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7/30/2019 NDS maggio 2012 http://slidepdf.com/reader/full/nds-maggio-2012 1/124   NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI IL N UOVO D IRITTO  DELLE SOCIETÀ D IRETTA DA O RESTE C AGNASSO E M AURIZIO I RRERA  C OORDINATA DA G ILBERTO G ELOSA  Atti del convegno Crisi d’impresa e risanamento: le responsabilità in caso di default  Alba, 19 novembre 2011 ItaliaOggi Anno 10 – Numero 11 30 maggio 2012 

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 NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ 

DIRETTA DA ORESTE CAGNASSO E MAURIZIO IRRERA  

COORDINATA DA GILBERTO GELOSA 

Atti del convegno

Crisi d’impresa e risanamento:

le responsabilità in caso di default 

Alba, 19 novembre 2011

ItaliaOggi 

Anno 10 – Numero 11

30 maggio 2012 

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La Rivista è pubblicata con il supportodegli Ordini dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili

di:Bergamo, Biella, Busto Arsizio, Casale Monferrato,Crema, Cremona, Lecco, Mantova, Monza e Brianza,

Verbania

 NDS collabora con la rivista:

DIREZIONE SCIENTIFICA 

Oreste Cagnasso – Maurizio Irrera

COORDINAMENTO SCIENTIFICO 

Gilberto Gelosa

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COMITATO SCIENTIFICO DEI R EFEREE Carlo Amatucci, Guido Bonfante, Mia Callegari, Oreste Calliano, Maura Campra,Matthias Casper, Stefano A. Cerrato, Mario Comba, Maurizio Comoli, PaoloefisioCorrias, Emanuele Cusa, Eva Desana, Francesco Fimmanò, Toni M. Fine, Patrizia

Grosso, Javier Juste, Manlio Lubrano di Scorpaniello, Angelo Miglietta, Alberto Musy,Gabriele Racugno, Paolo Revigliono, Emanuele Rimini, Marcella Sarale, Giorgio

Schiano di Pepe

COMITATO DI INDIRIZZO 

Carlo Luigi Brambilla, Alberto Carrara, Paola Castiglioni, Luigi Gualerzi, Stefano Noro, Carlo Pessina, Ernesto Quinto, Mario Rovetti, Michele Stefanoni, Mario

Tagliaferri, Maria Rachele Vigani, Ermanno Werthhammer 

R EDAZIONE 

Maria Di Sarli (coordinatore)Paola Balzarini, Alessandra Bonfante, Maurizio Bottoni, Mario Carena, Marco Sergio

Catalano, Alessandra Del Sole, Massimiliano Desalvi, Elena Fregonara, SebastianoGarufi, Stefano Graidi, Alessandro Monteverde, Enrico Rossi, Cristina Saracino,

Marina Spiotta, Maria Venturini

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO  Niccolò Abriani, Luca Battistella, Gino Cavalli, Giorgio Costantino, Francesco Gianni,

Luciano Panzani, Angelo Provasoli, Michele Vietti, Vittorio Zanichelli

SEZIONE DI DIRITTO FALLIMENTARE a cura di Luciano Panzani

SEZIONE DI DIRITTO INDUSTRIALE 

a cura di Massimo Travostino e Luca Pecoraro

SEZIONE DI DIRITTO TRIBUTARIO a cura di Gilberto Gelosa

SEZIONE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA a cura di Marco Casavecchia

SEZIONE DI TRUST E NEGOZI FIDUCIARI 

a cura di Riccardo Rossotto e Anna Paola Tonelli

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INDICE

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012

4

Pag.

ATTI DEL CONVEGNO Crisi d’impresa e risanamento: le responsabilità in caso di default 

Alba, 19 novembre 2011

 La riforma del diritto fallimentare e le prospettive di ulteriori interventi 

di Michele Vietti12

 Relazione introduttiva

di Luciano Panzani17

 La responsabilità degli amministratori di Francesco Gianni

41

 Le responsabilità degli organi di controllo 

di Gino Cavalli57

 La responsabilità dei professionisti

di Giorgio Costantino

65

 Il ruolo dell’esperto attestatore nel quadro degli accordi giudiziali e

stragiudiziali nelle crisi di impresa: le “dimensioni” e le “prospettive” dianalisi

di Angelo Provasoli

76

 La responsabilità dell’esperto attestatore di Vittorio Zanichelli

83

 Le responsabilità nelle crisi dei gruppi

di Niccolò Abriani 93

 Intervento

di Luca Battistella 

117

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SOMMARIO

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012

5

ATTI DEL CONVEGNO Crisi d’impresa e risanamento: le responsabilità in caso di default 

Alba, 19 novembre 2011

La riforma del diritto fallimentare e le prospettive di ulteriori interventi  L’Autore ripercorre le linee fondamentali ed illustra gli obiettivi della riforma

 fallimentare, sottolineando l’opportunità di ulteriori interventi, alla lucedell’evoluzione economica e delle esigenze operative.

di Michele Vietti

Relazione introduttiva L’Autore illustra, alla luce delle recenti riforme e delle successive innovazioni, in una

 prospettiva attenta al dato comparatistico, i profili fondamentali e i nodi problematici

della responsabilità dei soggetti coinvolti nella crisi dell’impresa (amministratori,

sindaci, banche, esperto), anche nel caso di insolvenza di gruppo.

di Luciano Panzani

La responsabilità degli amministratori  L’Autore prende in esame il tema della responsabilità degli amministratori nella crisi

di impresa, soffermandosi  in particolare sull’evoluzione giurisprudenziale sulla

quantificazione del danno imputabile agli amministratori, e sulle conseguenze dellaconcreta scelta, da parte dell’amministratore, dello specifico istituto di gestione della

crisi cui accedere.  di Francesco Gianni

Le responsabilità degli organi di controllo  L’Autore, dopo una premessa sul tema generale delle responsabilità civili e sul metro

di giudizio da adottare nel relativo accertamento, si sofferma sul ruolo degli organi di

controllo interno nella gestione delle soluzioni concordate della crisi, con particolare

riferimento alle decisioni da intraprendere all’insorgere della stessa, alla fase diadozione dei piani e a quella della loro esecuzione.

di Gino Cavalli

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SOMMARIO

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6

La responsabil ità dei professionisti In relazione alla responsabilità dei professionisti nella redazione delle relazioni

 previste dagli artt. 161, co. 3°, 182 bis, co. 1°, e 67, co. 3°, lett. d), l.f., si rilevano, in

 premessa, le difficoltà conseguenti alla evanescenza della disciplina processuale. Siconsiderano, quindi, i criteri di nomina e si considera l’eventualità che sia disposta

consulenza tecnica preventiva, ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c. Nei rapporti con

l’imprenditore, titolare esclusivo del potere di nomina, si qualifica contrattuale la

responsabilità del professionista; extracontrattuale in quelli con i creditori che hanno

 fatto affidamento sulla relazione. Si esclude ogni vincolo nei confronti dei creditoriche si oppongono al concordato o all’accordo di ristrutturazione dei debiti. Si rileva,

infine, l’ampiezza dei poteri discrezionali attribuiti al giudice.

di Giorgio Costantino

Il ruolo dell’esperto attestatore nel quadro degli accordi giudiziali estragiudiziali nelle crisi di impresa: le “dimensioni” e le “prospettive” di analisi

 La relazione affronta alcuni aspetti dell’attività dell’esperto attestatore negli accordi

tra impresa e creditori realizzati in situazioni di crisi aziendale. di Angelo Provasoli

La responsabilità dell’esperto attestatore 

 L’Autore, dopo aver inquadrato la figura dell’esperto attestatore alla luce della nuova

disciplina sui ruoli degli organi delle procedure concorsuali, individua i caratteri

essenziali della relazione che necessariamente correda la proposta di concordato e,correlando l’ampiezza del perimetro della responsabilità dell’attestatore all’ambito

della valutazione del tribunale, esamina le diverse opinioni sulla natura della

medesima e le conseguenze sui presupposti e sull’ammontare del danno risarcibile.

di Vittorio Zanichelli

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SOMMARIO

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Le responsabilità nelle crisi dei gruppi La relazione si sofferma sul tema dei profili di responsabilità che, nel contesto del

gruppo, possono ricollegarsi all’insuccesso o alla mancata attivazione delle

operazioni di risanamento dell’intera impresa di gruppo o di alcune società o enti chela compongono.

di Niccolò Abriani

Intervento L’intervento offre una panoramica della situazione economica e dello stato deirapporti tra le procedure di ristrutturazione e la c.d. “finanza-ponte”.

di Luca Battistella 

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INDEX-ABSTRACT

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CONFERENCE ACTS Crisis and restructuring: liabilities in case of default 

Alba, 19 novembre 2011

Page 

The reform of Bankruptcy law and perspective for future interventions

The Author retraces guide-lines and purposes of bankruptcy law reform,emphasizing the need of further legislative interventions based on evolution of 

economy and practical demands.

 by Michele Vietti

12

Opening reportThe Author describes, in the light of recent law reforms and subsequent 

innovations and with an eye to the comparative law, the most relevant aspectsand issues about liabilities of those people involved in the company crisis

(directors, auditors, banks, experts) as well as in case of insolvency of a

group of companies.

 by Luciano Panzani

17

Directors’ liabilitiesThe Author examines liabilities of company directors in connection to the

insolvency of a company, focusing, in particular, on the case law evolution

regarding the amount of damages and the consequences of directors’ choice

on crisis management tools. by Francesco Gianni

41

Internal Controllers liabilitiesThe Author, after an introduction on the general theme of civil liabilitiesrelated to the standard of care, focuses on the audit committee role within the

insolvency of a company; in particular the Author analyzes the decision-

making processes at the beginning of the crisis as well as on creation and 

implementation of plans.

 by Gino Cavalli

57

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INDEX-ABSTRACT

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Professionals’ liabilityFor what concerns professionals’ liability in drafting reports ruled by artt.

161, co. 3°, 182 bis, co. 1°, e 67, co. 3°, lett. d), l.f., the Author makes some

 preliminary remarks on difficulties caused by evanescence of procedural law.Then, are being considered the criteria of appointment and the possibility to

activate a technical preventive consulting under the art. 696 bis c.p.c.

 Regarding relationships with the entrepreneur, holder of the exclusive power 

to appoint, the expert professional’s liability is qualified contractual, whereas

the same liability is qualified as non-contractual within relationships withcreditors who relied on the above-mentioned reports. Is excluded any kind of 

obligation towards creditors who stood out against bankruptcy proceedings.

 Lastly, the Author emphasizes the breadth of Court’s discretionary powers.

 by Giorgio Costantino

65

The professional certifier’s role within judicial and extrajudicialagreements during the insolvency of a company: extent and perspectivesof the analysis.The report addresses some aspects of professional certifier’s activity withinthe agreements made between the company and its creditors during a

 financial crisis.

 by Angelo Provasoli

76

Professional certifier’s liability The Author, after describing the professional certifier’s role within the new

bankruptcy proceedings law, identifies essential characteristics of the report 

attached to the composition with creditors proposal. Then, connecting the

extent of certifier’s liability to the object of Court’s judgment, he examines the

different opinions on the nature of liability itself and the consequences onrequirements needed to issue a claim for damages and on the amount of 

compensation. by Vittorio Zanichelli

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INDEX-ABSTRACT

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10 

Liabilities within the crisis of groups of companiesThe report focuses on the theme of liability that, within a group of companies,

can be reconnected to a failed or missed recovery plan concerning the entire

group or some of the companies or legal entities that form the group itself. by Niccolò Abriani

93

InterventionThe paper provides an overview on the economic situation as well as on the

state of relationships between procedures of reorganization and the so-called “bridge-loan”.

 by Luca Battistella 

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RELAZIONI A CONVEGNI

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.11/2012

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LA RIFORMA DEL DIRITTOFALLIMENTARE E LE PROSPETTIVE DI

ULTERIORI INTERVENTI L’Autore ripercorre le linee fondamentali ed illustra gli obiettivi della riforma

 fallimentare, sottolineando l’opportunità di ulteriori interventi, alla luce dell’evoluzione

economica e delle esigenze operative.

di MICHELE VIETTI 

Riflettere sulla modifica della disciplina della crisi di impresa in Italia implicacomprendere la radicale modificazione della filosofia delle norme di rif erimento, con glieffetti che la riforma ha avuto sul complessivo sistema economico italiano e, da un

 punto di vista p iù specifico, sulla sua funzione di stimolo ad una maggiore attrazionedegli investimenti, costituito dalla garanzia per i creditori-investitori di beneficiare dimaggiori certezze anche nell’ipotesi più negativa, quella cioè del default dell’impresa

verso cui si è orientato l’investimento.E’ stato detto che, in un mondo sempre più globalizzato, la concorrenza non è più affidata all’iniziativa del singolo imprenditore, ma necessariamente si sposta ad un più alto livello, sino a comprendere le strategie complessive di un Paese.

Quella dei nostri giorni è una concorrenza non solo tra sistemi economici, ma traordinamenti, tra modelli di sviluppo e di investimento che si basano sull’efficienza deisistemi-paese.

La rapidità e la facilità con cui gli investimenti vengono spostati a livellomondiale induce a considerare che un sistema giuridico al passo con i tempi è in gradodi catalizzare più investimenti di qualsivoglia politica individuale o collettiva delleaziende operanti nei singoli settori.

 Ne è derivato, come imprescindibile strumento di maggiore competitività delsistema-Italia, l’opportunità dell’adeguamento della normativa sia nell’ambito dellafisiologia della vita dell’impresa (vedi la riforma del diritto societario, che ho avutol’onore di condurre in porto nel 2003), sia nel campo della patologia dell’impresa, cui siè giunti con la riforma fallimentare che ho potuto coordinare come sottosegretario primaal Ministero della Giustizia e poi al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Va anche detto che l’opportunità e l’urgenza di una riforma del dirittofallimentare erano e sono valutazioni unanimemente condivise da tutti gli addetti ailavori.

L’impostazione del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, che sino al 2006 ha

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RELAZIONI A CONVEGNIPROSPETTIVE DI RIFORMA 

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retto il sistema delle procedure concorsuali, risale ad epoca pre-costituzionale ed è inlarga parte ispirata alle ideologie dell’epoca: primato dell’interesse pubblico nellagestione delle procedure di crisi; organi della procedura che agiscono qualirappresentanti diretti dello Stato; curatore che, in quanto strumento attuativo delle scelte

 pubbliche, è p ubblico ufficiale. Essa rispecchia, p eraltro, anche il sistema economico diallora, basato su un’impresa di dimensioni assai ridotte, in genere di poche persone,avente per lo più ad oggetto la gestione di beni immobili, in un contesto produttivolargamente rurale: ne deriva che l’interesse preminente da perseguire era l’accertamento

della responsabilità del dissesto, l’eliminazione delle conseguenze del fallimento, laliquidazione di tutt i i beni del fallito e la sua p unizione, sotto forma di sanzioni penali e poi anche civili.

Le procedure erano per conseguenza eccessivamente lunghe - la durata mediaera stimata intorno agli otto anni e in continuo aumento - e nella gran parte dei casi sichiudevano per insufficienza dell'attivo da liquidare. Il tasso di recupero dei creditiiscritti ai fallimenti era inferiore al 14%, un altro 5% era assorbito dalle spese legali,mentre il restante 80% andava disp erso.

In sintesi, la disciplina appariva eccessivamente punitiva e sostanzialmenteinidonea a consentire il recupero dei crediti: entrambi fattori che scoraggiavano lacrescita dimensionale delle imprese e gli investimenti, anche stranieri, in It alia.

Oggi, tramontato quel modello di imprenditoria, il sistema economico risultafondato su rapporti eminentemente finanziari, successivamente calati nel sistema deifattori produttivi di beni e servizi e d i scambio.

La riforma si ispira ad una nuova filosofia, che privilegia l’impresa piuttosto chei suoi protagonisti e che, coerentemente, ridisegna secondo logiche imprenditorialianche il peso degli organi ad essa preposti.

Il moderno capitalismo non può fare a meno della fiducia dei risparmiatori (erecenti vicende interne ed internazionali stanno a dimostrare le enormi negativitàconnesse al tradimento di tale fiducia), così che le norme di tutela e di garanziacontenute nella riforma appaiono ispirarsi proprio alla salvaguardia di questo elemento,senza indulgere in interventismi giudiziari che, complessivamente, non hanno dato in

 passato grande prova di sé.La riforma è incentrata proprio sul fattore gestionale della procedura: poteri ed

organi risultano, infatti, modulati per garantire che l’obiettivo da perseguire sia quello dirimettere l’impresa nel circuito produttivo, ove possibile (di qui l’ampliamento dei casidi ricorso alle soluzioni alternative al fallimento), o diversamente di eliminare l’impresadal circuito produttivo con le minori conseguenze negative per il sistema. Il dirittofallimentare, in altri termini, mentre aveva al proprio centro le ragioni del cetocreditorio, deve avere oggi al proprio centro la relazione commerciale, oggettivamenteintesa.

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RELAZIONI A CONVEGNIPROSPETTIVE DI RIFORMA 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201214

Questa rinnovata centralità dell’atto commerciale nelle situazioni di crisi èevidenziata da alcuni significativi elementi del quadro economico e sociale, chedimostrano come tale convincimento vada maturando.

a) Innanzitutto il sistema bancario ha puntato con decisione verso laridefinizione delle regole del f allimento.

 Non si tratta solo della pur legittima preoccupazione di una categoria di creditorinormalmente perdente nelle vicende fallimentari, ma della circostanza che il sistema

 bancario ha preso atto della preoccupazione che il diritto fallimentare e le sue regole

finiscano non solo per condizionare le attività direttamente riferibili all’impresa insofferenza, ma che estendano le proprie conseguenze verso altre aree del settore bancario: ad esempio compromettendo le operazioni di cartolarizzazione,incrementando le sofferenze bancarie, impedendo il ricorso a strumenti di purgazionedei bilanci, diminuendo il valore di borsa delle società bancarie quotate, ostacolando lagestione dell’insolvenza come mero rischio d’impresa, ovvero rendendo impossibileogni accordo forfetario che consenta di uscire rapidamente dalla situazione di crisi.

L’ampiezza della crisi, l’attuale sofferenza industriale, l’accentuarsi del ricorsoal credito sono fattori che, se fossero state mantenute le regole preesistenti, avrebbero

 potuto manifestare effetti destabilizzanti su un sistema bancario tenuto ad ingentiesborsi.

 b) Eguale sensibilità è stata mostrata anche dal sistema industriale.Ed invero la situazione economica complessiva ha indotto effetti a catena anche

tra imprese lontane e senza relazione apparente ma, magari, legate dal comuneriferimento ad ambienti economici, ovvero a filiere industriali.

E, dunque, la gestione della crisi è apparsa necessariamente un fatto che non puònon tenere conto dei dati del mercato di riferimento, di posizioni che si intrecciano, di

 procedure che devono poter essere snelle e soprattutto flessibili.Il diritto fallimentare non può più essere considerato come strumento

dell’eliminazione del concorrente decotto, o come strumento di recupero di creditimalamente affidati.

Un nuovo diritto fallimentare non può creare ricchezza dove vi sono situazionidebitorie, non può rendere denaro la carta straccia, non può fare di un organismo insanoed inefficiente una azienda al passo con i tempi.

Il diritto fallimentare può però dare certezze, distribuire il rischio della relazionecommerciale in modo prevedibile e garantire la stabilità delle relazioni, evitare il più

 possibile p erdite inutili e il p rotrarsi senza termine di p rocedure di uscita da situazioniinfruttuose.

E tutto questo non solo per rendere possibile un più equo trattamentodell’impresa o per migliorare la posizione dei suoi creditori, ma anche per poter far sìche il sistema nel suo complesso divenga finalmente attrattivo per gli investimenti e

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RELAZIONI A CONVEGNIPROSPETTIVE DI RIFORMA 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201215

che, in ogni caso, le imprese italiane non si trovino svantaggiate nella competizioneinternazionale per aspetti legati al «costo delle regole»: dove, per «costo delle regole»,si intende l’adeguatezza dei loro contenuti e l’efficacia della loro app licazione.

La prospettiva imprenditoriale nell’ipotesi di insolvenza è, quindi, duplice:1. in qualità di debitore, l’impresa mira, quando ne sussistono i presupposti,

a recuperare la propria redditività riorganizzandosi, oppure, nei casi di insolvenzairreversibile, ad evitare il marchio infamante collegato al fallimento per poter avviarenuove attività imprenditoriali;

2. in qualità di creditore commerciale (che normalmente non gode di privilegi), l’impresa ha interesse ad un recupero rapido ed integrale dei propri crediti.La riforma interpreta queste due esigenze: 1) la riduzione dell’area di fallibilità,

l’ampliamento delle ipotesi transattive, proprie dei concordati, gli accordi diristrutturazione dei debiti, l’introduzione dell’istituto dell’esdebitazione, l’eliminazionedelle conseguenze personali del fallimento per la persona del fallito (in materia diresidenza e corrispondenza, di abrogazione del pubblico registro dei falliti) cercano difornire all’impresa insolvente ampi margini di ristrutturazione e di uscita dalla crisi conla possibile conservazione di apparati produttivi ancora non pregiudicatidall’indebitamento.

2) L’accelerazione dei tempi processuali, la rivisitazione del procedimento di

verifica dello stato passivo, i maggiori poteri dati al comitato dei creditori, interpretanol’altra esigenza di avere maggiori garanzie di rientro delle proprie esposizioni creditizieverso il fallito; con tale chiave di lettura va interpretata la nuova modulazione dei ruolidel comitato dei creditori, del curatore e del giudice delegato.

Lo sforzo di rinnovamento p uò dirsi, a mio parere, raggiunto.Tra i punti che necessiterebbero di ulteriori interventi posso citare la disciplina

della fase precedente alla crisi, dove si potrebbe pensare di introdurre istituti di allerta e prevenzione, in grado cioè di consentire all’imprenditore in difficoltà, a determinatecondizioni, di far emergere la difficoltà quando essa sia ancora del tutto redimibile.

Si potrebbe pensare di introdurre sezioni specializzate nei tribunali che sioccupino della materia fallimentare, in grado di stimolare una crescita professionalespecialistica anche di tutti i magistrati addetti al settore, che risulterebbe certamente

 positiva per il buon esito delle procedure.Imprescindibile appare poi la necessità di porre mano anche al settore penale,

attraverso la riforma dei reati fallimentari, poiché la nuova modulazione del sistemarichiede un aggiornamento delle fattispecie punitive, che rischiano altrimenti di noncogliere p iù nel segno, non recependo le novità della riforma.

 Necessario è poi pervenire ad un coordinamento con le procedure di realizzo e divendita previste nel codice di procedura civile, senza il quale l’accelerazione del ritofallimentare rischia di essere vanificata dalla necessaria attesa della concreta

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RELAZIONI A CONVEGNIPROSPETTIVE DI RIFORMA 

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materializzazione del ricavato delle procedure svolte con strumenti ordinari e, quindi,necessariamente più lenti.

L'ipotesi del fallimento del debitore civile, con l’introduzione di meccanismiconcorsuali anche per i casi, sempre più frequenti, di sovra-indebitamento delle personefisiche è da tempo all’esame del Parlamento ma necessita ancora di essere affinata.

Sempre più urgente appare poi la necessità di giungere ad una visione unitariadell'insolvenza, che possa portare un domani non troppo lontano ad un testo unico delle

 procedure fallimentari.

Oggi, dopo la riforma fallimentare, può infatti seriamente revocarsi in dubbioche la legislazione speciale sull'amministrazione straordinaria si giustifichi ancora per la peculiarità della condizione dell'impresa, che, come si insegna tradizionalmente, per dimensioni o volume di affari aveva bisogno di un intervento ad hoc.

Le rilevanti novità della riforma fallimentare potrebbero oggi consentire diripensare i rapporti con l'amministrazione straordinaria, nell'ottica di verificare se, con

 pochi adatt amenti, il diritto fallimentare possa oggi cost ituire l'archetipo di tutto la crisidell'impresa.

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RELAZIONI A CONVEGNI

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012

17

RELAZIONE INTRODUTTIVA

 L’Autore illustra, alla luce delle recenti riforme e delle successive innovazioni, in una

 prospettiva attenta al dato comparatistico, i profili fondamentali e i nodi problematicidella responsabilità dei soggetti coinvolti nella crisi dell’impresa (amministratorianche

nel caso di insolvenza di gruppo.

di LUCIANO PANZANI 

Scopo di questa relazione è di introdurre il dibattito sui temi del Convegno edunque sulle responsabilità dei diversi soggetti coinvolti nella crisi d’impresa,amministratori, sindaci, esperti attestatori, banche ed altri creditori, nel caso in cui iltentativo di risanamento non vada a buon fine. In passato su questi problemi vi è statomolto allarmismo, non sempre giustificato, ed in qualche caso anche vera e propriadisinformazione. Proprio per questi motivi il tema delle responsabilità va affrontato

 funditus: per fare chiarezza e dare a tutti gli operatori un quadro sufficientemente nitidodei rischi, agevolando in ultima analisi la soluzione delle crisi d’impresa.

Qualche anno fa, prima della riforma delle procedure concorsuali, si diceva chela legge fallimentare del 1942, tutta incentrata sulla tempestiva eliminazione dal

mercato dell’impresa insolvente, a garanzia dei creditori e nell’interesse dell’ordine pubblico economico che all’epoca si riteneva dovesse essere tutelato dallo Stato, nonconteneva disposizioni che permettessero il recupero dell’impresa in crisi. Siaggiungeva che per effetto della disciplina dettata dal legislatore si era creato una sortedi cordone sanitario intorno all’impresa in difficoltà, che scoraggiava ogni interventodiretto al risanamento ed al recupero. Gli amministratori delle società rischiavano diessere chiamati a rispondere in caso di prosecuzione dell’attività sia perché l’art. 2479c.c. vecchio testo vietava le nuove operazioni in caso di perdita del capitale sociale

 prevedendo la responsabilità personale e diretta degli amministratori, sia perché essirischiavano la responsabilità penale per bancarotta fraudolenta preferenziale oveavessero effettuato pagamenti a favore delle banche e dei fornitori onde consentire laristrutturazione ed il risanamento, e per bancarotta semplice nell’ipotesi che dalla

 prosecuzione dell’attività fosse derivato un aggravamento del dissesto. I fornitori eranodisincentivati dal continuare ad operare con l’impresa in crisi perché temevano la revocadei pagamenti ricevuti ove fossero stati a conoscenza dello stato d’insolvenza. Le

 banche correvano anch’esse il rischio della revocatoria ed inoltre potevano esserechiamate a rispondere del danno derivato agli altri creditori in ipotesi di concessioneabusiva di credito, ove i finanziamenti erogati, creando un’apparenza ingannevole di

 buona salute dell’impresa sovvenuta, avessero indotto altre banche o altri creditori aconcedere a loro volta credito.

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La riforma Vietti ha mutato profondamente la situazione. Le esenzioni darevocatoria hanno ridotto e pressoché azzerato il rischio relativo, sì che banche efornitori possono operare con maggior facilità. Sia per i concordati preventivi che per gli accordi di ristrutturazione, vi è stato un amplissimo riconoscimento dell’istituto della

 prededuzione, che facilita sia le nuove forniture che la concessione di credito, anche per quanto concerne i finanziamenti ponte. E’ vero che la nuova disciplina dettata dall’art.182 quater  l.fall., introdotto dal d.l. 78/2010, non è ben coordinata con le disposizionidell’art. 111 bis l.fall. e che ne derivano alcuni problemi interpretativi, ma si tratta di

difetti minori, cui si può ovviare sul piano dell’interpretazione. Anche la nuovadisciplina della sospensione delle azioni esecutive nell’ambito degli accordi diristrutturazione, introdotta dalla riforma del luglio 2010, va valutata positivamente. Essariguarda non soltanto la sospensione delle azioni esecutive in sé, ma la possibilità diacquisire titoli di prelazione non concordati e di ottenere provvedimenti cautelari. Il

 provvedimento di sospensione può essere concesso prima della presentazione delladomanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, consentendo al debitore di

 poter trattare con i creditori in condizioni di maggior tranquillità, anche perché lasospensione riguarda pure i creditori estranei all’accordo. Va aggiunto tuttavia che ilmeccanismo previsto dal legislatore, che comporta la fissazione di un’udienza avanti algiudice nel contraddittorio di tutti i creditori, implica la messa in opera di unmeccanismo processuale complesso, probabilmente sproporzionato al risultato che sivuole conseguire. Va anzi sottolineato che in questa, come in altre occasioni,l’estensione automatica alla disciplina delle procedure concorsuali di istituti di garanzia

 propri del processo, e dunque la garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa, riescedifficoltosa. Strumenti di tutela che funzionano adeguatamente quando il processo

 presenta due parti o un numero di parti comunque limitato, non operano più in modoadeguato quando le parti potenzialmente s’identificano con tutt i i creditori dell’impresa.Lo stesso fenomeno si è verificato con riferimento al nuovo istituto dell’esdebitazionedopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del nuovo art. 143 l.fall.nella parte in cui non prevede, nell’ipotesi che il fallito chieda l’esdebitazione dopo la

chiusura del fallimento, la notificazione a tutti i creditori della domanda proposta dalfallito 1. Viene da domandarsi se non si debbano immaginare per questi casi soluzionidiverse e se non si debba pensare di portare al di fuori delle aule di giustizia e del

 processo in senso p roprio i casi in cui i creditori debbono pronunciarsi in massa sullerichieste del debitore. I meccanismi dell’assemblea societaria e del voto a maggioranza,eventualmente a d istanza o nelle forme del silenzio assenso, sembrano forse p iù idonei arisolvere, dal punto di vista pratico, situazioni di questo tipo. Altrimenti con latraslazione automatica degli istituti processuali e l’applicazione rigorosa dell’art. 24

1 Corte Cost., 19 maggio 2008, n. 181.

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Cost. si rischia di arrivare alla paralisi.Anche sul piano delle responsabilità il legislatore della riforma, in questo caso il

legislatore del 2010, è in qualche misura intervenuto. Il nuovo art. 217 bis l.fall. halimitato la responsabilità penale del debitore nel caso di pagamenti ed operazioni inesecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione omologato odi un piano attestato. La nuova norma ha sciolto un equivoco ingenerato da alcuneProcure e da una parte della dottrina penalistica, che ritenevano che un atto lecito dal

 punto di vista civile, come un pagamento rientrante nell’ambito delle esenzioni darevocatoria e dunque in ipotesi non contrario alla  par condicio, che è l’interesse tutelato

dalle norme penali in tema di bancarotta, potesse essere illecito dal punto di vista penale. Come molti, ho sempre ritenuto che tale tesi non avesse fondamento in ragionedel principio di non contraddizione dell’ordinamento, per cui ciò che è lecito dal puntodi vista civilistico, non può costituire illecito penale ove l’interesse tutelato dai duesistemi normativi sia il medesimo. Ora il nuovo art. 217 bis, anche qui con alcunedifficoltà interpretative che non paiono insormontabili, chiarisce in modo definitivo cheil tentativo di risanamento condotto attraverso il concordato preventivo, gli accordi diristrutturazione, i piani attestati, non comporta responsabilità penale per bancarottafraudolenta preferenziale o bancarotta semplice, quest’ultima soprattutto per l’ipotesiche dalla prosecuzione dell’attività d’impresa sia derivato un aggravamento del dissesto.Il tentativo di risanamento non è un’attività ad esito certo. Se il debitore e coloro chevengono in rapporto con lui nell’ambito dello svolgimento dell’attività d’impresadovessero temere d’incorrere nella responsabilità penale, anche quando il risanamentoviene perseguito per il tramite di una delle procedure previste dalla legge, la possibilitàstessa di tentare il salvataggio verrebbe seriamente compromessa.

Se, come si è detto, le riforme legislative hanno segnato innegabili progressinella disciplina delle responsabilità dei vari protagonisti del risanamento dell’impresa,molto ancora resta da fare. Il mio compito, con questa relazione introduttiva, è di dareun quadro d’insieme dei temi che saranno poi oggetto delle relazioni in cui s’articola ilconvegno.

Occorre anzitutto affrontare i problemi relativi alla disciplina della responsabilità

degli amministratori e sindaci. A questo proposito va ricordata la recentissima novitàrappresentata dalla riduzione dei sindaci da tre ad uno nella s.r.l. L’art. 14 l. 183/2011 (legge di stabilità 2012) ha riscritto l’art. 2477 c.c. sostituendo l’espressione collegio

sindacale con la parola sindaco. L’art. 14 ha anche modificato l’art. 2397 prevedendoche per le s.p.a. aventi ricavi o patrimonio netto inferiori a 1 milione di euro lo statuto

 può prevedere che l'organo di controllo sia composto da un sindaco unico, scelto tra irevisori legali iscritti nell'apposito registro. In conclusione la nuova disciplina dettatadal legislatore prevede l’obbligatorietà del collegio sindacale nella s.p.a. salvo diversadisciplina statutaria, ma soltanto nei casi previsti dall’art. 2397, mentre per la s.r.l.l’ipotesi di default  è rappresentata dall’organo monocratico, salvo diversa previsione

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statutaria2. L’intervento del legislatore è certamente giustificato dal desiderio di ridurre icosti, ma va ricordato che la composizione collegiale rende p iù indipendente l’organo dicontrollo e ne assicura la maggior efficienza rispetto all’ipotesi del sindaco unico. Inogni caso, anche se resterà la figura del sindaco unico, nonostante i rilievi critici chesono stati formulati da fonti autorevoli, va sottolineato che molto in passato è stato fattodagli ordini professionali: sono state introdotte delle best practices che suggerisconometodi adeguati per lo svolgimento dell’attività di controllo, sono stati elaborati dalConsiglio Nazionale dei dottori commercialisti i criteri di comportamento dei collegisindacali, che rappresentano vere e proprie linee guida che possono essere seguite dal

 professionista nello svolgimento della sua attività.Tanto gli amministratori che i sindaci si trovano di fronte, nel caso di crisi

dell’impresa, ad una situazione delicata perché qualunque tentativo di risanamentoimplica la necessità di continuare l’att ività per mantenere intatto il valore dell’azienda ela capacità produttiva, ma la prosecuzione dell’attività può essere fonte di danno per icreditori e può contrastare con la disciplina di diritto societario, che prevede precisiobblighi, tanto a carico degli amministratori che dei sindaci in caso di riduzione oltre ilterzo o di perdita del capitale sociale. Ai sensi dell’art. 2485 c.c. gli amministratoridebbono accertare senza indugio il verificarsi di una causa di scioglimento e provvedere

 perché venga convocata l’assemblea per la nomina dei liquidatori. Sono personalmenteresponsabili in caso di ritardo od omissione del danno subito dalla società, dai soci, daicreditori sociali e dai terzi. Ai sensi dell’art. 2486 c.c. al verificarsi di una causa discioglimento gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini dellaconservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale. E’ ben vero che con taleformula il legislatore ha ritenuto di innovare rispetto alla disciplina dettata dal vecchioart. 2479 c.c., che rendeva gli amministratori responsabili in ogni caso di compimento dinuove operazioni, recependo l’interpretazione evolutiva della norma che era stata datadalla giurisprudenza. L’elaborazione giurisprudenziale aveva chiarito, vigente l’art.2449, che per nuove operazioni dovevano intendersi non già qualsiasi nuovo atto, maquelli non finalizzati alla liquidazione della società, non necessari quindi per portare acompimento un’attività intrapresa, preordinati al conseguimento di nuovi utili3. In

sostanza dovevano devono considerarsi "nuove" tutte le operazioni comportanti l'avviodi azioni speculative, l'assunzione di rischi nuovi ed il conseguimento di utili; alcontrario, non rientravano in tale categoria le attività economiche connesse a precedentioperazioni in corso e che ne costituivano il necessario sviluppo; le attività economiche

2 Va avvertito che il Governo, con il decreto legge sulle semplificazioni ha nuovamente innovatola disciplina. Rinunciamo, in attesa della pubblicazione del provvedimento, a dare conto dellenovità.3 Cfr. Cass. 19 settembre 1995, n. 9887 in Foro it . 1996, I, 2873 con nota di VIDIRI, in Giur. it .,1996, I,1, 296 e in Società, 1996, 282 con nota di ZAGRA; Cass. 27 novembre 1982, n. 6431 inGiust. civ. Mass., 1982, fasc. 10-11 e in Società, 1983, 751; Cass. 22 novembre 1971, n. 3371.

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destinate ad assicurare la conservazione del patrimonio sociale; le operazioni dirette a preparare, attuare o rendere più proficua la liquidazione4. La nuova disciplina, comerisulta anche dalla Relazione governativa, non fa più riferimento alle nuove operazioni,ma prevede una responsabilità degli amministratori “per atti od omissioni compiuti inviolazione” del mutato regime di gestione sociale conseguente al verificarsi di una causadi scioglimento della società e ciò tanto nell’ipotesi in cui gli amministratori pongano inessere atti non finalizzati alla “conservazione dell’impresa e del valore del patrimoniosociale” quanto nel caso che si astengano da un’attività di gestione che tali finalitàrenderebbero necessaria.

Rispetto alle conclusioni cui era pervenuta la giurisprudenza, la nuova formulautilizzata dal legislatore ha portata sostanzialmente identica. Gli amministratori possonocompiere nuove operazioni purché dirette a conservare l’integrità ed il valore del

 patrimonio sociale e dunque possono completare il ciclo produtt ivo, t rasformando in prodotto finito i semilavorati od anche possono stipulare nuovi contratti di vendita ecompiere atti diretti a mantenere in efficienza gli impianti, per garantire la cessionedell’azienda alle migliori condizioni di mercato, ovvero il mantenimentodell’avviamento e del marchio. Entro certi limiti, pertanto, almeno nella fase inizialedelle trattative con i creditori, la conservazione del valore dell’azienda può esserecompatibile sia con la conservazione in vista della ristrutturazione che con laliquidazione. Non è dubbio, peraltro, che il piano di ristrutturazione deve esserecompatibile anche con l’obbligo di conservazione del capitale sociale stabilito dalladisciplina societaria.

Della questione si sono date carico le Linee Guida al finanziamento dell’impresain crisi elaborate dall’Università di Firenze ed approvate da Assonime e dal Consiglio

 Nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili5. La Raccomandazione n. 6osserva in proposito che Qualora sussista una perdita di capitale rilevante, tale da

generare lo scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484 n. 4) c.c., il piano puòessere messo in esecuzione solo se il capitale sociale è stato riportato al minimo

richiesto dalla legge. Nel commento si sottolinea che occorre procedere allaconvocazione dell’assemblea e che il piano di risanamento può essere messo in

esecuzione solo se il capitale sociale viene riportato ad una cifra non inferiore al minimolegale, mediante aumenti di capitale anche a versamento dilazionato ( nei limiti del 75%della quota capitale), rinunce a crediti, conferimenti, ecc. Si aggiunge che in taluni casi icriteri civilistici stabiliti dal legislatore per la redazione del bilancio possono essere più

4 Per un’ampia rassegna di dottrina e giurisprudenza sull’argomento cfr. B. IANNELLO,  Nota aCass. civ. 20 giugno 2000, n. 8368 , in Società, 2001, 1, 58.5 Cfr.  Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi¸ progetto congiunto di Universitàdi Firenze, Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ed Assonime,edizione 2010,21 e ss., in www.unifi.it/nuovodirittofallimentare, www.cndec.it, www.assonime.it  .

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larghi di quelli adottati in sede di redazione del piano, pur risp ettando l’esigenza di dareuna rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e f inanziaria dellasocietà. Ciò sarebbe indice di serietà del piano. Tale affermazione, ci pare discutibilealla luce del principio sancito dall’art. 2423, comma IV, c.c. che impone in casieccezionali la deroga ai criteri legali di valutazione quando gli stessi non sianosuscettibili di consentire una rappresentazione veritiera e corretta. Se il piano svalutadeterminati cespiti ( ad esempio crediti non esigibili o difficilmente esigibili ocorrispondenti ad attività che non s’intende proseguire), sarà difficile non tener conto ditale situazione in sede di redazione del bilancio.

Sono dunque evidenti le difficoltà che sussistono nell’individuare i limiti dellacondotta doverosa. Mentre una volta avviata una procedura conservativa dell’impresa,sia essa il piano attestato, l’accordo di ristrutturazione ovvero il concordato preventivo,si potrà affermare che la finalizzazione della condotta gestionale alla conservazionedell’impresa e del valore del patrimonio sociale potrà essere verificata alla luce del

 piano proposto ed approvato dai creditori6, prima di tale momento è indubbio che ledifficoltà che s’incontrano per stabilire se un determinato investimento sia attodoveroso, conservativo del valore dell’azienda, ovvero un atto illegittimo, perché esuladalle dette finalità conservative, sono certamente maggiori.

A questo proposito si possono fare due rilievi. Il primo riguarda la tendenza,emersa a livello internazionale, nelle discussioni dirette ad introdurre nella disciplinadell’insolvenza transfrontaliera una normativa relativa al gruppo insolvente, a recepirela tesi, di derivazione americana, secondo la quale in caso di crisi o di insolvenza gliamministratori hanno il dovere di massimizzare il valore dell’impresa nell’interesse deicreditori. In questo senso è andato il dibattito in seno al Working Group 5 dell’Uncitralnella recente sessione che si è tenuta a Vienna nel novembre 2011, nel corso della qualesi è dibattuta l’opportunità di prevedere delle regole di comportamento degliamministratori disgiunte dalla disciplina di diritto societario, che rimane affare deisingoli Stati sovrani, per distaccarne regole di comportamento da applicarsi nell’ipotesid’insolvenza e da inserire nella legislazione armonizzata che l’Uncitral si p ropone di far adottare da tutti gli Stati7. La giurisprudenza americana e comunque di formazione

6 Va peraltro segnalato che de iure condendo sarebbe opportuna una norma che, almeno nel casodel concordato preventivo in cui l’imprenditore è soggetto alla vigilanza e controllo deltribunale, prevedesse che gli artt. 2485 e 2486 c.c. non si applicano nel caso di ammissione dellasocietà alla procedura, salvo l’obbligo di rientrare nei parametri di legge all’esito della

 procedura stessa o quantomeno al momento della pronuncia dell’omologazione, momento in cuiviene meno il controllo del tribunale sulla società, protraendosi soltanto la vigilanza delcommissario giudiziale in ordine all’adempimento (art. 185 l.fall.).7 Cfr. A/CN.9/738 - Report of Working Group V (Insolvency Law) on the work of its fortiethsession (Vienna, 31 October-4 November 2011), inhttp://www.uncitral.org/uncitral/en /commission/working_groups/5Insolvency.html.

