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IdB - Giornale Italiano di Scienze Infermieristiche Pediatriche 2009; 1 (3) Anno I, numero 3, Settembre 2009 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - CB FIRENZE Gli Infermieri dei Bambini Gli Infermieri dei Bambini Gli Infermieri dei Bambini Gli Infermieri dei Bambini Giornale Italiano di Scienze Infermieristiche Pediatriche Giornale Italiano di Scienze Infermieristiche Pediatriche Giornale Italiano di Scienze Infermieristiche Pediatriche Giornale Italiano di Scienze Infermieristiche Pediatriche Gli Infermieri dei Bambini Gli Infermieri dei Bambini Gli Infermieri dei Bambini Gli Infermieri dei Bambini ISSN: 2036-2218 SOCIETA’ SOCIETA’ SOCIETA’ ITALIANA ITALIANA ITALIANA di SCIENZE di SCIENZE di SCIENZE INFERMIERISTICHE INFERMIERISTICHE INFERMIERISTICHE PEDIATRICHE PEDIATRICHE PEDIATRICHE

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Gli Infermieri dei BambiniGli Infermieri dei BambiniGli Infermieri dei BambiniGli Infermieri dei Bambini

ISSN: 2036-2218

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Direttore Responsabile: Filippo Festini

Segretaria di Redazione: Sofia Bisogni

Redazione: Maria Francesca Reali, Daniele Ciofi

Società Italiana di Scienze Infermieristiche Pediatriche

Via Borgognoni 7/C, 51100 Pistoia

email: [email protected]

Registrazione Tribunale di Firenze n. 5619 del 20/12/2007

Finito di stampare nel mese di Giugno 2009

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Per gentile concessione della Royal College of Nursing Publishing Company Ltd

Children’s Nurses. The Italian Journal of Paediatric Nursing ScienceChildren’s Nurses. The Italian Journal of Paediatric Nursing ScienceChildren’s Nurses. The Italian Journal of Paediatric Nursing ScienceChildren’s Nurses. The Italian Journal of Paediatric Nursing Science

Editor in Chief: Filippo Festini (University of Florence)

Scientific Committe:

− Pierluigi Badon (University of Padua)

− Antonella Baggiani (Meyer Children Hospital, Florence)

− Elena Bezze (University of Milan)

− Teresa Bordone (University of Eastern Piedmont, Novara)

− Rosamaria Bortoluzzi (Burlo Garofolo Children Hospital, Trieste)

− Hicran Cavusoglu (Hacettepe University, Ankara)

− Franca Crevatin (Burlo Garofolo Children Hospital, Trieste)

− Philip Darbyshire (Adelaide, Australia)

− Giuliana D'Elpidio (University of Rome “Tor Vergata”, Bambino Gesù Children Hospital)

− Laura Fornoni (University of Genoa, Gaslini Hospital for Sick Children

− Susan Gennaro (Boston College)

− Mariagrazia Greco (University of Neaples “Federico II”)

− Susan Madge (Royal Brompton Hospital, London)

− Anna Persico (University of Turin)

− Jim Richardson (University of Glamorgan, Wales)

− Mariangela Roccu (University of Rome “La Sapienza”)

− Loredana Sasso (University of Genoa)

− Fiona Smith (Royal College of Nursing, London)

− Karen Spowart (London)

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© Copyright Società Italiana di Scienze Infermieristiche Pediatriche.

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In questo numero:

AssistenzaAssistenzaAssistenzaAssistenza

C. Neri C. Neri C. Neri C. Neri et al. Assistenza al bambino con malformazione anorettale 88

Revisione della praticaRevisione della praticaRevisione della praticaRevisione della pratica

S. S. S. S. FligorFligorFligorFligor Esecuzione dell’emocoltura nel bambino: analisi della letteratura 92

Cure neonataliCure neonataliCure neonataliCure neonatali

E. Giometti E. Giometti E. Giometti E. Giometti et al. Il posizionamento del neonato in terapia intensiva neonatale: studio sui bisogni formativi degli infermieri

95

Educazione sanitariaEducazione sanitariaEducazione sanitariaEducazione sanitaria

L. Tibaldi L. Tibaldi L. Tibaldi L. Tibaldi et al. Lo sviluppo di programmi educativi rivolti al paziente e alla famiglia per la gestione in sicurezza delle malattie reumatiche infantili

101

Sicurezza del pazienteSicurezza del pazienteSicurezza del pazienteSicurezza del paziente

L. Bridge L. Bridge L. Bridge L. Bridge Ridurre il rischio di misconnessioni e gli errori di via di somministrazione in TIN 104

L. May. L. May. L. May. L. May. I rischi legati all’uso di gel alcolico per mani in ambito pediatrico 111

EticaEticaEticaEtica

J. Baston. J. Baston. J. Baston. J. Baston. Il coinvolgimento dei bambini nelle decisioni riguardanti la loro salute 108

Crescere Crescere Crescere Crescere

G. Lelli G. Lelli G. Lelli G. Lelli et al. La pratica psicomotoria nell’età evolutiva 113

ProfessioneProfessioneProfessioneProfessione

D. Ciofi D. Ciofi D. Ciofi D. Ciofi et al. L’Infermiere Pediatrico. Contributi per un dibattito 115

Dalla letteratura scientificaDalla letteratura scientificaDalla letteratura scientificaDalla letteratura scientifica

Selezione di abstracts dalla letteratura recente 120

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Le malformazioni ano-rettali (MAR) rappresentano un difetto congenito relativamente frequente, con un incidenza media di 1:4000 nati (57% maschi, 43% femmine), pari ad un’attesa di 130 nuovi casi l'anno in Italia. Queste particolari malformazioni necessitano di un programma di correzione chirurgica, cui deve obbligatoriamente seguire un puntuale follow-up medico ed infermieristico integrato. (1) Essendo malformazioni che includono sia anomalie lievi e facili da trattare che anomalie estremamente complesse, il follow up medico e infermieristico è sicuramente un punto fondamentale nel percorso di cura. Le malformazioni ano-rettali comprendono anomalie congenite differenti tra loro, complesse sul piano anatomico e clinico, che frequentemente coinvolgono anche gli organi dell’apparato genito-urinario e causano disturbi diversi nei due sessi (2). Usualmente le MAR, in base alle specifiche caratteristiche anatomiche, vengono distinte in alte, intermedie e basse. Nel maschio le malformazioni a carico del retto sono leggermente prevalenti rispetto a quelle anali; quasi sempre esiste una comunicazione con l’apparato urinario e con la cute perineale. Nelle femmine le malformazioni anali sono nettamente

più frequenti di quelle rettali; il tramite fistoloso presente si può aprire a livello della cute del perineo e a livello della vagina nei suoi diversi distretti anatomici (vulva, vestibolo, vagina).

TrattamentoTrattamentoTrattamentoTrattamento Le forme basse, in cui cioè il tramite fistoloso si apre a livello della cute del perineo o a livello vulvare, vengono trattate in un unico tempo chirurgico. Le forme intermedie (fistola retto-ureterale nel maschio e retto-vestibolare nella femmina) ed alte (fistola retto-prostatica o vescicale nel maschio e retto-vaginale nella femmina) vengono generalmente trattate, come indicato da Peña (3), con tre interventi chirurgici dilazionati nel tempo. Questo tipo di programma prevede il confezionamento di una colostomia preliminare in età neonatale; un successivo intervento di rettoplastica differita dopo 4-8 settimane e comunque entro i 12 mesi di vita; la chiusura della colostomia dopo altri 1-3 mesi dalla rettoplastica. Recentemente, però, una tecnica sempre più diffusa prevede l'esecuzione della rettoplastica immediata secondo Peña mentre la colostomia preliminare viene eseguita solo per specifiche necessità (4) In particolare l’intervento definitivo in età neonatale si pone come obiettivi l'attivazione più precoce possibile di tutte le strutture anatomo-funzionali coinvolte nella continenza fecale, la riduzione del danno estetico, l'eliminazione delle complicanze legate alla stomia intestinale, la riduzione dei rischi connessi con gli interventi chirurgici e, in generale, rendere più agevole per la famiglia la gestione del bambino nel post operatorio. La stomia preliminare viene comunque confezionata in caso di cloaca persistente o di malformazioni congenite associate gravi che controindicano un intervento chirurgico definitivo (5).

AssistenzAssistenzAssistenzAssistenza infermieristica preoperatoriaa infermieristica preoperatoriaa infermieristica preoperatoriaa infermieristica preoperatoria La preparazione preoperatoria si diversifica a seconda che l’intervento venga eseguito in un unico tempo o in più tempi.

Assistenza

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Cinzia Neri Paola Tonietti Bruno Noccioli Ospedale Pediatrico Meyer, email: [email protected]

L’assistenza al bambino con L’assistenza al bambino con L’assistenza al bambino con L’assistenza al bambino con malformazione anomalformazione anomalformazione anomalformazione ano----rettalerettalerettalerettale

Fig.1: Ano imperforato nel neonato maschioFig.1: Ano imperforato nel neonato maschioFig.1: Ano imperforato nel neonato maschioFig.1: Ano imperforato nel neonato maschio

AbstractAbstractAbstractAbstract

Le malformazioni ano-rettali rappresentano un gruppo di difetti congeniti relativamente frequenti, che necessitano di un programma di correzione chirurgica, cui deve obbligatoriamente seguire un puntuale follow-up medico ed infermieristico integrato. L’articolo discute il ruolo centrale dell’infermiere nel lungo processo abilitativo del bambino affetto da questo tipo di malformazioni e dei diversi aspetti dell’assistenza (gestione delle stomie, calibrazioni anali, riabilitazione intestinale)

NNNNursing of the child with anorectal malformations.ursing of the child with anorectal malformations.ursing of the child with anorectal malformations.ursing of the child with anorectal malformations.

Anorectal malformations are a group of relatively frequent congenital defects that require a surgical correction program and –necessarily– a careful, integrated follow up. This paper discuss the central role of nurses in the complex process leading to the rehabilitation of the affected child, as well as the different aspects of nursing care (stoma management, anal calibrations, intestinal rehabilitation)

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L’intervento eseguito secondo Peña ma con rettoplastica immediata, prevede al momento dell’intervento l’inserimento di un catetere venoso centrale per la nutrizione parenterale totale postoperatoria, che viene di solito protratta per 7 giorni. Di primaria importanza nella fase preoperatoria sono la preparazione intestinale, il digiuno e l’inizio della terapia antibiotica (6). La preparazione intestinale non è prevista nei neonati maschi perché non presentano nessun orificio fistoloso esterno sondabile. Nei casi di fistola vestibolare, nella femmina,viene invece effettuata una preparazione intestinale attraverso irrigazioni con soluzione fisiologica alla quantità di 20 ml/Kg, ripetute tre volte al giorno. Per quanto riguarda il digiuno pre-operatorio, nei neonati maschi di età compresa fra 2 e 4 giorni non viene iniziata l’alimentazione; nelle neonate di età in cui è stato già iniziato l’allattamento, questo viene sospeso 12 ore prima dell’intervento. Nelle lattanti con fistola vestibolare normalmente alimentate la dieta viene sospesa 24 ore prima dell’intervento e viene iniziata una infusione venosa. Una terapia antibiotica viene iniziata con cefalosporine il giorno prima dell’intervento e prosegue nel postoperatorio solitamente con l’aggiunta di gentamicina e metronidazolo.

Assistenza postAssistenza postAssistenza postAssistenza post----operatoriaoperatoriaoperatoriaoperatoria Anche l'assistenza postoperatoria si diversifica in base al tipo di intervento eseguito.

A) Correzione in tre tempi: Dopo il confezionamento della stomia intestinale l’infermiere, oltre ai controlli post operatori previsti dal tipo di intervento, dall’età e dalle condizioni pre e intraoperatorie del piccolo paziente, dovrà porre particolare attenzione alla gestione della stomia e del percorso educativo/terapeutico rivolto ai genitori ed iniziato già nella fase pre-operatoria (7). Dopo l’intervento di anorettoplastica sagittale posteriore (PSARP) l’assistenza infermieristica s’incentrerà soprattutto sulle cure della ferita chirurgica e del neo-ano. Rispetto all’intervento precedente questo richiede generalmente una degenza più breve e di minor complessità. Per quanto riguarda infine il terzo ed ultimo intervento, la chiusura della colostomia, oltre alla preparazione pre-operatoria basata soprattutto sulla pulizia intestinale del tratto escluso, l’infermiere dovrà nel post-operatorio porre attenzione alla ricanalizzazione, alla ferita chirurgica ed alla cura della zona anale e perianale. Quest’ultima non essendo mai stata in contatto con le feci, se non adeguatamente preparata, tende a sviluppare irritazioni cutanee anche molto importanti. La preparazione della cute va quindi iniziata qualche giorno prima dell’intervento con l’applicazione di abbondanti quantità di pomata all’ossido di zinco e a base di Vitamina E. Nel postoperatorio la frequente pulizia e il proseguimento dell’applicazione della pomata riduce di molto l’incidenza di questa fastidiosa complicanza.

B) correzione in un unico tempo Oltre ai controlli post operatori precedentemente descritti, in questo tipo d’intervento l’assistenza infermieristica s’incentra sulla ripresa della canalizzazione, sulla cura della ferita chirurgica e del neo-ano e nell’educare i genitori alla gestione domiciliare

delle cure necessarie al bambino. Pur trattandosi di percorsi assistenziali diversi da un punto di vista infermieristico il fattore comune che incide sulla loro riuscita è rappresentato dall’educazione terapeutica e dal follow-up infermieristico. Educare i genitori e renderli partecipi del processo di cura del proprio figlio è un'arma vincente che consente loro di raggiungere in tempi brevi e in maniera soddisfacente l’autonomia necessaria per poter gestire in modo soddisfacente il decorso a casa. Iniziare il percorso educativo durante la degenze e garantire una continuità assistenziale durante tutto il follow-up impedisce loro di sviluppare un senso di inadeguatezza e di abbandono al momento alla dimissione.

Il follow Il follow Il follow Il follow ----up up up up Gli esiti di questa patologia sono diversi da forma a forma e da paziente a paziente. E’ utile ricordare nuovamente che le MAR possono associarsi a numerose altre malformazioni congenite tanto più gravi quanto maggiore è la gravità della singola MAR. Frequentemente si riscontrano -e comunque devono sempre essere ricercate- anche malformazioni a carico dell’apparato genito-urinario, muscolo-scheletrico, rachide e midollo, apparato digerente, cuore. Il problema rappresentato dalla MAR non si esaurisce assolutamente nel momento della correzione chirurgica, in quanto deve essere sempre previsto un più o meno lungo periodo di riabilitazione funzionale in cui la figura infermieristica gioca un ruolo fondamentale di raccordo fra la famiglia, l’ospedale, il chirurgo e tutte le figure professionali di cui il bambino necessita nel suo percorso di cura. Le famiglie devono essere correttamente informate circa il rischio che le MAR, anche perfettamente corrette, possono essere causa di handicap permanente, con disagio personale anche grave sia funzionale che psicologico. In particolare, l’incontinenza può rappresentare un grave ostacolo all’inserimento sociale del singolo. In molti casi i genitori dei piccoli pazienti non sono ben consapevoli delle limitazioni che questa malattia può comportare per i loro figli, nonché delle opportunità di miglioramento clinico e del raggiungimento di un grado sufficiente di autonomia intestinale. Dopo la dimissione diventa quindi indispensabile continuare a seguire i piccoli pazienti per controllare attentamente l’evoluzione del percorso di guarigione. Le attività principali dell’infermiere in sede ambulatoriale sono: - La gestione della stomia - Le calibrazioni anali - La riabilitazione intestinale

Gestione della stomiaGestione della stomiaGestione della stomiaGestione della stomia Una volta educato il genitore, durante la degenza, su come gestire la stomia e sui presidi da utilizzare a tale scopo, il follow-up ambulatoriale comprende: - controllo della stomia (colorito, aspetto, funzionalità) - controllo della cute peristomale - controllo dell'adeguatezza dei presidi utilizzati (placca, sacchetto di raccolta) - valutazione delle capacità gestionali dei genitori La frequenza dei controlli ambulatoriali è determinata dalla valutazione infermieristica, dalle esigenze del genitore e dall’eventuale insorgenza di complicanze.

Assistenza

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Calibrazioni analiCalibrazioni analiCalibrazioni analiCalibrazioni anali Per evitare una cattiva cicatrizzazione con stenosi del neo-ano i bambini devono essere sottoposti regolarmente ad un programma di calibrazioni secondo uno schema codificato. Durante la degenza viene predisposta la richiesta per l’acquisizione dei dilatatori di Hegar che verranno procurati ai genitori dall’ASL di appartenenza. Al momento della prima calibrazione i genitori devono essere già in possesso degli Hegar. In molti casi questo risulta impossibile, sia perché i tempi delle ASL sono piuttosto lunghi, sia perché molte di queste non ne sono

provviste e quindi devono a loro volta procurarseli. Dato che la prima dilatazione viene effettuata dopo soli 15 giorni dall’in-tervento è il reparto stesso che fornisce il primo calibro che verrà poi restituito.

La prima calibra-zione viene effet-tuata dal chirurgo,

in sede ambulatoriale, ed insegnata al genitore dall’in-fermiere. Le calibrazioni successive verranno effettuate dall’infermiere nel proprio ambulatorio, con eventuale chiamata a consulto del chirurgo solo in casi di necessità, a suo giudizio. La calibrazione anale è una procedura semplice che prevede l’introduzione di un dilatatore metallico di tipo Hegar nel neo-ano. La manovra deve essere delicata, per evitare lacerazioni o eccessivi sanguinamenti, che potrebbero provocare stenosi cicatriziali successive. Si esegue più facilmente posizionando il bambino in decubito supino con le gambe flesse sull’addome. Per facilitare l’introduzione dello strumento e limitare l’eventuale dolore è indispensabile lubrificarlo con abbondante gel lubrificante-anestetico. Ogni dilatazione prevede l’introduzione in ordine crescente, di 4 hegar. Ogni 3 settimane-1 mese il calibro viene aumentato fino ad arrivare alla calibrazione massima per l’età. Il cambio del calibro può essere procrastinato se le dilatazioni con l’Hegar precedente risultano difficoltose. La calibrazione deve essere eseguita dal genitore 2 volte al giorno fino a che non si raggiunge il calibro adeguato per l’età del singolo paziente. La dimensione dei dilatatori a cui bisogna arrivare con le ultime dilatazioni varia a seconda dell’età, e precisamente: - da 1 a 4 mesi: Hegar n.12 - da 4 a 8 mesi: Hegar n.13 - da 8 a 12 mesi: Hegar n.14 - da 1 a 3 anni: Hegar n.15 - da 3 a 12 anni: Hegar n.16 - più di 12 anni: Hegar n.17 Una volta raggiunta la calibrazione adeguata per l’età la frequenza delle dilatazioni avviene seguendo il seguente schema: - una volta al giorno per un mese - una volta ogni 3 giorni per un mese - due volte alla settimana per un mese - una volta alla settimana per un mese - una volta al mese per tre mesi

Nel caso in cui la dilatazione dovesse diventare difficoltosa, dolorosa o causa di sanguinamento, c’è l’assoluta indicazione al ritorno alle dilatazioni per due volte al giorno e a ricominciare nuovamente il processo. Se il genitore segue scrupolosamente il programma delle dilatazioni e le esegue in maniera corretta difficilmente il bambino sentirà dolore o andrà incontro a stenosi.

Riabilitazione intestinaleRiabilitazione intestinaleRiabilitazione intestinaleRiabilitazione intestinale Il 25% circa degli operati per MAR presenta incontinenza fecale vera, cioè non sono in grado di contenere volontariamente le feci. Il restante 75% evacua volontariamente ma nella metà dei casi presenta vari tipi di disordini funzionali occasionali quali il "soiling" o incontinenza episodica associata a diarrea. Altri ancora presentano una pseudo incontinenza per il ristagno e l'accumulo di feci nel tratto terminale dell’intestino. Si deve ricordare che le MAR e l’intervento correttivo possono comportare alterazioni della sensibilità locale; a seconda della singola forma, si associano a difetti muscolari perineali più o meno significativi e si associano frequentemente ad alterazione della motilità intestinale. Tutto questo può essere alla base dei disturbi della defecazione e continenza. Esistono alcuni parametri clinici prognostici sia pre che postoperatori. In particolare la valutazione di questi ultimi rientra sotto la responsabilità infermieristica. Sono segni di una cattiva prognosi: il passaggio continuo di feci dal neo-ano con pannolino costantemente sporco; evacuazione intestinale senza alcuna dimostrazione di sensibilità (smorfie, distensione…); la concomitante perdita di urine a gocce. Circa il 60% dei bambini operati alla nascita per una MAR, nonostante un intervento chirurgico tecnicamente perfetto ed un periodo postoperatorio decorso senza complicanze, soffrirà di disturbi funzionali di diversa gravità inerenti la continenza fecale: - incontinenza associata a stipsi - incontinenza associata a feci liquide L’incontinenza è un disturbo che, se non adeguatamente affrontato,può generare varie problematiche psicologiche e di inserimento sociale. Lo sporcarsi le mutandine, nel corso della giornata, implica infatti molti problemi legati alla socializzazione. L’obiettivo è quello di concepire, individuare e sviluppare un programma personalizzato al singolo bambino per mantenerlo pulito nelle 24 ore. Dopo il terzo anno di vita, se il bambino non ha raggiunto la continenza fecale, è necessario iniziare un programma di riabilitazione intestinale. Non esiste una riabilitazione standard, perché ogni bambino ha le proprie caratteristiche psico-fisiche: sarà quindi nostro compito spiegare ai genitori l’importanza di arrivare ad una “riabilitazione personalizzata”. Questa sarà raggiunta per tentativi -e quindi anche per errori. L’infermiere dovrà collaborare con i genitori e far capire loro quanto sia inutile confrontare il proprio bambino con altri che hanno avuto o hanno apparentemente lo stesso problema. Le strategie terapeutiche nella riabilitazione intestinale sono: - la pulizia intestinale (clisteri, supposte, microclismi) - la modificazione della dieta - la terapia farmacologica I bambini sottoposti ai programmi riabilitativi riescono a rimanere puliti ed asciutti per tutto il giorno, svolgendo a pieno tutte le attività ludiche e sportive come qualsiasi

Assistenza

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Fig.2: Set di dilatatori HegarFig.2: Set di dilatatori HegarFig.2: Set di dilatatori HegarFig.2: Set di dilatatori Hegar

