notiziario n.1

8
News News dagli Amici di Angal a cura della sezione torinese dell’Associazione “Amici di AngalGENNAIO 2008 1 In questo numero: Il St. Luke’s Hospital 2 I Progetti 2 Testimonianze 4 Per chi, perché tornare (di Claudia Marsiaj) Un’opera da non “chiudere in un sacchetto” (di Marco Foletti) La mia esperienza di “solar man” (di Giorgio Rodolfi) I fili delle donne: Klaùdia racconta 6 Il nostro primo Natale ad Angal L’angolo della fiaba 7 La storia del leone e della iena Un po’ di storia… Il St. Luke’s Hospital è sorto per opera dei Padri Missionari Comboniani negli anni ‘60 del secolo scorso ed è stato seguito dal punto di vista sanitario dal CUAMM-Medici con l’Africa (ONG di Padova), che vi ha inviato medici italiani per un programma di cooperazione. Mario Marsiaj è stato fra i primi e, dopo numerosi anni di permanenza ininterrotta ad Angal (dal 1966 al 1973), ha continuato a tornarvi per periodi più o meno lunghi, accompagnato e coadiuvato nella sua attività dalla moglie Claudia. Da quando nel 2000 il programma di cooperazione del CUAMM si è concluso, il Dr. Marsiaj segue personalmen- te la delicata fase di africanizzazione dell’Ospedale, trascor- rendo circa quattro mesi all’anno ad Angal, a fianco dei colleghi africani, per aiutarli a rendersi progressivamente autonomi nella gestione e nell’amministrazione. Non avendo più una ONG alle spalle, per poter repe- rire i fondi necessari a “far vivere” l’Ospedale e portare avanti i vari Progetti avviati nel frattempo, è stato neces- sario costituire un’Associazione, divenuta ONLUS nel 2004. L’Associazione “Amici di Angal” Fondata nel 2001 dal Dr. Mario Marsiaj e da sua moglie Claudia Bertoldi, l’Associazione gravita intorno all’atti- vità dell’Ospedale St. Luke di Angal, nel Nord Ovest dell’Uganda, zona di savana molto povera e molto densa- mente popolata. Oltre al sostegno dell’Ospedale, l’Associazione è impe- gnata in vari Progetti a favore soprattutto dei bambini.

Upload: amici-di-angal-onlus

Post on 22-Mar-2016

228 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

Il primo numero delle News degli Amici di Angal. Fondata nel 2001 dal Dr. Mario Marsiaj e da sua moglie Claudia Bertoldi, l’Associazione gravita intorno all’attività dell’Ospedale St. Luke di Angal, nel Nord Ovest dell’Uganda, zona di savana molto povera e molto densamente popolata.

TRANSCRIPT

Page 1: Notiziario n.1

mamme in lezioni di educazione nutrizionale, seguen-dole nella preparazione del cibo e istruendole sull’utilizzodelle risorse alla loro portata.

Dal Centro viene inoltre distribuito il cibo anche aipazienti degli altri reparti segnalati dal medico comeparticolarmente bisognosi (in totale da 60 a 70 pasti algiorno).

Aiutaci a sostenere il Progetto “Operazione Proteine”,che comporta una spesa annua di 9.500 euro.

Ricovero gratuito per i bambini

Permette di ricoveraretutti i bambini malati,anche per lunghi perio-di, chiedendo solo ilcontributo simbolico di1 euro.Avviato nel 1998, quan-do ci si è resi conto chemolti bambini venivanoportati all’Ospedale incondizioni gravissime,perché i genitori nonavevano i soldi per ilricovero, ha permesso disalvare moltissime vite.

Aiutaci a sostenere il Progetto “Ricovero gratuito per ibambini”, che è il più oneroso e necessita costantemente difondi (più di 30.000 euro all’anno).

Samaritan FundQuesto “fondo” permette di ricoverare le persone chenon possono pagare la sia pur modesta retta chiestadall’Ospedale e di fornire gratuitamente i farmaci perle malattie croniche (es. diabete, cardiopatie, ecc.), icosiddetti “farmaci salvavita”.

Aiutaci a sostenere il Progetto “Samaritan Fund”, checomporta una spesa annua di 10.100 euro.

Assistenza agli ammalati di AIDS

Questo Progetto si è reso possibile a seguito dell’offerta, daparte del Governo ugandese, dei farmaci per la curadell’AIDS. Si tratta indubbiamente di un contributoimportante ma non risolutivo: occorrono personale adde-strato (medici, infermieri, un laboratorista) e un laboratorioattrezzato (apparecchiature per la conta dei linfociti ecc.).

Aiutaci a sostenere il Progetto “Assistenza agli amma-lati di AIDS”, che comporta una spesa mensile per ilpersonale di 1.600 euro.

Open HospitalSi tratta di un Progetto informatico che non è strettamen-te gestito dalla nostra Associazione, ma che merita unamenzione speciale per le sue ripercussioni di enorme por-tata sul funzionamento dell’Ospedale di Angal.Il Progetto “Open Hospital”, gestito interamentedall’Associazione Informatici Senza Frontiere (www.informaticisenzafrontiere.org) e diretto dal suo presidenteGirolamo Botter, è frutto del lavoro congiunto di varie per-sone, tra cui insegnanti e studenti dell’Istituto Volterra diSan Donà di Piave (www.istitutovolterra.it).Il Progetto è finalizzato a creare un sistema di data-entry perregistrare gli ingressi dei pazienti al St.Luke’s Hospital diAngal, conservarne le schede sanitarie, registrare gli esamidi laboratorio, gestire il magazzino di medicinali… insom-ma, un vero e proprio sistema informativo per l’Ospedale.Open Hospital è in fase di sperimentazione al St. Luke, doveè installato in vari PC client e in un server con database cen-trale. Viene correntemente utilizzato dal personale infer-mieristico. Uno dei prossimi obiettivi in questo ambito sarà tentare difornire all’Ospedale una connettività ad Internet sufficien-temente stabile e a costi contenuti, in modo da garantire uncostante monitoraggio delle attività del software e dell’uten-za, il ripristino da remoto in caso di problemi del software,gli aggiornamenti necessari sia al software che ai sistemioperativi, un help-desk il più possibile efficiente per il per-sonale dell’Ospedale che si trovasse di fronte a probleminell’utilizzo.

Per ulteriori notizie sul progetto: [email protected].

Il St. Luke’s HospitalL’Ospedale ha un raggio d’azione di circa 50 km, con unbacino d’utenza di circa 300.000 persone. Attualmentedispone di 280 posti letto, con un tasso medio di occupa-zione superiore al 100% (molti pazienti giacciono in terrasu delle stuoie). E’ dotato di un Laboratorio di analisi chi-miche e microbiologiche, di una Sala di Radiologia e diuna Sala operatoria.

Per il buon funzionamento dell’Ospedale occorre:

• risolvere il problema della carenza di personale medicoL’Ospedale impiega 151 persone, fra cui 3 soli medici,che devono fronteggiare più di 10.000 ricoveri all’anno.

• supplire al calo del contributo statale, mantenendobasse le rette ospedaliere

I fondi a disposizione dell’Ospedale provenivano per il52% dal Governo ugandese, per il 14% dalle rette ospe-daliere (che l’Amministrazione cerca di contenere almassimo) e per il 34% dalle donazioni.Attualmente, però, il contributo statale è stato ridot-to al 45% e si ipotizza che possa essere addiritturasospeso. Il contributo dell’Associazione “Amici diAngal”, già fondamentale, potrebbe perciò diventa-re determinante e condizionare l’esistenza stessadell’Ospedale!

• provvedere ad un continuo, razionale aggiornamen-to tecnologico della struttura, attraverso strumentari ecorsi d’istruzione per il loro utilizzo

Grazie ai fondi raccolti dall’Associazione, negli ultimianni si sono potute eseguire alcune importanti miglio-rie nell’Ospedale, quali: - impianto fognario - costruzione di un padiglione di isolamento - ampliamento del reparto di Pediatria- elettrificazione a pannelli solari- ristrutturazione del “Centro Nutrizionale” (NutritionUnit), creato da Claudia Marsiaj nel 1968 all’internodell’Ospedale- avvio dell’informatizzazione dei servizi ospedalieri.

I ProgettiAssistenza degli orfani da AIDS

Offre un aiuto diretto alle famiglie locali che accolgo-no e si prendono cura di questi orfani.

L’AIDS è un problema preminente negli Stati africa-ni, per la sua diffusione difficilmente controllabile, perl’impossibilità dei Paesi di affrontarne economicamentele cure, con il risultato di un gran numero di bambiniorfani abbandonati a sé stessi.

La scelta di un aiuto economico diretto ai nucleifamiliari locali si è dimostrato il mezzo migliore per tute-lare l’infanzia, evitando di intaccare la solida strutturasulla quale si fonda la comunità africana e soprattuttosalvaguardando la cultura dell’accoglienza degli orfani,colonna portante della società tribale.

Le varie situazioni vengono seguite in particolare dadue collaboratori locali, estremamente fidati e motivati,che due volte al mese incontrano la famiglia affidataria,consegnano la somma di denaro e raccolgono notizieparticolari.

Con cadenza semestrale il Dr. Marsiaj e sua mogliecontrollano lo stato di salute, nutrizione, benessere degliorfani assistiti (235 al 31 dicembre 2006).

Puoi aiutarci a sostenere un altro bambino orfanocon una donazione di 200 euro all’anno (poco più di50 cent. al giorno), provvedendo in questo modo allesue elementari necessità (sostentamento, vestiti, curemediche, istruzione).

Operazione Proteine

Fa capo al Centro Nutrizionale (Nutrition Unit) internoall’Ospedale, che fornisce, da quando è stato istituito, trepasti al giorno ad alto contenuto proteico ai bambinicon forme gravi di malnutrizione. L’attività del Centro,avviata e coordinata da Claudia Marsiaj, coinvolge le

NewsNews dagli Amici di Angala cura della sezione torinese dell’Associazione “Amici di Angal”

GENNAIO 2008

2 1 8 3

In questo numero:Il St. Luke’s Hospital 2

I Progetti 2

Testimonianze 4Per chi, perché tornare (di Claudia Marsiaj)Un’opera da non “chiudere in un sacchetto” (di Marco Foletti)La mia esperienza di “solar man” (di Giorgio Rodolfi)

I fili delle donne: Klaùdia racconta 6Il nostro primo Natale ad Angal

L’angolo della fiaba 7La storia del leone e della iena

Gli obiettivi dell’Associazione “Amici di Angal”

• Sopperire alle necessità dell’Ospedale di Angal.• Sostenere i Progetti di assistenza e cura rivolti ai

bambini e ai malati più poveri.• Creare una rete di medici generici o specialisti e di

professionisti, disposti a prestare gratuitamente laloro opera ad Angal per periodi brevi (ad esempio ilperiodo delle ferie).

• Organizzare ad Angal stages di studio per medici ita-liani sulle realtà sanitarie in Africa.

• Favorire l’invio di medici o di tecnici ugandesi inItalia, per approfondire particolari tecniche che pos-sano essere applicate ad Angal a vantaggio dellaqualità dell’assistenza agli ammalati degentinell’Ospedale.

Che cosa puoi fare tu

• Diventare Socio dell’Associazione con il versamentodella quota annuale di 50 euro.

• Svolgere un’opera di sensibilizzazione.

• Partecipare agli eventi di raccolta fondi.

• Impegnarti in una donazione regolare a sostegno deisingoli Progetti.

A TORINOIl nostro primo obiettivo è ampliare il numero degli ade-renti al Gruppo di appoggio, che si è costituito recente-mente: solo aumentando le nostre forze potremo molti-plicare e diversificare gli eventi utili a far conoscerel’Associazione e a sostenerne in vario modo gli scopi.

TI ASPETTIAMO!Tilde e Giuseppina

Come contribuire

I contributi possono essere inviati con bonifico ban-cario a:ASSOCIAZIONE AMICI DI ANGAL - ONLUSUnicredit Banca Agenzia di Arbizzano - Negrar (Vr)c/c n. 000005412019 ABI: 02008 CAB: 59601 CIN: LIBAN: IT 31 L 02008 59601 000005412019

(Ai sensi dell’art.14 del D.L. n.35 del 14 marzo 2005, convertitoin Legge con L. n.80 del 14 maggio 2005, le offerte fatte alleONLUS con assegno o bonifico bancario sono deducibili dalreddito complessivo dichiarato fino alla misura del 10%).

È possibile anche effettuare donazioni on-line inmodo rapido, gratuito e sicuro attraverso il sistemadi pagamento paypal (www.paipal.com).

L’Associazione è iscritta nelle liste dell’Agenzia delleEntrate fra i possibili beneficiari del 5x1000 del gettitofiscale sui redditi. Al momento della dichiarazione deiredditi, per devolvere il 5x1000 basta apporre la pro-pria firma e il codice fiscale dell’Assocciazione -93143850233 - nell’apposito spazio del Modello IRPEF.Un sentito GRAZIE a tutti coloro che nel 2007 hannoscelto di beneficiare la nostra associazione. I contribu-ti raccolti attraverso questa forma di finanziamentosaranno interamente impiegati a favore dell’Ospedale edei Progetti sostenuti dagli “Amici di Angal”.

Ulteriori informazioni si possono richiedere a:Amici di Angal ONLUSVia Vivaldi 3 - 37020 Arbizzano- Negrar (Vr) tel. (+39) 045 7513296sito web: www.amicidiangal.orge-mail: [email protected]

Il Notiziario è a cura della sezione torinesedell’Associazione, coordinata da

Tilde Barone [email protected]. (+39) 333 7122535

e Giuseppina Ricciarditel. (+39) 338 7728989

Realizzazione grafica: Elisabetta Origlia - Studio regi eMajuscole, Torino

Fotografie:

Disegno: Erica Titotto

Stampa: Tipografia Gravinese, Torino

Un po’ di storia…Il St. Luke’s Hospital è sorto per opera dei Padri MissionariComboniani negli anni ‘60 del secolo scorso ed è statoseguito dal punto di vista sanitario dal CUAMM-Medicicon l’Africa (ONG di Padova), che vi ha inviato mediciitaliani per un programma di cooperazione.

Mario Marsiaj è stato fra i primi e, dopo numerosi annidi permanenza ininterrotta ad Angal (dal 1966 al 1973), hacontinuato a tornarvi per periodi più o meno lunghi,accompagnato e coadiuvato nella sua attività dalla moglieClaudia.

Da quando nel 2000 il programma di cooperazione delCUAMM si è concluso, il Dr. Marsiaj segue personalmen-te la delicata fase di africanizzazione dell’Ospedale, trascor-rendo circa quattro mesi all’anno ad Angal, a fianco deicolleghi africani, per aiutarli a rendersi progressivamenteautonomi nella gestione e nell’amministrazione.

Non avendo più una ONG alle spalle, per poter repe-rire i fondi necessari a “far vivere” l’Ospedale e portareavanti i vari Progetti avviati nel frattempo, è stato neces-sario costituire un’Associazione, divenuta ONLUS nel2004.

L’Associazione “Amici di Angal”

Fondata nel 2001 dal Dr. Mario Marsiaj e da sua moglieClaudia Bertoldi, l’Associazione gravita intorno all’atti-vità dell’Ospedale St. Luke di Angal, nel Nord Ovestdell’Uganda, zona di savana molto povera e molto densa-mente popolata.

Oltre al sostegno dell’Ospedale, l’Associazione è impe-gnata in vari Progetti a favore soprattutto dei bambini.

Page 2: Notiziario n.1

mamme in lezioni di educazione nutrizionale, seguen-dole nella preparazione del cibo e istruendole sull’utilizzodelle risorse alla loro portata.

Dal Centro viene inoltre distribuito il cibo anche aipazienti degli altri reparti segnalati dal medico comeparticolarmente bisognosi (in totale da 60 a 70 pasti algiorno).

Aiutaci a sostenere il Progetto “Operazione Proteine”,che comporta una spesa annua di 9.500 euro.

Ricovero gratuito per i bambini

Permette di ricoveraretutti i bambini malati,anche per lunghi perio-di, chiedendo solo ilcontributo simbolico di1 euro.Avviato nel 1998, quan-do ci si è resi conto chemolti bambini venivanoportati all’Ospedale incondizioni gravissime,perché i genitori nonavevano i soldi per ilricovero, ha permesso disalvare moltissime vite.

