premio letterario tu, io e i mondi possibili letterario 2013 - antologia.pdfgianni busato. lettrice....

70
Premio Letterario Tu, Io e i mondi possibili III EDIZIONE racconti sul tema ispirati a: con il contributo e la collaborazione di

Upload: others

Post on 13-Jun-2020

2 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

IL CORAGGIOE LA PAURADI CAMBIARE

PARROCCHIASANTA MARIA ASSUNTACasale sul Sile - Diocesi di Treviso

Premio Letterario

Tu, Io e i mondi possibiliIII EDIZIONE

racconti sul tema ispirati a:

con il contributo e la collaborazione di

GRUPPO PARROCCHIALE FESTEGGIAMENTIParrocchia Santa Maria Assunta - Casale sul Sile

Premio Letterario

Tu, io e i mondi possibiliper un racconto sul tema

“il coraggio e la paura di cambiare”Casale sul Sile, 14 aprile 2013

con il patrocinio dellaProvincia di Treviso

GiuriaIsidoro Perin (Cordinatore)

Tiziana ZanardoEmanuela ZamunerAnna Rossit TantinoElisa Barbon Viale

Efri VaccariGianni Busato

LettriceLiliana Gioffrè

SegretarioAngiolino Piva

Presidente del Comitato OrganizzatoreGraziano Sartorato

Con grande orgoglio porto il mio saluto in occasione della pubblicazione degli ela-

borati che hanno partecipato al concorso “Tu, io e i mondi possibili”, premio letterario per

un racconto sul tema “Il coraggio e la paura di cambiare”.

Non posso che complimentarmi con la Parrocchia di Santa Maria Assunta di Casale

sul Sile per la partecipazione e l’energia profusa nell’offrire a giovani e meno giovani l’oc-

casione di mettersi alla prova, sviluppando un tema delicato e molto importante per la vita

di un ‘territorio’.

Il bando, non a caso, è rivolto agli Under 15, agli Under 19 e agli Adulti.

Proteggere il proprio territorio e la Comunità è una responsabilità di ogni cittadino

e coinvolge conoscenze, valori e comportamenti. L’impegno della Provincia di Treviso si

concretizza in diversificate azioni concrete, ma anche nel grande lavoro di sensibilizzazione

della Collettività ad un comportamento consapevole e responsabile.

Quindi, il mio plauso a tutte quelle iniziative che portano alla sensibilizzazione delle

persone, promuovendo importanti occasioni di riflessione e confronto.

Mi piace sottolineare che questo concorso sia stato proposto da una parrocchia, da

sempre luogo di aggregazione e formazione sia fisica che spirituale.

Non mi resta allora che augurare a tutti, organizzatori o partecipanti, la migliore

riuscita nella loro esperienza di vita, anche letteraria.

Il PresidenteLeonardo Muraro

3

4

Siamo lieti, come CentroMarca Banca, di sostenere per la terza volta il Premio Lette-rario “Tu, Io e i mondi possibili”. La partecipazione degli scrittori, la freschezza e ricchezza di questi racconti danno a tutti noi una grande speranza per il futuro.

Il tema del “Il coraggio e la paura di cambiare”, fil rouge di questa edizione del premio, fa riflettere tutti noi e non solo chi scrive. Come possiamo cambiare? Come si può migliorare la nostra vita collettiva ma anche la nostra vita famigliare e personale spesso schiava dei ritmi e dei tempi moderni? Quanta paura abbiamo, tutti i giorni, di affrontare i nostri scheletri nell’armadio?

Ecco, questi racconti ci offrono una panoramica di mondi possibili, di difficoltà, di angosce ma anche di alternative, di nuove opportunità. I racconti ed il premio letterario stesso sono specchio delle nostre anime, di quanto accade nelle nostre vite e nel nostro territorio.

Ciò che gli autori di questi racconti ci permettono di capire è innanzitutto che la pau-ra è un sentimento normale che si può affrontare ed in secondo luogo che il cambiamento è già dentro di noi perché a ciascuno sono dati dei talenti. E se questi talenti vengono solleci-tati, sfruttati ed anche messi a disposizione degli altri possiamo, ognuno nel nostro piccolo e secondo le nostre possibilità, portare gioia, novità e felicità nel mondo.

Ringrazio sentitamente gli autori dei racconti per essersi messi in gioco ed auguro loro di realizzare i propri sogni. Ringrazio, infine, gli organizzatori ed il Gruppo Parroc-chiale di Festeggiamenti di Casale sul Sile in quanto promotori di una grande opportunità per i nostri giovani e per tutto il territorio: grazie al premio letterario “Tu, Io e i mondi possibili” permettete a tutti noi di sperare e di credere nel futuro.

Il Presidente

Tiziano Cenedese

La Società Cooperativa Giuseppe Toniolo di Conscio è onorata di essere, anche in questa terza edizione, sostenitrice della lodevole iniziativa del premio letterario “Tu, io ed i mondi possibili”. Dopo l’ottimo esito delle prime due edizioni, anche l’edizione 2013 è una bella opportunità per le tante persone che vogliono scoprire la bellezza ed il piacere di raccontarsi e raccontare.

“Il coraggio e la paura di cambiare” è il tema di quest’anno. Non poteva esserci migliore sintesi dei sentimenti contrastanti che un momento storico come questo può pro-vocare in ciascuno di noi. Cambiare si deve, non si può immaginare di star fermi. La vita va vista nel suo divenire, con occhi disincantati, con la voglia e la capacità di guardare al futuro con fiducia ed il sorriso. Ed ecco invece che per contrasto emerge invece la paura. La paura nel futuro, la paura di cambiare, la paura di rimettersi in gioco in ogni istante.

Una bella sfida, non c’è che dire, per quanti si cimenteranno nell’avventura di rac-contare. È sarà bello leggere quanto emergerà e sarà certamente, non abbiamo dubbi, in chiave positiva. E saranno molti coloro che aderiranno all’invito degli amici del Gruppo Parrocchiale Festeggiamenti di Casale sul Sile, che hanno avuto questa straordinaria idea.