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altro bambino. Pulizia Intestinale Vengono in genere utilizzati due tipi di soluzioni per clistere: una soluzione già pronta a base di fosfati (clisma Fleet), oppure una soluzione salina (Soluzione Fisiologica allo 0.9%). Generalmente per ottenere un’adeguata pulizia intestinale è sufficiente eseguire un clistere al giorno. La scelta del tipo di soluzione da utilizzare viene concordata con i genitori. Quando il bambino è fortemente costipato, si possono somministrare fino a tre clisteri al giorno di cui solo uno con i fosfati. E’ necessario comunque avvisare i genitori di non somministrare più di un clisma con fosfati al giorno per evitare il rischio di possibile ipocalcemia. Il clistere può essere somministrato mediante l’utilizzo di sonda rettale, un catetere con palloncino tipo foley o utilizzando un dispositivo tipo Peristeen®. Il foley e il dispositivo tipo Peristeen® vanno utilizzati in alternativa alla sonda rettale nel caso in cui non si riesca a somministrare il clistere perché il paziente non riesce a trattenere il liquido proprio per i problemi conseguenti alla patologia. I dispositivi con palloncino fungono da tappo impedendo al liquido di fuoriuscire dall’ano durante l’infusione del clistere. La posizione del bambino durante la somministrazione del clistere è importantissima. Il bambino dove essere posizionato in modo tale da consentire al liquido somministrato di giungere il più in alto possibile all’interno del colon. Il liquido deve permanere nell’intestino non meno di 2 minuti e fino a 20 minuti circa, in base alla tolleranza del bambino e al volume somministrato. Il bambino deve rimanere sul water tutto il tempo necessario allo svuotamento intestinale (circa 30-40 minuti). A tale scopo sarà utile rendere confortevole il trascorrere di questo tempo utilizzando vari strumenti ludici (es. giochi elettronici, libri, etc.). Per il bambino piccolo, la posizione ideale è quella prona sulle gambe del genitore con il bacino sulle ginocchia e la testa in basso. Se si tratta di un bambino un po’ più grande, il bambino può essere adagiato prono, su uno o due cuscini in modo da sollevare il bacino. Per il bambino più grande può invece essere utilizzata la posizione genu-pettorale con il bacino in alto e le ginocchia addossate al petto. Nell’adolescente la auto-somministrazione del clistere può essere agevolata utilizzando la posizione genu-pettorale laterale. Il momento migliore per la somministrazione del clistere è dopo il pasto serale perché il riempimento dello stomaco durante il pasto scatena il riflesso gastro-colico che stimola il colon a contrarsi, facilitando l’espulsione delle feci. A volte è però necessario modificare radicalmente gli orari in base alle necessità individuali. Il clistere dovrebbe essere eseguito ogni giorno alla stessa ora, in modo che il bambino lo associ ad un’attività della giornata. L’intervallo massimo tra due clisteri non dovrebbe mai superare le 24 ore. La somministrazione di supposte di glicerina e microclimi è inefficace, soprattutto

quando si tratta di bambini con abbondante massa fecale. Tali rimedi provocano l’effetto di svuotare solo l’ampolla rettale, lasciando il colon ancora pieno di feci. Dieta Gli alimenti possono influire notevolmente sulla motilità intestinale e sulla consistenza delle feci, determinando un effetto lassativo o astringente. Gli alimenti ricchi di fibre svolgono un’azione importante: le fibre regolano il transito intestinale riducendo o aumentando la frequenza intestinale. Nei bambini con stipsi verrà impostata una dieta per favorire l’evacuazione; al contrario in bambini con aumentata motilità intestinale è preferibile somministrare alimenti astringenti. Se il bambino sta già seguendo un programma di pulizia intestinale non è consigliabile utilizzare una dieta con effetti lassativi e che aumenti il transito intestinale. Farmaci Farmaci di tipo lassativo non dovrebbero mai essere utilizzati in età pediatrica e comunque, nello specifico caso delle MAR, possono eventualmente somministrarsi solo nei bambini continenti. Non devono inoltre essere mai associati ai clisteri in quanto, dopo il clistere il bambino continuerà a perdere feci per l’azione del lassativo. Aspetti psicologici L'impatto psicologico della patologia non deve essere sottovalutato. Una stipsi fisiologica si può trasformare in una stipsi di tipo psicologico portando il bambino e la sua famiglia ad avere anche problemi di socializzazione (8). Per questo motivo nel follow up sarà importante avvalersi della collaborazione di uno psicologo.

ConclusConclusConclusConclusioniioniioniioni Lo scopo dell'assistenza al bambino operato per MAR è quello di supportare la famiglia nel percorso verso il recupero di un'adeguata qualità di vita nel bambino e favorire il suo normale inserimento sociale. I tempi necessari per questo percorso sono lunghi, potendosi protrarre anche per anni. Alla base di tutto deve essere presente la volontà della famiglia e un gruppo sanitario multidisciplinare che si dedica e non si arrende di fronte ad apparenti insuccessi, puntando all’obiettivo finale rappresentato dal benessere del bambino.

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Assistenza

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Il problema delle sepsi pediatriche è scarsamente conosciuto anche se in TIN, rianimazione ed oncologia questa evenienza è particolarmente temuta, l’incidenza in neonatologia si aggira intorno a 1-10/1.000 dei nati vivi e risulta addirittura drammatica 3-9/100, nei nati vivi VLBW la mortalità varia dal 15al 50% dei casi (1) L'emocoltura è di fondamentale importanza per una corretta diagnosi di sepsi. L’aspetto più critico nell’esecuzione dell’emocoltura è quello pre-analitico che risulta quasi interamente sotto la responsabilità degli infermieri. Gli infermieri devono quindi essere consapevoli che una corretta esecuzione dell’emocoltura contribuisce in modo sostanziale a instaurare una corretta terapia. Una adeguata antibioticoterapia è infatti fattore essenziale per ridurre la mortalità dei piccoli pazienti e migliorarne la prognosi. Gli elementi che condizionano la corretta esecuzione delle emocolture sono di tipo tecnico (idoneità del materiale usato, modalità di prelievo, volume di sangue prelevato, numero di emocolture eseguite) e di tipo clinico (momento del prelievo, intervallo tra i prelievi, rapporto con l’antibioticoterapia) La tecnica di esecuzione influisce sulla possibilità di ottenere emocolture vere-positive cioè ne influenza la specificità. A questo proposito il tipo di antisettico ed il tempo di contatto con la cute sono essenziali (tabella 1). Come è facile comprendere, lo iodopovidone rischia di essere tenuto in loco troppo poco, determinando un elevato rischio di contaminazione del campione (2) Mentre l'antisettico agisce occorre verificare che il

bambino non muova il braccio in modo da vanificare l'applicazione; se il bambino è piccolo e poco collaborante, la presenza e l'aiuto dei genitori sarà essenziale. Subito dopo aver tolto il tappo alla bottiglia per emocoltura occorre disinfettarne il diaframma, con alcool 70%, evitando lo iodopovidone; successivamente occorre praticare un adeguata antisepsi delle mani con Gel alcolico e calzare i guanti sterili se non si utilizza la tecnica no-touch. La vena va poi punta avendo cura di non toccare la cute laddove non è stata praticata l'antisepsi. La venipuntura può essere indifferentemente eseguita connettendo l'ago a farfalla con una siringa o con un dispositivo vacutainer. L'utilizzo della siringa è spesso da preferirsi con bambini molto piccoli in quanto si può modulare meglio la pressione di aspirazione e ridurre il trauma venoso. La zona più indicata per la venipuntura è la parte antecubitale del braccio in quanto risulta essere la meno inquinata. (3) Cambiare l’ago alla siringa con cui si è fatto il prelievo può determinare un aumentato rischio di contaminazione. (3) Il campione di sangue deve essere iniettato nel flacone da emocoltura nella esatta quantità prevista. Utilizzando il dispositivo vacutainer il flacone per emocoltura si riempie in modo automatico e non si deve cambiare ago. Nello svolgere la tecnica occorre avere cura di non introdurre aria nei flaconi. (4) Terminata l'aspirazione del sangue occorre disinfettare nuovamente il diaframma del flacone con alcool 70%. (3) Non è considerata buona pratica il mettere del cotone fermato con cerotto sul tappo di gomma dei flaconi perchè potrebbe essere fonte di inquinamento. La mancata crescita di un microorganismo nel sangue prelevato (emocoltura negativa) può verificarsi per 2 motivi: a) perché il paziente non ha un’infezione: (emocoltura vera-negativa) b) perché il volume del campione ottenuto è troppo scarso per evidenziare la

Esecuzione Esecuzione Esecuzione Esecuzione dell'emocoltura nel bambino: dell'emocoltura nel bambino: dell'emocoltura nel bambino: dell'emocoltura nel bambino: analisi della letteraturaanalisi della letteraturaanalisi della letteraturaanalisi della letteratura

AbstractAbstractAbstractAbstract

Il problema delle sepsi pediatriche è scarsamente conosciuto anche se nelle terapie intensive neonatali, nelle rianimazioni pediatriche rianimazione e nelle oncologie questa evenienza è particolarmente temuta. La loro incidenza in neonatologia è stimata intorno a 1-10/1.000 nati vivi e raggiunge livelli drammatici nei neonati di peso molto basso, la cui mortalità varia dal 15 al 50% dei casi. L'emocoltura è di fondamentale importanza per una corretta diagnosi di sepsi. L’aspetto più critico nell’esecuzione dell’emocoltura è quello pre-analitico che risulta quasi interamente sotto la responsabilità degli infermieri. Questo articolo analizza -alla luce della letteratura esistente- le varie situazioni che richiedono da parte dell’infermiere una attenta analisi clinica ed una piena padronanza della tecnica che se non correttamente eseguita rischia di non fornire risultati attendibili.

Sonia Fligor ASL 4 Prato, [email protected]

Performing blood culture drawing in children: analysis of literaturePerforming blood culture drawing in children: analysis of literaturePerforming blood culture drawing in children: analysis of literaturePerforming blood culture drawing in children: analysis of literature

Sepsis in neonatal intensive care units and paediatric oncology wards is a major problem. Sepsis in NICUs affects 1/100 to 1/1000 newborns and reaches even worse percentages in very low birth weight neonates, with a mortality from 15 to 50%. Blood culture is paramount for a correct diagnosis of sepsis. The most critical moment in performing a blood culture is the pre-analytical phase, which is entirely under the responsibility of nurses. On the light of existing literature, this paper analyses the different situations that require from the nurse a careful assessment and full mastery of the technique, in order to avoid unreliable results.

Revisione della pratica

Tab.1: tempi di contatto con la cuteTab.1: tempi di contatto con la cuteTab.1: tempi di contatto con la cuteTab.1: tempi di contatto con la cute

antisettico tempo di contatto

iodopovidone 10%: 2 minuti

clorexidina 2% alcoolica 15- 30 secondi

alcool 70% 15 secondi

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crescita microbica nella tempistica standardizzata: (emocoltura falsa-negativa). E' noto che la sensibilità dell'emocoltura aumenta all'aumentare del volume prelevato, il quale rappresenta dunque un fattore molto importante da tenere in considerazione. Un volume di almeno 10 ml o comunque uguale a quello indicato dal produttore riduce l’incidenza di falsi negativi ed è correlato ad adeguata sensibilità (93%). Quantità inferiori di sangue prelevato non sono sufficienti a consentire una crescita “critica”, cioè identificabile dal sistema di incubazione delle emocolture nei tempi standardizzati per la loro valutazione (5 gg nel caso dei comuni microorganismi aerobi e anaerobi) (5, 6) Al fine di garantire una sensibilità sufficiente all'emocoltura, per i bambini con età superiore a 6 anni si usano generalmente i flaconi per adulti, prelevando almeno 10 ml per bottiglia; per i bambini con meno di 6 anni è indicato l'uso del flacone pediatrico con un volume di sangue tra 1 e 3 ml (6). Per i neonati, il volume di sangue dovrà essere compreso tra 0.5 e 1 ml (3). Se il sangue prelevato è insufficiente a raggiungere una quantità adeguata per entrambe i flaconi (aerobi e anaerobi) è preferibile riempire la sola bottiglia per aerobi poiché le batteriemie da aerobi sono le più frequenti, salvo diversa disposizione medica connessa al diverso dubbio diagnostico (7). La pratica di suddividere nei due flaconi per emocoltura un volume di sangue totale inferiore a 20 ml -nel bambino oltre 6 anni- deve essere evitata. Il tasso di contaminazione di un set di emocolture varia dall’1 al 4.5%; il numero di set di emocoltura prelevati influisce sulla possibilità di interpretare correttamente il risultato: infatti, se si ottengono 2 emocolture positive, la probabilità che la batteriemia sia vera è superiore al 95%. (8) Questo dato è tanto più rilevante se nel sangue prelevato risulta la presenza di germi colonizzanti normalmente la cute, dato che può far venire il dubbio che l’emocoltura sia contaminata. Genera una ragionevole fiducia nella vera positività dell'emocoltura il riscontro della crescita di un patogeno virulento in più sedi, in più emocolture, in un tempo limitato (96% delle emocolture sono positive a 72 h), in un bambino non immunocompromesso All'opposto, orientano verso la contaminazione dell’emocoltura la presenza di una sola emocoltura positiva su 4-6 flaconi, con una crescita tardiva di aerobi (oltre 96 h delle 120 h dell’incubazione standard) e inoltre la crescita di un patogeno di solito colonizzante la cute, di un patogeno non riscontrato in altri sedi campionate né riscontrato in campionamenti successivi e il riscontro di polimicrobismo in bambino non operato all’addome e non immunodepresso Un altro fattore importante è costituto dal tipo di accesso vascolare che viene utilizzato per il prelievo. In generale viene raccomandato di prelevare 2 set di emocolture da 2 accessi venosi periferici diversi, non precedentemente incannulati, in un luogo ove la cute è integra: in particolare, vanno evitate le aree cutanee sedi di ustione o malattie cutanee. Se sono presenti cateteri venosi centrali (CVC) in situ da più di 48 ore, per verificare una ipotesi di sepsi CVC-correlata, è necessario eseguire delle emocolture temporizzate, che consiste nel prelevare un set di emocoltura da ogni CVC presente da più di 48 ore e contemporaneamente da vene periferiche. In questo

caso, riveste una particolare importanza l'esecuzione di una disinfezione accuratissima con alcool 70% o clorexidina 2% del raccordo da cui si esegue il prelievo, che è sede di frequente colonizzazione da parte della flora cutanea. (8) Dopo il prelievo dal CVC si esegue 1 prelievo da un accesso venoso periferico non precedentemente incannulato e, possibilmente, 1 prelievo da un accesso arterioso (radiale meglio che femorale, in quanto il sito femorale è più soggetto a colonizzazione/infezione). (9, 10) E' molto importante segnare con precisione sul flacone e sulla richiesta la sede da cui è stato ottenuto il prelievo in modo da poter interpretare correttamente i dati ottenuti, nel caso in cui non tutte le emocolture effettuate siano positive (11). Comprendere il significato dei possibili risultati consente all'infermiere di correggere eventuali errori procedurali. Di seguito si riportano alcuni criteri per interpretare i risultati combinati delle emocolture prelevate da vena periferica e da CVC. - Emocoltura da vena periferica negativa più emocoltura

da CVC negativa: non è presente batteriemia. - Emocoltura da vena periferica positiva più emocoltura

da CVC negativa: possibile inadeguata antisepsi della cute, specie se viene isolato un microorganismo saprofita cutaneo.

- Emocoltura da vena periferica negativa più emocoltura da CVC positiva: è verosimile una possibile inadeguata disinfezione del raccordo, se viene isolato un microorganismo saprofita cutaneo.

- Emocoltura da vena periferica positiva e da CVC positiva: è presente una batteriemia vera, specie se l’emocoltura da CVC si positivizza fino a 120 minuti prima della emocoltura da vena periferica: in questo caso si parla di batteriemia CVC-correlata.

Nell'invio al laboratorio, le due emocolture dovranno essere chiaramente contrassegnate per l'esecuzione dell'emocoltura temporizzata, dovrà essere chiaramente indicata sul flacone l'origine del campione e dovrà essere garantito un percorso solidale dei campioni fino al laboratorio I set di emocoltura devono essere prelevati dalle rispettive sedi contemporaneamente. Il laboratorio a tempi prefissati rileverà la positivizzazione delle emocolture. Sul referto delle emocolture verrà segnalato il numero di ore intercorso tra la messa in coltura e la positivizzazione (viene usato l'acronimo TTD = time to detection) Un altro aspetto in cui il ruolo dell’ infermiere è particolarmente importante, è la decisione clinica del momento in cui eseguire l'emocolture. La batteriemia precede l’acme febbrile di 30 -90 minuti ma, ovviamente, è problematico riuscire a prevedere l’acme. A questo scopo, tuttavia, si ritiene accettabile eseguire l’emocoltura entro 15 minuti a partire - dall’inizio del brivido - dalla variazione termica (cioè dal raggiungimento

dell’ipertermia “critica”: > 38.3°c) - dalla comparsa di marezzatura della cute - dall’aumento della lattacidemia non altrimenti motivato

(dato comunemente rilevato in ambito intensivologico) - da un improvviso cambio dello stato neurologico o

comportamentale del bambino (12). Un altro fattore estremamente rilevante per ottenere un risultato attendibile dall'emocoltura è il tempo di prelievo rispetto alla antibioticoterapia. Ovviamente l'ideale è fare le emocolture prima di iniziare

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Revisione della pratica

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la terapia antibiotica ma questo non è sempre possibile. A terapia antibiotica in corso, (esclusi i casi in cui l'infusione di antibiotico è continua) è perciò necessario fare l’emocoltura subito prima della somministrazione successiva di antibiotico. Tuttavia occorre ricordare che una terapia antibiotica interrotta ma condotta fino a 72 h prima negativizza le emocolture nel 60% dei casi o ne ritarda la crescita: per questo, è consigliabile fare 4-6 emocolture in 3 giorni consecutivi. L’utilizzo di set di emocoltura con substrato absorbente l’antibiotico, è consigliata dalle linee guida e largamente praticato ma la sua utilità è controversa (13). Altra responsabilità infermieristica è quella dell'invio dei flaconi in laboratorio nel più breve tempo possibile. Se questo non è possibile, occorre conservare i flaconi a temperatura ambiente. A temperatura ambiente comincia la crescita dei batteri, se questi sono presenti. Essa non va inibita perché è ciò che si vuole ottenere. Mettere le emocolture in frigorifero è un errore che rischia di compromettere il risultato L'infermiere del reparto deve avvisare il Laboratorio nel caso si sospettino patogeni difficili e in particolare quando vi sono substrati, particolari da approntare (brucella, miceti ecc.), terreni di coltura specifici (micobatteri), tempi di incubazione non standard (brucella, micobatteri, legionella, miceti), indagini sierologiche, da affiancare (patogeni atipici) Il Laboratorio, dal canto suo deve assicurare al reparto una ampia fascia oraria di accettazione per consentire la termostatazione in tempo reale, una refertazione del materiale pervenuto con estrema tempestività alla positivizzazione e una precoce identificazione dell’antibiogramma Monitoraggio della qualità: generalmente viene considerata “fisiologica” una percentuale di emocolture

contaminate intorno al 3% (14); i reparti dovrebbero perciò tenere monitorata l'incidenza di contaminazioni in modo da mettere in atto tempestivamente gli interventi correttivi necessari. BibliografiaBibliografiaBibliografiaBibliografia 1- Tibby S.M. Paediatric sepsis and multiple organ failure. Hosp Med 2005; 66: 152-157. 2- Archibald LK, Pallangyo K, Kazembe P et al. Blood culture contamination in Tanzania, Malawi and the United States: a microbiological tale of three cities. J Clin Microbiol 2006; 44: 4425-4429. 3- Ramsook C, Childers K, Cron SG et al. Comparison of blood culture contamination rates in a pediatric emergency room: newly inserted intravenous catheters versus venipuncture. Infect Control Hosp Epidemiol 2000;21:649-651. 4- Becan-McBride K. Laboratory sampling: does the process affect the outcome? J Intrav Nurs 1999; 22: 137. 5- Mermel LA, Maki DG. Detection of bacteremia in adults: consequences of culturing an inadequate volume of blood. Ann Intern Med 1993;119:270-272 6- Isaacman DJ, Karasic RB, Reynolds EA et al. Effect of number of blood cultures and volume of blood detection of bacteraemia in children. J Pediatr 1996;128:190-195 7- Madeo M, Jackson T, Williams C. Simple measure to reduce the rate of contamination of blood cultures in accident and emergency. Emerg Med J 2005;22:810-811. 8- Burger TL, Da F, Gray EJ, Colasante GC, Vose CB. You want us to do what? Reducing blood culture contaminates. Am J Infect Control 2007; 35: 173-176. 9- Levin PD, Hersch M, Rudensky B et al. The use of arterial line as a source for blood cultures. Int Care Med 2000;26;1350-1354. 11- Dauger S, Llor J, Aizenfisz S, Benayoun M, Beaufils F. Treatment in 2003 of septic shock in children in the first two hours (excluding newborns). Arch Pediatr 2004; 11: 1014-1017. 10- Beutz M, Sherman G, Mayfield J et al. Clinical utility of blood cultures drawn from central vein catheters and peripheral venipuncture in critically ill medical patients. Chest 2003;123:854-861. 12- Melendez E, Bachur R. Advances in the emergency management of pediatric sepsis. Curr Opin Pediatr 2006; 18: 245-253 13- Parret L, Stucki P, Cotting J. Management of pediatric septic shock. Rev Med Suisse 2005; 22: 1517-1521 14- Parker MM, Hazelzet JA, Carcillo JA. Pediatric considerations. Crit

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neuromotoria, comportamentale e relazionale) ed evolutiva, poiché prevede una modificabilità nel tempo. All’interno delle 24 ore, infatti, deve esserci un’alternanza tra la posizione prioritaria individuata e quella alternativa tale da consentire una variabilità posturale al bambino. Nei reparti di TIN, il fisioterapista opera in qualità di “Developmental Therapist”, ovvero di promotore dello sviluppo neurocomportamentale del bambino tramite un intervento di “Developmental Care” incentrato sulla famiglia (5); egli pianifica l’intervento insieme all’infermiere, il principale gestore della CP, e ne supporta l’attuazione tramite la consulenza diretta. (6). Uno studio del 2004 condotto in una TIN canadese ha indagato gli effetti della formazione degli infermieri sul posizionamento dei neonati ricoverati in TIN (7). Lo studio ha messo in risalto che le scarse conoscenze culturali su tale aspetto dell'assistenza costituiscono un ostacolo alla qualità dele cure al bambino e che, secondo il parere degli infermieri, ulteriori formazione, consultazione e agevolazione alla CP sono condizioni necessarie per assimilare le conoscenze già acquisite sul posizionamento e trasformarle in competenza pratica. Il Gruppo di Studio Multidisciplinare sulla Care della Società Italiana di Neonatolgia, fondato nel 1995, ha

Cure neonatali

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Il posizionamento del neonato in terapia Il posizionamento del neonato in terapia Il posizionamento del neonato in terapia Il posizionamento del neonato in terapia intensiva neonatale: studio sui bisogni intensiva neonatale: studio sui bisogni intensiva neonatale: studio sui bisogni intensiva neonatale: studio sui bisogni

formativi degli infermieriformativi degli infermieriformativi degli infermieriformativi degli infermieri AbstractAbstractAbstractAbstract Il posizionamento del neonato in Terapia Intensiva Neonatale (TIN) fa parte dell’assistenza personalizzata ed evolutiva del bambino. La cura posturale (CP), per la sua triplice valenza di prevenzione, cura e ri/abilitazione richiede un livello di conoscenza specifica tra gli infermieri (IP) che la attuano, al fine di favorire l’adattamento neonatale, un buon stato di salute e benessere e lo sviluppo delle competenze funzionali. Accanto all’infermiere lavora il fisioterapista (FT), come esperto della Developmental Care di cui fa parte la cura posturale, e funge da consulente e supporto all’infermiere che agisce nel ruolo del gestore principale. Vista la necessità di una formazione specialistica per la gestione del neonato in TIN, che va al di là della formazione infermieristica di primo livello nel posizionamento della persona in cura, serve un’analisi del bisogno formativo sull’argomento che parte dagli infermieri stessi e che indaga su cosa sanno, cosa gli serve sapere e quali modalità didattiche facilitano l’apprendimento. Obiettivi: Rilevare il bisogno formativo degli IP riguardo al posizionamento dei neonati in TIN. Materiali e metodi: Studio trasversale multicentrico condotto sui 96 infermieri di tre reparti TIN Toscani tramite la compilazione di un questionario conoscitivo anonimo, a domande aperte e chiuse (Perkins E; 2004), che indaga sulle conoscenze sull’argomento e sulle modalità di formazione ritenute più utili per riconoscere gli obiettivi del posizionamento e per attuare la CP in reparto. Risultati: Hanno partecipato 78 infermieri (81,25%). Di questi il 50,6% ha ricevuto nuove conoscenze sul posizionamento nell’ultimo anno. I principali scopi del posizionamento del neonato in TIN individuati dagli infermieri sono facilitare la ventilazione (19,3%) e lo sviluppo neuroevolutivo (16,4%); le principali difficoltà nell’individuare gli obiettivi del posizionamento sono risultati la mancanza di conoscenze (14,3%) e la scarsa comunicazione e collaborazione interprofessionale (14,3%). I principali ostacoli nell’attuare la cura posturale in reparto, secondo gli infermieri, sono la mancanza di materiale adatto (22,2%) e la mancanza di conoscenze (12,2%). E' emersa una importante carenza di conoscenza degli infermieri sul posizionamento del neonato per prevenire la plagiocefalia occipitale e l'esigenza di una consulenza personalizzata al singolo bambino con il FT. Conclusioni: Lo studio ha rilevato il bisogno degli infermieri della TIN, di un supporto sia culturale che operativo-pratico, soprattutto negli aspetti specifici della cura posturale. Inoltre, ha messo in evidenza il forte desiderio degli infermieri di ricevere un supporto diretto e dal fisioterapista per l’individuazione della cura posturale individualizzata al singolo neonato.

