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L’ AUSTRALIA E L’ EMlGRÀZiONE E L’ ESPORTAZIONE ITALIANA' pONFERENZA DI p. piNCONE al Circolo Filologico di Napoli POTENZA Stabilimento Tipo-Litografico Are. Pomarici 1890. è

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L’ AUSTRALIAE

L ’ EM lGRÀZiONE E L ’ ESPORTAZIONE ITALIANA'

p O N F E R E N Z A D I p . p i N C O N E

al Circolo Filologico di Napoli

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L’ EMIGRAZIONE E L'ESPORTAZIONE ITALIANA

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al Circolo Filologico di Napoli

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Stabilimento Tipo-Litografico Are. Pomarici

1890.

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THE UNIVERSITY OF QUEENSLAND LIBRARY

Parlare dell’ Australia, signori, signi­fica sciogliere un inno alla civiltà.

L’Australia ha poco più o poco meno di trecento anni. Poco più, poco meno— perchè vi sono delle carte, del 1550,- dove n’ è accennata 1’ esistenza ; ma queste carte non sembrano autentiche;— invece, sembra certo che l’Australia sia stata scoperta, nel 1606, dallo spagnuolo Quiros.

Immaginate. Mentre a Roma già si elevava al cielo la cupola di Michelan­gelo, là, nel remoto continente austra­liano, gl’indigeni vagavano liberi e sel­vaggi sotto il padiglione lanceolato de­gli eucalitti. Ora, quell’ ignoto di ieri

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sta miracolo novo di civiltà... I monti si sono squarciati, e danno l’oro; le in­colte sodaglie sono divenute aranceti e pascoli fragranti; e dove i branchi di can­guri fuggivano il colpo dell’ arma pri­mitiva, brucano tranquilli gli armenti dalla lana lunga e fine.

La civiltà, che ha una così remota storia nel vecchio mondo, ivi si é fatta matura in un momento; qua è proceduta lenta, per insensibili gradi , a traverso stragi e rovine, — là, quasi d’incanto, al fischio della vaporiera e allo scoppio delle mine dissolventi le rupi.

Questo si spiega. E’ stato l’amplesso dei popoli civili che ha fecondato la gran vergine dell’oceano; ma, non per­chè spiegato, il miracolo cessi di essere stupendo... Non perchè conosciute le leggi dell’ ottica, noi getteremo il tele­scopio.

Trecento anni. Ma, a trecento anni fa rimonta la storia geografica dell’Au­stralia; la storia civil non dura da più d’ un secolo.

Sembra fatale che i più grandi po­poli siano, per lo più, i figli dei ladri e degli omicidi. Roma cominciò coll’essere

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asilo di banditi; l’ America del setten­trione fu colonia penitenziaria; — e — curiosa coincidenza — 1’ Australia ebbe i suoi primi abitatori europei dalle ga­lere di S. M. britannica.

Nel 1788 — cento anni fa solamente— il capitano Phillip sbarcò a Botany-Bay con 778 condannati e 218 uomini di truppa; con circa 250 fra donne e fan­ciulli; con una piccola quantità di be­stiame.

In meno di cento anni questa colo­nia di malfattori è divenuta un popo­lo — un popolo fiorente per ricchezza, per numero e per doti morali —, un popolo che ha città come Sidney, come Melbhurne, come Adelaide; che ha fer­rovie, telegrafi, pubblici stabilimenti;— che invita ogni tanto le nazioni di tutto il mondo ai grandi convegni dell’indu­stria umana —; che celebra ora il suo gran centenario di vita civile.

Gli eredi dei deportati di cento anni fa sono oggi tre milioni di abitatori; i nipoti dei miseri delinquenti di cento anni fa hanno oggi un commercio che, fra entrata ed uscita, raggiunge i tre miliardi.

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10 non posso abbandonarmi libera­mente qui alla nota poesia delle cifre statistiche. Nel silenzio della propria camera piace vedere espresso in numeri il procedere miracoloso della floridezza australiana... Questi numeri si conside­rano, si esaminano, si paragonano con quelli che ci dànno le statistiche del vecchio mondo; — ma la poesia delle cifre, si risolve, in una conferenza, nella poesia della noia.