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anglosassone ha affermato in taluni casi che quando una società entra nell’areadell’insolvenza, i doveri degli amministratori si estendono e comprendono anche icreditori, oltre ai soci e la società stessa. In altri casi la giurisprudenza ha considerato gliamministratori come fiduciari che amministrano la società nell’interesse dei creditori.Da entrambi i punti di vista gli amministratori debbono massimizzare il valore delleattività per il pagamento dei creditori. Per quanto la nozione dettata dall’art. 2486 c.c.sia diversa dal concetto di massimizzazione del valore dell’azienda nell’interesse deicreditori, le due nozioni non sono poi troppo distanti, perché la conservazionedell’integrità e del valore del patrimonio sociale implica una gestione prudenziale e

conservativa che tuttavia non impedisce ed anzi obbliga in taluni casi al compimento dinuove operazioni, mentre il principio della massimizzazione del valore dell’azienda, seapplicato secondo buona fede, altro pilastro dei doveri degli amministratori secondo ildiritto americano, comporta che andranno in ogni caso evitate operazioni di pura sorte ocomunque avventurose.

Ancora va ricordata la vicenda Alitalia. Mentre si aspettava che maturassero lecondizioni per l’intervento di nuovi soci8 che, come poi è avvenuto, rilevassero lasocietà e la ricapitalizzassero, e mentre si riteneva non opportuno far luogoall’immediata apertura di una procedura, gli amministratori hanno continuato a gestirein una situazione in cui verosimilmente si erano verificate le condizioni previste dall’art.2486 c.c. E’ così che con disposizione retroattiva l’art. 3 del d.l. 28 agosto 2008, n. 134,convertito in legge 27 ottobre 2008, n. 166, per garantire la continuità aziendale diAlitalia, sono state introdotte limitazioni alla responsabilità degli amministratori, deicomponenti del collegio sindacale, del dirigente preposto alla redazione dei documenticontabili societari. Tale disciplina, sicuramente extra ordinem ha indotto il ProcuratoreGenerale della Corte dei Conti a rilievi critici9.

Sia l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale dei paesi anglosassoni a favoredi un obbligo degli amministratori di massimizzazione degli assets in favore deicreditori in caso d’insolvenza sia la necessità di porre gli ex amministratori di Alitalia alriparo da responsabilità per i fatti gestionali posti in essere in sostanziale rispetto delleindicazioni del Governo, nell’attesa che maturassero le condizioni per l’intervento nella

società di nuovi soci, sono indicativi, pur nella siderale differenza tra le due situazioni,dell’ampiezza e difficoltà dei compiti che possono gravare sugli amministratori nelmomento in cui si pone in essere un piano di risanamento e della necessità di poter contare su regole chiare, che al momento ancora, almeno nel nostro ordinamento,mancano.

8 La vicenda Alitalia è stata ricostruita da F. BONELLI,  Le insolvenze dei grandi gruppi: i casi

 Alitalia, Chrysler, Socotherm, Viaggi del Ventaglio, Gabetti, Risanamento e Tassara, in Crisi diimprese: casi e materiali, Milano, 2011, 1 e ss.9 Cfr. RaiNews24, 10 settembre 2008.

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La questione più interessante, ai fini dell’indagine che stiamo conducendo,riguarda la legittimità delle operazioni di concessione di finanza nuova nell’ambito diun piano attestato, di un accordo di ristrutturazione o anche di un concordato

 preventivo, sia sotto il profilo della responsabilità degli organi della società che predispone il piano o stipula l’accordo sia per quanto concerne i soggetti terzi cheintervengono nel finanziamento dell’impresa in crisi, in particolare per quanto concernela responsabilità della banca per la c.d. concessione abusiva di credito. Ovviamente taleresponsabilità riguarda sia i creditori rimasti estranei alle intese sottostanti il piano

attestato o all’accordo nel caso in cui essi vadano a buon fine, sia l’intero ceto creditorionel caso in cui in ragione dell’esito negativo della procedura si faccia luogo alladichiarazione di fallimento.

Si parla a questo proposito di responsabilità della banca che fa credito ad unimprenditore già insolvente o irreversibilmente avviato a diventarlo, e che in questomodo lo tiene "artificialmente" in vita creando l'illusoria apparenza di una sua solidità oalmeno normalità aziendale. La banca sarebbe responsabile verso chi - fidando su taleapparenza - abbia fatto a sua volta credito a quell'imprenditore, credito che poi vienetravolto dall'insolvenza del medesimo, successivamente manifestatasi in modoirreparabile. Gli amministratori della società concorrerebbero nell’illecito posto inessere dalla banca per aver r ichiesto i finanziamenti che hanno determinato la situazionedi danno.

Il tema è stato ampiamente trattato in dottrina e giurisprudenza, anche se conriferimento a finanziamenti concessi al di fuori di una procedura. Vanno ricordate in

 proposito le sentenze pronunciate nelle cause promosse dal Fallimento Casillo, e lesentenze, pronunciate nel 200610, con cui le Sezioni Unite della Cassazione hannoaffrontato il tema della legittimazione attiva del curatore del fallimento della societàsovvenuta all’esperimento dell’azione di responsabilità, escludendola. Non è questa lasede per affrontare il problema se sussista effettivamente la responsabilità della banca, econ essa degli amministratori della società finanziata, per concessione abusiva dicredito. Basti dire che a mio giudizio è valido il rilievo della dottrina che la concessione

di credito può essere definita "abusiva" solo se caratterizzata dall'irregolaritàdell'affidamento, sia sotto il profilo delle condizioni patrimoniali del sovvenuto, cheavrebbero dovuto indurre la banca a non accogliere la richiesta di fido, sia sotto il

 profilo delle stesse modalità di concessione dell'affidamento, anomale ed in quanto talisintomatiche della consapevolezza della situazione di difficoltà dell'impresa. Per le lorocaratteristiche, siffatte concessioni di credito espongono la banca a rischi ingiustificati

10 Cass. S.U. 28 marzo 2006, n. 7029, 7030, 7031, in  Dir. banca, 2007, I, 149, con nota di A. NIGRO; in Fallimento, 2006, 1125; in Dir. fall., 2006, II, 615 con nota di L. A. R USSO.

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sotto il profilo di un corretto esercizio dell'attività imprenditoriale11. Nel contempo vaaggiunto che, secondo nozioni di comune esperienza, quando il dissesto assumedimensioni rilevanti e vi è stato un importante intervento delle banche a sostegnodell’imprenditore al di fuori di una procedura conservativa o liquidatoria, per lo piùl’erogazione di credito è avvenuta in contrasto con i parametri dettati dalle regole della

 buona tecnica e dalle stesse Istruzioni di vigilanza, come insegnano i casi Parmalat eCirio.

Quel che interessa sottolineare in questa sede è che mentre in Italia le azioni diresponsabilità nei confronti delle banche per concessione abusiva di credito non sono

state numerose, probabilmente anche per l’orientamento assunto dalla Suprema Corteche ha escluso la legittimazione del curatore del fallimento della società finanziata, inFrancia tali azioni sono state esperite con grande frequenza. In quell’ordinamento laresponsabilità della banca veniva affermata come responsabilità extracontrattuale, aisensi degli artt. 1382 e 1383 del code civil. Va sottolineato, a tale proposito, che taledisciplina, analogamente a quanto previsto dall’art.1151 del codice civile italiano del1865, non richiede il requisito del danno ingiusto e non è pertanto limitata né dallanatura del fatto dannoso, né dal tipo di danno, differendo profondamente dal sistemaitaliano12. Essa si configura come responsabilità di tipo oggettivo per rischio d’impresa,nel caso in cui il fido concesso ad un imprenditore in difficoltà si sia successivamenterivelato operazione dannosa per gli altri creditori. Ciò quando dal credito concessoall’imprenditore insolvente o in situazione già gravemente compromessa siano derivatidanni per tutti coloro che, tratti in inganno dal comportamento della banca, abbianoiniziato o proseguito ad operare con l’imprenditore insolvente. Così, fino al 2005,

 poteva essere invocata la responsabilità del debitore, in particolare della banca, per soutien abusif du credit per aver concesso credito dando agli altri creditori l’immaginedi una solvibilità apparente. Tale azione veniva esperita nell’interesse collettivo deicreditori ed era quindi ritenuta azione a carattere concorsuale 13. Nel 2005 il legislatorefrancese ha ritenuto di limitare, con una norma espressa contenuta nel codice dicommercio – l’art. L650-1, la responsabilità delle banche per metterle in condizioni diconcedere più credito. La norma, che non si riferisce specificamente alla banca, ma in

11 O. CAPOLINO,  Rapporti tra banca e impresa: revoca degli affidamenti e ricorso abusivo al

credito, in Fallimento, 1997, 875.12 Cass. Com., 27 marzo 1973, in  Recueil Dalloz-Sirey, 1973; Cass. Com., 7 gennaio 1976, in

 Rev. soc., 1976, 126 e Cass. Com., 5 dicembre 1978, in  JPC , 1979, II, 19132. In dottrina per iriferimenti, cfr. A. NIGRO, op. cit ., 302; A. FRANCHI,  La responsabilità della banca per concessione abusiva del credito, in  Dir. Comm. Internazionale, 2003, 590 e ss.; G. PELLIZZONI, 

 Responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, inhttp://www.unijuris.it/node/61. 13 Cass. Com., 11 maggio 1999, n. 96-16088, Bull. civ., IV, 95; F. D. POITRINAL, Responsabilité 

de banques pour soutien abusif , in Dr.&Patr., 1994, n. 15, 38.

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termini generali al creditore, ha stabilito il principio della non responsabilità di chieroga il credito, salvo il caso di frode, d’immistione nella gestione dell’attività deldebitore o se le garanzie concesse sono sproporzionate. L’art. L650-1 è stato modificatodall’Ordonnance del 18 dicembre 2008 in senso ancor più favorevole al creditore. Iltesto oggi vigente afferma che ove sussista la responsabilità di quest’ultimo, le garanzieconcesse non sono nulle di pieno diritto così come era precedentemente stabilito, ma

 possono essere annullate o ridotte da p arte del giudice. Si è tuttavia precisato che lalimitazione di responsabilità vale soltanto nei casi in cui è aperta una proceduraconcorsuale14. Di conseguenza in diritto francese, nei soli tre casi di frode, d’immistione

nella gestione del debitore e di sproporzione delle garanzie, la banca è chiamata arispondere sul piano della responsabilità civile; essa inoltre può vedere annullate oridotte le garanzie concesse a fronte del credito erogato.

Va sottolineato che la limitazione di responsabilità delle banche in Francia per l’azione di danni per concessione abusiva di credito ha corrisposto quasi negli stessianni alla limitazione della responsabilità delle banche italiane per le azioni revocatorie.In entrambi i casi il legislatore nel recepire le richieste del mondo bancario ha dato lamedesima spiegazione. Il numero eccessivo di domande proposte nei confronti delle

 banche rischiava di determinare un costo eccessivo del credito per le imprese. Non è peraltro emerso, a consuntivo, forse anche per la successiva crisi economica che hacolpito le economie dei Paesi occidentali ed in primo luogo le banche, che da questi

 provvedimenti legislativi sia derivato il risultato sperato in termini di un più facileaccesso al credito da parte delle imprese.

Si può osservare che se in Francia l’azione di danni da concessione abusiva dicredito ha conosciuto tanto favore da giustificare un intervento restritt ivo del legislatorea favore delle banche, non vi sono particolari motivi per escludere che tale azione possaavere anche da noi miglior fortuna che in passato, specie dopo che le possibilità per ilcuratore di ricorrere all’azione revocatoria sono state seriamente limitate. E’ vero, comesi è detto, che la Cassazione ha escluso la legittimazione del curatore e che taleindicazione giurisprudenziale ha sicuramente un effetto deterrente, perché è meno

 probabile che un singolo creditore agisca da solo nei confronti della banca finanziatrice,

ma certamente è possibile che ciò avvenga. Va inoltre aggiunto che più recentemente laCassazione15 è ancora intervenuta sul tema, affermando la legittimazione del curatore

14 La norma fa riferimento alle sole procedure di sauvegarde, di redressement judiciaire, diliquidation e non alle procedure di mediation. Il testo precedente non conteneva questa

 precisazione, sì che si affermava che l’esenzione da responsabilità sussisteva indipendentementedal momento in cui era stato concesso credito.15 Cass. 1 giugno 2010, n. 13413, in CED Cassazione e in www.ilcaso.it . La massima ufficiale ènei seguenti termini: “ Il curatore fallimentare è legittimato ad agire, ai sensi dell'art. 146 dellalegge fall. in correlazione con l'art. 2393 cod. civ., nei confronti della banca, quale terzo

responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita per effetto dell'abusivo ricorso al

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nel caso di concorso della banca nel fatto illecito penalmente rilevantedell’amministratore della società fallita, come tale responsabile verso quest’ultima, sìche l’azione era sorta in capo alla società e per tale motivo il curatore era legittimato adesperirla in quanto azione già facente parte del patrimonio del fallito. Nel caso di specie

 peraltro la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso perché tale prospettataazione non era stata chiaramente indicata come esperita nel ricorso stesso, che nonsoddisfaceva i requisiti di autosufficienza 16.

Sotto questo profilo, dunque, pare possibile configurare una responsabilitàdell’amministratore della società in caso di esito negativo del tentativo di risanamento

in concorso con la banca finanziatrice. Riteniamo peraltro di dover osservare che, conriguardo ai nuovi istituti introdotti dalla riforma della legge fallimentare, sia l’accordodi ristrutturazione dei debiti sia il piano di risanamento dell’esposizione debitoria e diriequilibrio della situazione finanziaria che deve essere presentato in sede di concordatostragiudiziale per beneficiare dell’esonero da revocatoria ai sensi dell’art. 67, comma 3,lett. d) l.fall., possono prevedere l’intervento della banca come soggetto erogatore difinanza nuova. Altrettanto può avvenire in caso di concordato preventivo. Il legislatoresi è preoccupato di esonerare da revocatoria i pagamenti ricevuti e gli atti compiuti in

credito da parte dell'amministratore della predetta società, senza che possa assumere rilievo il

mancato esercizio dell'azione contro l'amministratore infedele, in quanto, ai sensi dell'art. 2055cod. civ., se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, sotto il profilo dell'efficienzacausale delle singole condotte, sorge a carico delle stesse un'obbligazione solidale, il cui

adempimento può essere richiesto, per l'intero, anche ad un solo responsabile”.16 L’opinione della giurisprudenza prevalente (Trib. Milano, 21 maggio 2001, in  Dir. Banc.,2002, p. 290; Cass., 9 ottobre 2001, n. 12368 – ord. – in Fallimento , 2002, p. 1157; Cass. 19settembre 2003, n. 13934, relative quest’ultime peraltro all’individuazione del giudicecompetente a conoscere dell’azione di danni per abusiva concessione di credito), nonché didiversi autorevoli interpreti (per tutti cfr. A. NIGRO, Note m inime in tema di responsabilità per 

concessione “abusiva” di credito e di legittimazione del curatore fallimentare in  Dir. Banc.,2002, p. 294; LO CASCIO,  Iniziative giudiziarie del curatore fallimentare nei confronti delle

banche, in Fallimento, 2002, p. 1181), è nel senso di confermare l’esclusività della

legittimazione attiva dei singoli creditori danneggiati, anche nel caso di fallimentodell’imprenditore indebitamente favorito. Negli stessi termini si veda da ultimo S. BONFATTI, La

disciplina dell’azione revocatoria, cit., 206.In senso contrario, affermando la titolarità dell’azione di danni in capo al curatore quale azionedi massa V. PICCININI,  I rapporti tra banca e clientela, Padova, 2008, 148 e ss. Nello stessosenso adde G. R AGUSA MAGGIORE, La concessione d i credito e la dichiarazione di fallimento,in  Dir. Fall., 2002, 510; B. I NZITARI,  La responsabilità della banca nell’esercizio del credito:

abuso nella concessione e rottura del credito , in  Banca, borsa e tit. credito, 2001, I, 265; A.VISCOSI, Profili di responsabilità della banca nella concessione abusiva di credito , Milano,2004, 170 e ss.

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esecuzione dell’accordo o del piano. A tale esonero si accompagna nel caso dell’accordodi ristrutturazione e nel caso del concordato, la possibilità del riconoscimento della

 prededuzione, anche per i finanziamenti ponte previsti dall’art. 182 quater , comma 2,l.fall. Ci pare evidente che dalla riconosciuta liceità di tali finanziamenti, attestata nelcaso del concordato dal provvedimento che può essere adottato dal tribunale in sede diammissione del debitore alla procedura ai fini del riconoscimento della prededuzione,nel caso dell’accordo dall’omologazione pronunciata dal tribunale e nel caso del pianodall’attestazione di ragionevolezza rilasciata dall’esperto come richiede l’art. 67 l.fall.,debba escludersi, salvo l’ipotesi di dolo, la responsabilità della banca per abuso

nell’erogazione del credito17.Certamente non si potrà parlare di responsabilità penale dell’imprenditore e con

lui del banchiere perché si tratta di attività lecite, oggi espressamente escluse dall’areadella punibilità dal nuovo art. 217 bis l.fall.18, purché l’erogazione di finanza nuova sia

 prevista dall’accordo o dal piano ed ad essi sia rigorosamente collegata19. Ma è da

17 S. BONFATTI, La disciplina dell’azione revocatoria, cit., afferma, invece, che la responsabilitàdella banca per concessione abusiva del credito rimane impregiudicata dai nuovi istituti. Dellostesso A. si veda anche  Le procedure di composizione negoziale della crisi di impresa, inBONFATTI ,(a cura di) , La disciplina dell’azione revocatoria, Milano, 2005, 206. Con diverso

approccio G. AVENATI BASSI,  Le responsabilità penali degli imprenditori e delle banchenell’ambito della crisi d’impresa, Relazione tenuta al Convegno Ristrutturazione del debito erisanamento delle imprese in crisi, organizzato da Paradigma a Milano il 20-21 ottobre 2009, p.17 del dattiloscritto, osservava, prima dell’introduzione nel nostro ordinamento dell’esimente dicui all’art. 217 bis l.fall., che anche nei casi di esenzione da revocatoria potrebbe configurarsi laresponsabilità per bancarotta preferenziale, sul presupposto che in tali ipotesi la condotta non

 possa definirsi tout court  lecita, ma difetti invece l’elemento psicologico del reato, sì chequando vi sia prova di una strumentalizzazione maliziosa delle richieste di concordato e diristrutturazioni di debiti, il reato potrebbe ancora essere ipotizzato.18 Sui limiti che già prima dell’introduzione della nuova disciplina dettata dall’art. 217 bis l.fall.incontrava l’applicazione delle norme in tema di bancarotta si vedano i rilievi di F.MUCCIARELLI, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo

e fattispecie penali  , in Riv. trim. dir. pen. economia , 2009, 4, 838 e ss.; ID,  L’art. 217  bis l.fall. ela disciplina penale delle procedure di soluzione della crisi d’impresa, in Crisi di imprese: casi

e materiali a cura di F. BONELLI , cit., 275 e ss.19 G. AVENATI BASSI,  Le responsabilità penali degli imprenditori, cit ., p. 6, osserva chel’estensione della punibilità alla banca, quale extraneus, soprattutto con riferimento alle ipotesidi bancarotta per concorso nelle operazioni dolose o nella dissipazione, non può essere esclusaquando la banca sia a conoscenza delle condizioni di dissesto ed il suo intervento non siinserisca in un piano seriamente diretto al risanamento dell’impresa in crisi. Così, ha osservatoTrib. Milano, 18 dicembre 2008, Tanzi, cit . dall’A. prima menzionato, sussiste il concorsoquando la banca abbia offerto la propria prestazione professionale non “ per strutturare

operazioni lecite, ma attentamente pensate per non alterare il difficile rapporto finanziario su

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ritenere che nepp ure possa parlarsi di responsabilità civile della banca, salvo i casi in cuivi sia stata una consapevole deviazione dell’imprenditore e della banca dal modello

 procedimentale previsto dal legislatore.Resta ancora a dire della responsabilità dell’esperto attestatore. Nelle tre diverse

 procedure previste dal legislatore (piano attestato, accordo di ristrutturazione,concordato preventivo) l’esperto è un professionista nominato dall’imprenditore, in

 possesso dei requisiti previsti dall’art. 28 lett. a) e b) l.fall.. Il legislatore indicadiversamente in ciascuna delle situazioni prese in considerazione il contenutodell’attestazione. Nel concordato preventivo deve essere certificata “la veridicità dei

dati aziendali e la fattibilità del piano”. Il piano a sua volta, com’è noto, può avere uncontenuto assai ampio, posto che ai sensi dell’art. 160 lett. a) l.fall. esso può prevedere“la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma”.

 Negli accordi di ristrutturazione invece l’art. 182 bis, primo comma, parlagenericamente di attuabilità dell’accordo, che deve riferirsi alla ristrutturazione deidebiti, da intendersi peraltro comprensiva di qualunque forma di accordo dilatorio oremissorio, precisando soltanto il legislatore che la certificazione dell’accordo deveriguardare in modo particolare “l’idoneità ad assicurare il regolare pagamento deicreditori estranei”. Infine nei piani attestati l’esperto certifica la ragionevolezza del

 piano che deve essere idoneo “a consentire il risanamento della esposizione debitoriadell'impresa e ad assicurare il r iequilibrio della sua situazione finanziaria”.

Volendo trovare un dato comune, al di là delle diverse formule usate dallegislatore ( fattibilità, attuabilità, ragionevolezza), che paiono più il frutto di mancatocoordinamento della nuova disciplina che di volontà di attribuire all’esperto compitidiversi20, si può dire che l’esperto deve sempre attestare, per usare una formula propriadella disciplina americana che è stata il modello di riferimento del nostro legislatore, la

 feasibility o fattibilità del piano, la sua idoneità a consentire il raggiungimento degliobiettivi che il debitore si prop one, nel rispetto ovviamente delle condizioni di legge. Sitratta quindi della ristrutturazione e del soddisfacimento dei creditori nei termini della

 proposta nel caso d el concordato preventivo, di nuovo dell’adempimento dell’accordonel suo ampio contenuto e del soddisfacimento dei creditori estranei negli accordi di

ristrutturazione, del risanamento della situazione debitoria e del riequilibrio dellasituazione finanziaria nel p iano attestato. Nel caso del solo concordato p reventivo il legislatore precisa anche che l’esperto

deve certificare “la veridicità dei dati aziendali”. Pare indubbio, pur dovendosi dar attodell’esistenza di alcune voci contrarie, che tale requisito debba sussistere anche per 

cui si reggeva il gruppo, si vuole dire che la banca era a conoscenza del lato oscuro, del fatto

che gran parte delle voci attive nei vari bilanci sparsi per il mondo erano false, che i rapportiesistevano solo sulla carta”.20 Va sottolineato che ciò che è ragionevole, è anche fattibile e viceversa.

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quanto concerne gli accordi di ristrutturazione ed i piani attestati. Va infatti tenuto contodel fatto che le valutazioni dell’esperto di fattibilità e ragionevolezza poggianosull’analisi delle condizioni in cui versa l’impresa e che il legislatore ha rinunciato a

 prevedere qualunque requisito di ammissibilità alla procedura in ordine alla regolaretenuta della contabilità. L’accertamento delle condizioni effettive dell’impresacostituisce pertanto una premessa indispensabile di un giudizio di attendibilità del

 piano, che non può che poggiare su un’analisi veridica di tali condizioni. Va poiaggiunto che per quanto concerne i piani attestati la certificazione dell’espertocostituisce la premessa per l’esenzione da revocatoria prevista dall’art. 67, co. 3, lett. d)

l.fall. Com’è stato autorevolmente osservato, sarebbe irragionevole che la leggeaccordasse l’esenzione da revocatoria per atti compiuti in esecuzione di un piano inteoria perfett amente ragionevole, ma del quale nessuno ha verificato i dati di partenza. Enel caso degli accordi di ristrutturazione l’omologazione da parte del tribunale si fonda,almeno in parte, sull’attestazione dell’esperto, sì che anche in questo caso non si può

 prescindere dalla veridicità dei dati di partenza21. Ne si dica che la verifica della veridicità della situazione contabile posta a

fondamento del piano proposto dall’imprenditore esula dalle capacità dell’esperto, sìche questi non potrebbe che esprimere un giudizio astratto fondato sulla premessa che lasituazione rimessagli dall’imprenditore sia veridica. Da tempo infatti la scienzacontabile ha elaborato dei metodi di controllo a campione che consentono di verificarein tempi ragionevoli e con sufficiente approssimazione l’attendibilità della contabilità edelle scritture22. D’altra parte il legislatore nel pretendere un giudizio positivo sullafattibilità o ragionevolezza del piano mostra di richiedere una valutazione in concreto,che possa essere posta a fondamento delle decisioni cui sono chiamati i creditori ed ilgiudice.

E’ pertanto da ritenere che il primo gradino dell’attestazione cui è chiamato

21 Cfr. Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi  ̧cit .. La dottrina sembra unanimesul punto: ex multis S. AMBROSINI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Il nuovo diritto

 fallimentare diretto da A. Jorio e M. Fabiani, cit., 1147; G. PRESTI,  Gli accordi di

ristrutturazione dei debiti, in  Le nuove procedure concorsuali, cit., 17. In giurisprudenza exmultis Trib. Milano, decr., 10 novembre 2009, cit .; Trib. Roma, decr., 5 novembre 2009, cit .22 Sotto questo profilo si può ricordare che le già ricordate  Linee guida per il finanziamentodelle imprese in crisi, cit., p. 18, prevedono in particolare che “ Data l’impossibilità,

specialmente nelle imprese di dimensioni medio-grandi, di eseguire una completa verifica di

tutti i dati aziendali in tempi ragionevoli e con costi non esorbitanti, il professionista dovrà porre particolare attenzione: (a) agli elementi di maggiore importanza in termini quantitativi,

con particolare riferimento, in considerazione dell’importanza dei flussi di cassa attesi, alle

componenti del capitale circolante; (b) agli elementi che presentino profili di possibile rischioai fini dell’attestazione; (c) all’insussistenza d i elementi che destino sospetti circa la correttezza

e l’affidabilità delle rappresentazioni contabili dei fatti di gestione”.

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l’esperto debba essere costituito in tutte e tre le procedure dall’attestazione dellaveridicità dei dati contabili posti a fondamento del piano. Tale accertamento implicache, secondo tecniche e prassi ben note, l’esperto provveda a verificare i dati contabiliaziendali con controlli incrociati con i creditori più significativi, scelti tra le banche ed ifornitori. Non si tratta di un compito impossibile, come è stato sostenuto da qualcuno,ma al contrario sufficientemente agevole, come sa chiunque abbia adeguata esperienzain questo tipo di attività.

Ciò detto, occorre tener conto del contenuto dell’attestazione, chenecessariamente sarà, almeno in parte differente, a seconda del tipo di procedura. A

questo proposito va sottolineato che il ruolo dell’esperto muta anche in relazione al fattoche si postuli o meno la prosecuzione dell’attività d’impresa. Nel caso di un piano cheabbia ad oggetto la semplice ristrutturazione del debito, attraverso accordi con icreditori di tipo remissorio o dilatorio, il compito dell’esperto si riduce alla verifica chevi siano le risorse finanziarie necessarie per far luogo ai pagamenti alle scadenze. Nelcaso invece in cui si pianifica la prosecuzione dell’attività il piano si traduce in uninsieme di misure finanziarie idonee a ristabilire le condizioni di equilibrio finanziario

 prospettico della gestione23. Per comprendere il ruolo dell’esperto occorre dunquechiarire quali debbano essere le modalità di redazione del piano, perché poi l’espertodovrà ripercorrere le diverse fasi di quest’attività, al fine di esprimere un adeguatogiudizio sul piano stesso. Occorrerà individuare le cause della crisi, quale premessa per 

 poter indicare adeguati rimedi, r icorrendo all’analisi di bi lancio impostata per trend su periodi p luriennali confrontando gli indicatori contabili ut ilizzati con benchmark  medidi mercato o di settore. Il piano di risanamento vero e proprio, redatto su un orizzonte

 pluriennale ( tre – cinque anni), si articolerà poi nel piano industriale, nel contoeconomico previsionale, nello stato patrimoniale previsionale, nel rendicontofinanziario24.

Il ruolo dell’esperto consisterà nella verifica della validità della metodologiaadottata per l’individuazione dei fattori di crisi, della correttezza della diagnosi operata,della sussistenza delle condizioni per far luogo al risanamento. Inoltre l’esperto dovràverificare la congruità delle terapie indicate nel piano, la verosimiglianza delle

conclusioni assunte per la formulazione dei budget . Per far ciò l’esperto dovrà ancheverificare tutta la documentazione utile sottostante, procedendo ad ogni necessarioriscontro25. Nell’esprimere il suo giudizio l’esperto non potrà prescindere anche dalvalutare la legalità delle soluzioni proposte, con particolare riferimento in caso di

23 In questi termini E. STASI,  I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare, in Fallimento, 2006, 861. Sul tema si veda anche F. M ICHELOTTI, La relazione del

 professionista e i limiti del controllo giurisdizionale del tribunale in sede di ammissione al

concordato preventivo, in Fallimento, 2010, 970 e ss.24 Così ampiamente E. STASI, cit., 864.25 Cfr. ancora E. STASI, cit., 866.

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gruppo di società alla sussistenza dell’interesse delle controllate ad intervenire avantaggio di altre società del gruppo, sia pur nell’ottica della c.d. teoria dei vantaggicompensativi26. In buona sostanza l’attestazione di ragionevolezza o di fattibilità del

 piano si traduce nell’illustrazione tecnica documentale d el p iano e dei suoi contenuti enella valutazione nel merito della validità delle scelte gestionali proposte al fine digiungere al soddisfacimento delle obbligazioni d’impresa27.

La relazione dell’esperto non può limitarsi ad un’enunciazione diragionevolezza, ma deve esporre le ragioni che giustificano il giudizio espresso, per consentire sia ai terzi creditori di valutarle sia al Tribunale di effettuare il proprio

sindacato sulle modalità con cui l’esperto è pervenuto alle conclusioni esposte, giudizioche in caso di concordato preventivo potrà essere formulato in sede di ammissione alla

 procedura ed in sede di omologazione, in caso di accordi di ristrutturazione troveràspazio al momento dell’omologazione ed in caso di piani attestati potrà aver luogo nelcaso di esperimento dell’azione revocatoria nel successivo fallimento28. L’attestazionedell’esperto potrà anche assumere carattere articolato, indicando i diversi scenari che si

 possono verificare, anche se dovrà concludersi con un giudizio positivo, senza potersinascondere in una formula possibilista29.

L’esperto è scelto direttamente dall’imprenditore tanto per quanto concernel’attestazione in ordine alla veridicità dei dati aziendali ed alla fattibilità del piano nelconcordato preventivo quanto per gli accordi di ristrutturazione con riferimentoall’attuabilità dell’accordo ed alla sua idoneità ad assicurare il pagamento dei creditoriestranei. Anche nel caso del piano attestato la scelta dell’esperto è rimessa al debitore,rimanendo minoritaria la tesi che afferma che l’esperto debba essere nominato daltribunale nel caso di società per azioni o in accomandita per azioni30. Per quanto possa

26 Il rilievo è di E.  STASI, ibidem. Sul tema si veda più ampiamente l’ultima parte di questaRelazione.27 L. MANDRIOLI,  La relazione del professionista nel piano di risanamento stragiudizialeattestato, in  Le procedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, Torino, 2009, 648. Ilgiudizio, espresso con riferimento ai piani attestati, mi pare calzante in tutti i casi in cui sia

questione di un piano, anche riferito al concordato preventivo o agli accordi di ristrutturazione,in cui si preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa.28 In quest’ultima ipotesi il sindacato del tribunale verterà essenzialmente sulla credibilità del

 piano e dell’attestazione dell’esperto in riferimento al momento in cui i due documenti sonostati portati a conoscenza del creditore revocato ed al momento in cui è stato compiuto l’attooggetto di revoca.29 Cfr. sul punto L. MANDRIOLI, cit., 649. Cfr. anche D. GALLETTI,  I piani di risanamento e di

ristrutturazione, in  Atti del convegno di Bologna del 5.10.2005 “ La riforma del diritto

 fallimentare”, Milano, 2005, 236; M. FERRO, La redazione del piano attestato di risanamento,in N.d.s., 2006, 65.30 Il richiamo dell’art. 67, comma 3, lett. d) all’art. 2501 bis, quarto comma, c.c., che a sua volta

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 poi essere auspicabile che l’esperto sia un soggetto terzo, indipendentedall’imprenditore ed estraneo alla redazione del piano, non vi sono norme checonsentano di affermare che egli debba necessariamente godere di requisiti diindipendenza. Va sottolineato a questo proposito che le Linee Guida al finanziamentodell’impresa in crisi elaborate dall’Università di Firenze ed approvate da Assonime e dalConsiglio Nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, raccomandano che il

 professionista attestatore sia in posizione di effettiva terzietà non potendo essere legatoall’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di salvataggio da rapporti dinatura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio. La

sua funzione di tutela dei terzi sarebbe infatti pregiudicata dall’esistenza di un interesseche vada al di là del semplice interesse a massimizzare le probabilità di successodell’operazione di risanamento, con il connesso beneficio anche per i terzi e per icreditori che non vi siano direttamente coinvolti31.

La responsabilità dell’esperto è certamente relativa ad un’obbligazione di mezzi

stabilisce, con riferimento alla fusione mediante acquisizione con indebitamento ( leverage by

out ), che la relazione degli esperti ai sensi dell’art. 2501 sexies attesta la ragionevolezza delleindicazioni contenute nel progetto di fusione, ha fatto ritenere ad una parte della dottrina che aisensi del terzo comma dell’art. 2501 sexies l’esperto dovesse essere designato dal tribunale della

sede della società se era questione di una società per azioni o in accomandita per azioni e chedovesse essere nominata una società di revisione se si trattava di una società quotata in mercatiregolamentati. In questo senso L. MANDRIOLI,  La relazione del professionista nel piano di

risanamento stragiudiziale attestato, in Le procedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare,Torino, 2009, 645 e ss. Negli stessi termini in giurisprudenza Trib. Bari, 14 agosto 2008, inFallimento, 2009, 467. Contra A. PATTI, Crisi d’impresa e ruolo del giudice, Milano, 2009, 112;G. VERNA,  I nuovi accordi di ristrutturazione (art . 182 bis, legge fallim.), in  Dir. fall., 2007,949; CONSIGLIO NAZIONALE DEI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI, Circolare n. 3/IR

del 23 giugno 2008, pubblicata in Professionisti e fallimento, Inserto a Il Sole 24 Ore del23.6.2008, 5 e 6; G. LO CASCIO, Le nuove procedure di crisi: natura negoziale o pubblicistica,in Fallimento, 2008, 993; Trib. Milano, 16 luglio 2008 e Trib. Como 3 agosto 2007, in Giur.

comm., 2009, II, 171, con nota di A.  JORIO,  I piani di risanamento: chi nomina l’esperto? 

Riteniamo che, dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. 169/2007 l’ultima parte della lettera d)del terzo comma dell’art. 67 debba ormai leggersi come riferita alla ragionevolezza del pianoche deve essere attestata dal professionista. Sul punto rinviamo a L. PANZANI,  L’insuccessodelle operazioni di risanamento delle imprese in crisi e le responsabilità che ne derivano , inCrisi di imprese: casi e materiali, a cura di F. Bonelli, Milano, 2011, 227 e ss. Si veda nellagiurisprudenza di legittimità con riferimento al concordato preventivo, nella vigenza del testodell’art. 161, terzo comma, l.fall. introdotto dal d.l. 35/2005, prima delle modifiche dell’art. 28l.fall. apportate dal d.lgs. 5/2006, Cass. 4 febbraio 2009, n. 2706, in Foro It., 2009, I, 2370. Taleinterpretazione è stata confermata da Cass. 29 ottobre 2009, n. 22927, in Fallimento, 2010, 822con nota di P. CELENTANO, I requisiti del professionista che attesta i piani concordatari. 31 Cfr. Linee Guida, cit., Raccomandazione n. 2, Commento.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201234

e non di risultato32. L’esperto è infatti tenuto ad effettuare la sua indagine con ladiligenza richiesta dalla natura dell’attività esercitata, secondo il requisito della

 professionalità stabilito dall’art. 1176, comma 2, c.c. Ciò implica il r icorso alle r egoledella buona tecnica nell’analisi della situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresaoggetto del piano e nell’individuazione delle cause della crisi, onde valutare se il pianosia fattibile ovvero ragionevole. Prima ancora, come già si è detto, l’esperto deveaccertare la veridicità dei dati contabili sul quale il piano si fonda33.

La responsabilità dell’esperto è contrattuale nei confronti del debitore dal qualeegli riceve l’incarico. E’ stato peraltro opportunamente segnalato34 che la responsabilità

dell’esperto può essere del tutto elisa o può concorrere con quella dello stesso debitorenei casi in cui non sia stata fornita tutta la documentazione contabile necessaria per laformulazione del giudizio demandato all’esperto ovvero essa sia stata dolosamenteoccultata od artefatta. In tali ipotesi la responsabilità dell’esperto potrà venir meno, ovesia ravvisabile la colpa esclusiva dell’imprenditore ovvero il risarcimento potrà esserediminuito in caso di concorso colposo di quest’ultimo e comunque esso non sarà dovuto

 per i danni che il creditore, cioè l’imprenditore, avrebbe potuto evitare con l’ordinariadiligenza ( art. 1227 c.c.). Analoghi rilievi valgono nel caso in cui la condottaconcorrente possa essere riferita agli amministratori o a dipendenti della società in crisi,

 perché quest’ultima non può che rispondere del loro comportamento, salva l’ipotesi del

32 Così ancora S. FORTUNATO,  La responsabilità civile del professionista nei piani disistemazione della crisi d’impresa, in Fallimento , 2009, 892.33 Va peraltro sottolineato che la giurisprudenza, almeno con riferimento alla responsabilitàmedica ed al tema della ripartizione dell’onere della prova, sembra aver superato la distinzionetra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, per pervenire all’affermazione che ilmeccanismo di ripartizione dell’onere della prova in tema di responsabilità contrattuale, ai sensidell’art. 2697 c.c., è identico sia che il creditore agisca per l’adempimento sia che domandi ilrisarcimento per inadempimento ex art. 1218 c.c. L’inadempimento rilevante nell’ambitodell’azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni c.d. dicomportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (oconcausa) efficiente del danno. Ne deriva che il creditore deve dedurre un inadempimento

qualificato, vale a dire astrattamente efficiente alla produzione del danno, con conseguenteonere del debitore di provare che l’inadempimento non vi è stato o che non è stato causaefficiente del danno. Cfr. in proposito da ultimo Cass. S.U., 11 gennaio 2008, n. 577, in Giur. It.,2008, 1653, con nota di A. CIATTI, Crepuscolo della distinzione tra le obbligazioni di mezzi e le

obbligazioni di risultato. Applicando tali principi alla responsabilità dell’esperto sarebbe oneredel creditore danneggiato provare, oltre al danno, l’inadempimento rappresentato dallaviolazione delle regole di buona tecnica nella redazione della relazione attestativa, purché taleinadempimento possa dirsi, in astratto, idoneo a determinare il pregiudizio lamentato dalcreditore, ferma restando la possibilità dell’esperto di dedurre la prova contraria.34 S. FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione della crisi

d’impresa, cit., 893.

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dolo. In caso di fallimento, la legittimazione ad agire in giudizio spetterà al curatoretrattandosi di azione già nella titolarità del fallito prima della dichiarazione difallimento.

Si è affermato che anche riguardo ai creditori ed ai terzi che entrano in rapportocon l’impresa la responsabilità dell’esperto avrebbe carattere contrattuale, perché eglisarebbe titolare di un dovere di protezione nei confronti degli stessi, titolari di un dirittoad un’informazione qualificata che trova la sua fonte direttamente nella legge35. Sottotale profilo va rammentato che la giurisprudenza36 ha, ancora recentemente affermatoche la responsabilità nella quale incorre "il debitore che non esegue esattamente la

 prestazione dovuta" (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cuil'obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell'accezione che ne da ilsuccessivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall'inesattoadempimento di un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte. Si è aggiunto

35 S. FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione della crisid’impresa, cit ., 894; A. PATTI, Crisi d’impresa e ruolo del giudice, Milano, 2009, 112 e 134; ID.,

 I diritti dei creditori nel nuovo concordato preventivo, in M. FABIANI, A. PATTI,  La tutela dei

diritti nella riforma fallimentare. Scritti in onore di Giovanni Lo Cascio, Milano, 2006, 280. Nelsenso della responsabilità aquiliana G. B. NARDECCHIA, Crisi d’impresa, autonomia privata e

controllo giurisdizionale, Milano, 2007, 61; V. D’AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione deidebiti, in Fallimento e altre procedure concorsuali diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, Torino,2009, III, 1813.36 Cfr. Cass. S.U.., 26 giugno 2007, n.14712, in Giur. It., 2008, 1150 con nota di G. COTTINO,

 Dalle Sezioni unite alle Sezioni semplici: precisazioni (e dubbi) in tema di responsabilità per il

 pagamento di assegno bancario (trasferibile e non) a soggetto non legittimato ad esigerlo. Lafattispecie presa in esame dalle Sezioni Unite si riferisce alla responsabilità della bancanegoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall'art. 43 leggeassegni (r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), l'incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare,munito di clausola di non trasferibilità. Di recente la giurisprudenza ha affermato laresponsabilità da contatto sociale, qualificata come responsabilità contrattuale, in tema dimediazione (Cass. 14 luglio 2009, n. 16832, CED Cass. Rv. 609183), di responsabilità del

medico dipendente da struttura sanitaria pubblica o privata (ex multis Cass. sez.un., 11 gennaio2008, n. 577, in Giur. It., 2008, 1653, con nota di A. CIATTI, Crepuscolo della distinzione tra le

obbligazioni di mezzi e le obbligazioni di risultato, e 2008, 2197, con nota di M. G. CURSI, Responsabilità della struttura sanitaria e riparto dell'onere probatorio), e dell’insegnantedipendente da istituto scolastico nei confronti dell’alunno (Cass. 18 novembre 2005, n. 24456,in  Danno e responsabilità, 2006, 1081, con nota di T. PERNA,  Il debole confine tra laresponsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale: il "contatto sociale" in ambito

scolastico. Da ultimo Cass. 21 luglio 2011, n. 15992, ha qualificato come contrattuale, dacontatto sociale, la responsabilità dell’ex datore di lavoro nei confronti del dipendente per avergli fornito. dopo la cessazione del rapporto, dati inesatti con riguardo alla sua posizione

 previdenziale.