Elenia Giometti1 email: [email protected]

Laura Baroni2

Claudia Artese3

Adrienne Davidson2

1-AOU Senese “Le Scotte”, Siena

2-AOU Meyer, Firenze

3-AOU Careggi, Firenze

IntroduzioneIntroduzioneIntroduzioneIntroduzione L’infermiere è il gestore principale della cura posturale del neonato in Terapia Intensiva Neonatale (TIN). Il posizionamento rientra nel concetto di “cura posturale” (CP), ovvero l’utilizzo della postura corporea intesa come “assistenza” per la sua triplice valenza di prevenzione, cura e ri-abilitazione. Il significato di prevenzione è legato al fatto che spesso i neonati in TIN, molto prematuri e/o affetti da patologia ed in condizioni cliniche precarie, sono lungodegenti, per cui facilmente a rischio di deformità osteoarticolari; l’aspetto curativo del posizionamento è invece correlato all’assistenza infermieristica e medica quotidiana e alle difficoltà del neonato di organizzarsi da solo nell’ambiente extrauterino. Infine, la cura posturale è considerata abilitativa in quanto promuove l’acquisizione delle funzioni neonatali agendo sulla stabilizzazione, l'organizzazione e l'interazione dei sottosistemi (autonomico, motorio, degli stati comportamentali, attentivo/interattivo), secondo il modello della teoria sinattiva di Als (1) influenzando in questo modo lo sviluppo cerebrale del bambino (2-4). Il posizionamento fa parte di un programma di assistenza personalizzata, in quanto deve essere adattato alle funzioni del neonato (respiratoria, cardiocircolatoria, digestiva, osteoarticolare, cutanea,

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Cure neonatali condiviso già da tempo e a livello nazionale i principi della CP ed ha discusso a lungo sul coinvolgimento dell’infermiere nella gestione della stessa; tuttavia in Italia non è mai stata fatta un’indagine approfondita sul bisogno conoscitivo degli infermieri rispetto al posizionamento del neonato in TIN e sulla ricaduta degli eventi formativi svolti a riguardo. Dalla letteratura (8, 9) emerge una discordanza tra i pareri degli infermieri sui diversi aspetti della CP; essi riguardano la frequenza con cui attuare i cambiamenti di posizione durante la giornata e il posizionamento da effettuare in relazione alla funzione che si vuole privilegiare. Inoltre, viene sottolineato come avere la sicurezza di “fare la cosa giusta” sia diventata, per l’infermiere che lavora in TIN, di fondamentale importanza, e come lo stress emotivo, insieme ad un ambiente complesso e ad una pratica infermieristica non all’avanguardia, possano incidere negativamente sul loro vissuto professionale contribuendo all'elevato turnover, comune nel personale infermieristico delle TIN (10). Lo scopo del presente studio è stato quindi quello di rilevare le conoscenze specifiche degli infermieri di alcun e TIN italiane e l’eventuale necessità di una formazione più dettagliata; oltre alle opinioni generali sull’argomento si sono voluti indagare, come esempi di necessità frequenti, tre aspetti specifici della CP: il posizionamento per prevenire la SIDS, quello per correggere la plagiocefalia occipitale e il posizionamento per favorire l’organizzazione posturo-motoria sulla linea mediana.

Materiali e metodiMateriali e metodiMateriali e metodiMateriali e metodi Studio trasversale multicentrico, condotto all’interno di tre Terapie Intensive Neonatali della Toscana (Ospedale Pediatrico Meyer, Policlinico Careggi, Policlinico Le Scotte). Agli Infermieri delle tre TIN è stato somministrato un questionario cartaceo già utilizzato e validato (7) nel quale sono state apportate delle modifiche ad alcune domande, in modo da adattarlo alla realtà delle TIN italiane. Sono state anche aggiunte alcune domande mirate per rilevare in particolare le conoscenze culturali degli infermieri sui posizionamenti per ridurre il rischio della SIDS, per prevenire/correggere la plagiocefalia occipitale e per favorire l’organizzazione posturo-motoria sulla linea mediana. Il questionario è composto da 17 domande, di cui 9 chiuse e 8 aperte al fine di favorire una trattazione più ampia e personale, da parte degli infermieri, degli argomenti affrontati. Ogni questionario consegnato è stato accompagnato da una lettera nella quale si forniva la spiegazione dello studio, le motivazioni alla partecipazione, gli scopi oltre alle modalità di restituzione dei questionari compilati (utilizzo di appositi contenitori collocati nei vari reparti a garanzia dell’anonimato dei partecipanti). Lo studio si è svolto dal Novembre 2008 al Marzo 2009. Le variabili qualitative e quantitative sono state analizzate con statistica descrittiva, calcolando percentuali e medie. Sono state indagate anche le possibili correlazioni tra alcune di queste variabili Sulle risposte alle domande aperte è stata condotta un'analisi testuale.

Risultati: Gli infermieri che hanno aderito allo studio sono stati complessivamente 78 su 96 (81.25%). L’anzianità di servizio media presso la TIN era di 8.7 (range 0.1-25 anni, DS 6.5).

Il 10,3% dei partecipanti ha seguito corsi post-laurea (il 2,9% ha frequentato o sta frequentando il Master in Infermieristica Pediatrica). Il 50,6% degli infermieri (n=39) riferisce di aver ricevuto nuove nozioni sul posizionamento dei neonati negli ultimi 12 mesi. Le modalità di acquisizione delle ultime conoscenze maggiormente riportate sono state: la consulenza con il fisioterapista sul singolo bambino (33,9%), la formazione interna (24,2%), l’autostudio (lettura, consultazioni riviste scientifiche e altro) (21%), la partecipazione a conferenze, workshops e corsi di aggiornamento (17,7%). Tra gli infermieri che non hanno ricevuto nuove conoscenze sull'argomento negli ultimi 12 mesi, le motivazioni più frequenti sono state quella di non avere avuto nessuna opportunità (58,3%) e la mancanza di tempo (27,8 %). Altre motivazioni sono state l'aver focalizzato l’attenzione su altre aree di conoscenza (8,3%) e il ritenere di sapere già tutto il necessario sul posizionamento del neonato (5,6%). L’anzianità di servizio media è risultata sostanzialmente uguale tra chi si era aggiornato negli ultimi 12 mesi e chi non lo aveva fatto. La figura 1 mostra i risultati della domanda che chiedeva agli infermieri di indicare in ordine di utilità percepita (6 il più utile, 1 il meno utile) le diverse modalità formative possibili.

4

3

2

1

0

Consulenza con FT su singolo

bambino

Risorse audio-video

Auto-apprendimento

Conferenze e corsi

Incontri con il FT di reparto

Sensibilizzazione sull’argomento

altro

Figura 1: utilità percepita delle diverse modalità formative

La tabella 1 mette in evidenza i principali obiettivi, secondo gli infermieri, del posizionamento del neonato in TIN.

Le domande per analizzare le conoscenze specifiche sul posizionamento del neonato prevedevano risposte aperte. Per quanto riguarda la posizione per prevenire la SIDS, il 95.8% degli Infermieri ha risposto correttamente indicando la posizione supina. Gli infermieri che hanno risposto erroneamente indicando la posizione sul fianco (4.2%) avevano un’età media di servizio in TIN di 10 anni e nessuno aveva riferito di avere avuto nuove conoscenze sull'argomento negli ultimi 12 mesi. Per quanto riguarda la posizione utile a ridurre la plagiocefalia (appiattimento del cranio) occipitale destra, solo il 19.1% degli infermieri ha risposto correttamente indicando la posizione sul semifianco sinistro, mentre tra le risposte sbagliate le percentuali maggiori hanno indicato il fianco sinistro (36.2%) e la posizione supina (19.1%), seguite dalla posizione prona (8.5%), sul fianco (senza specificare il lato, 7.4%), sul fianco destro (6.4%) e infine semifianco destro (3.2%). Coloro che hanno anzianità di servizio inferiore a 12 anni rappresentano la

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maggioranza di coloro che hanno dato la risposta corretta. Per quanto riguarda la posizione per favorire l’organizzazione sulla linea mediana del neonato pretermine, il 74% ha risposto correttamente indicando la posizione sul fianco o semifianco alternato, con il contenimento attraverso l’utilizzo del “nido” (il rullino alto, di materiale vario -telini, ovatta, salviette di spugna morbida- che avvolge il neonato in modo circolare) o del “wrapping” (avvolgimento del neonato in un lenzuolino in posizione flessa e con le mani vicino al viso). Tra le risposte errate, il 14,3% ha indicato la posizione supina e l’11,7% quella prona. La tabella 2 evidenzia gli obiettivi che secondo gli infermieri della TIN si possono raggiungere con il posizionamento del neonato (domanda a risposta aperta, analisi testuale).

La tabella 3 riporta l'analisi testuale delle risposte alla domanda aperta riguardante le difficoltà incontrate nella pratica quotidiana nell'identificare gli obiettivi del posizionamento del neonato (44 risposte). La tabella 4 riporta l'analisi testuale delle risposte alla domanda aperta che chiedeva agli infermieri quali difficoltà incontrano nella pratica quotidiana nell'attuare la cura posturale. (62 risposte). La tabella 5 riporta l'analisi testuale delle risposte alla domanda aperta che chiedeva agli infermieri quali iniziative vorrebbero fossero attuate per migliorare le proprie abilità nell’attuare la cura posturale personalizzata (55 risposte).

Cure neonatali

97

n %

migliorare la ventilazione 33 19,3

promuovere lo sviuppo neuroevolutivo 28 16,4

evitare vizi posturali 20 11,7

prevenire le lesioni da decubito 18 10,5

stabilizzazione dei parametri 16 9,4

favorire le funzioni alimentari/digestive 15 8,8

favorire il benessere 11 6,4

attuare il contenimento corporeo 8 4,7

erogare assistenza personalizzata 6 3,5

ricreare l'ambiente uterino 6 3,5

prevenire la SIDS 5 2,9

ridurre il dolore 3 1,8

ridurre il dispendio di energie 2 1,2

Tabella 1: gli obiettivi del posizionamento del neonato secondo gli Infermieri

n %

Favorire la funzione respiratoria 28 16, 8

Favorire la funzione cardiocircolatoria 17 10,2

Favorire lo sviluppo neuromotorio 16 9,6

Favorire lo sviluppo neurocomportamentale 16 9,6

Ridurre lo stress 15 9

Evitare un “cattivo” posizionamento 15 9

Favorire la stabilità neurovegetativa 12 7,2

Favorire la cura personalizzata 12 7,2

Evitare le piaghe da decubito 6 3,6

Ricreare l’ambiente uterino 6 3,6

Promuovere il contenimento corporeo 5 3

Favorire il benessere 4 2,4

Favorire la crescita 4 2,4

Favorire la funzione sensoriale 4 2,4

Favorire la digestione e posizione anti-reflusso 2 1,2

Favorire il sonno 2 1,2

Favorire l’interazione con l’ambiente e genitori 1 0.6

Migliorare l’assistenza 1 0,6

Favorire un comportamento uniformato 1 0,6

Tabella 2: obiettivi del posizionamento del neonato, analisi testuale delle risposte aperte

Il 77.5% degli Infermieri dichiara di ritenersi soddisfatto rispetto alle proprie capacità nell’identificare i bisogni del posizionamento del neonato in TIN, mentre il 22,5% si ritiene soddisfatto solo parzialmente. Il 78,8% si ritiene soddisfatto delle proprie abilità nel posizionare il bambino mentre il 21,4% dichiara di esserlo solo parzialmente. L’analisi delle risposte a queste due ultime domande ha evidenziato che la percezione di soddisfazione degli infermieri era più alta tra coloro che avevano ricevuto nuove conoscenze sull’argomento nell’ultimo anno, anche se la differenza non è statisticamente significativa.

n %

Nessuna difficoltà 18 36,7

Mancate conoscenze 7 14,3

Scarsa collaborazione interprofessionale 7 14,3

Mancanza di tempo 3 6,1

Situazioni patologiche 3 6,1

Criticità respiratoria 2 4,1

Diagnosi incerta 2 4,1

Mancanza di spazio 2 4,1

Priorità di obiettivi 2 4,1

Presenza di drenaggi 1 2

Scelta della posizione in relazione all’età gest.le 1 2

Diversi pareri sul posizionamento da effettuare 1 2

Tabella 3: difficoltà incontrate nell’identificare gli obiettivi della cura posturale

n %

Mancanza di materiale adatto 20 22,2

Nessuna difficoltà 11 12,2

Mancanza di uniformità di conoscenze 11 12,2

Mancanza di tempo 10 11,1

Mancata comunicazione interprofessionale 9 10

Criticità del bambino 9 10

Plutinterventi di carattere medico 7 7,8

Carico di lavoro elevato 4 4,4

Mancanza di personale 3 3,3

Mancata sensibilizzazione all’argomento 3 3,3

Posizioni obbligate (ventilatore ad alta frequenza) 3 3,3

Tabella 4: difficoltà incontrate nell’attuare la cura posturale

n %

Incontri e collaborazione con il fisioterapista 20 22

Incontri periodici multidisciplinari 14 15,4

Corsi di aggiornamento 14 15,4

Aggiornamento interno 13 14,3

Discussione dei casi clinici sul posizionamento 11 12,1

Confronto tra professionisti 9 9,9

Riunioni di reparto 2 2,2

Programmaz. di posizionamento personalizzato 2 2,2

Congressi e conferenze 2 2,2

Miglior organizzazione delle procedure 1 1,1

Depliants illustrativi 1 1,1

Coinvolgimento dei genitori 1 1,1

Presidi adeguati e reperibili 1 1,1

Tabella 5: iniziative ritenute necessarie per migliorare le competenze nella cura posturale

Discussione Discussione Discussione Discussione La CP per i neonati ricoverati in TIN è un intervento transdisciplinare che coinvolge l’infermiere come principale gestore ed il fisioterapista nel suo ruolo di consulente e sostenitore attivo dell’accudimento abilitativo del bambino. L’indagine svolta nel 2004 in Canada (7) ha evidenziato la necessità di individuare il supporto formativo richiesto dagli infermieri stessi per poter svolgere in modo ottimale questo tipo di assistenza. La carenza di dati riguardanti la nostra realtà

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ha determinato la curiosità di studiare la realtà italiana, utilizzando un disegno di studio simile, con l’intento di favorire la collaborazione interprofessionale tra infermieri e fisioterapisti. Il metodo usato ha permesso di valorizzare le differenti opinioni degli infermieri in quanto il questionario prevedeva numerose domande a risposta aperta, che sono state ampiamente compilate dal campione arruolato, dando spunti per riflessioni interessanti. Per quanto riguarda gli obiettivi prioritari della CP, è risultato che gli infermieri hanno ben chiara l’utilità del posizionamento per la stabilizzazione dei parametri vitali del bambino (funzione respiratoria e cardiocircolatoria), che fa parte infatti degli obiettivi generali della CP. Allo stesso tempo hanno individuato gli obiettivi all’avanguardia del posizionamento dei neonati in TIN, in part icolare la promozione del lo svi luppo neurocomportamentale; ciò fa pensare ad una probabile partecipazione ad eventi formativi sulla “Developmental Care” di cui la CP è una parte fondamentale. Le TIN oggetto dello studio sono infatti molto attive in tal senso. Risulta invece più difficoltosa l’identificazione degli obiettivi specifici della CP per il singolo neonato e l’attuazione pratica del programma stabilito, aspetti che richiedono conoscenze più dettagliate ed aggiornate, oltre al supporto di un fisioterapista esperto e di prassi organizzative. E’ stato rilevato dallo studio che la metà degli infermieri ha ricevuto nuove conoscenze sul posizionamento nell’ultimo anno ed è stata rilevata una distribuzione tendenzialmente equa in relazione all’anzianità di servizio. Questo dato suggerisce che l’incompleta partecipazione agli eventi formativi non sembra essere correlato all’età, bensì a difficoltà di carattere organizzativo e di ordine personale. Nel primo caso è importante ricordare la scarsa opportunità di partecipazione agli eventi formativi segnalata dal 58,3% degli infermieri che non hanno ricevuto nuove conoscenze nell’ultimo anno, ad indicare una carenza dell'istituzione nell’offrire la condizione favorevole ad una partecipazione totale. Nel secondo caso è doveroso porre un’attenzione sulla sensibilizzazione alla formazione riguardo al

posizionamento del bambino: vi è un’alta percentuale di infermieri (36%) che dichiara di non avere alcuna difficoltà nell’individuare gli obiettivi del posizionamento per il neonato in TIN e nell’attuare la relativa cura posturale. Se da un lato ciò è indice di una sicurezza raggiunta, dall’altra il dato ci indirizza ad alzare l’attenzione al rischio di una standardizzazione delle abitudini assistenziali piuttosto che alla loro personalizzazione all’interno di un programma globale ed evolutivo. Inoltre, si può leggere una certa divergenza rispetto alla tendenza rilevata nello studio canadese (7) di un bisogno formativo atto a rafforzare, consolidare, e rinnovare le conoscenze acquisite sul posizionamento del neonato, come ad indicare un percorso formativo in continua evoluzione In relazione a questo è stata fatta ai partecipanti una domanda sulla SIDS che è un aspetto specifico della CP che rientra nell’obiettivo di promuovere la sicurezza del neonato. L’elevata percentuale di risposte corrette sul posizionamento per ridurre il rischio dell’evento (95,8%) dimostra una conoscenza ormai diffusa su tale argomento. E’ tuttavia interessante osservare che l’analisi dei dati suggerisce una correlazione tra il non aver risposto correttamente e il non aver ricevuto nuove conoscenze nell’ultimo anno. La percentuale delle risposte errate è sicuramente bassa, ma considerato l’importante ruolo dell’infermiere anche come educatore dei genitori e l’elevato rischio di SIDS legato anche alla posizione (11) è importante sottolineare la responsabilità, in termini formativi, dell’intero team neonatale. Un altro obiettivo generale della CP è prevenire le deformità osteoarticolari. A titolo di esempio, lo studio ha esaminato il problema della plagiocefalia occipitale (PO), anomalia cranica che si sviluppa -purtroppo ancora spesso- durante il ricovero del neonato in TIN a causa dell’insufficiente variazione nella posizione della testa (12); lo schiacciamento del cranio si presenta più frequentemente in TIN all’occipite destro, lato nella quale passano più tempo i neonati in quanto facilita la manualità degli operatori. Poiché i dati dello studio hanno rilevato una carenza nella conoscenza di questo problema (solo il 19% ne è a conoscenza), sarebbe utile,

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Cure neonatali

Postural care of newborns in the NICU: a study on Nurses’ educational needs Positioning the newborn is an important part of care in NICUs. Postural care has preventive, curative and rehabilitating goals. Nurses working in NICUs should have a specific knowledge about it, in order to facilitate adaptation, wellbeing and a correct development of functional competences in the newborn. Physiotherapists are experts of developmental care -a part of which is postural care- and support Nurses in their role of primary caregivers. Undergraduate nursing education in Italy generally does not offer a specific training on newborn postural care, therefore an analysis of educational needs of nurses working in NICUs was needed. Goals: to collect information about educational needs of Italian NICU Nurses about newborn positioning Materials and methods: Multicenter cross-sectional study. Population: all the nurses of three Italian NICUs. An anonymous questionnaire with closed and open questions (Perkins E; 2004) was administered. Results: 78 nurses answered the questionnaire (81.2%). Fifty % of them have got knowledge about newborn positioning in the last year. The main goals of newborn postural care in NICU as identified by respondents were: to facilitate ventilation (19.3%) and neuroevolutive development (16.4%); The main difficulties found in identifying the goals of postural care were: lack of knowledge (14.3%) and insufficient communication between professionals (14.3%). The main obstacles to the implementation of postural care in NICUs according to nurses were the lack of equipment and supplies (22.2%) and the lack of knowledge (12.2%). A relevant lack of knowledge about positioning of newborn to prevent occipital plagiocephaly emerged. Nurses manifested their need of an individualised professional advice for each newborn. Conclusions: Our study showed that Italian NICU Nurses express the need of a professional support with regards to postural care, and in particular the professional advice of a physiotherapist

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al fine di una pratica più avanzata, inserire le problematiche specifiche più importanti (SIDS, plagiocefalia occipitale, qualità dell’organizzazione posturo-motoria, ecc.) all’interno dei programmi formativi al fine di offrire un’opportunità per gli infermieri stessi di approfondire ulteriormente la loro cultura in materia. Per quanto riguarda le difficoltà nell’attuare la CP gli infermieri riferiscono una situazione di stress derivante dalle continue richieste e interruzioni legate alle procedure mediche, dalla mancanza di tempo sufficiente, di spazi e di materiali adatti che possono talvolta ostacolarne il lavoro, come evidenziato anche in letteratura (10). In relazione a queste ultime riflessioni, tra i possibili obiettivi da raggiungere con la CP è stata proposta anche la promozione dell’interazione con l’ambiente e i genitori. Gli scarsi apprezzamenti per il collegamento fra postura ed esperienze sensoriali e relazionali con i familiari (solo lo 0,6% ha segnalato questa risposta) suggeriscono il bisogno di una maggior sensibilizzazione da parte degli infermieri sul contributo della famiglia sia per lo sviluppo del neonato ma anche come risorsa per sostenere l’attuazione del programma stesso (13). Un’altra considerazione significativa che emerge dai risultati è che il 63, 9% degli infermieri identifica il FT come figura professionale di riferimento nella formazione e consulenza sulla cura posturale in TIN. Questi dati supportano il fatto che il fisioterapista è una figura professionale importantissima all’interno della TIN non solo per le situazioni patologiche, ma anche per la “Developmental Care” .