La Società Cooperativa Giuseppe Toniolo di Conscio nella sua lunga storia ha saputo coniugare la fedeltà al valori fondanti con la necessità di misurarsi con le sfide del presente che si chiamano competizione, globalizzazione, frenesia e chi più ne ha più ne metta. In questa chiave va letta anche l’opera da poco conclusa di radicale trasformazione ed amplia-mento per essere ancora più capace di soddisfare tutte le esigenze e guardare con fiducia al futuro proprio e di tutta la collettività. È questo un segnale forte, in tempi di crisi profonda, che dimostrano tutta la positività dell’esperienza cooperativa.

Un sincero grazie ai promotori del Premio, a tutti coloro che vi hanno aderito e che a vario titolo contribuiscono alla sua complessa realizzazione.

Anche questa iniziativa ci dice che il bene è “possibile”. Ed è ciò che più conta.

Il PresidenteMarcello Criveller

5

I popoli che vivono lungo i grandi corsi d’acqua diventano veri testimoni della storia, perché il fiume agevola incontri e scambi, sia fisici che culturali.

Ed ecco che Casale Sul Sile diventa “Capitale” di questa verità, attraverso il concorso letterario “Tu, Io e i mondi possibili”, uno sforzo che la “Parrocchia S. M. Assunta” e il “Gruppo Parrocchiale Festeggiamenti” vivono con entusiasmo e professionalità.

Il frutto di questo impegno si vedrà fra qualche anno, quando le antologie che raccol-gono i racconti migliori diventeranno documenti storici, oppure quando qualche scrittore, magari in erba, troverà spazio nel mondo dell’editoria (è già accaduto in altri concorsi).

Coordinare la qualificata giuria per scegliere i racconti più significativi è stato bellis-simo e impegnativo.

In particolare mi hanno colpito gli elaborati degli “under 15” che ci hanno fatto par-tecipi delle loro paure e delle loro speranze.

Ma tutti gli scrittori si sono messi al servizio del difficile tema “Il coraggio e la paura di cambiare” con generosità e impegno.

Peccato che il numero insufficiente di concorrenti “under 19” non ci abbia consen-tito di proclamare un vincitore.

Arrivederci al prossimo anno con rinnovato entusiasmo da trasmettere agli amici e a tutti coloro che hanno voglia di donarci una storia.

Sarà un regalo per tutta la collettività.

Coordinatore della Giuria

Isidoro Perin

6

L’infinito, una dimensione che non ci appartiene.

Noi tutti incontriamo un tempo che non sempre sappiamo sfruttare nonostante le tante opportunità.

In questi anni così socialmente difficili, ancora una volta veniamo messi alla prova vedendoci costretti a rispolverare i vecchi valori della vita. Valori che abbiamo sostituito con la tecnologia e l’indifferenza; quante volte si sente spesso dire “Se non è mio non mi interessa!”.

Il Gruppo Parrocchiale Festeggiamenti, nella sua terza edizione del premio lettera-rio, vuole dare voce ai pensieri della gente, in modo particolare un’opportunità per i tanti a cui manca “il coraggio” di dire la propria.

Credo che oggi dobbiamo saper ascoltarci, ed è proprio così che nelle nostre serate al gruppo a raccontarci è nato “Il coraggio e la paura di cambiare”; scambiandoci i nostri “io” con la speranza di tirar fuori dal cilindro nuove mete.

Non dimentichiamoci che abbiamo il dovere e la responsabilità di crescere il domani.

Nelle mie quotidianità, mi accorgo quanta voglia di vita abbiano i giovani; noi adulti dobbiamo investire su di loro mettendo da parte egoismi ed interessi materiali, “cambiare”.

Nel leggere i racconti, noto quante emozioni viviamo e quanto poco le esterniamo, perciò un forte merito per tanta sensibilità con cui gli scrittori hanno interpretato il tema allontanando la paura di raccontarsi.

Alla Giuria del premio letterario un elogio speciale, per aver interpretato al meglio il compito affidato e per la disponibilità offerta.

Un ringraziamento particolare al Presidente della Provincia Leonardo Muraro, al Presidente del Centro Marca Banca Tiziano Cenedese, al Presidente della Cooperativa “Giuseppe Toniolo” di Conscio di Casale Marcello Criveller, per aver contribuito alla rea-lizzazione di questo Premio Letterario.

Presidente del Comitato Organizzatore

Graziano Sartorato

7

9

VERBALE DELLA GIURIA

Il numero di 34 partecipanti al concorso “Tu, io e i mondi possibili” per un raccon-to sul tema “Il coraggio e la paura di cambiare” ci lusinga. Ci vuole un grande coraggio e una grande bravura per cimentarsi in un tema tanto vasto e profondo, specie per gli under 15 che, tra l’altro, sono quelli che ci hanno donato risultati addirittura sorprendenti.Ed è proprio questo che ci sprona a far evolvere il Premio letterario verso tematiche più semplici e aderenti alla quotidianità.

I racconti pervenuti sono stati comunque dignitosi e rispettosi delle tematiche propo-ste. Qualche sbavatura formale e grammaticale non ha sminuito l’importanza dei contenuti e dell’alto livello emotivo.

Le scelte dei premiati e dei segnalati sono il frutto di un’analisi profonda e di uno scambio di pareri tra i membri della giuria unanimemente condivisi.

I SEGNALATI della categoria Under 15 sono:

UN SOGNO PER DOMANIdi Giada de Pieri - Casale sul Sile (TV)

Motivazione: Malgrado lo stile essenziale e acerbo riesce ad esprimere una visione della vita matura e coraggiosa.

IL CLUB – UNA PRIGIONE PER ZOEdi elena MaranGon - Lughignano di Casale sul Sile (TV)

Motivazione: Con uno stile semplice ma efficace l’autrice racconta le paure e la forza dell’amicizia nel mondo degli adolescenti.