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che, in tale contesto, la qualificazione "contrattuale" è stata definita da autorevoledottrina come una sineddoche (quella figura retorica che consiste nell'indicare una parte

 per il tutto), giustificata dal fatto che questo tipo di responsabilità più frequentementericorre in presenza di vincoli contrattuali inadempiuti, ma senza che ciò valga acircoscriverne la portata entro i limiti che il significato letterale di detta espressione

 potrebbe altrimenti suggerire. Pur non senza qualche incertezza, in un quadrosistematico peraltro connotato da un graduale avvicinamento dei due tradizionali tipi diresponsabilità, anche la giurisprudenza ha in più occasioni mostrato di aderire a siffattaconcezione della responsabilità contrattuale, ritenendo che essa possa discendere anche

dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) disemplice contatto sociale, ogni qual volta l'ordinamento imponga ad un soggetto ditenere, in tali situazioni, un determinato comportamento. Al di là dei rilievi dellagiurisprudenza va sottolineato che è innegabile che vi sia una spinta all’allargamentodella responsabilità contrattuale oltre i recinti tradizionali, anche se i profili dellaresponsabilità c.d. da contatto sociale appaiono ancora fluidi e problematici, mentre èincerto il campo di app licazione37.

L’ultima parte del Convegno è dedicata al tema della responsabilità nel caso diinsolvenza di gruppo. Com’è noto, nella realtà economica odierna le imprese cheoperano sul mercato sono prevalentemente organizzate in gruppi di società, anche sesovente il legislatore, almeno il legislatore italiano, mostra apparentemente di nonriconoscere il fenomeno, dettando norme che si riferiscono alle imprese come entiindividuali e dettando poche norme di completamento relative al fenomeno dei gruppi38.E’ osservazione frequente da un lato che il diritto societario italiano si occupa dei gruppisenza fornirne un’unica definizione, ma offrendo invece varie nozioni a secondadell’oggetto specifico della disciplina e dall’altro che la disciplina della crisi d’impresasi riferisce addirittura nella maggior parte delle norme all’impresa individuale, perchésoltanto gli artt. 147 e ss. della legge fallimentare riguardano il fallimento delle società.Questo quadro presenta tuttavia una rilevante eccezione perché l’Italia, pressoché unicatra i paesi industrializzati, ha una disciplina dell’insolvenza dei gruppi, sia pur limitataalla procedura d’amministrazione straordinaria, che si applica soltanto alle grandi

imprese in crisi, individuate per parametri riferiti al numero dei dipendenti ed alledimensioni del passivo.Al di fuori del caso particolare dell’amministrazione straordinaria non esiste una

37 L’osservazione è di G. COTTINO, op. cit. nella nota che precede. Sul tema si vedano F.GALGANO, Le antiche e le nuove frontiere del danno risarcibile, in Contratto e impresa, 2008,92-95; DI FAILLACE, La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004.38 Rinunciamo ad offrire una bibliografia completa sul tema, che sarebbe eccessiva per lefinalità di questa relazione. Per una trattazione aggiornata rinvio a U. TOMBARI,  I gruppi disocietà, in  Le nuove s.p.a., a cura di O. Cagnasso e L. Panzani, Zanichelli, Bologna – Torino,2010, 1741 e ss.

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disciplina del gruppo insolvente e neppure regole di comportamento per gliamministratori delle società facenti parte del gruppo nell’ipotesi che taluna di esse o ilgruppo nel suo insieme si trovino in situazione di crisi o di insolvenza. La Cassazionecon un orientamento assolutamente consolidato ha affermato che al fine delladichiarazione di fallimento di una società, l'accertamento dello stato di insolvenza deveessere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica della societàmedesima, anche quando essa sia inserita in un gruppo, cioè in una pluralità di societàcollegate da un'unica società-madre (holding), atteso che, nonostante tale collegamentoo controllo, ciascuna di dette società conserva propria personalità giuridica ed autonoma

qualità di imprenditore, rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propridebiti39.

Va peraltro sottolineato che la prassi bancaria nella valutazione della sussistenzadei presupposti per la concessione di finanziamenti va in senso opposto. Le regole

 previste per la segnalazione delle posizioni di rischio alla Centrale dei rischi impongonoagli intermediari segnalanti la creazione di “gruppi di rischio”, laddove sussistanocollegamenti fra soggetti affidati tali da far ritenere che le difficoltà di uno di essicomportino anche difficoltà per gli altri. La crisi di uno può dunque riverberarsi anchesui rapport i creditizi dei collegati40.

La propensione a rispettare in ogni caso l’autonomia patrimoniale e la personalità giuridica di ciascuna società del gruppo non è così forte in altri ordinamenti.Il Working Group V ( Insolvency Law) dell’Uncitral ha predisposto una bozza della

 Legislative Guide on Insolvency Law per la trentaseiesima sessione che si è tenuta a New York dal 18 al 22 maggio 2009 41. Si t ratta di un documento di lavoro e quindi nonancora di scelte definitive. Tuttavia è significativo che il documento preveda in alcunilimitati casi la consolidation

42 che si applicherà a due o più imprese facenti parte delmedesimo gruppo. Effetto della consolidation, che può riguardare anche una partesoltanto degli assets, è che si crea un’unica massa attiva ( estate) per le imprese delgruppo che vi sono soggette; che i crediti reciproci tra le imprese soggette allaconsolidation sono estinti; che le domande di insinuazione nei confronti delle imprese

39 Cass. 8 febbraio 1989, n. 795, in Fallimento , 1989, 609; Cass. 27 giugno 1990, n. 6548, in Dir. fall., 1990, 1349; Cass. 2 luglio 1990, n. 6769, in Fallimento, 1991, 47; Cass. 25 settembre1990, n. 9704, in Fallimento, 1991, 265; Cass. 14 aprile 1992, n. 4550, ivi, 1992, 811; Cass. 9maggio 1992, n. 5525, ivi; Cass. 7 luglio 1992, n. 8271, ivi, 1993, 33; Cass. 16 luglio 1992, n.8656, ivi, 1993, 247. Da ultimo Cass. 18 novembre 2010, n. 23344, in Fallimento, 2011, 565con nota di SIGNORELLI, Società di fatto, holding e fallimento.40 In questo senso le Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi, cit .41 Uncitral - Working Group V - Legislative Guide on Insolvency Law – Part three: Treatmentof enterprise groups in insolvency. Doc. A/CN9/WG.V/WP85 sul sito dell’Uncitral. Il tema èstato ripreso nelle successive sessioni di lavoro.42 Cfr. sez. 222 del documento di cui alla nota precedente.

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soggette alla consolidation sono trattate come crediti insinuati nei confronti dell’unicamassa attiva così creata.

Va sottolineato che il Working Group precisa che la disciplina dell’insolvenza,come regola generale, deve rispettare la separata entità legale di ogni impresa facente

 parte del gruppo. La consolidation è limitata a casi tassativamente indicati, e cioè: a)quando il giudice ritiene che i beni e le responsabilità delle imprese del gruppo sonocosì interconnessi che la proprietà dei beni e le singole responsabilità non possonoessere individuate che con spesa o ritardo sproporzionato; b) quando le imprese delgruppo sono impegnate in un progetto o in un’attività fraudolenta senza una legittima

finalità d’impresa ed il giudice ritiene che la consolidation è essenziale per porrerimedio a tale progetto o attività.

In Italia la dottrina e la giurisprudenza hanno aderito alla c.d. teoria dei vantaggicompensativi, che trova ormai sanzione legislativa nell’art. 2497 del codice civile, chein tema di responsabilità della società e degli enti che esercitano attività di direzione ecoordinamento di società, stabilisce che “non vi è responsabilità quando il danno risultamancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento”.La direzione e coordinamento è lecita in quanto chi la esercita agisca secondo i p rincipidi “corretta gestione societaria ed imprenditoriale” delle società soggette a direzione ecoordinamento ( art. 2497, co. 1, c.c.). In virtù della teoria dei vantaggi compensativil’interesse individuale della singola società del gruppo può essere sacrificato in unalogica di gruppo quando la società riceva per altro verso vantaggio dalla sua

 partecipazione al gruppo, purché, come ha specificato la giurisp rudenza,l'amministratore sia in grado di provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi alvantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente glieffetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta43

. Non vi sono quindi, in lineadi principio, difficoltà teoriche a ritenere già oggi lecite per diritto italiano sceltegestionali degli amministratori della capogruppo che, nell’ambito di un piano diretto alrisanamento del gruppo, addossino sacrifici ad una delle società del gruppo a fronte divantaggi che a quest’ultima possano derivare dall’attività di risanamento, vantaggi che

 possono in ipotesi identificarsi anche nella mera sopravvivenza della società stessa,

condannata altrimenti all’insolvenza come effetto del venir meno del gruppo in ragionedella crisi che l’ha colpito. Basta pensare al caso in cui l’erogazione di credito avvengaa favore di una società facente parte di un gruppo, ove il finanziatore trovi adeguatagaranzia da parte di altra società del gruppo ovvero sia esso stesso società del gruppo esi risolva a concedere credito nell’ambito della politica del gruppo.

43 Cass. 11 dicembre 2006, n. 26325, in Fallimento , 2007, 1305 con nota di B. MEOLI,Garanzie infragruppo, vantaggi compensativi e onere della prova ; in Giur. comm., 2008, II,811, con nota di M. DE LUCA DI R OSETO, Operazioni rientranti nell'oggetto sociale, interessi di

gruppo e vantaggi compensativi.

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RELAZIONI A CONVEGNIR ELAZIONE INTRODUTTIVA 

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Va sottolineato che, anche se, come si è detto, il nostro ordinamento non conosceal di fuori dell’amministrazione straordinaria, una disciplina dell’insolvenza o della crisidi gruppo, la prassi conosce casi in cui più società sono state ammesse a distinte

 procedure di concordato preventivo, formalmente autonome ma in realtà coordinate, oveil piano di risanamento di ogni società faceva parte di un unico piano di gruppo ed ove icommissari giudiziali preposti alle diverse procedure erano le medesime persone, cosìcome unico era il giudice delegato. Si è assistito ad un coordinamento di fatto dellediverse procedure, evidentemente legate anche sul piano dei finanziamenti concessidalle banche ai fini della ristrut turazione sia delle capogruppo sia delle controllate.

Le  Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi44 , rilevano che lastrategia di risanamento deve coinvolgere l’intero gruppo. L’autonomia giuridica diciascuna società, con la conseguente necessità di tenere distinti i relativi patrimoni,comporta peraltro che ciascuna società p redisponga il proprio strumento di risanamento,che deve essere certificato dall’esperto attestatore. Di conseguenza ogni società puòadottare lo strumento che per essa è più adatto, e dunque nulla osta a che società delmedesimo gruppo adottino strumenti diversi, e persino a che un p iano di ristrutturazionecomplessiva a livello di gruppo contempli, per alcune società, strumenti dicomposizione stragiudiziale, e per altre l’accesso a procedure concorsuali di concordato

 preventivo o di fallimento (o amministrazione straordinaria). Va sottolineato a questo proposito che nell’ipotesi di gruppo sopranazionale è p ossibile che per a lcune societàdebba aprirsi una procedura in altro ordinamento, che detta regole diverse da quelloitaliano. Per tali ipotesi attualmente la disciplina internazionale non prevede ancorastrumenti di gestione coordinata della crisi transfrontaliera. Per le società che adottinostrumenti st ragiudiziali, la ragionevolezza del piano di risanamento attestato e l’idoneitàdell’accordo di ristrutturazione al pagamento dei  creditori estranei devono sussistere inrelazione alla specifica situazione di ciascuna, tenendo ovviamente conto dell’influenzadella sorte delle altre società del gruppo. Come già si è detto, non solo non vi sonoragioni ostative alla redazione di un unico documento fisico che comprenda il piano dirisanamento o l’accordo di ristrutturazione di tutte le società che abbiano scelto diricorrere a questi strumenti, ma si può ritenere pressoché indispensabile che i singoli

 piani di risanamento siano coordinati nell’ambito di un unico e generale piano digruppo. Non sembra che vi siano ostacoli a che il professionista formuli un giudizioche, pur dovendo valutare la situazione di ciascuna società, abbia una motivazioneincentrata principalmente sulla ristrutturazione della capogruppo. E’ infatti normale(anche se ciò deve essere oggetto di analisi e conferma nel caso concreto) che, tenutoconto dei rapporti infragruppo, il superamento della crisi della capogruppo generirisorse sufficienti al superamento della crisi delle controllate. L’autonomia dei patrimoni

44 Le Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi, cit ., descrivono questo scenario per la predisposizione di un piano di gruppo.

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RELAZIONI A CONVEGNIR ELAZIONE INTRODUTTIVA 

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impone poi che, nella redazione del piano di risanamento o nella negoziazionedell’accordo di ristrutturazione, vengano tenuti nel debito conto, dagli organi socialidelle singole società del gruppo, i conflitt i d’interesse fra i creditori delle varie società e,nei limiti in cui siano rilevanti, i conflitti fra i soci. Di tali conflitti il professionistadovrà tenere conto, nella misura in cui il sacrificio indebito di una componente possaminare il successo del piano o dell’accordo.

Ci pare che in queste condizioni, quando non vi sia una condotta degliamministratori diretta a depauperare il patrimonio di una società in danno dei suoicreditori ed a vantaggio di altri, ma a ripartire equamente il sacrificio necessario per 

assicurare il risanamento del gruppo, non si possa parlare di responsabilità degliamministratori e dell’organo di controllo sotto il profilo della mala gestio. Questemedesime condotte, anche prima dell’ammissione delle società del gruppo ad una

 procedura concorsuale, rimangono lecite se collegate ad una st rategia diretta ad usciredalla crisi nei termini ora visti, e quindi all’esistenza di un progetto generale dirisanamento, che dovrà tradursi nel ricorso ad una o più delle procedure previste dallalegge per ciascuna società che si trovi in stato di crisi o di insolvenza.

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RELAZIONI A CONVEGNI

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012

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LA RESPONSABILITÀ DEGLIAMMINISTRATORI

 L’Autore prende in esame il tema della responsabilità degli amministratori nella crisi di

impresa, soffermandosi in particolare sull’evoluzione giurisprudenziale sulla

quantificazione del danno imputabile agli amministratori, e sulle conseguenze della

concreta scelta, da parte dell’amministratore, dello specifico istituto di gestione della

crisi cui accedere.  

di FRANCESCO GIANNI 

1. Responsabilità degli amministratori nella crisi di impresa1.1 IntroduzioneL’organo amministrativo può incorrere in tre tipologie di responsabilità, a

seconda dei soggetti verso i quali è tenuto a rispondere:a. verso la società, per inadempimento dei doveri ad esso imposti dalla legge o

dall’atto costitutivo (artt. 2392, 2393 e 2393 bis c.c.);b. verso i creditori, per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione

dell’integrità del patrimonio sociale (artt. 2394 e 2394 bis c.c.);c. verso i soci o i terzi, per i danni ad essi direttamente arrecati con atti colposi o

dolosi (art. 2395. c.c.).La dottrina e la giurisprudenza prevalenti1 ritengono che l’azione sociale di

responsabilità nei confronti degli amministratori, di cui all’art. 2392 c.c., abbia naturacontrattuale2: di conseguenza, in quest’ottica, si dovrà accertare se gli amministratoriabbiano adempiuto, con la diligenza “richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro

specifiche competenze”, agli obblighi ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo ese da tale inosservanza sia derivato un danno oggettivo alla società.

In primo luogo, si evidenzia come la Suprema Corte3 abbia più volte affermatoche non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali 4, anchese presentano profili di rischio economico, mentre è pienamente valutabile la diligenza

1 CAGNASSO - IRRERA, Il fallimento delle società, Milano, 2007, 8.2 Ad esempio, si veda la recente Cass., 21 luglio 2010, n. 17121, in ilCaso.it .3 Cass., 12 agosto 2009, n. 18231, in Diritto & Giustizia, 2009.4 SALAFIA, Profili di responsabilità degli amministratori di società di capitali, in Società, 2005,1335; ABETE,  Azione di responsabilità contro amministratori e m embri, in Fallimento ed altre

 procedure concorsuali, diretto da Fauceglia - Panzani, II, Torino, 2009, 147; FABIANI -  NARDECCHIA, Formulario commentato della legge fallimentare, Milano, 2007, 1308.

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RELAZIONI A CONVEGNILA RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI

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dimostrata nell'apprezzare preventivamente, se necessario anche con adeguata istruttoriae comunque, come detto, con una diligenza di tipo ‘professionale’, richiesta dalla naturadell’incarico e dalle specifiche competenze, i margini di rischio connessi all'operazioneda intraprendere, così da non esporre l'impresa a perdite, altrimenti p revenibili.

Sussiste poi, come noto, una responsabilità penale in capo agli amministratori5 (nel caso di successivo fallimento della società), che trova origine negli artt. 2392 e2394 c.c., laddove si esplicita, in capo agli amministratori, un dovere di garanzia ed unobbligo di conservazione del patrimonio della società, sia nell’interesse di quest’ultima,sia nell’interesse dei creditori sociali. Gli amministratori possono quindi vedersi

imputare i reati di bancarotta fraudolenta o semplice (ex artt. 216-217 l. fall.), non solo per atti a loro imputabili, ma anche per una mera omissione nell’adempimento deidoveri imposti dalla legge e dallo statuto.6 

1.2 La quantificazione del danno nell’azione di responsabilità contro gliamministratori

Tanto premesso in linea generale, prima di formulare alcune osservazioni inmerito ai particolari profili della responsabilità degli amministratori in occasione di unasopravvenuta crisi di impresa (o di insolvenza tout court ), pare utile una breve

 premessa, con riferimento all’evoluzione giurisprudenziale ed all’attuale orientamentodella Suprema Corte in punto quantificazione del danno. Ciò risulta particolarmenteinteressante, soprattutto nell’ottica di una valutazione delle scelte gestionali di unamministratore che, preso atto di una crisi di impresa, decida non già di richiedere ilfallimento della società, bensì di dare corso a soluzioni alternative della crisi, con ciò

 potenzialmente cagionando – nelle more della predisposizione della necessariadocumentazione – il c.d. aggravio del dissesto.

In particolare, la questione della quantificazione del risarcimento è stata alcentro di un ampio dibatt ito, che, ad oggi, non pare aver ancora del tutto sopito.7 A ciò si

5 L'amministratore di diritto risponde penalmente anche delle condotte di quello di fatto,occorrendo la generica consapevolezza, da parte del primo, che l'amministratore effettivo

distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa i beni sociali, senza che sia necessario che taleconsapevolezza investa i singoli episodi nei quali l'amministratore di fatto si è estrinsecata: sul

 punto, Cass. pen. 5 maggio 2009, n. 31142, in Redazione Giuffrè, 2009.6 E ciò in quanto tale condotta omissiva comporta una dilatazione del dolo eventuale, nel sensoche il non operare con la dovuta diligenza comporta l'accettazione del rischio che altricommettano il reato: in questo senso, App. Milano, 29 maggio 2008, in Foro ambrosiano, 2008,207; Cass. pen. 14 febbraio 2007, n. 6140, in Società, 2008, 503.7 Una breve rassegna giurisprudenziale: Cass., 22 aprile 2009, n. 9619, in Giust. civ. mass, 2009,4, 666; Cass. 5 agosto 2008, n. 21131, in Giur. it ., 2009, 1188; Cass., 23 giugno 2008, n. 17033,in  Dir. giust ., 2008, con nota di PAPAGNI; Cass., 23 luglio 2007, n. 16211, in Giust. civ. mass.,2007, 12, 2708; Cass., 15 febbraio 2005, n. 3032, ivi, 2006, 4-5, 967; Cass., 8 febbraio 2005, n.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201243

deve aggiungere che l’azione di responsabilità esperita ex art. 146 l. fall. assomma in sésia l’azione sociale di responsabilità sia l’azione dei creditori ex art. 2394 c.c.8. Taleunione provoca una sovrapposizione di prospettive degli interessi tutelati che può far sfumare gli esatti contorni degli istituti e della loro applicazione.

1) In un p rimo momento, la giurisprudenza era orientata nel senso di quantificareil danno in un importo pari al valore dell’intero passivo (vale a dire, in caso difallimento e di azione esperita dalla Curatela, dall’intero stato passivo fallimentare) 9.Tale impostazione è stata fortemente criticata al punto da segnarne l’abbandono, stantela sua eccessiva semplificazione, non tenendo nella benché minima considerazione gli

attivi sociali.2) Con un primo revirement , la giurisprudenza ha poi optato per l’adesione al

criterio del cd. ‘deficit fallimentare’, secondo il quale il danno risarcibile deve essereindividuato nell’eccedenza del passivo fallimentare rispetto all’attivo: tale criterio,tuttavia, se da un lato risultava agevolare l’att ività istruttoria della Curatela att rice ex art.146 l. fall., dall’altro continuava a scontare un’eccessiva semplificazione dei conteggi, atutto detrimento della posizione dell’amministratore, che rischiava di vedersi addebitareuna responsabilità quasi ‘oggettiva’, senza accertamento della sussistenza di un nessocausale tra una specifica condotta ed un conseguente eventuale danno al patrimoniodella società.

L’emersione di questo nuovo metodo di quantificazione ha senz’altro trovatoterreno fertile e argomentazioni propizie sia nel disposto dell’art. 2449 c.c. nel testo

 precedente alla riforma del 2003, relativo al divieto di compiere nuove operazioni dopo

2538, in Giur. it ., 1637, con nota di IOZZO; Cass. 23 febbraio 2005, n. 3774, ivi, 2005, 1637;App. Milano 6 giugno 2007, in Fallimento , 2007, 12, 1486; App. Bologna 12 gennaio 2004, ivi,2004, 453; App. Roma 14 marzo 2000, in Giust. civ. mass., 2000, 1879; App. Bologna 5febbraio 1997, in Foro it., 1997, I, 2284; Trib. Milano, 18 gennaio 2011, in www.ilcaso.it ; Trib.Milano, 5 marzo 2009, n. 3015, in Giustizia a Milano, 2009, 6, 45; Trib. Tortona, 10 marzo2008, in Corr. mer ., 2008, 816; Trib. Bologna, 22 maggio 2007, n. 1214, in Guida dir ., 2007,42, 82; Trib. Salerno 14 luglio 2006, in Fallimento , 2006, 12, 1456. In dottrina: SIGNORELLI,

 Azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. e determinazione del danno, in Fallimento, 2010 p.

1195; PROTO,  L'azione dei creditori sociali nella società a responsabilità limitata e ladeterminazione del danno, in Fallimento, 2010, 6, p. 730; CASSANI,  La quantificazione del

risarcimento nell'azione di responsabilità contro gli amministratori, in Le Società, 2010, 4, p.409; FINARDI,  Azione di responsabilità contro gli amministratori di s.p.a. fallita e criteri d i

determinazione del danno, in Le Società, 2008, 1365.8 Sul tema, cfr. Cass., 6 dicembre 2000, n. 15487, in Giust. civ. mass., 2000, 2552; Cass., 28febbraio 1998, n. 2251, in Giust. civ. mass., 1998, 469; Cass., sez. I, 28 novembre 1984, n. 6187,in Foro.it ., 1985, I, 3179; Trib. Milano, 2 maggio 2007, n. 5181, in Corr. mer ., 2007,10, 1116;Trib. Milano 19 settembre 2003, in Giur. it ., 2004, 1015.9 Per una sintesi delle varie posizioni giurisprudenziali, cfr., Cass., 15 febbraio 2005, n. 3032, inGiust. civ., 2006, 4-5, I, 967.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201244

il verificarsi di una causa di scioglimento della società, sia nella lettera dell’art. 2394,secondo comma, c.c., il quale prevede che l’azione di responsabilità “ può essere

 proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente alsoddisfacimento dei loro crediti”. Il divieto contenuto nell’art. 2449 c.c. ante riformaveniva ricostruito, dalla dottrina e giurisprudenza maggioritarie, in modo rigoroso: eraquindi gioco forza rendere ugualmente rigoroso il giudizio sulle condotte degliamministratori successive alla causa di scioglimento, arrivando a sanzionare le stessequasi ex se e, come si è detto, senza alcuna (tanto meno approfondita) indagine in puntoesistenza del nesso eziologico. In altre parole, secondo le interpretazioni più integraliste,

una volta violato il divieto di nuove operazioni, tutte le condotte poste in essere dagliamministratori dovevano essere valutate negativamente 10.

A ben vedere le pronunce che p ossono essere ricondotte all’applicazione per cosìdire ‘ pura’ di detto criterio non sono molte11.

Questo orientamento è stato decisamente contestato da altra parte di dottrina egiurisp rudenza, con un fermo richiamo alle regole generali sul nesso di causalità e sulladeterminazione del danno, tanto che il criterio del ‘deficit ’ viene oggi qualificato come“inaccettabile”, “inadeguato” e “concettualmente insostenibile”12.

3) Le critiche non hanno tuttavia impedito che il criterio del ‘deficit ’ continui adessere talora applicato, seppur unitamente ad altri criteri correttivi: questo per renderloaccoglibile e risolverne – o almeno mitigarne – il contrasto con le regole generali inmateria di risarcimento del danno.

Ad esempio, la Suprema Corte ha recentemente deciso che il danno non puòessere identificato nella “differenza tra attivo e passivo accertato in sede concorsuale”,

 poiché tale criterio è in contrasto con il principio civilistico che impone di accertarel’esistenza del nesso di causalità tra la condotta illegittima e il danno; tale criterio,

10 R ORDORF,  La responsabilità degli amministratori di s.p.a. per operazioni successive alla

 perdita del capitale, in Le società, 2009, 277.11 A titolo di esempio, si vedano Cass. 23 luglio 2007, n. 16211, cit .; Trib. Roma, 9 luglio 2001,cit .; Trib. Massa, 9 gennaio 1996, cit .; Trib. Roma, 10 febbraio 1987, cit .; Trib. Orvieto, 4

novembre 1987, cit ., e Cass., 4 aprile 1977, n. 1281, cit .12 Cfr., Cass. 22 aprile 2009, n. 9619, cit .; Cass. 23 giugno 2008, n. 17033, cit .; Cass. 23 luglio2007, n. 16211, cit .; Cass. 23 febbraio 2005, n. 3774, cit ., che motiva: «all’amministratore puòessere imputato non ogni effetto patrimoniale dannoso che la società sostenga di aver subito,

ma solo quello che si ponga come conseguenza immediata e diretta della violazione degli

obblighi incombenti sull’amministratore»; Cass. 8 febbraio 2005, n. 2538, cit ., che qualifica ilcriterio come ‘concettualmente insostenib ile’ e testualmente motiva: “ i principi da cui è retto il

risarcimento del danno civile impongono, del resto, l’individuazione di un preciso nesso di

causalità tra il comportamento illegittimo di cui taluno è chiamato a rispondere e leconseguenze che ne siano derivate nell’altrui sfera giuridica, e richiedono che di tale nesso sia

 fornita la prova da parte di chi il risarcimento invoca”.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201245

tuttavia, “ può costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via

equitativa, qualora sia stata accertata l’impossibilità di ricostituire i dati con

l’analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili alcomportamento dei sindaci (o degli amministratori), ma, in tal caso, il giudice del

merito deve indicare le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici

effetti pregiudizievoli riconducibili alla condotta di costoro, nonché , nel caso in cui la

condotta illegittima non sia temporalmente vicina all’apertura della procedura

concorsuale, la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento allecircostanze del caso concreto”13.

A questo proposito, in particolare, l’art. 1226 c.c. prevede che, “se il danno non puo` essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione

equitativa”. La norma richiede quindi che l’esistenza del danno sia già stata provata eche sia impossibile o altamente difficile la sua precisa liquidazione14; tale liquidazionenon necessita invece di una specifica domanda in tal senso, potendo il giudice fareapplicazione di questa disposizione anche in difetto di richiesta della parte15.

Altra interpretazione individua nel dissesto economico della società e nelfallimento il risultato unitario causato dalla o dalle condotte (attive e/o omissive) degliamministratori16. Alla luce di tale ragionamento, “anche una rigorosa applicazionedelle regole sul nesso di causalità materiale ben giustifica la quantificazione del danno

[...] nella differenza fra attivo e passivo [...] se, per fatto imputabile agli organi sociali,

si sia venuto a determinare il dissesto della società e la conseguente sua sottoposizione

13 Cfr. Cass. 8 febbraio 2008, n. 2538, cit . In tema di liquidazione equitativa del danno, si vedaanche Trib. Milano 5 marzo 2009, cit .; App. Roma 14 marzo 2000, cit ., in Gius, 2000, 1879.14 Il criterio equitativo non potrà surrogare la prova del danno, ma potrà quindi intervenire solodopo tale prova. Sia in merito a tale punto sia in merito al rigore col quale si debba valutarel’impossibilità o grande difficoltà di determinare l’ammontare del danno, ci si limita a rinviaread alcune tra le numerose pronunce: Cass., 18 settembre 2009, n. 20140, in Guida dir ., 50, 61;Cass., 16 settembre 2003, n. 13558, in Giust. civ. mass., 2003, 9. Si veda anche Cass., sez. III,14 ottobre 2004, n. 20283, in Giust. civ. mass., 2004, 10: “qualora sia provata, o non contestata,

l’esistenza del danno, il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa del danno non solo

quando è impossibile stimare con precisione l’entità dello stesso, ma anche quando, in relazionealla peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione di esso sia difficoltosa, e

nell’operare la valutazione equitativa egli non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata della corrispondenza tra ciascuno degli elementi esaminati e l’ammontare del

danno liquidato, essendo sufficien te che il suo accertamento sia scaturito da un esame della

situazione processuale globalmente considerata”.15 Cass. 18 settembre 2009, n. 20140, cit .; Cass, 12 febbraio 2004, n. 2706, in Guida dir ., 2004,13, 56.16 Si veda in particolare Cass. 17 settembre 1997, n. 9252, cit . Inoltre si vedano Cass. 8 febbraio2000, n. 1375, cit .; App. Catania 8 maggio 1998, cit .; Trib. Messina 12 novembre 1999, cit .;Trib. Catania 8 maggio 1998, cit . Si veda anche App. Bologna 12 gennaio 2004, cit .

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201246

a procedura concorsuale. Se, infatti, tra i comportamenti di amministratori e sindaci,

ed il dissesto vi è nesso eziologico, anche la liquidazione fallimentare ne è conseguenza

immediata e diretta”17.Per contro, la più recente giurisprudenza18 ha "ripudiato" il criterio "meccanico"

e "sbrigativo" del ‘deficit fallimentare’ anche nelle declinazioni sopra riferite,considerandolo "concettualmente insostenibile"19, gravato da "difetti"20, approssimativosia per eccesso21 che per difetto22.

Tuttavia, mentre vi è convergenza di opinioni sull'inutilizzabilità (se non infunzione integrativa, come si è visto supra) del criterio del ‘deficit fallimentare’, vi è

invece disparità di vedute quando si tratta di individuare in concreto un altro metodo p iùsofisticato e preciso, ma, nel contempo, "accessibile"23.

Un recentissimo arresto giurisprudenziale del Tribunale di Milano24 ha optato per il ricorso al criterio della ‘causalità materiale’, sottolineando la necessità, "in lineagenerale" di "compiere uno scrutinio caso per caso  delle conseguenze patrimoniali

imputabili alle singole operazioni poste in essere dall'organo gestorio dopo il 

verificarsi della causa di scioglimento, al fine di delibare se si sia trattato di

 operazioni vietate incidenti negativamente sul patrimonio sociale e nei limiti in cui si

 sia effettivamente verificata una perdita". Tuttavia, ne ridimensiona il rigore,

17

Cass. 17 settembre 1997, n. 9252, in Foro It., 2000, I, 243 nota di DELLE VERGINI.18 Così Trib. Milano, 18 gennaio 2011, in Fallimento , 2011, 5, 588. Inoltre fra le numerose pronunce, Trib. Milano 24 novembre 2009, in Giur. It., 2010, 6, 1329 nota di SPIOTTA; T rib.Milano 27 aprile 2009, in Giur. it ., 2009, 2466; App. Torino 12 gennaio 2009, in Fallimento,2010, 35, con nota di FINARDI, La responsabilità concorrente dei sindaci e i criteri di

determinazione del danno risarcibile.19 Così Cass. 8 febbraio 2005, n. 2538, in Giur. it ., 2005, 1637, con nota di IOZZO. Cfr. Cass. 22aprile 2009, n. 9619, in Soc., 2009, 1481; Cass. 23 giugno 2008, n. 17033, in Fallimento, 2009,565.20 Per una sintesi v. SPIOTTA,  L'amministrazione, in Il nuovo diritto societario nella dottrina enella giurisprudenza: 2003-2009, Commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso,Montalenti, Bologna, 2009, 533.21 Il deficit  fallimentare può derivare anche da scelte gestionali infelici, notoriamenteinsindacabili nel merito, e non soltanto da comportamenti colposi degli amministratori, affermaSPIOTTA,  Responsabilità degli amministratori e legittimazione attiva del curatore, inFallimento, 2011, 5, 588.22 Basti pensare all'eventualità che alcuni creditori rinuncino ad insinuarsi allo stato passivo. Cfr.PANZANI, Responsabilità degli amministratori: rapporto di causalità fra atti di mala gestio edanno. Lo stato della giurisprudenza, 1989, 978. In giurisprudenza v. Trib. Messina, 12novembre 1999, ivi, 2000, 1279, con osservazioni di DE CRESCIENZO.23 CIERVO, Perdita del capitale sociale, responsabilità degli amministratori e quantificazionedel danno risarcibile, in Il nuovo diritto delle società, 2011, fasc. 5, 11 ss.24 Trib. Milano, 18 gennaio 2011, cit., 2011, 5, 588.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201247

ammettendo che "in caso di fallimenti di società per le quali si deduca una notevole

anteriorità della perdita del capitale rispetto alla dichiarazione di insolvenza" il danno può essere determinato in via equitativa utilizzando il criterio " presuntivo e sinteticodella differenza tra i netti patrimoniali"25 individuati alla data di scioglimento e almomento della dichiarazione di fallimento26, "salvo poi valutare se l'ipotizzato

incremento dello sbilancio si sia effettivamente verificato alla luce di una corretta

comparazione tra i due dati contabili".Recente dottrina27 ha poi affermato che la sostituzione del divieto di

intraprendere “nuove operazioni” al verificarsi della causa di scioglimento con un

obbligo di gestione conservativa (come previsto dall’art. 2486 c.c., che espressamente prevede che, in presenza di causa di scioglimento della società, “gli amministratori

conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e

del valore del patrimonio sociale”), ha comportato effetti rilevanti, per cui non è piùgiustificabile una “ presunzione o valutazione equitativa del danno risarcibile nella

misura corrispondente alla differenza del netto patrimoniale riscontrabile tra la data

del verificarsi della causa di scioglimento, da un lato, e la data di apertura della

 procedura concorsuale, dall’altro secondo il modello di decisione prevalentemente

seguito dalla g iurisprudenza più recente”.La prosecuzione dell’attività non costituisce più l’eccezione alla regola, ma la

regola stessa ai fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimoniosociale28. Ciò risulta altresì confermato non solo dalle finalità sottese ai nuovi istituti dicrisi di impresa (accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l.fall., c.d. piano attestato exart. 67 l.fall., “nuovo” concordato preventivo ex art. 160 l.fall.), ma anche dalla stessadisciplina fallimentare, che, all’art. 105 l. fall., esprime una preferenza ex lege per lavendita dell’azienda (o quanto meno di complessi di beni in blocco) rispetto allaliquidazione atomistica dei singoli assets, e ciò nel tentativo di tutelare non solo icreditori della società fallita, ma anche il mantenimento dei livelli occupazionali e, più

25 Sviluppata “ prevalentemente ad opera del Foro Ambrosiano”, così CIERVO, Perdita del

capitale sociale, responsabilità degli amministratori e quantificazione del danno risarcibile, in op. cit .26 Cfr. Cass. 8 febbraio 2005, n. 2538, in Giur. It ., 2005, 1637, con nota di IOZZO.27 CIERVO, Perdita del capitale sociale, responsabilità degli amministratori e quantificazione

del danno risarcibile, op. cit. 28 Così come illustrato nella  Relazione allo schema di decreto legislativo recante “ Riformaorganica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della l. 2

ottobre 2001, 366 ”, in  La riforma delle società , in Giur. Comm ., 2003, suppl. 4, p. 99, ove siafferma la volontà di “valorizzare la permanenza di un’organizzazione sociale” e favorire “ laconservazione della gestione dell’impresa e del patrimonio in capo al debitore” quale soluzione

 preferenziale anche in caso di insolvenza conclamata.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201248

in generale, l’interesse pubblico allo sviluppo economico ed alla conservazione delleunità produttive.

Peraltro, nell’ambito della quantificazione del danno risarcibile, la Corte diCassazione si è pronunciata attraverso due importanti sentenze, che costituiscono unautorevole riferimento per l’individuazione di un criterio univoco per la quantificazionedel danno29.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che, in caso di condanna alrisarcimento degli amministratori, “non tutta la perdita riscontrata dopo il verificarsidella causa di scioglimento della società può essere riferita alla prosecuzione

dell’attività, potendo la perdita in parte comunque prodursi anche in pendenza dellaliquidazione o durante il fallimento per il solo fatto della svalutazione dei cespiti

aziendali in ragione del venir meno dell'efficienza produttiva e dell'operatività

dell'impresa”. La Cassazione ha poi precisato che non tutta la perdita riscontrata ènecessariamente conseguenza di una illegittima prosecuzione dell’attività gestoria da

 parte degli amministratori; una parte di questa si sarebbe potuta produrre anche in presenza di una tempestiva liquidazione o di istanza di fallimento in p roprio ad operadegli amministratori medesimi, per il sol fatto che i valori dei cespiti aziendalisubiscono in tali occasioni una rilevante falcidia. La svalutazione dei cespiti aziendali simanifesta nel momento stesso in cui vengono meno l’efficienza produtt iva e la regolareoperatività dell’impresa, fatto che si verifica sia in presenza di un’illegittima

 prosecuzione dell’attività da parte degli amministratori, sia nell’ipotesi di unatempestiva liquidazione della società deliberata dall’assemblea prontamente convocataex 2447 c.c.

La dottrina ha quindi ipotizzato un criterio che “misura la differenza delle

 perdite nel periodo intercorrente tra la data in cui era conoscibile la causa di

scioglimento e la data in cui è sopraggiunto il fallimento della società stessa o è stata

esercitata l’azione di responsabilità: le perdite prodotte durante tale periodo sono la

conseguenza evidente dell’illegittima prosecuzione dell’attività”30. Ma il dato cosìottenuto deve essere poi corretto dal giudice, att raverso il criterio di equità di cui all’art.1226 c.c., in modo da “espungere dalla quantificazione del danno risarcibile tutto ciò

che non deriva necessariamente dalla illegittima prosecuzione dell’attività sociale da parte degli amministratori”31. In questo modo appare possibile escludere dal danno

29 Cass., Sez. Un., 23 giugno 2008, n. 17033, in Fall., 2009, 5, 565, con nota di ZAMPERETTI;Cass. 23 luglio 2007, n. 16211, in Società, 2008, 11, 1364 nota di FINARDI.30 Così AMBROSINI, Il problema della quantificazione del danno nelle azioni d i responsabilitàcontro gli amministratori e sindaci, in  La responsabilità di amministratori, sindaci e revisori

contabili, Milano, 2007, 300.31 Così CIERVO, Perdita del capitale sociale, responsabilità degli amministratori equantificazione del danno risarcibile, in op. cit ., 33, e ivi richiamato PATTI, Quantificazione del

danno nell’azione contro gli amministratori, in Fallimento , 1996, 221.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201249

contestato agli amministratori il quantum riconducibile a costi (o perdite di valore dicespiti) che in ogni caso sarebbero gravate sul la società: a titolo di esempio, i costi dellaliquidazione in bonis ovvero – come meglio si dirà nel prosieguo – gli oneri economici(o persino l’aggravio del dissesto) sostenuti nelle more della predisposizione di unaccordo di ristrutturazione, di un p iano attestato o di una proposta concordataria.