Dall’altro lato questi stessi dati, uniti ad una maggior richiesta di collaborazione interprofessionale, ci suggeriscono la necessità, da parte del fisioterapista che lavora in TIN, di interrogarsi sul suo compito di sostegno e consulenza al personale infermieristico per garantire la sua massima attenzione all’approccio interdisciplinare ed al prendersi cura dell’infermiere per gli aspetti che gli competono (caring for the caregiver), come parte dell’intervento fisioterapico indiretto mirato alla promozione della salute del neonato. Va ricordato che il campione di infermieri preso in esame proviene da reparti nei quali è prevista la presenza continuativa in TIN di un FT e che questo può aver influenzato i risultati. Allo stesso tempo le opinioni espresse dagli IP è un feedback gratificante per i FT nell’avere una conferma dell’utilità della figura nell’esperienza diretta. Infine, tra le proposte suggerite dagli infermieri per colmare la mancanza di conoscenze e aumentare le abilità nell’attuare la cura posturale è emersa la necessità, oltre agli incontri con il fisioterapista e di aggiornamenti interni, anche di riunioni multidisciplinari per discutere in gruppo i casi clinici e programmare l’assistenza in modo collegiale. Tutto ciò evidenzia un bisogno comunicativo che non solo mira a favorire un’assistenza di qualità in TIN ma anche a creare un clima più collaborativo, “a misura del neonato”.

ConclusioniConclusioniConclusioniConclusioni Il primo risultato positivo rilevato è stata l’ampia adesione allo studio e l’interesse dimostrato nei confronti dell’argomento, in considerazione anche delle ampie risposte date alle domande aperte. E’ stato, inoltre, importante aver coinvolto tre TIN diverse, poiché questo ha permesso di indagare tre gruppi di operatori e tre ambienti lavorativi differenti e quindi delineare un quadro più ampio e approfondito sul tema. Il neonato ricoverato è spesso lungodegente e trova nell’infermiere il principale caregiver quotidiano; il fisioterapista è l'esperto del “Developmental Care” di cui fa parte la cura posturale e fornisce il supporto e le consulenze personalizzate sul posizionamento all’infermiere, il quale, a sua volta, ne diventa il principale responsabile per la gestione. I dati rilevati mostrano un’alta percentuale d’infermieri che richiedono la consulenza diretta con il fisioterapista per il posizionamento del singolo bambino, e questo testimonia l'importanza della presenza di un fisioterapista all’interno di reparti critici come la TIN e dell’indispensabile collaborazione tra queste due figure professionali. Dai risultati è emerso un buon livello di conoscenza riguardo ai principi generali del posizionamento del neonato ricoverato in TIN e all’importanza che esso riveste nella cura assistenziale; ma dagli stessi sono state messe in evidenza anche le principali difficoltà nell’attuare la cura posturale che sono di tipo culturale (aspetti specifici del posizionamento), di ordine umano (collaborazione interprofessionale) e di ordine sistemico (reperibilità di materiale e risorse umane). L’esigenza formativa degli infermieri sul posizionamento del neonato in TIN richiede un passaggio obbligato da una formazione di base ad una consulenza diretta, continua e specifica con il fisioterapista per garantire omogeneità nei livelli di conoscenza degli infermieri e assicurare una

Cure neonatali

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cura posturale adeguata alle esigenze del bambino. La presenza di un fisioterapista in ogni TIN può essere quindi fondamentale per garantire un supporto culturale e pratico-operativo al personale infermieristico presente e per favorire una ricaduta sui comportamenti operativi e assistenziali. La formazione continua degli infermieri dovrà includere corsi sul posizionamento del neonato in TIN all’interno della quale inserire anche gli aspetti più specifici della cura posturale. Inoltre sarebbe utile realizzare in futuro anche le proposte avanzate dagli infermieri che hanno partecipato a questa indagine conoscitiva: organizzare delle riunioni di reparto dove sia possibile discutere dei casi o dove possano essere condivise le diverse problematiche; creare dei gruppi interdisciplinari che possano determinare dei programmi formativi su argomenti specifici come il posizionamento del neonato in TIN. Infine sarebbe importante sviluppare maggiormente, in modo operativo, il concetto di “famiglia TIN”, che prevede, nel rispetto dello stile e dei tempi individuali, la partecipazione dei genitori come caregivers attivi nelle cure al proprio bambino, e quindi la condivisione della gestione del programma della cura posturale evolutiva. In questo modo i genitori facilitano e supportano il lavoro dell’infermiere. Per garantire alti livelli di qualità dell'assistenza, è dunque fondamentale creare sempre nuove opportunità d’interscambio culturale e di collaborazione interprofessionale ed interpersonale.

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Cure neonatali

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La rivista "Infermieri dei Bambini -GISIP" prende volentieri in considerazione per la pubblicazione contributi originali su argomenti di infermieristica pediatrica e neonatologica. I lavori possono essere sotto forma di articoli di ricerca originale, revisioni della letteratura, esperienze professionali, lettere alla redazione ed ogni altro tipo di lavoro originale che fornisca un contributo utile per la pratica clinica degli Infermieri di area pediatrica. I manoscritti devono essere preparati seguendo le norme per gli Autori pubblicate di seguito, che sono conformi agli Uniform Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Editors editi a cura dell’International Committee of Medical Journal Editors (Ann Intern Med 1997;126:36-47). La redazione mette a disposizione il proprio supporto per la corretta preparazione dei manoscritti. Per contattare la redazione e riocevere informazioni al riguardo, inviare una email a [email protected]. I lavori devono essere preparati in italiano ed inviati per posta elettronica all'indirizzo email [email protected] Il testo dovrà essere preparato in formato .doc o .rtf. I lavori sottoposti a "Infermieri dei Bambini -GISIP" verranno inviati per la valutazione ad esperti esterni. Gli autori riceveranno una notifica di ricevimento dell'articolo e, non appena disponibile, il giudizio dei revisori e la decisione dell'editore. I manoscritti sottoposti a "Infermieri dei Bambini -GISIP" non devono essere già stati pubblicati e, se accettati, non dovranno essere pubblicati altrove né integralmente né in parte. Tutto il materiale iconografico deve essere originale. L’iconografia tratta da altre pubblicazioni deve essere corredata dal permesso dell’editore. La rivista recepisce i principi della Dichiarazione di Helsinki e tutte le ricerche sottoposte alla redazione che coinvolgano esseri umani devono essere state condotte in conformità ad essi. Dopo l'accettazione tutti gli autori dovranno inviare alla redazione la seguente dichiarazione: "I sottoscritti autori trasferiscono la proprietà dei diritti di autore alla rivista Infermieri dei Bambini -GISIP, nella eventualità che il loro lavoro sia pubblicato sulla stessa rivista. Essi dichiarano che l’articolo è originale, non è stato inviato per la pubblicazione ad altra rivista, e non è stato già pubblicato. Essi dichiarano di essere responsabili della ricerca, che hanno progettato e condotto e di aver partecipato alla stesura e alla revisione del manoscritto presentato, di cui approvano i contenuti. Dichiarano inoltre che la ricerca riportata nel loro lavoro è stata eseguita nel rispetto della Dichiarazione di Helsinki". I manoscritti dovranno essere redatti con spaziatura doppia in carattere 12, non dovrà superare le 20 cartelle e non dovrà contenere più di 60 citazioni bibliografiche. L’articolo deve essere di norma suddiviso nelle sezioni: introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione, conclusioni. Nell’introduzione sintetizzare chiaramente lo scopo dello studio. Nella sezione dei materiali e metodi descrivere in sequenza logica come è stato impostato e portato avanti lo studio. Nella sezione dei risultati dare le risposte alle domande poste nell’introduzione. I risultati devono essere presentati in modo completo, chiaro, conciso eventualmente correlati di figure, grafici e tabelle. Nella sezione discussione riassumere i risultati principali, analizzare criticamente i metodi utilizzati, confrontare i risultati ottenuti con gli altri dati della letteratura, discutere le implicazioni dei risultati. Le revisioni devono trattare un argomento di attualità ed interesse, presentare lo stato delle conoscenze sull’argomento, analizzare le differenti opinioni sul problema trattato, essere aggiornato con gli ultimi dati della letteratura. Ogni manoscritto dovrà includere, nella pagina iniziale, l'indicazione del nome e cognome di tutti gli autori, dell'istituzione di appartenenza, il nome, indirizzo, numero telefonico e e-mail dell’autore al quale dovranno essere inviate la corrispondenza, riferimenti di eventuali Congressi ai quali il lavoro sia già stato presentato, menzione di eventuali finanziamenti ricevuti, ringraziamenti. Dovrà essere anche preparato un riassunto di circa 200 parole contenente gli elementi più importanti del lavoro presentato. La bibliografia deve comprendere i soli lavori citati nel testo. Va numerata con numeri arabi in ordine consecutivo di prima citazione nel testo. Il richiamo delle voci bibliografiche nel testo deve essere fatto con numeri arabi posti tra parentesi. La bibliografia deve essere citata nello stile standardizzato approvato dall’International Committee of Medical Journals Editors. Per ogni voce bibliografica si devono riportare il cognome e l’iniziale del nome degli Autori (elencare tutti gli Autori fino a sei, se sette o più elencare solo i primi sei nomi seguiti da: et al.), il titolo originale dell’articolo, il titolo della rivista (attenendosi alle abbreviazioni usate dall’Index Medicus), l’anno di pubblicazione, il numero del volume, il numero di pagina iniziale e finale. Nelle citazioni bibliografiche seguire attentamente la punteggiatura standard internazionale come esemplificato di seguito: Esempio: Palese A, Lamanna F, Di Monte C, Calligaris S, Doretto M, Criveller M. Quality of life in patients with right- or left-sided brain tumours: literature review. J Clin Nurs 2008;17:1403-10.

Per pubblicare su INFERMIERI DEI BAMBINI - GISIP - Istruzioni per gli autori

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Educazione sanitaria

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Il notevolissimo aumento delle malattie croniche, anche in età pediatrica, determina la necessità di dotarsi di strumenti di educazione terapeutica che permettano la comprensione e la gestione dell’evento cronico da parte del bambino e della famiglia. In questo modo potrà essere garantita la tutela del diritto a scelte consapevoli e responsabili, mantenendo e sviluppando l’autonomia delle decisioni. Nei pazienti affetti da malattie croniche può essere difficile ottenere un'adesione prolungata ai trattamenti (1). L’applicazione di uno strumento di educazione terapeutica in ambito pediatrico può agevolare la verifica dell’aderenza al trattamento e migliorare il coinvolgimento del bambino e della famiglia nella gestione della terapia farmacologica (2). Scopo di questo studio è valutare l’efficacia di un programma educativo per l’autogestione dei farmaci a domicilio (in particolare dei farmaci immunosoppressori come il methotrexate e di farmaci biologici come l’etanercept e l’anakinra) in un gruppo di pazienti pediatrici affetti da AIG (3,4).

Materiali e metodiMateriali e metodiMateriali e metodiMateriali e metodi Sono stati inclusi nello studio 60 pazienti affetti da malattie reumatiche, ed in particolare da Artrite Idiopatica Giovanile (AIG), afferenti all’Unità Operativa Pediatria II dell’Istituto G. Gaslini, in regime di ricovero ordinario. I pazienti selezionati dovevano soddisfare i seguenti criteri di inclusione: 1. età uguale o inferiore ai 18 anni 2. diagnosi di AIG 3. paziente in terapia con particolari farmaci quali il methotrexate ed i farmaci biologici 4. paziente in regolare follow-up 5. presenza di almeno un genitore durante il trattamento Ai genitori dei pazienti e, in base all’ età, ai paziente stessi è stato presentato l’obiettivo dello studio ed è stato chiesto il consenso informato alla partecipazione. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi (sperimentale e controllo) per mezzo di randomizzazione con tecnica dei numeri casuali. Nel gruppo sperimentale sono stati valutati i bisogni educativi attraverso un colloquio (alla presenza dei

Lo sviluppo di programmi educativi rivolti al Lo sviluppo di programmi educativi rivolti al Lo sviluppo di programmi educativi rivolti al Lo sviluppo di programmi educativi rivolti al paziente e alla famiglia per la gestione in paziente e alla famiglia per la gestione in paziente e alla famiglia per la gestione in paziente e alla famiglia per la gestione in sicurezza delle malattie reumatiche insicurezza delle malattie reumatiche insicurezza delle malattie reumatiche insicurezza delle malattie reumatiche infantilifantilifantilifantili

Laura Tibaldi

Annamaria Bagnasco

Stella Serpico

Loredana Sasso

Università degli Studi di Genova [email protected]

AbstractAbstractAbstractAbstract

Questo studio ha valutato l’impatto di un programma educativo applicato in ambito pediatrico a bambini affetti da Artrite Idiopatica Giovanile (AIG), in particolare per l’autogestione del trattamento a domicilio con farmaci di secondo livello quali il methotrexate ed i farmaci biologici. L’AIG è una patologia che ha profonde ripercussioni sulla qualità della vita dei pazienti e sull’equilibrio dell’intero nucleo familiare. I bambini che ne sono affetti infatti, devono affrontare quotidianamente i problemi del dolore cronico, delle limitazioni funzionali e modifiche di immagine corporea secondarie alle deformità articolari e alla terapia erogata. L’impostazione di un piano di cura integrato multiprofessionale condiviso in grado di mobilitare la compliance del bambino e dei genitori al trattamento erogato può assumere grande rilievo per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici. I risultati confermano l’efficacia del self-management nella gestione del trattamento a domicilio con farmaci di secondo livello anche in età pediatrica attraverso l’applicazione di un programma educativo. Investire nell’educazione terapeutica può rappresentare un modo per incrementare l’efficacia delle cure prestate nella pratica clinica.

Developing educational programmes for children with juvenile rheumatic diseases and their families This study evaluated the impact of an educational programme for children with idiopathic juvenile arthritis (IJA) and their families, in particular to improve home self-management of second level treatments such as methotrexate and biological drugs. IJA affects deeply the quality of life of patients and the functioning of the entire family. Children with IJA have to deal every day with the problems caused by chronic pain, functional limitations and body image alterations, due to joint deformities and to treatments themselves. The implementation of a multiprofessional, integrated care plan in order to improve the child's and family's adherence to treatments may have a significant relevance for achieving the therapeutic goals. The results of our study confirm the efficacy of home self-management of treatments also in paediatric patients, by means of an educational programme. Investing in therapeutic education may represent a way to improve the effectiveness of treatments.

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Educazione sanitaria

genitori dei minori) della durata di circa mezz’ora rivolto ad ogni paziente e/o genitore di paziente con AIG. I dati emersi sono stati documentati sulla scheda e archiviati in cartella. L’intervento educativo è stato condotto da un’infermiera addestrata in un luogo appositamente dedicato. Poiché i pazienti selezionati per questo studio dovevano, per la loro patologia, effettuare particolari terapie (farmaci di secondo livello quali methotrexate, thalidomide e/o farmaci biologici), per ogni principio attivo è stata utilizzata una scheda specifica che raccogliesse i seguenti dati: - formula farmaceutica del prodotto - posologia, modo tempi di somministrazione - effetti indesiderati - interazioni farmacologiche - modalità di conservazione del farmaco I contenuti informativi e formativi del programma educativo sono stati strutturati su conoscenze necessarie ad acquisire abilità e competenze come l’uso sicuro dei farmaci e l’utilizzo di presidi nel quotidiano (5,6). La realizzazione del processo educativo e lo sviluppo del programma correlato è avvenuta in due incontri complessivi, il primo per verificare tutti i punti ritenuti necessari, il secondo incontro per ottimizzare la gestione della terapia a domicilio e quindi mirato in particolar modo alla verifica della conoscenza e della abilità del genitore e/o paziente stesso. Gli effetti dell'intervento sono stati misurati attraverso il questionario multidimensionale Juvenile Arthritis Quality of Life Questionnaire (JAQQ) (7), che è stato somministrato ai soggetti reclutati di entrambi i gruppi (sperimentale e controllo) al momento dell'arruolamento ed alla conclusione Il JAQQ è uno strumento validato, semplice, comprensibile e compilabile dai genitori o dai bambini in poco tempo, applicabile a soggetti con un ampio range di età ed ad una popolazione eterogenea. Il questionario viene fatto compilare dai genitori (da uno solo quando non sono presenti entrambi) e dal bambino quando è in grado di leggere e scrivere e comprende le sue difficoltà. Le domande contenute nel questionario, sono prevalentemente indirizzate ad esplorare diversi aspetti della vita del bambino; dallo stato di malattia all’impatto che questa ha sulla sua vita, agli aspetti psicologici, a quelli sociali, alla sua qualità di vita, alla valutazione del dolore, alle difficoltà scolastiche, al benessere globale. Viene chiesto a chi compila di dare la risposta che meglio descrive le difficoltà, le limitazioni, le ansie causate dalla malattia presenti nel momento attuale. Il questionario è costituito da tre sezioni di items aggregabili in tre diverse aree identificabili come “socio-psicologica”, dei “sintomi sistemici” e del “controllo del dolore”. La prima sezione comprende una valutazione dell’aspetto psicologico e sociale e indaga sulla possibilità che la patologia produca problemi nell’attività scolastica; la sezione comprende 22 domande con un range di valori possibili tra 0 e 7, dove 7 significa disagio/difficoltà massimo e un punteggio minore indica disagio/difficoltà minore. La seconda sezione comprende 19 domande ed è centrata sulla valutazione del livello di attività di malattia (definito come insieme di sintomi di febbre, gonfiore delle

articolazioni, rigidità mattutina, etc.), ed effetti collaterali del trattamento in atto con range di valori possibili tra 0 e 7, dove 7 significa disagio/difficoltà massimo e un punteggio minore indica disagio/difficoltà minore. Nel questionario è compresa, nella terza sezione, la valutazione dell’intensità del dolore su una scala analogica-visiva (VAS visual analogue scale) lineare di 10 cm delimitata alle due estremità, che viene contrassegnata alla lunghezza corrispondente al giudizio. L’utilizzo di questo tipo di scala può presentare il rischio di accumulare i punteggi all’estremità della scala stessa, tuttavia l’utilizzo dello strumento è semplice, indipendente dalla lingua e facilmente ripetibile. I pazienti inseriti nello studio sono stati valutati attraverso l’utilizzo della scheda unica di terapia e della scheda di rilevazione del programma educativo; quest’ultima viene utilizzata per ogni paziente cronico preso in carico dall’Istituto Gaslini, secondo gli standard utilizzati e coerenti con quanto previsto da Joint Commission International. I dati sono stati analizzati con il software statistico SPSS 15.0 per Windows. Sono state analizzate le differenze tra i punteggi JAQQ ottenuti all'inizio e alla fine dello studio nei due gruppi (sperimentale e di controllo). Si è applicata una procedura statistica di tipo descrittivo, con la valutazione delle frequenze e delle percentuali di risposta alle domande del questionario e di tipo inferenziale, specificata laddove applicata.

RisultatiRisultatiRisultatiRisultati Hanno risposto al questionario 60 soggetti (100% di risposta), di cui il 50% maschi (P=ns), con un età media di 11.9 anni (range 3-17 anni). Non è risultata una differenza significativa tra i due gruppi nei punteggi JAQQ alla valutazione iniziale (P=ns). I pazienti che hanno ricevuto il trattamento di educazione terapeutica presentano, nella valutazione effettuata a 3 mesi, una riduzione statisticamente significativa di alcune variabili indicanti difficoltà, limitazioni e ansie causate dalla malattia stessa (Tabelle 1 e 2) E’ stato effettuato il t-test per campioni indipendenti per la variabile età rispetto al sesso, il valore del p risulta non significativo. Non sono state rilevate differenze in relazione al sesso.

DiscussioneDiscussioneDiscussioneDiscussione Questo studio ha valutato prospetticamente l’efficacia di un programma educativo per l’autogestione del trattamento a domicilio con farmaci di secondo livello

pre post p

Area socio-psicologica 40.03 35.23 ns

Area sintomi sistemici 53.43 39.23 0.002

Area controllo del dolore 9.73 5.97 0.002

Tabella 1: punteggi JAQQ medi pre e post nel gruppo sperimentale

pre post p

Area socio-psicologica 47.67 48.00 ns

Area sintomi sistemici 55.03 54.30 ns

Area controllo del dolore 8.87 9.60 ns

Tabella 2: punteggi JAQQ medi pre e post nel gruppo di controllo

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quali il methotrexate ed i farmaci biologici in un gruppo di pazienti pediatrici affetti da AIG, Lo studio conferma l’efficacia del self-management nella gestione del trattamento a domicilio con farmaci di secondo livello anche in età pediatrica attraverso l’applicazione di un programma terapeutico educativo. La maggior parte degli studi disponibili si sono occupati dell’efficacia dei trattamenti e delle strategie per migliorarla, mentre sono pochi quelli che hanno confrontato il trattamento con gli outcomes. In questo studio si dimostra che è possibile comparare l’adesione al trattamento con il miglioramento di alcuni outcomes quali il miglioramento globale ed il controllo del dolore. Questa valutazione risulta particolarmente importante in quanto è difficile ottenere l’adesione ai trattamenti in maniera costante e per lunghi periodi così come è auspicabile nei pazienti affetti da malattie croniche. L’intervento educativo migliora l’aderenza al trattamento ed in particolare il trattamento del dolore nel bambino e il suo coinvolgimento nella responsabilità dei trattamenti farmacologici. I risultati del nostro studio suggeriscono che esistono importanti differenze tra il paziente cronico adulto e il bambino con patologia cronica, sia per le differenti caratteristiche socio-cognitive, sia per il necessario coinvolgimento il nucleo familiare nel programma educativo. Gli Infermieri che operano con i pazienti cronici pediatrici devono essere in possesso di una conoscenza pedagogica specifica dell’età evolutiva, che include la conoscenza e l’applicazione di specifiche e differenziate strategie educative. Un altro aspetto importante che è emerso dallo studio consiste nella possibilità di incoraggiare e insegnare ad un bambino a porre domande sulla sua malattia. L’infermiere può avere un ruolo chiave nel favorire il passaggio di competenze nella gestione dei farmaci dai genitori al bambino stesso o in collaborazione bambino/genitore. Conclusioni Il nostro studio suggerisce che investire nell’educazione terapeutica può rappresentare un modo per incrementare l’efficacia delle cure prestate nella pratica clinica. Per aumentare l’aderenza al trattamento nei problemi di salute cronica, monitorizzare e misurare alcuni outcomes clinici come ad esempio il contenimento del dolore in relazione al trattamento farmacologico, contribuisce alla definizione dei benefici dell’educazione terapeutica anche in ambito pediatrico.