La Giuria proclama i VINCITORI della III edizione del Premio “Tu, Io e i mondi possibili”IL CORAGGIO E LA PAURA DI CAMBIARE - categoria Under 15:

IL RAGAZZO, LA STATUA E IL CLOCHARDdi Francesco Balzaretti - Novara 3° Classificato

Motivazione: Una storia dura e avvincente, senza sbavature stilistiche, che mostra quanto sia difficile cambiare e quanto sia importante per un giovane poter contare su solidi riferimenti familiari.

IO POSSO, DEVO E VOGLIOdi linda Giusti - Lughignano di Casale sul Sile (TV) 2° Classificato

Motivazione: La scrittura fresca e diretta dell’autrice coinvolge emotivamente il lettore portandolo con leggerezza a riflettere sui cambiamenti a volte drammatici che la vita impone.

LA SCELTA DI MICHELEdi caterina Baldasso - Spresiano (TV) 1° Classificato

Motivazione: La vicenda umana del protagonista mostra la strada faticosa ma possibile per giungere alla scelta del cambiamento e di ritrovare la dignità nella legalità.

Lo stile fluido e accattivante della giovane autrice trascina il lettore alla storia.

10

CATEGORIA UNDER 19

La Giuria non ha ritenuto premiare i racconti pervenuti, tuttavia esprime una SEGNALAZIONE DI MERITO al racconto:

LA METAMORFOSIdi elisa Bertoncini - Vicopisano (PI)

Motivazione: Per l’originalità della storia che si dipana tra sogno e realtà fino ad una piena comprensione della bellezza della vita.

11

I SEGNALATI della categoria Adulti sono:

U CRIVU

di antonio Giordano - Palermo

Motivazione: Talvolta una malattia è l’occasione per riflettere sul vissuto. La narrazione è ben organizzata e lo stile accurato.

DECRESCERE PER CRESCERE

di rainalda torresini - Carbonera (TV)

Motivazione: Una storia tremendamente attuale che ha il merito di offrire una speranza concreta, in un mondo che sembra aver dimenticato il valore della solidarietà.

La Giuria proclama i VINCITORI della III edizione del Premio “Tu, Io e i mondi possibili”IL CORAGGIO E LA PAURA DI CAMBIARE - categoria Adulti:

LA VITA CHE NON SAPEVO

di cristiano Vanin - Conscio di Casale sul Sile (TV) 3° Classificato

Motivazione: Un testo dal ritmo coinvolgente per ricordarci che cambiare talvolta significa accettare ciò che la vita ci propone.

SCELGO DI ESSERE FELICE

di elisaBetta taschin - Casale sul Sile (TV) 2° Classificato

Motivazione: Una fiaba tenera e coraggiosa che la scrittrice ci racconta con una semplicità avvincente.

LA MIA MIGLIORE AMICA

di alex hiMMel - Quinto di Treviso (TV) 1° Classificato

Motivazione: Il racconto è un viaggio interiore di straordinario valore umano alla ricerca dell’accettazione della propria identità.

Lo stile semplice e chiaro è un valore aggiunto alla profondità del tema.

Categoria Under 15

Primo classificato

LA SCELTA DI MICHELEdi Caterina Baldasso - Spresiano (TV)

Primo sparo. Secondo. Al quinto avrebbero iniziato loro. E a quel punto iniziava il divertimento. O almeno per loro, Tonio e Michele; probabilmente per gli altri sarebbero ini-ziato l’inferno. Tonio e Michele avevano le nuove pistole. Avrebbero vinto, non c’era dubbio. Terzo sparo. Ne mancavano ancora due, ma Michele non riusciva a resistere. Non vedeva l’ora di sentire il suono dei suoi spari che come bolidi colpivano la parte nemica. Quarto e quinto intervallati da un millesimo di secondo. E cominciò la vera battaglia. I proiettili vola-vano da ambo le parti, ma Michele sentì che i colpi nemici iniziavano a diminuire. I nemici finirono i proiettili.

Spararono un ultimo colpo e con una sgommata dell’auto fuggirono in tutta fretta. Anche Michele sparò un colpo per far capir loro che era stato lui a dire l’ultima parola. Soddisfatto dell’esito, cercò di raggiungere Tonio. Non vedeva l’ora di vedere la sua faccia trionfante. Ora quei tre non avrebbero più invaso quel territorio. Non trovò subito Tonio, probabilmente si era spostato per avere una visuale migliore. Ecco. Doveva essere dietro quella peugeot rossa, col finestrino colpito da un proiettile. Raggiunse l’auto e lo trovò. Disteso per terra con la testa appoggiata alla spalla, braccia piegate e un’espressione quasi trionfante e felice sulla faccia. Ma Michele non vide Tonio, vide solo sangue dappertutto, schizzi di sangue sul muro, una pozza di sangue per terra e una macchia di sangue che con-tinuava ad allargarsi sul petto di Tonio.

Michele vide tutto ciò sotto la flebile luce di un lampione alle 11 di sera di un giovedì di marzo e si sentì morire. Iniziò a vedere tutto rosso, forse era il fuoco dell’inferno che lo stava attendendo. Forse stava perdendo sangue e non se ne era nemmeno accorto. Forse il caldo che sentiva sulle guance era il sangue che scorreva. Forse stava morendo. Forse era già morto. Non capiva più niente. Il lampione difettoso si spense per cinque secondi, poi si riaccese. Michele si svegliò dallo stato di trance. Si accorse che stava piangendo, abbracciato a quello che fino a pochi minuti prima era stato l’amico d’infanzia fidato. E che adesso era invece uno dei tanti cadaveri che sarebbero stati sepolti nel cimitero di Palermo. Ma a Michele non importava. Forse se restava abbracciato a Tonio, forse l’amico si sarebbe svegliato. Forse se avesse continuato a tenere la mano sporca di sangue sul petto di Tonio, forse l’amico sareb-

