progetto presentato dagli architetti Marino Marrazzi e G. Franco Righini poteva adattarsi al nuovo scenario architettonico-finanziario era composta dal prof. Augusto Giova-nardi, direttore dell’Istituto di Igiene dell’Università di Milano, dal prof. Germano Sollazzo, Sovraintendente sanitario degli Istituti ospitali eri di Milano, e dall’arch. Eugenio Soncini, esperto di architettura sociale e ospedaliera (cfr. Ernesto Marelli, Un Santo, un re, una città. Storia dell’Ospedale di Monza, Editori Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 255).
seguito della promulgazione della legge 132 del 12
febbraio del 1968 e dei conseguenti decreti attuativi
pubblicati nel mese di marzo dell’anno successivo, è
scomponibile in tre edifici autonomi interconnessi fra
loro da collegamenti orizzontali e dalla piastra basa-
mentale. il primo corpo di fabbrica è costituito da un
edificio a quattro piani, solo parzialmente fuori terra,
in cui sono stati collocati gli ambulatori, il day-hospi-
tal, l’accettazione programmata e alcuni servizi per
l’utenza ospedaliera, quali una caffetteria, il giorna-
laio e altre strutture consimili. alle sue spalle è stato
costruito l’imponente monoblocco di quindici piani,
di cui due interrati. si tratta di una struttura architetto-
nica arcuata dal composito disegno delle facciate,
destinato a ospitare i degenti. posteriormente i pro-
gettisti hanno collocato il pronto soccorso e le sale
operatorie, realizzando una struttura a quattro piani
che sembra richiamare la distribuzione interna dei vo-
lumi delle sperimentazioni architettoniche degli anni
sessanta e settanta di virgilio vercelloni.
la struttura principale, ovviamente, è quella centra-
le, il cui piano tipo è scandito dalla sequenza di tre
distinti settori. ai lati vi sono i reparti che ospitano 60
pazienti ciascuno, mentre al centro sono collocati il
reparto di minore dimensione (22 posti letto), gli ele-
menti di collegamento verticali, costituiti da scale e
ascensori, e i servizi indispensabili per la gestione delle
singole divisioni ospedaliere. le camere, attentamen-
136
Particolari architettonici
te studiate per offrire il maggior comfort possibile e i
più alti indici di salubrità, sono generalmente esposte
a meridione e presentano una capacità ricettiva di
due e quattro letti.
Dall’impianto generale di degenza differiscono alcu-
ni reparti con specifiche funzioni, come, ad esempio,
la pediatria situata all’ultimo piano del monoblocco
centrale. essa nasce dalla necessità di realizzare una
struttura isolata adatta a ospitare, anche per periodi
medio-lunghi, i piccoli pazienti ammalati, e garantire
la permanenza di accompagnatori. per questa ra-
gione all’interno della struttura sono stati creati degli
spazi appositi che offrono la possibilità ai genitori di
poter rimanere con i piccoli anche nelle ore notturne.
ambienti per il gioco, il disegno e lo svago comple-
tano l’offerta pediatrica che, in questo ospedale, è
particolarmente curata anche negli aspetti comuni-
cativi e di relazione con il mondo esterno3. altra ati-
picità è costituita dalla radiodiagnostica e dall’area
destinata alla cardiologia, dotata di uno specifico
settore di terapia semintensiva. essa è direttamente
connessa alle strutture diagnostiche che, a loro volta,
sono permeabili attraverso percorsi controllati anche
dall’utenza esterna.
alle spalle del monoblocco si dipana la struttura de-
stinata alle sale operatorie, integrata planimetrica-
137
3 Tra le molteplici iniziative si segnala il concorso “Io e l’ospedale” finalizzato a comprendere e comunicare come il mondo infantile concepisce e desidererebbe l’ospedale. L’iniziativa, promossa dagli assessorati alla Cultura e all’Educazione di Monza, l’Azienda Ospedaliera San Gerardo e la Biblioteca Civica, ha trovato anche la sua naturale conclusione nel volume: AA.VV., Io e l’Ospedale. L’Ospedale visto con gli occhi dei bambini, Azienda Ospedaliera San Gerardo, Monza, 2007. L’attenzione ai bambini, inoltre è testi-moniata anche dalla collaborazione dei reparti di neonatologia con aziende private per lo studio e la realizzazione di una tuta spe-ciale per i neonati prematuri. All’interno di alcuni spazi dell’ospedale, inoltre, dal settembre del 2005 è attivo un significativo asilo nido aziendale la cui progettazione è stata curata dagli uffici interni dell’azienda sanitaria, che hanno dovuto risolvere i problemi connessi alla scelta di far frequentare, senza traumi per i bambini, la struttura sulla base dei turni lavorativi dei genitori.
Immagine pano-ramica dell’intera struttura del mo-noblocco centrale
mente alle aree di emergenza. in questa porzione
dell’edificio, facilmente riconoscibile per le sue forme
sinuose e curvilinee che contrastano con la geome-
trizzazione regolare delle rimanenti parti, sono state
inserite 18 sale operatorie organizzate in unità funzio-
nali. alcune di esse sono sale operatorie indifferenzia-
te, mentre altre sono dotate di specifiche attrezzature
destinate alla chirurgia specializzata quali la cardio-
chirurgia, l’ortopedia e l’oculistica.