La realizzazione di interventi educativi dovrebbe in ogni caso essere contestualizzata all’interno di sistemi di cura organizzati ed integrati che comportino la periodica e strutturata valutazione dei pazienti e dei processi di cura. Nell’applicazione di programmi educativi in ambito pediatrico la scarsità di esperienze disponibili in letteratura sembra evidenziare ancora difficoltà dovute in parte alla mancanza di una visione globale delle variabili legate al bambino e all’adolescente sul piano della programmazione dell’assistenza, ed in parte legate ad uno scarso coordinamento o divisione tra le attività di ricerca e le attività assistenziali. (8,9) Lo studio suggerisce quindi la necessità che siano individuati ambiti e setting clinico assistenziali nei quali sia possibile progettare e attivare programmi, sistemi e contesti educativi al fine di contribuire a dare maggiore sviluppo e tracciabilità all’educazione terapeutica in pediatria. In particolare alta priorità dovrebbe essere data alle ricerche finalizzate allo sviluppo di attività di farmacovigilanza, con impatto nella formazione, nella pratica clinica, nelle attività di ricerca dei professionisti e agli studi che perseguono innovazioni per aiutare i pazienti pediatrici cronici nella gestione autonoma dei problemi correlati alla loro patologia.

BibliografiaBibliografiaBibliografiaBibliografia 1- Berri D., Courtenay M., Bersellini E. Attitudes towards, and information needs in relation to, supplementary nurse prescribing in the UK: an empirical study. J Clin Nurs 2006, 15: 22-28. 2- Costello I., Wong I.C. K., Nunn J. A literature review to identify interventions to improbe the use of medicines in children” Child Care Health Dev 2004; 30: 647-665 3- Buoncompagni A. Loy A., Picco P. , Viola S. , Martini A. L’artrite idiopatica giovanile. Area Pediatrica 2008 4- Petty RE, Southwood TR, Manners P. et al. International League of Association for Rheumatology classification of juvenile idiopatic arthritis: second revision. J Rheumatol 2004; 31:390-2. 5- Florin J., Ehrenberg A., Ehnfors M. Patient participation in clinical decision-making in nursing: a comparative study of nurses’ and patients’ perceptions. J Clin Nurs 2006; 15:1498-1508 6- D’Ivernois J.F., Gagnayre R. Educare il paziente un approccio pedagogico Milano, Mc Graw Hill, 2006 7- Duffy CM, Arsenault L, Duffy KN, Paquin JD, Strawczynski H. The Juvenile Arthritis Quality of Life Questionnaire--development of a new responsive index for juvenile rheumatoid arthritis and juvenile spondyloarthritides. J Rheumatol 1997;24(4):738-46. 8- Hbden A. Strategies to promote concordance within consultations. Brit J Commun Nurs 2006; 11: 286 289 9- Feldman D., De Civita M., Dobkin P., Malleson P., Duffy C. Effects of adherence to treatment on short.term outcomes in children with juvenile idiopathic arthritis. Arthritis Rheum. 2007;57(6):905-12

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Gli errori medici continuano a dominare le testate dei giornali e negli ultimi anni sono stati oggetto di indagine da parte di commissioni governative (1,2). Anche se esistono moltissime raccomandazioni volte a minimizzare l’incidenza di eventi avversi, i dati disponibili dicono che non stiamo riducendo il tasso di errori. Una revisione del 2001 (3) su 1.014 casi ha evidenziato che l’11% dei pazienti ha sperimentato un evento avverso e che in più della metà dei casi si trattava eventi ritenuti largamente prevedibili secondo i normali standard di cure. Infine, un terzo di questi eventi ha portato a disabilità o morte.

Nel 2004 si è stimato che in Gran Bretagna gli errori di terapia costituiscano il 10-20% di tutti gli eventi avversi con danno o morte e costano al Servizio Sanitario Nazionale Inglese tra i 200 e i 400 milioni di sterline. Il numero attuale dei danni e delle morti dovute ad errori di terapia nel Regno Unito è sconosciuto, poiché è ancora predominante una cultura della colpa che rende difficile la segnalazione degli errori (4). Nel tentativo di incoraggiare la segnalazione degli errori, è stata creata nel 2001 l’Agenzia per la sicurezza del paziente (National Patient Safety Agency, NPSA). Lo scopo di quest’organo è quello di raccogliere ed analizzare le segnalazioni di errori per imparare da questi e di identificare soluzioni che riducano la possibilità che tali errori si verifichino di nuovo. La NPSA mira a stimolare il passaggio, nelle organizzazioni sanitarie, dalla colpevolizzazione degli individui che hanno commesso

un errore alla comprensione degli anelli deboli del sistema che in molti casi sono alla base di tali errori (5). I neonati prematuri sono particolarmente a rischio di incorrere errori di terapia (6). Nel 2001 Kaushal ha stimato che gli errori con danno al paziente ricorrono otto volte più spesso in terapia intensiva neonatale rispetto ai pazienti adulti ricoverati in ospedale (7). Nei reparti di terapia intensiva neonatale, anche se gli errori nel dosaggio, nella prescrizione e nello stoccaggio sono i più comuni, c’è un alto rischio di errori di somministrazione con conseguenze gravi per la salute, in particolar modo le somministrazioni di farmaci per la via errata. Questo articolo illustra i cambiamenti che sono stati apportati alla pratica clinica in un reparto di terapia intensiva neonatale inglese, sulla base di una revisione della letteratura sugli errori di via di somministrazione

Errori di via di somministrazioneErrori di via di somministrazioneErrori di via di somministrazioneErrori di via di somministrazione La pubblicazione “Un'organizzazione con la memoria” (1) descrive un incidente fatale nel quale il chemioterapico vincristina è stato somministrato per errore per via intratecale (8). Descrive però anche casi in cui la nutrizione enterale è stata somministrata per via endovenosa anziché attraverso il sondino nasogastrico (9,10). Una delle cause maggiori degli errori di somministrazione nella via errata è causato dall’uso delle siringhe per uso endovenoso nella misurazione e somministrazione per os di farmaci in forma liquida (2). Negli Stati Uniti gli errori di via di somministrazione sono

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Sicurezza del paziente

Ridurre il rischio di misconnessioni e gli errori Ridurre il rischio di misconnessioni e gli errori Ridurre il rischio di misconnessioni e gli errori Ridurre il rischio di misconnessioni e gli errori di via di somministrazione in TINdi via di somministrazione in TINdi via di somministrazione in TINdi via di somministrazione in TIN

Louise Bridge University Hospital of Wales, Cardiff and Vale

AbstractAbstractAbstractAbstract

I pazienti ricoverati in terapia intensiva neonatale sono particolarmente a rischio di errori, a motivo della loro fragilità, vulnerabilità e per la complessità dei farmaci e degli altri trattamenti somministrati. Alcuni errori sono stati ben documentati in letteratura, in particolare gli errori connessi alla somministrazione di farmaci ed alla nutrizione entrale. Nel 2005 il reparto di terapia intensiva neonatale dell’Ospedale di Cardiff ha intrapreso un progetto di miglioramento della pratica clinica che permette di evitare gli errori di somministrazione per la via errata e che garantisce standards di sicurezza maggiori ai bambini che necessitano di nutrizione entrale e farmaci. In occasione di una revisione di routine delle metodologie utilizzate a livello dipartimentale è stata effettuata una revisione delle evidenze disponibili a supporto della pratica clinica. Sono state introdotto nuove siringhe orali e per uso enterale colorate secondo un codice colore, da usare in combinazione con un nuovo modello di sondino nasogastrico. Attraverso la promozione delle buone pratiche condivisa con altri colleghi, il personale addetto all’assistenza ha lavorato sulla standardizzazione delle modalità di erogazione delle cure allo scopo di rendere minimo il rischio di somministrazioni per la via errata.

Reducing the risk of wrong route errors Infants in the neonatal intensive care unit are at particular risk from clinical errors because of their fragility and vulnerability, as well as the complex nature of medication and other treatment regimes. Wrong route errors have been well documented, particularly related to enteral nutrition and medication. Published guidance for preventing such errors should inform changes in practice at the local level. In 2005, the Regional Neonatal Intensive Care Unit at the University Hospital of Wales Cardiff undertook a change in clinical practice to improve standards of care for all babies requiring enteral nutrition and medication, thus reducing the risk of a wrong route error. A routine revision of departmental policy resulted in a review of available evidence to inform the practice changes. Colour-coded enteral/oral syringes with a new style nasogastric tube were introduced. By promoting best practice through networking with other colleagues, staff have worked towards standardising the delivery of care in order to minimise the risk wrong route errors.

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largamente descritti: Suresh ed altri nel 2004 (11) hanno sottolineato che il design del sondino nasogastrico, delle siringhe e delle vie endovenose è un fattore predisponente a questi tipi di errore. Gli autori sottolineano la necessità di sistemi di somministrazione che impediscano alle pompe per l’alimentazione e alle relative prolunghe di essere connesse ai presidi per la somministrazione endovenosa: i presidi utilizzati per la somministrazione in vie diverse -dunque- devono essere incompatibili tra loro. La pratica comunemente diffusa prevede l’uso di siringhe chiare per la somministrazione di farmaci sia per via enterale che per via endovenosa (figura 1). Siccome le siringhe sono compatibili con la via endovenosa, esiste il rischio che sia la nutrizione enterale che i farmaci enterali possano essere somministrati nel circuito endovenoso per errore. Il ministero della salute britannico ricorda che "Sebbene gli individui siano responsabili delle proprie azioni, gli errori gravi sono spesso causati da un più esteso problema dell’intero sistema che rimane allungo silente, fino a quando non si combina con l’errore umano, concorrendo al verificarsi di un grave incidente” (1).

Casi reali e lezioni imparateCasi reali e lezioni imparateCasi reali e lezioni imparateCasi reali e lezioni imparate Un articolo del 1989 (9) descrive un caso in cui la nutrizione entrale è stata aggiunta ad una sacca contenente una soluzione parenterale. L’errore è stato intercettato prima che la soluzione enterale raggiungesse il sistema circolatorio del paziente, tuttavia le conseguenze di questo tipo di errore sarebbero potute essere fatali. Emulsioni grasse endovenose -come per esempio l’intralipid- sono simile per colore e consistenza al latte per uso enterale nel neonato; entrambi sono spesso somministrati in infusioni continue e la sospensione del flusso avviene spesso con manovre sulla stessa asta e sullo stesso tipo di pompa. Per questo, potrebbe essere opportuno introdurre uno specifico modello di pompa per la nutrizione entrale in continuo allo scopo di minimizzare il rischio di misconnessione della nutrizione entrale nel circuito endovenoso. In un altro articolo viene riferito di un caso nel quale sono stati somministrati ad un bambino prematuro 10 ml di latte materno per via endovenosa; fortunatamente il neonato è sopravvissuto all’incidente (10). Sono stati documentati altri 8 incidenti simili, che si sono però rivelati fatali per tre bambini. Attraverso la valutazione del rischio e l’analisi dei fattori contribuenti è emerso che la somministrazione accidentale del latte materno o artificiale per via endovenosa poteva essere evitata mediante l’uso di set per la somministrazione enterale colorati in modo differente e con connessioni luer invertite e non compatibili con gli accessi venosi utilizzate per le infusioni ev (10). Gia nel 2000 il Ministero della Salute britannico ha

raccomandato di identificare i circuiti da infusione a rischio di errore di misconnessione, attraverso la mappatura e la gestione del rischio, allo scopo di permettere al governo clinico di ogni struttura di eliminare questi circuiti, riducendo così il rischio potenziale di danno. Nel 2002, in un ospedale del Galles, si è verificato un errore catastrofico di somministrazione nella via errata che ha provocato la morte di un bambino di sei settimane. Dopo l’intervento chirurgico l’anestesista avrebbe dovuto insufflare aria all’interno del sondino nasogastrico del bambino, ma l’aria è stata accidentalmente iniettata nella linea endovenosa. L’inchiesta, terminata nel 2006, ha concluso che l’errore si era verificato perché il tipo di siringa che era stato usato era compatibile sia con il sondino nasogastrico che con gli accessi venosi. E’ stato riconosciuto il fatto che i presidi necessari per prevenire questo tipo di errori erano disponibili, ma non vi era una larga diffusione di questi all’interno di tutti gli ospedali del sistema sanitario (12). Gli errori di via di somministrazione sono documentati anche nei pazienti adulti (13-15). Tuttavia, sebbene questi casi siano stati resi noti e siano state emanate numerose raccomandazioni in proposito, sembra che pochi servizi appartenenti al sistema sanitario nazionale abbiano modificato la loro pratica clinica. La NPSA ha recentemente pubblicato una linea guida per la somministrazione in sicurezza dei farmaci per via orale ed enterale (16).

Cambiamento della prCambiamento della prCambiamento della prCambiamento della praticaaticaaticaatica Nel 2002 abbiamo effettuato una revisione della letteratura esistente sugli errori di via di somministrazione ed abbiamo analizzato i protocolli in uso nel nostro dipartimento per assicurare un’assistenza basata sulle prove scientifiche di efficacia. Abbiamo avviato un processo di cambiamento che ha coinvolto sia la formazione dello staff addetto

Sicurezza del paziente

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Fig. 1: Raccordo luer normale per somministrazione ev

Maschio (linea infusiva o siringa) Femmina (accesso venoso)

Fig. 2: Raccordo luer invertito per somministrazione enterale

Femmina (siringa o linea infusiva)

Maschio (accesso enterale)

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all’assistenza sia investimenti economici per l’acquisizione di nuovi dispositivi. Nella TIN dell’Ospedale di Cardiff abbiamo stabilito di limitare l’utilizzo di siringhe chiare con luer standard esclusivamente alle somministrazioni per via endovenosa. Le siringhe per qualsiasi tipo di somministrazione enterale (farmaci e alimenti) sono colorate con un colore ben evidente. Queste siringhe, oltre ad essere visivamente evidenti, hanno un luer (maschio-femmina) invertito rispetto alle linee endovenose (figura 2) e riducono al minimo il rischio che farmaci o latte siano accidentalmente somministrati per via endovenosa. Per permettere che le siringhe colorate si possano connettere al sondino nasogastrico è stato anche necessario abbandonare l’uso del vecchio tipo di sondino nasogastrico e introdurre l'uso di un nuovo modello di sondino con l’attacco compatibile alle nuove siringhe (figura 3). Le connessioni sono invertite rispetto alle linee per la somministrazione endovenosa (16). Un articolo del 2006 riporta un simile cambiamento nella pratica in un ospedale della California e suggerisce che lo stimolo al cambiamento è derivato essenzialmente dall’analisi degli errori di via di somministrazione verificatisi negli altri ospedali (17).

ConclusioniConclusioniConclusioniConclusioni Sono disponibili pochi dati circa l’incidenza degli errori di via somministrazione a livello locale; per questo motivo non è ancora possibile comparare i risultati dei nuovi presidi recentemente adottati ai presidi tradizionali precedentemente in uso. Tuttavia la letteratura che riporta casi di errori di via di somministrazione identifica come intervento prioritario la progettazione di un sistema sicuro ed efficace che possa prevenire questo tipo di errore; il sistema introdotto nella TIN dell’ospedale di Cardiff è uno di questi sistemi di prevenzione. Questa pratica maggiormente sicura non dovrebbe essere ristretta soltanto ai neonati od ai pazienti pediatrici, ma deve essere estesa a tutti i pazienti. Le raccomandazioni del 2007 della NPSA (16) stilate per guidare il cambiamento dei presidi utilizzati nella pratica clinica, necessitano di essere ulteriormente ampliate, con un successivo monitoraggio dell’incidenza degli errori di via, al fine di garantire l’efficacia dei cambiamenti che vengono suggeriti. Su licenza di Royal College of Nursing Publishing Company. Paed Nurs 2007; 19 (6): 33-35.

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Sicurezza del paziente

Fig. 3: sondino nasogastrico con luer invertito

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L’articolo 12 della convenzione ONU sui diritti del bambino stabilisce che al punto di vista dei bambini deve essere data attenzione secondo il grado di maturità raggiunto. Questo, tuttavia, non significa che la decisione del bambino venga recepita o che la responsabilità di prendere la decisione venga trasferita completammente al bambino (1,2). Il processo di inclusione del bambino nella discussione e nelle decisoni sulla propria salute rischia di essere un gesto simbolico con un impatto minimo sulla decisione finale. I diritti dei bambini, la loro capacità di acconsentire a i trattamenti ed il loro coinvolgimento nelle decisioni riguardanti la loro salute hanno ricevuto una discreta attenzione negli ultimi anni. Se i professionisti sanitari sono convinti dell’importanza dei diritti dei bambini è più probabile che siano propensi a promuoverli in modo attivo (3) senza compromettere il ruolo dei genitori (4). Tuttavia non c’è ancora chiarezza riguardo al diritto di un bambino di decidere, e gli infermieri possono non aver chiaro fino a che punto i bambini possono e devono essere coinvolti nella presa di decisioni. Questo articolo prenderà in esame fino a che punto il bambino può essere coinvolto nel processo di presa di decisioni e prenderà in esame la necessità di un approccio più strutturato al problema in modo da migliorare la pratica clinica.

Dare voce ai bambiniDare voce ai bambiniDare voce ai bambiniDare voce ai bambini Storicamente i bambini hanno contribuito poco alle principali decisioni della società cui appartengono. Oggi, in un’ epoca in cui godono di livelli crescenti di autonomia, i bambini vengono largamente consultati e viene loro riconosciuto il diritto ad essere presi in considerazione (5). Ai governi, ai politici ed ai professionisti viene richiesto di considerare il punto di vista dei bambini e dare loro il giusto peso (6). Le linee

guida per i professionisti sanitari riprendono questo principio, stabilendo che laddove il bambino non abbia la capacità di dare il consenso per se stesso i professionisti devono essere a conscenza del punto di vista dei bambini e includerlo il più possibile nel processo di presa di decisioni (7-9). Un esempio di come questo principio è stato applicato è il “National Service Framework for hospital services” (10) che stabilisce che i bambini e le loro famiglie devono essere coinvolti routinariamente nella pianificazione e nel miglioramento dei servizi ospedalieri. Invitare i bambini ad esprimere i lioro commenti su ciò che si aspettano o desiderano dai servizi sanitari, anche se non necessariamente produce effetti diretti sui bambini che partecipano aiuta a garantire che i bisogni dei futuri piccoli utenti vengano soddisfatti (11). Action for sick childrent (12) riconosce l’importanza di includere i bambini nella presa di decisioni e nello sviluppo dei servizi a loro rivolti perché possono foirnire dei punti di vista molto differenti sulle proposte che vengono progettate. Tuttavia non è solo per lo sviluppo dei servizi sanitari che si ritiene che i bambini debbano essere sempre più largamente consultati, infatti essi dovrebbero essere partecipanti attivi anche in tutto ciò che riguarda le cure a loro rivolte.

Punti di vista sul coinvolgimentoPunti di vista sul coinvolgimentoPunti di vista sul coinvolgimentoPunti di vista sul coinvolgimento I punti di vista sui benefici derivanti dall’includere i bambini nelle decisioni in merito alla loro salute variano grandemente. Ross (13) ritiene che l’emancipare il bambino rendendolo con uguali diritti sulle decisioni rispetto all’adulto procuri un’erosione delle tutele derivanti dal suo status di bambino; per esempio, potrebbe ledere il suo diritto di ricevere educazione. E’ tuttavia improbabile che ai bambini siano garantiti gli stessi diritti degli adulti. Lowden (14) suddivide i diversi approcci alla partecipazione del bambino in

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Etica

Il coinvolgimento dei bambini nelle decisioni Il coinvolgimento dei bambini nelle decisioni Il coinvolgimento dei bambini nelle decisioni Il coinvolgimento dei bambini nelle decisioni riguardanti la loro saluteriguardanti la loro saluteriguardanti la loro saluteriguardanti la loro salute

Jenny Baston

St. James Hospital, Leeds

AbstractAbstractAbstractAbstract I diritti dei bambini, la loro capacità di acconsentire a i trattamenti ed il loro coinvolgimento nelle decisioni riguardanti la loro salute hanno ricevuto una discreta attenzione negli ultimi anni. Ci sono evidenze che suggeriscono che quando i bambini vengono coinvolti nella presa di decisioni, possono beneficiare di un positivo senso di controllo sulla situazione in cui si trovano Tuttavia non c’è ancora chiarezza riguardo al diritto di un bambino di decidere, e gli infermieri possono non aver chiaro fino a che punto i bambini possono e devono essere coinvolti nella presa di decisioni. Già nel 2001 è stato suggerito di creare un codice di pratica sul coinvolgimento dei bambini nelle decisioni ma ancora oggi manca un metodo robusto, strutturato e coerente per garantire che i bambini vengano inclusi nelle decisioni a tutti gli stadi del loro processo di cura

Healthcare decisions: a review of children's involvement. Children's rights, their ability to consent to treatment and their involvement in healthcare decisions have received considerable attention in recent years. There is some evidence to suggest that when children are involved in the decision-making process, they retain a sense of control over their situation. However there are still unresolved issues related to a child's right to decide and nurses may be confused about the extent to which children can and should be involved in decision-making. A code of practice for involving children in decisions was first suggested in 2001 and there is still a need for a consistent, structured and robust method of ensuring that children are included in the decision-making process at all stages of their health care.