Motivazione della GiuriaLa vicenda umana del protagonista mostra la strada faticosa ma possibile per giungere

alla scelta del cambiamento e di ritrovare la dignità nella legalità.Lo stile fluido e accattivante della giovane autrice trascina il lettore alla storia.

categoria under 15 PRIMO CLASSIFICATO13

PRIMO CLASSIFICATO categoria under 15 14

be sopravvissuto. Forse, forse, forse. Sentì dei passi nella via accanto e istintivamente le sue gambe iniziarono a correre. Era una regola non scritta; se c’è il morto scappa. Anche se il morto è tuo fratello, tu scappa lo stesso. Michele corse e travolse una ragazza. Ma correva troppo veloce per potersi fermare a chiedere scusa o anche semplicemente per vedere a chi era andato addosso. Nello scontro, notò solo due occhi di un azzurro cobalto. Continuò a correre, attraversò strade senza una meta precisa. Si ritrovò nella zona di Luigi, così andò da lui e gli spiegò cosa era successo. L’altro con noncuranza gli disse di tornarsene a casa.

E Michele, in lacrime, fece ciò che gli era stato consigliato.

Erano passate due settimane dall’omicidio di Tonio, il funerale non si era ancora svolto perché la polizia tratteneva il corpo per le indagini. Michele non parlava con nessuno da quella notte. Ma doveva tornare agli affari. Il giorno prima a casa sua era giunto il suo capo che gli aveva intimato di ritornare a vendere perché il clan rivale stava di nuovo minacciando il suo territorio. Michele sapeva che non gli conveniva ritirarsi. Era venerdì; nei weekend vi era più clientela, la maggior parte della quale formata da ragazzini quattordicenni come lui che volevano provare quella così apparentemente entusiasmante e eccitante realtà che è la droga. Si posizionò al suo solito posto, dietro quell’angolo dove aveva passato tanti momen-ti con Tonio. Mentre osservava il cielo stellato, giunse una ragazza bionda probabilmente diciassettenne. Gli sembrava di averla già vista. Lei si avvicinò sospettosa a lui, probabil-mente le avevano detto di andare da lui per le dosi, ma non era sicura di aver trovato la persona giusta. Infatti gli chiese dove era Tonio. Michele distolse lo sguardo e disse che era stato ammazzato. La ragazza rimase indifferente e chiese solamente due dosi. Dopo avergli venduto la roba, Michele la guardò bene in faccia e si accorse che la giovane cliente aveva due occhi azzurri, ed ebbe la sensazione di averli già visti.

Ma ormai era troppo tardi per chiederle qualsiasi cosa, poiché la ragazza si era dilegua-ta per la paura di essere vista da qualcuno.

Circa dieci minuti dopo, mentre Michele stava fumando una sigaretta, vide arrivare una ragazzina della sua età. Camminava incerta, si vedeva che non capiva se era nel posto giusto. Era un po’ rotondetta ed aveva una faccia simpatica. Non aveva l’aria di una che voleva le dosi, era troppo poco pallida o comunque aveva un’aria da innocente, di certo non tipica di una cliente. Si fermò a cinque metri da lui e si guardò intorno. Michele distolse lo sguardo e si mise a guardare il cielo: probabilmente quella ragazzina aveva sbagliato strada e stava cercando di capire dove andare. - Dov’è l’altro ragazzo?- la ragazzina ruppe il notturno rumore sonnacchioso della città. Michele ne rimase sorpreso: era evidente che non voleva della droga altrimenti l’avrebbe comprata lo stesso anche da lui. Però lei cercava Tonio, non sapeva il suo nome, non lo conosceva, ma lo cercava. Doveva averlo visto da qualche parte. “Non rispondere a domande se non sai chi le fa”. Una delle tante regole che Michele aveva dovuto imparare qualche anno prima. Quella ragazza era sospetta, poteva essere qualcuno dell’altro clan oppure una spia. Ma Michele non poteva ignorarla.

– Chi sei?– Mi chiamo Eleonora e sto cercando il ragazzo che sta qua di solito. Lo sto cercando.– Perché?– Devo chiedergli una cosa.– Cosa?– Devo parlare con lui, non con te.Silenzio.

categoria under 15 PRIMO CLASSIFICATO15

– Ok, comunque non c’è. – Quando lo trovo?– Non lo trovi. Lo hanno ammazzato.

La ragazza impallidì e le si lesse in faccia un’espressione di sgomento, un brivido le percorse tutto il corpo. Non doveva aver sentito parlare molto di omicidi.

– M-m-mi d-dispiace – balbettò. Michele la guardò con la stessa curiosità con cui un bambino osserva la neve per la prima volta. Quella ragazza del tutto sconosciuta era la prima persona che aveva provato un qualsiasi sentimento alla notizia della morte di Tonio, esclu-dendo Michele. Il che era strano perché era chiaro che non lo conosceva affatto, altrimenti avrebbe saputo il suo nome; tutti conoscevano il nome di Tonio: gli amici, i clienti, i nemici e perfino i conoscenti. Ma lei no. Lei non aveva mai nominato il suo nome, anzi lo aveva chiamato “l’altro ragazzo”. Michele concluse che non era né di un qualsiasi clan rivale né una delle consuete spie inviate da poliziotti. Ma rimanevano ancora due domande. Chi era allora quella ragazza? E perché cercava Tonio? La ragazza era ancora un po’ pallida quando Michele le rispose:

– Non importa.– Quindi sei tu il suo sostituto?

Michele ci rifletté. La possibilità di diventare il sostituto di Tonio era molto plausibile e forse certa. Ma cosa avrebbe deciso il Capo non lo sapeva nessuno, e prendere il posto di Tonio di certo non riportava in vita l’amico fidato.

– Sì, in teoria sì.– Okei allora chiedo a te.“Questa è strana forte” pensò Michele, ma era interessato quindi stette zitto e ascoltò.

– Prima che arrivassi io, è venuta una ragazza a chiederti alcune dosi. È alta e bionda, con gli occhi azzurri. Comunque di solito va dall’altro ragazzo per le dosi, ma... siccome sei il suo sostituto chiedo a te. Per favore potresti non venderle più alcuna dose? Sono disposta a pagarti, non ho molti soldi, ma spero bastino.