Aiutaci a sostenere il Progetto “Ricovero gratuito per ibambini”, che è il più oneroso e necessita costantemente difondi (più di 30.000 euro all’anno).

Samaritan FundQuesto “fondo” permette di ricoverare le persone chenon possono pagare la sia pur modesta retta chiestadall’Ospedale e di fornire gratuitamente i farmaci perle malattie croniche (es. diabete, cardiopatie, ecc.), icosiddetti “farmaci salvavita”.

Aiutaci a sostenere il Progetto “Samaritan Fund”, checomporta una spesa annua di 10.100 euro.

Assistenza agli ammalati di AIDS

Questo Progetto si è reso possibile a seguito dell’offerta, daparte del Governo ugandese, dei farmaci per la curadell’AIDS. Si tratta indubbiamente di un contributoimportante ma non risolutivo: occorrono personale adde-strato (medici, infermieri, un laboratorista) e un laboratorioattrezzato (apparecchiature per la conta dei linfociti ecc.).

Aiutaci a sostenere il Progetto “Assistenza agli amma-lati di AIDS”, che comporta una spesa mensile per ilpersonale di 1.600 euro.

Open HospitalSi tratta di un Progetto informatico che non è strettamen-te gestito dalla nostra Associazione, ma che merita unamenzione speciale per le sue ripercussioni di enorme por-tata sul funzionamento dell’Ospedale di Angal.Il Progetto “Open Hospital”, gestito interamentedall’Associazione Informatici Senza Frontiere (www.informaticisenzafrontiere.org) e diretto dal suo presidenteGirolamo Botter, è frutto del lavoro congiunto di varie per-sone, tra cui insegnanti e studenti dell’Istituto Volterra diSan Donà di Piave (www.istitutovolterra.it).Il Progetto è finalizzato a creare un sistema di data-entry perregistrare gli ingressi dei pazienti al St.Luke’s Hospital diAngal, conservarne le schede sanitarie, registrare gli esamidi laboratorio, gestire il magazzino di medicinali… insom-ma, un vero e proprio sistema informativo per l’Ospedale.Open Hospital è in fase di sperimentazione al St. Luke, doveè installato in vari PC client e in un server con database cen-trale. Viene correntemente utilizzato dal personale infer-mieristico. Uno dei prossimi obiettivi in questo ambito sarà tentare difornire all’Ospedale una connettività ad Internet sufficien-temente stabile e a costi contenuti, in modo da garantire uncostante monitoraggio delle attività del software e dell’uten-za, il ripristino da remoto in caso di problemi del software,gli aggiornamenti necessari sia al software che ai sistemioperativi, un help-desk il più possibile efficiente per il per-sonale dell’Ospedale che si trovasse di fronte a probleminell’utilizzo.

Per ulteriori notizie sul progetto: [email protected].

Il St. Luke’s HospitalL’Ospedale ha un raggio d’azione di circa 50 km, con unbacino d’utenza di circa 300.000 persone. Attualmentedispone di 280 posti letto, con un tasso medio di occupa-zione superiore al 100% (molti pazienti giacciono in terrasu delle stuoie). E’ dotato di un Laboratorio di analisi chi-miche e microbiologiche, di una Sala di Radiologia e diuna Sala operatoria.

Per il buon funzionamento dell’Ospedale occorre:

• risolvere il problema della carenza di personale medicoL’Ospedale impiega 151 persone, fra cui 3 soli medici,che devono fronteggiare più di 10.000 ricoveri all’anno.

• supplire al calo del contributo statale, mantenendobasse le rette ospedaliere

I fondi a disposizione dell’Ospedale provenivano per il52% dal Governo ugandese, per il 14% dalle rette ospe-daliere (che l’Amministrazione cerca di contenere almassimo) e per il 34% dalle donazioni.Attualmente, però, il contributo statale è stato ridot-to al 45% e si ipotizza che possa essere addiritturasospeso. Il contributo dell’Associazione “Amici diAngal”, già fondamentale, potrebbe perciò diventa-re determinante e condizionare l’esistenza stessadell’Ospedale!

• provvedere ad un continuo, razionale aggiornamen-to tecnologico della struttura, attraverso strumentari ecorsi d’istruzione per il loro utilizzo

Grazie ai fondi raccolti dall’Associazione, negli ultimianni si sono potute eseguire alcune importanti miglio-rie nell’Ospedale, quali: - impianto fognario - costruzione di un padiglione di isolamento - ampliamento del reparto di Pediatria- elettrificazione a pannelli solari- ristrutturazione del “Centro Nutrizionale” (NutritionUnit), creato da Claudia Marsiaj nel 1968 all’internodell’Ospedale- avvio dell’informatizzazione dei servizi ospedalieri.

I ProgettiAssistenza degli orfani da AIDS

Offre un aiuto diretto alle famiglie locali che accolgo-no e si prendono cura di questi orfani.

L’AIDS è un problema preminente negli Stati africa-ni, per la sua diffusione difficilmente controllabile, perl’impossibilità dei Paesi di affrontarne economicamentele cure, con il risultato di un gran numero di bambiniorfani abbandonati a sé stessi.

La scelta di un aiuto economico diretto ai nucleifamiliari locali si è dimostrato il mezzo migliore per tute-lare l’infanzia, evitando di intaccare la solida strutturasulla quale si fonda la comunità africana e soprattuttosalvaguardando la cultura dell’accoglienza degli orfani,colonna portante della società tribale.

Le varie situazioni vengono seguite in particolare dadue collaboratori locali, estremamente fidati e motivati,che due volte al mese incontrano la famiglia affidataria,consegnano la somma di denaro e raccolgono notizieparticolari.

Con cadenza semestrale il Dr. Marsiaj e sua mogliecontrollano lo stato di salute, nutrizione, benessere degliorfani assistiti (235 al 31 dicembre 2006).

Puoi aiutarci a sostenere un altro bambino orfanocon una donazione di 200 euro all’anno (poco più di50 cent. al giorno), provvedendo in questo modo allesue elementari necessità (sostentamento, vestiti, curemediche, istruzione).

Operazione Proteine

Fa capo al Centro Nutrizionale (Nutrition Unit) internoall’Ospedale, che fornisce, da quando è stato istituito, trepasti al giorno ad alto contenuto proteico ai bambinicon forme gravi di malnutrizione. L’attività del Centro,avviata e coordinata da Claudia Marsiaj, coinvolge le

NewsNews dagli Amici di Angala cura della sezione torinese dell’Associazione “Amici di Angal”

GENNAIO 2008

2 1 8 3

In questo numero:Il St. Luke’s Hospital 2

I Progetti 2

Testimonianze 4Per chi, perché tornare (di Claudia Marsiaj)Un’opera da non “chiudere in un sacchetto” (di Marco Foletti)La mia esperienza di “solar man” (di Giorgio Rodolfi)

I fili delle donne: Klaùdia racconta 6Il nostro primo Natale ad Angal

L’angolo della fiaba 7La storia del leone e della iena

Gli obiettivi dell’Associazione “Amici di Angal”

• Sopperire alle necessità dell’Ospedale di Angal.• Sostenere i Progetti di assistenza e cura rivolti ai

bambini e ai malati più poveri.• Creare una rete di medici generici o specialisti e di

professionisti, disposti a prestare gratuitamente laloro opera ad Angal per periodi brevi (ad esempio ilperiodo delle ferie).

• Organizzare ad Angal stages di studio per medici ita-liani sulle realtà sanitarie in Africa.

• Favorire l’invio di medici o di tecnici ugandesi inItalia, per approfondire particolari tecniche che pos-sano essere applicate ad Angal a vantaggio dellaqualità dell’assistenza agli ammalati degentinell’Ospedale.

Che cosa puoi fare tu

• Diventare Socio dell’Associazione con il versamentodella quota annuale di 50 euro.

• Svolgere un’opera di sensibilizzazione.

• Partecipare agli eventi di raccolta fondi.

• Impegnarti in una donazione regolare a sostegno deisingoli Progetti.

A TORINOIl nostro primo obiettivo è ampliare il numero degli ade-renti al Gruppo di appoggio, che si è costituito recente-mente: solo aumentando le nostre forze potremo molti-plicare e diversificare gli eventi utili a far conoscerel’Associazione e a sostenerne in vario modo gli scopi.

TI ASPETTIAMO!Tilde e Giuseppina

Come contribuire

I contributi possono essere inviati con bonifico ban-cario a:ASSOCIAZIONE AMICI DI ANGAL - ONLUSUnicredit Banca Agenzia di Arbizzano - Negrar (Vr)c/c n. 000005412019 ABI: 02008 CAB: 59601 CIN: LIBAN: IT 31 L 02008 59601 000005412019

(Ai sensi dell’art.14 del D.L. n.35 del 14 marzo 2005, convertitoin Legge con L. n.80 del 14 maggio 2005, le offerte fatte alleONLUS con assegno o bonifico bancario sono deducibili dalreddito complessivo dichiarato fino alla misura del 10%).

È possibile anche effettuare donazioni on-line inmodo rapido, gratuito e sicuro attraverso il sistemadi pagamento paypal (www.paipal.com).

L’Associazione è iscritta nelle liste dell’Agenzia delleEntrate fra i possibili beneficiari del 5x1000 del gettitofiscale sui redditi. Al momento della dichiarazione deiredditi, per devolvere il 5x1000 basta apporre la pro-pria firma e il codice fiscale dell’Assocciazione -93143850233 - nell’apposito spazio del Modello IRPEF.Un sentito GRAZIE a tutti coloro che nel 2007 hannoscelto di beneficiare la nostra associazione. I contribu-ti raccolti attraverso questa forma di finanziamentosaranno interamente impiegati a favore dell’Ospedale edei Progetti sostenuti dagli “Amici di Angal”.

Ulteriori informazioni si possono richiedere a:Amici di Angal ONLUSVia Vivaldi 3 - 37020 Arbizzano- Negrar (Vr) tel. (+39) 045 7513296sito web: www.amicidiangal.orge-mail: [email protected]

Il Notiziario è a cura della sezione torinesedell’Associazione, coordinata da

Tilde Barone [email protected]. (+39) 333 7122535

e Giuseppina Ricciarditel. (+39) 338 7728989

Realizzazione grafica: Elisabetta Origlia - Studio regi eMajuscole, Torino

Fotografie:

Disegno: Erica Titotto

Stampa: Tipografia Gravinese, Torino

Un po’ di storia…Il St. Luke’s Hospital è sorto per opera dei Padri MissionariComboniani negli anni ‘60 del secolo scorso ed è statoseguito dal punto di vista sanitario dal CUAMM-Medicicon l’Africa (ONG di Padova), che vi ha inviato mediciitaliani per un programma di cooperazione.

Mario Marsiaj è stato fra i primi e, dopo numerosi annidi permanenza ininterrotta ad Angal (dal 1966 al 1973), hacontinuato a tornarvi per periodi più o meno lunghi,accompagnato e coadiuvato nella sua attività dalla moglieClaudia.

Da quando nel 2000 il programma di cooperazione delCUAMM si è concluso, il Dr. Marsiaj segue personalmen-te la delicata fase di africanizzazione dell’Ospedale, trascor-rendo circa quattro mesi all’anno ad Angal, a fianco deicolleghi africani, per aiutarli a rendersi progressivamenteautonomi nella gestione e nell’amministrazione.

Non avendo più una ONG alle spalle, per poter repe-rire i fondi necessari a “far vivere” l’Ospedale e portareavanti i vari Progetti avviati nel frattempo, è stato neces-sario costituire un’Associazione, divenuta ONLUS nel2004.

L’Associazione “Amici di Angal”

Fondata nel 2001 dal Dr. Mario Marsiaj e da sua moglieClaudia Bertoldi, l’Associazione gravita intorno all’atti-vità dell’Ospedale St. Luke di Angal, nel Nord Ovestdell’Uganda, zona di savana molto povera e molto densa-mente popolata.

Oltre al sostegno dell’Ospedale, l’Associazione è impe-gnata in vari Progetti a favore soprattutto dei bambini.

Page 3: Notiziario n.1

mamme in lezioni di educazione nutrizionale, seguen-dole nella preparazione del cibo e istruendole sull’utilizzodelle risorse alla loro portata.

Dal Centro viene inoltre distribuito il cibo anche aipazienti degli altri reparti segnalati dal medico comeparticolarmente bisognosi (in totale da 60 a 70 pasti algiorno).

Aiutaci a sostenere il Progetto “Operazione Proteine”,che comporta una spesa annua di 9.500 euro.

Ricovero gratuito per i bambini

Permette di ricoveraretutti i bambini malati,anche per lunghi perio-di, chiedendo solo ilcontributo simbolico di1 euro.Avviato nel 1998, quan-do ci si è resi conto chemolti bambini venivanoportati all’Ospedale incondizioni gravissime,perché i genitori nonavevano i soldi per ilricovero, ha permesso disalvare moltissime vite.

Aiutaci a sostenere il Progetto “Ricovero gratuito per ibambini”, che è il più oneroso e necessita costantemente difondi (più di 30.000 euro all’anno).

Samaritan FundQuesto “fondo” permette di ricoverare le persone chenon possono pagare la sia pur modesta retta chiestadall’Ospedale e di fornire gratuitamente i farmaci perle malattie croniche (es. diabete, cardiopatie, ecc.), icosiddetti “farmaci salvavita”.

Aiutaci a sostenere il Progetto “Samaritan Fund”, checomporta una spesa annua di 10.100 euro.

Assistenza agli ammalati di AIDS

Questo Progetto si è reso possibile a seguito dell’offerta, daparte del Governo ugandese, dei farmaci per la curadell’AIDS. Si tratta indubbiamente di un contributoimportante ma non risolutivo: occorrono personale adde-strato (medici, infermieri, un laboratorista) e un laboratorioattrezzato (apparecchiature per la conta dei linfociti ecc.).

Aiutaci a sostenere il Progetto “Assistenza agli amma-lati di AIDS”, che comporta una spesa mensile per ilpersonale di 1.600 euro.

Open HospitalSi tratta di un Progetto informatico che non è strettamen-te gestito dalla nostra Associazione, ma che merita unamenzione speciale per le sue ripercussioni di enorme por-tata sul funzionamento dell’Ospedale di Angal.Il Progetto “Open Hospital”, gestito interamentedall’Associazione Informatici Senza Frontiere (www.informaticisenzafrontiere.org) e diretto dal suo presidenteGirolamo Botter, è frutto del lavoro congiunto di varie per-sone, tra cui insegnanti e studenti dell’Istituto Volterra diSan Donà di Piave (www.istitutovolterra.it).Il Progetto è finalizzato a creare un sistema di data-entry perregistrare gli ingressi dei pazienti al St.Luke’s Hospital diAngal, conservarne le schede sanitarie, registrare gli esamidi laboratorio, gestire il magazzino di medicinali… insom-ma, un vero e proprio sistema informativo per l’Ospedale.Open Hospital è in fase di sperimentazione al St. Luke, doveè installato in vari PC client e in un server con database cen-trale. Viene correntemente utilizzato dal personale infer-mieristico. Uno dei prossimi obiettivi in questo ambito sarà tentare difornire all’Ospedale una connettività ad Internet sufficien-temente stabile e a costi contenuti, in modo da garantire uncostante monitoraggio delle attività del software e dell’uten-za, il ripristino da remoto in caso di problemi del software,gli aggiornamenti necessari sia al software che ai sistemioperativi, un help-desk il più possibile efficiente per il per-sonale dell’Ospedale che si trovasse di fronte a probleminell’utilizzo.

Per ulteriori notizie sul progetto: [email protected].

Il St. Luke’s HospitalL’Ospedale ha un raggio d’azione di circa 50 km, con unbacino d’utenza di circa 300.000 persone. Attualmentedispone di 280 posti letto, con un tasso medio di occupa-zione superiore al 100% (molti pazienti giacciono in terrasu delle stuoie). E’ dotato di un Laboratorio di analisi chi-miche e microbiologiche, di una Sala di Radiologia e diuna Sala operatoria.