Fondamentali risultano anche le scelte compiute dai
progettisti per lo studio di specifici settori destinati,
solo per fare qualche esempio, alla gestione della
biancheria, alla sterilizzazione degli strumenti e agli
impianti funzionali dell’intero complesso architettoni-
co. tutto l’edificio è stato oggetto di una meticolosa
analisi che ha condotto a una progettazione unita-
ria, che rende assimilabile questa struttura ospedalie-
ra ad altre realtà sanitarie progettate nei medesimi
anni, quali, ad esempio, l’ospedale san Carlo di mila-
no al quale lavorarono l’ingegner braga e lo studio di
architettura Gio ponti, antonio Fornaroli, alberto ros-
selli. nel nosocomio monzese i progettisti, ad esempio,
hanno disegnato anche la forma dei vassoi per i pasti,
ponendo particolare attenzione ai vani per l’allog-
giamento delle vaschette contenenti i cibi precotti e
la facilità di impilamento dei portavivande vuoti.
particolare attenzione è stata rivolta anche ai ma-
teriali e alle apparecchiature di servizio, selezionate
per ottenere la massima funzionalità e la maggiore
“riduzione delle operazioni di manutenzione” facili-
tandone, nel contempo, la pulizia e la disinfestazione.
una ricerca condotta anche in senso estetico che ha
interessato le scelte cromatiche degli elementi delle
facciate degli immobili. l’adozione dell’acciaio por-
cellanato per i rivestimenti esterni, infatti, ha concesso
di sperimentare soluzioni figurative differenti ottenute
mediante l’accostamento di tonalità e gradazioni di-
verse. ulteriori variazioni cromatiche sono state inserite
in funzione dell’irraggiamento solare e dell’esposizio-
ne naturale della struttura architettonica. le facciate
meridionali, infatti, presentano una finitura superficiale
dalle tonalità più chiare rispetto alle opposte faccia-
te settentrionali.
oggi l’ospedale san Gerardo dei tintori detiene nu-
merosi primati e possiede molteplici eccellenze de-
terminate anche dalla capacità di lavorare in siner-
gia per la cura completa del paziente e per il merito
di una comunità ospedaliera composta da medici e
amministratori consapevoli, come ha recentemente
affermato il Direttore Generale Giuseppe spata, che
si possa curare realmente un malato “solo se c’è un
gruppo coeso, che costruisce un percorso di cura
che diventa un’offerta” reale e un “ospedale bello in
cui si lavora con dignità e gusto” e a cui ognuno for-
138
4 Senza firma, L’efficienza del bello, in “San Gerardo oggi”, n. 2 (settembre 2008), anno 10, p. 3.
139
5 Cfr. Antonio Urti (a cura di), San Gerardo: profilo europeo, in “San Gerardo oggi”, n. 1 (aprile 2008), anno 10, pp. 2-3 e Andrea Gori, Nuove strade nella lotta all’HIV, in “San Gerar-do oggi”, n. 2 (settembre 2008), anno 10, pp. 26-27.
nisce il proprio contributo4.
Questa, ad esempio, è l’impostazione che ha con-
sentito all’azienda sanitaria monzese di raggiungere
importanti risultati riconosciuti a livello internaziona-
le nel campo della rianimazione, delle malattie in-
fettive e nel trattamento terapeutico dell’infezione
da Hiv e, in particolare, per mantenere integra la
funzionalità immunitaria nei soggetti affetti senza
ricorrere agli attuali farmaci antivirali, efficaci ma
estremamente tossici per i pazienti stessi5. la ricerca
costituisce uno dei principali vanti dell’ospedale,
aperta alla collaborazione con istituti privati e con
l’università. il recente accordo per il posizionamento
del ciclotrone, infatti, non solo dimostra l’attenzione
che questo ospedale riserva all’attività scientifica,
ma contribuisce a collocare l’azienda monzese ai
vertici europei per quanto concerne la strumentazio-
ne per l’alta diagnostica terapeutica.
Blocco delle sale operatorie planimetricamente integrate alle aree di emergenza ed edificate dietro il blocco centrale
L’Ospedale San Matteo di Pavia di Emanuele Vicini
SCheda 11 l’ospedale san matteo di pavia, nato alla fine del Xv
secolo nel centro della città, si distingue in lombardia,
perché sorge vicino a uno studium universitario dedica-
to all’insegnamento delle discipline mediche.
nel corso dei secoli, il nosocomio e la scuola medica si
trovano a coesistere e a cooperare: l’ospedale diventa
luogo di apprendimento e di educazione per la facoltà
medica e fornisce i casi clinici su cui sviluppare la ricer-
ca scientifica.
Questa condizione pressoché unica vive una stagio-
ne di particolare vivacità e ricchezza nel Xviii secolo,
all’indomani della riforma teresiana che trasforma l’uni-
versità di pavia in uno dei centri culturali più avanzati in
europa.
la crescita delle esigenze di cura ospedaliera da un
lato e di ricerca medico scientifica dall’altro determina
notevoli difficoltà logistiche e organizzative già nella se-
conda metà del XiX secolo. inoltre, la nascita in europa
di nuovi ospedali per padiglioni separati, con lo scopo
di contenere e circoscrivere la diffusione delle malattie,
mette in evidenza una certa arretratezza degli spazi del
san matteo pavese, confinati negli edifici tardo sette-
centeschi e ottocenteschi del centro città.
all’interessamento e al prestigio di Camillo Golgi, nobel
per la medicina, studioso di fama internazionale, do-
cente a pavia e rettore dell’università nel primo decen-
nio del novecento, si deve l’attenzione che il governo
nazionale pone all’erezione di un nuovo nosocomio.
reperito il finanziamento1, viene scelta la struttura a
padiglioni separati che esige un’area vasta e preferi-
bilmente periferica. si riconosce nella zona Caima -
Deserto (335 mila metri quadrati, a nord della città) la
soluzione migliore: sebbene sia lontana dal centro, è
però vicina alla statale milano - Genova e allo scalo
140
1 Erogato con il R.D. 24 dicembre 1908, n. 778.
Facciata del Policlinico San Matteo, inaugurato nel 1932
ferroviario e presenta un’altimetria superiore al centro
cittadino, un terreno asciutto e una notevole ricchezza
di acque incanalate.
al termine di un lungo e piuttosto complesso concorso
pubblico, vince il progetto degli ingegneri arnardo Gar-
della e luigi martini, con padiglioni di diversa ampiezza,
collegati da una fitta rete di vie sotterranee. risultano
particolarmente appropriate la non eccessiva altezza
degli edifici (un piano), luminosi e ben arieggiati, la strut-
tura molto compatta e sobria delle cliniche, con corpi
in aggetto per i reparti di degenza, sale operatorie, sale
di visita, i laboratori e lunghi corridoi di disimpegno.
il lento procedere dei lavori si interrompe nel 1916, a
causa della guerra, per riprendere solo nel 19252. nasce
in questa data un Consorzio che comprende i due at-
tori principali, l’università e il Consiglio ospitaliero (che
aveva retto fino a quel momento le sorti dell’antico
ospedale), cui si aggiungono il Comune di pavia, l’am-
ministrazione provinciale e altri enti.
parallelamente alla lunga realizzazione architettoni-
ca, il Consorzio si deve occupare di dar vita all’isti-
tuzione che reggerà il nuovo nosocomio nel quale si
fondono le prerogative assistenziali, con le esigenze
universitarie di cliniche moderne nelle quali svilup-
pare la ricerca medica e l’insegnamento. Da una
141
2 R.D. 14 giugno 1925, n. 1048. All’indomani del conflitto, è molto forte l’interesse dello stato per le grandi opere pubbli-che, che garantiscono un aumento dei livelli occupazionali nel paese.