E benché anche la noia abbia una specie di attrattiva, perchè ci lascia li­beri di vagare col pensiero nel campo della immaginazione e dei ricordi, non mi sento proprio la vocazione di farve- ne gustare le gioie, per mio proposito deliberato.

11 fatto è questo : che un continente quasi deserto cento anni or sono, è di­venuto oggi — per bel tratto della co­sta — un portento di prosperità e di ricchezza.

Quali sono state le cause di questo miracolo ?

L’ Inghilterra ha, come sapete, una densità grande di popolazione; ed è nel genio della razza anglo-sassone il cer­

care fuori della madre patria quella la­boriosa agiatezza che le ricusa l’angu­stia del suolo natio... L’Australia era lì, con le sue terre vergini, coi suoi porti capaci e sicuri;... e gl’ instancabili cer­catori di campo lìbero, vi si sono get­tati su con tutto l’ardore di un recluso che d’ un tratto si avventi all’ ossigeno della libera foresta. Poi, d’ un tratto, si spande la voce che 1’ Australia con­tenga miniere aurifere; ed allora gli av­venturieri di tutto il mondo — dal fi­glio dell’Impero Celeste al biondo ale­manno — si scagliarono sull’ Australia, bramosi di soddisfare l’ insaziabile sete dell’oro.

Eccovi frotte di chinesi, d’ irlandesi, di tedeschi, lasciare le sponde del mar Giallo, del tempestoso Atlantico, del ge­lido mar del Nord, e, curvi sulle zolle aurifere, smoverle e raccoglierle e lavar­le per separarne il minerale prezioso.

Ma la vita dei cercatori di oro ha meno sorrisi di quanto si creda. Senza che in Australia si siano ripetuti gli or­rori che hanno insanguinate le rive del Sacramento, anche in Australia a chi ha avuto la sorte di trovar filoni du­

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revoli e abbondanti è succeduto chi do­po stenti e sudori influiti ha ricavato dalle miniere meno di quanto aveva già consumato per viaggi e sostentamento.

Intanto altri, più saggi, seguitavano a lavorare la terra con altro scopo ; e in luogo di cercare di cavarne oro cer­carono di fecondarla con le messi e coi pascoli... L’ agricoltura prosperava ac­canto all’ industria mineraria così pie­na di vicende dolorose; e, allora, fatti edotti dall’ esperienza e dall’ esempio, i più hanno amato meglio piantare vi­gneti e seminare prati e allevare be­stiame, anziché tormentarsi il corpo e l’anima nella febbre della miniera.

Sono quindi cresciute le grandi tenu­te; si è moltiplicato il bestiame; i pro­dotti del suolo sono venuti su abbon­danti.

Da ciò è derivato un movimento com­merciale straordinario... L’ Australia fa oggi la concorrenza al grano di Russia, d’ America e d’ India ; minaccia la no­stra antica industria vinicola; cerca af­francarsi a mano a mano dall’importa­zione industriale...

Ma — e qui è bene far attenzione —

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emanciparsi dall’ importazione è cosa impossibile per qualunque regione del mondo.

In tempi che molti ricordano, ben rari erano i prodotti manufatti che noi non ritirassimo dall’estero. Straniere in gran parte le stoffe... Tutti ricordano che qui si tesseva soltanto un panno caldo ma ordinario che si chiamava pelone... Non c’ era eleganza nelle calzature che non fossero inglesi o parigine... La carta fabbricata a macchina era in massima parte francese.

A poco a poco, — e il protezionismo borbonico da una parte e più tardi il libero scambio dall’altra ci hanno mes­si in grado di poter consumare — se non altro per le prime necessità della vita — i prodotti nazionali... Ma, intan­to, potremmo noi chiudere domani le barriere doganali ai popoli di tutta la terra ?

Così per l’Australia. Benché ivi mol­to si faccia e si lavori, — è natural­mente necessario che molto vi giunga da fuori; e che molto da fuori sia per giun­gervi sempre.

Che molto vi giunga è detto dalla

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statistica doganale. Oggi in Australia s’importa per un miliardo e mezzo.

Qualcuno che ha visto annunziare questa conferenza sull ha po­tuto immaginare che io avessi voluto fare la descrizione geografica dell’ Au­stralia o passare in rassegna i costu­mi australiani.