A Michele venne da ridere, ma per non mettere in imbarazzo la ragazza, si trattenne. Era una cosa abbastanza ovvia che non avrebbe mai accettato. Per prima cosa dubitava che la ragazza avesse sufficientemente soldi, inoltre non avrebbe mai rifiutato una cliente, soprat-tutto se pagava sempre. Con aria ironica, le chiese:

– Quanto è che avresti?– Duecentocinquanta euro.A quella cifra Michele strabuzzò gli occhi: non aveva mai ricevuto così tanti soldi da

una sola persona. Forse la ragazza non era così strana.– Quindi io dovrei prendere i soldi e non vendere più dosi a quella ragazza bionda?

– Esatto– E com’è che faccio a riconoscerla? L’ho vista solamente una volta.– Oh, è facile, indossa sempre un ciondolo a forma di stella.– Mmh... Sì, si può fare, ma questi soldi bastano solo per due mesi.La ragazza divenne confusa, era chiaro che non conosceva i prezzi delle dosi. Ma si

riprese.

– Va beh, per adesso facciamo così.– Perché dovrei farlo?– Perché ti pago.

– Questo lo so. Intendo perché devo accettare i tuoi soldi, invece di continuare a ven-dere droga a quella ragazza. Voglio dire, paga bene e non ho nessun motivo per rifiutarla come cliente.

La ragazza sbiancò improvvisamente e due lacrime le rigarono la guancia. Michele non aveva mai visto una ragazza della sua età piangere, non aveva mai visto un adolescente come lui piangere, nel mondo in cui viveva non si piangeva, se piangevi eri una femminuccia e non ti assegnavano nessun ruolo. Nel mondo dove viveva lui c’era spazio solo per la droga, i soldi e le pistole. Le lacrime continuavano a bagnare il volto della ragazza, Michele non sapeva cosa fare. Tra un singhiozzo e l’altro la ragazza disse:

– Quella di prima è mia sorella. Ha diciassette anni, ha cominciato a drogarsi a sedici. All’inizio non me n’ero accorta, poi era sempre più debole e una volta ha avuto un’overdo-se, ma ha continuato lo stesso a drogarsi. Io e mio fratello non sappiamo cosa fare. Dopo la morte di papà mia sorella non si è più ripresa. “Mi dispiace” fu tutto ciò che Michele riuscì a farfugliare imbarazzato. A quelle due parole, la ragazza assunse un’espressione di pura rab-bia. - No, non dirlo se non lo pensi veramente. Perché se mia sorella si droga è anche colpa tua. È colpa tua se mio padre è stato ucciso. Perché? Perché voi, voi che fate i soldi ucciden-do la gente, voi che siete il lato più orribile dell’Italia, voi lo avete ucciso per sbaglio. Perché lo avevate scambiato per un altro. No, non dire che ti dispiace. Perché sarebbe una bugia e di bugie ne ho sentite fin troppe. Da “papà è lassù nel cielo che ti guarda e ti protegge” a “tuo fratello combatte per una giusta causa” a “tua sorella sta bene”. Ho quattordici anni, non sarò una donna vissuta, ma qualcosa so. E tu non sei dispiaciuto. Per niente.

Finito il suo sfogo, si asciugò le lacrime e se ne andò correndo. Prima che Michele potesse accettare i soldi, prima che Michele potesse dire qualsiasi cosa in sua difesa. E lui restò lì completamente disorientato sotto il manto stellato che copriva Palermo, avvolto nel buio della sua mente. Non capiva. Sapeva che i clan uccidevano, anche lui aveva la licenza di uccidere, non i clienti, solo gli altri spacciatori che spacciavano nel suo territorio. Ma gli era sempre parsa una cosa normale. I nemici vanno uccisi o ti uccidono loro. Era cresciuto così, tra gli spari e la droga, tra l’alcool e il sangue. Era cresciuto senza un’infanzia felice. E improvvisamente capì l’indifferenza alla morte di Tonio. A nessuno importava di Tonio. Era solamente un piccolissimo pezzo di un grande puzzle. Lo sfogo della sua coetanea insinuò un dubbio atroce nell’ingenua mente di Michele: forse uccidere non era sempre bene. Uccidere un nemico sì, ma quando capitava un estraneo, ignaro di tutto, forse lì non era bene uccidere. E per la prima volta Michele si rese conto che la mafia non era come gliel’avevano sempre presentata. Non difendeva nessuno. Pensava agli affari propri. Non si curava delle persone che uccideva. Per la prima volta Michele non pensò come un bambino, ma ragionò come un adulto. Per la prima volta capì cosa era veramente la mafia. Ed ebbe paura. Non la solita paura della ramanzina del Capo, ma la Paura, quella che non ti fa dormire la notte, quella che ti fa temere per la tua stessa vita. Sapeva che non poteva tirarsi indietro, sapeva cosa succede-va a quelli che si tiravano indietro. Ma in quell’istante, in una notte di un venerdì di marzo, in quel preciso momento, Michele decise che avrebbe fatto qualcosa, che non sarebbe stato fermo a guardare qualche altro suo amico o persone estranee alla mafia morire ignorate da tutti. E pensando a Tonio, seppe cosa fare, anche se gli sarebbe probabilmente costato la vita.

16PRIMO CLASSIFICATO categoria under 15

Categoria Under 15

Secondo classificato

IO POSSO, DEVO E VOGLIOdi Linda Giusti - Lughignano di Casale sul Sile (TV)

… Zzzzzzzz…Zzzzzzz…Zzz…

“Aaaaah che sonno!” penso, aprendo pigramente un occhio.“Ecco, la mamma si è dimenticata di nuovo la sveglia! E ora cosa mi invento da dire

alla prof.?!?!! Credo che questa sia la ventesima volta... Per adesso la Rossi crede che una mattina mio nonno sia morto (per la terza volta) di infarto e mi ha elogiata per il carattere forte con cui ho affrontato la perdita; inoltre pensa che Zia Ermenegilda (so che è un nome inconsueto e piuttosto... hem... «originale», ma è il primo che mi è venuto in mente) in teoria avrebbe partorito, sempre di mattina, i suoi tre gemelli; un’altra mattina poi la professoressa è convinta che mi si sia allagata la casa”...