Per il buon funzionamento dell’Ospedale occorre:

• risolvere il problema della carenza di personale medicoL’Ospedale impiega 151 persone, fra cui 3 soli medici,che devono fronteggiare più di 10.000 ricoveri all’anno.

• supplire al calo del contributo statale, mantenendobasse le rette ospedaliere

I fondi a disposizione dell’Ospedale provenivano per il52% dal Governo ugandese, per il 14% dalle rette ospe-daliere (che l’Amministrazione cerca di contenere almassimo) e per il 34% dalle donazioni.Attualmente, però, il contributo statale è stato ridot-to al 45% e si ipotizza che possa essere addiritturasospeso. Il contributo dell’Associazione “Amici diAngal”, già fondamentale, potrebbe perciò diventa-re determinante e condizionare l’esistenza stessadell’Ospedale!

• provvedere ad un continuo, razionale aggiornamen-to tecnologico della struttura, attraverso strumentari ecorsi d’istruzione per il loro utilizzo

Grazie ai fondi raccolti dall’Associazione, negli ultimianni si sono potute eseguire alcune importanti miglio-rie nell’Ospedale, quali: - impianto fognario - costruzione di un padiglione di isolamento - ampliamento del reparto di Pediatria- elettrificazione a pannelli solari- ristrutturazione del “Centro Nutrizionale” (NutritionUnit), creato da Claudia Marsiaj nel 1968 all’internodell’Ospedale- avvio dell’informatizzazione dei servizi ospedalieri.

I ProgettiAssistenza degli orfani da AIDS

Offre un aiuto diretto alle famiglie locali che accolgo-no e si prendono cura di questi orfani.

L’AIDS è un problema preminente negli Stati africa-ni, per la sua diffusione difficilmente controllabile, perl’impossibilità dei Paesi di affrontarne economicamentele cure, con il risultato di un gran numero di bambiniorfani abbandonati a sé stessi.

La scelta di un aiuto economico diretto ai nucleifamiliari locali si è dimostrato il mezzo migliore per tute-lare l’infanzia, evitando di intaccare la solida strutturasulla quale si fonda la comunità africana e soprattuttosalvaguardando la cultura dell’accoglienza degli orfani,colonna portante della società tribale.

Le varie situazioni vengono seguite in particolare dadue collaboratori locali, estremamente fidati e motivati,che due volte al mese incontrano la famiglia affidataria,consegnano la somma di denaro e raccolgono notizieparticolari.

Con cadenza semestrale il Dr. Marsiaj e sua mogliecontrollano lo stato di salute, nutrizione, benessere degliorfani assistiti (235 al 31 dicembre 2006).

Puoi aiutarci a sostenere un altro bambino orfanocon una donazione di 200 euro all’anno (poco più di50 cent. al giorno), provvedendo in questo modo allesue elementari necessità (sostentamento, vestiti, curemediche, istruzione).

Operazione Proteine

Fa capo al Centro Nutrizionale (Nutrition Unit) internoall’Ospedale, che fornisce, da quando è stato istituito, trepasti al giorno ad alto contenuto proteico ai bambinicon forme gravi di malnutrizione. L’attività del Centro,avviata e coordinata da Claudia Marsiaj, coinvolge le

NewsNews dagli Amici di Angala cura della sezione torinese dell’Associazione “Amici di Angal”

GENNAIO 2008

2 1 8 3

In questo numero:Il St. Luke’s Hospital 2

I Progetti 2

Testimonianze 4Per chi, perché tornare (di Claudia Marsiaj)Un’opera da non “chiudere in un sacchetto” (di Marco Foletti)La mia esperienza di “solar man” (di Giorgio Rodolfi)

I fili delle donne: Klaùdia racconta 6Il nostro primo Natale ad Angal

L’angolo della fiaba 7La storia del leone e della iena

Gli obiettivi dell’Associazione “Amici di Angal”

• Sopperire alle necessità dell’Ospedale di Angal.• Sostenere i Progetti di assistenza e cura rivolti ai

bambini e ai malati più poveri.• Creare una rete di medici generici o specialisti e di

professionisti, disposti a prestare gratuitamente laloro opera ad Angal per periodi brevi (ad esempio ilperiodo delle ferie).

• Organizzare ad Angal stages di studio per medici ita-liani sulle realtà sanitarie in Africa.

• Favorire l’invio di medici o di tecnici ugandesi inItalia, per approfondire particolari tecniche che pos-sano essere applicate ad Angal a vantaggio dellaqualità dell’assistenza agli ammalati degentinell’Ospedale.

Che cosa puoi fare tu

• Diventare Socio dell’Associazione con il versamentodella quota annuale di 50 euro.

• Svolgere un’opera di sensibilizzazione.

• Partecipare agli eventi di raccolta fondi.

• Impegnarti in una donazione regolare a sostegno deisingoli Progetti.

A TORINOIl nostro primo obiettivo è ampliare il numero degli ade-renti al Gruppo di appoggio, che si è costituito recente-mente: solo aumentando le nostre forze potremo molti-plicare e diversificare gli eventi utili a far conoscerel’Associazione e a sostenerne in vario modo gli scopi.

TI ASPETTIAMO!Tilde e Giuseppina

Come contribuire

I contributi possono essere inviati con bonifico ban-cario a:ASSOCIAZIONE AMICI DI ANGAL - ONLUSUnicredit Banca Agenzia di Arbizzano - Negrar (Vr)c/c n. 000005412019 ABI: 02008 CAB: 59601 CIN: LIBAN: IT 31 L 02008 59601 000005412019

(Ai sensi dell’art.14 del D.L. n.35 del 14 marzo 2005, convertitoin Legge con L. n.80 del 14 maggio 2005, le offerte fatte alleONLUS con assegno o bonifico bancario sono deducibili dalreddito complessivo dichiarato fino alla misura del 10%).

È possibile anche effettuare donazioni on-line inmodo rapido, gratuito e sicuro attraverso il sistemadi pagamento paypal (www.paipal.com).

L’Associazione è iscritta nelle liste dell’Agenzia delleEntrate fra i possibili beneficiari del 5x1000 del gettitofiscale sui redditi. Al momento della dichiarazione deiredditi, per devolvere il 5x1000 basta apporre la pro-pria firma e il codice fiscale dell’Assocciazione -93143850233 - nell’apposito spazio del Modello IRPEF.Un sentito GRAZIE a tutti coloro che nel 2007 hannoscelto di beneficiare la nostra associazione. I contribu-ti raccolti attraverso questa forma di finanziamentosaranno interamente impiegati a favore dell’Ospedale edei Progetti sostenuti dagli “Amici di Angal”.

Ulteriori informazioni si possono richiedere a:Amici di Angal ONLUSVia Vivaldi 3 - 37020 Arbizzano- Negrar (Vr) tel. (+39) 045 7513296sito web: www.amicidiangal.orge-mail: [email protected]

Il Notiziario è a cura della sezione torinesedell’Associazione, coordinata da

Tilde Barone [email protected]. (+39) 333 7122535

e Giuseppina Ricciarditel. (+39) 338 7728989

Realizzazione grafica: Elisabetta Origlia - Studio regi eMajuscole, Torino

Fotografie:

Disegno: Erica Titotto

Stampa: Tipografia Gravinese, Torino

Un po’ di storia…Il St. Luke’s Hospital è sorto per opera dei Padri MissionariComboniani negli anni ‘60 del secolo scorso ed è statoseguito dal punto di vista sanitario dal CUAMM-Medicicon l’Africa (ONG di Padova), che vi ha inviato mediciitaliani per un programma di cooperazione.

Mario Marsiaj è stato fra i primi e, dopo numerosi annidi permanenza ininterrotta ad Angal (dal 1966 al 1973), hacontinuato a tornarvi per periodi più o meno lunghi,accompagnato e coadiuvato nella sua attività dalla moglieClaudia.

Da quando nel 2000 il programma di cooperazione delCUAMM si è concluso, il Dr. Marsiaj segue personalmen-te la delicata fase di africanizzazione dell’Ospedale, trascor-rendo circa quattro mesi all’anno ad Angal, a fianco deicolleghi africani, per aiutarli a rendersi progressivamenteautonomi nella gestione e nell’amministrazione.

Non avendo più una ONG alle spalle, per poter repe-rire i fondi necessari a “far vivere” l’Ospedale e portareavanti i vari Progetti avviati nel frattempo, è stato neces-sario costituire un’Associazione, divenuta ONLUS nel2004.

L’Associazione “Amici di Angal”

Fondata nel 2001 dal Dr. Mario Marsiaj e da sua moglieClaudia Bertoldi, l’Associazione gravita intorno all’atti-vità dell’Ospedale St. Luke di Angal, nel Nord Ovestdell’Uganda, zona di savana molto povera e molto densa-mente popolata.

Oltre al sostegno dell’Ospedale, l’Associazione è impe-gnata in vari Progetti a favore soprattutto dei bambini.

Page 4: Notiziario n.1

5 6 74

TestimonianzePer chi, perché tornaredi Claudia MarsiajMia madre, Claudia, mi ha scritto stasera [29 novembre2007, n.d.r.]. Stanno tornando da Angal, e immagino chela tentazione a volte sia di dire “per sempre”. Naturalmenteso che non ce la faranno a restare lontani dall’Africa più diqualche mese, anche perché qui - da molti punti di vista - èancora peggio. Da noi le donne vengono fatte a pezzi, gliassassini diventano star e i bambini, anziché essere abban-donati davanti agli ospedali, vengono depositati direttamen-te nei cassonetti. Spazzatura. E’ una lettera cruda, ma mipare che faccia capire alcune cose: le condivido volentieri.

Piero MarsiajCaro Piero,

anche questo periodo di nostra presenza ad Angal stavolgendo al termine. (…) Vorrei rendervi partecipi dialcuni avvenimenti, che riguardano da vicino le persone,la vita del villaggio, la mentalità degli Alùr, il nostro rap-porto con loro.

Sono successe alcune cose che ci hanno profonda-mente turbati e che hanno reso questo periodo uno deipiù pesanti per noi.

A due passi dall’Ospedale, una notte, un gruppo dipersone armate di bastoni ha ammazzato a legnate ungiovane ladro, che da tempo disturbava il villaggio ed eradiventato la vergogna dei propri familiari. Attorno a que-sto fatto si è innalzato un muro di omertà, che non halasciato nessuno spazio per far luce su questo atroce rego-lamento di conti. Nessuno ha visto e invece molti hannovisto, nessuno sa e tutti sanno. Questa è la legge che deveessere amministrata all’interno del clan.

Ogni volta che qualcuno mi porge la mano per le viedi Angal, mi chiedo se quella mano, poche sere fa, abbiabrandito un bastone. Il giorno dopo la vita è ripresacome se nulla fosse accaduto e invece… sono accaduteancora altre cose.

Abbandonato sul pavimento di cemento delle cuci-nette dietro alla Maternità, una mattina è stato trovatoun bambino appena nato, col cordone ombelicale strap-pato. Si sa che la madre è Oroci, una povera demente chevive in giro, non ha casa, non accetta aiuti ed era statavista aggirarsi nei pressi dell’Ospedale.

Solo l’ostetrica Selsa ha preso a cuore questo bambino el’ha sistemato in un angolo della sala parto (qui non esisteuna nursery), dove io e Francesca ci siamo alternate a dargliil biberon e a coccolarlo. E’ vissuto 10 giorni, fra bambiniche nascevano in continuazione: uno, attaccato all’ossige-no, tentava disperatamente di vivere, due di quattro gemel-li morivano, in un reparto che ha estremo bisogno di esse-re ristrutturato e dotato di nuovi letti… un incubo!

Avevamo deciso di battezzarlo il pomeriggio del gior-no 15… l’avremmo chiamato Luca, come il protettore

dell’Ospedale e invece… alle due sono entrata in salaparto con l’ennesimo biberon e la nurse di turno conestrema noncuranza mi ha detto: “Ethò (E’ morto)!! Nonme ne sono accorta perché ero molto occupata”. E cosìnessuno l’ha visto morire, nessuno l’aveva visto nascere,questo bambino senza nome, forse figlio di Oroci, lapazza del villaggio.

Vissuto 10 giorni fra l’indifferenza di tutti, è statoaccompagnato al cimitero da una folla di mamme, dilavoratori dell’Ospedale, di infermiere, alla quale siaggiungeva, a mano a mano che si snodava il corteo, lagente del villaggio. Mi sarei messa a urlare o a ridere. Eramezzogiorno, il sole picchiava forte, gli operai che aveva-no scavato la fossa grondavano sudore, i bambini uscitidalla scuola buttavano fiori di buganvillea… per un bam-bino che prima non aveva suscitato la pietà di nessuno.

Ma mi aspettava ancora la morte di Kevina, consuma-ta dall’aids, e quella di Kolbert, il peggiore kwashorkor[malattia da malnutrizione, n.d.r.] che abbia mai visto,gonfio come un palloncino, con la pelle screpolata e pia-gata, e quella di Nema, 10 anni, distrutta da una settice-mia partita dai tagli (tea-tea) fatti dallo stregone lungo lebraccia e le gambe.

Per fortuna c’è Consolate ( si chiama proprio così!),che dal kwashorkor sta uscendo, sta ricominciando amangiare e a giocare, segno inequivocabile di ripresa.

E c’è Ali, un concentrato di disgrazie, compreso uncaratteraccio che lo rende inviso a tutti, al quale abbiamopotuto procurare una capanna, assicurare il cibo e ancheuna badante; un bel cambiamento di vita da quandoviveva trascurato e mal sopportato dal suo clan.

E c’è Celestino, il vecchio barbone, che viveva sotto latettoia ora dell’Ospedale, ora di qualche capanna, e veni-va a mangiare in Nutrition Unit. Gli abbiamo fattocostruire una piccola capanna in un posto bellissimo,sulla collina dietro all’Ospedale, da dove si ammira lasavana sterminata e si scorge, molto lontano, il Nilo. Dalì il suo spirito indipendente può spaziare. Sono andatafin lassù e ho avuto una bella sorpresa: ha un vicino,povero come lui e altrettanto malandato, che lo aiuta egli fa da mangiare quando sta male.

E’ tra i più poveri che si scopre la più autentica soli-darietà.

E’ per loro che, nonostante tutto, continueremo atornare.

I racconti sono...

...com

ei p

onti

alle nuove utenze: si veda l’introduzione dell’informaticain Ospedale, il prossimo impiego di nuovi computer (siparla di altri 7), l’adozione di nuove macchine di labora-torio, come la recente camera climatica per le colture.

A questo punto si pone l’interrogativo fondamentale:come far fronte alle crescenti necessità con le scarse forzea disposizione? Oltre a me, che sono animato da tantabuona volontà ma devo fare i conti anche con… tantaetà, nel nostro staff tecnico lavorano due validi ed esper-ti collaboratori locali: uno a sua volta anziano, che nonpuò garantire una presenza sicura date le sue precariecondizioni di salute; l’altro giovane e sicuramente affida-bile, preparato in discipline tecniche nell’ottima scuola diGulu, quindi con tutti i requisiti per diventare la colon-na dei servizi tecnici dell’Ospedale, ma che potrebbelegittimamente ambire ad un futuro professionale piùsoddisfacente di quello che gli si offre ad Angal.

Spesso ho assistito impotente al naufragio di altre realtàtecniche simili a quella di Angal proprio per la carenza dirisorse umane. Mi attendo che si discuta su questo punto eche si possano prendere i dovuti provvedimenti, magarilegati alla stessa attività informatica in crescita nell’Ospedalee al suo debutto nella vicina scuola tecnica. Ma una cosa ècerta: in un ambiente di frontiera come quello di Angal, perun giovane che abbia a cuore il suo futuro, la prospettiva diuna crescita professionale è più importante del raggiungi-mento di immediati traguardi economici.

I fili delle donne: Klaùdia racconta

Il nostro primo Natale ad Angal

Un villaggio in mezzo alla savana, nel nord dell’Uganda,a 2 gradi dall’equatore. Una notte stellata come se nevedono soltanto in Africa. E’ la vigilia di Natale, il nostroprimo Natale in Africa.

Aspettavamo l’inizio della Messa di mezzanotte, chedoveva essere celebrata nella cappella delle Suore; nelcuore un po’ di nostalgia per le nostre famiglie in Italia.