Padiglione di Clinica Medica, una delle “corti” interne a giardino, secondo il progetto rivisto dagli inge-gneri Mariani e Sala, 1932
memoria3, risalente al 1924, si possono comprendere le difficoltà incon-
trate dalle istituzioni coinvolte per raggiungere una soluzione praticabile e il
lungo percorso, costellato di varie ipotesi4, che porta infine alla scelta di co-
stituire un soggetto chiamato Ospedale clinico5: in esso confluiscono tutte le
rendite e i fondi di pertinenza dell’ospedale; l’università lascia al Genio Civile
la proprietà degli edifici, ma mantiene una posizione di prestigio, detenendo
la presidenza del Consorzio che gestirà il nuovo nosocomio.
la ripresa dei lavori vede rispettato il progetto di Gardella e martini per gli istitu-
ti di anatomia umana normale e anatomia patologica (edifici a pettine, con
sobrie decorazioni nelle cornici marcapiano e nelle finestre), all’estremo nord
dell’area, mentre per le cliniche e i reparti specialistici intervengono gli inge-
gneri Giuseppe mariani e leonardo sala, del genio civile. a loro si deve il com-
pletamento dei fabbricati lasciati a rustico prima della guerra, per collocarvi
la clinica medica e chirurgica con le rispettive patologie e provvisoriamente
l’otorinolaringoiatria e l’odontoiatria, la clinica pediatrica e il brefotrofio. la ra-
diologia invece viene ospitata nella palazzina di ingresso.
si costruiscono poi padiglioni nuovi, simmetrici, con doppio corpo e corridoio
centrale di disimpegno: la clinica ostetrico-ginecologia, la clinica dermosifi-
lopatica, la clinica oculistica e i padiglioni per i servizi generali. si ottengono
così undici edifici, per un totale di 17.200 mq, in muratura di mattoni e solai in
cemento armato. tutti i padiglioni sono realizzati a due piani, per ridurre l’area
occupata e risparmiare sui costi di gestione.
Del progetto originale rimane sostanzialmente invariato il blocco di ingresso,
collocato a sud, verso la città. sviluppato in larghezza, su due piani, occupa
142
3 Archivio Civico del Comune di Pavia, Cartelle speciali 132 – 134.4 Per un’analisi dettagliata della questione si veda: E. Vicini, Gli istituti universitari e il polo del nuovo Policlinico di Pavia negli anni trenta e quaranta del Novecento, in “L’Università e la città. Il ruolo di Padova e degli altri Atenei italiani nello sviluppo urbano. Atti del convegno. Padova, 4-6 dicembre 2003, Bologna, CLUEB, 2006.5 Sancita da un decreto del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero dell’In-terno del 25 novembre 1927.
Particolare del fianco a balconi del nuovo dipartimen-to di Emergenza eAccettazione (“DEA”), Studio Calvi e Pizzi, in corso di realizza-zione
tutto il lato settentrionale del piazzale antistante il poli-
clinico, dedicato a Camillo Golgi. un gioco di aggetti di-
versi determina una gerarchia delle parti che valorizza
la porzione centrale, nella quale si colloca l’ingresso a
tre fornici, chiusi da eleganti e massicci cancelli in ferro.
Completano l’edificio un falso attico a coronamento
e un trattamento a bugnato leggero della muratura
del primo piano. le sale di rappresentanza, collocate
al piano superiore, sono affrescate dal pittore pavese
antonio oberto, cui si deve anche la decorazione del-
la chiesa, di eleganti fattezze neogotiche, collocata a
nord dell’area ospedaliera.
i padiglioni realizzati da mariani e sala sono molto sobri,
privi di partiti decorativi, e organizzati a pettine: tra i di-
versi blocchi, innestati perpendicolarmente su un corpo
rettilineo, si aprono degli spazi verdi dei quali i degenti
possono usufruire. la muratura è aperta con ampie fine-
stre e verande affacciate sui giardini. molto curata è an-
che l’illuminazione delle aule didattiche presenti in ogni
istituto. risulta quindi decisamente efficace e gradevole
il rapporto tra lo spazio di degenza, ricerca e studio e il
verde che abbraccia e protegge tutti i padiglioni.
per la progettazione del parco si scelgono piante ad
alto fusto a ridosso della cinta muraria, siepi, cespugli
fioriti e alberi più piccoli nei riquadri tra gli edifici, trat-
tati come piccoli spazi a corte. solo studi abbastanza
recenti6 hanno messo in luce l’importanza di progetta-
re specificamente lo spazio verde in un ospedale, per
offrire importanti stimoli visivi e olfattivi e per creare un
ambiente rassicurante e gradevole: l’obiettivo priorita-
rio è non estraniare il degente dalle abitudini visive di un
panorama consueto che – normalmente – comprende
spazi verdi7. il nosocomio pavese offre già ai primi del
novecento una soluzione molto efficace, che ben si
coniuga con un’architettura poco sviluppata in altezza,
e con un trattamento murario non dissimile dall’edilizia
residenziale.
tra le edificazioni satellitari rispetto al complesso ospe-
daliero va citato l’Istituto Carlo Forlanini, (progetto di
adelmo bellani) costruito tra il 1939 e il 1943 come un
monoblocco a t con stanze per i degenti luminose, ter-
razzate e rivolte a sud. è inserito in un parco di notevoli
dimensioni, a nord della cintura del policlinico, ricco di
piante ad alto fusto per l’ossigenazione dell’aria e gode
ormai di una soluzione architettonica più moderna,
compatta e sintetizzata in un unico edificio che com-
prende tutti i servizi necessari ai degenti.