Ad un tratto un intenso e ignoto odore di chiuso mi invade; faccio per sollevarmi, ma non ci riesco. Mi accorgo che mi fanno male tutte le ossa e che ho degli aggeggi attac-cati al mio corpo. Non appena li vedo mi viene la nausea. Non ho mai sopportato gli aghi. Così provo, per quel che riesco, a guardarmi attorno: una stanza di ospedale. Una serie di immagini ripercorrono la mia mente. È come se una freccia mi avesse trapassato il cuore, rompendolo in mille pezzi.

Allora è vero.È tutto vero. Sono morti.In quel dannatissimo giorno dell’incidente. Per quel dannatissimo camion. Non ricordo molto. Ero in macchina con i miei e il papà ci stava portando a mangiare

fuori per festeggiare il loro anniversario di nozze. Era tutto normale. Ma ad un tratto uno schiaffo mi ha colta di sorpresa. Poi solo un vortice di colori e suoni che sembrava risucchi-armi e il remoto “iiiooooiiiiooooiiiiooooiiiooo” dell’ambulanza. Arrivata troppo tardi. Poi nero.

Mi sono ritrovata catapultata qui, in un letto che non è il mio. Con delle lenzuola che non sono le mie. Con uno scomodissimo cuscino pieno di aria (che non ha mai conosciuto una piuma

nemmeno per sbaglio) che non è il mio.

categoria under 15 SECONDO CLASSIFICATO17

Motivazione della GiuriaLa scrittura fresca e diretta dell’autrice coinvolge emotivamente il lettore portandolo

con leggerezza a riflettere sui cambiamenti a volte drammatici che la vita impone.

E con una “me” che non ricorda nemmeno lontanamente la Samantha che conoscevo io; quella con il fisico atletico, i capelli ribelli e il sorriso stampato in faccia ventiquattr’ore su ventiquattro. Ora sono pelle e ossa; la carnagione è spenta, di un bianco cadaverico; i capelli irti e unti; gli occhi un tempo azzurri, ora sono di un grigiastrolo anonimo e triste.

Un’infermiera entra nella stanza e mi sorride dolcemente.

«Buongiorno Bella Addormentata!» dice. Le rispondo con un mugugno; la mia voce è strozzata e la gola è secca. Lei sembra intuirlo e mi porta un bicchiere d’acqua.

«Come ti senti, tesoro?» mi chiede; io annuisco come un’idiota e dopo essermi scolata sette litri di acqua, mi riaccoccolo nel letto.

Lei prosegue, con una tenerezza infinità: «Pensa che hai dormito per tre anni… Te la sei vista brutta, ma alla fine il tuo angelo custode ti ha salvata».

Tanta è la calma con cui me lo dice che credo di non aver capito bene. Tre anni? Sono passati TRE ANNI?!!!??!?!?!! La mia espressione, vista da fuori credo sia a metà tra lo stu-pito e l’inorridito. Poi guardo sul comodino: una foto di me con la Mamma e il Papà il giorno del mio compleanno. Due grossi lacrimoni mi annebbiano la vista e mi rigano le guance.

«Brava tesoro, piangi che ti liberi da tutta la tristezza. Ora però devi pensare che loro stanno benissimo lassù e che il loro più grande desiderio è quello di vederti felice!!». Intanto quelle due lacrime si sono trasformate in un pianto sconsolato e a ben poco servono le carez-ze della dottoressa.

È passata una settimana dal mio risveglio e adesso riesco a formulare qualche discorso sensato. Inoltre ho ripreso, con moooooolta calma, a camminare e i dottori sono riusciti a farmi ingoiare una strana poltiglia che loro chiamano “buonissimo pranzo” (anche se ho qualche dubbio sulla veridicità di quell’aggettivo…). I nonni, da quando mi sono svegliata, sono venuti a trovarmi tutti i giorni, anche se ho notato che conoscono molto bene tutti i medici e forse è probabile che venissero anche prima, quando ero “in coma”. “In coma”. Ancora non me ne capacito… Questa mattina i nonni sono venuti con due grosse valigione, una fucsia e una verde fluorescente, e hanno cominciato a cacciarci dentro tutta la mia roba.

«Avremmo pensato che potresti venire a vivere con noi» mi hanno proposto, ma io, con la cocciutaggine di un mulo, mi sono impuntata a tornare a casa MIA. Quella in cui ho vissuto con Mamma e Papà. Le due persone più importanti della mia vita. Che sono morte. Ecco, di nuovo in lacrime… Ultimamente non faccio altro che piangere e dormire e piangere e mangiare intrugli e piangere.

«Ciao Sammy, siamo venuti a prenderti, ora si va a casa».

Dopo una buona mezz’ora per raggiugere l’auto del nonno che era appena fuori l’o-spedale, sono salita in macchina ma, non appena siamo partiti, ho cominciato a vomitare… Il problema quando vomiti è che non sai mai quando lo stomaco decide che hai sofferto abba-stanza e quindi solo un po’ di quella schifezza che usciva a tonnellate dalla mia bocca è finita nel sacchetto… Ma il resto ha riempito la macchina e l’odore era così potente e penetrante che alla fine il nonno ha deciso di comprarne una nuova. Sono entrata in casa barcollando ma non appena ho sentito l’inconfondibile odore di Mamma, mi si è stretto il cuore e al vomito si è aggiunto un fiume di lacrime.