2. Distinzione tra crisi e insolvenza: possibilità di ricorso ai nuovi istituti disoluzione negoziata della crisi anche nell’ipotesi di società insolvente

Brevemente analizzata l’evoluzione giurisprudenziale in termini di

quantificazione del danno imputabile agli amministratori, app are di particolare interesse – alla luce delle recenti riforme in tema di soluzione negoziata della crisi – comprenderese ed in quali termini gli amministratori possano essere ritenuti responsabili laddove,sopravvenuta una crisi d’impresa, pongano in essere attività da un lato concretamente e

 potenzialmente lesive per i creditori (ove atomisticamente considerate), dall’altro invececorrispondenti ad una tutela più completa dei soggetti coinvolti e realizzate nel

 perseguimento di finalità ritenute meritevoli di disciplina da parte della legge.A questo proposito, è preliminarmente utile un brevissimo cenno in punto

eventuale differenza – ontologica o sostanziale – dello stato di ‘crisi’ da quello di‘insolvenza’: e ciò per comprendere, come si vedrà infra, se detta eventuale distinzione

 possa o meno avere effett i sui profili di responsabilità degli amministratori.Alcuni Autori32, muovendo dal presupposto secondo cui la “crisi” altro non

sarebbe se non un ampio genus comprendente al suo interno anche lo stato di insolvenza(come definito dall’art. 5 l. fall., secondo il quale “ lo stato di insolvenza si manifesta

con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in

grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”), hanno sollevato perplessitàin merito alla possibilità – per il caso di impresa tout court insolvente – di ricorrere nongià all’istituto tradizionalmente destinato a tale fattispecie (i.e. il fallimento ovvero,sussistendone i presupposti di legge, l’amministrazione straordinaria delle grandiimprese in crisi ovvero la liquidazione coatta amministrativa), bensì ai nuovi istituti dirisanamento negoziato della crisi (vale a dire concordato preventivo, accordo di

ristrutturazione ovvero p iano attestato di risanamento).A questo proposito, pare che una simile interpretazione risulti invero troppolimitativa e che non abbia nemmeno supporto nella littera legis; sul punto, non si puònon ricordare la novellata disciplina del concordato preventivo33, secondo cui “ per stato

di crisi s’intende anche lo stato d’insolvenza”: sembra quindi assodato che i nuoviistituti di soluzione negoziata della crisi34 siano applicabili tanto all’imprenditore in crisi

32 Per tutti, DE CRESCIENZO –  PANZANI, Il nuovo diritto fallimentare, Milano, 2005, 64. 33 Art. 160, quarto comma, l. fall.34 Art. 67, terzo comma, l.fall.; art. 182 bis l.fall.

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quanto a quello insolvente nei termini di cui all’art. 5 l. fall.Tanto considerato, appare quindi condivisibile la tesi secondo la quale35 è fallace

"l'equazione imprenditore insolvente significa impresa incapace a produrre reddito".Infatti una migliore riorganizzazione dell'impresa, o anche solo una riduzione dei costi,

 possono in molti casi essere sufficienti a rivitalizzare un'impresa tecnicamenteinsolvente e, pertanto – nell’ottica tradizionale della legge fallimentare – destinata alfallimento a tutela del preminente interesse del ceto creditorio.

In tal senso, è apparso chiaro al legislatore della riforma che una rispostaconcreta per il superamento della crisi non poteva essere affidata a una gestione

meramente pubblicistica, risultando invece più adeguati accordi negoziali affidatiall'autonomia privata dell'imprenditore e dei suoi creditori (fermo restando un controllo,

 più o meno penetrante, da parte dell’autorità giudiziaria: ad esempio, con l’omologa delconcordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione).

Per ricondurre quindi il discorso al tema dell’intervento, non sembra davveroche un amministratore possa essere ex se (ed in assenza di altri profili di violazione dei

 propri doveri legali o statutari) ritenuto responsabile per il solo fatto di aver optato – pur nella conclamata insolvenza della società – per il ricorso ad una soluzione negoziatadella crisi anziché alla scelta di richiedere il fallimento in proprio: ed infatti, entrambe leopzioni possono potenzialmente rivelarsi ottimali per la società, essendo di certo

 possibile che un’ impresa tecnicamente insolvente possa recuperare liquidità e, quindi,solvibilità, mediante una rigorosa ristrutturazione che consenta di evitare la dispersionedel patrimonio aziendale.

3. Nuova nozione di “interesse alla conservazione dell’impresa per interessedei creditori” 

La responsabilità degli amministratori, quindi, deve essere valutata ed accertata,sia nell’an, sia nel quantum, tenendo in debita considerazione la nuova nozione diinteresse alla conservazione dell’impresa nell’interesse dei creditori (ma, a ben vedere,anche dei lavoratori subordinati e del loro interesse, non solo economico, almantenimento dell’occupazione, e del generale interesse pubblico economico alla

conservazione delle aziende ancora produttive o comunque quanto meno parzialmenterisanabili).A questo proposito, ampia parte della dottrina36 ha affermato che la visione

dinamica del concetto di crisi e del concetto di conservazione dell’impresa s’incentra –  più che sulla conservazione del patrimonio – sul ‘valore’ di quest’ultimo.

Molte azioni di responsabilità esperite dalle curatele fallimentari ex art. 146 l.

35 MORELLINI, L’art. 182 quater l. fall.: novità e criticità, in Fallimento, 2011, 8, 898.36 GALLETTI,  Brevi note sulla prova del danno nelle azioni di responsabilità, in Giur. merito,2010, 10, 2505.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201251

fall., infatti, concernono situazioni ove il r improvero mosso agli organi amministrativi èdi non aver preso atto della sopravvenuta causa di scioglimento (e.g. perdita integraledel capitale sociale) e, conseguentemente, di aver proseguito l’ordinaria attivitàd'impresa, omettendo invece di mutare la gestione in senso “conservativo”.

Proprio l'incentrarsi dell'art. 2486 c.c. (rispetto al vecchio testo dell'art. 2449 c.c.,che, come è noto, prevedeva un divieto di “nuove operazioni”) su di una visione“dinamica” della gestione “conservativa”, avente ad oggetto non solo la “integrità”, maanche il “valore” del patrimonio sociale, lascia intendere la possibilità di adottare unadifferente chiave di lettura.

Il fatto poi che, a livello esegetico, il previgente art. 2449 c.c. venisseinterpretato in termini pressoché analoghi al novellato art. 2486 c.c. rileva solo

 parzialmente, posto che il legislatore della riforma ha evidentemente inteso dare atto diun chiaro mutamento della stessa ratio sottesa alla disciplina della liquidazione in bonis (che, pare evidente, va di pari passo con l’analogo mutamento di finalità perseguite coni nuovi istituti di gestione della crisi).

In altre parole, l’amministrazione sociale non può più essere intesa come unamera serie di atti, ben potendo invece essere vista come un'attività dinamica, da valutarecomplessivamente e non come mera addizione dei singoli atti compiuti; è di certoun’attività che, in caso di società in bonis, è rimessa ad una maggiore libertà di azionedegli amministratori, che vedono invece maggiori limiti in presenza di una causa discioglimento (ovvero di una crisi o di una manifestazione conclamata di insolvenza)37.

Più nel dettaglio, la valutazione dell’operato degli amministratori va ricollegataalla sussistenza o meno della prospettiva di continuità gestionale (cd. ‘going concern’),che svanisce (o viene quanto meno fortemente ridimensionata) in occasione della

 perdita del capitale sociale e/o dell'insorgere dell'insolvenza: quindi, come si è detto,sussistendo una crisi, gli amministratori non sono più liberi di determinare liberamentegli obiettivi da conseguire (profitto, aumento del fatturato, etc.), bensì sono tenuti, per legge, a porre in essere una gestione idonea a conservare il valore degli assets aziendali(rectius, dell’azienda nel suo complesso) in un’ottica liquidatoria (o di risanamento ocomunque di gestione della crisi).

In altre parole, gli amministratori – pur non avendo l’obbligo di fissare i terminidella futura liquidazione (che sarà gestita dai liquidatori, ex art. 2490 c.c.) – devonovalutare (con l’usuale grado di diligenza loro imposto ex lege) di tutte le soluzioni

 possibili per il superamento della crisi, adottando provvedimenti idonei allaconservazione dei valori aziendali tali da non compromettere la successiva liquidazione(in bonis o concorsuale che sia).

37 R ODORF,  La responsabilità degli amministratori di s.p.a. per operazioni successive alla perdita del capitale, in Società 2009, 277; BOGGIO, Gli accordi di salvataggio delle imprese in

crisi, Milano, 2006.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201252

Dunque, anche nella fase di liquidazione o comunque sussistendo una crisi-insolvenza dell’impresa, l’amministratore deve attentamente valutare, ad esempio, se sia

 preferibile (nell’interesse dei creditori, nonché del mantenimento dei livellioccupazionali e del valore degli assets aziendali) la dichiarazione di fallimentoimmediata, più idonea a limitare qualsivoglia eventuale aggravio del dissesto, ovvero ilricorso ad un accordo di ristrutturazione o ad un concordato preventivo: tale secondasoluzione, infatti, richiederebbe prevedibilmente alcuni mesi per la predisposizionedegli atti e dei documenti, nel corso dei quali sarebbe pressoché inevitabile lamaturazione di ulteriori perdite.

Secondo parte della dottrina38, è infatti fonte di responsabilità per l’amministratore venire meno al dovere di “ informarsi sui possibili vantaggi e svantaggi

delle operazioni che intende compiere e valutarli adeguatamente , in modo tale da

 prendere le relative decisioni in modo accorto. (…) Ciò non significa, naturalmente,che ad un amministratore non sia consentito di effettuare delle scelte gestorie rischiose,

 purché vi sia coscienza del rischio che si sta assumendo, ossia identificazione

 preventiva delle possibili conseguenze pregiudizievoli che possono scaturire

dall'operazione rischiosa che ci si appresta ad effettuare, nonché un ragionevolecontrollo sul rischio in questione, prendendo tutte le precauzioni possibili al fine di

minimizzare gli eventuali effetti dannosi”; in quest’ottica si può ritenere che la sceltadello strumento di soluzione della crisi r isponda ai medesimi criteri.

Se non fosse invece concretamente e razionalmente prevedibile la possibilità disuperare la crisi mediante uno degli istituti posti dalla novella, sarà dovere degliamministratori richiedere il fallimento della società.

In sintesi, laddove una società sia in crisi od insolvente, essa dovrà essere gestitadagli amministratori con valutazioni prognostiche, tenendo conto della realizzabilità inconcreto di scenari di risanamento adeguatamente pianificati e non invece limitandosialla valutazione nell’immediato della convenienza economica di un singolo atto,decontestualizzato dalla strategia complessiva di r isanamento.

Sulla base di questa interpretazione, quindi, solo la valutazione complessiva ditutta l’attività svolta dall’amministratore dopo l’emergenza di una causa di scioglimento

 potrà consentire di accertare la responsabilità gestoria, identificandone l’eventualeantigiuridicità anche nell’ottica dell’obiettivo di conservazione formalizzato nell’art.2486 c.c.

In altre parole, la valutazione del singolo atto di gestione e delle sueconseguenze dannose o vantaggiose, che prenda in esame il mero saldo tra i ricavi ed icosti direttamente imputabili allo stesso, risulta del tutto inidonea a valutare lacorrettezza dell’operato dell’amministratore, sfuggendo a detto criterio la possibilità diindividuare nessi ed interrelazioni fra le singole componenti del sistema aziendale.

38 LETO, La responsabilità degli amministratori di s.r.l., in Riv. Dott. Comm., 2010, 4, 777.

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Tale interpretazione potrebbe in conclusione consentire di valutare in modocomplessivo e coordinato la condotta degli amministratori di una società insolvente, chenon provvedano alla richiesta di fallimento in proprio, optando invece per un tentativodi risanamento: se infatti i singoli atti di gestione potrebbero risultare negativi per il cetocreditorio, l’intera operazione di ristrutturazione potrebbe invece rivelarsi assai piùconveniente di una liquidazione fallimentare. Se quindi, come si è visto, lagiurisprudenza ritiene di poter dedurre dal quantum del danno cagionatodall’amministratore l’importo relativo alle spese della liquidazione, si potrebbeargomentare, in via analogica, la deduzione da tale danno anche delle spese e degli oneri

(nonché dell’eventuale aggravio del dissesto) conseguenti alla decisione di accedere aduno degli istituti di soluzione negoziata della crisi.

Un’ultima annotazione: la meritevolezza delle tesi qui esposte parrebbe trovareulteriore conferma nel nuovo art. 217 bis l. fall., secondo il quale, come noto, risultanoesenti dai reati di bancarotta semplice e fraudolenta “ i pagamenti e gli atti compiuti in

esecuzione” di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione omologatoovvero di un piano attestato di risanamento39. I medesimi pagamenti ed atti sono inoltreesenti da azione revocatoria fallimentare, come previsto dall’art. 67, terzo comma, lett.d) ed e), l. fall. Appare quindi arduo ritenere che atti di gestione irrilevanti sottol’aspetto penale ed efficaci nei confronti dei creditori possano, d’altro canto, esserefonte di responsabilità risarcitoria in sede civile in capo all’amministratore. L’ovviaeccezione a tale considerazione attiene al fatto che le norme parlano espressamente di“esecuzione” del concordato, dell’accordo o del piano: è ancora quindi aperta latematica attinente la rilevanza penale e/o la revocabilità (e, quindi, l’eventuale fonte diaddebito in azione di responsabilità) per gli atti ‘ prodromici’ all’accesso all’istituto disoluzione della crisi.

4. La scel ta dello strumento di soluzione della crisiPare quindi potersi condividere la tesi secondo la quale l’amministratore di una

società insolvente o in crisi non sia tenuto alla richiesta del fallimento in proprio, ben potendo invece valutare la maggior convenienza per i soggetti coinvolti (creditori in

 primis) di una diversa soluzione.Anzi: potrebbe in astratto risultare fonte di responsabilità in capoall’amministratore l’aver optato per la richiesta di fallimento, sussistendo inveceragionevoli e concrete prospettive di risanamento mediante, ad esempio, un accordo diristrutturazione dei debiti: in astratto, il Curatore potrebbe ipotizzare un’azione diresponsabilità addebitando all’amministratore il fallimento e le sue conseguenze

39 Sul punto, si veda, ad esempio, BONFATTI,  Le misure di incentivazione delle procedure dicomposizione negoziale delle crisi di impresa. Gli accordi di ristrutturazione, in  IlCaso.it , II,251/2011.

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economiche, dando prova del fatto che detto amministratore avrebbe potuto – usando la propria diligenza ex lege – comprendere l’opportunità di ricorrere ad altra soluzione. Aquesto proposito, è stato affermato che “la condotta dell’imprenditore, che non richiedail proprio fallimento ma concluda una convenzione stragiudiziale volta a consentire agli

stessi creditori un maggior rientro, non configura di per sé alcuna responsabilità.

Pertanto, gli amministratori di imprese in crisi devono decidere secondo criteri

imprenditoriali ovvero hanno il diritto/dovere di procedere a convenzioni di salvataggio

ogniqualvolta vi siano condizioni economico-finanziarie che consentano il turnaround. Il tutto nell’interesse degli azionisti, ma anche dei creditori dell’impresa”40.

Va peraltro ribadito che una simile responsabilità in capo all’amministratoretrova una ferma mitigazione nella insindacabilità nel merito delle scelte gestorie (cd.‘ Business Judgment Rule’): le decisioni degli amministratori possono essere quindifonte di responsabilità al termine di un giudizio di legalità (anche in termini di colpa odi mancata diligenza p rofessionale) e non già di merito41.

Di conseguenza non pare davvero possibile ritenere sindacabili il merito gestorioné gli errori di gestione che abbiano portato ad un cattivo risultato per la società, se nonnella misura in cui si riscontri l’omissione di quelle cautele, verifiche ed informazioni

 preventive normalmente richieste per una scelta di quel determinato tipo, operata inquelle circostanze e con quelle modalità, secondo un criterio prognostico di

 prevedibilità delle conseguenze insoddisfacenti e pregiudizievoli, potenzialmentederivanti42.

Perciò, l’esito infausto della gestione dell’impresa – e si può ritenere anchel’esito negativo di una determinata procedura di risanamento (ad esempio, il ricorso adun piano attestato di risanamento anziché la richiesta di fallimento in proprio) –, non

 prova di per sé che gli amministratori siano venuti meno al dovere di operare condiligenza, ben potendo questi essere dipesi dallo sfavorevole andamento del mercato o acomportamenti riconducibili a soggetti terzi (ad esempio, un finanziatore che nonadempia la propria promessa di erogazione di credito) ed in tal caso non potendoimputare i soci all’organo di non aver avuto fortuna.

Infatti, il risultato utile di gestione non è dedotto nell’obbligazione gravante

sull’amministratore nei confronti della società, ma resta una propensione verso la quale40 Cosi DONATO, commento a  L’intervento delle banche in caso di financial distress su Crisiristrutturazione e rilancio dell’impresa, di Chiaia e AA.VV., 2001, in www.diritto.it .41 Tali principi però sono state contraddette dallo svolgimento, ad opera del giudice, di indaginisulla prudenza, sulla ragionevolezza e sull’opportunità tecnica delle scelte operate nel casoconcreto attraverso l’esame dei profili di congruità economica delle operazioni compiute. Inquesto senso DACCÒ,  Il sindacato del giudice nei confronti degli atti gestori degli

amministratori, in Analisi giuridica dell’economia, 2003, 184.42 In questo senso Trib. Milano, 10 giugno 2004, in  Dir. e prat. Soc., 2005, 80; Cass. 28 aprile1997, n. 3652, in Società, 1997, 1389.

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deve essere indirizzata tutta l’attività gestoria, appartenendo alla categoria delle“obbligazioni di mezzi” e non “di risultato"43.

Pertanto, come è stato ribadito dalla giurisprudenza44, la valutazione delledecisioni assunte dagli amminist ratori, da compiersi nel giudizio di responsabilità, deveattenersi solo al momento prodromico dell’istruttoria che ha consentito di pervenirvi45;ricorrendo la responsabilità degli amministratori quando si riscontri la mancataadozione di quelle cautele o la non osservanza di quel dovere di diligenza.

5. Gli strumenti tipici ed atipici di soluzione della crisi

Prima di concludere, pare ancora interessante una breve nota in merito alleconseguenze della concreta scelta, da parte dell’amministratore, dello specifico istitutodi gestione della crisi cui accedere.

In particolare, spetta agli amministratori - nell’ambito dei propri doveri digestione - proporre le domande di procedure concorsuali più necessarie ed opportune,nonché valutare se l’impresa possiede i requisiti per le stesse, anche alla luce delleeffettive possibilità dell’impresa stessa. Come si è visto, anche in questo caso, l’operatodell’amministratore dovrà quindi essere valutato in concreto con riferimentoall’osservanza degli obblighi di legge e di statuto, nonché al dovere di conservazione incaso di società in scioglimento. Quindi – ferma restando l’insindacabilità nel meritodelle scelte di gestione –, all’amministratore potrebbe essere addebitata l’errata edannosa scelta di accedere ad un accordo di ristrutturazione anziché ad un fallimento: eciò, ad esempio, accertando che tale scelta sia stata effettuata sulla base di dati contabilierrati, la cui non corrispondenza al vero era nota (o conoscibile) all’amministratorestesso.

Un’ultima annotazione merita, infine, l’ipotesi in cui, a fronte di una situazionedi crisi od insolvenza, l’amministratore non ritenga di accedere ad uno degli istitutitipici previsti dalla legge, ricorrendo invece a soluzioni alternative, vuoi nonregolamentate (ad esempio, un accordo stragiudiziale con i creditori), vuoiregolamentate da norme di diritto internazionale (ad esempio, il cd. ‘trust liquidatorio’disciplinato dalla Convenzione dell’Aja del 16 ottobre 1989, n. 364).

43 In questo senso si è espressa Cass., 24 agosto 2004, n. 16707, in Giur. It . 2005, 69. Pertantotrattandosi di responsabilità contrattuale spetta alla società attrice fornire la provadell’inadempimento, del danno e del nesso causale, mentre graverà sull’amministratore l’oneredi provare l’esatto adempimento – cioè di aver tenuto un comportamento diligente – salva ladimostrazione dell’impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile. In tal sensoanche Cass., 23 luglio 2007, n. 16211, in Società, 2007, 1459; Cass. 27 ottobre 2006, n. 23180,in Società, 2007, 297.44 Cass., 18 agosto 2009, n. 18231, in Lav. e prev., 1/2010, 53, con nota di CAPONETTI.45 In questo senso VASSALLI, in Società di capitali, Commentario a cura di NICOLINI –  STAGNO

D’ALCONTRES, Napoli 2004, II, 681.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201256

In particolare, a quest’ultimo proposito, il Tribunale di Milano ha recentementeescluso che la separazione patrimoniale ed il vincolo di destinazione dei beni, propri deltrust , possa sopravvivere al fallimento del conferente o del trustee, sicché i beni dicostoro, anche se oggetto del trust , devono essere assoggettati alla disciplina, dicarattere inderogabile e pubblicistico, del fallimento46; in particolare, tale pronunziaricorda che, ai sensi dell’art. 15 della citata Convenzione, “ La Convenzione non

ostacolerà l’applicazione delle disposizioni di legge previste dalle regole di conflitto del

 foro, allorché non si possa derogare a dette disposizioni mediante una manifestazionedella volontà, in particolare nelle seguenti materie (…): la protezione dei creditori in

casi di insolvibilità (…). Qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano diostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del

trust con altri mezzi giuridici”; prosegue il Tribunale affermando che “si giustifica

 perciò pienamente il limite posto all’operatività del trust nel caso di sovrapposizione fra la disciplina di questo e la gestione legale della insolvenza, cioè in materia

 fallimentare”.In altre parole, seppur in via di obiter dictum, il Tribunale di Milano pare

affermare la sussistenza di istituti tipici e legali della gestione della crisi di impresa, afronte dei quali eventuali soluzioni diverse debbono cedere il passo. La conseguenza intermini di responsabilità degli amministratori appare chiara: laddove questi ultimi, presoatto della crisi della società, dovessero ricorrere a istituti atipici (e.g. il trust liquidatoriood il cd. ‘concordato stragiudiziale’) non godrebbero di alcuna delle esenzioni previstedall’art. 217 bis l. fall. ed il loro operato – in termini di responsabilità per aggravio deldissesto durante le operazioni di ‘risanamento’ – dovrebbe essere valutato con rigore eseverità di certo maggiori47.

46 Trib. Milano, 29 ottobre 2010 in IlCaso.it , 2010.47 A questo proposito, si veda STANGHELLINI, La nuova revocatoria fallimentare nel sistema di

 protezione dei diritti dei creditori, negli Studi in onore di Franco Di Sabato e in  Atti delConvegno dell’Associazione Italiana degli Studiosi del processo civile, Napoli, 26-27 ottobre2007, il quale richiama la tesi della “ interessantissima e convincente lettura dei tentativi di

ristrutturazione stragiudiziale in termini di doverosità, sia per gli amministratori sia per icreditori professionali, qualora essi avvengano nel quadro di strumenti previsti dalla legge

 fallimentare (piano attestato e accordo di ristrutturazione dei debiti”.

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RELAZIONI A CONVEGNI

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012

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LE RESPONSABILITÀ DEGLI ORGANIDI CONTROLLO

  L’Autore, dopo una premessa sul tema generale delle responsabilità civili e sul metro di

giudizio da adottare nel relativo accertamento, si sofferma sul ruolo degli organi di

controllo interno nella gestione delle soluzioni concordate della crisi, con particolare

riferimento alle decisioni da intraprendere all’insorgere della stessa, alla fase di

adozione dei piani e a quella della loro esecuzione.

di GINO CAVALLI 

1. PremessaIl  favor dimostrato dal legislatore della riforma per le soluzioni concordate

della crisi d’impresa è stato più volte evocato dai relatori che mi hanno preceduto, iquali non hanno mancato di mettere in evidenza la perdurante ed accentuata volontàlegislativa di rimuovere nella maggior misura possibile i freni che il sistemaconcorsuale potrebbe porre alla praticabilità di tali soluzioni di fronte al sempreimmanente rischio di un a successiva dichiarazione di fallimento.

 Non mi pare il caso di ritornare, a mia volta, su questo tema, ampiamentetrattato e scontato, se non per rilevare, quale premessa al mio intervento, che l’interessedella normativa è stato scarsamente focalizzato, sinora, sul piano delle responsabilità,ove si eccettui la recente disposizione esonerativa dal reato di bancarotta

Molto è stato fatto per agevolare l’accesso dell’impresa alle procedurealternative e molto ci si è preoccupati della posizione dei creditori, sia per quantoriguarda la neutralizzazione dell’azione revocatoria fallimentare, sia in ordine alla sortedei finanziamenti erogati p er o nel corso di queste p rocedure.

Ma, come ho appena ricordato, nulla si registra nella sfera delle responsabilitàcivili, con la conseguenza, non molto coerente con le finalità generali perseguite dallalegge, che, nell’ipotesi d’insuccesso dei piani, la posizione giuridica dell’imprenditore,degli organi della società in crisi e, più in generale, di coloro che hanno interloquito conil debitore resta regolata, per questo aspetto, dalle norme ordinarie.

 Nel silenzio della legge, credo, allora, che chi è chiamato a giudicare delleresponsabilità debba porsi, prima di trarre conclusioni affrettate, la seguente domanda.

Vogliamo o non vogliamo far funzionare gli istituti alternativi promossi dallariforma? Siamo convinti che essi rappresentino un mezzo conveniente e virtuoso per lasoluzione delle crisi, oppure pensiamo ancora secondo una logica ispirata al sospetto?

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RELAZIONI A CONVEGNIR ESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI DI CONTROLLO 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201258

Siamo ancora legati alla pietra d’infamia e al decoctor ergo fraudator ? Certo, dietro undissesto si nasconde spesso un imprenditore disinvolto o, addirittura, disonesto; ma ciòè sufficiente a disincentivare le soluzioni concordate e a privilegiare l’accesso a unsistema di tipo sanzionatorio?

In tale ottica e di fronte a situazioni che, per loro natura, implicanoelaborazioni prognostiche improntate a margini amplissimi di aleatorietà, mi parrebbeineludibile l’opportunità di non indulgere alla logica inaccettabile dei giudizi formulatiex post  e di non valutare le responsabilità in modo troppo rigoroso e punitivo, per restringere invece le ipotesi di coinvolgimento ai casi più eclatanti. Oltre tutto, ben

sappiamo che l’insuccesso del risanamento può essere frutto di una concatenazione dieventi futuri e incerti difficilmente perscrutabili a priori e non sempre fronteggiabili almomento del loro verificarsi, soprattutto da chi sia chiamato a svolgere un’attività dimera vigilanza e non disponga di strumenti reattivi particolarmente efficaci. Occorreinfatti non dimenticare che la responsabilità dei controllori si realizza soltanto quandoessi, attraverso l’appropriato esercizio dei loro poteri, avrebbero potuto scongiurarel’evento dannoso, evento che, peraltro, si lega p ur sempre, in via diretta, ad un’azione oa un’omissione altrui, che molte volte non appare concretamente ostacolabile.

2. Il collegio sindacale e le tappe della crisiFatta questa breve premessa, dico subito che la mia disamina sarà rivolta, in

 particolare, alla posizione dei collegi sindacali. Lo spazio concessomi non consente,infatti, d’investigare compiutamente la posizione di altri organi di controllo e, d’altrocanto, il modello tradizionale della società per azioni munita di sindaci rappresenta pur sempre la realtà p iù diffusa nel nostro p anorama giuridico.

In tale contesto, credo, allora, che meritino particolare attenzione tre possibiliscenari.

Il primo attiene all’insorgenza della crisi e alla deliberazione dei rimedi atti adaffrontarla. Alla luce del singolo caso e delle cause e caratteristiche dello stato didifficoltà, gli organi sociali sono chiamati a decidere quale strumento utilizzare nelventaglio delle articolate soluzioni offerte dall’ordinamento: fallimento, concordato

 preventivo, accordi di ristrutturazione, piani attestati.Il secondo scenario, si colloca in una fase successiva e presuppone che lasocietà abbia fatto effettivo ricorso a una soluzione concordata, da portare all’attenzionedel ceto creditorio e dell’autorità giudiziaria.

Il terzo momento, infine, che sottintende l’intercorsa app rovazione da parte deicreditori e l’omologazione del concordato o dell’accordo ex art. 182 bis, investe ilmomento esecutivo del piano.

Poiché ci occupiamo qui di responsabilità nel caso di successivo default , il principale profilo di danno concernerà, il più delle volte, l’aggravamento del dissestoconseguente alla ritardata apertura del fallimento. Il pregiudizio dei creditori sociali

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RELAZIONI A CONVEGNIR ESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI DI CONTROLLO 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201259

 potrebbe però investire, talora, anche altri aspetti, quali la perdita delle azionirevocatorie per il decorso dell’oggi brevissimo periodo sospetto.

3. Divergenze sulla soluzione da adottare: fallimento o procedurealternative? 

Il panorama delle possibili iniziative che l’organo di controllo devedoverosamente assumere si prospetta, naturalmente, in termini diversi a seconda che lostato di crisi si traduca già in una vera e propria insolvenza, oppure in un semplice

 pericolo d’insolvenza. E qui già si annidano non poche difficoltà, considerando la

confusione che spesso regna in giurisprudenza nella focalizzazione del concettod’insolvenza, soprattutto quando si tratti di ricostruirne la portata a posteriori, sianell’ambito di azioni di responsabilità, sia nel corso d’iniziative di tipo revocatorio. Lariforma ha normativamente introdotto un concetto che, in precedenza, giocava solo sul

 piano economico, parlando nell’art. 160 l. f. di stato di crisi e chiarendo che essocomprende anche lo stato d’insolvenza. Ma non ci ha fornito una definizione della crisiche valga a distinguerla in modo netto e appagante dall’insolvenza, sicché permangonomolti dubbi sulla sua esatta identificazione.

 Non vi è bisogno di notare che la valutazione dei sindaci assume, sotto questo primo profilo, aspett i particolarmente delicati e che la loro scelta deve cercare dicontemperare le giuste esigenze di superamento delle difficoltà aziendali (che

 potrebbero consigliare di soprassedere a iniziative senza ritorno) con la realtà oggettivain cui versa l’impresa. Questo equilibrio fra opzioni contrapposte non è sempre facile daconseguire: da un lato è chiaro che un eccessivo ottimismo potrebbe venire valutato a

 posteriori come irragionevole da parte degli organi fallimentari; dall’altro lato, tuttavia,le responsabilità inerenti alla carica dovrebbero sconsigliare scelte precipitose, suggeritedall’unica o prevalente esigenza di scongiurare future iniziative risarcitorie. Il che

 parrebbe esigere un’analoga ricerca di equilibrio anche da parte di chi, in futuro,dovesse essere chiamato a giudicare la condotta dei controllori.

Ma, tralasciando questo primo aspetto, supponiamo che i sindaci si sianoragionevolmente convinti dell’inutilità e, anzi, della dannosità di ritardare una

dichiarazione di fallimento reputata inevitabile, a fronte dell’intenzione degliamministratori di tentare, invece, una via di composizione della crisi e domandiamoci see quali siano i mezzi a disposizioni del collegio per contrastare una simile decisione.

Qui appare chiara l’importanza che viene ad assumere quella fase di dialetticafra sindaci e amministratori sulla quale spesso non si è soffermata abbastanzal’attenzione dei nostri giuristi. Si tratta di una fase propositiva in cui il collegiosindacale può e deve portare a conoscenza degli amministratori la propria valutazione,stimolando e suggerendo ai gestori le iniziative da assumere e quelle da evitare. Com’èfacile intuire, si tratta anche di una fase, per così dire, cautelativa per gli stessi sindacinella prospettiva di un insuccesso  del piano studiato dagli amministratori, sicché sarà

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201260

 prudente che di tale attività resti sempre traccia documentale attraverso il libro delleriunioni del collegio sindacale, le verbalizzazioni richieste ed eseguite in sede diconsiglio di amministrazione e di comitato esecutivo e attraverso opportune ed eventualicomunicazioni scritte conseguenti alle delibere assunte dall’organo di controllo.  

E’ frequente il caso, tuttavia, che gli amministratori possano non condividerel’opinione del collegio sull’irreparabilità della crisi e sui rimedi idonei a fronteggiarla.Così come può accadere che tale condivisione manchi da parte dei soci, chiamati aeseguire interventi sul capitale o a p rofondere, comunque, nuove risorse (finanziamenti,

 prestazione di garanzie, ecc.) a favore della società. Sicché la fase del controllo che

 potremmo chiamare stimolativa o p ropositiva in un’ottica di moral suasion, se pur ut iledal punto di vita delle responsabilità dei sindaci, può rivelarsi priva di effetti concreti.

In tale caso, tenuto presente che incombe il collegio il dovere di porre in esseretutte le azioni possibili al fine di scongiurare o contenere il danno, la dimostrazione diuna condotta ostativa di tipo meramente interno potrebbe non essere sufficiente, ragion

 per cui occorre verificare se il collegio disponga di altri e più penetranti poteri direazione, la cui omessa attivazione possa essergli rimproverata e porsi quale concausaefficiente di un pregiudizio.

E’ noto come, nella visuale originaria del codice civile, tali strumenti fossero pressoché inesistenti e che proprio su questo versante si fossero appuntate le critiche diuna cospicua parte della dottrina. Nel tempo, la fase reattiva del controllo interno èandata arricchendosi di nuove p rerogative; ma, allo stato attuale della legislazione, a menon pare che tali prerogative siano idonee ad assicurare un’appropriata gestione dellacrisi d’impresa.

In astratto, è certamente vero che i sindaci dispongono anche in questa fase ditutti poteri che loro competono in via generale: e così essi possono certamenteconvocare l’assemblea tanto in via sostitutiva quanto in via autonoma ex art. 2406 c.c.,al fine di sottoporre ai soci la situazione di dissesto in cui versa la società e sollecitarel’immediato fallimento. Essi, inoltre, conservano il potere - dovere d’impugnareeventuali deliberazioni illegittime assunte dal consiglio di amministrazione o dallastessa assemblea. Nelle società per azioni, infine, resta fermo il potere – dovere di

denuncia al tribunale ai sensi dell’art. 2409 c.c.Il ricorso a questi strumenti potrebbe essere funzionale a provare che i sindacihanno fatto tutto quanto era in loro potere per evitare il danno (art. 2407 c.c.), nonlimitandosi a una semplice, ancorché energica e reiterata, espressione di dissenso dallescelte degli amministratori.

Ai fini di porre rimedio all’aggravamento dell’insolvenza, però, si tratta dirimedi non attivabili utilmente e che, in ogni caso, prefigurano percorsi troppo lunghi etortuosi di fronte al precipitare degli eventi. In sostanza, a me sembra che, sia pure alla

 presenza di una situazione ritenuta assolutamente irreparabile, il collegio sindacale nonabbia modo d’impedire agli amministratori di scegliere la strada di una soluzione

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201261

concordata della crisi alternativa all’esito fallimentare, per quanto essi ritengano chequesta st rada sia destinata all’insuccesso e foriera di nuovi pregiudizi ai creditori.

Tutti intendono, in primis, come le iniziative di tipo impugnatorio lascino iltempo che trovano e non solo per i tempi che esse richiedono. Si può anche ammettereche, al cospetto di uno stato conclamato d’insolvenza, una delibera del consiglio diamministrazione che decida di continuare tout court  nell’attività d’impresa sia unadelibera illecita, ma ciò è quanto meno discutibile quando, invece, gli amministratoridecidano di attivare, in luogo del fallimento, un concordato preventivo o un

 procedimento di ristrutturazione, ancorché l’esito possa apparire problematico.

Quanto, poi, alla denuncia di gravi irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c., èagevole osservare, prima di tutto, che essa, per opinione ormai largamente condivisa,taglia fuori l’importante settore delle società a responsabilità limitata. Anche nellesocietà p er azioni, poi, è noto come l’art. 2409 esiga quale suo presupposto il danno allasocietà, laddove il pregiudizio che mira a scongiurare una sollecita dichiarazione difallimento si concreta, perlopiù, nell’aggravamento del dissesto, traducendosi, dunque,in un evento che riguarda essenzialmente i creditori e non la società, che ha ormai vistoannientato il suo patrimonio. E ancora: pur volendo ammettere che una domanda diconcordato avventurosa o uno spericolato tentativo di ristrutturazione, privilegiatirispetto a un’immediata istanza di fallimento, integrino una grave irregolarità, apparechiaro che il ricorso a questo strumento consentirebbe di addivenire ad unadichiarazione di fallimento solo se ed in quanto il tribunale adito, constatato lo statod’insolvenza, ne desse notizia ut supra al pubblico ministero, oppure quando, revocatigli amministratori, fosse l’amministratore giudiziario ad attivarsi in questa direzione.Ma soprattutto è chiaro che queste ipotetiche domande sarebbero comunque bloccatedalla pendenza di una procedura di concordato instaurata precedentemente, se pur contro l’op inione dei sindaci.

Osservo infine (anche se la scelta legislativa è stata a ragion veduta criticata)che, una volta eliminata l’iniziativa d’ufficio, è ormai precluso ai sindaci rivolgersi altribunale competente per segnalargli lo stato d’insolvenza e sollecitare la pronuncia diuna sentenza fallimentare. Un’iniziativa di tal fatta ad altro risultato non potrebbe

approdare se non a quello di una declaratoria d’inammissibilità per difetto dilegittimazione attiva del collegio sindacale richiedente e contemporaneo difetto di poteriofficiosi del tribunale ricevente. Ciò è tanto più vero considerando che in un frangentedi questo tipo il Tribunale non sarebbe neppure autorizzato a notiziare il pubblicoministero, almeno se si condivide la controversa opinione espressa dalla Corte diCassazione nella notissima sentenza 26 febbraio 2009, n. 4632

Per altro lato, fatta salva la denuncia di fatti criminosi, i sindaci neppure potrebbero rivolgersi all’ufficio del pubblico ministero direttamente, poiché, ai sensidell’art. 7 l.f., la loro segnalazione non consentirebbe a quest’ultimo di richiedere ilfallimento. Nel sistema della riforma, infatti, non esiste una legittimazione generale

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201262

delle Procure della Repubblica e si deve ritenere che l’iniziativa del Pubblico Ministerosia tassativamente circoscritta alle ipotesi contemplate dall’art. 7, nn. 1 e 2 della leggefallimentare.

In definitiva, a me pare che, in questa fase, il dissenso dei sindaci da untentativo di salvataggio, una volta espresso nelle forme di legge, non sia portabile, sul

 piano concreto, a ulteriori effetti, sicché l’idea di renderli corresponsabili per la ritardatadichiarazione di fallimento e per il correlativo aggravamento del dissesto sembrerebbeuna forzatura da resp ingere, sulla scorta dell’art. 2407 c.c.

4. Soluzioni concordate del la crisi e compiti del collegio sindacaleIncominciamo col dire che la legge, pur avendo per molti versi privilegiato

l’obiettivo di superamento delle crisi e mostrato di concepire il fallimento solo comeextrema ratio a fronte di situazioni irreparabili, ha riservato all’iniziativa del soloimprenditore la possibilità di attuare i tre modelli alternativi suggeriti dalla riforma.

E’ possibile che il collegio sindacale valuti opportuno ricorrere a un piano dirisanamento ex art. 67, 3° comma, lett. d) l.f., oppure a un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis, o, ancora, a una domanda di concordato preventivo. Tuttavia, se la societànon intende attivarsi in queste direzioni, i sindaci non godono di alcuna legittimazionesostitutiva, sicché l’avviso contrario o l’inerzia degli amministratori non appaiono inalcun modo superabili. In tal caso, una volta esaurito il repertorio delle raccomandazionie delle esortazioni, al collegio altro non resta se non prendere atto del comportamentodei gestori e considerare attentamente se, precluse queste strade, lo stato di crisi nonrischi di trasformarsi a breve in un vero e prop rio stato d’insolvenza, con tutto quanto neconsegue alla luce dei rilievi che siamo venuti facendo nel paragrafo precedente.

Ma occupiamoci ora del caso in cui, con l’avallo dell’organo di controllo, siastata effettivamente intrapresa una procedura di ristrutturazione o di concordato

 preventivo. Qui l’attenzione si sposta inevitabilmente sui “p iani”. che, sia pur conqualche diversità di soluzioni, rappresentano in tutte queste ipotesi un momentocentrale.

Viene in primo luogo da domandarsi,  per incidens, se lo studio e la redazione

del piano possano essere eventualmente affidate anche a un componente del collegiosindacale.Di per sé, le norme del diritto fallimentare non sembrerebbero impedirlo,

 poiché si limitano a stabilire che il p iano sia redatto da un professionista in possesso dideterminati requisiti di professionalità. La soluzione negativa, però, appare inevitabilenon solo e non tanto dal punto di vista dell’ordinamento societario ai sensi dell’art. 2399c.c., ma anche e soprattutto considerando, da un lato, che l’attestatore deve certamenteessere un soggetto terzo e indipendente, scevro da possibili conflitti d’interessi, e,dall’altro lato, che il piano, traducendosi in un documento fatto proprio dalla società efondamentale per la prosecuzione della sua attività, non deve sfuggire al controllo del

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201263

collegio sindacale sotto il profilo della sua correttezza e fattibilità p rima ancora di essere presentato al professionista e, in seguito, ai creditori e all’autorità giudiziaria.

Se però si può e si deve ammettere che ai sindaci spetti una valutazione criticadel piano in questa prima fase, per così dire interna, è assai più difficile ipotizzare cheessi, di là di un’espressione di dissenso, siano in grado d’impedire alla società di

 proseguire nell’iter  prescelto quando reputino irrealizzabile il piano elaborato. Ed èsoprattutto da considerare che il giudizio sulla fattibilità del piano è affidato, in viaesclusiva, all’attestatore, che se ne assume la responsabilità e che dà origine, con la suarelazione, alle successive fasi dei procedimenti negoziati. Ne consegue che, nel caso di

successivo default  ricollegabile all’inadeguatezza del piano, si prospettano seri dubbicirca la responsabilità dei sindaci anche sotto il profilo di una possibile interruzione delnesso causale.

 Naturalmente, ciò non toglie che una responsabilità del collegio sia ravvisabilenelle ipotesi in cui le informazioni rassegnate all’attestatore, soprattutto in relazione allaveridicità dei dati aziendali, si rivelino fuorvianti, inducendo così il professionista aformulare in modo improprio il suo giudizio. In proposito non si può sottacere che, neicasi più complessi e a causa dell’urgenza che connota questo tipo di procedure, laverifica dell’esperto è spesso eseguita “a campione” e non di rado si fonda proprio sulleinformazioni raccolte presso gli organi interni di controllo. E soccorre qui lagiurisprudenza ad avviso della quale l’attestazione potrebbe essere espressa anche  per 

relationem.Considerazioni analoghe valgono, sotto questo profilo, anche per i piani

attestati.