Collocato nel centro della città, invece, è l’Istituto per le
malattie neurologiche Casimiro Mondino, configurato
come una fondazione, la cui sede è progettata dall’in-
gegner angelo savoldi nel 1907 e ampliata nel 1925
con un secondo edificio contiguo, ideato dall’ingegner
143
6 R.S. Ulrich, Aesthetic and affective response to natural environement, in I. Altman e J.F. Wohlwill eds. Human behaviuor and environement: advances in theory and research, vol.6, New York, Plenum Press, 1983.7 Il tema è affrontato da vari studi, tra i quali si cita: S. Marsicano, Abitare la cura: riflessioni sulla architettura istituzionale, Milano, Franco Angeli, 2002.
primo zorzoli. la posizione, all’epoca a filo di un’impor-
tante arteria di comunicazione cittadina, impone for-
me basse, sviluppate in larghezza sul fronte della via e
trattate con un vocabolario architettonico più classico
(mensole, cornici aggettanti, timpani e centine sulle
finestre). Gli anni settanta e ottanta del novecento
vedono la crescita di nuovi padiglioni a monoblocco,
nella parte nord del recinto del policlinico: l’istituto per
le malattie infettive, il centro ortopedico e traumatolo-
gico, la nuova pediatria e i cosiddetti reparti speciali. si
tratta di edifici molto semplici, di altezze diverse, privi di
una progettazione unitaria o coerente nelle forme, ma
adeguati a specifiche esigenze mediche e scientifiche.
l’area dell’ospedale ospita, dalla fine degli anni novan-
ta, una serie di interventi edilizi di enorme portata. a fir-
ma dello studio Calvi di pavia e di emilio pizzi è sorta la
nuova clinica delle malattie infettive, terminata nel 2007,
ed è in via di completamento il Dea (Dipartimento di
emergenza e accettazione). si tratta di strutture a pia-
stra–torre, secondo una tipologia progettuale già speri-
mentata in europa8: nella parte basamentale, a svilup-
po orizzontale, sono collocati i servizi e le cure, mentre
nelle torri trovano posto le camere per i degenti. ormai
tralasciato l’impianto originale per bassi padiglioni mi-
metizzati da un parco, le nuove strutture presentano svi-
luppi molto articolati, con vetrate, murature in mattone
a vista e cemento.
Fuori dalla cinta del policlinico è ormai ultimato l’innova-
tivo centro di adroterapia oncologica, progettato dallo
studio Calvi (2003 – 2007), e finanziato da un consorzio di
ospedali tra i quali anche il san matteo pavese. anche
l’istituto per le malattie neurologiche Casimiro mondino
e la più giovane fondazione maugeri (nata per lo studio
e la prevenzione delle malattie del lavoro), accreditate
presso regione lombardia e sede di cliniche universita-
rie, sono state collocate non lontano dal policlinico, in
edifici progettati ancora dallo studio Calvi (entrati in uso
rispettivamente nel 2007 e nel 2001). aperti su una zona
della città poco urbanizzata, questi complessi richiama-
no l’impianto a piastra–torre, con soluzioni molto varie,
sobriamente decorate da piccoli specchi d’acqua,
fontane e spazi verdi progettati per rendere gli ambienti
più gradevoli e accoglienti.
144
8 Il tema è sviluppato in un’ampia bibliografia dalla quale si cita a titolo di esempio: F. Rossi Prodi, A. Stocchetti, L’architettura dell’ospedale, Firenze, Alinea, 1990.
Antonio Oberto, Affresco con l’allegoria della carità. Policlinico San Matteo, sala del Consiglio di Amministrazione, 1932
Il Villaggio Sanatoriale di Sondalo di Ferdinando Zanzottera
SCheda 12 l’attuale complesso architettonico del villaggio mo-
relli di sondalo deve la sua origine all’intensa attività
dell’istituto di previdenza sociale, al quale il governo
nazionale nel 1927 aveva affidato il compito di interve-
nire drasticamente contro la diffusione della tubercolosi
e delle malattie respiratorie, incaricandolo anche della
costruzione degli edifici ospedalieri necessari. in quella
data, infatti, fu stimato che la nazione necessitava di
oltre 20.000 posti letto che furono distribuiti in colonie
post-sanatoriali, nei sanatori di pianura e in sanatori di
montagna. il progetto di edificare in alta valtellina un
imponente nosocomio fu la risultante di un lungo pro-
cesso di studio medico-scientifico e della comparteci-
pazione di fattori economici, politici e sociali. nei primi
decenni del XX secolo, infatti, si radicarono anche in
italia le concezioni mediche per la cura della tuber-
colosi, che vedeva nel clima montano fondamentali
elementi per la cura e la guarigione della malattia.
l’assenza di grandi agenti inquinanti, la mancanza di
polveri organiche, l’abbondanza di ozono e la limitata
presenza nell’aria di microrganismi dannosi, favorirono
dunque il “principio medico” di edificare una grande
struttura sanatoriale in valtellina, terra che negli anni
trenta era ancora caratterizzata da un parco sviluppo
industriale e dalla presenza di numerosi altri centri me-
dici per l’assistenza sanitaria, che avevano indotto la
popolazione autoctona a individuare nell’architettura
ospedaliera elementi di sviluppo socio-economico. la
costruzione del più grande sanatorio europeo, infatti,
non fu percepito come pericolo dalla cittadinanza di
sondalo, ma come ulteriore possibilità di sviluppo e di
elevazione professionale e sociale. la coscienza da
parte dell’istituto nazionale Fascista di previdenza so-
ciale dell’esistenza di questo atteggiamento da parte
della popolazione non giocò un ruolo di secondaria
importanza nella scelta del luogo, che poteva inoltre
146
Uno dei padiglioni-tipo edificati prima
del 1939 nel qua-le si distinguono
le strutture architettoniche
destinate alle cure elioterapiche e, in copertura, le stazioni di arrivo della teleferica di
servizio
avvalersi di una fitta rete assistenziale già esistente e
di una notorietà del luogo che, per certi versi, ne ga-
rantiva anche un successo economico. secondo una
relazione stilata dall’organizzazione antitubercolare
italiana, infatti, in provincia di sondrio nel 1937 esisteva-
no già 1.669 posti letto suddivisi in undici sanatori e una
casa di cura edificati a sondalo (sei realtà sanitarie), a
trevisio (tre sanatori), a Chiavenna, a morbegno e a ti-
rano, che possedevano un ospedale ciascuno. il baci-
no d’utenza di queste strutture era assai più ampio del
territorio provinciale, poiché i pazienti provenivano da
tutta la regione lombarda e da alcune località estere.