Certamente , 1’ una e l’altra cosa si possono fare ; ma bisognerebbe essere stato in Australia e averci vissuto per ragionare di queste cose con cognizione vera. M’ immagino che si potrebbero fare dei bei quadri della natura austra­l ia n a :— parlare dei tramonti austra­liani che mi dicono stupendi, accennare alla fauna e dire d e l l ( ' m a m ­mifero col becco che vive in Australia solamentej dell’ uccello , le penne delle coda del quale si elevano in forma del classico strumento di Orfeo; narrar la vita del canguro ( marsupiale che dopo aver partorito i figli, ii conserva un pezzo ancora in una tasca membra­nosa del basso ventre), e giù, man ma­no, trasportare 1’ uditore in mezzo ai cespugli di spinifex ( arbusto spinoso che dove alligna non lascia campo ad

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altra vegetazione) o sotto le grandi fo­reste dove cresce i’eucalitto con le foglie lanceolate che, per non esporre al sole una superficie troppo grande di evapo­razione, son volte verticalmente al suolo ecc. ecc.

Ma tutto ciò che sarebbe forse più bello dire e più piacevole ascoltare de­v’essere detto da chi ha veduto toringo e ammirato l’ uccello lira e mangiata una zuppa fatta con la coda del canguro. — Ma io non ho traver­sato il mare se non per andare da un punto all’altro delie coste italiche; e debbo dir , quindi, ciò solamente che stando a Napoli si può dire a proposito dell’Australia...

lo dunque dico questo: che dovreb­bero essere attivati gli scambi commer­ciali dell’ Italia con l’Australia.

Diciamo prima qualche cosa dell’emi­grazione e poi dell’ importazione italiana in Australia. —

A proposito dell’ emigrazione in ge­nerale si sono dette (come di tutti i grandi fenomeni sociali ed economici^ delle cose non sempre esatte e sempre quasi contradittorie.In quest’ultimi tem­

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pi, specialmente, non c’ è stata eresìa che non sia sembrata a qualcheduno una gran verità e che non sia stata detta a proposito dell’ emigrazione.

Certamente, commove fin in fondo al cuore lo spettacolo di migliaia di per­sone, che a traverso la più grande miseria, risparmiano tormentosamente, o vendono le poche masserizie do­mestiche per mettere insieme un pe­culio , senza altro scopo da quello in fuori di espatriare e di chiedere — sen­za mezzi , senza avveduta direzione — al suolo straniero quel pane che il suolo natio loro non concede. Questa povera gente, ricattata da speculatori infami, rappresenta unicamente il carico di una nave— carico umano, che reca, nel cuore una speranza che non consola e porta addosso il segno della miseria che sconforta.

E indigna e commove e addolora pro­fondamente ogni anima onesta lo spet­tacolo di quelli fra coloro che espa­triano, i quali hanno si un proposito deliberato, ma questo proposito è il cercar di vivere in terra straniera o stendendo la mano per ricevere elemo­

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sina e disprezzo, o vendendo le carezze deile proprie mogli, delle proprie sorelle, delle proprie figliuole. — Io son di Terra di Lavoro, ma di quella regione che confina con P Abruzzo, regione che è la meno ricca ( benché pittorescamente la più bella) della Campania.

Ivi l’emigrazione in certi comuni si fa largamente. Da Picinisco, da Casa­lattico, da Casalvieri partono famiglie intere... Abbandonano i campi isteriliti dalla povertà o dall’ignavia dei piccoli proprietarii, e, a frotte numerose e folte, vanno in Francia a danzare al suono degli organini, a limosinare sui gradini delle chiese, a soddisfare sulle più su­dicie vie di Marsiglia le voglie brutali delle ciurme.

Io, quindi, so che cosa sia 1’ emigra­zione dei miseri....

Ma c’ è un’ altra emigrazione, contro cui non giustamente si arroventa l’elo­quenza degli articolai dell’epoca e del Messaggero• — ed è l’emigrazione ben diretta degli agricoltori robusti o degli operai seriamente abili al lavoro.

Si dirà che questa emigrazione sot­tragga alla patria gli elementi migliori. E

io non dico di no; in tutto di no;—ma dico che quando questi elementi miglio­ri hanno eia morire di fame qui, fanno necessariamente bene se cercano da cam­pare altrove.