5. L’esecuzione del pianoL’ultimo momento di possibile intervento dei sindaci è rappresentato dalla fase

di esecuzione del piano.Anche qui, peraltro, si profilano consistenti perplessità sull’esistenza e

sull’ampiezza del controllo sindacale con riferimento alle varie tipologie di soluzioniconcordate della crisi e, quindi, p ure sulle eventuali, conseguenti responsabilità.

 Nel concordato preventivo, infatti, intervenuta l’omologazione, la vigilanzasull’esecuzione dell’accordo è affidata al commissario giudiziale e, nel caso di cessionedei beni, l’attività del liquidatore nominato dal tribunale è a sua volta sottoposta alcontrollo del comitato dei creditori e dello stesso commissario. In tale contesto, nons’intende se permangano anche doveri di vigilanza in capo agli organi di controllointerno della società sottoposta alla procedura concordataria. Ma, anche volendoammettere che i sindaci debbano darsi carico di vigilare, dall’interno, la regolareesecuzione del concordato, non si può fare a meno di notare che la legge non assegnaloro alcun potere d’intervento diretto, pacifico essendo che non compete al collegio, nétanto meno, ai suoi singoli componenti, alcuna legittimazione a chiedere la risoluzione o

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201264

l’annullamento del concordato. Tutto ciò che il collegio può fare, allora, si concreta inun possibile dovere referente verso gli organi concorsuali deputati alla vigilanza, aiquali spetterà poi l’esercizio dei poteri a ciascuno di loro spettanti, nei limiti segnatidalla legge. Appare fin troppo chiaro, tuttavia, che un’eventuale inerzia di tali organi nel

 provocare la risoluzione del concordato o, nei casi p iù gravi, il suo annullamento, non potrà essere in alcun modo imputata all’organo di controllo interno della società, sempre- beninteso - che tale inerzia non sia dovuta a una condotta (attiva od omissiva) dioccultamento imputabile (anche) al collegio sindacale.

La questione si pone in termini parzialmente diversi per gli accordi di

ristrutturazione disciplinati dall’art. 182 bis, nei quali è assente un organismo divigilanza sulla corretta esecuzione e sulla permanente eseguibilità del piano, atteso chemanca un commissario giudiziale e non esiste alcuna rappresentanza istituzionale deicreditori.

Premesso che i creditori estranei, indipendentemente dal diritto di proporreopposizione contro l’omologa, conservano intatte tutte le loro prerogative, ivi compresaquella di avanzare istanza di fallimento quando la società sia inadempiente alle sueobbligazioni e sia ravvisabile uno stato d’insolvenza in atto, l’accordo con i creditoriaderenti integra un contratto stipulato dalla società (direi il contratto fondamentale,diretto a governare la crisi), per cui non sembra dubbio che il collegio debba vigilaresulla sua concreta corretta esecuzione e abbia l’obbligo di verificare se le condizioni per l’adempimento promesso si mantengano integre nel tempo. E, data l’importanza del

 piano ai fini della stessa sopravvivenza della società, appare facilmente intuibile che atale compito l’organo di controllo debba dedicarsi con il particolare grado di attenzionee di diligenza richiesto dalla situazione di crisi in cui versa l’impresa sociale.

 Nel caso in cui si convinca che i presupposti del piano di ristrutturazione sianovenuti meno e che, quindi, la società si avvii verso l’insolvenza, sono propenso acredere che i sindaci debbano intraprendere le medesime iniziative di cui si è parlatoall’inizio discorrendo dello stato di crisi, sia pure con i limiti di concreta efficacia ivisegnalati, e ciò anche a prescindere da iniziative dei creditori aderenti dirette allarisoluzione giudiziale dell’accordo.

L’inerzia del collegio, dunque, potrebbe essere posta a fondamento di una lororesponsabilità nel caso in cui la prosecuzione dell’attività abbia cagionato unaggravamento del dissesto.

Considerazioni analoghe valgono, a maggior ragione, per l’esecuzione dei semplici piani attestati.

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RELAZIONI A CONVEGNI

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012

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LA RESPONSABILITÀ DEIPROFESSIONISTI

 In relazione alla responsabilità dei professionisti nella redazione delle relazioni previste

dagli artt. 161, co. 3°, 182 bis, co. 1°, e 67, co. 3°, lett. d), l.f., si rilevano, in premessa,

le difficoltà conseguenti alla evanescenza della disciplina processuale. Si considerano,

quindi, i criteri di nomina e si considera l’eventualità che sia disposta consulenza

tecnica preventiva, ai sensi dell’art. 696 b is c.p.c. Nei rapporti con l’imprenditore,titolare esclusivo del potere di nomina, si qualifica contrattuale la responsabilità del

 professionista; extracontrattuale in quelli con i creditori che hanno fatto affidamento

sulla relazione. Si esclude ogni vincolo nei confronti dei creditori che si oppongono al

concordato o all’accordo di ristrutturazione dei debiti. S i rileva, infine, l’ampiezza dei

 poteri discrezionali attribuiti al giudice.

di GIORGIO COSTANTINO 

1.  Nell’ambito del dibattito che ha preceduto e che ha accompagnato la riformadella legge fallimentare e le sue prime applicazioni, le esigenze della economia sono

state contrapposte al diritto, i bisogni del mercato ai valori della giurisdizione.Sennonché, quando si discute delle «responsabilità in caso di default », non è

 possibile prescindere dalla operatività delle regole processuali: si è di fronte ad unconflitto che deve essere composto.

In questa prospettiva, appare ragionevole dubitare che mercato e giurisdizioneimplichino esigenze e valori contrapposti e non siano conciliabili: l’economia non può

 prescindere dalle regole e queste, in presenza di una controversia, devono poter essereattuate e fatte rispett are anche contro la volontà dei consociati.

La riforma delle procedure concorsuali, di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 6, e aldecreto correttivo 12 settembre 2007, n. 169, ha sostituito l’autonomia privata alcontrollo giudiziale e ai poteri di gestione del tribunale, considerati inefficienti e fontedi ingiustificati ritardi.

La nuova disciplina del fallimento prevede una pluralità di varianti del procedimento camerale di cui agli artt . 737 ss. c.p.c.: uno per la dichiarazione difallimento, un altro per i reclami endofallimentari, altri ancora per la verifica dei crediti,

 per la omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione; inaltre ipotesi, il legislatore delegato si è limitato a prevedere che il procedimento è « in

camera di consiglio».Appare ragionevole dubitare che una tale varietà di procedimenti contribuisca

alla «accelerazione delle procedure», come stabilito dalla legge delega. Le questioni

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RELAZIONI A CONVEGNIR ESPONSABILITÀ DEL PROFESSIONISTA 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201266

relative a ciascuno e, soprattutto, le questioni di coordinamento tra di essi, quelle con ladisciplina comune e con le altre disposizioni processuali hanno concentrato l’attenzionedegli interpreti e degli operatori sulle forme del p rocedimento, piuttosto che sui conflittisostanziali. Ne consegue che lo svolgimento dei diversi procedimenti camerali previstinell’ambito delle procedure camerali anche per la definizione di controversie è affidatoall’estro ed alla fantasia dei giudici che se ne occupano e che la garanzia dell’effettivofunzionamento del «giusto processo» è affidata al controllo di legalità che puòesercitare ex post la Corte di cassazione.

2. Con specifico riferimento alle responsabilità degli «attestatori»1, si puòricordare che le relazioni indicate negli artt. 161, co. 3°, e 182 bis, co. 1°, l.f., nonchéquella prevista dall’art. 67, co. 3°, lett. d ), l.f., possono essere redatte da «avvocati,

dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti» o da «studi professionaliassociati o società tra professionisti», iscritti  nel registro dei revisori contabili. Irequisiti soggettivi sono i medesimi nelle tre ipotesi: gli artt. 182 bis, co. 1°, e 161, co.3°, l.f. rinviano all’art. 67, co. 3°, lett. d ), l.f. il quale, a sua volta, richiama gli artt. 28l.f. e 2501 bis, co. 4°, c.c.; l’art. 2501 bis, co. 4°, c.c. rinvia all’art. 2501 sexies, co. 3°,c.c., il quale, a sua volta, indirizza all’art. 2409 bis, co. 1°, c.c.  

 Né l’art. 67, co. 3°, lett. d ), né l’art. 161, co. 3°, né l’art. 182 bis, co. 1°, l.f. né ledisposizioni richiamate p revedono la nomina ufficiosa del professionista.

Questi può e deve essere designato soltanto dall’imprenditore2.

1 Rinvio, per indicazioni, a  La gestione della crisi d’impresa tra contratto e processo, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di F. Di Marzio e F. Macario, Milano, 2010, 207;ora anche in Riflessioni sulla giustizia (in)civile, Torino, 2011, 560.2 In riferimento al «piano di risanamento», si è infatti osservato che se «il legislatore ha volutoapprestare queste specifiche tutele al debitore (poi fallito) ed ai creditori, appare

sproporzionato ritenere che la scelta del professionista attestatore debba essere effettuata dal

 presidente del tribunale, come la legge richiede nel più delicato e complesso caso di fusione,dovendosi in questa, con la valutazione della congruità del rapporto di cambio tutelare, in via

 preventiva ed attraverso la relazione di un esperto indipendente, i soci delle società

 partecipanti alla operazione mentre, nel caso di piano di risanamento, il professionistaattestatore si pone in una posizione di garanzia nei confronti dei terzi creditori del debitore che

elabora il piano. D’altra parte il legislatore, quando ha voluto che l’esperto assumesse una posizione di indipendenza, ne ha demandato espressamente la nomina al «tribunale» (v. art.

124, terzo comma l.fall., che richiama l’art. 67, terzo comma lett. d), mentre ne ha lasciato

all’imprenditore la scelta (secondo l’opinione assolutamente prevalente e preferibile) nei casidi cui al secondo comma dell’art. 160, all’art. 161, terzo comma e 182 bis  l.fall.» (così, inmotivazione Trib. Milano 16 luglio 2008, in Fallimento , 2009, 75, con nota di F. DIMUNDO). Siè, tuttavia, ritenuto che «l’insufficiente inquadramento di un adeguato regime di forma giustificaun serio sospetto di possibile utilizzo in collusione o distrazione preferenziale a favore di alcunicreditori che così potrebbe essere alla base, neanche tanto paradossalmente, di una rinnovata

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RELAZIONI A CONVEGNIR ESPONSABILITÀ DEL PROFESSIONISTA 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201267

In mancanza della espressa previsione legislativa di un potere ufficioso dinomina, appare scontato che, anche prescindendo dalla abrogazione dell’art. 29 d.lgs. 17gennaio 2003, n. 5, esso debba essere negato. Se la disciplina positiva riservaall’imprenditore in crisi la designazione dell’esperto, questi non può spogliarsenechiedendo la nomina al tribunale o al presidente di questo. Il provvedimento nonavrebbe alcuna efficacia vincolante: la parte, unica titolare del potere di nomina,

 potrebbe investire altro professionista; qualora abbia designato quello indicato daltribunale o dal presidente potrebbe revocarlo. Il compenso del professionista non

 potrebbe essere chiesto, né liquidato dal tribunale.

In riferimento alla nomina dell’esperto nelle tre ipotesi considerate, apparechiara la scelta legislativa in favore della autonomia privata con la esclusione diqualsivoglia potere giudiziale3.

La relazione di cui all’art. 182 bis, co. 1°, l.f. e quella di cui all’art. 161, co. 3°,l.f. sono documenti che accompagnano gli atti introduttivi dei relativi procedimenti: ilricorso per la omologazione dell’accordo di ristrutturazione e la proposta di concordato

 preventivo. Sono atti anteriori al contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario. Il depositodi esse, unitamente al ricorso, è un requisito formale della ammissibilità di esso.

aggressività di altri, estranei alla sfera di intervento del piano stesso; il che confligge con la

finalità incentivante il mezzo privatistico quale modello di risanamento alternativo alle procedure concorsuali e di pari efficacia giuridica»; e si è dichiarata ammissibile la nominadell’esperto da parte del tribunale ai sensi dell’art. 29 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (abrogatodall’art. 54, co. 5°, della legge di riforma definitivamente approvata dal Parlamento il 26maggio 2009) (così Trib. Bari, 14 agosto 2008, in Fallimento, 2009, 467, con nota di P.BOSTICCO).3 Il che non esclude, tuttavia, che, a fronte di una richiesta della parte, il presidente del tribunaleo il tribunale abbiano il potere di indicare un professionista. L’assenza di un potere di nominanon sembra sia ragione sufficiente a vietare l’ indicazione. Essa, però, avrebbe un mero effetto

 psicologico nei confronti del ceto creditore; in assenza di qualsivoglia disposizione in tal senso,non avrebbe alcuna rilevanza giuridica; potrebbe essere ignorata dalla parte che pure l’abbiarichiesta; nel caso sia seguita, non impedirebbe alla parte di revocare il mandato. La mancanza

della espressa previsione legislativa di un potere ufficioso di nomina, inoltre, se non vietal’indicazione, comunque affatto priva di effetti giuridici, consente di disattendere la richiestadella parte senza incorrere nella violazione del principio generale della corrispondenza trachiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. In considerazione di ciò, l’indicazione ufficiosa èaffidata ad una valutazione di opportunità, rimessa all’organo decidente (in questo senso, « per 

la ritenuta sussistenza di un principio, immanente nell’ordinamento, secondo cui sono sempre possibili interventi surrogatori del giudice in tutti i casi in cui sia ravvisabile un interesse

 pubblico rilevante», Trib. Treviso, 9 giugno 2009, inedito). Residua, peraltro, un problemameramente formale: poiché appare escluso un potere di nomina e non è previsto, né vietato,quello di indicazione, manca, nei registri di cancelleria, uno spazio nel quale collocarel’eventuale indicazione del presidente.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201268

D’altro canto, la relazione di cui all’art. 67, co. 3°, lett. d ), l.f. offre la provadell’esistenza del « piano di risanamento», che costituisce un fatto estintivo del dirittodegli organi della procedura concorsuale ad ottenere la dichiarazione di inefficacia degliatti di disposizione dell’impresa fallita e per il quale non è previsto alcun meccanismodi pubblicità; si discute, infatti, della data certa di essa.

Si tratta, in ogni caso, di atti predisposti nell’interesse della parte, obbligata al pagamento della prestazione dell’esperto, l’esibizione dei quali in giudizio è regolatadall’art. 87 disp. att. c.p.c. e, nel caso in cui l’atto sia su supporto informatico, dall’art.13 d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, succeduto all’art. 14 d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123.

Determinato il contesto, appare difficile negare che le relazioni sulla «attuabilitàdell’accordo» di cui all’art. 182 bis, co. 1°, l.f. sulla « fattibilità del piano» di cui all’art.161, co. 3°, l.f. e sulla «idoneità» del « piano d i risanamento» di cui all’art. 67, co. 3°,co. 3°, lett. d ), l.f. siano consulenze tecniche di parte, sia pure qualificate, ma comunqueatti prodotti da una parte, rispetto ai quali non può essere negato il diritto alla provacontraria.

3. Una possibile risposta alla esigenza di garantire, nei confronti dei creditori edei terzi, l’effettiva indipendenza e terzietà dell’esperto, peraltro, potrebbe essere

 perseguita utilizzando la consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696 bis c.p.c.La disposizione, aggiunta dall’art. 2, co. 3°, lett . e bis), n. 6), d.l. 14 marzo 2005,

n. 35, conv. dalla l. 14 maggio 2005, n. 80, infatt i, consente di chiedere «l’espletamento

di una consulenza tecnica, in via preventiva» «ai fini dell’accertamento e della relativadeterminazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni

contrattuali o da fatto illecito».Le relazioni sulla «attuabilità dell’accordo» di cui all’art. 182 bis, co. 1°, l.f.

sulla « fattibilità del piano» di cui all’art. 161, co. 3°, l.f. e sulla «idoneità» del « piano di

risanamento» di cui all’art. 67, co. 3°, co. 3°, lett. d ), l.f. presuppongono ed implicanol’«accertamento» e la «relativa determinazione dei crediti» che non possono esseresoddisfatti o non possono essere soddisfatti esattamente.

La prima è funzionale ad un accordo stragiudiziale con i creditori

«rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti» destinato ad essere omologatodal tribunale affinché sia opponibile anche agli altri creditori. Tale accordo potrebbeconcludersi anche innanzi al consulente designato dal giudice, ai sensi dell’art. 696 bis,co. 1°, c.p.c., ma non potrebbe acquistare efficacia esecutiva, ai sensi del successivocapoverso; dovrebbe essere pubblicato nel registro delle imprese e, quindi, presentato altribunale per la omologazione.

La seconda e la terza presuppongono ed implicano anche l’«accertamento» e la«determinazione dei crediti» che non possono essere soddisfatti o non possono esseresoddisfatti esattamente, ma prescindono dal consenso dei creditori. Il che, tuttavia, nonesclude che questi ultimi possano essere coinvolti anche nelle forme di cui all’art. 696

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201269

bis c.p.c., opportunamente adeguate alle specifiche esigenze delle relative fatt ispecie.L’imprenditore in crisi potrebbe, quindi, chiedere al presidente del tribunale, ai

sensi dell’art. 696 bis c.p.c. la nomina di un consulente, affinché, in contraddittorio con icreditori, accerti e determini i crediti e predisponga un accordo di ristrutturazione, aisensi dell’art. 182 bis l.f. ovvero un piano di risanamento, ai sensi dell’art. 161, co. 3°, odell’art. 67, co. 3°, co. 3°, lett. d ).

L’applicazione dell’art. 696 bis c.p.c. implica evidentemente uno sforzointerpretativo di adeguamento.

Appunto in considerazione dell’esigenza di garantire l’imparzialità del

 professionista, infatti, è diffusa la prassi di concordare con il ceto creditorio la suadesignazione nelle tre ipotesi in esame.

Sennonché, anche qualora si utilizzi l’art. 696 bis c.p.c., le consulenze di parte, pur qualificate, o acquisite al di fuori del processo relativo alla controversia in funzionedella quale sono state predisposte, non avrebbero valore vincolante per il giudice diessa: ai sensi dell’art. 698, co. 2°, c.p.c., infatti, «l’assunzione preventiva dei mezzi di

 prova non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza, né 

impedisce la loro rinnovazione nel giudizio di merito»4.A ben vedere, non potrebbe essere altrimenti, in riferimento al diritto alla prova,

che costituisce elemento fondamentale del diritto di azione e di difesa di cui all’art. 24Cost.

 Nell’ambito dei processi sulle opposizioni alla omologazione degli accordi diristrutturazione o del concordato preventivo e di quelli sulle azioni revocatorie alle qualisia opposta l’esenzione di cui all’art. 67, co. 3°, lett. d ) l.f., non potrebbe attribuirsiefficacia vincolante alle relazioni sulla «attuabilità dell’accordo» di cui all’art. 182 bis,co. 1°, sulla « fattibilità del piano» di cui all’art. 161, co. 3°, l.f. o sulla « idoneità» del« piano di risanamento», ai sensi dell’art. 67, co. 3°, lett. d ), anche qualora il

 professionista che le ha redatte fosse stato nominato dal presidente del tribunale ai sensidell’art. 696 bis c.p.c.

4. Questa conclusione consente anche di definire la responsabilità del

 professionista nelle tre ipotesi considerate.Il suo compito consiste nella stesura di una relazione sulla «attuabilitàdell’accordo» di cui all’art. 182 bis, co. 1°, ovvero sulla « fattibilità del p iano» di cuiall’art. 161, co. 3°, o sulla «idoneità»  del « piano di risanamento», in funzionedell’esenzione dalla revocatoria, ai sensi dell’art. 67, co. 3°, lett. d ); in relazione alla

 proposta di concordato preventivo è tenuto anche ad attestare «la veridicità dei datiaziendali». Quest’ultima implica una dichiarazione di scienza; le altre sono valutazioni

4 V., con specifico riferimento alla consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696 bis c.p.c.,Cass. 14 settembre 2007, n. 19254, e Cass. 29 maggio 2008, n. 14187.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201270

tecniche.In ogni caso, secondo le forme di volta in volta previste per la definizione delle

controversie, in base ai principî generali in tema di diritto alla prova, le affermazioni del professionista possono essere contestate dalle altre parti e valutate dal giudice.Quest’ultimo non può limitarsi a prendere atto delle relazioni, ma, nell’ambito dellerispettive controversie e in base ai rilievi delle parti, deve indicare le ragioni per le qualicondivide, o no, la consulenza tecnica di parte; a tal fine può disporre consulenzatecnica d’ufficio.

 Non sembra, pertanto, che le ipotesi in esame possano essere assimilate alla

relazione di stima del patrimonio sociale ai sensi dell’art. 2501 sexies c.c., né che possaessere richiamata la responsabilità del consulente d’ufficio ai sensi dell’art. 64 c.p.c.:nella prima ipotesi, la responsabilità nei confronti dei terzi del professionista, al pari diquella delle società di revisione, si fonda sulla circostanza che è funzionale a suscitarel’affidamento dei terzi al di fuori di una controversia, nella seconda sulla ufficiositàdell’incarico 5. 

In ciascuna delle ipotesi in esame, invece, come si è posto in evidenza, larelazione del professionista designato dalla parte interessata può essere contestata dallealtre parti e deve essere valutata dal giudice: cost ituisce un requisito di ammissibilità delricorso p er l’omologazione degli accordi di rist rutturazione, ai sensi dell’art. 182 bis, co.1°, l.f. e di quello per la proposta di concordato preventivo, ai sensi dell’art. 161, co. 3°,l.f. nonché il fondamento della eccezione contro l’azione revocatoria, ai sensi dell’art.67, co. 3°, lett. d ), l.f.

L’affidabilità delle relazioni, nel quadro della disciplina, deriva dal contenuto diesse, non dai criterî di nomina del professionista che le ha redatte: esse debbonoconvincere i creditori prima del giudice, perché, soltanto se questi ne contestano ilfondamento, il giudice potrà valutarle nel merito.

 Ne consegue che, nei confronti della parte che lo ha nominato, il p rofessionistarisponde per responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 2236 c.c.

Poiché le relazioni sulla «attuabilità dell’accordo» di cui all’art. 182 bis, co. 1°,l.f. sulla « fattibilità del piano» di cui all’art. 161, co. 3°, l.f. e sulla «idoneità»   del

« piano di risanamento» di cui all’art. 67, co. 3°, co. 3°, lett. d ), l.f. sono destinate asuscitare (e, nelle ipotesi considerate, si presume abbiano suscitato) l’affidamento, puòrispondere, per responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., nei confrontidei creditori che abbiano prestato il proprio consenso all’accordo di ristrutturazione dicui all’art. 182 bis l.f., nei confronti dei creditori e dei terzi che abbiano aderito alla

 proposta di concordato preventivo ai sensi dell’art. 178 l.f. e nei confronti dei terzi che,in base al « piano di risanamento», abbiano concluso att i, ricevuto pagamenti o garanziedelle quale è stata chiesta la revoca. I creditori ed i terzi che hanno confidato nelle

5 Cfr. Cass. 4 febbraio 2000, n. 1240, in Foro it., 2001, con nota di P. LUCARELLI.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201271

relazioni, rivelatesi poi false o inaffidabili, non sono legati da alcun rapporto con gli«attestatori», cosicché non sembra possano invocarne la responsabilità contrattuale. Essisono tenuti ad allegare e, in caso di contestazione, a provare l’evento dannoso, il fattoingiusto, il danno, la responsabilità del professionista ed il nesso di causalità; non

 possono limitarsi a dedurre l’inadempimento, addossando all’altra parte l’onere diallegare e provare che esso è dipeso da causa non imputabile, ai sensi dell’art. 1218 c.c.

Gli «attestatori» non sembra possano essere chiamati a rispondere nei confrontidei creditori che si oppongano alla omologazione dell’accordo di ristrutturazione o della

 proposta di concordato preventivo o nei confronti degli organi del fallimento che

abbiano chiesto la revoca degli att i, dei pagamenti e delle garanzie concesse su beni deldebitore posti in essere in esecuzione di un piano di risanamento. Questi soggetti,infatti, non hanno riposto alcun affidamento nelle relazioni del professionista, necontestano il contenuto e, a tal fine, dovrebbero essere ammessi a valersi di ogni mezzodi prova.

A ben vedere, ogni diversa soluzione, nella parte in cui attribuisce alle relazioni  un’efficacia di prova legale non prevista dalla legge e, conseguentemente, limita oesclude il diritto alla prova contraria, non solo conduce a soluzioni in palese contrastocon le elementari garanzie costituzionali del giusto processo,  ma, dal punto di vistaeconomico, scarica sul professionista i rischi della «attuabilità dell’accordo» diristrutturazione e quelli della « fattibilità del piano» connesso alla proposta diconcordato preventivo, nonché le conseguenze del fallimento del « piano di

risanamento». Nell’esercizio della attività di impresa e, quindi, anche nella gestione della crisi,

invece, il rischio non può che essere imputato all’imprenditore.Questi può rivalersi nei confronti dei propri collaboratori, se la responsabilità,

nei limiti di cui all’art. 2236 c.c., di scelte rivelatesi errate sia imputabile a questi ultimi.Costoro, inoltre, al pari delle società di revisione, possono essere chiamati a

rispondere nei confronti dei terzi che abbiano riposto affidamento nella loro attività.Ma appare corretto escludere che il professionista risponda anche nei confronti

dei terzi che contestino gli atti compiuti in base alle relazioni, perché, nelle ipotesi

considerate, l’affermazione della responsabilità presuppone che i terzi ne subiscano, inqualche modo, un’efficacia di accertamento e non possano valersi, invece, di ognimezzo di prova per negarne il fondamento.

5. In realtà, una ragionevole ricostruzione del sistema induce a ritenere che, inmancanza di contestazioni, al giudice sia precluso sindacare il merito delle relazionisulla «attuabilità dell’accordo» di cui all’art. 182 bis, co. 1°, l.f., sulla « fattibilità del

 piano» di cui all’art. 161, co. 3°, l.f. e sulla «idoneità» del « piano di risanamento», infunzione dell’esenzione dalla revocatoria, ai sensi dell’art. 67, co. 3°, lett. d ), l.f.; i

 poteri ufficiosi debbono arrestarsi di fronte alla autonomia delle parti, come avviene, ad

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201272

esempio, di fronte al riconoscimento di una scrittura privata ai sensi dell’art. 215 c.p.c.,al riconoscimento dei crediti ai sensi dell’art. 499, ult. cpv., c.p.c., alla dichiarazione

 positiva del terzo debitor debitoris ai sensi dell’art. 547 c.p.c., alla mancata opposizionedell’intimato nel procedimento di convalida, ai sensi dell’art. 663 c.p.c. ed in altreconsimili fattisp ecie.

L’applicazione del principio di maggioranza negli accordi di ristrutturazione enel concordato preventivo implica il sacrificio dei creditori estranei ai primi e nonaderenti al secondo e, comunque, sembra escludere che, in assenza di opposizioni, ilgiudice possa farsi carico della loro tutela.

Il compito del giudice appare limitato, oltre che alla verifica dei presuppostiformali, a quella della corretta formazione della maggioranza 6.

 Non è, peraltro, inopportuno precisare che, anche in assenza di contestazioni,l’esercizio dei poteri ufficiosi del giudice, se deve arrestarsi in riferimentoall’accertamento ed alla valutazione dei fatti attestati nelle relazioni, non escludel’applicazione della legge e l’osservanza delle norme inderogabili.

Qualora, invece, l’«attuabilità dell’accordo» di cui all’art. 182 bis, co. 1°, l.f., la« fattibilità del piano» di cui all’art. 161, co. 3°, l.f. o l’«idoneità»   del « piano dirisanamento» siano contestate, con l’opposizione alla omologazione dell’accordo diristrutturazione o del concordato preventivo o con la negazione dell’efficacia del fattoestintivo della proposta revocatoria, alle parti, rimaste estranee agli accertamenti ed allevalutazioni poste a fondamento delle relazioni, occorre riconoscere il p ieno esercizio del

6 Nel senso, infatti, che «in tema di concordato preventivo, nel regime conseguente all’entratain vigore del d.lgs. n. 169 del 2007 che è caratterizzato da una prevalente natura contrattuale, e

dal decisivo rilievo della volontà dei creditori e del loro consenso informato, il controllo del

tribunale nella fase di ammissibilità della proposta, ai sensi degli art. 162 e 163 l.fall., ha per oggetto solo la completezza e la regolarità della documentazione allegata alla domanda, senza

che possa essere svolta una valutazione relativa all’adeguatezza sotto il profilo del merito; ne

consegue che, quanto all’attestazione del professionista circa la veridicità dei dati aziendali ela fattibilità del piano, il giudice si deve limitare al riscontro di quegli elementi necessari a far 

sì che detta relazione - inquadrabile nel tipo effettivo richiesto dal legislatore, dunque

aggiornata e con la motivazione delle verifiche effettuate, della metodologia e dei criteri seguiti- possa corrispondere alla funzione, che le è propria, di fornire elementi di valutazione per i

creditori, dovendo il giudice astenersi da un’indagine di merito, in quanto riservata, da un lato,alla fase successiva ed ai compiti del commissario giudiziale e, dall’altro, ai poteri di cui è

investito lo stesso tribunale, nella fase dell’omologazione, in presenza di un’opposizione, alle

condizioni di cui all’art. 180 l.fall.», v. Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860, in Foro it., 2011, I,105, con nota di richiami di M. FABIANI; in Giur. it., 2011, 856; e in Fallimento, 2011, 167, connote di M. FABIANI e di G. BOZZA. Il principio è stato affermato in accoglimento, con rinvio,del ricorso contro il decreto di rigetto della domanda di ammissione alla procedura diconcordato, «con valutazioni sul merito della fattibilità del piano concordatario e con modalità

decisorie, dalle quali è conseguita l’ammissibilità del ricorso ex art. 111 cost.».

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201273

diritto alla prova.In tal caso, gli eventuali vizi, le inesattezze e le falsità delle relazioni possono

costituire il fondamento di pretese risarcitorie ai sensi dell’art. 96, co. 1°, c.p.c. neiconfronti della parte che si è consapevolmente avvalsa delle relazioni viziate, inesatte ofalse. L’imprenditore, unico ed esclusivo titolare del potere di nomina del professionista,

 potrà farne valere la responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 2233 c.c.; i terzi chehanno fatto affidamento sulla relazione che attesta l’«attuabilità dell’accordo» di cuiall’art. 182 bis, co. 1°, l.f. la « fattibilità del piano» di cui all’art. 161, co. 3°, l.f. ol’«idoneità»  del « piano di risanamento» potranno farne valere la responsabilità

aquiliana ai sensi dell’art. 2043 c.c. Il giudice, la parte che lo ha nominato e le altre parti potranno anche denunciarne l’eventuale responsabilità disciplinare.

Questa ricostruzione, apparentemente idonea a conciliare autonomia privata etutela giurisdizionale e formalmente compatibile con i principî deducibili dallaCostituzione, tuttavia, deve fare i conti con l’ambiguità delle fonti normative.

In mancanza di opposizioni alla omologazione degli accordi di ristrutturazionedi cui all’art. 182 bis, l.f., sembra ragionevole ritenere che il tribunale non possadisporre consulenza tecnica di ufficio, ai sensi dell’art. 61 c.p.c., per verificarel’«attuabilità dell’accordo», ma debba limitare il giudizio alla verifica della sussistenzadei presupposti formali.

6. Sennonché, ai sensi dell’art. 738, co. 2°, c.p.c. «il giudice può assumere

informazioni», né vi sono rimedî contro il provvedimento con il quale sia ordinata unaconsulenza tecnica; il reclamo, infatti, potrebbe essere proposto dall’imprenditorericorrente soltanto contro il p rovvedimento che nega l’omologazione.

Qualora siano proposte opposizioni, oggetto della controversia possono essere idiritti di credito falcidiati dall’accordo, i diritti dei soci illimitatamente responsabili, deifideiussori e di «qualunque interessato», nonché il diritto dell’imprenditore proponente.

 Ne consegue che sembra difficile negare che il decreto reso della corte di app elloin sede di reclamo sia ricorribile per cassazione. L’orientamento della Corte inriferimento al corrispondente provvedimento sulla proposta di concordato preventivo

conferma tale interpretazione: come si è ricordato, lì la proponibilità del ricorso è negata perché il provvedimento negativo conduce al fallimento, cosicché la tutela delle partitrova spazio nel relativo procedimento; è, invece, riconosciuta allorché al

 provvedimento, per le ragioni sulle quali si fonda, non possa seguire la dichiarazione difallimento.

Anche in queste ipotesi, tuttavia, «il rispetto del principio del contraddittorio, losvolgimento di un’adeguata attività probatoria, la possibilità di avvalersi della difesa

tecnica» sono affidati alla valutazione del singolo tribunale, sebbene p ossa dubitarsi chesia un rimedio sufficiente «la facoltà della impugnazione - sia per motivi di merito che

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201274

 per ragioni di legittimità - della decisione assunta»7.In considerazione della assoluta deformalizzazione del procedimento e della

ricorribilità per cassazione del decreto della corte di appello, infatti, ciò significa che,alla fine, le regole del procedimento sono affidate alla buona volontà dell’organogiudicante, sulla traccia segnata dalla giurisp rudenza additiva della Cassazione.

Ad analoga conclusione appare necessario pervenire in riferimento alleopposizioni contro l’omologazione del concordato preventivo: anche qui il rispetto del

 principio del contraddittorio è affidato all’esercizio dei poteri del giudice, mentre losvolgimento di un’adeguata attività probatoria, come si è rilevato, è regolato dalla

disciplina comune.L’accertamento della esenzione dalla revocatoria di cui all’art. 67, co. 3°, lett. d ),

l.f. suscita analoghe questioni soltanto nei casi in cui sia applicabile l’art. 24, co. 2°,abrogato dal decreto «correttivo».

In ogni caso, la tutela dei diritti delle parti e il rispetto dalla autonomia privatarestano affidati all’esercizio dei poteri del giudice nella direzione del processo.

Ciò comporta la formazione di discordi prassi applicative nei diversi tribunaliche affollano il territorio della Repubblica.

La manifestata intenzione di attribuire prevalenza al mercato sulle regole legali,alla economia rispetto alla giurisdizione si è, in concreto, tradotta nella attribuzione dimaggiori poteri discrezionali al giudice e nella riduzione dei poteri di controllo delle

 parti.Gli sforzi interpretativi, infatti, si scontrano con l’ampiezza dei poteri

discrezionali attribuiti al giudice anche in riferimento al rispetto di garanziefondamentali.

Il dibattito generale sui rapporti tra economia e diritto, tra mercato egiurisdizione si traduce nello stabilire se, in mancanza di opposizioni agli accordi diristrutturazione di cui all’art. 182 bis l.f. o al concordato preventivo di cui all’art. 161l.f., il giudice abbia il potere di valutare nel merito gli accordi o la proposta in funzionedella sua ammissibilità e, in caso positivo, se possa disporre consulenza tecnicad’ufficio; e se, nell’ambito dei processi sulle opposizioni e in quello sull’azione

revocatoria, alla quale sia opposta l’esenzione di cui all’art. 67, co. 3°, lett . d ), l.f. possaessere pienamente esercitato il diritto alla prova.La risposta negativa nella prima ipotesi e quella positiva nella seconda debbono

fare i conti con il generico potere attribuito al giudice di «assumere informazioni», aisensi dell’art. 738 c.p.c., e con la mancanza di adeguati rimedî a disposizione delle parti.

In assenza di regole predeterminate e di adeguati strumenti di controllo dei provvedimenti giudiziali, il rischio consiste nell’arbitrio del giudice.

7 Così Corte cost. 29 maggio 2009, n. 170, in Fallimento, 2009, 1268.

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RELAZIONI A CONVEGNIR ESPONSABILITÀ DEL PROFESSIONISTA 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201275

La questione fondamentale, allora, diventa quella della preventiva conoscenzadelle prassi applicative, secondo un percorso iniziato 2.500 anni addietro da AppioClaudio con la pubblicazione nel foro delle leggi delle dodici tavole, perché,nell’ordinamento positivo vigente unitariamente considerato, il processo non è e non

 può essere un mistero per iniziati.

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RELAZIONI A CONVEGNI

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012

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IL RUOLO DELL’ESPERTOATTESTATORE NEL QUADRO DEGLI

ACCORDI GIUDIZIALI ESTRAGIUDIZIALI NELLE CRISI DI

IMPRESA: LE “DIMENSIONI” E LE“PROSPETTIVE” DI ANALISI  La relazione affronta alcuni aspetti dell’attività dell’esperto attestatore negli accordi

tra impresa e creditori realizzati in situazioni di crisi aziendale.  

di ANGELO PROVASOLI 

Autorità, Signore e Signori,

il mio intervento intende sviluppare alcune riflessioni in merito al ruolo eall’attività dell’esperto attestatore negli accordi tra impresa e creditori realizzati insituazioni di crisi aziendale.

La disciplina fallimentare, come noto, p revede l’intervento dell’esperto:•  all’art. 67, 3° comma (c.d. ristrutturazione stragiudiziale dei debiti), in

cui egli è chiamato a esprimersi in merito alla ragionevolezza del piano diristrutturazione, intesa quale idoneità dello stesso “a consentire il risanamento della

esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione

 finanziaria”;•  all’art. 161, 3° comma (richiesta di ammissione al concordato

 preventivo), in cui il p rofessionista si esprime, tra l’altro, “sulla fattibilità del piano”funzionale alla richiesta di concordato;

•  all’art. 182 bis, 1° comma (ristrutturazione giudiziale dei debiti), in cui il professionista si pronuncia sulla “attuabilità dell’accordo … [di ristrutturazione deidebiti] , con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare

 pagamento dei creditori estranei”.A mezzo degli istituti ricordati il legislatore ha dunque voluto attribuire ad un

esperto il compito di giudicare la fattibilità di talune prospettazioni economico-finanziarie funzionali alla realizzazione di “accordi” con il ceto creditorio in situazionidi patologia aziendale.

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RELAZIONI A CONVEGNIIL RUOLO DELL’ESPERTO ATT ESTATORE

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012

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Le riflessioni intendono tratteggiare le “dimensioni” più rilevanti delle indaginiche l’esperto compie e le “prospettive” secondo cui tali indagini sono svolte.

Le considerazioni prendono spunto da esperienze vissute nell’ambitodell’istituto del concordato preventivo, ma sono per gran parte estendibili alle altreipotesi di intervento professionale in precedenza richiamate.

Anzitutto le “dimensioni” dei processi di indagini svolti dall’esperto. Secondo ildettato normativo dell’art. 161 LF esse si compendiano (i) nel riscontro della “veridicitàdei dati aziendali” e (ii) nell’apprezzamento della “fattibilità del piano” economico-

finanziario che, nel concordato, accompagna il ricorso.L’attestazione della veridicità dei dati aziendali è, come noto, testualmenterichiesta dalla norma ai fini del ricorso alla procedura di concordato preventivo.Tuttavia, per quanto non formalmente pretesa, essa è senz’altro implicita anche neigiudizi che l’esperto formula nelle altre fatt ispecie previste nella disciplina fallimentare,come verosimilmente è anche in fattispecie che si collocano al di fuori di essa, adesempio nelle attestazioni di cui al 2501 bis c.c.. Nelle aziende, invero, non può esservialcuna ragionevole previsione di risultati se manca il raccordo con misure attendibili di

 patrimoni e redditi passati.E’ rilevante però intendersi sul significato attribuibile all’espressione

“veridicità dei da ti aziendali”.

Il concetto di “veridicità” può essere assimilato, secondo il comune sentire, aquello di “corrispondenza al vero”. Il rinvio è dunque alla nozione di “vero” e a quelladell’azione volta a identificare la “corrispondenza al vero”.

Sulla nozione di “vero” mi astengo da qualsiasi disquisizione filosofica inargomento, limitandomi a dichiarare che il “vero” a cui mi riferisco non è unaconcezione assiomatica, dovendo essere apprezzato non soltanto in termini di “misura”ma anche di “qualità” dei dati aziendali rappresentati nelle situazioni patrimoniali,economiche e finanziarie o riportati nelle determinazioni prospettiche dei piani diriassetto e/o di liquidazione.

Le grandezze, in economia aziendale, assumono significato e, talora, persinomisura in funzione dei rispettivi attributi, caratteristiche e condizioni. Pur nelle lorodeclinazioni consuntive i valori implicano l’assunzione di ipotesi che, non di rado,almeno in parte, sono soggettive o richiedono l’utilizzo di stime.

Dunque, quella di cui si parla è una coniugazione del concetto di verofunzionale alla materia delle valutazioni aziendali, la cui percezione è essenziale per unacompiuta comprensione dei risultati dell’attestazione. Nascono in argomento problemidiversi, ma intrecciati, in funzione del contenuto dei dati (ad esempio, storici e

 prospett ici), della documentazione, dei tempi di riferimento e del reperimento di fonti di prova.

 Nella prospettiva qui considerata l’incisività dell’attività ricostruttiva e di quella

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di verifica delle situazioni storiche eseguita dall’attestatore, e delle quali l’attestatoredeve dare ampia traccia nella propria relazione, assumono certamente un ruoloessenziale.

La seconda dimensione dei processi di indagine concerne la “fattibilità” del

 piano economico-finanziario.

Rispetto a tale profilo, il giudizio professionale dell’attestatore concerne sia latenuta del piano dal punto di vista del processo che ne ha guidato la redazione, sia laragionevolezza dei risultati che esso esprime, anche nella loro articolazione temporale,

sia gli asp etti di volatilità residua che qualunque sforzo previsionale, ancorché razionalee prudente, porta inevitabilmente con sé.L’indagine da compiere è naturalmente differente in funzione della natura della

 procedura nel cui contesto l’attestazione è richiesta: procedura liquidatoria o incontinuità.

 Nella procedura liquidatoria, che in specifiche concrete fattispecie potrebberiguardare anche un solo segmento dell’intera attività aziendale, l’espressione delgiudizio di fattibilità, in sede concordataria, impone di procedere con scrupolosa

 professionalità: (1) all’inventariazione e alla valutazione, secondo prudenti criteri direalizzo, delle attività aziendali; (2) all’identificazione ed al riscontro valutativo delle

 passività da estinguere (3) alla stima dei costi di diversa specie connessi ai processi di

liquidazione; (4) alla rappresentazione in scala temporale dei flussi di cassa in entrataed in uscita generati dalla gestione liquidatoria e da quella finanziaria (5) allagraduazione dell’ordine, della misura e dei tempi di soddisfacimento del passivo,secondo il rango d i app artenenza di ciascun creditore.