Un tocco leggero alla finestra : “ Dottore, si prepariper un cesareo urgente. La donna è stata portata in barcaattraverso il lago Alberto. Non c’è tempo da perdere”. Erala voce di Suor Emma.

Poi la Messa al lume di candela, soli io e Pierino,nostro figlio di appena due anni, in un ambiente ancoraestraneo.

Metto a letto Pierino e aspetto Mario con ansia.“Com’è andata?” ... “Appena in tempo; il bambino è

salvo, ma la mamma è in pericolo: ha una grave emorragia.”Naturalmente non c’è banca del sangue in quel picco-

lo ospedale in mezzo alla savana. Non c’è tempo per cer-care i parenti, comunque sempre restii a donare il sangue,

per antiche superstizioni. Il mio gruppo sanguigno è zeropositivo: compatibile con qualsiasi altro gruppo.

In un batter d’occhio mi trovo su un lettino accantoalla donna appena operata. Un tubicino va dalla mia venaalla sua, le nostre mani si toccano. Chiudo gli occhi, migira un po’ la testa; non sono molto forte. Poi le Suorepremurose mi fanno bere qualcosa...forse del latte benzuccherato.

Quando usciamo dall’ospedale ci accorgiamo che ilcielo si sta tingendo di rosa: è quasi l’alba.

Ci avviamo verso la chiesa della Missione e ci sediamosui gradini. Davanti a noi, a perdita d’occhio, si stende lasavana. Il cielo diventa quasi rosso e poi, di colpo, ecco ilsole! Sembra quasi scagliato verso il cielo. La savanaimprovvisamente si anima di suoni e di colori.

Ci stringiamo la mano. E’ l’inizio di un nuovo giorno:il nostro primo Natale in Africa, l’inizio della nostraavventura umana in questa terra che improvvisamentenon sentiamo più estranea.

Le donne africane sono entrate di prepotenza nellamia vita, a partire da quel primo Natale.

Donne coraggiose, capaci di partorire senza un lamento;donne forti: capaci di accettare senza lacrime la morte delloro bambino. Quante ne ho viste passare davanti alla miacasa con un figlio, morto, legato dietro alle spalle, per ripor-tarlo al villaggio, spesso lontano parecchi chilometri!

Donne pazienti, sempre in cammino:verso la boscagliain cerca di legna; verso il fiume a prendere l’acqua; versoil mercato, con grossi cesti sulla testa, per comperare ovendere i prodotti del loro campo; verso l’ospedale con iloro bambini ammalati.

Donne mai rassegnate: capaci di enormi sacrifici permandare i figli a scuola.

Donne sempre pronte a sorridere, nonostante tutto.

Un’opera da non “chiudere in un sacchetto”di Marco Foletti

Marco Foletti è un giovane studente di Torino, iscritto al 5°anno di Medicina. Ha accompagnato Mario e ClaudiaMarsiaj nella loro recente missione ad Angal. Spesso l’unico compromesso che la nostra vita ci offre persperimentare la realtà dell’Africa è quello di effettuaresolo un breve soggiorno, e così è stato anche per me.Dunque, animato dalle migliori intenzioni, sono partitoper Angal. Ora che sono ritornato in Italia, mi è inevita-bile ripensare alle sensazioni e ai ricordi forti che unarealtà così diversa, a volte drammatica, mi ha lasciato.

Ho fatto molte cose in quel mese: aiutato in sala ope-ratoria, frequentato la pediatria e la Nutrition Unit, visi-tato gli orfani…e sono tornato cambiato.

Però, pensando a ciò che si è fatto, si finisce spesso perdimenticare quelli che non partono, coloro per i qualinon si è trattato solo di una parentesi, ma della vitacomune: il personale dell’Ospedale e gli abitanti di Angal.

A loro, prima di partire, lasciamo i nostri miglioriauguri e un sacchetto pieno di medicine nuove e costose,appena portate dall’Italia, insieme a qualche schematica“istruzione per l’uso”. Pochi giorni prima di tornare inItalia, ho ritrovato un sacchetto di quelli: lasciato inutiliz-zato, proprio come un anonimo medico italiano l’avevalasciato cinque anni prima. I farmaci, nuovi e costosi,erano tutti scaduti.

E questo ritrovamento mi ha portato a riflettere…E’dunque davvero utile fermarsi per così brevi periodi? Silascia davvero qualcosa al momento della partenza?

Se ripenso a quanti sono rimasti ad Angal, credo cheper dare loro davvero qualcosa sia necessaria una presen-za costante, capace di trasmettere una formazione sia pro-fessionale sia organizzativa che rimanga nel tempo.

L’Africa regala a tutti, senza distinzioni, emozioni forti;chi parte credendo di dare, spesso torna scoprendosi debito-re. Ad Angal ho imparato che per sdebitarci l’Africa ci chie-de di metterci in gioco fino in fondo, per lungo tempo. Solocosì la nostra opera non rimarrà chiusa in un sacchetto nelbuio di un armadio, ma diventerà strumento nelle manidegli Africani, per poter essere così usata giorno per giorno.

La mia esperienza di “solar man”di Giorgio Rodolfi

Giorgio Rodolfi, una delle colonne dell’Associazione, è daanni il responsabile dell’impianto a pannelli solari, che for-nisce l’energia per l’illuminazione dell’Ospedale e per altriservizi di fondamentale importanza.

Mi presento: sono un “solar man”, come a Klaùdia piacechiamarmi, cioè l’uomo (uno dei tanti) che dal sole rica-va l’energia.

Da 15 anni ormai mi occupo di volontariato nel settoretecnico, sia in proprio, sia per conto di Ong e Onlus. Questaattività mi ha condotto in una moltitudine di Stati africani,dal Camerun all’Uganda, dalla Repubblica dell’AfricaCentrale al Ciad, alla Tanzania, all’Etiopia, al Mozambico.

Tuttavia l’attrazione che ha esercitato su di mel’Uganda di Angal è stata tale che da più anni questa èdiventata pressoché la mia meta fissa! Complici Mario eClaudia Marsiaj, a cui mi lega un affetto profondo, oltreal comune sforzo di alleviare (impossibile risolvere) le dif-ficoltà dei nostri sfortunati fratelli di pelle scura.

Ad Angal la mia attività fu ed è dedicata quasi esclusi-vamente alla produzione e utilizzazione dell’energia elet-trica ricavata dai raggi solari mediante l’uso di pannellifotovoltaici.

La base di partenza della mia attività risale alla secon-da missione da me compiuta ad Angal, quando fui chia-mato perché il quadro di controllo elettrico si era guasta-to. Già in quel primo intervento notai che l’installazioneaveva bisogno di un radicale rinnovamento. L’interventofu attuato con la successiva missione richiesta dal Dr.Marsiaj, al quale esposi la necessità di un rifacimentototale dell’impianto, che egli accettò manifestandomicompleta fiducia, di cui gli serbo riconoscenza.

Da allora l’impianto elettrico ha subìto numerosiinterventi, che hanno consentito di sostituire l’energiasolare a quella dei generatori diesel per l’illuminazione deireparti, per l’uso notturno della Sala operatoria e dellaSala Parto, per l’impiego di arricchitori d’ossigeno in trereparti; è stato inoltre possibile sostituire i frigoriferi acherosene con altri a compressore elettrico.

Da tre anni sono attivi 3 gruppi fotovoltaici, ma già siavverte la necessità di un quarto gruppo, per far fronte

L’angolodella fiaba

Il maestro Domenico Manano, diplomato alla MakerereUniversity di Kampala, è un Alùr molto anziano e molto malato.

Tuttavia, quando gli ho chiesto di raccogliere alcune favole perché potessi-mo far conoscere la cultura della sua gente, è stato molto felice di collaborare.

Attingendo alla tradizione orale, le ha trascritte in un inglese piuttosto dif-ficile da interpretare: lo ha fatto, con molta pazienza e professionalità, la cara

amica Gabriella Gozzi.Klaùdia

La storia del leone e della ienaIl leone e la iena erano grandi amici. Si volevano un gran bene.

Un giorno decisero di procurarsi del bestiame per il loro futuro; il leone comprò unbel toro castrato, la iena una mucca gravida e li portarono al bufalo perché se ne occu-

passe e li tenesse nel suo recinto insieme agli altri animali dell’allevamento.Quando il leone andò a controllare il suo animale, trovò che la mucca aveva partorito un

vitellino e, guardando il bufalo con occhi minacciosi, affermò che il vitello gli apparteneva.La iena, avvertita dal bufalo di questa pretesa, si recò dall’amico leone per chiarire amichevol-

mente la cosa e fu ricevuta con grande cordialità e invitata a mangiare con lui.Quando però la iena gli chiese come mai pretendeva di essere il proprietario del vitello, il leone

la mise in guardia dal continuare a fargli delle domande stupide: il vitello era veramente suo.La iena allora se ne andò indignata e decise di fargli causa per essersi appropriato del suo vitello con

l’imbroglio, portandolo di fronte alla corte di giustizia, presieduta dal coniglio, che era il re del regnoanimale.

Il giorno dell’udienza i due contendenti arrivarono puntuali con due testimoni, gli stessi per entrambi:erano l’antilope e il bufalo.

La iena spiegò come erano andate le cose, poi il coniglio interrogò i testimoni.Sentì per prima la povera antilope, la quale, terrorizzata dallo sguardo del leone che aveva gli occhi iniet-

tati di sangue, non riuscì a spiccicare parola. Poi interrogò il bufalo, che, altrettanto spaventato, invece di dire la verità affermò di aver ricevuto in con-

segna due mucche; pertanto non poteva sapere di chi fosse quella che aveva partorito il vitello.Nell’aula tutti erano terrorizzati di fronte all’atteggiamento iroso del leone, giurati compresi e compreso il

coniglio, che però, essendo il re, aveva a protezione una guardia del corpo, l’elefante.Quando toccò al leone dare la propria versione, disse che entrambi avevano comprato una mucca, ma la sua

era più grossa di quella della iena, perché era gravida. Il vitello pertanto gli apparteneva.Di fronte ad una questione così difficile da giudicare, poiché nessuno dei due testimoni aveva testimoniato inmodo certo a favore o della querelante o dell’imputato, il coniglio disse alla corte che la sentenza doveva essererimandata al mattino seguente alle 8. Raccomandò la massima puntualità, pena la perdita della causa per chi aves-se tardato anche solo di un minuto.Il mattino successivo l’aula era piena zeppa di animali interessati a udire chi fosse giudicato innocente, ma il coni-glio non si vedeva.Arrivò in aula soltanto a mezzogiorno, tutto grondante di sudore, come se avesse fatto una lunga corsa. Si scusò delritardo: aveva dovuto assistere il padre – disse - che aveva cominciato ad avere le doglie ed aveva appena partorito. “Ma come?– sbottò il leone – Possono i maschi partorire?”. A questo punto il coniglio replicò: “Ti sei dato da solo la sentenza per il tuo caso. Se sai che i maschi non possonopartorire, perché stai reclamando il vitello come tuo? Perciò tu, iena, va’ a prendere il tuo vitello. Hai vinto la causacon assoluta certezza”.

Questo caso richiama un proverbio Alùr che dice: “Può capitare che un uomo grande e grosso strappi il bastone dalla manodi un ragazzo e lo percuota con questo”.La condotta del coniglio, che nel formulare il giudizio non si fa condizionare dall’importanza del leone, ci insegna che tutti colo-ro a cui spetta emettere sentenze su casi giudiziari non devono essere ingiusti, lasciandosi influenzare o, peggio, corrompere.TUTTI SONO UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE.

Page 5: Notiziario n.1

5 6 74

TestimonianzePer chi, perché tornaredi Claudia MarsiajMia madre, Claudia, mi ha scritto stasera [29 novembre2007, n.d.r.]. Stanno tornando da Angal, e immagino chela tentazione a volte sia di dire “per sempre”. Naturalmenteso che non ce la faranno a restare lontani dall’Africa più diqualche mese, anche perché qui - da molti punti di vista - èancora peggio. Da noi le donne vengono fatte a pezzi, gliassassini diventano star e i bambini, anziché essere abban-donati davanti agli ospedali, vengono depositati direttamen-te nei cassonetti. Spazzatura. E’ una lettera cruda, ma mipare che faccia capire alcune cose: le condivido volentieri.

Piero MarsiajCaro Piero,

anche questo periodo di nostra presenza ad Angal stavolgendo al termine. (…) Vorrei rendervi partecipi dialcuni avvenimenti, che riguardano da vicino le persone,la vita del villaggio, la mentalità degli Alùr, il nostro rap-porto con loro.

Sono successe alcune cose che ci hanno profonda-mente turbati e che hanno reso questo periodo uno deipiù pesanti per noi.

A due passi dall’Ospedale, una notte, un gruppo dipersone armate di bastoni ha ammazzato a legnate ungiovane ladro, che da tempo disturbava il villaggio ed eradiventato la vergogna dei propri familiari. Attorno a que-sto fatto si è innalzato un muro di omertà, che non halasciato nessuno spazio per far luce su questo atroce rego-lamento di conti. Nessuno ha visto e invece molti hannovisto, nessuno sa e tutti sanno. Questa è la legge che deveessere amministrata all’interno del clan.

Ogni volta che qualcuno mi porge la mano per le viedi Angal, mi chiedo se quella mano, poche sere fa, abbiabrandito un bastone. Il giorno dopo la vita è ripresacome se nulla fosse accaduto e invece… sono accaduteancora altre cose.

Abbandonato sul pavimento di cemento delle cuci-nette dietro alla Maternità, una mattina è stato trovatoun bambino appena nato, col cordone ombelicale strap-pato. Si sa che la madre è Oroci, una povera demente chevive in giro, non ha casa, non accetta aiuti ed era statavista aggirarsi nei pressi dell’Ospedale.

Solo l’ostetrica Selsa ha preso a cuore questo bambino el’ha sistemato in un angolo della sala parto (qui non esisteuna nursery), dove io e Francesca ci siamo alternate a dargliil biberon e a coccolarlo. E’ vissuto 10 giorni, fra bambiniche nascevano in continuazione: uno, attaccato all’ossige-no, tentava disperatamente di vivere, due di quattro gemel-li morivano, in un reparto che ha estremo bisogno di esse-re ristrutturato e dotato di nuovi letti… un incubo!

Avevamo deciso di battezzarlo il pomeriggio del gior-no 15… l’avremmo chiamato Luca, come il protettore

dell’Ospedale e invece… alle due sono entrata in salaparto con l’ennesimo biberon e la nurse di turno conestrema noncuranza mi ha detto: “Ethò (E’ morto)!! Nonme ne sono accorta perché ero molto occupata”. E cosìnessuno l’ha visto morire, nessuno l’aveva visto nascere,questo bambino senza nome, forse figlio di Oroci, lapazza del villaggio.

Vissuto 10 giorni fra l’indifferenza di tutti, è statoaccompagnato al cimitero da una folla di mamme, dilavoratori dell’Ospedale, di infermiere, alla quale siaggiungeva, a mano a mano che si snodava il corteo, lagente del villaggio. Mi sarei messa a urlare o a ridere. Eramezzogiorno, il sole picchiava forte, gli operai che aveva-no scavato la fossa grondavano sudore, i bambini uscitidalla scuola buttavano fiori di buganvillea… per un bam-bino che prima non aveva suscitato la pietà di nessuno.

Ma mi aspettava ancora la morte di Kevina, consuma-ta dall’aids, e quella di Kolbert, il peggiore kwashorkor[malattia da malnutrizione, n.d.r.] che abbia mai visto,gonfio come un palloncino, con la pelle screpolata e pia-gata, e quella di Nema, 10 anni, distrutta da una settice-mia partita dai tagli (tea-tea) fatti dallo stregone lungo lebraccia e le gambe.

Per fortuna c’è Consolate ( si chiama proprio così!),che dal kwashorkor sta uscendo, sta ricominciando amangiare e a giocare, segno inequivocabile di ripresa.

E c’è Ali, un concentrato di disgrazie, compreso uncaratteraccio che lo rende inviso a tutti, al quale abbiamopotuto procurare una capanna, assicurare il cibo e ancheuna badante; un bel cambiamento di vita da quandoviveva trascurato e mal sopportato dal suo clan.