Facciamo un esempio.A Napoli, ogni operaio che passa a

matrimonio in condizioni non affatto misere, — come primo atto economico, mette su bottega.... Per lo più, il suo­cero gli dà la moglie e tutto, o quasi, il capitale necessario per l’ impianto, in questa maniera, gli stipettai, i falegna­mi, i fabbri ecc..... sono cresciuti a di­smisura. Da questo deriva una concor­renza accanita, che si risolve in una produzione pessima, la quale è divenuta materia d’incetta per pochi rivenditori. Costoro, anticipando una parte di prezzo del prodotto, hanno l’arte di tener sem­pre debitori questi operai; tenendoli de­bitori, li angariano: — ciò che vale die­ci pagano cinque, — e pagando cinque hanno modo di rimanere creditori de­gli operai.

Quella mobilia da dozzina che vedete ammonticchiata nei pressi della chiesa di Santa Chiara, non ha origine diver-

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sa da questa.... Gl’incettatori ingrassa­no, e l’operaio piange miseria.

E da questa usura sanguinosa deriva pure che le masserizie che sono state fatte a Napoli siano generalmente brut­te e fragili; poiché l’operaio lavora in fretta e contraggenio, per strappare un tozzo di pane bene o male.

Quella serenità die l’artefice che gua­dagna abbastanza gode nelle sue ore di lavoro, gli suggerisce la ricerca di nuo­ve forme artistiche, gli consigliala mag­giore cura nell’ esecuzione dei partico­lari...

Qui, niente di tutto questo. A Napoli si passa subito, senza transizioni inter­medie, dalle squisitezze artistiche del Franceschi, del Pasrano, del Caponetti., alla sconnesse cassapanche di Santa Chiara.

Ora -- per tornare all’Australia - non sarebbe male che questa sovrabbondan­za di mano d'opera trovasse fuori uno sfogo... Ma vorremmo sperare che la nostra produzione industriale di mezza­na bontà potesse trovar fortuna in Fran­cia, in Inghilterra o anche in Germania o nell’industriosissima America, - dove

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gli agi della vita borghese sono assai maggiori di quelli delia nostra vita bor­ghese?

Ma no, certamente. Bisognerebbe, in­vece, credere che fosse campo aperto ai nostri artefici non ottimi quella regio­ne dove i bisogni della civiltà crescono rapidissimamente in rapporto abbastan­za lontano dall’energia produttiva.

Questa regione potrebbe essere VAu­stralia.

Da noi — pigliando la media ordi­naria — un operaio non eccezionalmen­te abile guadagna netto da due a tre lire per giorno. Ci sono operai molto a- bili che arrivano a guadagnare fino a sei lire; — ma questi segnano il m axi­mum delle mercedi. La media è quella: da due a tre lire.

Sentite, invece, quali siano le medie mercedi in Australia : —

Carpentieri 12,50 — 15,00Fabbri 10,00 — 13,75Muratori 12,50 — 16,25Scalpellini 13,75 — 15,00Imbianchini 12,50 — 16,25I manovali, oltre l’alloggio e la men­

sa, ricevono da 80 a 100 lire per mese.

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Francamente, lavorando tutto il gior­no, avendo uffici che sono ritenuti come ben rimunerati, qui non si guadagna come un buon imbianchino d’ Australia... Qui chi riceve uno stipendio di 300 lire è già considerato come un partito con­veniente per una ragazza di buona fa­miglia.

Ora, dico io, non sarebbe bene diri­gere una parte dell’ emigrazione verso l’Australia ?

E veniamo agli agricoltori. — In Au­stralia il governo coloniale ha fatta una legge per l’allargamento della cultura.

La legge è questa nella sua sostan­za : — Chiunque abbia raggiunta 1’ età di 16 anni può scegliere in tutta la colonia quel pezzo di terreno che più gli piace e affittarlo o comprarlo : — se lo affìtta, ha da pagare un estaglio an­nuo di 40 centesimi per ettare ; — se lo compra, ha da pagare subito il quarto del prezzo totale. Il prezzo totale é fis­sato a una lira sterlina per arpento — cioè a sessantadue o sessantatre lire per ettare. Pagando il quarto, paga circa quindi i o sedici lire subito; il resto del prezzo può pagarlo in quattordici anni.

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Oltre però che a queste condizioni di prezzo, il coltivatore ha da soddisfare ad altre che hanno lo scopo di affezio­narlo alle terre e di fargliele coltivare con amorosa alacrità.