Vuoi per la determinazione delle singole componenti, vuoi per gli aggregatisignificativi di essi, vuoi per l’intero assieme del processo liquidatorio previsto,l’attestatore, in simili fattispecie, è chiamato a ripercorrere le principali implicazionigiuridiche, economiche, patrimoniali e finanziarie delle scelte dell’impresa e dei suoiconsulenti; a valutare la congruità delle stime sottostanti il piano e a riconsiderare lecircostanze di incertezza e indeterminazione che ne emergono.

In ipotesi di continuità aziendale, pur nell’ambito di una proceduraconcordataria, la prospettiva d’indagine dell’attestatore, naturalmente, muta. Simanifestano in tal caso rilevanti analogie con le verifiche di piani aziendali di aziende in

bonis. Tuttavia, la consapevolezza che la gestione dell’azienda, specie primadell’omologa del concordato, risente della presenza di vincoli finanziari stringenti e simuove entro gradi di libertà complessivamente limitati, suggerisce all’attestatore unatteggiamento di particolare prudenza. Nella maggior parte dei casi, l’investigazionesostanziale a cui ho appena accennato è effettuata impiegando le competenze tecnichedel professionista incaricato e del suo Studio. Tuttavia, in talune situazioni di particolarecomplessità, l’espletamento

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dell’incarico richiede la mobilitazione e il coordinamento di competenze aggiuntive.Basti considerare che molte ipotesi di piano prevedono operazioni di riassetto societarioche, a loro volta, presuppongono accordi con soci o terzi, cessioni condizionate di benio di aziende - nelle quali il corrispettivo proposto è totalmente o parzialmentecorrisposto mediante accollo di porzioni di passivo -, investimenti e finanziamenti,questi ultimi spesso temporanei ma talora strutturali in ragione delle esigenze di rami diazienda per cui è proposta continuità, rinunce a diritti, risoluzione di contratti, anche indanno. I riflessi di queste operazioni spaziano nelle aree dell’economia aziendale, della

finanza, del diritto - societario fallimentare, amministrativo e penale - della fiscalità, neisuoi risvolti giuridici ed economici. Un’erronea impostazione dei processi e delleoperazioni, o una impropria valutazione dei loro effetti, può avere impatti significativisull’esito della procedura adita e dunque sul grado di soddisfacimento dei creditori.Problemi delicati si manifestano quando soggetti che direttamente o indirettamenteinfluiscono sul governo delle imprese che chiedono l’ammissione alla p rocedura hanno,nel contempo, anche interessi nel governo dei soggetti cessionari di parti di quelleimprese. Questi profili presentano riflessi che trascendono i compiti stessidell’attestatore.

Ancora. Le analisi svolte dall’attestatore, o le evidenze preesistenti alle sueanalisi, rivelano talora aree di attività opache che meritano approfondimenti, magari in

combinazione con la magistratura inquirente.In tutti tali casi l’attestatore, a mio avviso, prima dell’accettazione dell’incarico,

deve ottenere formale autorizzazione ad avvalersi delle competenze professionalinecessarie, complementari alle sue.

Dei pareri richiesti per ogni specifico rilevante problema accertato, l’attestatoredeve opportunamente riferire nella sua relazione.

Mi limito ora a qualche cenno in merito alle “prospettive” secondo cui leverifiche funzionali all’attestazione possono essere condotte.

Va anzitutto segnalato che il contenuto e l’articolazione delle verifichedipendono essenzialmente dalle specificità del contesto oggetto di analisi. Mi limiterò

 pertanto ad alcuni spunti di carattere generale.Il momento iniziale di ogni processo di attestazione è costituito dalla verifica

della situazione patrimoniale e reddituale dell’azienda che intende accedere ad accordigiudiziali o stragiudiziali con i creditori. Essa può essere condotta dall’espertoattestatore se dispone di una organizzazione adeguata, per dimensione e competenze, algrado di complessità della realtà oggetto di indagine, tenuto altresì conto delle scadenze,spesso brevi, dell’intero p rocesso.

In assenza di adeguata struttura è suggeribile il ricorso al contributo di società direvisione. Nel caso in cui il controllo legale dei conti dell’impresa che intende accedereai benefici della procedura giudiziale o stragiudiziale di sistemazione del passivo sia

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rimesso a società di revisione, l’attestatore deve valutare l’opportunità di avvalersi omeno di un diverso revisore.

Molto spesso la data di riferimento del bilancio che accompagna la domandanon coincide con la chiusura dell’esercizio. In tali ipotesi viene redatto un bilanciointermedio che, di norma, in base ai principi di revisione, non può essere oggetto di verae propria certificazione. Non può mai esserlo se la situazione patrimoniale “iniziale” (che è posta all’interno del bilancio dell’esercizio precedente) non è stata certificata. Intal caso l’unica soluzione possibile, in base ai principi di revisione, è chiedere al

revisore una cosiddetta “procedura concordata” (“upon agreed procedures”).E’ naturale allora che, in siffatte situazioni, la qualità dei risultati della revisionedipende anche dagli obiettivi e dalle attività di verifica che l’attestatore ha definito econcordato con la società di revisione. Va infatti sottolineato che, mentre nell’ordinarioaudit che conduce alla certificazione del bilancio le procedure sono fuori dal controllodel committente, poiché delineate obbligatoriamente dai principi di revisione, in tutti icasi in cui la certificazione non può essere rassegnata è compito del committenteadottare, d’intesa con il revisore, le procedure più pertinenti.

Va inoltre segnalato che accanto all’attività di controllo dei conti patrimoniali ereddituali, si impone di norma, in parallelo, anche l’approfondimento delle situazionicontenziose, attuali e potenziali, e, come in precedenza accennato, dei riflessi

 patrimoniali e finanziari delle operazioni programmate secondo forme giuridiche ocontrattuali indicate nei piani o suggerite dai consulenti legali dell’impresa e, in datecircostanze, e per quanto possibile, persino la valutazione delle conseguenze di naturaamministrativa e/o patrimoniale derivanti da fattispecie rilevanti sotto il profilo penale,emerse o che si reputa possano emergere in relazione alle evidenze raccolte dalleindagini promosse dagli amministratori o/ e dall’attestatore medesimo.

La robustezza delle analisi svolte si riflette sulla qualità delle evidenze patrimoniali e dunque sulla loro attendibilità.

* * *

Diversa, anche se connessa, è la prospettiva delle verifiche di fattibilità delle prospettazioni economico-finanziarie.

In quest’ambito, a me pare che il primo compito dell’attestatore è accertare ilcorretto radicamento del piano economico-finanziario ai dati consuntivi verificati.

La valutazione della fattibilità dei piani include anche l’opportuna“inventariazione” dei dati derivanti dalle risultanze degli anni passati e dei dati e delleipotesi che il management dell’impresa dichiara di aver utilizzato per la predisposizionedei piani stessi.

In particolare, nel caso di piani di continuità, il giudizio tecnico di fattibilità

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richiede principalmente l’app rezzamento della ragionevolezza delle dimensioni rilevantinella quali il piano si articola (ad esempio, l’evoluzione temporale fatturato, laredditività operativa nelle sue componenti, quali ad esempio il margine di contribuzione

 percentuale, l’Ebitda margin, l’ Ebit margin, ecc.).Tale apprezzamento richiede tra l’altro di considerare le proposte del

management rispetto:  ai dati consuntivi, ove significativi ai fini del confronto (ad esempio, nei

casi in cui i piani siano costruiti rispettando le linee di fondo del modello di business 

aziendale);  alle evidenze tratte dagli studi e dalle tendenze espresse da business

comparabili. Nei piani di continuità, così come in quelli di liquidazione, il professionista

dovrebbe apprezzare i possibili effetti dei fattori di incertezza e di indeterminazione cheinevitabilmente caratt erizzano le previsioni. Al riguardo sono da suggerire:

  le “analisi di sensitività”, con le quali si determinano gli effetti dellevariazioni, entro limiti suggeriti da livelli di probabilità, delle misure delle principalivariabili aziendali sull’evoluzione delle maggiori grandezze economico-finanziarie del

 piano (ad esempio, gli effetti delle variazioni dei tassi di crescita del fatturato, dei livellidei costi operativi, dei margini, dei valori di realizzo degli attivi patrimoniali, sulla

dinamica dei flussi di cassa e sul grado di soddisfacimento dei creditori ecc.);  gli “stress test ”, con i quali si identificano i valori-soglia di variabili

critiche che, ove raggiunti, possono mettere in crisi la fattibilità del piano (ad esempio,le dimensioni e tempi di manifestazione di disarmonie tra flussi di cassa in entrata e inuscita, i covenant  finanziari, la manifestazione o meno di determinati significativieventi, ecc.).

La verifica della tenuta del piano richiede anche l’apprezzamento dell’esistenzae della misura di eventuali “riserve di valore”, non espresse che potrebbero compensare,in tutto o in p arte, i p ossibili peggioramenti.

La fattibilità del piano deve essere valutata adottando un atteggiamento prudenziale temperato da equilibrio e da realismo.

In conclusione si osserva che al professionista attestatore sono demandatenumerose e importanti verifiche delle quali egli è principale attore. In molti casi, specieove la dimensione e le complessità della fattispecie aziendale lo suggeriscano, eglidiviene anche coordinatore degli interventi di molteplici competenze professionali terze.

L’attestatore deve in principio assumere un atteggiamento indipendente. Egli può stimolare le attività e le verifiche, ma mai sost ituire o completare l’opera di chiredige i p iani o d i chi assiste alla loro redazione. L’att estatore deve essere coinvolto nel

 processo di pianificazione: deve cioè poter partecipare, da esterno, alla costruzione del piano. Solo in tal modo le sue capacità critiche p ossono essere esaltate. L’attestatore,

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dunque, non può limitarsi a svolgere il ruolo di mero “verificatore” formale, distaccato emarginale, magari coinvolto alla fine del processo di produzione documentale. Laqualità del suo giudizio molto dipende, oltreché dalle sue qualità professionali,dall’atteggiamento proattivo, ma terzo, tenuto nel corso dell’intero incarico.

Vi r ingrazio p er l’attenzione.

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LA RESPONSABILITÀ DELL’ESPERTOATTESTATORE 

 L’Autore, dopo aver inquadrato la figura dell’esperto attestatore alla luce della nuova

disciplina sui ruoli degli organi delle procedure concorsuali, individua i caratteri

essenziali della relazione che necessariamente correda la proposta di concordato e,

correlando l’ampiezza del perimetro della responsabilità dell’attestatore all’ambito

della valutazione del tribunale, esamina le diverse opinioni sulla natura della medesimae le conseguenze sui presupposti e sull’ammontare del danno risarcibile.

di VITTORIO ZANICHELLI 

E’ opinione comune che il legislatore della riforma della legge fallimentareiniziata con il d.l. 14.3.2005 n. 35 abbia radicalmente innovato la logica dell’approccioalle procedure di insolvenza passando da una visione dirigistica delle stesse, con gliorgani di matrice giurisdizionale in una posizione ibrida in quanto dotati di un forte

 potere gestorio affiancato a quello tip ico decisorio che non trovava nepp ure validicontrappesi negli altri organi, ad una visione più moderna che vede il giudice che

interviene nella crisi di impresa come garante della regolarità del procedimento volto aregolarla e chiamato ad intervenire per dirimere i conflitt i tra i privati, mentre i creditorisono sollecitati a prendere le decisioni che incidono direttamente o indirettamente suiloro diritti.

Tra gli organi giurisdizionali e i p rivati si interpongono ancora figure intermedie,vuoi inserite stabilmente nella procedura con compiti gestori o di controllo, vuoiincaricate per la loro particolare competenza di accertamenti e valutazioni tecnichedestinate a sostituire quelle del giudice e a fornire ai creditori un affidabile supp orto per le loro valutazioni.

Restringendo il discorso al concordato preventivo questa rinnovata suddivisionedei ruoli è particolarmente evidente in quanto al tribunale compete sostanzialmente unafunzione di vigilanza sulla procedura al fine di accertarne la regolarità formale esostanziale, affiancato in tale attività dal commissario giudiziale che provvede altresì arivalutare l’operato dell’esperto attestatore nominato dal debitore proponente al fine difornire ai creditori ulteriori ed eventualmente diversi elementi di v alutazione.

Ed è proprio la figura dell’esperto che costituisce una delle novità dell’istituto eche esalta il ruolo di garanzia e non più gestorio del tribunale.

Prevede il terzo comma dell’art. 161 l. fall. che “ Il piano e la documentazione dicui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un

 professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d), che

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attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo”.Un primo risultato, ottenuto solo con il d.lgs. n. 169/2007, è stato quello di avere

ricondotto ad unità la figura dell’esperto che interviene a richiesta del debitore nelle procedure concorsuali o para concorsuali in quanto ora i requisiti richiest i al professionista che interviene obbligatoriamente sono gli stessi nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione e nei piani attestati.

La qualificazione professionale appare elevata, dovendosi trattare di un professionista iscritto nei registri dei revisori dei conti che sia avvocato, dottorecommercialista, ragioniere o ragioniere commercialista o una società formata da tali

figure professionali.La circostanza che si debba trattare di un professionista implica l’esistenza di

una qualità non espressamente richiamata ma connessa a tale figura e cioèl’imparzialità, tanto più necessaria in quanto il legislatore, con una scelta dettatacertamente dalla fiducia ma anche presumibilmente dalla volontà di non creare unasovrapposizione con il ruolo per quanto qui interessa molto simile svolto dalcommissario giudiziale, ha ritenuto di non sottrarne la nomina al debitore trasferendolaad un soggetto terzo e autorevole.

 Non vi sono invece incompatibilità espresse e la Cassazione, intervenendo sullamateria, ha interpretando la relativa disciplina in senso restrittivo escludendo la carenzadi imparzialità formale in capo a colui che ha avuto rapporti professionali conl’imprenditore debitore 1.

Tanto premesso in ordine ai requisiti professionali dell’esperto attestatore e prima di esaminare i profili della sua responsabilità è necessario ricordare quale è il suocompito nel procedimento di concordato p reventivo.

Come già rilevato, l’elaborato che deve redigere è particolarmente importante inquanto dovrebbe garantire in primo luogo la “veridicità” dei dati aziendali e quindi nonsolo che i dati esposti nei vari documenti prodotti a corredo della domanda trovinocorrispondenza nella contabilità e nell’altra documentazione aziendale ma soprattuttoche questi siano veri e quindi reali.

In realtà è necessario tenere conto non solo della particolare situazione

organizzativa in cui normalmente si trova un’impresa in crisi (ricordo, incidenter tantum, che non è più condizione di ammissibilità del concordato la regolare tenutadella contabilità) ma anche del limitato tempo che presumibilmente viene concesso al

 professionista dal momento in cui l’imprenditore prende coscienza della gravità dellasituazione a quello in cui la relazione deve essere prodotta unitamente alla domanda diconcordato, fattori questi che escludono la possibilità di un controllo a tappeto dei datiesposti. Se poi si aggiunge che il redattore della relazione deve esprimere anchevalutazioni tecnicamente complesse circa, ad esempio, la effettiva esistenza ed

1 Cass. civ., sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2706, Giur. comm., 2011, 2, 247 (nota De Cicco).

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esigibilità di crediti o la sostenibilità di riserve contrattuali appare chiaro che, almenoquando sono coinvolte realtà imprenditoriali articolate, l’indagine non può che essereeffettuata a campione. Sarà allora inevitabile, come è stato osservato2, che il

 professionista svolga preliminarmente un accertamento circa l’affidabilità dei sistemiaziendali di rilevamento dei dati contabili e su questi si basi se l’accertamento ha datoesito positivo; è invece necessario che svolga un’indagine diretta e approfondita solo neisettori in cui tali sistemi non diano garanzie sufficienti3 e comunque che conducaun’indagine diretta a campione per le voci di maggior rilevanza.

Ciò che non deve comunque essere perso di vista è il fine dell’indagine che è

quello di convalidare i presupposti di fatto su cui si basa il piano per cui i dati cherilevano e che devono essere oggetto di particolare attenzione sono solo quelli la cuidiversa entità renderebbe da un lato insussistente il presupposto costituito dallo stato dicrisi e dall’altro incongruente o irrealistica la soluzione. Non è tenuto, per contro, adevidenziare eventuali comportamenti distrattivi o comunque censurabili che il debitoreabbia tenuto in precedenza che se pure potrebbero influire sul giudizio di meritevolezzada parte dei creditori ed essere quindi oggetto di rilievo da parte del commissariogiudiziale non attengono alla situazione patrimoniale e finanziaria del debitore almomento della domanda di concordato, sempre che non incidano sulla fattibilità del

 piano proposto come potrebbe essere, ad esempio, per cessioni non contabilizzate equindi potenzialmente fonte di accertamenti e sanzioni tributarie.

Il secondo aspetto della relazione, che costituendo una valutazione deve essere ben distinto dalla parte certificativa, consiste nel giudizio di fattibilità del piano delconcordato e cioè nell’enunciazione della valutazione positiva circa la sussistenza dellecondizioni che rendono realisticamente attuabile il progetto4.

È questa indubbiamente la parte di gran lunga più delicata in quantoinevitabilmente i creditori si baseranno sulle valutazioni del professionista, oltre chesulla relazione del commissario giudiziale, per esprimere il loro voto.

L’attestazione circa la fattibilità del piano non è evidentemente costituita da unagaranzia di buona riuscita del medesimo ma da un complesso di valutazioni condottesecondo lo schema previsto dal terzo comma dell’art. 2501-bis in tema di fusioni, stante

il richiamo operato dal quarto comma dello stesso articolo, a sua volta richiamatodall’art. 67 lett. d) l. fall. secondo cui l’elaborato “deve indicare le ragioni che

2 MANZONETTO,  Domanda di concordato, Il ruolo del professionista, in  Il nuovo diritto

 fallimentare, Commentario diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna, 2007, 2338e ss.3 Ritiene invece che si tratti di vera e propria certificazione della conformità sostanziale dei daticontenuti nel piano rispetto agli elementi desunti dalle scritture contabili e dagli ulterioridocumenti oggetto di verifica MANDRIOLI,  Il Piano di ristrutturazione nel concordato

 preventivo tra profili giuridici e aspetti aziendalistici, Fa, 2005, 1342.4 LO CASCIO , Il concordato preventivo, Milano, 2011, 233; MANDRIOLI, op. cit ., 1343.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201286

giustificano l’operazione e contenere un piano economico e finanziario con indicazione

della fonte delle risorse finanziarie e la descrizione degli obbiettivi che si intendono

raggiungere”.In relazione ad un piano contenente i richiesti elementi il professionista

incaricato deve non solo attestarne la realizzabilità sulla base dei presupposti fattualiritenuti esistenti e sulle previsioni ritenute attendibili ma anche fornire una congruamotivazione in ordine al suo convincimento esplicitando l’iter argomentativo che losorregge ed evidenziando i punti ritenuti imprescindibili in modo che sull’affidabilitàdei presupposti di fatto sui quali il giudizio è fondato il lettore-creditore possa esprimere

una sua valutazione.E’ il caso di sottolineare la particolare rilevanza dell’attestazione del

 professionista alla luce della giurisprudenza che si è formata in ordine al perimetro deicontrolli del tribunale.

Tale importanza si apprezza sotto due profili. In primo luogo sotto quello dellaserietà della procedura in quanto costituisce un inutile spreco di energie processualil’ammissione di un concordato sostanzialmente velleitario e destinato all’insuccesso.Ma soprattutto rileva sotto il profilo della responsabilità del professionista nei confrontidel debitore e del ceto creditorio.

Ebbene poiché non può dubitarsi che il peso degli accertamenti e dellevalutazioni dell’esperto sia tanto maggiore quanto meno penetrante nel merito deglistessi è l’indagine rimessa al tribunale è opportuno sottolineare come la giurisprudenzadi legittimità, superando le resistenze di una parte della giurisprudenza di merito restiaad accettare il nuovo ruolo riservato al giudice e la presunzione di affidabilità del

 professionista, abbia ormai ripetutamente negato la facoltà del tribunale di sindacare nelmerito la attestata fattibilità del concordato, non solo nella fase di ammissione5 o nelcorso della procedura6 ma anche in quella dell’omologazione, quantomeno in esito adun’iniziativa d’ufficio7 mentre sulla possibilità di tale sindacato in conseguenza diun’opposizione la Corte non si è ancora ex professo pronunciata8.

Diverso è allora il tipo di indagine che deve compiere il tribunale in quanto,come è stato ritenuto, il giudice deve constatare che “ il controllo effettuato da tale

 professionista sia effettivo e critico e non si limiti ad una attestazione apparente,generica, immotivata o meramente ripetitiva o adesiva al ricorso del debitore. In

 particolare, nella parte relativa all’attestazione di fattibilità del piano, il professionista

deve esprimere un motivato parere sulla attendibilità e sostenibilità del programma,

5 Cass. civ., sez. I, 25 ottobre 2010, n. 21860, in Guida al diritto, 2011, 5, 91 (nota Pirruccio),cui adde, in tema di concordato fallimentare, Cass. civ., sez. I, 10 febbraio 2011, n. 3274, inGiust. civ. mass., 2011, 2, 216.6 Cass. civ., sez. I, 23 giugno 2011, n. 13818.7 Cass. civ. 16 settembre 2011, n. 18987.8 Sul punto, si vis, ZANICHELLI, I concordati giudiziali, Torino, 283 ss.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201287

evidenziandone gli eventuali aspetti critici, al fine di verificare se lo stesso è formulato

sulla base di ipotesi realistiche e se esso prospetti risultati finali ragionevolmente

conseguibili”9 o, come si esprime la Cassazione “che la relazione del professionistaattestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, sia adeguatamente

motivata indicando le verifiche effettuate, nonché la metodologia ed i criteri seguiti per 

 pervenire alla attestazione di veridicità dei dati aziendali ed alla conclusione di

 fattibilità del piano”10. Controllo sulla tecnica di rilevamento della veridicità dei dati,

dunque, e sulla completezza e congruità delle motivazioni addotte a sostegno delgiudizio di fattibilità, senza alcuna possibilità di sindacare la condivisibilità delle

conclusioni cui è pervenuto l’att estatore.E allora se da un lato può affermarsi che un’eventuale modifica del giudizio del

tribunale sulla tecnica di revisione dei dati e di redazione dell’apparato motivazionaleoperata nel prosieguo della procedura (sempre che ciò sia considerato possibile) sulla

 base degli stessi elementi di giudizio non potrebbe portare ad un addebito diresponsabilità per il professionista, stante la precedente valutazione positiva dello stessotribunale, ben diverso è il discorso nel caso in cui gli accertamenti del commissariogiudiziale abbiano portato all’emersione di comportamenti gravemente omissivi nellemodalità di attuazione dei dichiarati controlli oppure del mancato o erroneo utilizzo dicriteri di valutazione delle dinamiche economiche e aziendali di comune eraccomandato utilizzo tali da rendere inevitabile un giudizio di non fattibilità del pianoda parte dei creditori in quanto in tal caso l’avvenuta ammissione da parte del tribunalenon coprirebbe la carenza dell’attestazione e non potrebbe essere quindi portata adiscolpa in un giudizio di responsabilità.

 Non vi è dubbio infatti che in caso di insuccesso della procedura unaresponsabilità del professionista sia configurabile in quanto egli è contrattualmentelegato all’imprenditore che gli ha affidato l’incarico ma nello stesso tempo il suoelaborato è destinato anche ad altri in quanto la ragione del suo necessario interventorisiede da un lato nella necessità di semplificare e velocizzare l’attività del tribunaleevitando il ricorso, ben conosciuto dalla prassi, alla nomina di un CTU, e quella delcommissario giudiziale fornendogli un primo quadro della situazione e delle prospett ive

dell’impresa e dall’altro in quella di mettere a disposizione dei creditori un decisivoelemento di valutazione circa la fattibilità del piano e la convenienza della proposta da porre e confronto con gli eventuali rilievi del commissario.

Quanto alla natura della responsabilità del professionista è stato ritenuto che lastessa abbia natura contrattuale nei confronti dell’imprenditore che lo ha nominato edextracontrattuale nei confronti dei creditori11.

9 Trib. Pordenone, 13 gennaio 2010.10 Cass. civ., n. 21860/10, cit .11MANDRIOLI,  I piani di ristrutturazione e di risanamento: il ruolo e la responsabilità del

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201288

Circa la prima non possono evidentemente sussistere dubbi dal momento chel’attestatore è per definizione un professionista nel cui perimetro operativo rientral’incarico conferito e che viene nominato da colui che intende proporre il concordatosulla base di un rapporto di fiducia12 e tutti i tentativi di ricondurre la nomina al giudice,sia pure per iniziativa (non si sa quanto spontanea) del debitore, mi paiono destinati alfallimento, sia perché nel procedimento le attività del giudice sono solo quelle previstedalla legge sia perché allora il professionista non sarebbe altro che una duplicazione delcommissario giudiziale.

L’obbligazione del professionista in generale viene comunemente qualificata

come obbligazione di mezzi e non di risultato in cui “rileva non già il conseguimentodel risultato utile per il cliente, ma il modo come l'attività è stata svolta avuto riguardo,

da un lato, al dovere primario del professionista di tutelare le ragioni del cliente e,

dall'altro, al parametro della diligenza fissato dall'art. 1176, comma 2 c.c., che è quellodella diligenza del professionista di media a ttenzione e preparazione”13.

Da tale ricostruzione consegue che “l'inadempimento del professionista non può

essere senz'altro desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile per il cliente,

ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attivitàesercitata, ragion per cui l'affermazione della sua responsabilità implica l'indagine,

 positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l'onere di

 fornire, circa il sicuro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e

diligentemente coltivata e la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività

sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo; la responsabilità del prestatored'opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento

dell’attività professionale presuppone, quindi, la prova del danno e del nesso causale

tra la condotta del professionista e il danno del quale è chiesto il risarcimento”14.In realtà tale distinzione in determinate particolari situazioni contrattuali può

essere sfumata, come è stato ritenuto, ad esempio, in tema di professionisti incaricati diredigere un progetto di costruzione laddove la Corte, ha evidenziato come “ Tale

impostazione non è immune da profili problematici, specialmente se applicata proprio

alle ipotesi di prestazione d'opera intellettuale, in considerazione della struttura stessa

del rapporto obbligatorio e tenendo conto, altresì, che un risultato è dovuto in tutte leobbligazioni.

 In realtà, in ogni obbligazione si richiede la compresenza sia del comportamento

 professionista nella predisposizione delle relazioni e nell’attività di a ttestazione, Relazione alconvegno su “ La riforma del diritto fallimentare”, Carate Brianza, 11-12.11.2005, 12 e ss.;sull’argomento, nella stessa occasione, anche PATTI, Presupposti e sindacato del giudice nel

nuovo concordato preventivo, 10.12 Cass. civ., sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2706, cit. 13 Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2011, n. 8863, Diritto & Giustizia, 2011 (nota Ciarla).14 Cass. civ., sez. III, 1° dicembre 2009, n. 25271, Guida al diritto, 2010, 5, 71 (s.m.).

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201289

del debitore che del risultato, anche se in proporzione variabile, sicché molti autori

criticano la distinzione poiché in ciascuna obbligazione assumono rilievo così il

risultato pratico da raggiungere attraverso il vincolo, come l'impegno che il debitoredeve porre per ottenerlo”15.

E, d’altra parte, non si può negare che anche l’incarico dato al professionistaattestatore tenda ad un risultato che se non è certo quello di redigere una relazione

 pregiudizialmente favorevole al proponente e neppure quello di portare senz’altroall’ammissione della proposta, deve invece essere quantomeno quello di superare ilvaglio di adeguatezza dell’elaborato sotto il profilo della completezza e logicità della

motivazione. Non vi è dubbio che sia comunque applicabile il disp osto dell’art. 2336 c.c. sulla

limitazione di responsabilità al dolo e alla colpa grave se la prestazione implica lasoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà 16, come può verificarsi laddove la

 prospett iva non sia meramente liquidatoria ma si tratti di un concordato di risanamento,magari con un orizzonte temporale di attuazione del piano non breve e da perseguirsiattraverso complesse operazioni.

Altrettanto condivisibile è l’opinione secondo la quale l’eventualecomportamento omissivo tenuto dal debitore nei confronti del professionista cui haoccultato fatti rilevanti o ha fornito dati errati e non facilmente controllabili comporta ilconcorso causale nel fatto colposo da parte del debitore stesso con conseguente

 proporzionale riduzione del risarcimento “secondo la gravità della colpa e l’entità delle

conseguenze che ne sono derivate”, o esclusione totale del medesimo se l’errore in cui èincorso l’attestatore è stato causato volontariamente o con inescusabile negligenza (art.1227 c.c.)17.

 Nei confronti dei creditori la responsabilità viene usualmente qualificata come dinatura extracontrattuale e tale qualificazione è indubbiamente quella che presta il fiancoa meno obbiezioni.

L’opinione non è però unanime essendosi anche sostenuto che la circostanza chegli effetti dell’omologazione del concordato incidano sui diritti di tutti i creditori, siaconsenzienti che dissenzienti, e che a tale esito si pervenga anche grazie all’attestazione

15 Cass. civ., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15781, Giur. it. 2006, 7, 1380. Nello stesso senso e statoaffermato che “Trattandosi di obbligazione professionale, la misura dello sforzo diligentenecessario per il relativo corretto adempimento va considerata in relazione al tipo di attività

dovuta per il soddisfacimento dell'interesse creditorio, secondo quanto stabilito dall'art. 1176,

comma 2, c.c., senza che possa trovare applicazione la distinzione tra obbligazioni di mezzi e dirisultato” (Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826, in  Resp. civ. e prev., 2007, 9, 1824 (notaGorgoni).16 S. FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisidi impresa, in Fallimento , 2009, 893.17S. FORTUNATO, op. cit ., 893.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201290

del professionista fa si che questi assuma un vero e proprio obbligo di protezione neiloro confronti e quindi un’obbligazione di t ipo contrattuale18.

L’opinione, che riecheggia una ricostruzione operata già da una risalentesentenza della Cassazione19 che ha dato origine ad un filone in continua evoluzione, èsenz’altro interessante.

La giurisprudenza è invero pervenuta ad affermare che poiché l’obbligazionecontrattuale può derivare, oltre che dal contratto, anche dalle altre cause indicatedall’art. 1173 c.c., quando ricorre la violazione di obblighi di comportamento

 professionale nei confronti dei terzi (quali, nelle fattispecie usualmente esaminate,

quelli gravanti sul medico nei confronti del paziente), la responsabilità ènecessariamente equiparabile a quella contrattuale in quanto nascente da"un'obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto", poiché il soggettonon ha fatto (culpa in non faciendo) ciò a cui era tenuto in forza di un precedentevinculum iuris, secondo lo schema caratteristico appunto della responsabilitàcontrattuale20.

In altri termini, laddove la professione esercitata imponga l’utilizzo di una particolare perizia e diligenza, come avviene normalmente nelle professioni protette, macome è stato ritenuto anche per l’attività bancaria21, per quella di insegnamento22 o per l’opera del mediatore23, queste debbono essere impiegate in favore e a tutela di chiviene in relazione con il professionista in virtù del c.d. contatto sociale,indipendentemente dall’esistenza dei presupposti cui normalmente è subordinatal’insorgenza del contratto, imponendolo principi di rango costituzionale, come la tuteladella salute, o, potrebbe aggiungersi quanto alla fattispecie che ci occupa, la stessa ratio che presiede alla necessaria presenza dell’esperto nel procedimento a tutela di interessidi terzi, come appunto avviene per l’attestatore la cui attività è addirittura in partesostitutiva di quella rimessa al tribunale nella previgente disciplina e quindi haun’indubbia valenza pubblicistica.

Aderendo a tale tesi, le conseguenze pratiche non sono di poco momento.Prescindendo dalla ormai ammessa possibilità di riconoscere il danno non

 patrimoniale anche nell’ambito del risarcimento da inadempimento contrattuale24 che

qui non interessa, non vertendosi in tema di diritti primari, deve ricordarsi che la18 S. FORTUNATO, op. cit ., 894.19 Cass. civ., 22 novembre 1993, n. 11503, Giur. it. 1995, I, 1 , 318 (nota P inori).20 Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589, Foro it ., 1999, I, 3332 (nota Di Ciommo;Lanotte).21 Cass. civ., sez. un., 26 giugno 2007, n. 14712, in  Resp. civ. e prev., 2009, 1, 161 (notaMuccioli) e in Dir. e prat. soc., 2007, 22, 60 (nota Amabili).22 Sez. 3, Sent enza n. 5067 del 3 marzo 2010.23 Sez. 3, Sent enza n. 16382 del 14 luglio 2009.24 Sez. U., Sent enza n. 26972 del 2008.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201291

violazione del principio del neminem laedere comporta il risarcimento del solo dannoconseguente al peggioramento della situazione del danneggiato quale conseguenzadell’attività del danneggiante25; un danno, tuttavia, non pare configurabile nella meradichiarazione di inammissibilità del concordato quale conseguenza di un’insufficienterelazione attestativa e neppure nella dichiarazione di fallimento in esito all’aborto della

 procedura alternativa, posto che sotto tale profilo la situazione dei creditori resta lastessa che si sarebbe verificata nell’ipotesi in cui il concordato non fosse stato

 presentato.Il riconoscimento di un vincolo contrattuale e la violazione degli obblighi da

questo derivanti, invece, può portare al riconoscimento di un danno diverso derivantedal mancato avverarsi di un evento vantaggioso sperato (approvazione ed esecuzionedel concordato) che proprio il comportamento colposo del professionista avrebbedeterminato.

Per ciò che attiene alla quantificazione, il danno derivato al debitore per l’inadempimento dell’attestatore nel caso in cui la causa della mancata omologazionedella proposta derivi da sua colpa consiste nella lesione al patrimonio conseguita allamancata omologazione del concordato e quindi in primo luogo nella carenza dell’effettoesdebitatorio.

Per quanto att iene ai creditori, invece, in ipotesi di mancato p erfezionamento delconcordato per causa riconducibile unicamente all’insufficienza della relazione, ildanno, come si è anticipato, potrebbe consistere nella differenza tra quanto ottenibiledall’esecuzione e quanto proposto. Sarebbe invece il danno di modesta entità sel’interruzione della procedura derivasse dalla insufficienza non tanto formaledell’attestazione quanto da quella sostanziale per avere errato gravemente l’attestatorenel valutare le reali prospettive dell’impresa, posto che in tal caso potrebbe consisteresolo nella ritardata percezione di quanto ricavabile in esito ad esecuzione singolareoppure, se viene dichiarato il fallimento, anche nel minor importo cha affluisce allamassa per l’eventuale intervenuta decadenza dalla possibilità di esperire azionirevocatorie. Decisamente più consistente potrebbe essere il risarcimento nell’ipotesi incui il debitore abbia occultato una parte dell’attivo e l’attestatore abbia colposamente o

dolosamente ignorato la circostanza inducendo così i creditori a ritenere vantaggiosa ead approvare una proposta in realtà deteriore rispetto alla soluzione fallimentare.Differenze importanti tra la configurazione della responsabilità come

contrattuale e non extracontrattuale vi sarebbero anche in ordine al regime della provain quanto ipotizzando la seconda l’onere di dimostrare l’inadempimento degli obblighigravanti sul professionista e il nesso di causalità con il danno spetta al richiedentementre se si verte in tema di resp onsabilità contrattuale è sufficiente dimostrare il danno“ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno

25 Sez. 3, Sentenza n. 589 del 1999, cit..

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lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non v i

è stato ovvero che, pur esistendo, non è stato eziologicamente rilevante”26, nonché per quanto attiene al regime della prescrizione che è quello ordinario decennale in luogo diquello quinquennale.

Quanto alla legittimazione, infine, se segue il fallimento direi che la stessa spettaal curatore quanto al danno causato al patrimonio dell’imprenditore fallito, ad esempio

 per il deterioramento del patrimonio per la perdita di opzioni di cessione a prezzimaggiori di quelli ottenibili in sede di liquidazione ma subordinati all’omologa, mentrespetta ai singoli creditori per il danno dagli stessi subito, oltre che per il ritardato

 pagamento, anche per il danno conseguente, ad esempio, al decorso del termine didecadenza per l’esercizio di revocatorie.

26 Cass. civ., sez. III, 1° febbraio 2011, n. 2334, Giust. civ. mass., 2011, 2, 162.

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RELAZIONI A CONVEGNI

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012

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LE RESPONSABILITÀ NELLE CRISI DEIGRUPPI

 La relazione si sofferma sul tema dei profili di responsabilità che, nel contesto del

gruppo, possono ricollegarsi all’insuccesso o alla mancata at tivazione delle operazioni

di risanamento dell’intera impresa di gruppo o di alcune società o enti che la

compongono.

di NICCOLÒ ABRIANI 

1.  Premessa. Default, direttive difettose e difetti di comandoLa relazione non ha l’ambizione di ricostruire la disciplina della crisi

dell’impresa di gruppo, e neppure degli strumenti di prevenzione e di superamento dellacrisi e dell’insolvenza in tale ambito. Si cercherà di offrire – con riferimento al titolo delnostro simposio – un contributo all’esame dei peculiari profili di responsabilità che, nelcontesto di gruppo, possono ricollegarsi all’insuccesso (e, prima ancora, alla mancataattivazione) delle operazioni di risanamento dell’intera impresa di gruppo o di alcune

delle società e degli enti che lo compongono. La relazione si ricollega idealmente aquelle che l’hanno preceduta, nelle quali sono stati magistralmente scolpiti i generalidoveri che incombono sugli organi di amministrazione e controllo nell’ambito deltentativo di risanamento e le conseguenti responsabilità che possono derivare in caso diloro inadempimento, segnatamente in ipotesi di insuccesso del risanamento stesso. Temache, con riguardo ai gruppi, richiede di essere affrontato dai distinti angoli prospetticidella società che si colloca al vertice della piramide societaria, da un lato, e delle societàsottoposte all’attività di direzione e coordinamento della p rima, dall’altro.

In via preliminare, pare tuttavia utile richiamare il raffinato rilievo etimologicoche Mario Barbuto ha evocato nell’incipit delle sue parole di saluto: il default  cometermine polisenso, che affonda le sue radici nel défaut  francese e nel deficere latino;

inteso dunque non soltanto come insuccesso, ma appunto come mancanza,  difetto. Einvero la responsabilità nella gestione della crisi di gruppo, tradizionalmente ricollegataa direttive e istruzioni illegittimamente impartite dalla holding, può derivare anche, e in

 primo luogo, dal mancato o inadeguato coordinamento e monitoraggio sulla strut tura delgruppo nel suo complesso, e dunque anche sulla evoluzione (o piuttosto, involuzione)delle società ad esso appartenenti dal “crepuscolo” della precrisi, alla fase di vera e

 propria crisi, sino allo stato d’insolvenza. Le azioni risarcitorie possono dunque fondarsinon soltanto sugli ordini dati indebitamente – e indebitamente osservati – in quanto non

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201294

rispondenti ai parametri di corretta gestione societaria e imprenditoriale, ma altresì sudifetti di valutazione e di comando conseguenti a una parimenti indebita abdicazione da

 parte degli organi di vertice ai poteri ad esercizio doveroso che sui di essi incombono.Poteri e doveri che assumono una diversa connotazione a seconda che la situazione dicrisi coinvolga soltanto alcune delle società coordinate o dirette ovvero la holding oancora l’intero gruppo, configurandosi in quest’ultimo caso l’ipotesi del gruppoinsolvente e prefigurandosi, conseguentemente, la prospettiva di un risanamento digruppo.

2.  Gruppo insolvente e crisi delle società del gruppo: «frammenti» didisciplina nella legge fallimentare

Lo scenario da ultimo richiamato evoca immediatamente agli studiosi dellamateria il titolo de  Il gruppo insolvente, pubblicato esattamente trent’anni or sono daBerardino Libonati, per i tip i di Nardini, come suo ultimo atto dalla catt edra fiorentina didiritto commerciale. In quello che rappresenta tuttora l’insuperato contributo dellanostra dottrina al tema in esame il compianto Maestro – partendo dall’allora nuovadisciplina dell’amministrazione straordinaria per le grandi imprese in crisi introdottadalla c.d. legge Prodi (l. 3 aprile 1979, n. 95) – offriva chiavi di lettura che, se sono oggiampiamente condivise, per quei tempi risultavano fortemente anticipatrici, prospettando

indicazioni di metodo che meritano di essere richiamate per la loro perdurante attualità:si pensi all’ammissione dell’azione di responsabilità (di cui all’ultimo comma dell’art. 3della l. Prodi) «non solo contro gli amministratori della società di controllo, ma (anche)contro la persona fisica capogruppo da cui provengono le direttive unitarie che hannoarrecato danno alla società in amministrazione straordinaria»; o alla consapevolezza che,quand’anche la legge richieda che sia la singola società del gruppo a risultare di per séinsolvente, «la nozione di insolvenza può assumere colorazioni nuove quando vengaesaminata in riferimento a una società collegata»; o ancora alla nitida distinzione tra i

 problemi che pone il gruppo insolvente in senso proprio rispetto alla merariorganizzazione unitaria di società insolventi che fanno parte di un gruppo (o, se si

 preferisce, «della parte insolvente del gruppo»). Più in generale, dalla p remessa che «inun gruppo i programmi operativi non avvengono a livello di singole imprese, ma in una

 prospettiva globale», già si evinceva il corollario che è «logico dunque che anche insede di riorganizzazione il discorso debba essere articolato nella stessa prospettivaglobale», superando così la visione atomistica del fenomeno che ha a lungocaratterizzato il quadro normativo e giurisprudenziale.

Da allora naturalmente molta acqua è p assata sotto i ponti dei corsi paralleli – masintonici e per molti versi confluenti – della giurisprudenza e del legislatore. Sul primoversante, sin dagli anni ottanta i nostri tribunali hanno progressivamente iniziato ariconoscere la legittimità di proposte di concordato (e di amministrazione controllata)

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RELAZIONI A CONVEGNILA CRISI DEL GRUPPO 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201295

riferite unitariamente a tutte le società del gruppo, ponendo così le premesse per quelle più recenti (e coraggiose) evoluzioni giurisprudenziali che saranno qui oggetto di alcune brevi considerazioni.