E c’è Celestino, il vecchio barbone, che viveva sotto latettoia ora dell’Ospedale, ora di qualche capanna, e veni-va a mangiare in Nutrition Unit. Gli abbiamo fattocostruire una piccola capanna in un posto bellissimo,sulla collina dietro all’Ospedale, da dove si ammira lasavana sterminata e si scorge, molto lontano, il Nilo. Dalì il suo spirito indipendente può spaziare. Sono andatafin lassù e ho avuto una bella sorpresa: ha un vicino,povero come lui e altrettanto malandato, che lo aiuta egli fa da mangiare quando sta male.

E’ tra i più poveri che si scopre la più autentica soli-darietà.

E’ per loro che, nonostante tutto, continueremo atornare.

I racconti sono...

...com

ei p

onti

alle nuove utenze: si veda l’introduzione dell’informaticain Ospedale, il prossimo impiego di nuovi computer (siparla di altri 7), l’adozione di nuove macchine di labora-torio, come la recente camera climatica per le colture.

A questo punto si pone l’interrogativo fondamentale:come far fronte alle crescenti necessità con le scarse forzea disposizione? Oltre a me, che sono animato da tantabuona volontà ma devo fare i conti anche con… tantaetà, nel nostro staff tecnico lavorano due validi ed esper-ti collaboratori locali: uno a sua volta anziano, che nonpuò garantire una presenza sicura date le sue precariecondizioni di salute; l’altro giovane e sicuramente affida-bile, preparato in discipline tecniche nell’ottima scuola diGulu, quindi con tutti i requisiti per diventare la colon-na dei servizi tecnici dell’Ospedale, ma che potrebbelegittimamente ambire ad un futuro professionale piùsoddisfacente di quello che gli si offre ad Angal.

Spesso ho assistito impotente al naufragio di altre realtàtecniche simili a quella di Angal proprio per la carenza dirisorse umane. Mi attendo che si discuta su questo punto eche si possano prendere i dovuti provvedimenti, magarilegati alla stessa attività informatica in crescita nell’Ospedalee al suo debutto nella vicina scuola tecnica. Ma una cosa ècerta: in un ambiente di frontiera come quello di Angal, perun giovane che abbia a cuore il suo futuro, la prospettiva diuna crescita professionale è più importante del raggiungi-mento di immediati traguardi economici.

I fili delle donne: Klaùdia racconta

Il nostro primo Natale ad Angal

Un villaggio in mezzo alla savana, nel nord dell’Uganda,a 2 gradi dall’equatore. Una notte stellata come se nevedono soltanto in Africa. E’ la vigilia di Natale, il nostroprimo Natale in Africa.

Aspettavamo l’inizio della Messa di mezzanotte, chedoveva essere celebrata nella cappella delle Suore; nelcuore un po’ di nostalgia per le nostre famiglie in Italia.

Un tocco leggero alla finestra : “ Dottore, si prepariper un cesareo urgente. La donna è stata portata in barcaattraverso il lago Alberto. Non c’è tempo da perdere”. Erala voce di Suor Emma.

Poi la Messa al lume di candela, soli io e Pierino,nostro figlio di appena due anni, in un ambiente ancoraestraneo.

Metto a letto Pierino e aspetto Mario con ansia.“Com’è andata?” ... “Appena in tempo; il bambino è

salvo, ma la mamma è in pericolo: ha una grave emorragia.”Naturalmente non c’è banca del sangue in quel picco-

lo ospedale in mezzo alla savana. Non c’è tempo per cer-care i parenti, comunque sempre restii a donare il sangue,

per antiche superstizioni. Il mio gruppo sanguigno è zeropositivo: compatibile con qualsiasi altro gruppo.

In un batter d’occhio mi trovo su un lettino accantoalla donna appena operata. Un tubicino va dalla mia venaalla sua, le nostre mani si toccano. Chiudo gli occhi, migira un po’ la testa; non sono molto forte. Poi le Suorepremurose mi fanno bere qualcosa...forse del latte benzuccherato.

Quando usciamo dall’ospedale ci accorgiamo che ilcielo si sta tingendo di rosa: è quasi l’alba.

Ci avviamo verso la chiesa della Missione e ci sediamosui gradini. Davanti a noi, a perdita d’occhio, si stende lasavana. Il cielo diventa quasi rosso e poi, di colpo, ecco ilsole! Sembra quasi scagliato verso il cielo. La savanaimprovvisamente si anima di suoni e di colori.

Ci stringiamo la mano. E’ l’inizio di un nuovo giorno:il nostro primo Natale in Africa, l’inizio della nostraavventura umana in questa terra che improvvisamentenon sentiamo più estranea.

Le donne africane sono entrate di prepotenza nellamia vita, a partire da quel primo Natale.

Donne coraggiose, capaci di partorire senza un lamento;donne forti: capaci di accettare senza lacrime la morte delloro bambino. Quante ne ho viste passare davanti alla miacasa con un figlio, morto, legato dietro alle spalle, per ripor-tarlo al villaggio, spesso lontano parecchi chilometri!

Donne pazienti, sempre in cammino:verso la boscagliain cerca di legna; verso il fiume a prendere l’acqua; versoil mercato, con grossi cesti sulla testa, per comperare ovendere i prodotti del loro campo; verso l’ospedale con iloro bambini ammalati.

Donne mai rassegnate: capaci di enormi sacrifici permandare i figli a scuola.

Donne sempre pronte a sorridere, nonostante tutto.

Un’opera da non “chiudere in un sacchetto”di Marco Foletti

Marco Foletti è un giovane studente di Torino, iscritto al 5°anno di Medicina. Ha accompagnato Mario e ClaudiaMarsiaj nella loro recente missione ad Angal. Spesso l’unico compromesso che la nostra vita ci offre persperimentare la realtà dell’Africa è quello di effettuaresolo un breve soggiorno, e così è stato anche per me.Dunque, animato dalle migliori intenzioni, sono partitoper Angal. Ora che sono ritornato in Italia, mi è inevita-bile ripensare alle sensazioni e ai ricordi forti che unarealtà così diversa, a volte drammatica, mi ha lasciato.

Ho fatto molte cose in quel mese: aiutato in sala ope-ratoria, frequentato la pediatria e la Nutrition Unit, visi-tato gli orfani…e sono tornato cambiato.

Però, pensando a ciò che si è fatto, si finisce spesso perdimenticare quelli che non partono, coloro per i qualinon si è trattato solo di una parentesi, ma della vitacomune: il personale dell’Ospedale e gli abitanti di Angal.

A loro, prima di partire, lasciamo i nostri miglioriauguri e un sacchetto pieno di medicine nuove e costose,appena portate dall’Italia, insieme a qualche schematica“istruzione per l’uso”. Pochi giorni prima di tornare inItalia, ho ritrovato un sacchetto di quelli: lasciato inutiliz-zato, proprio come un anonimo medico italiano l’avevalasciato cinque anni prima. I farmaci, nuovi e costosi,erano tutti scaduti.

E questo ritrovamento mi ha portato a riflettere…E’dunque davvero utile fermarsi per così brevi periodi? Silascia davvero qualcosa al momento della partenza?

Se ripenso a quanti sono rimasti ad Angal, credo cheper dare loro davvero qualcosa sia necessaria una presen-za costante, capace di trasmettere una formazione sia pro-fessionale sia organizzativa che rimanga nel tempo.

L’Africa regala a tutti, senza distinzioni, emozioni forti;chi parte credendo di dare, spesso torna scoprendosi debito-re. Ad Angal ho imparato che per sdebitarci l’Africa ci chie-de di metterci in gioco fino in fondo, per lungo tempo. Solocosì la nostra opera non rimarrà chiusa in un sacchetto nelbuio di un armadio, ma diventerà strumento nelle manidegli Africani, per poter essere così usata giorno per giorno.

La mia esperienza di “solar man”di Giorgio Rodolfi

Giorgio Rodolfi, una delle colonne dell’Associazione, è daanni il responsabile dell’impianto a pannelli solari, che for-nisce l’energia per l’illuminazione dell’Ospedale e per altriservizi di fondamentale importanza.

Mi presento: sono un “solar man”, come a Klaùdia piacechiamarmi, cioè l’uomo (uno dei tanti) che dal sole rica-va l’energia.

Da 15 anni ormai mi occupo di volontariato nel settoretecnico, sia in proprio, sia per conto di Ong e Onlus. Questaattività mi ha condotto in una moltitudine di Stati africani,dal Camerun all’Uganda, dalla Repubblica dell’AfricaCentrale al Ciad, alla Tanzania, all’Etiopia, al Mozambico.

Tuttavia l’attrazione che ha esercitato su di mel’Uganda di Angal è stata tale che da più anni questa èdiventata pressoché la mia meta fissa! Complici Mario eClaudia Marsiaj, a cui mi lega un affetto profondo, oltreal comune sforzo di alleviare (impossibile risolvere) le dif-ficoltà dei nostri sfortunati fratelli di pelle scura.

Ad Angal la mia attività fu ed è dedicata quasi esclusi-vamente alla produzione e utilizzazione dell’energia elet-trica ricavata dai raggi solari mediante l’uso di pannellifotovoltaici.

La base di partenza della mia attività risale alla secon-da missione da me compiuta ad Angal, quando fui chia-mato perché il quadro di controllo elettrico si era guasta-to. Già in quel primo intervento notai che l’installazioneaveva bisogno di un radicale rinnovamento. L’interventofu attuato con la successiva missione richiesta dal Dr.Marsiaj, al quale esposi la necessità di un rifacimentototale dell’impianto, che egli accettò manifestandomicompleta fiducia, di cui gli serbo riconoscenza.

Da allora l’impianto elettrico ha subìto numerosiinterventi, che hanno consentito di sostituire l’energiasolare a quella dei generatori diesel per l’illuminazione deireparti, per l’uso notturno della Sala operatoria e dellaSala Parto, per l’impiego di arricchitori d’ossigeno in trereparti; è stato inoltre possibile sostituire i frigoriferi acherosene con altri a compressore elettrico.

Da tre anni sono attivi 3 gruppi fotovoltaici, ma già siavverte la necessità di un quarto gruppo, per far fronte

L’angolodella fiaba

Il maestro Domenico Manano, diplomato alla MakerereUniversity di Kampala, è un Alùr molto anziano e molto malato.

Tuttavia, quando gli ho chiesto di raccogliere alcune favole perché potessi-mo far conoscere la cultura della sua gente, è stato molto felice di collaborare.

Attingendo alla tradizione orale, le ha trascritte in un inglese piuttosto dif-ficile da interpretare: lo ha fatto, con molta pazienza e professionalità, la cara

amica Gabriella Gozzi.Klaùdia

La storia del leone e della ienaIl leone e la iena erano grandi amici. Si volevano un gran bene.

Un giorno decisero di procurarsi del bestiame per il loro futuro; il leone comprò unbel toro castrato, la iena una mucca gravida e li portarono al bufalo perché se ne occu-

passe e li tenesse nel suo recinto insieme agli altri animali dell’allevamento.Quando il leone andò a controllare il suo animale, trovò che la mucca aveva partorito un

vitellino e, guardando il bufalo con occhi minacciosi, affermò che il vitello gli apparteneva.La iena, avvertita dal bufalo di questa pretesa, si recò dall’amico leone per chiarire amichevol-

mente la cosa e fu ricevuta con grande cordialità e invitata a mangiare con lui.Quando però la iena gli chiese come mai pretendeva di essere il proprietario del vitello, il leone

la mise in guardia dal continuare a fargli delle domande stupide: il vitello era veramente suo.La iena allora se ne andò indignata e decise di fargli causa per essersi appropriato del suo vitello con

l’imbroglio, portandolo di fronte alla corte di giustizia, presieduta dal coniglio, che era il re del regnoanimale.

Il giorno dell’udienza i due contendenti arrivarono puntuali con due testimoni, gli stessi per entrambi:erano l’antilope e il bufalo.

La iena spiegò come erano andate le cose, poi il coniglio interrogò i testimoni.Sentì per prima la povera antilope, la quale, terrorizzata dallo sguardo del leone che aveva gli occhi iniet-

tati di sangue, non riuscì a spiccicare parola. Poi interrogò il bufalo, che, altrettanto spaventato, invece di dire la verità affermò di aver ricevuto in con-

segna due mucche; pertanto non poteva sapere di chi fosse quella che aveva partorito il vitello.Nell’aula tutti erano terrorizzati di fronte all’atteggiamento iroso del leone, giurati compresi e compreso il

coniglio, che però, essendo il re, aveva a protezione una guardia del corpo, l’elefante.Quando toccò al leone dare la propria versione, disse che entrambi avevano comprato una mucca, ma la sua

era più grossa di quella della iena, perché era gravida. Il vitello pertanto gli apparteneva.Di fronte ad una questione così difficile da giudicare, poiché nessuno dei due testimoni aveva testimoniato inmodo certo a favore o della querelante o dell’imputato, il coniglio disse alla corte che la sentenza doveva essererimandata al mattino seguente alle 8. Raccomandò la massima puntualità, pena la perdita della causa per chi aves-se tardato anche solo di un minuto.Il mattino successivo l’aula era piena zeppa di animali interessati a udire chi fosse giudicato innocente, ma il coni-glio non si vedeva.Arrivò in aula soltanto a mezzogiorno, tutto grondante di sudore, come se avesse fatto una lunga corsa. Si scusò delritardo: aveva dovuto assistere il padre – disse - che aveva cominciato ad avere le doglie ed aveva appena partorito. “Ma come?– sbottò il leone – Possono i maschi partorire?”. A questo punto il coniglio replicò: “Ti sei dato da solo la sentenza per il tuo caso. Se sai che i maschi non possonopartorire, perché stai reclamando il vitello come tuo? Perciò tu, iena, va’ a prendere il tuo vitello. Hai vinto la causacon assoluta certezza”.

Questo caso richiama un proverbio Alùr che dice: “Può capitare che un uomo grande e grosso strappi il bastone dalla manodi un ragazzo e lo percuota con questo”.La condotta del coniglio, che nel formulare il giudizio non si fa condizionare dall’importanza del leone, ci insegna che tutti colo-ro a cui spetta emettere sentenze su casi giudiziari non devono essere ingiusti, lasciandosi influenzare o, peggio, corrompere.TUTTI SONO UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE.

Page 6: Notiziario n.1

5 6 74

TestimonianzePer chi, perché tornaredi Claudia MarsiajMia madre, Claudia, mi ha scritto stasera [29 novembre2007, n.d.r.]. Stanno tornando da Angal, e immagino chela tentazione a volte sia di dire “per sempre”. Naturalmenteso che non ce la faranno a restare lontani dall’Africa più diqualche mese, anche perché qui - da molti punti di vista - èancora peggio. Da noi le donne vengono fatte a pezzi, gliassassini diventano star e i bambini, anziché essere abban-donati davanti agli ospedali, vengono depositati direttamen-te nei cassonetti. Spazzatura. E’ una lettera cruda, ma mipare che faccia capire alcune cose: le condivido volentieri.

Piero MarsiajCaro Piero,

anche questo periodo di nostra presenza ad Angal stavolgendo al termine. (…) Vorrei rendervi partecipi dialcuni avvenimenti, che riguardano da vicino le persone,la vita del villaggio, la mentalità degli Alùr, il nostro rap-porto con loro.

Sono successe alcune cose che ci hanno profonda-mente turbati e che hanno reso questo periodo uno deipiù pesanti per noi.

A due passi dall’Ospedale, una notte, un gruppo dipersone armate di bastoni ha ammazzato a legnate ungiovane ladro, che da tempo disturbava il villaggio ed eradiventato la vergogna dei propri familiari. Attorno a que-sto fatto si è innalzato un muro di omertà, che non halasciato nessuno spazio per far luce su questo atroce rego-lamento di conti. Nessuno ha visto e invece molti hannovisto, nessuno sa e tutti sanno. Questa è la legge che deveessere amministrata all’interno del clan.

Ogni volta che qualcuno mi porge la mano per le viedi Angal, mi chiedo se quella mano, poche sere fa, abbiabrandito un bastone. Il giorno dopo la vita è ripresacome se nulla fosse accaduto e invece… sono accaduteancora altre cose.