Ora sono sul divano sotto tre coperte e frigno come una bambina che ha perso il suo giocattolo preferito. C’è solo una lieve differenza: la bambina può sempre ricomprarlo nuovo… Ma io no! Io non vedrò mai più i miei genitori, non farò mai più la torta con la

SECONDO CLASSIFICATO categoria under 15 18

19

mamma, non mi verranno mai più raccontate dal Papi le sue disavventure al lavoro, non andremo mai più tutti e tre al cinema, non avrò mai più qualcuno con cui confidarmi o che mi protegga da qualsiasi cosa mi faccia soffrire, non dovrò soffocare mai più una risatina come quando il papà buttava lo zucchero al posto del sale nell’acqua della pasta. A questo pensiero si abbozza un sorriso che però viene quasi subito oscurato da una nuvola di tristez-za. Alla fine mi addormento di un sonno agitato.

Questa notte ho fatto un sogno orrendo: era la mia festa di compleanno e c’erano tutti, i miei, i parenti, gli amici; ad un tratto tutto è diventato buio ed è comparso un mostro. Tutti: gli invitati sono scappati ma, la Mamma e il Papi non hanno fatto in tempo a varcare la soglia di casa… così il mostro li ha mangiati.

Mi sono svegliata di colpo e sono scattata sull’attenti. Non sono più riuscita a riaddor-mentarmi; sono rimasta immobile, con gli occhi sgranati a fissare il vuoto fino a che l’alba non ha fatto capolino, illuminando la stanza.

Oggi la nonna ha detto che mi porta a fare un giro per la città. Adesso però c’è un pro-blema: sono davanti al mio armadio, ma non ho trovato niente che mi vada bene… Quella felpa no… quei jeans no… e nemmeno quella camicia perché ho l’impressione che esploda da un momento all’altro!... Oh, c’è il vestito che la mamma mi ha regalato due settimane fa… cioè due settimane e tre anni fa, quando ero ancora una quindicenne… Mi stringe un pochino… ma può andare!

Ma non appena scendo le scale la nonna sgrana gli occhi e indica, con la mano treman-te, verso il mio vestito… «Che c’è nonna… Hem… Non stanno bene i capelli…?» chiedo speranzosa, ma scuote la testa. «Le scarpe? Si, lo so che non sopporti le scarpe da ginna-stica, ma per un’uscita “nonna-nipote” credo possa andare..!» ma scuote di nuovo la testa. “Cavolo indica davvero il mio vestito..” penso. Ok, ultimo tentativo…«Senti nonna, lo so che odi l’ombretto blu elettrico, ma è il mio preferito e poi ricorda che mi sembra di essere ancora una quindicenne in piena crisi emotiva…» «Samantha» mi interrompe «Tu lo sai vero che sembri una salsiccia conciata a festa… Non ti era mai piaciuto quel vestito»… «Mah, non mi sembra così male questa fantasia a fiori…»…«Samantha» ripete con tono più deciso «A te non piace il vestito per la stampa! A te piace per chi te l’ha regalato! Ma devi capire che se vivi nel passato non potrai mai pensare al futuro e una vita senza futuro, senza speranze, senza sogni è una vita sprecata. Tu hai avuto una seconda opportunità; potevi rimanerci secca ma qualcuno lassù ha deciso che il tuo compito qui sulla Terra non era ancora terminato. Tu ci sei e se ci sei vuol dire che sei indispensabile per il mondo, che il mondo senza di te sarebbe diverso; tu hai il compito di renderlo migliore… Ma come pensi di farlo se passi il presente a rinnegare il passato? Ora va su e cambiati. Andremo a rifarti il guardaroba, inoltre verrai a vivere da noi. Questa casa non scappa e quando sarai più matura potrai tornare ogniqualvolta ne sentirai la necessità. La tua vita è nelle tue mani, nessuno potrà mai cambiartela, a meno che tu non lo voglia o glielo lasci fare. Ora ripeti finché non ti si ficca bene in testa “Io posso, devo e voglio superare questo ostacolo”. Cara Samantha, la vita è fatta di ostacoli ma se non sei in grado di superarli, non arriverai mai al traguardo, alla realizzazione del progetto della tua vita. In ultimo sii felice della tua vita, sii ottimista; le cose brutte ci sono ma ci sono anche tante cose belle e tu te le stai perdendo!».

A bocca aperta. Ecco come mi ha lasciata, a bocca spalancata. Corro di sopra ad ese-guire gli ordini ma intanto rifletto su tutto ciò che mi ha detto. Sento riaccendersi in me la fiamma della speranza… Si io posso, devo e voglio cambiare! E quel mostro del Male non mi fa più paura, io sono più forte e posso, devo e voglio farcela!

categoria under 15 SECONDO CLASSIFICATO

Categoria Under 15

Terzo classificato

IL RAGAZZO, LA STATUA E IL CLOCHARDdi Francesco Balzaretti - Novara

La nebbia avvolgeva con il suo manto grigio tutto ciò che incontrava. Il freddo pungen-te di quella notte di dicembre costrinse il ragazzo ad aggiustarsi sul capo la cuffia, che aveva tenuto per tutto il tempo nelle tasche della sua pesante giacca di lana.

Fissava le strette vie del centro storico: ricreavano un’atmosfera d’altri tempi che il giovane aveva avuto l’opportunità di conoscere unicamente nei libri di storia. Era da più di quindici minuti che aspettava e la noia si stava facendo sentire. Si stava sedendo su una squallida panchina, quando un rumore di passi lo colse di sorpresa.

– Finalmente – pensò. Comparve da dietro un salice una losca figura, che alzò la mano per salutare l’amico, il quale si alzò di scatto.

– Qui c’è tutto! E tu hai portato il materiale? – chiese il nuovo arrivato indicando la borsa del ragazzo.

– Sì sì, stai tranquillo. E gli altri, quando arrivano?

– Ci stanno aspettando. – rispose. Seguì un imbarazzante silenzio.

I due corsero verso l’angolo, dove ad aspettarli vi erano dei ragazzi, all’apparenza un gruppo di delinquenti. E difatti, lo erano.