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Etica

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protezionismo, liberazionismo e pragmatismo. L’approccio protezionista vede i genitori come principali decision-makers allo scopo di prevenire la possibilità che il bambino compia una scelta avventata e per proteggere il piccolo dalle conseguenze di tale scelta (15). L’approccio liberazionista tende a rispettare l’autonomia del bambino, riconoscendo in tal modo la sua scelta come competente. L’approccio pragmatista si pone tra i due poli: Valutare le preferenze del bambino e proteggerlo da decisioni discutibili. Ci sono alcune evidenze che supportano la visione secondo cui è di beneficio per il bambino essere coinvolto nella presa di decisioni che riguardano la sua salute. In uno studio svedese effettuato da Runeson et al (16) è stato classificato il livello di partecipazione dei bambini ricoverati in ospedale. Questo variava dall’assoluta non considerazione da parte dei sanitari dei desideri del bambino al consenso dei professionisti alle richieste del piccolo paziente fin dove questo fosse possibile. Lo studio ha rivelato che quando i bambini sono coinvolti nel processo di presa di decisioni, conservano un senso di controllo sulla situazione. Se i bambini percepiscono che il loro punto di vista è rispettato, questo può permettere loro di sopportare meglio il trattamento. I desideri del bambino circa la sede o il momento in cui praticare il trattamento dovrebbero essere rispettati, provvedendo, allo stesso tempo, cure che non configgano con i suoi interessi prioritari. Lo studio di Conye (17) ha coinvolto i bambini, i genitori e gli infermieri di quattro reparti pediatrici inglesi. I bambini hanno riferito di essersi sentiti inclusi nelle decisioni. Il fatto che fossero stati consultati, invece che messi al corrente di decisioni già prese, li faceva sentire come persone portatrici di diritti e il fatto che fosse fornita loro un’adeguata informazione li faceva sentire meno ansiosi. I genitori erano favorevoli all’inclusione dei bambini nel processo di presa di decisioni, riconoscendo numerosi benefici derivanti da questo, come l’accrescimento dell’autostima del bambino. Vi erano tuttavia alcune riserve da parte di genitori che ritenevano che il figlio avrebbe avuto bisogno di aiuto. Questo bisogno di supporto, insieme alla paura che il bambino potesse prendere la decisone sbagliata combacia con la teoria pragmatista di Lowden (14). Il punto di vista degli infermieri differiva da quello dei bambini e dei genitori. Essi infatti accettavano che le opinioni dei bambini fossero significative, tuttavia molti di

loro ritenevano che questo dipendesse dall’età del bambino e dalla conoscenza che il bambino aveva della sua patologia. Qualche infermiere riteneva che avrebbe potuto coinvolgere i bambini unicamente con il consenso dei genitori. Tuttavia è molto difficile che i bambini sino adeguatamente informati sulla loro malattia se non sono coinvolti nel processo comunicativo fin dall’inizio. Coyne ha concluso che gli infermieri hanno un ruolo chiave nell’incoraggiare i bambini ad essere partner attivi nel prendere le decisioni circa la loro salute e che il coinvolgimento del bambino dovrebbe protrarsi anche oltre la durata del trattamento (17).

Facilitare il coinvolgimentoFacilitare il coinvolgimentoFacilitare il coinvolgimentoFacilitare il coinvolgimento Un bambino può sviluppare delle preferenze personali in merito all’esecuzione delle cure; infatti, i bambini possono diventare competenti nel partecipare ad alcune decisioni quando la malattia ed il trattamento si prolungano. E’ evidente che i bambini che hanno una malattia cronica o degenerativa possono sviluppare un alto livello di competenza (18). I bambini si sviluppano insieme alla patologia e prendono decisioni intuitive fin da un’età molto giovane (19). Input e preparazione di buona qualità si rifletteranno nella reazione del bambino e nella sua capacità di partecipare (20). Il coinvolgimento può essere favorito dal caregiver del bambino, come ad esempio il genitore o l’infermiere, che può far si che la voce del piccolo venga udita. Questo può costituire un ostacolo se la scelta di un bambino di piccola età differisce dalle pratiche mediche o infermieristiche che sono comunemente accettate. Taylor (21) fornisce un buon esempio: una bambina di 4 anni, in trattamento da sei mesi per leucemia, ha deciso di rimuovere il suo catetere venoso centrale che normalmente sarebbe stato mantenuto in sede più a lungo. La bambina aveva compreso le conseguenze di non avere più una linea centrale: la puntura del polpastrello, il reperimento di accessi vascolari periferici ed il fastidio conseguente a queste procedure. Come descritto dalla madre della bambina, è stata la determinazione di sua figlia che le ha permesso di fare scelte informate insieme al riconoscimento da parte dei genitori che la voce della bimba non sarebbe rimasta inascoltata (21). Young (4) nei suoi studi sulla comunicazione in campo oncologico nel periodo dell’infanzia, ha riscontrato che i genitori erano consapevoli del fatto che modulavano la comunicazione con i loro figli da una modalità di controllo, al momento della diagnosi, verso uno stile comunicativo assimilabile ad una partnership. Durante il corso della malattia-trattamento, il bambino può diventare un partner ad un livello maggiormente paritario, questo permette una

comunicazione più aperta. Ne deriva che il consenso ed il c o i n v o l g i m e n t o nella presa di decisioni sono un processo continuo e progressivo.

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Un approccio strutturato Un approccio strutturato Un approccio strutturato Un approccio strutturato In accordo con quanto indicato da Hallstrom (22), è un preciso dovere etico dell’infermiere accrescere la competenza e la capacità del proprio paziente di partecipare alle cure. Coyne (17) ha concluso, a seguito del suo studio, che mentre gli infermieri dei bambini rappresentano frequentemente un elemento chiave per la difesa dei diritti del piccolo paziente, vi è l’assenza di un percorso strutturato volto all’inclusione del bambino nel processo di presa di decisioni. E’ necessario un approccio maggiormente strutturato per coinvolgere il bambino in tale processo all’interno dei contesti sanitari. Un sistema suggerito da Runeson (16) è l’adozione di uno strumento con il quale determinare il grado di auto-determinazione del bambino, applicabile in una vasta gamma di situazioni in cui fosse necessario conoscere i desideri del piccolo paziente. Dixon-Woods (2) ritiene che dovrebbero essere messi in atto dei sistemi per supportare la partnership, come ad esempio l’utilizzo di materiale informativo appropriato. Foreman (23) ha progettato un sistema chiamato “family role”. Si tratta di un sistema per il coinvolgimento del bambino nelle decisioni che riguardano il trattamento e valuta il paziente facendolo rientrare in una delle cinque categorie proposte. Foreman asserisce che questo sistema costituisce una struttura coerente che i professionisti sanitari possono utilizzare per ottenere il consenso dal bambino. Un altro sistema ci viene fornito da Hart (24), che ha studiato una scala che prevede otto livelli di partecipazione: manipolazione del bambino, abbellimento della decisione, concessione di un contentino, decisione presa senza informare, decisione presa con consultazione ed informazione del b., decisione con iniziativa dell'adulto, decisione con iniziativa e su indirizzo dato dal bambino, decisione con iniziativa del bambino e condivisione con gli adulti. Sono state create altri scale simili e Alderson (25) aggiunge un sistema per accertare quanto i bambini siano effettivamente coinvolti. La proposta di Alderson e Montgomery (1) di un codice di pratiche che stabilisce i principi e gli standard Che riflettano i diritti dei bambini e i contenuti della Convenzione ONU, è il necessario passo successivo. Questo codice fornirebbe un sistema di riferimento per tutti i professionisti sanitari e costituirebbe uno stimolo costante a rispettare il diritto dei bambini ad essere coinvolti in tutto quello che riguarda la loro salute. Il documento inoltre renderebbe più chiari gli aspetti legali implicati nel consenso ai trattamenti dato dai bambini e fornirebbe una guida per le situazioni che si verificano spesso nella pratica clinica. Alderson e Montgomery (1) suggeriscono che il punto di partenza dovrebbe essere il presumere automaticamente alcune competenze del bambino.

ConclusioniConclusioniConclusioniConclusioni Ci sono evidenze dei benefici riportati dai bambini ed dai giovani quando questi vengono inclusi attivamente nelle decisioni che riguardano la loro salute, ma vi è anche il riconoscimento diffuso che sono necessari dei miglioramenti nell’attuale pratica clinica sotto questo aspetto. Si dovrebbe esaminare attentamente come questi miglioramenti possano essere ottenuti, riconoscendo che è inappropriato associare rigidamente livelli di inclusione nelle decisioni a specifiche età, poiché

lo sviluppo cognitivo, la prontezza a partecipare e la maturità possono notevolmente variare all’interno della stessa fascia di età. Alderson e Montgomery (1) hanno proposto un codice di pratica quale strumento per rendere più chiari alcuni aspetti in questo specifico campo. Questo codice non è stato ancora sviluppato: sono necessari ulteriori studi per ottenere un codice o uno standard che aiuti a migliorare la qualità delle cure in ambito pediatrico. Un codice di pratiche che provvedesse una struttura di riferimento per tutti i professionisti sanitari assicurerebbe il diritto dei bambini di essere coinvolti come partner nella presa di decisioni, inoltre permetterebbe loro di mantenere un certo grado di controllo sul processo di cura mentre vengono supportati nelle loro decisioni. Su licenza di Royal College of Nursing Publishing Company. Paed Nurs 2008; 20 (3): 24-26.

BibliografiBibliografiBibliografiBibliografiaaaa 1- Alderson P, Montgomery J. Health care Choice: Making decisions with children. IPPR, 2001 London 2- Dixon-Woods M, Young B, Heney D. Partnerships with children. BMJ. 1999; 319(7212):778-80 3- Doyle KA, Maslin-Prothero S. Promoting children's rights: the role of the children's nurse. Paediatr Nurs. 1999;11(8):23-5. 4- Young B, Dixon-Woods M, Windridge KC, Heney D. Managing communication with young people who have a potentially life threatening chronic illness: qualitative study of patients and parents. BMJ 2003;326(7384):305 5- United Nations. The United Nations Convention on the Rights of the Child. Unites nations 1989, Ginevra 6- Lansdown G, Karkara R. Children's right to express views and have them taken seriously. Lancet 2006;367(9511):690-2 7- British Medical Association. Consent Rights and Choises in Health Care for Children and Young People. BMJ Books, 2001 London 8- British Pediatric Association. A Pediatrician’s Brief Guide to the UN Convention on the Rights of the Child. BPA 1995, London 9- Department of Health. Seeking Consent: working with children. www.dh.gov.uk/en/Publicationsandstatistics/Publications/PublicationsPolicyAndGuidance/DH_4007005 (ultimo accesso 12 marzo 2008) 10- Department of Health. Getting the Right Start: National service Framework for Children: Standards for Hospital Services. The Stationery Office, 2003 London 11- Gibson F et al. Listening to Children and Young People with Cancer. King’s College London, 2005 University of London. 12- Smallman S. Principles for Involving Young Childrn in the service planning and delivery Process for Hospital Services. Action for Sick Children, 2006 London 13- Ross L et al. Children’s consent to treatment: Using a scale to assess degree of self-determination. Ped Nurs 2000; 26 (5): 451-455 14- Lowden J. Children's rights: a decade of dispute. J Adv Nurs. 2002;37(1):100-7 15- Benporath S. Autonomy and vulnerability: on just relations between adults and children. J Phil Educ 2003; 37: 127-145 16- Runeson I, Hallström I, Elander G, Hermerén G. Children's participation in the decision-making process during hospitalization: an observational study. Nurs Ethics. 2002;9:583-98 17- Coyne I. Consultation with children in hospital: children, parents' and nurses' perspectives. J Clin Nurs. 2006;15:61-71 18- Alderson P. Children’s Consent to Surgery. Open University Press, 1993 Buckingham 19- Sutcliffe K, Sutcliffe R, Alderson P. Can very young children share in their diabetes care? Ruby's story. Paediatr Nurs. 2004;16(10):24-6 20- Barnados. The partecipation of children and young people. Unpublished report. Commissioned by Lambeth, Southwark and Lewisham Council, 2000 21- Taylor B. Giving children and parents a voice--the parents' perspective. Paediatr Nurs. 2006;18:20-3 22- Hallström I, Elander G. Decision-making during hospitalization: parents' and children's involvement. J Clin Nurs. 2004;13(3):367-75 23- Foreman DM. The family rule: a framework for obtaining ethical consent for medical interventions from children. J Med Ethics. 1999;25 :491-6 24- Hart R. Children’s Partecipation from Tokenism to Citizenship. UNICEF, 1992 Paris 25- Alderson P. Young Children’s Rights. Exploring beliefs, principles and practice. Jessica Kinsley, 2000 London

Etica

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L’ingestione di disinfettanti alcolici di uso ospedaliero da parte di adulti vulnerabili è stata più volte riportata in letteratura, e molte strutture sanitarie hanno elaborato specifici protocolli per la gestione di questo tipo di rischio (1). Ci sono pochi report di ingestione di gel alcolico da parte dei bambini. Questo case report riguarda un bambino di 11 anni ricoverato per un intervento chirurgico. Al momento dell’ingresso in reparto il bambino aveva mostrato segni di irrequietezza e aggressività; in seguito, al momento dell’induzione dell’anestesia, ha sviluppato un forte distress. Il suo tasso alcolico ematico, misurato prima dell’induzione dell’anestesia, era di 160 mg/dl (0,16%).

Case ReportCase ReportCase ReportCase Report Il bambino di 11 anni, pesava 35 Kg, ed era stato ricoverato in un Day Hospital pediatrico per un intervento di chirurgia minore. Non era stato possibile preparare psicologicamente il bambino in modo adeguato per la procedura, poiché si trattava di un intervento di urgenza; inoltre lo staff del reparto non aveva avuto contatti precedenti al ricovero con la famiglia. Gli infermieri avevano notato che il bambino aveva un comportamento irrequieto e ribelle prima dell’intervento e riferirono una scarsa collaborazione del ragazzo al protocollo di digiuno. Gli era stata consentita l'assunzione di succo d'arancia ed era stato notato che sul suo comodino c'era un flacone di gel a base di acool per l'igiene delle mani. Era anche stato visto leccarsi le mani. Il flacone di gel era stato prelevato dalle infermiere, data la disponibilità di distributori di gel nel corridoio. Comunque, le infermiere furono rassicurate sul fatto che il comportamento aggressivo del bambino era per lui normale. Per migliorare la compliance del bambino era stato coinvolto il nonno, con buoni risultati. Tuttavia il bambino

ha sviluppato un forte stato di distress nel tragitto dalla camera alla sala di induzione dell’anestesia, esploso con una scenata. L’infermiera giornaliera del reparto ha informato lo staff della sala operatoria sulla possibilità di ingestione del gel alcolico. Il team della sala operatoria ha effettuato un test alcolemico che ha rivelato un valore dello 0,16 % di alcol (160 mg/dl, è da notare che il limite stabilito per i guidatori è di 50 mg/dl). L’intervento è stato eseguito ed il bambino è rimasto in stretta osservazione tutta la notte; è stato mantenuto l’accesso venoso, sono stati somministrati liquidi per via endovenosa ed è stata monitorizzata la saturazione. Il bambino non si è presentato alla visita di follow up. L’incidente è stato sottoposto prima al comitato per la qualità e poi ad un gruppo di lavoro, (che includeva dirigenti, infermieri di staff, esperti di sicurezza dei luoghi di lavoro e un farmacista), allo scopo di analizzare l’accaduto e di elaborare delle raccomandazioni per la pratica clinica. Il comitato ha eseguito una revisione di letteratura ed ha richiesto delle consulenze ad altri ospedali pediatrici australiani.

DiscussioneDiscussioneDiscussioneDiscussione Recentemente sono stati compiuti molti sforzi per promuovere l’uso del gel alcolico in molti luoghi come gli ospedali, la casa, le scuole, ambulatori medici ed in tutti quei posti dove si ritiene che si possano sviluppare delle infezioni crociate tra i bambini. I gel, che sono solitamente a base di etanolo, devono contenere alte dosi di alcol per essere efficaci; di solito la percentuale di alcol è il 66%. Ciò significa che in una confezione di gel alcolico per le mani da 375 ml è contenuta una quantità di alcol equivalente a circa 25 bicchieri di bevanda alcolica media. Un bicchiere di bevanda alcolica media contiene 10 ml di alcol (7,9 g). Per un bambino di 10 Kg

Sicurezza del paziente

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I rischi legati all’uso di gel alcolico per mani I rischi legati all’uso di gel alcolico per mani I rischi legati all’uso di gel alcolico per mani I rischi legati all’uso di gel alcolico per mani in ambito pediatricoin ambito pediatricoin ambito pediatricoin ambito pediatrico

Chris May John Hunter Children’s Hospital, New South Wales, Australia

AbstractAbstractAbstractAbstract

Anche se l’ingestione di disinfettanti alcolici di uso ospedaliero da parte di adulti vulnerabili è stata più volte riportata in letteratura, esiste ancora una scarsa documentazione riguardante l’ingestione di tali sostanze nei bambini. Questo case report riguarda un bambino di 11 anni ricoverato per un intervento chirurgico minore. Al momento dell’ingresso in reparto il bambino aveva mostrato segni di irrequietezza e aggressività; in seguito, nella stanza adibita all’induzione dell’anestesia, ha sviluppato un forte stato di stress. Il suo tasso alcolico ematico, misurato prima dell’induzione dell’anestesia, era di 160 mg/dl. I gel alcolici per il lavaggio delle mani si dimostrano un potenziale rischio per i bambini sia nei contesti sanitari, sia per tutti gli altri ambienti in cui sono in uso. Gli infermieri dei bambini devono essere consapevoli dei rischi legati all’uso del gel alcolico e devono diventare esperti nella gestione di questi rischi.

The risks to children of alcohol-based hand gels Although intentional ingestion of alcohol-based hospital cleansing agents by vulnerable adults has been well reported, there have been few reports of intentional ingestion by children. This case report concerns an 11-year-old boy who was disruptive in an admission unit and became very distressed in the anaesthetic area before a minor surgical procedure. His blood alcohol level, measured before induction of anaesthesia, showed 160 mg/dl. Alcohol-based hand gels are a potential hazard for children in the healthcare setting and other places where they are in use. Nurses and other staff working with children should familiarise themselves with the risks and with the evidence relating to the management of such risks in young people.

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bastano 7 ml di alcol a provocare effetti tossici (2). I bambini metabolizzano l’alcol come gli adulti (in base al perso corporeo) e sviluppano gli effetti tossici con la stessa velocità dopo l’ingestione (in 60-90 min), tuttavia i bambini differiscono dagli adulti per il fatto che sviluppano i segni della tossicità per tassi ematici di alcol pari a circa la metà di quelli degli adulti (2). Quindi, si può dire che in questo caso il tasso ematico di alcol del bambino era equivalente ad un livello di 0,32 nell’adulto (320 mg/dl), con un rischio reale di perdita di coscienza e di morte. L’ingestione di alcol può indurre ipoglicemia e squilibri elettrolitici, ma l’effetto principale è quello di deprimere il sistema nervoso centrale (SNC). Altre tipologie di alcol includono l’etanolo e l’alcol isopropilico. Il metanolo si riscontra più comunemente in particolari detergenti, vernici, soluzioni antigelo, o altri prodotti chimici usati nelle lavorazioni industriali o in liquori di contrabbando. Il metanolo è altamente tossico e la sua ingestione è associata al più alto rischio di morte per ingestione di alcolici. L’alcol isopropilico è utilizzato in soluzioni antisettiche, gel alcolici per mani, lozioni per il corpo ed antigelo. Ha una potenza pari a due/tre volte quella dell’etanolo ed più frequente che causi depressione del SNC rispetto all’etanolo. Non è possibile determinare le concentrazioni ematiche di alcol isopropilico con i normali esami per l’alcolemia. Non c’è nessun antidoto per contrastare la tossicità dell' alcol isopropilico, che è legata al peso corporeo, alla quantità ingerita (ed anche alla concentrazione) e alla tolleranza. Secondo i calcoli di Tizzard (2), un bambino di 35 Kg sviluppa gli effetti tossici dopo l’ingestione di circa 60 ml di una soluzione alcolica al 66%.

Implicazioni per la pratica clinicaImplicazioni per la pratica clinicaImplicazioni per la pratica clinicaImplicazioni per la pratica clinica In letteratura sono riportati casi di bambini o di pazienti adulti confusi o etilisti che hanno ingerito il gel alcolico per le mani o altri prodotti simili durante il ricovero in strutture sanitarie. La letteratura raccomanda che il gel venga posto in luoghi non accessibili ai bambini e alle persone a rischio; è consigliato che ogni componente dello staff del reparto abbia il proprio dispenser personale. Queste raccomandazioni rappresentano una risposta ai problemi gestionali connessi al gel alcolico, tuttavia esistono forti evidenze scientifiche che indicano i benefici della pronta disponibilità di gel alcolico per prevenire le infezioni crociate (3). Per essere prontamente disponibile il gel deve essere ben visibile ed accessibile a tutto il personale ed ai genitori (questo non è possibile con i dispenser personali). E’ necessario trovare un compromesso tra la necessità di rendere disponibile a tutti il gel alcolico e le esigenze di gestione

del rischio specifico connesso ai diversi gruppi di pazienti. L’ingestione di alcol nei bambini al disotto degli 11 anni è solitamente accidentale. La causa più comune (29%) è l’igiene orale (2). Altre cause possono essere l’ingestione di dopobarba, le colonie, i farmaci, bibite e prodotti per l’igiene della casa. Oltre gli 11 anni di età si presenta il rischio di ingestione intenzionale; è stato dimostrato che l’esposizione precoce all’alcol e la condizione sociale del bambino e della famiglia influiscono sulla ricerca di alcol da parte del bambino, che a sua volta aumenta il rischio di riportare danni e di sviluppare comportamenti violenti (4). La promozione della salute e di comportamenti non rischiosi nei giovani è molto complessa e sono disponibili evidenze fortissime del fatto che i programmi di educazione all’uso dell’alcol di solito non ottengono risultati significativi. Spesso tali programmi educativi sono seguiti da un aumento dei comportamenti a rischio correlati all’alcol. Dire semplicemente ai giovani di evitare i pericoli legati all’alcol può assumere un tono moralistico che può rivelarsi controproducente (5). L’adolescenza coincide con l’inizio del pensiero astratto ed è naturalmente associata ad una decostruzione della morale ricevuta fino a quel momento. I giovani si dimostrano più inclini a rispondere positivamente ai messaggi supportati dalle evidenze scientifiche o che vengono pronunciati da qualcuno di cui si fidano. Tuttavia, la maniera più efficace di ridurre i comportamenti a rischio dei giovani consiste nel costruire e fortificare la loro resilienza emotiva, un obiettivo che va oltre a quanto può essere ottenuto da incontri occasionali con i professionisti sanitari (6).

ConclusioniConclusioniConclusioniConclusioni I gel alcolici per le mani rappresentano un potenziale rischio per i bambini sia all’interno delle strutture sanitarie, sia in qualsiasi altro contesto il gel venga utilizzato. Gli infermieri dei bambini e gli altri professionisti dovrebbero conoscere la gestione dei rischi collegati all’uso del gel alcolico in contesti pediatrici. Su licenza di Royal College of Nursing Publishing Company. Su licenza di Royal College of Nursing Publishing Company. Su licenza di Royal College of Nursing Publishing Company. Su licenza di Royal College of Nursing Publishing Company. Paed Nurs 2009; 21 (1): 36Paed Nurs 2009; 21 (1): 36Paed Nurs 2009; 21 (1): 36Paed Nurs 2009; 21 (1): 36----37.37.37.37.