Abbandonato sul pavimento di cemento delle cuci-nette dietro alla Maternità, una mattina è stato trovatoun bambino appena nato, col cordone ombelicale strap-pato. Si sa che la madre è Oroci, una povera demente chevive in giro, non ha casa, non accetta aiuti ed era statavista aggirarsi nei pressi dell’Ospedale.

Solo l’ostetrica Selsa ha preso a cuore questo bambino el’ha sistemato in un angolo della sala parto (qui non esisteuna nursery), dove io e Francesca ci siamo alternate a dargliil biberon e a coccolarlo. E’ vissuto 10 giorni, fra bambiniche nascevano in continuazione: uno, attaccato all’ossige-no, tentava disperatamente di vivere, due di quattro gemel-li morivano, in un reparto che ha estremo bisogno di esse-re ristrutturato e dotato di nuovi letti… un incubo!

Avevamo deciso di battezzarlo il pomeriggio del gior-no 15… l’avremmo chiamato Luca, come il protettore

dell’Ospedale e invece… alle due sono entrata in salaparto con l’ennesimo biberon e la nurse di turno conestrema noncuranza mi ha detto: “Ethò (E’ morto)!! Nonme ne sono accorta perché ero molto occupata”. E cosìnessuno l’ha visto morire, nessuno l’aveva visto nascere,questo bambino senza nome, forse figlio di Oroci, lapazza del villaggio.

Vissuto 10 giorni fra l’indifferenza di tutti, è statoaccompagnato al cimitero da una folla di mamme, dilavoratori dell’Ospedale, di infermiere, alla quale siaggiungeva, a mano a mano che si snodava il corteo, lagente del villaggio. Mi sarei messa a urlare o a ridere. Eramezzogiorno, il sole picchiava forte, gli operai che aveva-no scavato la fossa grondavano sudore, i bambini uscitidalla scuola buttavano fiori di buganvillea… per un bam-bino che prima non aveva suscitato la pietà di nessuno.

Ma mi aspettava ancora la morte di Kevina, consuma-ta dall’aids, e quella di Kolbert, il peggiore kwashorkor[malattia da malnutrizione, n.d.r.] che abbia mai visto,gonfio come un palloncino, con la pelle screpolata e pia-gata, e quella di Nema, 10 anni, distrutta da una settice-mia partita dai tagli (tea-tea) fatti dallo stregone lungo lebraccia e le gambe.

Per fortuna c’è Consolate ( si chiama proprio così!),che dal kwashorkor sta uscendo, sta ricominciando amangiare e a giocare, segno inequivocabile di ripresa.

E c’è Ali, un concentrato di disgrazie, compreso uncaratteraccio che lo rende inviso a tutti, al quale abbiamopotuto procurare una capanna, assicurare il cibo e ancheuna badante; un bel cambiamento di vita da quandoviveva trascurato e mal sopportato dal suo clan.

E c’è Celestino, il vecchio barbone, che viveva sotto latettoia ora dell’Ospedale, ora di qualche capanna, e veni-va a mangiare in Nutrition Unit. Gli abbiamo fattocostruire una piccola capanna in un posto bellissimo,sulla collina dietro all’Ospedale, da dove si ammira lasavana sterminata e si scorge, molto lontano, il Nilo. Dalì il suo spirito indipendente può spaziare. Sono andatafin lassù e ho avuto una bella sorpresa: ha un vicino,povero come lui e altrettanto malandato, che lo aiuta egli fa da mangiare quando sta male.

E’ tra i più poveri che si scopre la più autentica soli-darietà.

E’ per loro che, nonostante tutto, continueremo atornare.

I racconti sono...

...com

ei p

onti

alle nuove utenze: si veda l’introduzione dell’informaticain Ospedale, il prossimo impiego di nuovi computer (siparla di altri 7), l’adozione di nuove macchine di labora-torio, come la recente camera climatica per le colture.

A questo punto si pone l’interrogativo fondamentale:come far fronte alle crescenti necessità con le scarse forzea disposizione? Oltre a me, che sono animato da tantabuona volontà ma devo fare i conti anche con… tantaetà, nel nostro staff tecnico lavorano due validi ed esper-ti collaboratori locali: uno a sua volta anziano, che nonpuò garantire una presenza sicura date le sue precariecondizioni di salute; l’altro giovane e sicuramente affida-bile, preparato in discipline tecniche nell’ottima scuola diGulu, quindi con tutti i requisiti per diventare la colon-na dei servizi tecnici dell’Ospedale, ma che potrebbelegittimamente ambire ad un futuro professionale piùsoddisfacente di quello che gli si offre ad Angal.

Spesso ho assistito impotente al naufragio di altre realtàtecniche simili a quella di Angal proprio per la carenza dirisorse umane. Mi attendo che si discuta su questo punto eche si possano prendere i dovuti provvedimenti, magarilegati alla stessa attività informatica in crescita nell’Ospedalee al suo debutto nella vicina scuola tecnica. Ma una cosa ècerta: in un ambiente di frontiera come quello di Angal, perun giovane che abbia a cuore il suo futuro, la prospettiva diuna crescita professionale è più importante del raggiungi-mento di immediati traguardi economici.

I fili delle donne: Klaùdia racconta

Il nostro primo Natale ad Angal

Un villaggio in mezzo alla savana, nel nord dell’Uganda,a 2 gradi dall’equatore. Una notte stellata come se nevedono soltanto in Africa. E’ la vigilia di Natale, il nostroprimo Natale in Africa.

Aspettavamo l’inizio della Messa di mezzanotte, chedoveva essere celebrata nella cappella delle Suore; nelcuore un po’ di nostalgia per le nostre famiglie in Italia.

Un tocco leggero alla finestra : “ Dottore, si prepariper un cesareo urgente. La donna è stata portata in barcaattraverso il lago Alberto. Non c’è tempo da perdere”. Erala voce di Suor Emma.

Poi la Messa al lume di candela, soli io e Pierino,nostro figlio di appena due anni, in un ambiente ancoraestraneo.

Metto a letto Pierino e aspetto Mario con ansia.“Com’è andata?” ... “Appena in tempo; il bambino è

salvo, ma la mamma è in pericolo: ha una grave emorragia.”Naturalmente non c’è banca del sangue in quel picco-

lo ospedale in mezzo alla savana. Non c’è tempo per cer-care i parenti, comunque sempre restii a donare il sangue,

per antiche superstizioni. Il mio gruppo sanguigno è zeropositivo: compatibile con qualsiasi altro gruppo.

In un batter d’occhio mi trovo su un lettino accantoalla donna appena operata. Un tubicino va dalla mia venaalla sua, le nostre mani si toccano. Chiudo gli occhi, migira un po’ la testa; non sono molto forte. Poi le Suorepremurose mi fanno bere qualcosa...forse del latte benzuccherato.

Quando usciamo dall’ospedale ci accorgiamo che ilcielo si sta tingendo di rosa: è quasi l’alba.

Ci avviamo verso la chiesa della Missione e ci sediamosui gradini. Davanti a noi, a perdita d’occhio, si stende lasavana. Il cielo diventa quasi rosso e poi, di colpo, ecco ilsole! Sembra quasi scagliato verso il cielo. La savanaimprovvisamente si anima di suoni e di colori.

Ci stringiamo la mano. E’ l’inizio di un nuovo giorno:il nostro primo Natale in Africa, l’inizio della nostraavventura umana in questa terra che improvvisamentenon sentiamo più estranea.

Le donne africane sono entrate di prepotenza nellamia vita, a partire da quel primo Natale.

Donne coraggiose, capaci di partorire senza un lamento;donne forti: capaci di accettare senza lacrime la morte delloro bambino. Quante ne ho viste passare davanti alla miacasa con un figlio, morto, legato dietro alle spalle, per ripor-tarlo al villaggio, spesso lontano parecchi chilometri!

Donne pazienti, sempre in cammino:verso la boscagliain cerca di legna; verso il fiume a prendere l’acqua; versoil mercato, con grossi cesti sulla testa, per comperare ovendere i prodotti del loro campo; verso l’ospedale con iloro bambini ammalati.

Donne mai rassegnate: capaci di enormi sacrifici permandare i figli a scuola.

Donne sempre pronte a sorridere, nonostante tutto.

Un’opera da non “chiudere in un sacchetto”di Marco Foletti

Marco Foletti è un giovane studente di Torino, iscritto al 5°anno di Medicina. Ha accompagnato Mario e ClaudiaMarsiaj nella loro recente missione ad Angal. Spesso l’unico compromesso che la nostra vita ci offre persperimentare la realtà dell’Africa è quello di effettuaresolo un breve soggiorno, e così è stato anche per me.Dunque, animato dalle migliori intenzioni, sono partitoper Angal. Ora che sono ritornato in Italia, mi è inevita-bile ripensare alle sensazioni e ai ricordi forti che unarealtà così diversa, a volte drammatica, mi ha lasciato.

Ho fatto molte cose in quel mese: aiutato in sala ope-ratoria, frequentato la pediatria e la Nutrition Unit, visi-tato gli orfani…e sono tornato cambiato.

Però, pensando a ciò che si è fatto, si finisce spesso perdimenticare quelli che non partono, coloro per i qualinon si è trattato solo di una parentesi, ma della vitacomune: il personale dell’Ospedale e gli abitanti di Angal.

A loro, prima di partire, lasciamo i nostri miglioriauguri e un sacchetto pieno di medicine nuove e costose,appena portate dall’Italia, insieme a qualche schematica“istruzione per l’uso”. Pochi giorni prima di tornare inItalia, ho ritrovato un sacchetto di quelli: lasciato inutiliz-zato, proprio come un anonimo medico italiano l’avevalasciato cinque anni prima. I farmaci, nuovi e costosi,erano tutti scaduti.

E questo ritrovamento mi ha portato a riflettere…E’dunque davvero utile fermarsi per così brevi periodi? Silascia davvero qualcosa al momento della partenza?

Se ripenso a quanti sono rimasti ad Angal, credo cheper dare loro davvero qualcosa sia necessaria una presen-za costante, capace di trasmettere una formazione sia pro-fessionale sia organizzativa che rimanga nel tempo.

L’Africa regala a tutti, senza distinzioni, emozioni forti;chi parte credendo di dare, spesso torna scoprendosi debito-re. Ad Angal ho imparato che per sdebitarci l’Africa ci chie-de di metterci in gioco fino in fondo, per lungo tempo. Solocosì la nostra opera non rimarrà chiusa in un sacchetto nelbuio di un armadio, ma diventerà strumento nelle manidegli Africani, per poter essere così usata giorno per giorno.

La mia esperienza di “solar man”di Giorgio Rodolfi

Giorgio Rodolfi, una delle colonne dell’Associazione, è daanni il responsabile dell’impianto a pannelli solari, che for-nisce l’energia per l’illuminazione dell’Ospedale e per altriservizi di fondamentale importanza.

Mi presento: sono un “solar man”, come a Klaùdia piacechiamarmi, cioè l’uomo (uno dei tanti) che dal sole rica-va l’energia.

Da 15 anni ormai mi occupo di volontariato nel settoretecnico, sia in proprio, sia per conto di Ong e Onlus. Questaattività mi ha condotto in una moltitudine di Stati africani,dal Camerun all’Uganda, dalla Repubblica dell’AfricaCentrale al Ciad, alla Tanzania, all’Etiopia, al Mozambico.

Tuttavia l’attrazione che ha esercitato su di mel’Uganda di Angal è stata tale che da più anni questa èdiventata pressoché la mia meta fissa! Complici Mario eClaudia Marsiaj, a cui mi lega un affetto profondo, oltreal comune sforzo di alleviare (impossibile risolvere) le dif-ficoltà dei nostri sfortunati fratelli di pelle scura.

Ad Angal la mia attività fu ed è dedicata quasi esclusi-vamente alla produzione e utilizzazione dell’energia elet-trica ricavata dai raggi solari mediante l’uso di pannellifotovoltaici.

La base di partenza della mia attività risale alla secon-da missione da me compiuta ad Angal, quando fui chia-mato perché il quadro di controllo elettrico si era guasta-to. Già in quel primo intervento notai che l’installazioneaveva bisogno di un radicale rinnovamento. L’interventofu attuato con la successiva missione richiesta dal Dr.Marsiaj, al quale esposi la necessità di un rifacimentototale dell’impianto, che egli accettò manifestandomicompleta fiducia, di cui gli serbo riconoscenza.

Da allora l’impianto elettrico ha subìto numerosiinterventi, che hanno consentito di sostituire l’energiasolare a quella dei generatori diesel per l’illuminazione deireparti, per l’uso notturno della Sala operatoria e dellaSala Parto, per l’impiego di arricchitori d’ossigeno in trereparti; è stato inoltre possibile sostituire i frigoriferi acherosene con altri a compressore elettrico.

Da tre anni sono attivi 3 gruppi fotovoltaici, ma già siavverte la necessità di un quarto gruppo, per far fronte

L’angolodella fiaba

Il maestro Domenico Manano, diplomato alla MakerereUniversity di Kampala, è un Alùr molto anziano e molto malato.

Tuttavia, quando gli ho chiesto di raccogliere alcune favole perché potessi-mo far conoscere la cultura della sua gente, è stato molto felice di collaborare.

Attingendo alla tradizione orale, le ha trascritte in un inglese piuttosto dif-ficile da interpretare: lo ha fatto, con molta pazienza e professionalità, la cara

amica Gabriella Gozzi.Klaùdia

La storia del leone e della ienaIl leone e la iena erano grandi amici. Si volevano un gran bene.

Un giorno decisero di procurarsi del bestiame per il loro futuro; il leone comprò unbel toro castrato, la iena una mucca gravida e li portarono al bufalo perché se ne occu-

passe e li tenesse nel suo recinto insieme agli altri animali dell’allevamento.Quando il leone andò a controllare il suo animale, trovò che la mucca aveva partorito un

vitellino e, guardando il bufalo con occhi minacciosi, affermò che il vitello gli apparteneva.La iena, avvertita dal bufalo di questa pretesa, si recò dall’amico leone per chiarire amichevol-

mente la cosa e fu ricevuta con grande cordialità e invitata a mangiare con lui.Quando però la iena gli chiese come mai pretendeva di essere il proprietario del vitello, il leone

la mise in guardia dal continuare a fargli delle domande stupide: il vitello era veramente suo.La iena allora se ne andò indignata e decise di fargli causa per essersi appropriato del suo vitello con

l’imbroglio, portandolo di fronte alla corte di giustizia, presieduta dal coniglio, che era il re del regnoanimale.

Il giorno dell’udienza i due contendenti arrivarono puntuali con due testimoni, gli stessi per entrambi:erano l’antilope e il bufalo.

La iena spiegò come erano andate le cose, poi il coniglio interrogò i testimoni.Sentì per prima la povera antilope, la quale, terrorizzata dallo sguardo del leone che aveva gli occhi iniet-

tati di sangue, non riuscì a spiccicare parola. Poi interrogò il bufalo, che, altrettanto spaventato, invece di dire la verità affermò di aver ricevuto in con-

segna due mucche; pertanto non poteva sapere di chi fosse quella che aveva partorito il vitello.Nell’aula tutti erano terrorizzati di fronte all’atteggiamento iroso del leone, giurati compresi e compreso il

coniglio, che però, essendo il re, aveva a protezione una guardia del corpo, l’elefante.Quando toccò al leone dare la propria versione, disse che entrambi avevano comprato una mucca, ma la sua

era più grossa di quella della iena, perché era gravida. Il vitello pertanto gli apparteneva.Di fronte ad una questione così difficile da giudicare, poiché nessuno dei due testimoni aveva testimoniato inmodo certo a favore o della querelante o dell’imputato, il coniglio disse alla corte che la sentenza doveva essererimandata al mattino seguente alle 8. Raccomandò la massima puntualità, pena la perdita della causa per chi aves-se tardato anche solo di un minuto.Il mattino successivo l’aula era piena zeppa di animali interessati a udire chi fosse giudicato innocente, ma il coni-glio non si vedeva.Arrivò in aula soltanto a mezzogiorno, tutto grondante di sudore, come se avesse fatto una lunga corsa. Si scusò delritardo: aveva dovuto assistere il padre – disse - che aveva cominciato ad avere le doglie ed aveva appena partorito. “Ma come?– sbottò il leone – Possono i maschi partorire?”. A questo punto il coniglio replicò: “Ti sei dato da solo la sentenza per il tuo caso. Se sai che i maschi non possonopartorire, perché stai reclamando il vitello come tuo? Perciò tu, iena, va’ a prendere il tuo vitello. Hai vinto la causacon assoluta certezza”.