il successo era dovuto certamente alla perizia medi-
ca del personale incaricato ma anche alla notorietà
del professor eugenio morelli, originario di teglio, e alla
grande campagna pubblicitaria della climatoterapia
e dei metodi sanatoriali valtellinesi e, in particolare del-
la Casa di Cura di pineta di sortenna e del sanatorio
popolare umberto i di prasomaso.
l’incarico di progettare il nuovo complesso sanatoriale
fu affidato nei primi anni trenta a una équipe di tecnici
diretti dal professor eugenio morelli, alto Consulente per
l’organizzazione antitubercolare dell’inFps e docente
universitario ritenuto tra i maggiori esperti europei di
malattie polmonari. i suoi consigli e i suoi studi furono
il modello di riferimento per l’ufficio tecnico che si oc-
cupò fisicamente della progettazione architettonica e
del disegno della costruzione nei minimi dettagli sotto
la supervisione dell’ingegner mattiangeli. il suo opera-
to, tuttavia, fu la diretta applicazione delle concezioni
mediche di morelli, il quale, ad esempio, impose an-
che la forma dei nuovi edifici1. malgrado le numerose
trasformazioni avvenute nel corso degli anni Cinquan-
ta e sessanta, il complesso architettonico di sondalo
appare ancora oggi nella sua integrità progettuale.
pensato inizialmente per ospitare circa 3.000 degenti,
il villaggio sanatoriale fu edificato con otto padiglioni
per ammalati di forme polmonari, un padiglione per
malati soggetti a trattamenti chirurgici e da nove fab-
bricati eterogenei destinati ad accogliere gli alloggi di
parte del personale, la chiesa e alcuni servizi fonda-
mentali. Data la particolarità delle malattie da curare
e la conformazione del terreno, la scelta obbligata per
la forma architettonica fu quella dei padiglioni separa-
ti, collegati tra loro da una fitta rete viaria interna, con
uno sviluppo complessivo di circa undici chilometri. i
padiglioni, inoltre, potevano costituire delle unità sani-
tarie perfettamente autonome con servizi di diagnosi
e di cura indipendenti.
le convinzioni mediche del professor morelli e le ca-
147
1 Tra i differenti principi architettonici di Eugenio Morelli uno dei principali era la necessità di avere strutture rettilinee. Nel volume che raccoglie i suoi scritti curato dalla Federazione Italiana Contro la Tubercolosi si può infatti leggere: “Per eliminare una lunghezza eccessiva dei fabbricati, per dare un certo movimento alla massa, talvolta per diminuire i colpi di vento, i sanatori anzi-ché svolgersi in una linea retta, sono arcuati o angolari. Ne deriva che la disposizione delle camere e delle verande, se sarà buona da un lato, lo sarà meno dall’altro: ma quanto più importa dal punto di vista disciplinare è che ciò apporta enorme diminuzione di sorveglianza […] è per questa ragione che, sacrificando un po’ l’estetica, noi abbiamo costruito sanatori in linea completamente retta” (Cfr. Eugenio Morelli, Contributi di pneumotisiologia in onore di Eugenio Morelli, Federazione Italiana Contro la Tubercolosi, Roma, 1956, p. 98).
pacità organizzative dell’ingegner mattiangeli spinse-
ro per la creazione di un padiglione tipo di otto piani
di altezza, capace di ospitare 300 posti letto. al primo
piano furono collocati i magazzini, la centrale termica
e gli alloggi del personale di fatica, mentre al primo
piano furono inseriti il soggiorno per i degenti, la pic-
cola cappella privata del padiglione, il refettorio per
gli ammalati e la cucina sussidiaria, successivamente
ampliata e divenuta la vera cucina per il servizio di
tutti i ricoverati all’interno del padiglione. al terzo pia-
no si trovavano gli uffici di direzione, le sale per le visite
e le cure mediche e i laboratori di analisi, mentre nei
piani superiori si sviluppavano i differenti reparti di de-
genza, ognuno dei quali originariamente costituiti da
sette camerate da sei letti, sei camere da due letti e
alcuni locali di servizio. ogni padiglione, inoltre, possie-
de ancora oggi delle “sopraelevazioni” nei quali erano
previsti gli alloggi per gli addetti all’assistenza sanitaria.
ogni aspetto fu attentamente studiato e dibattuto e
persino il numero dei letti seguì attente logiche legate
a parametri economici e alla morale sanitaria allora in
auge. Dagli otto padiglioni tipo si discosta la struttura
architettonica destinata ad accogliere la chirurgia, un
edificio di sei piani oltre la consueta sopraelevazione,
in cui fu realizzato il reparto di isolamento infantile, il re-
parto chirurgico attrezzato e autonomo e alcune sale
ortopediche. al primo piano del padiglione si trovava-
no la centrale termica, gli alloggi per il personale sa-
nitario, le scuole destinate a ospitare i bambini malati
ricoverati e un grande salone per la ricreazione. il se-
condo e il terzo piano, invece, ospitavano le camerate
senza verande destinate al ricovero degli adulti senza
gravi patologie respiratorie, che potevano effettuare
le loro cure elioterapiche direttamente sulla terrazza
del padiglione. i due piani superiori accoglievano le
stanze per i bambini che si affacciavano anche su una
148
Particolari delle arcate delle infrastrutture viarie interne di collegamento tra i differenti padiglioni
veranda continua, nella quale i pazienti potevano fare
piccole passeggiate. il sesto piano era composto dalle
stanze per i degenti adulti con gravi patologie medi-
che, i cui ambienti di degenza erano dotati di ampie
verande posteriori.
per garantire efficienza al villaggio ospedaliero i pro-
gettisti avevano ideato un vasto edificio in cui con-
densare i servizi generali, dotato di magazzini per
alimentari e beni mobili, cantine, lavanderia, guar-
daroba, forno per il pane, celle frigorifere, cucine,
laboratori scientifico-farmacologici e gli alloggi per
i medici, gli impiegati e le suore. Questo padiglione
era dotato anche di teleferiche che lo collegavano
ai singoli padiglioni, ai quali poteva inviare i cibi cotti,
la biancheria disinfestata e tutto ciò di cui le cure sa-
nitarie necessitavano.