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Sicurezza del paziente

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La psicomotricità è una disciplina educativa, rieducativa e terapeutica. Tale pratica educativa psicomotoria è un’attività concreta, motoria, che si modella sul gioco spontaneo e sull’espressività dei bambini che vivono e sperimentano in prima persona azioni e relazioni. Il bambino che possiede la caratteristica di privilegiare il tono e il movimento come mezzo per esprimere le sue emozioni, le sue immagini interne profonde in rapporto con il mondo esterno, assieme allo psicomotricista realizzerà situazioni di gioco che creeranno per il piccolo spazi di sicurezza e di benessere. Sovente la pratica psicomotoria del bambino avviene nella cosiddetta “sala di psicomotricità” che è un ambiente caldo, piacevole, accogliente, dotato di materiali di arredo morbidi e colorati con i quali i fanciulli possono giocare anche a piedi nudi. La sala di psicomotricità prevede due luoghi ben definiti:

1. lo spazio per il gioco senso-motorio e simbolico; 2. lo spazio per la rappresentazione. (1)

Nel primo spazio il bambino ha a disposizione materiali quali ad esempio materassi, cubi, materiale di varie dimensioni di gommapiuma, una struttura per arrampicarsi, saltare, scivolare, stoffe, corde e palle e così via. Tutto questo permette al bimbo di vivere il piacere senso-motorio e di attivare la propria creatività. Nel secondo spazio il bambino può trovare e utilizzare, ad esempio, legnetti per la costruzione, plastilina, fogli, pennarelli, forbici e colla e così via. Lo psicomotricista ha il compito di rassicurare ed aiutare i fanciulli a prendere fiducia nelle loro personali capacità d’azione e affermazione; li accompagna a trovare o ritrovare le esperienze piacevoli proprie del movimento e a condividerle con gli altri. Questo consentirà ai bambini di strutturare un’immagine di sé e un’identità positiva. (2) Il principio cruciale affermato dalla pratica psicomotoria è il rispetto attraverso cui educare o rieducare la personalità globale del bambino, intesa come stretta unione della sfera mentale, di quella corporea e di quella affettiva/psichica. Quando si argomenta sulla psicomotricità si prende

Crescere

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AbstractAbstractAbstractAbstract

La pratica psicomotoria è un insieme di attività che a partire dalla spontaneità del bambino, dal suo piacere di agire e di giocare, favorisce uno sviluppo psicofisico armonioso. E’ un itinerario di maturazione che aiuta il piccolo, progressivamente, a rielaborare le proprie esperienze emotivo-affettive ed a maturare a livello cognitivo e di pensiero. L’espressività motoria, liberata in un quadro spaziale e relazionale rassicurante permette al bambino di scoprire una direzione educativa che favorisce la crescita personale.

La pratica psicomotoria nell’età evolutivaLa pratica psicomotoria nell’età evolutivaLa pratica psicomotoria nell’età evolutivaLa pratica psicomotoria nell’età evolutiva

Psychomotricity practice in the developing age Psychomotricity consists of several activities that promote the children’s armonic psychophysical devolopment starting from their spontaneousness and their pleasure in playing and interacting with others. It is a path that helps the children to elaborate progressively their emotional experiences and to maturate cognitively.

inevitabilmente in considerazione la globalità dell’essere umano con un particolare riferimento alla sua unità psicosomatica. Soprattutto nell’infanzia si rileva l’evidenza di questa globalità nel bambino che deve essere intesa come una stretta unione tra la struttura somatica, quella affettiva e quella cognitiva. Il bambino conquista il mondo da un fondo tonico-emozionale permanente e strettamente unito a tutta la sua storia affettiva, anche la più profonda. (3) Dunque, nell’azione del bambino si articolano tutta la sua affettività, tutti i suoi desideri, ma anche tutte le sue possibilità di comunicazione e di concettualizzazione. L’espressività psicomotoria è, quindi, il modo d’essere unico e originale del bambino di essere al mondo e include la sensorialità, la tonicità della motricità, l’affettività, la vita immaginaria nonché il suo sviluppo intellettivo. L’espressività psicomotoria attualizza un vissuto antico, il cui senso può essere colto grazie alle molteplici-differenti variazioni della relazione tonico-emozionale con le persone, lo spazio e gli oggetti. Educatori, rieducatori o terapeuti della psicomotricità, dovranno considerare il bambino come un essere complesso anche perché finora troppo spesso è stato dimenticato tale aspetto a beneficio di tecniche dette “psicomotorie” che tendono a dissociare lo psichico dal motorio. Al contrario tali figure dovranno indirizzarsi verso pratiche nelle quali psiche e soma si uniscano in una dinamica esistenziale. Troppo spesso l’educazione e il tipo d’insegnamento adottato dalla scuola risultano frammentari, discontinui e diretti quasi esclusivamente alla sola sfera mentale-cognitiva, relegando l’educazione dell’affettività e del corpo ad un livello d’inconsapevolezza, svalutandoli e subordinandoli all’apprendimento dei vari insegnamenti quali, ad esempio, la lingua italiana, la matematica, la storia e così via. Partendo dalla senso-motricità, da organizzare e superare, il bambino costruisce la propria personalità e

Gino Lelli Andrea Sorcinelli Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino, email: [email protected]

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questo attraverso una specifica modalità tonico-emozionale di essere al mondo. (4) Tale modalità tonico-emozionale si esprime nella sala di psicomotricità, quando ad esempio si mette in condizione il bambino di potersi esprimere tramite il gesto, senza preferire particolarmente l’uso del linguaggio. Tale tipo d’espressione che in ogni persona ha una tonalità particolare perché determinata dalla sua storia è, per l’appunto, l’espressività psicomotoria. Tale espressività, è la base di partenza per lo psicomotricista il cui compito è quello di favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo, affinché possa poi accedere ad una padronanza logico-concettuale, vale a dire operatoria. Passare al piano operatorio significa ricostruire progressivamente a livello di rappresentazione ciò che è stato acquisito a livello di azione. Aiutare e difendere il bambino in difficoltà significa sostenerlo in un percorso educativo che produca un cambiamento concreto nel comportamento, nella capacità d’apprendimento e di relazione sia in ambito scolastico che familiare. (5) Tale cambiamento sarà più o meno importante ed evidente a seconda di come lo psicomotricista sarà in grado, assieme ai bambini, di comprendere ed elaborare le domande ed i bisogni del singolo e del gruppo, servendosi dei linguaggi non verbali (motori, posturali, gestuali, ecc,) più che delle parole. Attraverso la relazione motoria con lo psicomotricista e con i coetanei del gruppo, il bambino scopre nuove modalità di accettare/accettarsi, convivere e collaborare; ritrova il desiderio di affrontare con fiducia il compito di crescere e di apprendere. La pratica psicomotoria richiede: − un aggiustamento all’espressività psicomotoria

infantile; − un sistema di atteggiamenti e di azioni dell’operatore; − una tecnica e cioè un modo di agire specifico e molto

personalizzato la cui strategia si costruisce partendo da un progetto per il bambino o il gruppo di bambini.

Per progetto, si intende un piano di lavoro molto flessibile, da adattare continuamente alle proposte del fanciullo. Scopo dell’educazione psicomotoria è quello di favorire lo sviluppo psicomotorio del bambino, perché è nell’adeguatezza di tale evoluzione che si fondano i pre-requisiti di ogni tipo di apprendimento e della capacità di

adattamento. Tre sono gli obiettivi fondamentali di tale pratica: − sviluppare la comunicazione/relazione; − sviluppare la creatività; − formare il pensiero operatorio.

La pratica psicomotoria è dunque un insieme di attività che a partire dalla spontaneità del bambino, dal suo piacere di agire e di giocare, favorisce uno sviluppo psicofisico armonioso. E’ un itinerario di maturazione che aiuta il piccolo, progressivamente, a rielaborare le proprie esperienze emotivo-affettive ed a maturare a livello cognitivo e di pensiero. L’espressività motoria, liberata in un quadro spaziale e relazionale rassicurante (ad es. nei luoghi della sala di psicomotricità), permette al bambino di scoprire ed appropriarsi di una direzione educativa che favorisce la crescita personale. Lo psicomotricista, partner simbolico e autorità strutturante ad esempio all’interno della sala di psicomotricità, accompagna e sostiene le produzioni del bambino, ascoltandolo e condividendo con lui il piacere di agire, comunicare, trasformare e trasformarsi. Inoltre, tale operatore nella relazione con il bambino, è attento al senso dell’espressività motoria ed anche alla dinamica di piacere come base della sua evoluzione (dal piacere di agire al piacere di pensare). Peculiarità della psicomotricità è, dunque, il coinvolgere interamente il fanciullo (mente, corpo ed emozioni) in quanto attraverso l’espressione senso-motoria ed emozionale, si favorisce e si fa evolvere il bisogno del bambino di “dirsi” mediante il proprio corpo, e di scoprire il mondo che lo circonda. Concludendo, uno dei concetti base della psicomotricità, è quello di considerare il bambino nella sua globalità e di vedere, nel movimento e nella gestualità, il suo modo di essere, di percepirsi e di adattarsi al mondo.

BibliografiaBibliografiaBibliografiaBibliografia 1- Pisaturo C., Appunti di psicomotricità: la pratica psicomotoria nella clinica neuropsichiatrica dell'età evolutiva, Piccin, Padova, 1996. 2- Pisaturo C., Lo schema corporeo in psicomotricità. Supplemento a Appunti di psicomotricità, Piccin, Padova, 1996. 3- Rosano M., Psicomotricità dell'età evolutiva. Semeiotica per l'intervento riabilitativo, Piccin, Padova, 1992. 4- Ambrosiani C., De panfilis C., Wille A., La psicomotricità corporeità e azione nella costruzione dell’identità, Xenia edizioni, Milano, 1999. 5- Aucouturier B., Lapierre A. B., Psicomotricità e terapia, Piccin, Padova, 1982.

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Crescere

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I maggiori sistemi sanitari Europei prevedono, oltre alla professione di Infermiere di cure generali, la professione di Infermiere Pediatrico. In Italia questa professione è stata istituita nel 1940 con il vecchio nome di "Vigilatrice d'Infanzia", e riformata nel 1997. Essa è intitolata ad assolvere le necessità di cura del bambino nelle varie fasi della sua crescita ed è secondo il nostro ordinamento la specifica figura professionale responsabile dell'assistenza al soggetto in età evolutiva, in possesso di conoscenze e abilità tecniche e specialistiche, associate a una particolare sensibilità nell’individuare i bisogni dei bambini secondo le età. Secondo i più recenti dati forniti dalla Federazione Ipasvi, gli Infermieri Pediatrici in Italia sono circa 10.000 mentre gli Infermieri di cure generali sono circa 350.000. In Italia si riaffaccia ciclicamente un dibattito sulla opportunità di mantenere o meno questa figura professionale. In sostanza, vi è chi sostiene la necessità di assorbire la professione di Infermiere Pediatrico all'interno di quella di Infermiere generalista, riconducendola ad una specializzazione post-laurea. Questo dibattito si è già svolto in altre nazioni di antica e consolidata tradizione infermieristica come la Gran Bretagna e l'Irlanda, dove si è giunti alla conclusione condivisa della necessità del mantenimento di una specifica figura professionale infermieristica pediatrica. La questione è tornata recentemente d'attualità in Italia a causa di alcuni autorevoli interventi esterni alla professione nei quali è stata ipotizzata la chiusura dei corsi di laurea triennale per Infermiere Pediatrico. Questo ci offre l'occasione per fare il punto sullo stato dell'arte di questa professione e per offrire alcuni spunti di riflessione.

Il contestIl contestIl contestIl contesto normativo in Italiao normativo in Italiao normativo in Italiao normativo in Italia L'ordinamento italiano prevede da quasi settanta anni due distinte figure professionali infermieristiche: l'Infermiere (ex "Infermiere Professionale") il cui profilo è regolato dal DM 739 del 1994 ed a cui si accede con il corso di Laurea triennale in Infermieristica; e l'Infermiere Pediatrico (ex "Vigilatrice d'Infanzia") il cui profilo è definito dal DM 70/1997 ed a cui si accede con il corso di Laurea triennale in Infermieristica Pediatrica. A queste due professioni corrispondono due distinti albi professionali, regolati con legge del 1955, tenuti dai

Collegi provinciali Ipasvi. Il DM 739/94, tuttavia, ha causato per qualche tempo dei dubbi interpretativi laddove prevedeva (art. 6, c.5) che "la formazione infermieristica post-base per la pratica specialistica è intesa a fornire agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche avanzate e delle capacità che permettano loro di fornire specifiche prestazioni infermieristiche nelle seguenti aree: - sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica; - pediatria: infermiere pediatrico; - salute mentale - psichiatria: infermiere psichiatrico; - geriatria: infermiere geriatrico; - area critica: infermiere di area critica" L'inclusione in questo elenco della espressione "infermiere pediatrico" ha fatto inizialmente ritenere che tale figura dovesse essere considerata una specializzazione dell'infermiere, al pari delle altre figure identificate, e come tale oggetto di formazione infermieristica post-laurea. Il dubbio è stato poi risolto con l'emanazione del DM 70/1997, che ha chiarito che quella di Infermiere Pediatrico è una professione distinta a cui si accede al termine di un percorso formativo di base autonomo, e non una specializzazione della professione di Infermiere generalista.

Recentemente la L.43/2006 ha stabilito che per ciascuna delle 23 professioni sanitarie non mediche esistono quattro livelli di formazione a cui corrispondono diversi livelli di competenze. Tra queste c'è la qualifica di "specialista" che viene riconosciuta ai professionisti in possesso di un master universitario di primo livello per le funzioni cliniche specialistiche specifiche. Alla luce di questo quadro normativo è dunque prevista nel nostro ordinamento una doppia opzione formativa per chi desidera prestare assistenza infermieristica ai bambini: un percorso di base (laurea triennale in Infermieristica Pediatrica) ed un percorso post-base (laurea triennale in Infermieristica più Master di un anno). Tuttavia, l'infermiere generalista che consegue un Master in infermieristica Pediatrica non diventa Infermiere Pediatrico bensì un "Infermiere specialista in area pediatrica". Va peraltro sottolineato che l'ordinamento vigente non prevede l'obbligatorietà del Master pediatrico per lavorare in pediatria. Infatti, l'interpretazione più diffusa

Professione

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L’Infermiere Pediatrico Contributi per un dibattito

AbstractAbstractAbstractAbstract

I principali sistemi sanitari Europei prevedono, oltre alla professione di Infermiere di cure generali, la professione di Infermiere Pediatrico. In Italia questa professione è stata istituita nel 1940 con il vecchio nome di "Vigilatrice d'Infanzia", e riformata nel 1997. Essa è intitolata ad assolvere le necessità di cura del bambino nelle varie fasi della sua crescita ed è secondo il nostro ordinamento la specifica figura professionale responsabile dell'assistenza al soggetto in età evolutiva, in possesso di conoscenze e abilità tecniche e specialistiche, associate a una particolare sensibilità nell’individuare i bisogni dei bambini secondo le età. Questo articolo fa il punto sullo stato dell'arte di questa professione e offre alcuni spunti di riflessione al dibattito professionale.

Daniele Ciofi, email: [email protected]

Filippo Festini

Ospedale Pediatrico Meyer

Università degli Studi di Firenze

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dei decreti 739/94 e 70/97 prevede che l'Infermiere Pediatrico possa assistere soltanto soggetti in età evolutiva mentre l'infermiere generalista possa assistere sia gli adulti che i bambini. Da ciò discende che è sufficiente la Laurea triennale in Infermieristica per lavorare in area pediatrica-neonatologica. Tale interpretazione è peraltro contestata da chi sostiene che il profilo dell'Infermiere Pediatrico descritto nel DM 70/97 rappresenta di per sè un limite all'esercizio professionale degli Infermieri generalisti e che, conseguentemente, l'assistenza infermieristica ai bambini è competenza esclusiva degli Infermieri Pediatrici. Ad oggi, nessuna circolare ministeriale interpretativa e nessuna sentenza è intervenuta a chiarire il dubbio; nella prassi attuale, gli ospedali pediatrici e gli ospedali generali con reparti pediatrici impiegano nell'assistenza ai bambini di fatto sia Infermieri Pediatrici che Infermieri generalisti senza Master specialistico. Occorre comunque ricordare che il RD 1098/1940 (tuttora vigente) stabilisce che il titolo di vigilatrice dell'infanzia (oggi Infermiere Pediatrico) è "titolo di preferenza per l'assegnazione a posti di servizio di assistenza all'infanzia presso ospedali, o reparti ospedalieri infantili e presso ogni altra istituzione di assistenza all'infanzia".

E all'estero ?E all'estero ?E all'estero ?E all'estero ? L'Unione Europea è intervenuta sulle professioni infermieristiche in modo marginale con due direttive del 1977, la 77/452/EEC e la 77/453/EEC. Entrambe queste direttive, per espressa previsione, regolano solo la professione infermieristica ("nurses responsible for general care") e non la professione infermieristica pediatrica. Più precisamente, le direttive dicono che non si applicano alle professioni infermieristiche i cui professionisti "have undertaken a specialist initial education and training, such as mental health or paediatrics", stabilendo un riconoscimento di fatto dell'esistenza anche di professioni infermieristiche distinte. Per quanto riguarda la professione Infermieristica Pediatrica, essa ricade, insieme alle altre professioni sanitarie ad eccezione di quella ostetrica, sotto le disposizioni della direttiva 89/48/EEC (direttiva generale per il riconoscimento delle professioni con educazione universitaria di primo livello di almeno 3 anni). Essa stabilisce che il riconoscimento avviene su richiesta all'autorità statale preposta che può richiedere un esame e un tirocinio di adattamento. La Direttiva 2005/36/EC "Riconoscimento delle qualifiche professionali" ha confermato il quadro precedentemente delineato. Un rapporto della Commissione UE sulla situazione delle professioni infermieristiche in Europa (XV/98/09/E) distingue tra "General care Nurses", "Branch Nurses" e "Post-basic Specialist Nurses". I primi sono gli Infermieri di cure generali, corrispondenti alla nostra professione di Infermiere (DM 739/94), formati con percorso universitario di base in cure generali; i secondi sono gli infermieri con percorso universitario di base in ambito specifico, come i nostri Infermieri Pediatrici (DM 70/97); gli ultimi sono gli infermieri con percorso universitario di base che successivamente hanno intrapreso un percorso di specializzazione post-base, come i nostri Infermieri generalisti con Master specialistico (1). La professione di Infermiere Pediatrico è presente in molte realtà europee. In Irlanda il Nurses Act del 1985 aveva stabilito che la professione Infermieristica Pediatrica

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Professione divenisse una qualificazione Post-Registration, trasformandola da Branch Nursing Profession a specializzazione dell'Infermieristica di base, a cui si poteva accedere a seguito di un corso di specializzazione successivo al percorso generalista di base. Alla prova dei fatti questa scelta non ha avuto successo perché sono venute rapidamente e progressivamente a mancare le iscrizioni ai corsi post-base e si è creata una crisi dell'assistenza infermieristica in area pediatrica. Nel 2005, il rapporto di una Commissione governativa istituita ad hoc (Expert Group on Midwifery and Children’s Nursing Education) è giunta alla decisione di ripristinare il percorso formativo di base dell'Infermieristica pediatrica, che riprende quindi il suo carattere di Branch Nursing Profession. (2) Tuttavia è stato anche deciso che venga mantenuta la possibilità parallela di accesso alla Professione Infermieristica Pediatrica attraverso una specializzazione successiva al percorso formativo generalista di base. In Germania una legge del 1985 (Krankenpflegegesetz) ha definito tre professioni infermieristiche di base. Tra di e s s e , q u e l l a d i I n f e r m i e r e P e d i a t r i c o (Kinderkrankenschwester) che è quindi Branch Nursing Profession. Il titolo viene acquisito al termine di un corso triennale di 4600 ore. In Austria una legge del 1997 (Bundesgesetz über Gesundheits- und Krankenpflegeberufe) ha anch'essa definito tre professioni infermieristiche "Branch". Una di esse è quella di infermiere pediatrico, conseguita al termine di un corso triennale di 4600 ore. L'infermieristica Pediatrica è prevista come Branch Nursing anche in Lussemburgo. Particolarmente interessante è l'assetto delle professioni infermieristiche adottato in Gran Bretagna, dove la professione di Infermiere Pediatrico è regolata per legge

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e definita come una professione distinta fin dal 1919. Il Nurses Midwives and Health Visitors Act del 1997 ha riordinato le professioni infermieristiche creando 4 ruoli all'interno del registro nazionale, che di fatto sono quattro tipi di Branch Nursing Professions: lo Adult Nurse, il Children Nurse, Il Mental Health Nurse ed il Disability Nurse. I professionisti possono essere iscritti a uno dei quattro ruoli dopo aver completato un corso di studi universitario di base di 3 anni, con un percorso comune di 3 semestri che poi si differenzia nei quattro rami. In questo modo il giovane che aspira ad una professione infermieristica sceglie fin dall'inizio il ramo preferito in base alla propria specifica spinta motivazionale ed esce dal corso di base già perfezionato, senza aver bisogno di corsi post laurea (che rappresentano un costo sia per lui che per il sistema sanitario). In caso di "ripensamento", sul percorso scelto è comunque possibile accedere agli altri tre rami professionali frequentando i 3 semestri di corso specifici del percorso di base.