Sul piano legislativo, l’istituto del gruppo avrebbe trovato una regolamentazionespeciale nella disciplina di settore dettata per la liquidazione coatta amministrativa dellesocietà fiduciarie e di revisione (art. 2 l. 1° agosto 1986, n. 430) e per la crisi dei gruppicreditizi (artt. 100 ss. T.u.b.), nonché un affinamento delle disposizioni dettate per leimprese di maggiori dimensioni nella c.d. legge Prodi bis (artt. 80 ss. d.lgs. 8 luglio

1999, n. 270) alla quale si è affiancata, com’è noto, la c.d. legge Parmalat-M arzano (d.l.23 dicembre 2003, n. 347, convertito nella l. 18 febbraio 2004, n. 39). Nel frattempo,entrava in vigore la nuova disciplina generale dell’attività di direzione e coordinamento,introdotta dalla riforma organica del diritto delle società di capitali negli artt. 2497 ss.del codice civile e destinata naturalmente a riverberarsi anche sul tema in esame.

Questo percorso evolutivo avrebbe dovuto trovare il suo naturale approdo nellariforma fallimentare del 2006; e così sarebbe stato se fosse stato recepito il progettoelaborato dal Ministero della Giust izia (della cui Commissione era magna pars LucianoPanzani), e che conteneva un’articolata e avanzata disciplina della crisi di gruppo. Ilriferimento è agli artt. 157 ss., nei quali si prevedeva, tra l’altro, l’unificazione inun’unica procedura di fallimento di tutte le imprese del gruppo, alla quale sarebbero stati

 preposti gli stessi organi nominati per la “p rocedura madre” (salva l'eventualeintegrazione del comitato dei creditori al fine di assicurare un’adeguata rappresentanzadei creditori delle singole imprese: art. 157-bis) e, soprattutto, la predisposizione, adopera del curatore, di un programma unitario di liquidazione delle imprese del gruppo,integrativo di quello eventualmente già approvato nell'ambito della procedura madre oin relazione ad altra impresa del gruppo ammessa alla procedura, «al fine di garantirel’opportunità della gestione unitaria dell'insolvenza nell'ambito del gruppo», rimanendo

 peraltro «salva l’autonomia patrimoniale delle singole imprese del gruppo» (art. 157-quater ) e dunque anche l’esigenza di un autonomo accertamento, per ciascuna di esse,dei presupposti e delle condizioni per l'ammissione alla procedura fallimentare(effettuato dal tribunale della rispettiva sede principale: art. 157-bis).

La disciplina era poi completata da regole peculiari in ordine alla legittimazionedel curatore alla denuncia di gravi irregolarità di cui all’art. 2409 c.c., all’azione diresponsabilità contemplata dall’articolo 2497 c.c. e all’esercizio di un’azione revocatoriaaggravata relativa alle operazioni infragruppo (artt. 157-sexies, 157-septies e 157-octies)e dal riconoscimento della possibile presentazione di un’unica proposta di concordatofallimentare e di concordato preventivo, davanti, nel primo caso, al «tribunale avanti alquale è pendente la procedura madre» (art. 158) e, nel secondo, al «tribunale del luogoin cui ha la sede principale la società che detiene il controllo od esercita l’attività didirezione e coordinamento» (art. 159).

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RELAZIONI A CONVEGNILA CRISI DEL GRUPPO 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/201296

Come sappiamo, è invece purtroppo prevalsa una scelta rinunciataria – dietrol’alibi di un asserito, ma probabilmente insussistente eccesso di delega – che ha lasciatoirrisolti (o meglio, ha demandato alla giurisprudenza teorica e pratica la soluzione di)quei nodi cruciali che le norme della prop osta avrebbero consentito di superare in mododavvero pregevole. Con il paradosso che l’istituto del gruppo, pur avendo storicamentevisto il suo p rimo embrione di disciplina, ormai più di trent’anni or sono, con riguardo almomento patologico dell’insolvenza delle imprese (di maggiori dimensioni), è oraoggetto sì di principi e regole di portata generale, ma resta privo di una

regolamentazione organica ed unitaria p roprio della delicatissima fase della crisi. Nel corpo della nuova legge fallimentare le innovazioni sul punto sono inveromolto modeste ed essenzialmente relegate al solo ambito del concordato fallimentare.Un primo richiamo alla realtà di gruppo è contenuto nell’art. 124, primo comma, l. fall.ove il divieto di presentare la proposta di concordato nell’anno successivo alladichiarazione del fallimento è testualmente riferito, oltre che al fallito, alle «società cuiegli partecipi» e alle «società sottoposte a comune controllo». Disposizione che, siosserva per inciso, mentre preclude alle società controllate di presentare la proposta nelcaso di fallimento della società controllante, non disciplina, almeno stando alla suadizione letterale, l’ipotesi inversa: così insinuando il dubbio – probabilmente darisolversi in senso negativo – in ordine alla configurabilità di una perdurante

legittimazione della holding ad avanzare immediatamente una proposta di concordatofallimentare relativamente alle società da lei coordinate e dirette; o addirittura di un suo

 potere-dovere di (valutare se vi siano le condizioni che impongano di) intervenire in talsenso, nell’ambito dei doveri di corretta gestione societaria e imprenditoriale.

Il secondo dato normativo è offerto dal sesto comma dell’art. 127 l. fall., checom’è noto esclude dal voto e dal computo delle maggioranze necessarie ai finidell’approvazione della p roposta concordataria anche i «crediti delle società controllantio controllate o sottoposte a comune controllo». Si tratta di una disposizione in gran partemisconosciuta e tuttavia di grande rilevanza sistematica ed applicativa, segnatamente

 per chi acceda alla recente interpretazione dott rinale (M. Campobasso) che ravvisa inessa l’espressione di un principio generale volto a salvaguardare la genuina formazionedel consenso dei creditori rispetto alle alterazioni che potrebbero derivare dalla

 partecipazione al voto di soggetti legati da una naturale (ma, ai fini in esame, eccessiva)comunanza d’interessi con la società debitrice, e verosimilmente non estranei alle causedel dissesto.

 Non è questa la sede per prendere posizione sul punto, con riferimento al qualecorre tuttavia l’obbligo di mettere sin d’ora in guardia dal rischio di leggere il nuovosistema normativo con le lenti d’antan, riproponendo meccanicamente acquisizionimaturate nell’ordinamento previgente. Così, la tesi restrittiva espressa sul punto, primadella riforma, dalla nostra giurisprudenza – che escludeva la possibilità di estendere i

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divieti di voto in quanto norme eccezionali, come tali non suscettibili di interpretazionianalogiche – andrebbe oggi attentamente riconsiderata alla luce del nuovo sistema deiconcordati, nel quale il giudizio di convenienza sulla proposta è interamente demandatoalla valutazione dei creditori e le istanze di tutela contro il conflitto di interessi deivotanti assumono una rilevanza centrale (e v. ancora M. Campobasso e già Sacchi).

Ed è appena il caso di soggiungere come l’estensione analogica al concordato preventivo dei divieti contemplati per il concordato fallimentare varrebbe a risolvere in

radice la vexata quaestio della legittimazione al voto delle società del gruppo creditrici

e, più in generale, dei soci finanziatori postergati, i quali rimarrebbero per tale viaesclusi dalla partecipazione all’approvazione delle proposte concordatarie, senza doversiattardare nell’indagine sulla natura creditizia o meno della loro posizione.

Un ulteriore, e questa volta indiretto, «frammento» di disciplina è offerto dal primo comma dell’art. 147 l. f all., ove si prevede i l fa llimento per estensione dei sociillimitatamente responsabili, «pur se non persone fisiche». La nuova formulazione delladisposizione si colloca nel solco di quanto già previsto dalla riforma societaria negli artt.2361, 2° comma, e 111 duodecies, disp. att. c.c. e pone le premesse sia per lacostituzione a valle di società personali tra le società del gruppo, anche in un’ottica dicompartecipazione alla ristrutturazione unitaria dello stesso (e v. le recenti decisioni diTrib. La Spezia, 2 maggio 2011 e Trib. Prato, 22 settembre 2011) , sia per la

configurabilità al vertice di una «supersocietà» di fatto (normalmente occulta) t ra societàdi capitali o tra società di capitali e società di persone.

3.  Segue. Principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale deigruppi di società

Al di là di questi spunti, pur gravidi di importanti ricadute applicative, il veroriferimento normativo per la materia in esame è oggi rappresentato dalla disciplinadell’attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 ss. del codice civile e dalcomplesso di regole di corretta gestione imprenditoriale (prima ancora che societaria) daesso, al contempo, introdotte e presupposte: regole con le quali il perdurante (e ormai«assordante») silenzio della legge fallimentare non può non fare i conti. Il diritto nontollera «spazi vuoti» e, come ha insegnato Husserl, la norma giuridica è un prodottodella storia, sicché, «immessa nel flusso del tempo, può finire anche per acquistaresignificati cangianti in considerazione del cambiamento del contesto in cui si inserisce».

L’influenza del nuovo contesto normativo sulla crisi del gruppo è tanto piùrilevante ove si consideri lo spostamento dell’angolo visuale verso l’impresa, checostituisce il denominatore comune e della riforma societaria e della riformafallimentare: riforme che insieme convergono nel delineare il nuovo e moderno sistemadell’impresa in forma societaria, nella sua fase fisiologica della genesi, crescita,trasformazione, aggregazione, sino appunto alla crisi d’impresa; o, se si vuole

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dell’impresa in crisi, e in primo luogo di quell’impresa societaria che della nuova leggefallimentare è la destinataria elettiva e alla conservazione dei cui perduranti valori

 produtt ivi la disciplina novellata è dichiaratamente isp irata, sia pure in funzione di unasua ricollocazione sul mercato (e dunque anche di una più proficua soddisfazione deicreditori).

Sotto questo profilo si assiste a un radicale rovesciamento di prospettiva rispettoalla legge del 1942: mentre quest’ultima infatti mirava a disciplinare le conseguenze,non già della crisi dell’impresa, ma dell’insolvenza del soggetto imprenditore, con

regole incentrate essenzialmente sull’imprenditore individuale (Corsi), il punto diriferimento della legislazione concorsuale riformata è concordemente ravvisatonell’impresa, vista come fatto sociale rilevante, e non più nell’imprenditore sconfitto(per tutti, Mazzoni).

In questo quadro, il riconoscimento dello statuto dell’impresa di gruppo operatodagli artt. 2497 ss. non può non riverberarsi sulla disciplina della crisi delle società cheal gruppo appartengono; e ciò impone ancora una volta di riconsiderare con occhiocritico molte delle acquisizioni dottrinali e dei precedenti giurisprudenziali risalenti a

 prima delle riforme, a cominciare dall’asserito (in passato) carattere eccezionale delladisciplina dell’insolvenza di gruppo dettata per l’amministrazione straordinaria dellesocietà di maggiori dimensioni.

Abbandonate dunque le lenti d’antan e inforcate le nuove, ineludibile è ilcompito di ricostruire gli elementi di disciplina della crisi dell’impresa di gruppo: diquello che Provinciali già chiamava il « Fallimento dell’impresa complessa», cuidedicava un intero capitolo del suo Trattato di diritto fallimentare, nel paragrafocentrale del quale – significativamente intitolato « L’equivoco di far riferimento a un

soggetto per determinare ciò che è sottoposto a fallimento» – l’Autore sottolineaval’esigenza di distinguere da un lato l’ipotesi dell’articolazione fittizia dell’impresaunitaria (lo pseudogruppo di quelle che già Redenti definiva «le società fasulle»), dallaeffettiva e fisiologica strutturazione dell’impresa nella dimensione complessa ed unitariadi gruppo.

Questa distinzione resta tuttora fondamentale, potendosi solo nella prima e patologica fattispecie (dalle evidenti reminiscenze bigiaviane) prospettare unasubstantive consolidation degli asset  delle varie imprese di gruppo, in ragione dellasubstantial identity tra le stesse: come sosteneva già Provinciali quasi quarant’anni or sono e come prefigurano oggi i più recenti progetti dell’Uncitral nel solco delcorrispondente istituto elaborato dalla giurisprudenza nordamericana. Il riferimento è in

 particolare alla bozza della  Legislative Guide on Insolvency Law, predisposto dalWorking Group V ( Insolvency Law) dell’Uncitral, il quale prevede (peraltro soltanto inalcuni limitati casi) la consolidation degli assets delle imprese facenti parte delmedesimo gruppo, con la creazione di un’unica massa attiva (estate), la confluenza dei

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crediti insinuati nei confronti dell’unica massa attiva così creata e l’estinzione dei creditireciproci derivanti da rapporti infragruppo (in argomento v. Panzani).

La dottrina che ha più attentamente approfondito la substantive consolidation

doctrine (Vattermoli) ha del resto osservato come sia dato constatare una maggioreassonanza (o una minor lontananza) rispetto alle esperienze europee. In particolare, daileading case in materia – da Auto-Train ad Augie-Restivo a Owens Corning – si evinceche il consolidamento dei patrimoni è oggetto di una formale «proposta» avanzata dai

 proponenti il piano (sia esso di riorganizzazione o di mera liquidazione), che come tale

deve essere accettata dai creditori e, in caso di contestazione, superare anche il vaglio dilegittimità e di merito del giudice fallimentare. L’autorità giudiziaria non è dunqueinvestita del potere di imporre, autoritariamente, la «fusione» dei patrimoni, machiamata ad accertarne la compatibilità – se ed in quanto proposta dalle parti – rispettoalle regole ed ai principi che governano il sistema concorsuale nordamericano. Lasubstantive consolidation doctrine è, in ultima analisi, uno strumento forgiato (primaancora che dai giudici) dalla libertà contrattuale riconosciuta ai privati. In questa

 prospettiva, l’istituto appare assai meno «esotico» e tanto meno «eccentrico» rispetto aquanto avviene nel nostro ordinamento nell’ambito delle soluzioni concordate dellacrisi; e meriterebbe senz’altro verificare il suo ambito di applicazione nei nostri piani dirisanamento, nella prospettiva eminentemente «privatistica» e «contrattuale» degli

stessi, ma sempre nella logica di una maggior tutela dei creditori. E in primo luogo deicreditori delle società più capienti del gruppo, la cui integrale soddisfazione sembracostituire condizione indefettibile ai fini della legittimità di tali operazioni: limite chemerita di essere ricordato anche in relazione alle più recenti sperimentazioni offertedalla prassi concordataria. Il riferimento è alle recenti fattispecie esaminate nellericordate decisioni dei tribunali di La Spezia e Prato, nelle quali si è assistito ad unconferimento delle rispettive aziende da parte delle società operative del gruppo in statocritico a favore di una società in nome collettivo di nuova costituzione, alla cuicompagine sociale vengono fatte partecipare anche le società del gruppo in bonis più

 patrimonializzate, le quali, in quanto soci illimitatamente responsabili, diventano cosìgaranti ex lege delle obbligazioni già gravanti sulle società in crisi che la conferitaria si èaccollata in conseguenza del conferimento (art. 2560 c.c.).

4. Crisi dell’impresa di gruppo e doveri di corretta gestione imprenditoriale.Responsabilità per violazione dei protocolli organizzativi e informativi

Operate queste considerazioni preliminari, si tratta ora brevemente diripercorrere  i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale ai quali devonoispirarsi gli amministratori della capogruppo in presenza di una situazione di crisi cheinvesta l’intero gruppo o singole società ad esso appartenenti. Il tema si declina su tre

 piani: i) quali doveri abbiano gli organi della holding nella fase che precede la crisi, in

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 particolare in ordine al monitoraggio sull’emersione degli elementi sintomatici dellastessa nelle diverse società da loro dirette e coordinate; ii) quali doveri derivino dallaconstatazione della situazione, rispettivamente, di precrisi, crisi o insolvenza; iii) qualistrumenti possano o debbano essere adottati per la gestione della crisi del gruppo, dallesoluzioni stragiudiziali atipiche, ai piani di risanamento, agli accordi di ristrutturazione,ai concordati.

Il primo dovere attiene dunque alla predisposizione di una struttura organizzativadel gruppo in grado di cogliere quei segnali di difficoltà, di crescente tensione

finanziaria e di aggravamento degli indici di r ischio che caratterizzano quella fase che sicolloca in un’area intermedia tra impresa in normali condizioni di esercizio e impresa incondizioni di crisi conclamata, seppure ancora reversibile (c.d. «twilight zone»). Seinfatti, com’è stato rilevato, gli assetti organizzativi e i sistemi di controllo societaridevono risultare «adeguati non solo to a going concern, ma altresì alla tempestivarilevazione dello stato di crisi» (Montalenti), questo generale principio di correttaamministrazione dell’impresa societaria, desumibile dagli artt . 2381 e 2403 c.c., non puònon informare anche la gestione dell’impresa di gruppo e segnatamente i principi dicorretta gestione societaria e imprenditoriale cui deve ispirarsi l’attività di direzione ecoordinamento, ai sensi dell’art. 2497 c.c.: norma, quest’ultima, che, com’è statofelicemente rilevato, contiene una «espressione riassuntiva della serie di doveri e dei

canoni di comportamento che s’impongono al soggetto che esercita la direzione ecoordinamento di società e che valgono a disegnare (…) la figura del buon capogruppo»(G. Scognamiglio).

L’autovalutazione atomistica in ordine alla liquidità e alla continuità aziendale,che deve essere operata di regola dagli amministratori di ogni singola società, sotto lavigilanza dell’organo di controllo, lascia qui dunque il campo ad una valutazionecomplessiva di tale situazione nell’ambito del gruppo ad opera degli organi dellaholding, sulla base dei flussi informativi ascendenti che devono provenire dalle societàdel gruppo (per l’accentramento presso la holding della decisione sul destino dellesocietà eterodirette in stato di crisi, v. ora U. Tombari e L. Benedetti). In questa

 prospettiva, è stato fondatamente sollevato il dubbio se, nelle ipotesi (tutt’altro cheinfrequenti) in cui sia presente una gestione accentrata di tesoreria, e vengano dunquerealizzare una serie di operazioni di cash pooling, il test di liquidità non debba esserecondotto tenendo conto della solvibilità nell’ambito   dell’intero gruppo; e ciò in

 particolare qualora le concrete modalità di funzionamento della tesoreria accentratadeterminino restrizioni alla circolazione della liquidità all’interno dello stesso (in talsenso, da ultimo, Miola, nel quadro di una rinnovata considerazione del bilancioconsolidato quale «dato contabile a cui fare riferimento per la distribuzione del

 patrimonio sociale ai soci nei gruppi di società»).Ove poi la società di tesoreria che riceve la liquidità coincidesse, come

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normalmente avviene, con la capogruppo, il sistema di cash pooling imprimerebbecarattere necessariamente bidirezionale al meccanismo di circolazione delleinformazioni infragruppo: il flusso informativo dovrebbe infatti attivarsi non piùsoltanto in senso ascendente, onde permettere il corretto esercizio dell’attività didirezione e coordinamento da parte della holding, ma anche in senso discendente, per consentire agli amministratori delle controllate di adempiere al dovere di monitorare ilgrado di solvibilità della società verso la quale fanno confluire la loro liquidità ed il suoeventuale peggioramento. L’esigenza di consentire un’analisi del rischio, r ichiesta in t ale

circostanza, potrebbe essere presidiata mediante il ricorso a  financial covenants, cheaccordino specifici diritti di informazione alle controllate nei confronti dellacapogruppo, la cui mancata previsione potrebbe essere, in alcune fattispecie, financhefonte di responsabilità per gli amministratori di queste ultime; peraltro, anche in assenzadi tali garanzie contrattuali, il sistema normativo sembra comunque imporre allacapogruppo di mettere a disposizione adeguate informazioni quale condizioneindefettibile affinché le controllate possano legittimamente realizzare l’operazione dicash pooling e conservare l’iscrizione del prestito nel proprio bilancio al valore direalizzo, quale inizialmente accertato (così ancora Miola, per il quale si potrebbealtrimenti ravvisare nell’operazione «un’attribuzione patrimoniale della società allaholding capace di violare le prescrizioni relative al capitale sociale, oltre a costituire

inadempimento dei doveri della capogruppo in ordine alla gestione della liquidità digruppo»).

Di là da tale situazione specifica – ma, si ripete, relativamente diffusa nella prassi – il riconoscimento di tali doveri informativi transitivi discendenti dellacapogruppo in ordine alla sua situazione patrimoniale e finanziaria sembra doversiestendere a ogni ipotesi in cui questa abbia indotto le società (direttamente oindirettamente) controllate a effettuare finanziamenti o concedere garanzie in suo favore.Conclusione, quest’ultima, che sembra imporre un supplemento di riflessione in ordineall’effettiva portata della postergazione dei prestiti infragruppo, dovendosi a mio avvisoriconsiderare la conclusione – apoditticamente fondata sulla lettera (invero non univoca)dell’art. 2497-quinquies c.c. – secondo la quale gli up-stream loans effettuati dallesocietà del gruppo direttamente alla holding resterebbero esclusi da tale regola generaledi corretto finanziamento.

I finanziamenti ascendenti diretti alla holding si configurano, del resto, e forseancor più dei finanziamenti discendenti e cross-stream, come «decisioni influenzatedall’attività di direzione e coordinamento» ai sensi dell’ art. 2497-ter ; e se si seguel’interpretazione (sostenuta in modo davvero convincente da Giuliana Scognamiglio)secondo la quale l’art. 2497-ter  imporrebbe un’informazione sul contenutodell’operazione anche durante lo svolgimento del rapporto, gli amministratori dellecontrollate si troverebbero nelle condizioni di conoscere la situazione patrimoniale e

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finanziaria della holding non soltanto nel momento genetico del finanziamento (secondoquanto più sopra rilevato), ma anche in costanza del rapporto creditizio.

Sicché, pur condividendosi l’impressione che le norme di cui agli artt. 2497 ss.tendono a porsi dal punto di vista delle società controllate, trascurando le posizioni deisoci di minoranza e dei creditori della holding, che pure possono essere danneggiatidalla gestione di gruppo (Spolidoro), di tali istanze di tutela sembra potersi (e doversi)dare carico l’interprete attraverso un’interpretativa analogica (e forse anche soltantoestensiva) dell’art. 2497 quinquies. Resta semmai da verificare se il prestito effettuato

alla controllante non nasconda forme di restituzione simulata dei conferimenti (2626),nel qual caso si potrebbe configurare la nullità dell’operazione ex artt. 1344 e 2626 c.c.ed il diritto al rimborso a titolo di ripetizione d’indebito; ma ciò tanto nel caso difinanziamento alla holding da parte di controllata diretta, quanto nel caso di prestitoeffettuato dalla subcontrollata a una controllante intermedia e, in generale, da ognisocietà del gruppo alla cui compagine la società che riceve il finanziamento partecipi.L’opposta e più restrittiva interpretazione, che valorizza il dato letterale, si espone delresto a due argomenti  per absurdum: per un verso, il presupposto soggettivo della

 postergazione sarebbe certamente configurabile ove la holding rivestisse (come soventeavviene) la forma di s.r.l. e la controllata avesse una partecipazione «incrociata», ancheirrisoria, nella prima; per altro verso, e soprattutto, i finanziamenti infragruppo non

sarebbero mai p ostergati nel gruppo paritetico.Da ultimo va rilevato come, la postergazione imposta ai crediti infragruppo e la

restituzione dei rimborsi infragruppo operati nell’anno anteriore al fallimento possarappresentare un formidabile volano per i piani concordatari (e gli accordi) di gruppo,consentendo di operare una consolidazione delle reciproche voci di credito e debito,quanto meno per i crediti derivanti da finanziamenti effettuati nelle situazioni critiche dicui al secondo comma dell’art. 2467 c.c., e così espandendo le prospettive disoddisfazione dei creditori estranei, per i quali il piano concordatario potrebbe anchelegittimamente prevedere l’integrale pagamento tanto dei crediti privilegiati quanto deicrediti chirografari. Ipotesi tutt’altro che scolastica in tutte quelle situazioni in cui icrediti infragruppo abbiano carattere preponderante. Anche in tal caso, il concordatoappare come lo strumento più idoneo attraverso il quale verificare, nei termini dimaggiore trasparenza e garanzia per i creditori sociali (ivi inclusi le stesse società delgruppo i cui crediti siano qualificati come postergati), la presenza e la portata dei

 presupposti che determinano come la postergazione; e, p iù in generale, la graduazionedelle diverse posizioni dei creditori sociali prefigurata nel piano concordatario, sulla

 base soltanto della quale è possibile procedere a quel superamento dello stato di crisi checostituisce la finalità t ipica della procedura.

5. Segue. Sui rischi propagazione della crisi nella realtà di gruppo 

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Un primo profilo di responsabilità configurabile nei confronti degliamministratori della capogruppo attiene dunque alla violazione dei protocolliorganizzativi e informativi imposti dai doveri di corretta gestione imprenditoriale, inquanto abbiano determinato una tardiva emersione dello stato di crisi (o anche già di

 pre-crisi) e un conseguente ritardo nell’attivazione degli strumenti di intervento per farvifronte; mentre, specularmente, una responsabilità degli organi delle controllate potrebbediscendere dall’omessa, intempestiva o comunque inadeguata attivazione dei flussiinformativi ascendenti verso la holding. 

Questo primo angolo prospettico sembra confermare che la disciplina del gruppoe il concreto funzionamento dei rapporti infragruppo impone un ripensamento deglistessi concetti di «stato di insolvenza» e di «stato di crisi», i quali, con riguardo aun’impresa di gruppo sono destinati ad assumere colorazioni nuove e peculiari rispettoai corrispondenti presupposti riferiti imprese autonome (così già Libonati e oraTombari).

La differenza rispetto a queste ultime è accentuata nelle situazioni in cui lesocietà controllate non godano di riserve in contanti o di linee di credito esterne: in taliipotesi l’insolvenza della capogruppo è destinata di per sé (e a prescindere dacomportamenti abusivi) a propagarsi rapidamente nei confronti delle controllate che nonrisultano essere più in grado di ottenere la ricostituzione della propria liquidità,

rendendo anche esse insolventi e realizzando così un «effetto domino». Rischio,quest’ultimo, che risulta tanto più forte quanto maggiori siano stati i finanziamenti (ocomunque i prelievi di liquidità) interni al gruppo; ed è ulteriormente (e forseindebitamente) accentuato dalle regole in materia di segnalazione delle posizioni dirischio alla Centrale dei rischi, che impongono agli intermediari segnalanti la creazionedi “gruppi di rischio” laddove sussistano collegamenti fra soggetti affidati tali da far ritenere che le difficoltà di uno di essi comportino anche difficoltà per gli altri. La crisidi una delle società del gruppo può dunque riverberarsi anche sui rapporti creditizi delleimprese controllate e collegate che, anche se in bonis, vedono sovente trascolorare laloro posizione nell’area grigia del “credito problematico”, subendo quel blocco del c.d.auto liquidante che vanifica la fiducia che pure il mercato continua ad avere nei loroconfronti (quale attestata da perduranti cospicui portafogli clienti).

Se questi rischi di propagazione confermano il rilievo dei ricordati doveri dimonitoraggio e di informazione in capo agli amministratori della holding in ordine allesituazioni di tensione finanziaria all’interno del gruppo, si tratta ora di vedere qualistrumenti possano (o debbano) essere attivati ove si riscontri l’effettiva emersione dellostato di crisi.

6. Segue. Sui doveri di attivazione al verificarsi della situazione di crisi Gli amministratori della holding, una volta adempiuto il preliminare dovere di

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 predisporre un adeguato assetto organizzativo, che, tramite continui f lussi informativi,consenta di tenere sotto controllo i rischi di crisi, sono quindi chiamati a valutare isegnali critici che dovessero emergere all’interno del gruppo. In relazione alla tipologiadi crisi e alla sua gravità, essi dovranno pertanto delineare gli interventi, e dunque glistrumenti giuridici, che possano rivelarsi più efficaci per far fronte alla crisi econtribuire al suo superamento.

Il quadro è particolarmente articolato; si possono tuttavia fissare alcuni puntifermi.

 A) In primo luogo, è ormai riconosciuta l’immanenza al sistema di un principio ostandard  di corretta gestione imprenditoriale, che impone di non proseguire

 passivamente l’esercizio dell’impresa priva della prosp ett iva della continuità (Mazzoni); principio, che è a sua volta coerente, alla scelta del nostro legislatore di rimettere lavalutazione in ordine alla sussistenza dello stato di crisi o di insolvenza in via esclusivaalla società (o, se si vuole, dell’impresa), su iniziativa della quale soltanto possonoessere avviati tanto la procedura concordataria, quanto l’accordo di ristrutturazione e,ancor prima, il piano di risanamento.

 Nella dimensione di gruppo ciò implica che gli organi della holding non possonodisinteressarsi della crisi delle controllate, né permettere che i loro amministratori

 proseguano la gestione opportunisticamente a danno dei creditori attuali e potenziali, ma

sono tenuti, in forza dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, adacquisire tutte le informazioni necessarie per valutare la situazione e assumere ledecisioni più opportune. E questo tanto nella prospettiva di una protezione delle societàeterodirette, e dei loro creditori, quanto ai fini di una più efficace tutela in primo luogodei soci della stessa holding, il cui patrimonio è costituito in misura preponderante dalvalore delle partecipate, l’investimento nelle quali dev’essere adeguatamente presidiato.In tale quadro, la mancata acquisizione delle informazioni e l’omessa assunzione delleconseguenti decisioni potrebbe configurare una grave irregolarità idonea ad arrecare«danno alla società o a una o più società controllate», denunziabile in quanto tale aisensi dell’art. 2409 c.c.; mentre, per converso, la decisione relativa all’adozione di p ianio accordi di risanamento è destinata a rappresentare, almeno con riferimento alle

 principali società del gruppo una delle «operazioni di maggior rilievo, per le lorodimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate» che, ai sensidell’art. 2381, comma 5., c.c., devono essere oggetto di analitica rappresentazione alconsiglio di amministrazione. Mentre, per i piani di maggiore portata e impegnofinanziario per la stessa holding, potrebbe profilarsi un dovere di sottoporre

 preliminarmente gli stessi alla discussione e deliberazione consiliare, secondo quantoimposto per le società quotate dal codice di autodisciplina in relazione alle «operazionidell’emittente e delle sue controllate, quando tali operazioni abbiano un significativorilievo strategico, economico, patrimoniale o finanziario per l’emittente stesso» (così la

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lett. f del criterio 1.C.1); se non addirittura un dovere di informazione preventiva ai socidella capogruppo, in sede assembleare.

 B) Se un’allerta ritardata e una prosecuzione passiva e opportunistica dellagestione delle società del gruppo in assenza di continuità aziendale possono esserecertamente dannose e fonte di responsabilità (non soltanto per gli organi della società inquestione, ma) anche per gli amministratori della holding, va peraltro sottolineato che

 parimenti colpevole può rivelarsi un prematuro approdo fallimentare. Nell’attuale sistema normativo la legge non impone infatti mai una soluzione

obbligata agli amministratori, neppure in presenza di una crisi così grave da essere giàsfociata nell’insolvenza, offrendo loro viceversa un’ampia discrezionalitànell’individuazione degli strumenti con i quali provare a comporre quest’ultima, e irapporti con i creditori, prima di approdare al fallimento (per tutti Guizzi e Mazzoni).

 Non a caso la decisione sul l’accesso al concordato (con p erfetta simmetria risp etto agliaccordi di ristrutturazione) è stata ora rimessa alla competenza degli amministratori(direi, in via esclusiva, nella s.p.a., mentre è fatta salva diversa previsione dell’attocostitutivo, nella s.r.l.), come a rimarcarne evidentemente la natura di atto di gestione diquesto particolare momento dell’attività di impresa (art. 152, comma 2, lett . b) l. fall.).

Gli amministratori sono chiamati dunque ad individuare le soluzioni più idonee a prevenire quella «evaporazione» che nel mondo delle società commerciali (come già

constatava Conrad quasi un secolo or sono) « per le misteriose leggi della finanza … precede sempre la liquidazione», precludendo la possibilità di realizzare un valorecapace di ripagare integralmente i creditori, attraverso la dismissione dei suoi cespiti odell’organizzazione produttiva nel suo complesso.

 Nelle realtà di gruppo, gli amministratori della holding non possono dunquesospingere troppo rapidamente le società eterodirette verso il fallimento, abdicando alloro dovere di valutare se e quali strumenti di prevenzione della crisi possano essere, per tempo e più proficuamente, adottati.

C ) Entro i due poli estremi sopra delineati, e fermi restando i doveri preliminaridi rispetto dei protocolli organizzativi e informativi richiamati nel paragrafo precedente,si colloca un ventaglio di soluzioni alternative quanto mai ampio.

C.1) In relazione alle circostanze concrete, potrebbe non risultare necessarial’attivazione degli strumenti di prevenzione contemplati dall’ordinamento, ben

 potendosi provvedere attraverso singole operazioni dirette a risanare la controllatadotandola di nuovi mezzi propri, in primo luogo mediante un aumento di capitale. Alriguardo non posso non salutare con favore la recentissima Massima n.122 del Consiglio

 Notarile di Milano, secondo la quale «la presenza di perdite superiori al terzo delcapitale, anche tali da ridurre il capitale ad un importo inferiore al minimo legale

 previsto per le s.p.a. e le s.r.l., non impedisce l’assunzione di una deliberazione di

aumento del capitale che sia in grado di ridurre le perdite ad un ammontare inferiore al

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terzo del capitale e di ricondurre il capitale stesso, se del caso, a un ammontaresuperiore al minimo legale». Tale Massima riprende, ed ampiamente sviluppa, unospunto che avevo prospettato in occasione del convegno sulle operazioni sul capitaleorganizzato dalla Fondazione Nazionale del Notariato nel 2007. Scrivevo allora che se èvero che è ormai indiscussa, anche nelle ipotesi di cui all’art. 2447, la legittimità di unapporto fuori capitale diretto a prevenire la perdita, non sembrano rinvenibili ragioni diordine sistematico o assiologico tali da precludere ai soci di intervenire operando nuoviconferimenti, con la maggior trasparenza e tutela dei creditori connessi a una

modificazione statutaria destinata ad aumentare il vincolo contabile prospettico sul patrimonio sociale, risultando sufficiente, sotto il profilo informativo, fornireun’adeguata informazione all’assemblea in ordine all’accertamento della perditarilevante e, più in generale, ai sottoscrittori dell’aumento in ordine alla situazione

 patrimoniale della società emittente le nuove azioni (o partecipazioni).Tale impostazione offre un nuovo strumento di intervento sia per prevenire

situazioni di crisi, sia come tassello di operazioni di risanamento, in quanto, come rilevala motivazione della Massima milanese, amplia e p otenzia «le chances di reperire nuoverisorse utili per la prosecuzione (quando non sopravvivenza) della società, specie làdove gli attuali soci non possano o non vogliano partecipare all’operazione diricapitalizzazione». In effetti, l’assunzione della delibera di aumento di capitale, pur in

 presenza di p erdite rilevanti, «consente ai sottoscrittori di vedersi imputato a capitale(con corrispondente rafforzamento della propria posizione amministrativa e

 patrimoniale) l’intero proprio impegno finanziario, senza che vi sia la necessità chequest’ultimo sia in parte destinato alla copertura “a fondo perduto” delle perdite». Nella

 prospettiva del gruppo, essa consente in particolare alla società holding di sottoscrivere(o far sottoscrivere da controllanti intermedie) l’aumento, o ancor prima di procedere aun preliminare versamento in conto futuro aumento di capitale, mantenendo tuttaviainalterate nel loro valore nominale le partecipazioni dei soci esterni al gruppo, menointeressati a (o in grado di) effettuare nuovi conferimenti e tuttavia più facilmente indottia votare anch’essi a favore della ricapitalizzazione (consentendo in tal modo diconseguire gli eventuali quozienti rafforzati che lo statuto non di rado contempla nellesocietà chiuse).

C.2) Nell’ambito del grupp o si potrà valutare anche l’opp ortunità di procedere adaltre operazioni straordinarie di aggregazione (fusione) o separazione (scorporo oscissione) tra le società eterodirette. Così come si potrà procedere ad apporti a

 patrimonio non imputati a capitale o anche a finanziamenti infragruppo. Rispetto aquesti ultimi occorre peraltro distinguere a seconda che vi sia o meno uno stato di crisi eche si intenda renderlo di pubblico dominio, risultando in questa seconda ipotesievidentemente preferibile una collocazione all’interno di accordi di ristrutturazione o di

 piani concordatari, così da poter beneficiare, in caso di esito negativo e conseguente

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fallimento, della prededuzione (parziale) accordata dall’art. 182-quater l. fall. (sul qualev. ora Tombari e già Stanghellini e Abriani).

C.3) Quest’ultimo rilievo introduce l’ulteriore e delicata questione della sceltadello strumento più idoneo a prevenire o comunque comporre la crisi.

Al riguardo non si può non convenire con chi ha ancora di recente osservato chela scelta se tentare il risanamento o procedere alla liquidazione fallimentare, se affidarsial piano attestato o ricorrere a soluzioni più strutturate non è affidata alla discrezionalitàinsindacabile dell’imprenditore, bensì alla sua discrezionalità tecnica assistita dalla

valutazione qualificata del professionista: con il duplice corollario che, da un lato, lescelte tra le diverse soluzioni operative non sono del tutto discrezionali, restando pur sempre «scrutinabili secondo parametri di correttezza, fondati appunto, sulla“ragionevolezza” del piano, sulla “attuabilità” dell’accordo, sulla “fattibilità” del

 piano»; dall’altro, però, proprio in quanto si fondano pur sempre su attestazioni di professionisti, restano in linea generale p residiate dalla regola della business judgement 

rule e pertanto «estranee alla sfera di responsabilità dell’imprenditore» (Montalenti).Tutto ciò, naturalmente, salva la fraus, che omnia corrumpit .

Se gli amministratori della holding hanno certamente un obbligo di valutare serisanare o meno le controllate e individuare, in caso positivo, l’istituto più idoneo adavviare tale risanamento, ciò non implica che vi sia un vero e proprio dovere di

 procedere in tale direzione, adottando i piani in esame, siano essi concordatari, accordidi ristrutturazione piani attestati di risanamento o puramente st ragiudiziali.

Sul punto occorre essere molto chiari, e cauti. I l ricordato dovere della holding dimonitorare le situazioni di crisi delle controllate e di intervenire sollecitamente va infattiinteso come dovere di non aggravare la crisi, continuando opportunisticamente eingiustificatamente l’esercizio di imprese prive della prospettiva della continuità; non

 pare invece postulabile un obbligo della controllante di coprire le perdite dellecontrollate, e più in generale di patrimonializzarle adeguatamente e neppure difinanziarle con nuova liquidità. Quanto alla dotazione di nuove risorse, un obbligo

 parrebbe configurabile solo se e nei limiti in cui ciò configuri una compensazione deidanni imposti dalla prima nell’ambito dell’attività di direzione e coordinamento. Né pareconfigurabile un dovere della capogruppo di coordinare i flussi finanziari all’interno delgruppo, in modo da conservare la liquidità delle singole società controllate e quindi dagarantire la loro sopravvivenza. Del resto, anche i progetti p iù avanzati elaborati su scalaeuropea si limitano a suggerire l’introduzione negli ordinamenti dei singoli Stati di unaregola generale, in base alla quale, «nel momento in cui in una società controllata nonsussista più una ragionevole prospettiva di poter evitare lo scioglimento con le proprieforze (momento iniziale della crisi)», la holding è tenuta, alternativamente, a«provvedere senza indugio a risanare in modo energico la controllata» oppure a«disporre la sua liquidazione in forma ordinata» (così il Forum Europaeum sul diritto

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dei gruppi di società).Resta dunque fermo che, qualora la situazione patrimoniale e finanziaria della

società capogruppo non le consenta di partecipare al risanamento della controllata, ocomunque risulti conforme ai principi di corretta gestione imprenditoriale astenersidall’operare tali interventi, gli amministratori della holding potranno, d’intesa con gliamministratori delle società controllate,  disporre la liquidazione della societàeterodiretta; mentre soltanto nei casi più gravi, caratterizzati dalla manifestazione di unostato di insolvenza, dovranno attivarsi al fine di far dichiarare il suo fallimento o altra

 procedura concorsuale di cui ricorrano gli specifici p resupposti (in tal senso, per tutti,Tombari).Dai principi di corretta gestione imprenditoriale sembra piuttosto discendere il

dovere, in presenza di una gestione centralizzata della liquidità di gruppo, di svolgeredetta attività in modo tale da non rendere le società controllate incapaci di adempiere equindi insolventi, in conseguenza delle difficoltà del gruppo. È dunque semmai un limiteal “drenaggio” della liquidità dalle società del gruppo; che tuttavia non deve indurre aritenere che il meccanismo di approvvigionamento accentrato della liquidità equivalgadi per sé a un superamento dell’autonomia patrimoniale delle singole società all’internodel gruppo stesso, non potendo le società controllate pretendere, in caso di bisogno,erogazioni di liquidità da parte della capogruppo (e v. ancora sul punto i puntuali rilievi

di Miola).Un dovere di erogare liquidità può tutt’al più configurarsi “a valle”, in termini di

doverosa “restituzione” di quanto fatto affluire dalla controllata che si trovi(attualmente) in crisi finanziaria alla tesoreria di gruppo o alla stessa holding,nell’ambito di un cash pooling. In questo caso, proprio in quanto si tratta dellarestituzione di liquidità p recedentemente affidata alla società di tesoreria accentrata, nonrappresenterà un nuovo finanziamento da parte di quest’ultima destinato alla

 postergazione ai sensi degli artt . 2467 e 2497 quinquies, ma potrà soggiacere ai limitiche tali disposizioni pongono alla rimborsabilità dei finanziamenti concessi nellesituazioni critiche ivi contemplate.