Con molte difficoltà tecnico-ingegneristiche nel 1939
il villaggio era concluso e, benché privo degli arredi
e delle strutture accessorie, fu consegnato all’inFps.
lo scoppio della seconda Guerra mondiale impedì la
sua immediata apertura e a presidiare la struttura ri-
mase un numero esiguo di operai e dei giardinieri, che
trasformarono simbolicamente la aiuole interne in orti
di guerra coltivando patate e tabacco. nel 1941 fu ri-
vista la decisione di attendere qualche anno prima di
aprire l’ospedale ai pazienti e accordi in tal senso ven-
nero stipulati con la Croce rossa italiana. i primi lavori
per aprire il sanatorio iniziarono solamente nell’estate
del 1943 allorquando tutto si arrestò nuovamente per
la paura che il complesso fosse occupato dalle truppe
militari tedesche. evento che si verificò l’anno succes-
sivo, quando i tedeschi aprirono tre padiglioni per la
cura di un numero esiguo di soldati e approntarono
un padiglione per i militari della luftwaffe mai giunti a
sondalo. a loro si deve anche la prima trasformazione
della cucina centrale che non entrò mai in funzione,
poiché i macchinari furono smembrati e collocati nelle
cucine dei singoli padiglioni.
Queste non furono le uniche trasformazioni d’uso cau-
sate dalla seconda Guerra mondiale che procurò
anche alcuni danni alle strutture in ragione di un bom-
bardamento aereo da parte degli alleati. Dall’estate
del 1943 all’estate dell’anno successivo, inoltre, la citta-
della sanitaria divenne un importante deposito di beni
artistici provenienti dall’accademia Carrara di ber-
gamo, dai musei bresciani e dalle sedi milanesi della
pinacoteca di brera, dell’ambrosiana, dei musei Civici
del Castello sforzesco, della villa reale, del museo pol-
di pezzoli, del museo teatrale della scala, dell’archivio
storico Civico e della biblioteca trivulziana. terminato
il periodo bellico per la struttura sanatoriale iniziò una
nuova fase nel 1946, quando vennero ospitati i pazien-
ti nel primo padiglione aperto, capace di contenere
270 degenti. Contemporaneamente vennero arreda-
ti e aperti gli altri padiglioni, effettuando i lavori che
si conclusero nel 1949, quando si ebbe la completa
apertura del complesso architettonico e la possibilità
di ospitare oltre 2.500 degenti. negli anni seguenti la
struttura fu oggetto anche di importanti testimonian-
ze storico letterario-giornalistiche come quelle lasciate
149
da egidio Corradi2 o quelle raccolte da saverio luzzi3
nella sua storia della sanità italiana.
nei decenni successivi il sanatorio acquistò sempre più
la sua importanza nel panorama scientifico e medico
europeo connesso alle cure polmonari, fino a costitu-
irsi come centro di eccellenza della sanità lombarda.
nata come la cittadella sanatoriale autosufficiente
più grande d’europa con una storia cantieristica senza
uguali in ambito sanitario4, oggi rappresenta un com-
plesso monumentale vincolato dalla belle arti per il suo
interesse architettonico di livello europeo, che ospita
numerosi reparti, tra i quali: anatomia patologica, ane-
stesia e rianimazione, broncopneumotisiologia, cardio-
logia, chirurgia (generale, toracica e vascolare), ema-
tologia, fisiopatologia respiratoria, medicina (generale
e dello sport), neurochirurgia, neurologia, ortopedia,
ostetricia e ginecologia, pediatria, radiologia e urolo-
gia, ai quali sono da aggiungere un importante pronto
soccorso, l’unità spinale e i reparti per la riabilitazione
funzionale, cardiologica, ortopedica e pneumologica.
2 Tra le tante testimonianze letterarie del Villaggio Sanatorio di Sondalo quella lasciata da Egisto Corradi nel 1952 sulle pagine del Corriere della Sera rimane forse una delle più significative della seconda metà del secolo. Riferendosi a questa struttura sanitaria sul quotidiano milanese egli infatti scriveva: “A qualche misterioso stabilimento o laboratorio od officina segreta pensa subito chi si trova a percorrere di notte la strada Tirano-Bormio. Sulla sinistra, là dove i contrafforti montuosi formanti la valle leggermente si aprono, migliaia di lumi si accendono d’improvviso nel nero velluto delle abetine e delle pinete […] Chi si trova ad osservare questo spettacolo non può non pensare vagamente a misteriose città del futuro, non può non pensare anche per un solo attimo di essere capitato furtivamente sotto le guardate mura di una città atomica”.3 Cfr. Saverio Luzzi, Salute e sanità nell’Italia repubblicana, Donzelli editore, Roma, 2004.4 Per la sua realizzazione si sono dovuti risolvere numerosi problemi connessi all’apertura di apposite cave per l’approvvigionamen-to di materiali lapidei, alla creazione di due cantieri ausiliari collegati al futuro sanatorio con due apposite teleferiche, alla costru-zione di una polveriera capace di ospitare oltre 45 quintali di dinamite, 10 quintali di polvere da sparo e 5.000 capsule detonanti, a una nuova rete elettrica ad alta tensione di 10.000 Walt, alla costruzione di una centrale per la produzione e distribuzione di aria compressa sei atmosfere e alle ingenti opere idrauliche connesse al potenziamento della portata di una derivazione del torrente Rio, alla costruzione di un serbatoio di 120 mc e all’allacciamento all’acquedotto comunale. Per gli aspetti cantieristici e organizzativo-gestionali del Villaggio sanatoriale si rimanda a: Daniele Castiglioni, Il “Cantiere” di Sondalo, in “ Rassegna di Architettura”, anno XII, n. 11, pp. 315-318.