Questo caso richiama un proverbio Alùr che dice: “Può capitare che un uomo grande e grosso strappi il bastone dalla manodi un ragazzo e lo percuota con questo”.La condotta del coniglio, che nel formulare il giudizio non si fa condizionare dall’importanza del leone, ci insegna che tutti colo-ro a cui spetta emettere sentenze su casi giudiziari non devono essere ingiusti, lasciandosi influenzare o, peggio, corrompere.TUTTI SONO UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE.

Page 7: Notiziario n.1

5 6 74

TestimonianzePer chi, perché tornaredi Claudia MarsiajMia madre, Claudia, mi ha scritto stasera [29 novembre2007, n.d.r.]. Stanno tornando da Angal, e immagino chela tentazione a volte sia di dire “per sempre”. Naturalmenteso che non ce la faranno a restare lontani dall’Africa più diqualche mese, anche perché qui - da molti punti di vista - èancora peggio. Da noi le donne vengono fatte a pezzi, gliassassini diventano star e i bambini, anziché essere abban-donati davanti agli ospedali, vengono depositati direttamen-te nei cassonetti. Spazzatura. E’ una lettera cruda, ma mipare che faccia capire alcune cose: le condivido volentieri.

Piero MarsiajCaro Piero,

anche questo periodo di nostra presenza ad Angal stavolgendo al termine. (…) Vorrei rendervi partecipi dialcuni avvenimenti, che riguardano da vicino le persone,la vita del villaggio, la mentalità degli Alùr, il nostro rap-porto con loro.

Sono successe alcune cose che ci hanno profonda-mente turbati e che hanno reso questo periodo uno deipiù pesanti per noi.

A due passi dall’Ospedale, una notte, un gruppo dipersone armate di bastoni ha ammazzato a legnate ungiovane ladro, che da tempo disturbava il villaggio ed eradiventato la vergogna dei propri familiari. Attorno a que-sto fatto si è innalzato un muro di omertà, che non halasciato nessuno spazio per far luce su questo atroce rego-lamento di conti. Nessuno ha visto e invece molti hannovisto, nessuno sa e tutti sanno. Questa è la legge che deveessere amministrata all’interno del clan.

Ogni volta che qualcuno mi porge la mano per le viedi Angal, mi chiedo se quella mano, poche sere fa, abbiabrandito un bastone. Il giorno dopo la vita è ripresacome se nulla fosse accaduto e invece… sono accaduteancora altre cose.

Abbandonato sul pavimento di cemento delle cuci-nette dietro alla Maternità, una mattina è stato trovatoun bambino appena nato, col cordone ombelicale strap-pato. Si sa che la madre è Oroci, una povera demente chevive in giro, non ha casa, non accetta aiuti ed era statavista aggirarsi nei pressi dell’Ospedale.

Solo l’ostetrica Selsa ha preso a cuore questo bambino el’ha sistemato in un angolo della sala parto (qui non esisteuna nursery), dove io e Francesca ci siamo alternate a dargliil biberon e a coccolarlo. E’ vissuto 10 giorni, fra bambiniche nascevano in continuazione: uno, attaccato all’ossige-no, tentava disperatamente di vivere, due di quattro gemel-li morivano, in un reparto che ha estremo bisogno di esse-re ristrutturato e dotato di nuovi letti… un incubo!

Avevamo deciso di battezzarlo il pomeriggio del gior-no 15… l’avremmo chiamato Luca, come il protettore

dell’Ospedale e invece… alle due sono entrata in salaparto con l’ennesimo biberon e la nurse di turno conestrema noncuranza mi ha detto: “Ethò (E’ morto)!! Nonme ne sono accorta perché ero molto occupata”. E cosìnessuno l’ha visto morire, nessuno l’aveva visto nascere,questo bambino senza nome, forse figlio di Oroci, lapazza del villaggio.

Vissuto 10 giorni fra l’indifferenza di tutti, è statoaccompagnato al cimitero da una folla di mamme, dilavoratori dell’Ospedale, di infermiere, alla quale siaggiungeva, a mano a mano che si snodava il corteo, lagente del villaggio. Mi sarei messa a urlare o a ridere. Eramezzogiorno, il sole picchiava forte, gli operai che aveva-no scavato la fossa grondavano sudore, i bambini uscitidalla scuola buttavano fiori di buganvillea… per un bam-bino che prima non aveva suscitato la pietà di nessuno.

Ma mi aspettava ancora la morte di Kevina, consuma-ta dall’aids, e quella di Kolbert, il peggiore kwashorkor[malattia da malnutrizione, n.d.r.] che abbia mai visto,gonfio come un palloncino, con la pelle screpolata e pia-gata, e quella di Nema, 10 anni, distrutta da una settice-mia partita dai tagli (tea-tea) fatti dallo stregone lungo lebraccia e le gambe.

Per fortuna c’è Consolate ( si chiama proprio così!),che dal kwashorkor sta uscendo, sta ricominciando amangiare e a giocare, segno inequivocabile di ripresa.

E c’è Ali, un concentrato di disgrazie, compreso uncaratteraccio che lo rende inviso a tutti, al quale abbiamopotuto procurare una capanna, assicurare il cibo e ancheuna badante; un bel cambiamento di vita da quandoviveva trascurato e mal sopportato dal suo clan.

E c’è Celestino, il vecchio barbone, che viveva sotto latettoia ora dell’Ospedale, ora di qualche capanna, e veni-va a mangiare in Nutrition Unit. Gli abbiamo fattocostruire una piccola capanna in un posto bellissimo,sulla collina dietro all’Ospedale, da dove si ammira lasavana sterminata e si scorge, molto lontano, il Nilo. Dalì il suo spirito indipendente può spaziare. Sono andatafin lassù e ho avuto una bella sorpresa: ha un vicino,povero come lui e altrettanto malandato, che lo aiuta egli fa da mangiare quando sta male.

E’ tra i più poveri che si scopre la più autentica soli-darietà.

E’ per loro che, nonostante tutto, continueremo atornare.

I racconti sono...

...com

ei p

onti

alle nuove utenze: si veda l’introduzione dell’informaticain Ospedale, il prossimo impiego di nuovi computer (siparla di altri 7), l’adozione di nuove macchine di labora-torio, come la recente camera climatica per le colture.

A questo punto si pone l’interrogativo fondamentale:come far fronte alle crescenti necessità con le scarse forzea disposizione? Oltre a me, che sono animato da tantabuona volontà ma devo fare i conti anche con… tantaetà, nel nostro staff tecnico lavorano due validi ed esper-ti collaboratori locali: uno a sua volta anziano, che nonpuò garantire una presenza sicura date le sue precariecondizioni di salute; l’altro giovane e sicuramente affida-bile, preparato in discipline tecniche nell’ottima scuola diGulu, quindi con tutti i requisiti per diventare la colon-na dei servizi tecnici dell’Ospedale, ma che potrebbelegittimamente ambire ad un futuro professionale piùsoddisfacente di quello che gli si offre ad Angal.

Spesso ho assistito impotente al naufragio di altre realtàtecniche simili a quella di Angal proprio per la carenza dirisorse umane. Mi attendo che si discuta su questo punto eche si possano prendere i dovuti provvedimenti, magarilegati alla stessa attività informatica in crescita nell’Ospedalee al suo debutto nella vicina scuola tecnica. Ma una cosa ècerta: in un ambiente di frontiera come quello di Angal, perun giovane che abbia a cuore il suo futuro, la prospettiva diuna crescita professionale è più importante del raggiungi-mento di immediati traguardi economici.

I fili delle donne: Klaùdia racconta

Il nostro primo Natale ad Angal

Un villaggio in mezzo alla savana, nel nord dell’Uganda,a 2 gradi dall’equatore. Una notte stellata come se nevedono soltanto in Africa. E’ la vigilia di Natale, il nostroprimo Natale in Africa.

Aspettavamo l’inizio della Messa di mezzanotte, chedoveva essere celebrata nella cappella delle Suore; nelcuore un po’ di nostalgia per le nostre famiglie in Italia.

Un tocco leggero alla finestra : “ Dottore, si prepariper un cesareo urgente. La donna è stata portata in barcaattraverso il lago Alberto. Non c’è tempo da perdere”. Erala voce di Suor Emma.

Poi la Messa al lume di candela, soli io e Pierino,nostro figlio di appena due anni, in un ambiente ancoraestraneo.

Metto a letto Pierino e aspetto Mario con ansia.“Com’è andata?” ... “Appena in tempo; il bambino è

salvo, ma la mamma è in pericolo: ha una grave emorragia.”Naturalmente non c’è banca del sangue in quel picco-

lo ospedale in mezzo alla savana. Non c’è tempo per cer-care i parenti, comunque sempre restii a donare il sangue,

per antiche superstizioni. Il mio gruppo sanguigno è zeropositivo: compatibile con qualsiasi altro gruppo.

In un batter d’occhio mi trovo su un lettino accantoalla donna appena operata. Un tubicino va dalla mia venaalla sua, le nostre mani si toccano. Chiudo gli occhi, migira un po’ la testa; non sono molto forte. Poi le Suorepremurose mi fanno bere qualcosa...forse del latte benzuccherato.

Quando usciamo dall’ospedale ci accorgiamo che ilcielo si sta tingendo di rosa: è quasi l’alba.

Ci avviamo verso la chiesa della Missione e ci sediamosui gradini. Davanti a noi, a perdita d’occhio, si stende lasavana. Il cielo diventa quasi rosso e poi, di colpo, ecco ilsole! Sembra quasi scagliato verso il cielo. La savanaimprovvisamente si anima di suoni e di colori.

Ci stringiamo la mano. E’ l’inizio di un nuovo giorno:il nostro primo Natale in Africa, l’inizio della nostraavventura umana in questa terra che improvvisamentenon sentiamo più estranea.

Le donne africane sono entrate di prepotenza nellamia vita, a partire da quel primo Natale.

Donne coraggiose, capaci di partorire senza un lamento;donne forti: capaci di accettare senza lacrime la morte delloro bambino. Quante ne ho viste passare davanti alla miacasa con un figlio, morto, legato dietro alle spalle, per ripor-tarlo al villaggio, spesso lontano parecchi chilometri!

Donne pazienti, sempre in cammino:verso la boscagliain cerca di legna; verso il fiume a prendere l’acqua; versoil mercato, con grossi cesti sulla testa, per comperare ovendere i prodotti del loro campo; verso l’ospedale con iloro bambini ammalati.

Donne mai rassegnate: capaci di enormi sacrifici permandare i figli a scuola.

Donne sempre pronte a sorridere, nonostante tutto.

Un’opera da non “chiudere in un sacchetto”di Marco Foletti

Marco Foletti è un giovane studente di Torino, iscritto al 5°anno di Medicina. Ha accompagnato Mario e ClaudiaMarsiaj nella loro recente missione ad Angal. Spesso l’unico compromesso che la nostra vita ci offre persperimentare la realtà dell’Africa è quello di effettuaresolo un breve soggiorno, e così è stato anche per me.Dunque, animato dalle migliori intenzioni, sono partitoper Angal. Ora che sono ritornato in Italia, mi è inevita-bile ripensare alle sensazioni e ai ricordi forti che unarealtà così diversa, a volte drammatica, mi ha lasciato.

Ho fatto molte cose in quel mese: aiutato in sala ope-ratoria, frequentato la pediatria e la Nutrition Unit, visi-tato gli orfani…e sono tornato cambiato.

Però, pensando a ciò che si è fatto, si finisce spesso perdimenticare quelli che non partono, coloro per i qualinon si è trattato solo di una parentesi, ma della vitacomune: il personale dell’Ospedale e gli abitanti di Angal.

A loro, prima di partire, lasciamo i nostri miglioriauguri e un sacchetto pieno di medicine nuove e costose,appena portate dall’Italia, insieme a qualche schematica“istruzione per l’uso”. Pochi giorni prima di tornare inItalia, ho ritrovato un sacchetto di quelli: lasciato inutiliz-zato, proprio come un anonimo medico italiano l’avevalasciato cinque anni prima. I farmaci, nuovi e costosi,erano tutti scaduti.

E questo ritrovamento mi ha portato a riflettere…E’dunque davvero utile fermarsi per così brevi periodi? Silascia davvero qualcosa al momento della partenza?

Se ripenso a quanti sono rimasti ad Angal, credo cheper dare loro davvero qualcosa sia necessaria una presen-za costante, capace di trasmettere una formazione sia pro-fessionale sia organizzativa che rimanga nel tempo.

L’Africa regala a tutti, senza distinzioni, emozioni forti;chi parte credendo di dare, spesso torna scoprendosi debito-re. Ad Angal ho imparato che per sdebitarci l’Africa ci chie-de di metterci in gioco fino in fondo, per lungo tempo. Solocosì la nostra opera non rimarrà chiusa in un sacchetto nelbuio di un armadio, ma diventerà strumento nelle manidegli Africani, per poter essere così usata giorno per giorno.

La mia esperienza di “solar man”di Giorgio Rodolfi

Giorgio Rodolfi, una delle colonne dell’Associazione, è daanni il responsabile dell’impianto a pannelli solari, che for-nisce l’energia per l’illuminazione dell’Ospedale e per altriservizi di fondamentale importanza.

Mi presento: sono un “solar man”, come a Klaùdia piacechiamarmi, cioè l’uomo (uno dei tanti) che dal sole rica-va l’energia.

Da 15 anni ormai mi occupo di volontariato nel settoretecnico, sia in proprio, sia per conto di Ong e Onlus. Questaattività mi ha condotto in una moltitudine di Stati africani,dal Camerun all’Uganda, dalla Repubblica dell’AfricaCentrale al Ciad, alla Tanzania, all’Etiopia, al Mozambico.

Tuttavia l’attrazione che ha esercitato su di mel’Uganda di Angal è stata tale che da più anni questa èdiventata pressoché la mia meta fissa! Complici Mario eClaudia Marsiaj, a cui mi lega un affetto profondo, oltreal comune sforzo di alleviare (impossibile risolvere) le dif-ficoltà dei nostri sfortunati fratelli di pelle scura.

Ad Angal la mia attività fu ed è dedicata quasi esclusi-vamente alla produzione e utilizzazione dell’energia elet-trica ricavata dai raggi solari mediante l’uso di pannellifotovoltaici.

La base di partenza della mia attività risale alla secon-da missione da me compiuta ad Angal, quando fui chia-mato perché il quadro di controllo elettrico si era guasta-to. Già in quel primo intervento notai che l’installazioneaveva bisogno di un radicale rinnovamento. L’interventofu attuato con la successiva missione richiesta dal Dr.Marsiaj, al quale esposi la necessità di un rifacimentototale dell’impianto, che egli accettò manifestandomicompleta fiducia, di cui gli serbo riconoscenza.

Da allora l’impianto elettrico ha subìto numerosiinterventi, che hanno consentito di sostituire l’energiasolare a quella dei generatori diesel per l’illuminazione deireparti, per l’uso notturno della Sala operatoria e dellaSala Parto, per l’impiego di arricchitori d’ossigeno in trereparti; è stato inoltre possibile sostituire i frigoriferi acherosene con altri a compressore elettrico.

Da tre anni sono attivi 3 gruppi fotovoltaici, ma già siavverte la necessità di un quarto gruppo, per far fronte

L’angolodella fiaba

Il maestro Domenico Manano, diplomato alla MakerereUniversity di Kampala, è un Alùr molto anziano e molto malato.

Tuttavia, quando gli ho chiesto di raccogliere alcune favole perché potessi-mo far conoscere la cultura della sua gente, è stato molto felice di collaborare.

Attingendo alla tradizione orale, le ha trascritte in un inglese piuttosto dif-ficile da interpretare: lo ha fatto, con molta pazienza e professionalità, la cara

amica Gabriella Gozzi.Klaùdia

La storia del leone e della ienaIl leone e la iena erano grandi amici. Si volevano un gran bene.