C.4) Posto dunque che gli amministratori della controllante possono, in linea di principio, decidere di non  avviare una gestione negoziale della crisi delle controllate,indirizzandole verso la liquidazione volontaria o fallimentare, è peraltro evidente chel’ordinamento tende a promuovere la presentazione di un piano concordatario o di unaccordo di ristrutturazione o ancora di piani di risanamento attestati. Piani che

 potrebbero oggi assumere configurazione unitaria per tutte o almeno alcune delle societàdel gruppo.

Come osservano le Linee guida elaborate dall’Università di Firenze, Assonime eCndcec, la società capogruppo può verificare per ogni società quale sia lo st rumento che

 per essa è p iù adatto; nulla osta dunque a che società del medesimo gruppo adottino

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strumenti diversi, e persino a che un piano di ristrutturazione complessiva a livello digruppo contempli, per alcune società, strumenti di composizione stragiudiziale, e per altre l’accesso a procedure concorsuali di concordato preventivo o di fallimento (oamministrazione straordinaria).

In una prospettiva di maggiore unitarietà si collocano gli strumenti elaboratinegli anni p iù recenti dalla prassi, classificabili (pur nella loro eterogeneità) secondo unasorta di climax ascendente.

a) Vi sono innanzi tutto accordi o concordati relativi ad alcune società soltanto,

favoriti dall’intervento di società del gruppo non insolventi (e ben patrimonializzate),che sono sovente il frutto di spinn-off  immobiliari realizzati durante l’evoluzione delgruppo, con scorpori o scissioni, magari proprio delle società attualmente in crisi. Lascissionaria o conferitaria viene dunque a prendersi sulle spalle la società operativa chel’aveva creata, traghettandola nel percorso di ristrutturazione: come Enea con il padreAnchise, verrebbe da dire, ma l’immagine letteraria non tragga in inganno, perché lasocietà figlia in questo caso ha normalmente propri creditori e talora anche soci diminoranza.

 b) Non di rado vi sono invece più società del gruppo con una compagine noncoincidente, ma con in prevalenza gli stessi creditori, pur variamente esposti. In questocaso è dato quasi sempre registrare più proposte di concordato o di accordo,

reciprocamente condizionate alla rispettiva omologazione. Tale condizione rendemanifesta la volontà di creare un collegamento negoziale: il che assume rilievo nonsoltanto nel momento genetico dell’approvazione e dell’omologazione, ma anche nellafase dell’esecuzione, in quanto l’inadempimento dell’accordo o del piano concordatarioda parte di una delle società del gruppo può avere effetti consequenziali sul pianocomplessivo. I vari piani o accordi di ristrutturazione redatti per ciascuna società delgruppo che abbiano scelto di ricorrere a questi strumenti possono confluire in un unicodocumento fisico che li comprenda unitariamente.

c) Su un piano ancora diverso si pone il vero e proprio concordato o accordo digruppo, che vale non soltanto a garantire con certezza un unico commissario, ma anchea ridurre i costi (in termini relativi per la perizia, che può risultare obiettivamente piùimpegnativa, più marcati per la cauzione). Il modello normativo di riferimento è quirappresentato dalla disciplina dettata per il concordato dell’amministrazionestraordinaria, che non determina però mai una massa unica, ma contempla un pianounitario, oggetto di approvazione, con votazioni separate, da parte dei creditori dellediverse società, la cui insolvenza è p resupposto per la partecipazione alla procedura.

L’accordo di ristrutturazione, a sua volta, presuppone l’adesione del sessanta per cento dei creditori di ciascuna società, non computandosi mai unitariamente i creditoridel gruppo. Si tratta di un accordo unico cui partecipano tutte le società del gruppo come

 parti proponenti, con l’adesione da parte dei creditori di ciascuna società: un negozio

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dunque soggettivamente complesso sia dal lato delle parti proponenti che dal lato degliaderenti.

 Nell’accordo di ristrutturazione i creditori dovrebbero comunque essere suddivis i per classi (presentando i creditori di ciascuna società posizioni tra loro economicamenteomogenee rispetto ai creditori delle altre società del gruppo) e rappresentare il sessanta

 per cento all’interno di ciascuna classe, ferma restando la garanzia del pagamentointegrale per tutti i creditori che non vi aderiscano.

Anche per il concordato, si potrebbe immaginare di suddividere i creditori delle

società del gruppo coinvolte in altrett ante classi (se del caso, distinguendo ulteriormentecreditori privilegiati e chirografari di ciascuna di esse), ma prevedendo comunque lanecessaria approvazione da parte di tutte le classi: beninteso, dei creditori ai quali nonsia garantito l’integrale pagamento (e sarebbe buona norma garantire sempre l’integrale

 pagamento dei creditori delle società più capienti). Naturalmente, sarebbero classi insenso atecnico, non determinandosi mai il cram down. Tuttavia, non vedrei ostacoli autilizzare la classe (per tornare all’Eneide) come Cavallo di Troia per conciliare ladimensione unitaria del piano concordatario con la permanente autonomia patrimonialedelle società partecipanti e delle rispettive masse passive (per tutti, G. Scognamiglio).Anche in questo caso, ciascuna società del gruppo risulta in linea di principio come

 parte proponente nell’ambito di un negozio soggettivamente complesso; mi chiedo

tuttavia se non si possa immaginare anche un accordo di gruppo proposto dal legalerappresentante della sola società capogruppo su mandato delle società controllate, ferma

 peraltro l’esigenza dell’adesione dei creditori di tutte le società del gruppo (e le cautele ei passaggi procedimentali sopra ricordati). In questo caso saremmo di fronte ad unafattispecie non più soggettivamente complessa, né dal lato del proponente (la solacapogruppo), né dal lato dell’aderente (tutt i i creditori delle società del gruppo, suddivisi

 per classi in ragione della società di cui sono creditori). Ovviamente non vi sarebbealcuna incompatibilità legata al fatto che lo stesso creditore possa votare in più classi,

 posto che sono legitt imati al voto i crediti e non i creditori: creditori che potrebberoessere tali per titoli diversi.

Anche nelle ipotesi sopra considerate, la permanente autonomia giuridica diciascuna società determina l’esigenza che l’attuabilità del piano concordatario edell’accordo sia valutata non solo nel suo complesso, ma anche separatamente per ciascuna società coinvolta; e, in particolare, per gli accordi di ristrutturazione,  la loroidoneità a garantire il pagamento integrale dei rispettivi creditori non aderenti. Tuttavia,come rilevano ancora le  Linee guida, non vi sono «ragioni contrarie a che il

 professionista formuli un giudizio che, pur dovendo valutare la situazione di ciascunasocietà, abbia una motivazione incentrata principalmente sulla ristrutturazione dellacapogruppo» e sugli effetti posit ivi che il sup eramento della crisi di alcune sue società èdestinato a determinare sulle società del gruppo.

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Come anticipato, in molti casi, è proprio la presenza del gruppo a rendereragionevolmente attuabile quanto non lo sarebbe altrimenti. E questo indubbiovantaggio potrebbe essere un elemento da considerare nella prospettiva futura deivantaggi compensativi, con il corollario che la società che permette alla controllata oalla consorella il vantaggio di conseguire i risultati, altrimenti inattuabili, del piano,

 potrà compensare in futuro, in caso di successo del piano stesso, tali vantaggi.Specularmente, già nella fase di assunzione delle decisioni, se la holding o altre

società del gruppo più capienti avevano beneficiato di vantaggi dalle controllate, si

 potrebbe configurare eccezionalmente un dovere di intervenire nel risanamento in prospettiva compensativa. Nella redazione del piano concordatario, dell’accordo o del piano di risanamento,

gli organi sociali delle singole società del gruppo devono tener conto dei conflittid’interesse fra i creditori delle varie società e, nei limiti in cui siano rilevanti, i conflittifra i loro soci. E di tali possibili conflitti dovrà tener conto – come precisato sempredalle Linee guida dell’Università di Firenze – anche il professionista chiamatoall’attestazione, nella misura in cui il sacrificio indebito di una componente possaminare il successo del piano o dell’accordo.

 Nell’esame di tali profili critici e della responsabilità da parte degliamministratori della società che ha partecipato al piano impegnando parte del proprio

 patrimonio per il risanamento di altre società del gruppo, si tratta di verificare se la promozione (per la holding) e la p artecipazione al p iano rientri o meno nei principi dicorretta gestione societaria e imprenditoriale, anche alla luce dei vantaggi diretti oindiretti che ne derivano per le società del gruppo partecipanti (da ultimo, anche per gliopportuni riferimenti bibliografici, L. Benedetti). Il tutto, ancora una volta,rigorosamente presidiato dalla business judgement rule, senza possibilità di unavalutazione ex post.

C.5) Non è questa naturalmente la sede per ripercorrere le importanti evoluzionidella nostra giurisprudenza e della prassi degli operatori, che in questi ultimi annisembra segnalare un deciso salto di qualità e una crescente consapevolezza nei confrontidel concordato e degli accordi di ristrutturazione di gruppo (per una ricognizione, v. oraAl. Di Majo): un quadro ancora in movimento e nel quale fa spicco la recente decisionedel Tribunale di Roma, 7 marzo 2011, ove si affronta (e si risolve in senso positivo) il

 problema della legittimità di un concordato preventivo riferito ad un gruppo di società, presentato con unico ricorso e supportato da un unico piano aziendale, che consideravain modo unitario l’impresa di gruppo, pur mantenendo distinte le masse patrimonialidelle singole società.

Va semmai osservato come l’adozione di accordi e concordati possarappresentare un’alternativa al tradizionale dilemma se ricapitalizzare o liquidare; omeglio, possa, proprio in ragione dei loro risultati ivi prefigurati, e segnatamente della

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riduzione del debito conseguente alla falcidia, far venir meno i presupposti di cui agliartt. 2446 e 2447, per la s.p.a., e 2482-bis 2482-ter , per la s.r.l.. Il tema è affrontato intermini generali da un Orientamento che stiamo elaborando all’interno del Consiglio

 Notarile di Firenze, e di cui l’amico Lorenzo Stanghellini è il p rincipale estensore, nelquale ci interroghiamo se, in pendenza della procedura di concordato, siano o menosospesi gli obblighi di ricapitalizzazione, con il corollario, in caso di risposta positiva,che non si determinerebbe la causa di scioglimento di cui all’art. 2484 n. 4) c.c. allorché,in presenza di perdite che riducano il patrimonio netto al di sotto del limite minimo

legale, gli amministratori presentino senza indugio una domanda di concordato preventivo o sia la stessa assemblea, convocata ai sensi delle norme in esame, adeliberare la p resentazione della proposta di concordato. La questione è particolarmentedelicata in quanto, in linea di principio, lo standard di diritto dell’impresa che precludela prosecuzione opportunistica dell’esercizio di un’attività priva della prospettiva dellacontinuità non si sovrappone ma si affianca alle prescrizioni delle specifiche rules  contenute nella disciplina legale della forma organizzativa societaria (per tutti Mazzoni).In altre parole, il principio di corretta gestione imprenditoriale non fa venir meno ildovere di rispettare la corretta gestione societaria; occorre dunque verificare con rigorese il piano o l’accordo siano effettivamente idonei a ripristinare il rapporto tra

 patrimonio netto e capitale imposto dalla legge.

 Nel rinviare sul punto alle conclusioni che saranno elaborate nel “nost ro”Orientamento (e presentate nell’ormai tradizionale convegno fiorentino di fine

 primavera), si può rilevare come nella logica del piano concordatario (o accordo) digruppo si pongano ulteriori è più specifici interrogativi. Un primo dubbio è sel’intervento di sostegno eventualmente previsto nel piano da parte della holding o dialtre società del gruppo possa da solo (in quanto adeguatamente consistente eragionevolmente idoneo) far venir meno i presupposti di cui agli artt . 2446 e 2447. E, incaso positivo, se basti l’impegno assunto nel piano od occorra la sua esecuzione. Eancora, ove si accolga questa seconda (e forse eccessivamente restrittiva) soluzione,entro quando deve aver luogo l’intervento per esonerare gli amministratori dall’obbligodi convocare senza indugio l’assemblea e quest’ultima dal deliberare gli opportuniinterventi sul capitale?

L’unica considerazione che mi sentirei di avanzare in termini noneccessivamente dubitativi è che si tratta, ancora una volta e pur sempre, di un giudizioimprenditoriale. Se le misure assunte risultano ragionevoli e tempestive, laresponsabilità è pertanto esclusa; mentre i gestori dell’impresa possono ricercare emettere in pratica queste soluzioni secondo il loro prudente e ragionevoleapprezzamento che resta insindacabile a posteriori in relazione all’effettivo esito del

 piano di risanamento. Per altro verso, e anche al di fuori del contesto concordatario, gliamministratori della controllata dovrebbero chiedere alla controllante di formalizzare gli

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impegni e valutare questi possono essere ragionevolmente rispettati; altrimenti saràineludibile l’assunzione dei provvedimenti imposti dalla legge.

Le questioni ora evocate sollecitano un’ulteriore domanda: durante il periodo incui il piano concordatario o l’accordo di ristrutturazione (o forse anche il p ianoattestato) è in corso, le società del gruppo che ad esso partecipano dovranno segnalare inmodo specifico questa situazione nei rispettivi bilanci d’esercizio (ad es., con dettagli innota integrativa, segnalare la specifica natura del credito, appostare un fondo a garanzia)e, per la holding, anche nel bilancio consolidato del gruppo?

7. Considerazioni conclusiveLe considerazioni sin qui svolte pongono, come si vede, più di un dubbio. Al

contempo contribuiscono a delineare, sia pure in filigrana, alcuni possibili profili diresponsabilità della società capogruppo – e, in solido, dei suoi amministratori e degliamministratori delle società controllate, che hanno preso parte al fatto lesivo – per idanni derivanti sia dalla mancata predisposizione di adeguati protocolli organizzativi edinformativi tali da consentire la tempestiva emersione delle situazioni di crisi interne algruppo, sia dall’attuazione di politiche di risanamento non rispondenti ai principi dicorretta gestione societaria ed imprenditoriale. Responsabilità risarcitoria di cui mi pareinnegabile la natura contrattuale (e v. ora Trib. Milano, 17 giugno 2011) e che potrà

essere fatta valere, in caso di fallimento, dal curatore delle società danneggiate (oltreche, per le società in bonis, dai soci di minoranza e dai creditori, ai sensi dell’art. 2497c.c.).

Questo strumento è poi rafforzato dalla disposizione in tema di postergazione dei prestiti infragruppo, dal quale sono peraltro esentati (per l’ottanta per cento) ifinanziamenti effettuati in esecuzione di concordati o accordi di ristrutturazioneomologati. Né va dimenticato che la giurisprudenza arricchisce ulteriormente questoarmamentario, desumendo dal rapporto di gruppo elementi presuntivi della scientia

decotionis ai fini della revocatoria degli altri atti infragruppo e anche dell’intenzionalitàdannosa che consente di eccepire l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale (tali essendosovente considerate le garanzie infragrupp o).

A questi «bastoni» non corrisponde tuttavia la «carota» di strumenti certi ericonosciuti per la gestione unitaria delle varie procedure concorsuali delle società delgruppo. Al riguardo viene tralatiziamente ribadito il carattere eccezionale delladisciplina dettata per l’insolvenza delle imprese di maggiori dimensioni. I precedenti,come si è accennato, si riferiscono peraltro quasi tutti ad epoca anteriore alla riformasocietaria e fallimentare; ma, come si è ricordato, è molto dubbio che quelle conclusioni

 possano essere meccanicamente trasp oste nell’attuale contesto normativo sul qualel’ondata riformatrice è passata come un’onda sulla spiaggia, riscrivendone lamorfologia.

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Si pensi alla stessa disciplina dettata nell’ambito dell’amministrazionestraordinaria c.d. «speciale» dalla c.d. legge Marzano, ove si ammette che «la propostadi concordato può essere unica per più società del gruppo sottoposte alla procedura diamministrazione straordinaria, ferma restando l’autonomia delle risp ettive masse attive e

 passive» (art. 4-bis, comma 2, ove l’ulteriore precisazione che «da tale autonomia possono conseguire trattamenti differenziati, pur all’interno della stessa classe dicreditori, a seconda delle condizioni patrimoniali di ogni singola società cui la propostadi concordato si riferisce»). Si tratta di una regola che già la dottrina ritiene tutt’altro che

eccezionale, ma addirittura «pleonastica», posto che l’autonomia delle masse passiveimpone comunque la formazione di classi distinte con riferimento a ciascuna dellesocietà e che il trattamento dei creditori delle diverse società non può non essere diverso in relazione alle condizioni patrimoniali di ciascuna di tali società (in questi termini

 Nigro-Vattermoli).Se siamo di fronte a principi generali (e non eccezionali), operanti nel rispetto

assoluto della separazione dei patrimoni delle singole società coinvolte nel dissesto, michiedo se già oggi non sia possibile prospettarne l’applicazione al di fuoridell’amministrazione straordinaria, senza necessariamente attendere, come Godot, unafutura (e comunque auspicabile) disciplina «comune» dei gruppi insolventi.

In questa prospettiva unitaria (e razionalizzatrice) l’autonomia contrattuale

 potrebbe trovare spazio anche nella fase di perfezionamento ed esecuzione del pianoconcordatario o dell’accordo di ristrutturazione. La holding potrebbe invero ricevere unmandato dalle singole società del gruppo ad elaborare, a formalizzare e p oi ad attuare la

 proposta; mandato da cui discende il potere-dovere di impartire istruzioni funzionaliall’esecuzione dello stesso, che si caricano di maggior vincolatività rispetto alle normalidirettive promananti dalla capogruppo ex art. 2497, contribuendo a definire in terminicontrattuali poteri e correlativi doveri. A questo obbligo da mandato di dare direttive condiligenza in capo alla holding si correla un dovere di eseguirle da parte delle controllate.Il tutto all’interno di una sorta di regolamento della gestione della crisi di gruppo o,meglio, dell’impresa di gruppo in crisi.

Tali strumenti paiono tanto più efficaci (e talora necessari) proprio in quanto lacrisi è sovente di gruppo, non della singola società. Ed allora anche il presuppostooggettivo meriterebbe di essere considerato, concentrando l’attenzione sulla dimensionedel gruppo insolvente nel suo complesso, anziché sull’insolvenza atomistica delleimprese del gruppo: posto che sovente – come ricordava Libonati trent’anni or sono – larappresentazione patrimoniale del gruppo ha modo di manifestare globalmente unasituazione di inconsistenza economica e concorrenziale anche se alcuni centri diimputazione formale risultino in bonis, sicché ben si potrebbe considerare rilevante «unainsolvenza del gruppo valutata come tale e che legittimi la estensione della proceduraanche a società collegate in bonis». Con un’impostazione quanto mai attuale, soprattutto

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con riferimento agli strumenti di prevenzione del fallimento, per i quali sembra potersiassegnare rilievo anche a situazioni di crisi meramente prospettica: così rimarcando intermini più netti l’autonomia rispetto alla procedura propriamente fallimentare,specularmente a quanto avviene in ordine al presupposto soggettivo, posto che agliaccordi di ristrutturazione possono oggi partecipare imprese, come quelle agricole, cherestano, p er tesi assolutamente prevalente, tuttora escluse dal fallimento.

Si tratta di una straordinaria sfida per la giurisprudenza teorica e pratica e per i professionisti del nostro settore, chiamati ancora una volta a cimentarsi in quella che due

dei Maestri del moderno diritto commerciale, Paolo Greco e Giuseppe Ferri, definivanola “dialettica dei dist inti”.

Riferimenti bibliografici essenziali:P. Abbadessa,  La responsabilità della società capogruppo verso la società

abusata: spunti di riflessione, in  Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, 279 ss.; N. Abriani,Finanziamenti «anomali» dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a

responsabilità limitata, in Il Diritto delle società oggi - Innovazioni e persistenze, Studiin onore di Giuseppe Zanarone (a cura di P. Benazzo, M. Cera, S. Patriarca), Torino,2011, 319 ss.; L. Benedett i, La responsabilità ex art. 2497 c.c. della banca e le soluzioni

negoziali delle crisi d’impresa, in  RDS , 2010, 412 ss.; M. Campobasso, Commento

all’art. 2467 , in S.r.l., Commentario dedicato a G.B. Portale (a cura di A. Dolmetta, G.Presti), Milano, 2011, 238 ss.; F. Corsi,  Impresa e mercato in una nuova legge

 fallimentare, in Giur. comm., 1995, I, 332 ss.; Al. Di Majo,  I gruppi di imprese nel

 fallimento, in Trattato delle procedure concorsuali diretto da L. Ghia, C. Piccininni, F.Severini, Torino, 2011, 289 ss.; G. Guizzi,  Responsabilità degli amministratori e

insolvenza: spunti per una comparazione tra esperienza giuridica italiana e spagnola,in Riv. dir. impr., 2010, 227 ss.; G. Husserl,  Recht und Zeit , Frankfurt am Main, 1955;B. Libonati;  Il gruppo insolvente, Firenze, 1982; Id.,  L’impresa e la società, Milano,2004, 269; A. Mazzoni,  La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa

 priva della prospettiva di continuità aziendale; in  Amministrazione e controllo nel

diritto delle società, Liber Amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 813 ss.; M. Miola, Ilservizio di tesoreria nei gruppi di società. Lineamenti della fattispecie e profili dirilevanza giuridica, in Studi in memoria di Colombo, Torino, 2010, 36  ss.; P.Montalenti,  La gestione dell’impresa di fronte al la crisi tra diritto societario e diritto

concorsuale, in  RDS , 2011, 820 ss.; A. Nigro - D.Vattermoli,  Diritto della crisi delle

imprese, Le procedure concorsuali, Bologna, 2009; L. Panzani,  L’insolvenza dei gruppi

di società, in  Riv. dir. impr., 2009, 527 ss.; R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Torino, 1974, 271 ss.; R. Sacchi,  Dai soci di minoranza ai creditori di

minoranza, in Fall., 2009, 1063 ss.; G. Scognamiglio, “Clausole generali” e disciplina

dei gruppi di società,  paper  presentato al convegno  Le clausole generali nel diritto

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RELAZIONI A CONVEGNILA CRISI DEL GRUPPO 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012116

commerciale e industriale, Roma, 11-12 febbraio 2011; Ead., Gruppi di imprese e procedure concorsuali, in Giur. comm., 2008, 1091 ss.; L. Stanghellini, Finanziamenti-

 ponte e finanziamenti alla ristrutturazione, in Il Fallimento, 2010, 1346 ss.; U. Tombari,Crisi d’impresa e doveri di “corretta gestione societaria e imprenditoriale” delle

società capogruppo. Prime considerazioni, in  Riv. dir. comm., 2011, I, 631 ss.; D.Vattermoli, Gruppi insolventi e «consolidamento» di patrimoni (substantiveconsolidation), in RDS , 2010, 586 ss.

Le  Linee guida per il finanziamento alle imprese in crisi elaborate

dall’Università di Firenze, Assonime e Cndcec, si possono consultare sui siti:www.unifi.it/nuovodirittofallimentare, www.cndcec.it e www.assonime.it . La Massiman. 122 del Consiglio Notarile di Milano si può leggere sul sitohttp://www.consiglionotarilemilano.it/notai/massime-commissione-societa.aspx. Per unospunto nella direzione delle conclusioni ivi compiutamente argomentate v N. Abriani,

 La riduzione del capitale sociale nelle s.p.a. e nelle s.r.l. Profili applicativi, in Riv. dir.

impr., 2009, 183 ss.Il documento del Forum Europaeum sul diritto dei gruppi di società, Un diritto

dei gruppi di società per l’Europa, si può leggere in Riv. soc., 2001, 341 ss.Il riferimento letterario è a Joseph Conrad, Victory (1915). 

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RELAZIONI A CONVEGNI

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012

117

INTERVENTO 

 L’intervento offre una panoramica della situazione economica e dello stato dei rapporti

tra le procedure di ristrutturazione e la c.d. “finanza-ponte”.

di LUCABATTISTELLA

Prima di iniziare il mio intervento, vorrei rassegnarvi alcuni dati pubblicati ieri

dalla Banca d’Italia nel suo secondo rapporto sulla stabilità finanziaria, dati che mi paiono significativi per sia per inquadrare l’attuale situazione economica e sia per meglio immaginare quali scenari attenderci nel futuro immediato.

Secondo il Fondo M onetario Internazionale, nell’ultimo decennio Il nostro Paesesi è posto per tasso di crescita medio al 179° posto, seguito da Haiti; nel 2011 il nostroPIL è a crescita zero (e sarà probabilmente negativo nel 2012), le esportazioni dannoancora risultati tutto sommato soddisfacenti, p rincipalmente nel settore della meccanica,ma il debito pubblico si assesta intorno al 120% e circa il 42% è stato collocatoall’estero, gli investimenti fissi sono piuttosto modesti, abbiamo rigidità all’ingresso deinostri mercati e sicuramente abbiamo dei fattori di produzione non competitivi.

 Nella seconda metà dell’anno, purtroppo, le aziende hanno avuto un calo degliordini, fatto che determinerà inevitabilmente un calo di fatturato e quindi, sempre in

 base ai dati Bankit, un incremento il tasso di deterioramento del credito.Escludendo le cd. “sofferenze”, a inizio luglio 2011 la percentuale dei crediti

deteriorati (come tali sono definiti dalla Banca d’Italia sconfini, incagli e creditiristrutturati) era pari a circa il 5% degli impieghi. Dalle proiezioni fatte dalla Bancad’Italia, che ha tenuto conto del probabile impatto prodotto dall’aumento dei tassi edalla riduzione del MOL reale delle aziende, è realistico prevedere che circa il 39-40%delle imprese registreranno il rapporto oneri finanziari/margine operativo lordo, che èl’indicatore di capacità di p rodurre reddito, superiore al 50%.

Tenuto conto che, sempre in base all’indagine finanziaria di Banca d’It alia, circail 60% del debito verso il sistema bancario ha una scadenza limitata a due anni, leconseguenze sono immaginabili: tassi in salita, economia che non cresce, congiunturanegativa portano inevitabilmente a lla ristrutturazione del debito.

Quasi certamente, queste ristrutturazioni passeranno attraverso iniezioni dinuova liquidità, perché ben difficilmente sarà sufficiente il semplice riscadenzamentodelle esposizioni debitorie esistenti: quando affronta una ristrutturazione industriale-finanziaria, l’impresa ha necessità di essere finanziata non solo attraverso la confermadelle linee di credito già in essere, ma anche attraverso la concessione di nuova finanza.

Queste necessità emergono di norma già nella fase di preparazione del piano edei relativi accordi: la concessione della c.d. “finanza-ponte” è condizione

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RELAZIONI A CONVEGNILA C.D. FINANZA PONTE 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012118

imprescindibile per la sopravvivenza stessa dell’impresa. Quando questa liquidità non èfornita dai soci, è giocoforza che entrino in scena le banche (quasi sempre quelle giàesposte: ben difficilmente infatti, un’impresa in crisi troverà nuovi finanziatori).

Che siano le banche, e non i soci (anche quando, ricoprendo posizioni apicali nelmanagement dell’impresa, essi sono gli stessi soggetti che decidono della manovra diristrutturazione), ad essere chiamate a farsi carico del rischio (non solo economico)legato alla fase più delicata delle manovre di ristrutturazione lo ha indirettamentefavorito proprio la riforma del luglio 2010. Mi pare infatti che sia ormai interpretazioneunanime che il nuovo art.182/quater riconosca la prededucibilità (nella misura

dell’80%) dei finanziamenti-soci effettuati in esecuzione degli accordi ex art. 182/bis edei concordati preventivi, escludendo automaticamente da questo beneficio ifinanziamenti–soci effettuati invece nella fase antecedente di predisposizione del piano,redazione dell’accordo e/o deposito delle istanze. E’ di tut ta evidenza che i soci, qualoradisponibili a sostenere l’impresa in ristrutturazione, erogheranno i finanziamenti solo adecreto di omologazione intervenuto.

La fase interinale è più delicata in un processo di ristrutturazione, una fase in cuila banca si trova a dover adott are le massime cautele possibili nelle sue scelte creditizie:l’impresa è, o minaccia di essere, sull’orlo del dissesto qualora la Banca non consental’utilizzo delle linee in essere o non ne conceda di nuove e ulteriori, d’altra parte il

 piano di risanamento è in fase di elaborazione e di negoziazione con le diversecontroparti (non solo le Banche, ma anche fornitori, dipendenti, fisco e quant’altro) el’ombrello protettivo introdotto dalla riforma fallimentare per favorire gli accordi dicomposizione stragiudiziale non può ancora dispiegare i suoi effetti, perché presupponeappunto che l’iter p rescritto si sia correttamente perfezionato.

Siamo al bivio più difficile: revocare gli affidamenti e/o negare la finanza pontesignifica mettere definitivamente e irreversibilmente in ginocchio l’impresa, che magari

 – si sarebbe accertato dopo - avrebbe avuto ragionevoli possibilità di ripresa, maconcederli significa assumersi dei rischi che non sono solo quelli tipici dell’attività

 bancaria, cioè rischi di natura creditizia (quelli li conosciamo bene e siamo pronti adassumerli), ma anche rischi di altra natura: il rischio di essere considerati giuridicamente

responsabili, sul versante civile o su quello p enale, per aver concesso credito a imprese,consentendo loro di rimanere in questo modo sul mercato, il cui stato di dissesto si rivelisuccessivamente talmente grave da rendere del tutto vana la ristrutturazione tentata. Per questa ragione, a fronte di una richiesta di concessione di finanza-ponte, o anche solo diconferma degli affidamenti già in essere, la banca deve effettuare una duplicevalutazione:

•  se vi siano sufficienti presupposti di successo della manovra, secioè la crisi/insolvenza p ossano ragionevolmente ritenersi superabili;

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•  se, ulteriormente, le richieste finanziarie avanzate dall’impresaappaiano coerenti e giustificate, sia in termini quantitativi che in termini difunzionalità, rispetto al piano.

Resta però il fatto che la Banca è chiamata a confermare gli affidamenti e aconcedere finanza ponte al “tempo zero”, quando, a fronte dei primi significativi segnalid’allarme (incassi ridotti, incremento della percentuale di insoluti nello smobilizzo deicrediti commerciali, difficoltà dell’impresa a far fronte regolarmente alle propriescadenze) l’impresa ha avviato le prime attività propedeutiche alla ristrutturazione, quali

 per esempio la nomina degli advisor, ha p reso i primi contatti con gli istituti finanziaricoinvolti e sta decidendo il tipo di strumento giuridico da adottare per attuare ilturnaround.

Questo è il primo, grande problema – per il quale auspico, nell’interesse di tutti,una soluzione imminente - da affrontare in una ristrutturazione. Mi chiedo se non siaimmaginabile l’introduzione di norme che rendano possibile alle Banche accordareall’impresa gli affidamenti necessari ad assicurarle la continuità aziendale nelle moredella predisposizione dei piani/degli accordi, ovviamente sulla base di un piano di spesesufficientemente dettagliato, che eviti alle banche l’assunzione di responsabilità per concessione di crediti ad imprese in crisi in un momento in cui non è ancora chiaro,

 perché non sono complete le informazioni per una valutazione, se vi siano o meno le

ragionevoli probabilità di ristrutturazione.Altra questione riguarda il problema del mancato raccordo fra norme civili e

 penali, come evidenziato dal Presidente Panzani; un disallineamento che oggi, conl’introduzione del nuovo art. 217/bis, è stato ridotto solo parzialmente. Tale normastabilisce che ora “ le disposizioni di cui all’art. 216 terzo comma (bancarotta c.d.

 preferenziale) e 217 (bancarotta semplice) non si app licano ai pagamenti e alleoperazioni compiute in esecuzione di un concordato preventivo, un accordo diristrutturazione ex art. 182/bis ovvero di un piano di cui all’art. 67 lett.d.”.

A parte la considerazione, tutt’altro che irrilevante, che questa norma lasciaaperta la questione per quanto compiuto “prima” della conclusione dell’operazione diturnaround, va evidenziato che, in realtà, la dottrina e alcuni degli autorevoli pubbliciministeri che si sono espressi sul punto in occasione di precedenti convegni si sono

 pronunciati in termini tutt’altro che tranquillizzanti per una banca. I primi commentatorihanno messo in luce come il nuovo art.217/bis non risolva il problema, affermandoinvece che in caso di “evoluzione patologica” del piano, non sarà sufficiente per escludere l’eventuale responsabilità penale, che gli atti siano stati compiuti inesecuzione del piano.

Secondo alcuni non è così scontato che il giudice penale possa limitarsi a“prendere atto dell’omologazione e a controllare che le operazioni o i pagamenti sianostati compiuti in esecuzione del piano e degli accordi”, ma che invece possa

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“riesaminare l’attuabilità del piano e valutare se il piano risultava ex anteragionevolmente fattibile e fosse fondato su dati veritieri”.

Una riflessione: il giudice penale ha davanti a sé, per definizione, un piano disalvataggio “fallito” e ne deve ricostruire la sua idoneità ex ante, cioè la suaragionevolezza così come essa appariva al momento della sua predisposizione. Quantoil successivo “naufragio” della manovra influenzerà questa valutazione “ex ante”? Einoltre, quali eventi – verificatisi successivamente - potranno essere consideratisufficientemente eccezionali e imprevedibili da esentare da responsabilità i varioperatori che, appunto, non li hanno previsti “ex ante” e contemplati nel piano?

La sensazione che ne trae chi opera nel settore delle crisi d’impresa è che lenorme penal-fallimentari rispondano ancora ad una funzione unicamente liquidatoriadelle p rocedure concorsuali, tutelando rigorosamente la “p ar condicio creditorum” in uncontesto in cui lo stato di insolvenza dell’impresa esclude, per se stesso, ilsoddisfacimento integrale di tutte le ragioni di credito vantate, senza tener conto che lenorme introdotte dalla riforma fallimentare dal 2005 ad oggi hanno un’ottica eintroducono degli obbiettivi diametralmente opposti, di salvataggio delle imprese incrisi.

E la percezione di un disallineamento normativo non si l imita al versante penale:come si è detto, una banca che partecipi ad una ristrutturazione verifica la correttezzadei dati e delle proiezioni, effettua delle sensitivity analysis, non solo in osservanzadegli obblighi di sana e prudente gestione del credito, ma anche per non incorrere nelrischio che, se l’intervento naufraga, possa esserle addebitata una responsabilità per nonaver compiutamente valutato la sussistenza dei presupposti di riuscita dell’operazione.

Per scongiurare gli stessi rischi, a valle della conclusione degli accordi, la stessa banca accerta la corretta attuazione della manovra, monitorando l’andamentoeconomico-produttivo dell’impresa e la coerenza di quest’ultimo rispetto alle previsionidi piano.

 Non dimentichiamo che i piani industriali/finanziari hanno durata pluriennale,normalmente 3/5 anni, e si basano sulla costruzione di obiettivi intermedi, le cd.Milestones, secondo un trend di progressivo miglioramento che dovrebbe consentire

all’impresa di uscire dalla crisi.Mi pare che la banca non possa astenersi dal verificare periodicamente che il piano stia “performando” come atteso, in quanto le tutele introdotte dalla normativafallimentare vengono a cadere nel momento in cui emerga uno scostamentosignificativo fra i risultati prospettati tempo per tempo dal piano e quelli effettivamenteconseguiti, quando cioè l’effettivo andamento dell’impresa renda evidentel’impossibilità di conseguire il r isanamento aziendale.

E’ quindi prassi consolidata che gli accordi siglati introducano obblighiinformativi e di rendicontazione infra-annuale da parte dell’impresa, oppure deimeccanismi di consultazione preventiva con i creditori partecipanti all’operazione di

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ristrutturazione in occasione di operazioni straordinarie, soprattutto quando per esempioil piano preveda più opzioni alternative. Questi covenants informativi sono spessointrodotti anche nei contratti di finanziamento effettuati a imprese “in bonis”, nel qualcaso sono considerati come una sorta di garanzia che la banca introduce per prevenirel’insorgere di una crisi che metterebbe in pericolo o comprometterebbe del tutto le sue

 possibilità di recupero del credito; nel caso invece di accordi stipulati nell’ambito diun’operazione di risanamento di un’impresa in crisi le stesse clausole possono essereconsiderate come un segnale dell’ingerenza della banca nella gestione dell’impresa.

 Non manca chi ravvisa addirittura in presenza di clausole di mero monitoraggio del

 piano una “compartecipazione della banca alle scelte e a lle valutazioni poste in esseredall’impresa per la soluzione della crisi” , con il conseguente rischio per i finanziatori diessere chiamati a rispondere in concorso con gli amministratori dell’insuccesso del

 piano.In altri termini: gli stessi comportamenti che appaiono doverosi sotto certi

 profili, rischiano di essere fonte di responsabilità sotto altri!Altro aspetto problematico per un operatore è rappresentato dalla mancanza di

chiarezza nell’applicazione delle nuove norme: un esempio che mi pare assai esplicativosono tre pronunce giurisprudenziali, contenute in decreti di omologazione di accordi exart.182/bis, in tema di pre-deduzione di finanziamenti-ponte (mi riferisco al secondocomma dell’art.182/quater):

Trib. di Lecco (aprile 2011) 

“Non sussistono i presupposti per accogliere la domanda del ricorrente volta ad 

ottenere l’espressa disposizione della prededucibilità dei finanziamenti contemplati

nell’accordo e funzionali alla presentazione della domanda: non perché il Tribunale

intende in questa sede negare la prededuzione ma per la ragione esattamente contraria.

 La prededuzione consegue come effetto automatico ex lege e non residuano poteri al giudice né di carattere costitutivo, né di natura dichiarativa”.

Tribunale di Verona (aprile 2011)

“Si dispone la prededuzione dei finanziamenti erogati in funzione della

domanda, una volta soddisfatti i creditori non aderenti all’accordo”

Tribunale di Milano (novembre 2011)

“(…) Nel decreto di omologazione va dichiarata la prededuzione dei

 finanziamenti effettuati in funzione della presentazione della domanda di ammissione al

concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo diristrutturazione dei debiti”.

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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 11/2012122

Ma non solo: come va inteso il concetto di funzionalità? Quando e a qualicondizioni la finanza- ponte può considerarsi “funzionale”? Credo sia facile per tuttiimmaginare che una banca che si trovi ad incrementare la propria esposizione neiconfronti di un’impresa in crisi esiga una maggiore certezza normativa einterpretativa….

Un’ultima questione: l’adozione di uno degli strumenti di superamento dellacrisi è lasciata alla sola iniziativa dell’imprenditore. A tutt’oggi un creditore può

 presentare istanza di fallimento o chiedere la dichiarazione dello stato di insolvenza exD.Lgs. “Prodi/bis”, ma non può dare avvio ad un concordato preventivo così come non

 può proporre un accordo ex 182/bis. Epp ure l’esperienza insegna che l’imprenditore èspesso il più tardivo nel riconoscere i segnali d’allarme e il meno disposto adintervenire, quando l’intervento comporta operazioni societarie, d ismissioni di asset nonstrategici o altri interventi p iù “decisi” che un semplice riscadenzamento del debito.

Mi chiedo per quale ragione non sia possibile immaginare che siano i creditori adare avvio ad una procedura di ristrutturazione, fermo restando che i suoi contenutisaranno pur sempre valutati e scelti dall’imprenditore. E’ chiaro che una tale ipotesi

 presuppone l’adozione di un modello già noto in altri ordinamenti (in primis la procedura di reorganization del Chapter 11), in cui la ristrut turazione inizia conun’istanza al giudice e, una volta ottenuto il provvedimento giudiziale, ha inizio la

 predisposizione del piano e l’avvio delle trattative con i creditori.Questa via sarebbe risolutiva anche per l’altra grande questione, legata alla

concessione di nuovi finanziamenti e il mantenimento delle linee di credito in essere:con un provvedimento giudiziale che autorizza i finanziamenti necessari all’impresa per sopravvivere nelle more della definizione del piano e degli accordi, l’accesso al creditosarà certamente più agevole, perché verrà meno quell’incertezza circa l’addebito diresponsabilità alle banche per sostegno abusivo o per ritardato fallimento, qualora non si

 pervenga a lla conclusione degli accordi e a ll’ultimazione del p iano o al deposito delladomanda di concordato.

Per concludere, la riforma del diritto fallimentare ha certamente innovato positivamente, ma qualcosa si potrebbe ancora fare.

La prima: introdurre una normativa che incentivi, anziché dissuadere,l’intervento finanziario da parte dei soci, soprattutto nella fase preparatoria dellamanovra.

La seconda: introdurre dei meccanismi che consentano, anche ai creditori, unavvio tempestivo di questi processi di ristrutturazione, per esempio - mutuando ilmodello del Chapter 11 - attraverso l’adozione di un provvedimento giudiziale checonsenta alle parti di negoziare poi le condizioni e le modalità degli interventi in totaletrasparenza e permetta, al tempo stesso, un accesso altrettanto tempestivo ai datiaziendali, senza i quali le banche non sono in grado di avviare l’iter istruttorio per l’adesione alle operazioni di turnaround.

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RELAZIONI A CONVEGNILA C.D. FINANZA PONTE 

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Oggi iniziamo a vedere i primi concordati preventivi in continuità: unostrumento che a mio parere ha delle grosse potenzialità nel salvataggio delle imprese,eppure, secondo la normativa attuale, sino all’emissione del decreto di ammissione icreditori possono essere lasciati all’oscuro del progetto di ristrutturazione che sta alla

 base della domanda giudiziale e, potenzialmente, l’accesso ai dati di piano potrebbeavvenire solo al momento del deposito della relazione del commissario giudiziale, cioèfino a tre giorni prima dell’adunanza dei creditori per la manifestazione di voto. Unanormativa adatta ad un processo finalizzato alla liquidazione degli assets, ma “obsoleta”

 per la nuova funzione di ristrutturazione assegnata a questa procedura dalla riforma.

La terza, strettamente legata alla precedente: coordinare i nuovi principifallimentari con le altre norme codicistiche, civili e penali.

Questi correttivi contribuirebbero a ridurre le incertezze e le zone grigie lasciatedalla normativa fallimentare in tema di crisi d’impresa e incentiverebbero le banche adassumere quel ruolo primario, quasi “istituzionale”, che viene attribuito loro negliinterventi di risanamento aziendali.

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 NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI 

IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ

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