1. Il coltivatore è obbligato a stare almeno cinque anni sul terreno che ha scelto;

2. É obbligato, inoltre, a far sul ter­reno migliorie che abbiano carattere permanente, pel valore di almeno 10 scellini per arpento ; sia cingendolo durevolmente, sia costruendovi la pro­pria casa, sia coltivandolo.

Questa legge — come tutte le cose di questo mondo, è perfettibile : nel senso che l’affittuario è oggi troppo poco ga- rentito sulla durata dell’ affitto, ed è esposto da un momento all’ altro a ve­dersi metter fuori da un acquirente...

Ma, con tutti i difetti economici e giuridici, questa Legge é la prova mi­gliore del fatto che, in Australia, un colono paga 40 centesimi per anno una locazione che in Europa bisogna moltiplicare parecchie decine di volte... ; e che quindi il colono della Campania p. e. che al minimo, deve pagare ven­

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ti lire, lì potrebbe trovare modo di de­dicarsi con frutto alla pastorizia o al­l’agricoltura.

Io non voglio dire con ciò (lo ripeto per amore di chiarezza) io non voglio dire che i nostri coloni abbiano da lasciarci per andare in Australia : ma dico che quelli che espatriano per an­dare a raccattar cenci fra le lordure di New-York, o per andare a suonare la ciannamella per le città di Francia, po­trebbero dirigersi utilmente verso il gio­vine continente Australiano.

È vero che, a poco a poco, le zone finitime alle grandi città vanno dive­nendo proprietà già coltivate; ma in Australia la vaporiera va conquistando l’ interno, con maggiore celerità che non ci voglia da noi per congiungere una buona volta con più breve strada Napoli con Roma.

Tutti mi faranno una giusta domanda: Se tanto si guadagna, quanto si spende ? Oramai, non si crede più al paese della cuccagna ; e quando si sente qualche notizia che pare favolosa, s’ immagina presto che vi sia il rovescio della me­daglia.

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Eppure, in questo caso, Signori, la medaglia è bella da tutte e due le parti. E, per poco che ci si rifletta, deve es­sere così. Quando si pensi che il più importante capo di produzione dell’Au­stralia è il bestiame piccolo e grosso, si capisce facilmente che la carne deb­ba vendersi a buon mercato. Noi qui paghiamo un chilogramma di carne da due a tre lire ; e certe volte mangiamo bistecche di bufalo con la profonda con­vinzione di mangiare bistecche di vi­tello ; e là il prezzo delle carni varia da una lira a una lira e trenta cente­simi... Si può avere un litro di vino coloniale per otto o nove soldi; e un un chilogramma di pane per altrettanto. Lo zucchero si ha per una lira a chi­logramma, e il caffè non arriva a quat­tro lire... Quello che costa un po’ più caro è l’abitazione; ma, in sostanza, potete contare sull’esattezza di questa affermazione sintetica : — che 1’ operaio può vivere in Australia con l’agiatezza della classe media in Europa, intenden­dosi per classe media non la minuta bor­ghesia dei commessi di negozio e degli

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scrivani ma la borghesia che vive con un certo decoro.

Nè c’ è da temere rigore di clima. In Australia non fa nè troppo caldo nè troppo freddo : 1’ atmosfera è general­mente molto asciutta e non vi dominano malattie infettive... Direi che si sta co­me nell’America meridionale, se non vi fosse la differenza della febbre gialla in meno.

Ma se proprio l’emigrazione vi sgo­menta, e pensando, che da Pisa ve­nendo giù giù intorno al littorale ita­liano, le paludi e le maremme aspet­tano la fecondazione del lavoro, vi pare che i lavoratori italiani dovrebbero fe­condare terra italiana, lasciatemi spe­rare che non vi darebbe lo stesso sgo­mento l’invito ai produttori italiani di dirìgere una parte della loro produ­zione verso l’Australia.