Il paziente più fragileIl paziente più fragileIl paziente più fragileIl paziente più fragile La persona in età evolutiva è certamente il più fragile e il più vulnerabile dei pazienti e quello che maggiormente necessita di tutela, protezione, di attenzione speciale. Il soggetto in età evolutiva ha peculiarità anatomo-fisiologiche, bisogni, patologie, caratteristiche assistenziali totalmente diversi da quelli dell'adulto. Purtroppo, come constata il "Rapporto del Centro per la salute del bambino in Italia" del 2005 (3) “Il nostro paese è da tempo disabituato a scelte ragionate in campo materno – infantile. I Piani sanitari nazionali più recenti, trascurano l’ambito dell' infanzia sebbene le maggiori organizzazioni internazionali sottolineino, da tempo, la necessità di investire risorse essenziali sui primi anni di vita.” La Convenzione ONU sui dritti dell'infanzia del 1989 (L. 176/1991) ha stabilito il "diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile", diritto ribadito anche dalla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei bambini (1996). L'Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani ha attualizzato e definito il diritto alla salute del bambino. Il diritto n. 3 della Carta stabilisce che "il bambino ha diritto a ricevere il miglior livello di cura e di assistenza" e, in particolare, che "Ha diritto ad essere accudito/assistito da personale formato nell’area pediatrica" (4) Questa dichiarazione di principio impegna a garantire alti livelli di preparazione in campo pediatrico anche per quanto riguarda l'assistenza infermieristica. Il Comitato nazionale di Bioetica ha sottolineato l'importanza della formazione degli operatori dell'infanzia (Parere del 18/7/1997) sottolineando che "deve essere compito dei professionisti dell'infanzia diffondere il concetto di cultura dell'infanzia nei luoghi … delle cure della salute dei bambini, e per questo è richiesta una adeguata formazione. E' necessaria dunque un'attenta riflessione sul processo formativo dei professionisti dell'infanzia, su come combinare scienze positive,

scienze umane ed esercizio alla relazionalità" (5) La Società Italiana di Pediatria in passato ha più volte sollecitato il Ministero della salute a dare impulso alla formazione infermieristica pediatrica, definendo "cruciale" nel contesto della riorganizzazione dei servizi pediatrici, ospedalieri e territoriali, il ruolo dell’infermiere pediatrico. "La strada della formazione infermieristica pediatrica …è l’unica atta a garantire la soddisfazione dei bisogni di salute dell’area pediatrica ai vari livelli assistenziali, garantendo la continuità delle cure e l’integrazione ospedale-territorio. Nel momento in cui si acuisce la sofferenza delle strutture pediatriche di diagnosi e cura per la scelta di molti pediatri a favore della pediatria di famiglia, persiste la grave mancanza di una rete ospedaliera pediatrica, non è avviata una reale integrazione tra ospedale e territorio e non è risolto il problema della continuità assistenziale, diviene centrale il problema dell’infermiere pediatrico: è un ruolo fondamentale, irrinunciabile, assolutamente da sviluppare. Bisognerà attivarsi nelle sedi competenti per difendere la figura dell’infermiere pediatrico (che qualcuno vorrebbe mettere in discussione per ragioni di tipo esclusivamente economico) e, anzi, lavorare perché si diffonda, ove ne esistano le condizioni, il corso di laurea in infermieristica pediatrica". (6) La Federazione Italiana Medici Pediatri (l'organizzazione nazionale dei Pediatri di base) si è recentemente fatta promotrice di un progetto per potenziare la rete dei servizi di base e territoriali ai cittadini in età evolutiva e sostiene la necessità di potenziare una rete di infermieri pediatrici del territorio affiancata alla rete dei pediatri di base. Anche a livello europeo si registrano iniziative di organizzazioni che sollecitano le autorità comunitarie a rafforzare l'infermieristica pediatrica. La Federazione Europea delle Associazioni Infermieristiche Pediatriche (PNAE) sta facendo azione di sensibilizzazione nei confronti del Parlamento e della Commissione perché venga garantito il diritto dei bambini e delle loro famiglie a essere assistiti da personale "who has successfully completed a recognised course of study and practice experience in the nursing care of infants, children and adolescents / young people" (7)

Il fabbisogno assistenziale in area pediatricaIl fabbisogno assistenziale in area pediatricaIl fabbisogno assistenziale in area pediatricaIl fabbisogno assistenziale in area pediatrica I dati ISTAT riportano uno stabile trend in aumento della popolazione in età evolutiva a partire dal 2001, con un incremento annuo medio di circa l'1% l'anno, probabilmente anche grazie a fenomeni migratori (8). Attualmente, circa 9,8 milioni di cittadini della Repubblica sono in età evolutiva. Essi rappresentano il 17% della popolazione italiana e costituiscono quindi una priorità nel panorama della programmazione sanitaria italiana. Grazie al progresso delle scienze pediatriche e della qualità dell'assistenza erogata in pediatria, nel corso degli ultimi decenni sono molto migliorate le capacità diagnostiche (ad esempio: screening neonatali, diagnosi

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The Paediatric Nurse. Contribution to debate. The main health systems of Europe provide a distint Paediatric Nursing profession, alongside the General Nursing profession. In Italy, the profession of Paediatric Nurse (formerly “Vigilatrice d’Infanzia” was established in 1940 and reformed in 1997. The Paediatric Nurse is entitled to provide nursing care to children in the different developmental stages and is the specific professional figure responsible for care to the developing person. This article provifes a state-of-the-art of the paediatric nursing profession in Italy and offers some contributions to the professional debate.

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precoci) e quindi la sopravvivenza e la prognosi in età pediatrica. Questo ha però determinato un forte aumento della prevalenza di patologie croniche in età evolutiva. Il Rapporto 2005 del Centro per la salute del bambino stima la prevalenza di patologie croniche tra i bambini tra il 10 ed il 15 %, in un range che va da patologie genetiche rare a condizioni con crescente incidenza quali il diabete, l'obesità e l'asma. (3) Il nostro sistema sanitario si è sviluppato investendo risorse da un lato sull'assistenza iperspecialistica al bambino acuto (la rete ospedaliera, sia pur ancora incompleta); dall'altro sull'assistenza di base sul territorio non specialistica. L'aumento della prevalenza di patologie croniche nell'infanzia richiederà necessariamente lo sviluppo di una rete assistenziale che prenda in carico sul territorio con competenze specialistiche i pazienti cronici in età evolutiva. Come in altre realtà, dove esistono figure quali il Community Nurse ed il Family Nurse, l'Infermiere Pediatrico potrà avere un ruolo fondamentale nella presa in carico e nella ottimizzazione delle risorse. Un altro dato che ha caratterizzato l'assistenza pediatrica nel corso di questi anni è l'aumento generale della complessità assistenziale dei bambini ricoverati nei reparti pediatrici, e il livello di competenze richieste, sia dal punto di vista medico che infermieristico.

Formazione e compFormazione e compFormazione e compFormazione e competenzeetenzeetenzeetenze Secondo il profilo professionale dell'Infermiere Pediatrico (DM 70/1997) le sue competenze sono di natura tecnica, relazionale ed educativa. Numerosi fattori concorrono a delineare in ciascuno di questi campi una specificità tale da richiedere un percorso formativo differenziato e, all'interno di esso, una formazione specifica in ciascuno dei sei principali ambiti dell'assistenza pediatrica (pretermine, neonato, lattante, bambino prescolare, bambino scolare e adolescente). Per quanto riguarda le

competenze tecniche, si pensi, a titolo di esempio, alle peculiarità della preparazione e somministrazione della terapia in ambito pediatrico ed al maggior rischio insito nelle cure e nell'utilizzo di tecnologie sanitarie e cure sui pazienti pediatrici (9,10). Si pensi inoltre al rilievo che assume l'includere in ogni attività assistenziale svolta sul bambino ospedalizzato una costante attenzione a prevenire, minimizzare o eliminare ogni stress fisico e psichico a lui e alla sua famiglia, in primo luogo -ma non solo- attraverso la prevenzione del dolore da procedura (atraumatic care) (11). La competenza relazionale è probabilmente quella che più di tutte c o n t r i b u i s c e a l l a s p e c i f i c i t à dell'Infermiere Pediatrico. Occorre infatti ricordare che l'infermieristica pediatrica si fonda su principi diversi da quelli dell'infermieristica dell'adulto poiché riconosce non nel solo bambino ma nell'intero nucleo familiare l'oggetto delle cure e ritiene un valore la centralità della famiglia nella esperienza di malattia del bambino e il suo coinvolgimento per l'efficacia del processo di recupero della salute del bambino malato (family-

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centered care). (12). Per quanto riguarda la competenza educativa, anch'essa ha come destinatario sia il bambino che la famiglia ed è assai differenziata a seconda degli stadi evolutivi raggiunti. Per acquisire, perfezionare e mantenere le competenze indispensabili è necessaria una formazione clinica distribuita su di un adeguato periodo di tempo in ciascuno dei sei ambiti assistenziali della disciplina. (13) Le raccomandazioni dell'OMS (Regione Europea) sulla formazione infermieristica generale prevedono che il percorso formativo di base dell'infermieristica includa un modulo di 300 ore totali dedicato all'assistenza del bambino sano e malato (120 di teoria e 180 di tirocinio pratico), un modulo di 150 ore di assistenza all'adolescente (70 teoria e 80 tirocinio) e altre 300 ore dedicate alle cure materno-infantili (14). I piani di studio dei corsi di Laurea in Infermieristica generale italiani prevedono attualmente tra 1 e 2 CFU, pari a circa 30-60 ore. La notevole differenza tra lo spazio dedicato dai Corsi di laurea in Infermieristica all'assistenza pediatrica e quello previsto da un lato nelle raccomandazioni OMS e dall'altro nei piani di studi dei Corsi di Laurea in Infermieristica Pediatrica è utilizzata come argomentazione da coloro che sostengono che il DM 70/97 stabilisca la esclusività di competenza dell'infermiere pediatrico sul bambino.

Reclutamento, motivazReclutamento, motivazReclutamento, motivazReclutamento, motivazioni, carenza di infermieriioni, carenza di infermieriioni, carenza di infermieriioni, carenza di infermieri Uno studio condotto nel 2008 dall'Università di Firenze su una intera popolazione di Infermieri operanti in pediatrie e neonatologie di tre province Toscane, ha indagato le differenze tra Infermieri e Infermieri Pediatrici riguardo la motivazione iniziale nella scelta della professione, il ripensamento e l'intenzione di abbandono della professione. (15) Lo studio ha coinvolto 407

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infermieri e i risultati hanno dimostrato che: - Il 75% degli Infermieri Pediatrici non ha ripensamenti

sulla scelta del percorso formativo di base e la rifarebbe. Inoltre il 54% di questi dichiara che non avrebbe lavorato in nessun caso con gli adulti.

- Negli Infermieri pediatrici è risultato che il motivo del lavorare in pediatria è il frutto di una scelta anzichè del caso più frequentemente che nei generalisti (p=0.00001)

- Gli infermieri pediatrici hanno dato un'autovalutazione della propria preparazione al momento del primo incarico più alta di quella che si sono dati i colleghi generalisti (2.6 vs 2.3 su scala 1-4, p<0.00001)

- Solo il 2.4% degli infermieri pediatrici manifesta l’intenzione di abbandonare la professione a parità di stipendio contro l’8.3% dei generalisti (p=0.05).

Dunque l'Infermieristica Pediatrica non sembra sottrarre "vocazioni" all' Infermieristica. Al contrario, essa sembra attrarre verso il nursing persone che non avrebbero mai svolto assistenza infermieristica agli adulti. In altre parole: la "vocazione" al lavorare nell'infermieristica pediatrica è distinta e segue motivazioni diverse rispetto a quella per l'infermieristica generale: ci sono giovani che non hanno alcuna intenzione di fare l'infermiere con gli adulti o gli anziani, ma vorrebbero farlo con i bambini (15). La carenza di infermieri che si registra ormai a livello mondiale è multifattoriale ed ha molte spiegazioni. Tra le molte soluzioni che sono state proposte in letteratura alcuni autori italiani hanno proposto di potenziare le professioni assistenziali che possono essere concentrate in alcuni ambiti clinici specifici, in primo luogo le ostetriche per i reparti di ostetricia e ginecologia e gli Infermieri Pediatrici per la pediatria e la neonatologia. In tal modo, gli Infermieri generalisti possono essere concentrati in quelle aree in cui sono maggiormente necessari ed indispensabili. (16). Se, come appare, la maggior parte dei giovani che scelgono il corso di Laurea in Infermieristica Pediatrica non si orienterebbero in sua mancanza al Corso di laurea in Infermieristica, la presenza della figura professionale di Infermiere Pediatrico garantisce all'area delle professioni assistenziali e infermieristiche un "introito" di nuove leve che altrimenti non ci sarebbe, e che consente di alleggerire la sofferenza del sistema sanitario per la carenza di Infermieri.

ConclusioneConclusioneConclusioneConclusione In Italia si riaffaccia periodicamente un dibattito sulla opportunità di mantenere la figura professionale

dell'infermiere pediatrico. La questione è tornata recentemente d'attualità in Italia a causa di alcuni autorevoli interventi -esterni alle professioni infermieristiche- nei quali è stata ipotizzata la chiusura dei corsi di laurea triennale per Infermiere Pediatrico. La Società Italiana di Scienze Infermieristiche Pediatriche ha espresso in tutte le sedi istituzionali in modo netto la sua contrarietà a qualsiasi ipotesi che preveda la scomparsa della figura di Infermiere Pediatrico perchè ritiene l'esistenza di questa professione un valore per i bambini e le loro famiglie, per la società e per il sistema sanitario. La compresenza di Infermieri e di Infermieri Pediatrici nell'area assistenziale pediatrica, lungi dal creare problemi, è invece in grado di portare un contributo sostanziale alla loro soluzione (in particolare, al problema della carenza generale di professionisti dell'area infermieristica) ed fonte di arricchimento e di crescita per tutti i professionisti sanitari.

BibliografiaBibliografiaBibliografiaBibliografia 1- Internal Market Directorate General of the European Commission. Study on specialist nurses in Europe. MARKT/D/8031/2000. European Commission. 2000 Brussels. 2- Report of the Expert Group on Midwifery and Children’s Nursing Education. Government publication sale Office. 2004. Dublin. 3- Ronfani L, Macaluso A, Tamburlini Rapporto sulla salute del bambino in Italia. Centro per la Salute del Bambino, Ospedale Burlo Garofolo 2005. Trieste 4- Celeste L, Peraldo M, Visconti P. Carta dei Diritti del Bambino in Ospedale. 2005 Centro Scientifico Editore. Torino. 5- Comitato nazionale di Bioetica. 18/7/1997. http://www.governo.it/bioetica 6- Società Italiana di Pediatria. Comunicato della Presidenza del 12/02/2007. http://www.sip.it. 7- Paediatric Nursing Associations of Europe. Position statement on the Regulation of Paediatric Nurses in Europe. 2005 8- Regione Toscana. 2007. http://web.rete.toscana.it/demografia/ 9- Kaushal R, et al. Medication errors and adverse drug events in pediatric inpatients, JAMA 2001; 285:2114-20. 10- Fowler J. Patient Safety: principles and practice. Springer 2004 New York. 11- Hockenberry MJ. Nursing Care of Infants and Children. 2003 Mosby, St. Louis. 12- Galvin E, Boyers L, Schwartz PK, et al. Challenging the precepts of family-centered care: testing a philosophy. Pediatr Nurs. 2000;26:625-32. 13- Whiting M, Gibson F, Buckingham S 2002 Children’s nursing education: towards a consensus. 2002 Paediatric Nursing; 14(2): 26–29 14- Nursing and Midwifery Programme World Health Organization Regional Office for Europe. WHO European Strategy for Nursing and Midwifery Education. 2001, WHO. Copenhagen 15- Vergna S, Festini F. L’assistenza infermieristica in area pediatrica. Problematiche legate alle professionalità coinvolte e alle motivazioni. Studio trasversale su una popolazione di infermieri di area pediatrica. 2° Congresso SIPO, Montecatini 25/9/2009 16- Palese A, Saiani L. Carenza di infermieri, standard assistenziali, sicurezza dei pazienti. Assist Inferm Ric 2006; 4: 202-205.

Professione

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Valutare il dolore e il Valutare il dolore e il Valutare il dolore e il Valutare il dolore e il distress nel bambino distress nel bambino distress nel bambino distress nel bambino

intubatointubatointubatointubato

Johansson M, Kokinsky E. The COMFORT behavioural scale and the modified FLACC scale in paediatric intensive care. Nurs Crit

Care. 2009;14:122-30.

Background Sia l'inadeguata che l'eccessiva sedazione sono associate ad effetti avversi, perciò l'uso di strumenti validi per la rilevazione il dolore ed il distress è di fondamentale importanza. La scala COMFORT-B è usata per valutare il distress nei bambini ventilati e la scala FLACC è usata per valutare il dolore ma quest'ultima non è stata valutata nei bambini ventilati. Scopo

valutare la validità e l'affidabilità delle scale COMFORT-B e FLACC nei bambini ventilati Metodi

40 bambini sono stati osservati da 2 infermiere ricercatrici per due minuti in momenti scelti in modo casuale durante la giornata. Sono state fatte 119 osservazioni. Dopo ogni osservazione le due infermiere hanno registrato le loro rilevazioni con le due scale e i loro giudizi clinici sul livello di distress e di dolore del soggetto osservato. Risultati

La scala COMFORT-B è più affidabile del giudizio clinico dell'infermiere nel valutare il distress del bambino ventilato in terapia intensiva. Essa può essere utilizzata in abbinamento alla FLACC per valutare il dolore postoperatorio nel bambino ventilato. La validità di entrambe le scale è limitato ai bambini più piccoli e gli strumenti non sono ancora validati per i bambini con ahndicap mentale p fisico grave. Implicazioni

Usare scale validate può migliorare la gestione e la valutazione del dolore e della sedazione nei bambini intubati.

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Dalla letteratura scientifica

Difficoltà di linguaggio e Difficoltà di linguaggio e Difficoltà di linguaggio e Difficoltà di linguaggio e scolastiche dei bambini scolastiche dei bambini scolastiche dei bambini scolastiche dei bambini

nati prematurinati prematurinati prematurinati prematuri

Wolke D, Samara M, Bracewell M, Marlow N; EPICure Study Group. Specific language

difficulties and school achievement in children born at 25 weeks of gestation or less.

J Pediatr 2008 ;152:256-62.

Scopo

Valutare se i problemi di linguaggio e scolastici manifestatisi in bambini nati prima della 25° settimana di gestazione erano dovuti alla loro prematurità o a deficit cognitivi generali Metodi

Un totale di 241 bambini su una coorte di 308 bambini (78%) sono stati valutati in follow up all’età mediana di 6,4 anni. Sono stati confrontati con 160 loro compagni di classe che non erano nati prematuri. Sono stati somministrati test cognitivi di linguaggio e fonetici. Risultati

Il punteggio cognitivo medio dei bambini prematuri è risultato 82 contro 106 del gruppo dei controlli. I bambini nati estremamente pre termine hanno avuto un punteggio più basso dei loro coetanei nati a termine per quanto riguarda la performance cognitiva con maggiori difficoltà di linguaggio e difficoltà generali. I nati prematuri hanno un aumentato rischio dei problemi di linguaggio (OR 10, IC 95% 3-32) e fonetici (OR 4,4, IC 95% 3-7) nonché di maggiori difficoltà scolastiche (OR 25, IC 95% 12-54). I maschi pretermine hanno un probabilità doppia di manifestare difficoltà rispetto alle bambine pretermine. Implicazioni

I deficit di linguaggio e fonetici sono indicativi di difficoltà cognitive funzionali generali. Questi risultati hanno delle implicazioni per l’interpretazione dello sviluppo cerebrale nei bambini nati prima di 25 settimane di età gestazionale.

Salute respiratoria dei Salute respiratoria dei Salute respiratoria dei Salute respiratoria dei bambini nati preterminebambini nati preterminebambini nati preterminebambini nati pretermine

Hennessy EM, Bracewell MA, Wood N, Wolke D, Costeloe K, Gibson A, Marlow N; EPICure

Study Group. Respiratory health in pre-school and school

age children following extremely preterm birth. Arch Dis Child 2008;93:1037-43.

Obiettivo

Determinare l’incidenza e l’eziologia della morbilità respiratoria nei primi sei anni di vita dei grandi prematuri Metodi

Studio comparativo su 308 bambini nati prima della 25° settimana di età gestazionale. I bambini sono stati valutati a 30 mesi e a sei anni di età. Un questionario è stato somministrato ai genitori ed è stato eseguito un esame fisico per valutare le condizioni respiratorie del bambino. A 6 anni è stato valutato ance il picco di flusso espiratorio Risultati

Una supplementazione di ossigeno è stato somministrato al 74% di questi bambini al di sopra delle 36 settimane ed il 36% di loro hanno avuto bisogno di ossigeno dopo la dimissione dall’ospedale, continuandolo per un tempo mediano di 2,5 mesi. I sintomi respiratori e la dipendenza dai farmaci era più frequente nei bambini con displasia broncopolmonare (PBD). I bambini che non avevano BPD hanno avuto una prevalenza maggiore di malattie respiratorie dei loro compagni di classe non prematuri. I picchi di flusso espiratorio era minore nei bambini del gruppo dei pretermine Implicazioni

Nei primi 6 anni di vita i bambini nati estremamente prematuri hanno condizioni respiratorie maggiori, queste vengono peggiorate dal fumo in gravidanza ed in casa.

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Un sito internet con tantissime risorse utili per la pratica professionale degli Infermieri che assistono Bambini: • Tecniche • Assistenza • Family-centered care • Organizzazione delle cure

La SISIP è un’Associazione di Infermieri Pediatrici e di Infermieri che assistono bambini, neonati e adolescenti.

Il nostro scopo è contribuire al miglioramento continuo delle cure infermieristiche ai soggetti in età evolutiva e alla crescita dell’Infermieristica Pediatrica attraverso la diffusione delle migliori evidenze scientifiche disponibili, la ricerca e lo scambio di esperienze tra professionisti.

Per informazioni sulle noste attività e sull’Infermieristica Pediatrica: www.sisip.it

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N. 42, Maggio 2009

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Premio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WESTPremio di Laurea CHARLES WEST 2009200920092009

Per onorare la memoria di Charles West, fondatore dell'Infermieristica Pediatrica, la Società Italiana di Scienze Infermieristiche Pediatriche istituisce un premio di laurea dell'importo di 1000 Euro riservato a laureati in Infermieristica Pediatrica ed in Infermieristica che abbiano discusso nell'anno accademico 2008/2009 e nel corso dell’anno 2009 una tesi su un tema ricompreso nell'ambito delle Scienze Infermieristiche Pediatriche e dell'assistenza al paziente in età evolutiva.

Domanda di partecipazioneDomanda di partecipazioneDomanda di partecipazioneDomanda di partecipazione La domanda di partecipazione al Premio, in carta libera, dovrà essere inviata alla Società Italiana di Scienze Infermieristiche Pediatriche, via Borgognoni 7C, 51100 Pistoia a mezzo raccomandata con avviso di ricevuta entro il giorno 22 dicembre 200922 dicembre 200922 dicembre 200922 dicembre 2009. Nella domanda il concorrente dovrà indicare i propri dati anagrafici e l'indirizzo cui inviare ogni comunicazione. Dovrà anche essere obbligatoriamente indicato un indirizzo di email per le comunicazioni. In calce alla domanda il richiedente dovrà sottoscrivere la propria autorizzazione al trattamento dei dati personali Dovrà inoltre allegare certificazione di superamento dell'esame di Laurea in Infermieristica Pediatrica o in Infermieristica con indicazione del voto di Laurea (o dichiarazione sostitutiva di certificazione secondo le leggi vigenti) Alla domanda dovrà essere allegata una copia della tesi di laurea che partecipa al premio. Tutta la suddetta documentazione dovrà anche essere inviata via email all'indirizzo: [email protected]

Valutazione Valutazione Valutazione Valutazione Le tesi partecipanti al concorso verranno valutate da una commissione nominata dal consiglio direttivo della SIIP composta da: - un Professore Universitario di ruolo di Scienze Infermieristiche - un Infermiere Pediatrico - un Infermiere specialista in area pediatrica - un Medico Pediatra Il giudizio della Commissione è inappellabile. La Commissione può decidere di suddividere l'importo totale del premio in più premi di entità minore, in caso di ex aequo.

PrPrPrProclamazione del vincitoreoclamazione del vincitoreoclamazione del vincitoreoclamazione del vincitore La tesi vincitrice verrà pubblicata sul sito della SISIP e, in forma sintetica, sul Giornale Italiano di Scienze Infermieristiche Pediatriche.

Trattamento dei dati personaliTrattamento dei dati personaliTrattamento dei dati personaliTrattamento dei dati personali I dati personali trasmessi dai candidati con la domanda di partecipazione al concorso saranno trattati esclusivamente per le finalità di gestione della presente procedura concorsuale. In qualsiasi momento gli interessati possono ritirare il consenso al trattamento dei loro dati.

N. 43, Giugno 2009 N. 44 Luglio 2009 N. 45, Ottobre 2009

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