Un giorno decisero di procurarsi del bestiame per il loro futuro; il leone comprò unbel toro castrato, la iena una mucca gravida e li portarono al bufalo perché se ne occu-

passe e li tenesse nel suo recinto insieme agli altri animali dell’allevamento.Quando il leone andò a controllare il suo animale, trovò che la mucca aveva partorito un

vitellino e, guardando il bufalo con occhi minacciosi, affermò che il vitello gli apparteneva.La iena, avvertita dal bufalo di questa pretesa, si recò dall’amico leone per chiarire amichevol-

mente la cosa e fu ricevuta con grande cordialità e invitata a mangiare con lui.Quando però la iena gli chiese come mai pretendeva di essere il proprietario del vitello, il leone

la mise in guardia dal continuare a fargli delle domande stupide: il vitello era veramente suo.La iena allora se ne andò indignata e decise di fargli causa per essersi appropriato del suo vitello con

l’imbroglio, portandolo di fronte alla corte di giustizia, presieduta dal coniglio, che era il re del regnoanimale.

Il giorno dell’udienza i due contendenti arrivarono puntuali con due testimoni, gli stessi per entrambi:erano l’antilope e il bufalo.

La iena spiegò come erano andate le cose, poi il coniglio interrogò i testimoni.Sentì per prima la povera antilope, la quale, terrorizzata dallo sguardo del leone che aveva gli occhi iniet-

tati di sangue, non riuscì a spiccicare parola. Poi interrogò il bufalo, che, altrettanto spaventato, invece di dire la verità affermò di aver ricevuto in con-

segna due mucche; pertanto non poteva sapere di chi fosse quella che aveva partorito il vitello.Nell’aula tutti erano terrorizzati di fronte all’atteggiamento iroso del leone, giurati compresi e compreso il

coniglio, che però, essendo il re, aveva a protezione una guardia del corpo, l’elefante.Quando toccò al leone dare la propria versione, disse che entrambi avevano comprato una mucca, ma la sua

era più grossa di quella della iena, perché era gravida. Il vitello pertanto gli apparteneva.Di fronte ad una questione così difficile da giudicare, poiché nessuno dei due testimoni aveva testimoniato inmodo certo a favore o della querelante o dell’imputato, il coniglio disse alla corte che la sentenza doveva essererimandata al mattino seguente alle 8. Raccomandò la massima puntualità, pena la perdita della causa per chi aves-se tardato anche solo di un minuto.Il mattino successivo l’aula era piena zeppa di animali interessati a udire chi fosse giudicato innocente, ma il coni-glio non si vedeva.Arrivò in aula soltanto a mezzogiorno, tutto grondante di sudore, come se avesse fatto una lunga corsa. Si scusò delritardo: aveva dovuto assistere il padre – disse - che aveva cominciato ad avere le doglie ed aveva appena partorito. “Ma come?– sbottò il leone – Possono i maschi partorire?”. A questo punto il coniglio replicò: “Ti sei dato da solo la sentenza per il tuo caso. Se sai che i maschi non possonopartorire, perché stai reclamando il vitello come tuo? Perciò tu, iena, va’ a prendere il tuo vitello. Hai vinto la causacon assoluta certezza”.

Questo caso richiama un proverbio Alùr che dice: “Può capitare che un uomo grande e grosso strappi il bastone dalla manodi un ragazzo e lo percuota con questo”.La condotta del coniglio, che nel formulare il giudizio non si fa condizionare dall’importanza del leone, ci insegna che tutti colo-ro a cui spetta emettere sentenze su casi giudiziari non devono essere ingiusti, lasciandosi influenzare o, peggio, corrompere.TUTTI SONO UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE.

Page 8: Notiziario n.1

mamme in lezioni di educazione nutrizionale, seguen-dole nella preparazione del cibo e istruendole sull’utilizzodelle risorse alla loro portata.

Dal Centro viene inoltre distribuito il cibo anche aipazienti degli altri reparti segnalati dal medico comeparticolarmente bisognosi (in totale da 60 a 70 pasti algiorno).

Aiutaci a sostenere il Progetto “Operazione Proteine”,che comporta una spesa annua di 9.500 euro.

Ricovero gratuito per i bambini

Permette di ricoveraretutti i bambini malati,anche per lunghi perio-di, chiedendo solo ilcontributo simbolico di1 euro.Avviato nel 1998, quan-do ci si è resi conto chemolti bambini venivanoportati all’Ospedale incondizioni gravissime,perché i genitori nonavevano i soldi per ilricovero, ha permesso disalvare moltissime vite.

Aiutaci a sostenere il Progetto “Ricovero gratuito per ibambini”, che è il più oneroso e necessita costantemente difondi (più di 30.000 euro all’anno).

Samaritan FundQuesto “fondo” permette di ricoverare le persone chenon possono pagare la sia pur modesta retta chiestadall’Ospedale e di fornire gratuitamente i farmaci perle malattie croniche (es. diabete, cardiopatie, ecc.), icosiddetti “farmaci salvavita”.

Aiutaci a sostenere il Progetto “Samaritan Fund”, checomporta una spesa annua di 10.100 euro.

Assistenza agli ammalati di AIDS

Questo Progetto si è reso possibile a seguito dell’offerta, daparte del Governo ugandese, dei farmaci per la curadell’AIDS. Si tratta indubbiamente di un contributoimportante ma non risolutivo: occorrono personale adde-strato (medici, infermieri, un laboratorista) e un laboratorioattrezzato (apparecchiature per la conta dei linfociti ecc.).

Aiutaci a sostenere il Progetto “Assistenza agli amma-lati di AIDS”, che comporta una spesa mensile per ilpersonale di 1.600 euro.

Open HospitalSi tratta di un Progetto informatico che non è strettamen-te gestito dalla nostra Associazione, ma che merita unamenzione speciale per le sue ripercussioni di enorme por-tata sul funzionamento dell’Ospedale di Angal.Il Progetto “Open Hospital”, gestito interamentedall’Associazione Informatici Senza Frontiere (www.informaticisenzafrontiere.org) e diretto dal suo presidenteGirolamo Botter, è frutto del lavoro congiunto di varie per-sone, tra cui insegnanti e studenti dell’Istituto Volterra diSan Donà di Piave (www.istitutovolterra.it).Il Progetto è finalizzato a creare un sistema di data-entry perregistrare gli ingressi dei pazienti al St.Luke’s Hospital diAngal, conservarne le schede sanitarie, registrare gli esamidi laboratorio, gestire il magazzino di medicinali… insom-ma, un vero e proprio sistema informativo per l’Ospedale.Open Hospital è in fase di sperimentazione al St. Luke, doveè installato in vari PC client e in un server con database cen-trale. Viene correntemente utilizzato dal personale infer-mieristico. Uno dei prossimi obiettivi in questo ambito sarà tentare difornire all’Ospedale una connettività ad Internet sufficien-temente stabile e a costi contenuti, in modo da garantire uncostante monitoraggio delle attività del software e dell’uten-za, il ripristino da remoto in caso di problemi del software,gli aggiornamenti necessari sia al software che ai sistemioperativi, un help-desk il più possibile efficiente per il per-sonale dell’Ospedale che si trovasse di fronte a probleminell’utilizzo.

Per ulteriori notizie sul progetto: [email protected].

Il St. Luke’s HospitalL’Ospedale ha un raggio d’azione di circa 50 km, con unbacino d’utenza di circa 300.000 persone. Attualmentedispone di 280 posti letto, con un tasso medio di occupa-zione superiore al 100% (molti pazienti giacciono in terrasu delle stuoie). E’ dotato di un Laboratorio di analisi chi-miche e microbiologiche, di una Sala di Radiologia e diuna Sala operatoria.

Per il buon funzionamento dell’Ospedale occorre:

• risolvere il problema della carenza di personale medicoL’Ospedale impiega 151 persone, fra cui 3 soli medici,che devono fronteggiare più di 10.000 ricoveri all’anno.

• supplire al calo del contributo statale, mantenendobasse le rette ospedaliere

I fondi a disposizione dell’Ospedale provenivano per il52% dal Governo ugandese, per il 14% dalle rette ospe-daliere (che l’Amministrazione cerca di contenere almassimo) e per il 34% dalle donazioni.Attualmente, però, il contributo statale è stato ridot-to al 45% e si ipotizza che possa essere addiritturasospeso. Il contributo dell’Associazione “Amici diAngal”, già fondamentale, potrebbe perciò diventa-re determinante e condizionare l’esistenza stessadell’Ospedale!

• provvedere ad un continuo, razionale aggiornamen-to tecnologico della struttura, attraverso strumentari ecorsi d’istruzione per il loro utilizzo

Grazie ai fondi raccolti dall’Associazione, negli ultimianni si sono potute eseguire alcune importanti miglio-rie nell’Ospedale, quali: - impianto fognario - costruzione di un padiglione di isolamento - ampliamento del reparto di Pediatria- elettrificazione a pannelli solari- ristrutturazione del “Centro Nutrizionale” (NutritionUnit), creato da Claudia Marsiaj nel 1968 all’internodell’Ospedale- avvio dell’informatizzazione dei servizi ospedalieri.

I ProgettiAssistenza degli orfani da AIDS

Offre un aiuto diretto alle famiglie locali che accolgo-no e si prendono cura di questi orfani.

L’AIDS è un problema preminente negli Stati africa-ni, per la sua diffusione difficilmente controllabile, perl’impossibilità dei Paesi di affrontarne economicamentele cure, con il risultato di un gran numero di bambiniorfani abbandonati a sé stessi.

La scelta di un aiuto economico diretto ai nucleifamiliari locali si è dimostrato il mezzo migliore per tute-lare l’infanzia, evitando di intaccare la solida strutturasulla quale si fonda la comunità africana e soprattuttosalvaguardando la cultura dell’accoglienza degli orfani,colonna portante della società tribale.

Le varie situazioni vengono seguite in particolare dadue collaboratori locali, estremamente fidati e motivati,che due volte al mese incontrano la famiglia affidataria,consegnano la somma di denaro e raccolgono notizieparticolari.

Con cadenza semestrale il Dr. Marsiaj e sua mogliecontrollano lo stato di salute, nutrizione, benessere degliorfani assistiti (235 al 31 dicembre 2006).

Puoi aiutarci a sostenere un altro bambino orfanocon una donazione di 200 euro all’anno (poco più di50 cent. al giorno), provvedendo in questo modo allesue elementari necessità (sostentamento, vestiti, curemediche, istruzione).

Operazione Proteine

Fa capo al Centro Nutrizionale (Nutrition Unit) internoall’Ospedale, che fornisce, da quando è stato istituito, trepasti al giorno ad alto contenuto proteico ai bambinicon forme gravi di malnutrizione. L’attività del Centro,avviata e coordinata da Claudia Marsiaj, coinvolge le

NewsNews dagli Amici di Angala cura della sezione torinese dell’Associazione “Amici di Angal”

GENNAIO 2008

2 1 8 3

In questo numero:Il St. Luke’s Hospital 2

I Progetti 2

Testimonianze 4Per chi, perché tornare (di Claudia Marsiaj)Un’opera da non “chiudere in un sacchetto” (di Marco Foletti)La mia esperienza di “solar man” (di Giorgio Rodolfi)

I fili delle donne: Klaùdia racconta 6Il nostro primo Natale ad Angal

L’angolo della fiaba 7La storia del leone e della iena

Gli obiettivi dell’Associazione “Amici di Angal”

• Sopperire alle necessità dell’Ospedale di Angal.• Sostenere i Progetti di assistenza e cura rivolti ai

bambini e ai malati più poveri.• Creare una rete di medici generici o specialisti e di

professionisti, disposti a prestare gratuitamente laloro opera ad Angal per periodi brevi (ad esempio ilperiodo delle ferie).

• Organizzare ad Angal stages di studio per medici ita-liani sulle realtà sanitarie in Africa.

• Favorire l’invio di medici o di tecnici ugandesi inItalia, per approfondire particolari tecniche che pos-sano essere applicate ad Angal a vantaggio dellaqualità dell’assistenza agli ammalati degentinell’Ospedale.

Che cosa puoi fare tu

• Diventare Socio dell’Associazione con il versamentodella quota annuale di 50 euro.

• Svolgere un’opera di sensibilizzazione.

• Partecipare agli eventi di raccolta fondi.

• Impegnarti in una donazione regolare a sostegno deisingoli Progetti.

A TORINOIl nostro primo obiettivo è ampliare il numero degli ade-renti al Gruppo di appoggio, che si è costituito recente-mente: solo aumentando le nostre forze potremo molti-plicare e diversificare gli eventi utili a far conoscerel’Associazione e a sostenerne in vario modo gli scopi.

TI ASPETTIAMO!Tilde e Giuseppina

Come contribuire

I contributi possono essere inviati con bonifico ban-cario a:ASSOCIAZIONE AMICI DI ANGAL - ONLUSUnicredit Banca Agenzia di Arbizzano - Negrar (Vr)c/c n. 000005412019 ABI: 02008 CAB: 59601 CIN: LIBAN: IT 31 L 02008 59601 000005412019

(Ai sensi dell’art.14 del D.L. n.35 del 14 marzo 2005, convertitoin Legge con L. n.80 del 14 maggio 2005, le offerte fatte alleONLUS con assegno o bonifico bancario sono deducibili dalreddito complessivo dichiarato fino alla misura del 10%).

È possibile anche effettuare donazioni on-line inmodo rapido, gratuito e sicuro attraverso il sistemadi pagamento paypal (www.paipal.com).

L’Associazione è iscritta nelle liste dell’Agenzia delleEntrate fra i possibili beneficiari del 5x1000 del gettitofiscale sui redditi. Al momento della dichiarazione deiredditi, per devolvere il 5x1000 basta apporre la pro-pria firma e il codice fiscale dell’Assocciazione -93143850233 - nell’apposito spazio del Modello IRPEF.Un sentito GRAZIE a tutti coloro che nel 2007 hannoscelto di beneficiare la nostra associazione. I contribu-ti raccolti attraverso questa forma di finanziamentosaranno interamente impiegati a favore dell’Ospedale edei Progetti sostenuti dagli “Amici di Angal”.

Ulteriori informazioni si possono richiedere a:Amici di Angal ONLUSVia Vivaldi 3 - 37020 Arbizzano- Negrar (Vr) tel. (+39) 045 7513296sito web: www.amicidiangal.orge-mail: [email protected]

Il Notiziario è a cura della sezione torinesedell’Associazione, coordinata da

Tilde Barone [email protected]. (+39) 333 7122535

e Giuseppina Ricciarditel. (+39) 338 7728989

Realizzazione grafica: Elisabetta Origlia - Studio regi eMajuscole, Torino

Fotografie:

Disegno: Erica Titotto

Stampa: Tipografia Gravinese, Torino

Un po’ di storia…Il St. Luke’s Hospital è sorto per opera dei Padri MissionariComboniani negli anni ‘60 del secolo scorso ed è statoseguito dal punto di vista sanitario dal CUAMM-Medicicon l’Africa (ONG di Padova), che vi ha inviato mediciitaliani per un programma di cooperazione.

Mario Marsiaj è stato fra i primi e, dopo numerosi annidi permanenza ininterrotta ad Angal (dal 1966 al 1973), hacontinuato a tornarvi per periodi più o meno lunghi,accompagnato e coadiuvato nella sua attività dalla moglieClaudia.

Da quando nel 2000 il programma di cooperazione delCUAMM si è concluso, il Dr. Marsiaj segue personalmen-te la delicata fase di africanizzazione dell’Ospedale, trascor-rendo circa quattro mesi all’anno ad Angal, a fianco deicolleghi africani, per aiutarli a rendersi progressivamenteautonomi nella gestione e nell’amministrazione.

Non avendo più una ONG alle spalle, per poter repe-rire i fondi necessari a “far vivere” l’Ospedale e portareavanti i vari Progetti avviati nel frattempo, è stato neces-sario costituire un’Associazione, divenuta ONLUS nel2004.

L’Associazione “Amici di Angal”

Fondata nel 2001 dal Dr. Mario Marsiaj e da sua moglieClaudia Bertoldi, l’Associazione gravita intorno all’atti-vità dell’Ospedale St. Luke di Angal, nel Nord Ovestdell’Uganda, zona di savana molto povera e molto densa-mente popolata.

Oltre al sostegno dell’Ospedale, l’Associazione è impe-gnata in vari Progetti a favore soprattutto dei bambini.