Mi pare d’aver detto come l’importa­zione australiana sia ora poco più poco meno di un miliardo e mezzo.—Ebbene, o Signori, in questo miliardo e mezzo voi troverete molta merce italiana, ma non un collo che direttamente dall’ I- talia sia sbarcato in Australia. Su 1937

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navi uscite, nel 1880, dai porti di Sid­ney e di Newcastle, — non uno ha por­tato bandiera italiana!.. Eppure, i pro­dotti italiani si consumano in Austra­lia. Se andate a far visita ad una fa­miglia australiana, essa vi offre come cosa squisita e prelibata un piatto di fi­chi secchi di Calabria!....Voi guardatela scatola dove erano conservati ? La scattola porta attaccata una marca in­glese!... Comprate un paio di guanti? - Quei guanti li ha fabbricati l’Italia; so­no forse milanesi; sono forse del Merola o del Gargiulo di Napoli... Li svescia­te un poco, e trovate la marca inglese..

L’amico mio Cosmo Riccioli mi dice­va: all’esposizione di Melbhurne il som- macco — un prodotto agrario della Si7 cilia — era esposto come inglese. — É una cosa che fa pena ; ma che vi pro­va come, iniziando commerci diretti con l’Australia , noi avremmo — come si dice — i nostri articoli belli e accre­ditati.

Ma, come si fa, per iniziare scambii diretti con l’Australia? Al Governo — a questo cireneo di noi progettisti—é me­glio non pensare nè per bene nè per

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male. H i già troppo peso sulle braccia, perchè se ne possa sperare uno sforzo coll’ accordare una sovvenzione a qual­che compagnia di navigazione... E poi anche che una linea di navigazione i- talo-australiana s’iniziasse per opera e virtù del Governo, c’ è sempre da sup­porre come necessaria una certa inizia­tiva da parte dei produttori italiani....

A questi, dunque, ci dobbiamo rivol­gere.

Ma non uno, non due, non tre pro­duttori separamento dovrebbero inco­minciare le loro operazioni di scambii con l’Australia. La spesa dei noli è gra­ve assai; e non consiglierei a nessuno di spedir così la propria merce in Au­stralia, in balìa del primo corrispon­dente inglese di Sydney o di Melbhurne che gli capitasse sotto mano.

Anche per questo scopo — dell’espor­tazione italiana in Australia — noi do­vremmo ricorrere all’ associazione. Si tratterebbe di trovare uno persona di fi­ducia; a questa persona, dieci, venti, cen­to, produttori di guanti, di sommacco, d i fichi secchi, di mobilia, di corallo fino lavorato,., di ceramica.,, dovrebbero af­

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fidare un loro proprio carico; provve­derla delle spese di viaggio e di tra sporto; ed incaricarla di vendere per loro conto.

In principio non si dovrebbero fare le cose troppo in grande... Io, per ve­rità, sono nemico dei grandi progetti economici — nati grandi. Tutto ha da seguire l’esempio della natura: si nasce piccoli, e ci si fa grandi un po’ per vol­ta... Qui si tratterebbe di un tentativo: e i tentativi si hanno da far vitali ma non ciclopici....

Mandate un vostro rappresentante in Australia, provveduto dei mezzi necessa- rii; fate che possa aprire una modesta esposizione permanente; accompagnate­lo coi vostri voti e non lo seccate con la vostra impazienza; e vedrete progres­sivamente coronato di buon successo il vostro primo tentativo.

Questa idea, dell’esposizione perma­nente di prodotti italiani in Australia, non è idea mia; ed io lo confesso con tanto maggior piacere per quanto sa­rebbe più vano l’annunziarlo leggermen­te come il verbo di una conferenza mol­to da dozzina. E questa idea dell’amico

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mio Riccioli ha una sanzione ufficiale, nell’incoraggiamento che la Camera di Commercio di Napoli ha stanziato e che il Banco ha promesso e che il Ministe­ro di Agricoltura, Industria e Commer­cio ha solennemente annunziato.... Sa­rebbe, dunque, idea entrata nella coscien­za pubblica...

Speriamo che il Banco e il Ministero si sbrighino; e non rimarrà da fare al­tro se non l’associazione saldamente co­stituita dai migliori produttori.

Se non che, conversando talvolta con alcuno di questa opportunità dell’espor­tazione in Australia, mi è stato detto che sarebbe un ostacolo grave la diffi­coltà di trovare in Australia lo sconto degli effetti provvenienti a questa asso­ciazione di esportatori dall’esercizio del commercio... Nientemeno, mi si è fatta temere la necessità di una banca colo­niale italiana.