150
Particolare di due padiglioni dell’ospedale inse-riti nello splendido scenario naturale
L’Azienda Ospedaliera di Circolo Fondazione Macchi di Varese di Ferdinando Zanzottera
SCheda 13 nella zona periferica della città, di fronte alle splen-
dide colline che chiudono il lago di varese e degra-
dano verso la pianura, sorge il complesso ospedaliero
di Circolo. pur connettendosi alla storia plurisecolare
della sanità cittadina, la struttura architettonica di
questo ospedale ha poco più di cento anni. Gi av-
venimenti che hanno condotto alla sua edificazione
risalgono, principalmente, al primo decennio del XX
secolo, quando la Cassa di risparmio delle province
lombarde nella seduta del 5 febbraio del 1903 san-
civa la sua volontà di destinare ingenti capitali per
contribuire al riammodernamento e al rifacimento di
numerose strutture nosocomiali lombarde. “la que-
stione ospedaliera – scriveva il comitato esecutivo
della Cassa di risparmio – si presenta invero grave e
complessa. sono noti i gravi disagi in cui si trovano og-
gidì tanti ospedali per le ristrettezze dei mezzi, di fron-
te alle imperiose esigenze dell’igiene e della scien-
za medico-chirurgica […] i fabbricati monumentali
tendono a essere sostituiti mano mano da padiglioni
isolati posti in località salubri, lontani dagli abitati ed
infine, con elevato sentimento umanitario, non ostan-
te le difficoltà tecniche che si frappongono, si invoca
il decentramento dei grandi ospedali per impedire i
grandissimi inconvenienti che derivano dall’affolla-
mento dei ricorrenti e del trasporto degli ammalati
dimoranti in lontani comuni”1.
l’occasione di ottenere un contributo per migliorare
il sistema ospedaliero cittadino fu dunque positiva-
mente accolto dall’amministrazione locale e, soprat-
tutto, dal presidente della Congregazione di Carità
che gestiva la struttura sanitaria. il 30 maggio del
1905, dunque, fu deliberata la costruzione di un nuovo
edificio la cui progettazione fu affidata il 19 gennaio
del 1907 a una commissione composta dall’ingegner
paolo molina, dall’ingegner enea torelli, da riva rocci
152
1 Cfr. G. Bagaini, L’Ospedale di Varese dalle origini alla costituzione in ospedale di circolo, Officine grafiche “Esperia”, Milano, s.d. ma 1990, pp. 35-36.
Le cortine murarie della
nuova struttura ospedaliera e
l’inedito rappor-to con la maglia urbana esistente
e dal professor scipione. nello stesso mese dell’anno
successivo il progetto architettonico e il piano finan-
ziario erano completati e furono presentati ottenen-
do grandi consensi per l’adesione ai più avanzati cri-
teri sanitari.
matrice spaziale del nuovo progetto era l’ospedale
vittoria di belfast, progettato nel 1901.
per maggior sicurezza il progetto fu fatto visionare
al professor Golgi e all’ingegner riccardo bianchini,
codirettore della rivista l’Ingegneria Sanitaria, il qua-
le, pur apportando alcune modifica al disegno, nel
1908 dichiarò che ogni dettaglio era stato studiato
con “molto amore” e che alcune difficoltà d’indole
tecnica erano state superate con “genialità di con-
cezione”.
progettato come un ospedale a padiglioni il noso-
comio di varese possedeva un’architettura centrale
principale in cui erano stati condensati i servizi gene-
rali, le abitazioni del personale e le camere dei pensio-
nati, ai fianchi del quale si addossavano il padiglione
medico e il padiglione chirurgico, con una capacità
ricettiva di 200 posti suddivisi in 14 infermerie allineate
su un unico piano. a inframmezzare i padiglioni dal
corpo centrale i progettisti posero le sale operatorie e
i locali di cura. il padiglione centrale, inoltre era carat-
terizzato da un’ampia veranda vetrata che ancora
oggi corre su tutta la fronte dell’edificio raggiungen-
do i 200 meri di lunghezza.
iniziati i lavori, il progetto fu realizzato con celerità e il
24 ottobre del 1910 si diede inizio ai trasferimenti de-
153
Particolare del ponte aereo di collegamento tra la nuova struttu-ra architettonica ospedaliera e il nucleo centrale dei padiglioni originari
gli ammalati dalla vecchia sede ospedaliera. Questa
storica struttura emerge ancora oggi all’interno del
tessuto edilizio della nuova città della salute di varese
che, con il passare dei decenni, oggi può contare su
33 strutture architettoniche con differenti dimensioni
e caratteristiche tecniche, una superficie coperta di
quasi 72.000 mq e un volume superiore ai 320.000 mc.
all’interno del complesso ospedaliero, infatti, oggi si
conservano ancora il nucleo originario costruito nel
primo decennio del XX secolo, l’antica villa tamagno,
annessa all’ospedale in epoca successiva, la sede
degli uffici amministrativi e di rappresentanza, e i nu-
merosi padiglioni che si sono costruiti nel corso della
prima metà del secolo. tra questi: il padiglione dei tu-
bercolotici, progettato dall’ingegner riccardo bozzoli
e dall’ingegner aurelio G. bianchi nel 1927-1928; il pa-
diglione per i servizi batteriologici, progettato dall’in-
gegner bianchi nel 1927; il padiglione per i contagiosi,
disegnato dall’ingegner bianchi nel 1928-1930; il pa-
diglione di anatomia patologica e l’obitorio, ideati
dall’ingegner bianchi insieme all’arch. Federico tala-
mona nel 1928-1929; i due edifici per la maternità e
l’infanzia, progettati dall’ingegner bianchi e l’archi-
tetto talamona nel 1932. sopralzi degli edifici esistenti
e nuovi fabbricati furono edificati dal 1948 al 1970,
occupando nella progettazione l’ingegner Carlo Feli-
ce niada, il geom. luciano Carcano, l’arch. Giuseppe
noris, l’architetto Franco niada, l’ingegner arturo bra-
ga, l’ingegner alberto ronzani, l’ingegner Giuseppe
154
Particolare del cromatismo e delle texture murarie interne impiegate nella nuova struttura architettonica
scaini, l’ingegner massimo allevi e l’architetto ludovi-
co barbiano di belgioiso2.