Con buona pace di quelle persone sti­mabilissime che da lungo tempo in Ita­lia parlano di banche coloniali, c’ è da tener presente il fatto che le banche so­no un fenomeno riflesso della civiltà— una conseguenza, non una promessa....

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Quando c’ è stato un gran bisogno di vendere i crediti commerciali sono nate le banche di sconto; quando c’ è stato gran bisogno di denaro da parte dei proprietarii sono nate le banche fondia­rie... Ora, che è sentito profondamente il bisogno di soccorrere gli agricoltori si è data legislativamente forma con­creta al credito agrario.

Similmente, le banche coloniali na­scono dove, quando e con quella forma che il bisogno consiglia. Se non esiste il ceto dei clienti, le banche coloniali non sorgono. — Una banca italiana in Australia non potrebbe lavorare in nes­sun modo ; cioè , no : — potrebbe la­vorare con una clientela non italiana.

Capisco perfettamente che un’azienda commerciale ha bisogno di fare affari an­che a credito, e che, poi, ha bisogno di vendere questi suoi crediti per incassare il denaro prima della scadenza; ma in Australia non veggo la necessità di u- na banca italiana per affari italiani.

Non veggo questa necessità per due ragioni: se gli affari dell’agenzia sono pochi, allora naturalmente nessuna casa bancaria ha premura di rimetterci le

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spese d’impianto e d’amministrazione e non si stabilisce li nè con la sede nè con la succursale; se gli affari sono molti, allora ci sono le banche locali che danno i mezzi di accrescere il giro d’affari con lo sconto del portafoglio.

E le banche australiane sono più grosse e forti di quanto si creda.

Per non annoiarvi con lunga seguela di cifre, vi dirò questo solamente: che i depositi in conto corrente presso le banche della nuova Galles del Sud su­perano il mezzo miliardo, e che i de­positi a cassa di risparmio hanno rag­giunto i cinquanta milioni.

Un attivo scambio commerciale con l’Australia potrebbe, però, giovare a noi non solamente come sbocco di produ­zione; ma ci potrebbe giovare anche per un’altra cosa.

Voi conoscete bene il sentimento di amor propro che non abbandona mai gl’inglesi. Questo sentimento li sprona a primeggiare il più che possano in ogni ramo d’industria. Dippiù : sono un popolo che vive appunto d’industria e di commercio; e però, oltre l’amor pro­pro, li spinge l’interesse di reggere e

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di vincere nella concorrenza... Gl’Inglesi fanno questo: la miglior lana d’Austra­lia la portano in Inghilterra.

I nostri industriali hanno un bel pa­gar caro: l’Inghilterra non si lascia sfug­gire il meglio... Jn altri termini, noi non avremo della miglior lana d’Australia, se non andando a pigliarla in Austra­lia.

Un primato, quindi a cui potremmo arrivare ...a cui se non altro, potrem­mo aspirare... ci sfugge ora e ci sfuggirà sempre, sino a che non si stringano re­lazioni dirette con la grande isola dalle montagne azzurre.

lo, dunque, facendo i voti più ar­denti perché l’artigiano e l’agricoltore italiano stiano benissimo a casa loro, vorrei che dovendo partirne sapessero di poter andare con più vantaggio in Australia che altrove; e facendo voti perchè tutti i produttori italiani trag­gano il miglior profitto dal loro lavoro, mi permetto di sperare che con le forze di una benintesa associazione si spinga­no fino in Australia...

I cittadini di una nazione che paga­no in media nn’imposta erariale di cin­

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quanta lire per ciascheluno, hanno tutto da guadagnare entrando in rap­porti coi cittadini di un paese che pa­gano in media un’imposta erariale di centoquarantacinque lire. I centri di ricchezza sono come grandi focolari che irraggiano calore intorno intorno...

Non so perchè noi non dobbiamo av­vicinarci a questo focolare australiano, per scaldarci un pò le mani intirizzite dal gelo d’una tirannide eh’ è durata parecchi secoli.

La libertà c’invita a muoverci. Muo­viamoci. Vegga l’oceano indiano la ban­diera che rappresenta l’antica gloria di Genova e di Venezia... Muoviamoci; aiu­tiamoci; chè forse Iddio ci aiuterà.

Intanto, all’Australia, che s’appresta a celebrare il suo centenario, mandi — prima Napoli fra le città italiane — il suo saluto e il suo augurio.