oltre a questi padiglioni l’azienda ospedaliera di Cir-
colo Fondazione macchi di varese oggi può conta-
re su un’innovativa struttura terminata in questi ultimi
anni. il progetto non si è limitato alla nuova realizzazio-
ne ospedaliera, ma ha ricercato una razionale orga-
nizzazione sanitaria dell’intera struttura, perseguendo
l’ottimizzazione dei percorsi interni e la concentra-
zione delle attività chirurgiche, delle aree funzionali
omogenee delle degenze, degli studi medici e delle
attività didattiche. i progettisti, inoltre, hanno amplia-
to alcuni settori quali la terapia intensiva e la medici-
na legale e hanno riorganizzato le attività di pronto
soccorso. per raggiungere questi scopi hanno com-
piuto alcune demolizioni e hanno ideato nuovi edifici
ospedalieri articolati in un unico complesso architet-
tonico di nove piani, di cui sette fuori terra, dotato di
un eliporto alla sua sommità e di una superficie lorda
pavimentale di quasi 60.000 mq. il nuovo complesso
è basato su una “grande piastra servizi” concentrati
nei primi tre piani dell’edificio, due piani sotterranei e
il piano terreno. nella parte inferiore sono collocati gli
elementi tecnologici, i blocchi operatori e gli ambienti
specializzati nella diagnostica, mentre nel piano terre-
no sono stati ricavati gli ingressi principali all’intera cit-
tadella ospedaliera, il pronto soccorso, gli studi medi-
ci, alcune attività commerciali, il baby parking, il bar e
la chiesa, non ancora completata in tutti i suoi aspetti
decorativi. nei piani superiori alla piastra, la struttura
155
2 Per una puntuale ricostruzione storico-architettonica dei singoli padiglioni si rimanda a: G. Bagaini, L’Ospedale di Varese dalle origini alla costituzione in ospedale di circolo, Officine grafiche “Esperia”, Milano, s.d. ma 1990; E. Anklam, G. Armocida (a cura di), Medicina e ambiente, Atti del XXXVIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Storia della Medicina, Ispra-Varese-Cuveglio, 16-19 ottobre 1997, Ispra, 1999; Marina Cavallera, Angelo Giorgio Ghezzi, Alfredo Lucioni (a cura di), I luoghi della carità e della cura. Ottocento anni di storia dell’Ospedale di Varese, Atti del convegno dell’omonimo Convegno organizzato dal Centro Culturale Massimiliano Kolbe e dall’Ospedale di Circolo e Fondazione MACCHI, Varese, 11 ottobre 1997, Franco Angeli, Milano, 2002.
Spazio distributi-vo antistante gli ascensori centrali dei nuovi padiglioni ospedalieri
architettonica si sviluppa planimetricamente con due
edifici paralleli, blocco chirurgico e blocco medico,
raccordati da un edificio di minori dimensioni, nel quale
fondamentale studio è stato assegnato ai percorsi oriz-
zontali e verticali dei pazienti, dei visitatori e del perso-
nale sanitario. i progettisti hanno cercato di creare de-
gli spazi “a scala umana” capaci di ridurre l’estraneità
dell’ambiente ospedaliero. un ampio ingresso con una
reception luminosa, accogliente e tecnologicamen-
te avanzata costituisce il primo approccio dell’utente
con la realtà ospedaliera, che non smentisce la scel-
ta di creare dei volumi ariosi, vetrati e particolarmente
ampi in tutte le realtà destinate al pubblico e negli atri
dei singoli reparti. le camere per i degenti, a due letti,
possiedono ampi standard qualitativi, ricercati anche
negli ambienti riservati all’attività del personale para-
medico, la cui matrice spaziale è da ricercare nella cul-
tura architettonica ospedaliera americana e di alcune
nazioni asiatiche. per meglio realizzare il nuovo modello
di nosocomio, si sono ripensati i percorsi pedonali e car-
rabili dell’intera struttura e, in particolare, si è realizzato
un tunnel sopraelevato che relaziona la nuova struttura
ospedaliera con il padiglione centrale d’inizio secolo.
nel processo di risistemazione notevole importanza è
stata assegnata alla sistemazione del verde, esistente e
progettato, al fine di realizzare ambienti con standard
qualitativi migliori, relazionare il nuovo intervento con il
contesto paesaggistico limitrofo e interfacciare la città
dei malati con la città dei sani.
i progettisti hanno riservato particolari cure anche allo
studio dei materiali di finitura e dei paramenti mura-
ri esterni, realizzati essenzialmente con tavelle in cotto
montate a secco su una sottostruttura metallica ca-
pace di armonizzarsi con il contesto architettonico nel
quale l’ospedale è inserito. il cromatismo degli intonaci
interni, invece, è stato studiato per creare interessanti ef-
fetti chiaroscurali e per contribuire favorevolmente alla
percezione psicologia degli ammalati e dei visitatori.
la flessibilità e la reversibilità delle suddivisioni interne è
stato un altro elemento progettuale ampiamente ricer-
cato, che ha anche condotto i progettisti a prediligere
una maglia strutturale modulare unica di 7,20x7,20 m. le
divisioni interne, inoltre, sono state per la maggior parte
realizzate con partizioni leggere costruite a secco, che
offrono la certezza che nei prossimi anni la struttura po-
trà essere modificata con costi ridotti e con interventi
non invasivi.
156
Il gioco dei pieni e dei vuoti della nuova struttura architettoni-ca. Sulla sommità dell’edificio si intravede l’eliporto, collegato con le strutture di primo intervento e del pronto soccorso.
159
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