Aprirono la loro tracolla e tirarono fuori una decina di bombolette spray che si spar-tirono tra di loro. Una sostanza uscì dalla lattina e si depositò in un attimo sulla parete di quella vecchia e dimenticata statua, la quale dovette sopportare le scritte e i disegni dei gio-vani teppisti.

– Dài su, imbrattate ’sto tizio! – gridò una delle tante persone che si stavano accalcan-do attorno alla statua, il cui volto sembrava fare una smorfia di compassione.

– Sì, dài! – dissero quasi all’unisono gli altri.

Tra questi, vi era il ragazzo che abbiamo conosciuto all’inizio e, per ragioni di privacy, non divulgheremo il nome. Lui, a differenza dei suoi coetanei, provava nel suo cuore una sensazione che fino a quell’istante non aveva mai provato. In quella fredda sera d’inverno si sentiva triste e solo.

categoria under 15 TERZO CLASSIFICATO21

Motivazione della GiuriaUna storia dura e avvincente, senza sbavature stilistiche,

che mostra quanto sia difficile cambiare e quanto sia importante per un giovanepoter contare su solidi riferimenti familiari.

22

Concluso l’atto, ognuno prese la propria strada e ritornò a casa, dove ad aspettarli avrebbero trovato i genitori preoccupati e iracondi.

La stessa cosa per il nostro amico. Viveva in un appartamento alla periferia della città, tra capannoni industriali e alti condomini grigi e apatici. L’unico elemento colorato era uno spoglio parco con una decina di abeti. Per ritornare a casa passò tra le altalene e gli scivoli del parco e si soffermò a ricordare la sua infanzia, passata tra castelli e altalene.

Salì in fretta le scale del condominio e aprì la porta. Seduti sul divano rosso del salotto trovò i genitori. Sua madre e suo padre erano di umili origini: entrambi venivano da povere famiglie che avevano lavorato come braccianti per garantire l’istruzione dei figli.

Nel momento in cui il nostro amico entrò, il padre stava leggendo beatamente il gior-nale di quel giorno e la madre stava ricamando. Fissarono il figlio con un largo sorriso.

– Sì lo so, ho fatto tardi questa sera. – disse nascondendo la tracolla dietro un armadio.

– Ti vedo abbacchiato... – osservò il padre che sollevò furtivamente gli occhi dal quo-tidiano.

– No, assolutamente – rispose il ragazzo, che si ritirò silenziosamente in camera, se così si poteva chiamare la stanza larga appena il necessario per un letto e che se non fosse stata decorata con poster o libri, sarebbe stata scambiata per la cella in cui Silvio Pellico trascorse i suoi giorni più infausti nel carcere dello Spielberg.

Il computer era acceso e si guardò bene dallo spegnerlo, anzi, si sedette sulla comoda sedia girevole e scrisse delle parole. Bisogna sapere che il giovane, prima di avere conosciuto i teppisti che l’avevano portato sulla cattiva strada, era un appassionato di storia, la mate-ria con la quale aveva conquistato i voti più alti. Quella sera al computer voleva informarsi riguardo la statua dell’imperatore Nerone che qualche minuto prima aveva tappezzato di scritte.

Statua di Nerone: considerato tra i più importanti tesori archeologici mai ritrovati dell’Impero Romano, si trova nel centro storico della nostra città, regalata da un ricco collezionista straniero. Più di 150.000 turisti ogni anno vengono a vederla. È stata con-testata da molti per la mancanza di un vetro di protezione.

Finì di leggere la frase con le lacrime agli occhi. Aveva danneggiato un reperto storico! Aveva distrutto la cultura! Lui, che si lasciava tentare da un gruppo di delinquenti! Teppisti!

Si coprì il volto con le mani e sospirò. Sin dalla più tenera età era stato educato a valori, ad una disciplina di rispetto e di obbedienza e ora, quei valori e quei sacrifici dei genitori, erano spariti.

Era un ragazzo fragile e codardo. Non avrebbe mai avuto il coraggio di consegnarsi ai carabinieri, di dichiarare al gruppo che era tutto finito.

Si alzò dalla sedia e guardò fuori dalla finestra, dalla quale scendevano particolari ten-dine di pizzo. La nebbia era scomparsa e al suo posto aveva lasciato un cielo nero e pesante, dal quale scendeva armoniosamente la neve. I fiocchi si depositarono dolcemente su tutta la città e continuarono il loro piacevole tran tran per tutta la notte.

Lo sventurato ragazzo per un attimo invidiò i fiocchi di neve, che a differenza di lui non avevano problemi su cui rimuginare.

TERZO CLASSIFICATO categoria under 15

23

La mattina successiva si svegliò di buon umore, come se i fatti della sera prima non fossero mai accaduti.

Alzò velocemente le tapparelle e osservò il paesaggio. La neve, molto abbondante, non smetteva di scendere e il ragazzo si rallegrò. – Magari si salta una giornata di scuola –pensò. Fece la colazione in un battibaleno e dopo aver preparato lo zaino si diresse a scuola. Percorse sotto la neve qualche chilometro e ne approfittò per tentare di risolvere il problema che lo assaliva sin dalla notte precedente e che non l’aveva quasi lasciato dormire.

– Se lascio il gruppo...cosa mi può succedere....? – bisbigliò tra sé e sé, – Mi potrebbero linciare, derubare, ghigliottinare...

Analizzò attentamente ogni possibilità, e si convinse che tutte erano possibili. Il capo della banda, un tale che per la sua abilità nel maneggiare piedi di porco, coltelli e bombolette spray avevano soprannominato “lo scaltro”, aveva un curriculum da non invidiare.

Vandalismo e teppismo, lancio di petardi illegali, danno morale a una professoressa (spaventata a morte dall’alunno che aveva finto di essere un fantasma), erano solo alcuni dei suoi reati, piccoli e non, che gli avevano guadagnato la stima del gruppo.

Il nostro giovane amico, perso nei suoi pensieri, venne colto di sorpresa dall’arrivo della professoressa di arte che stava percorrendo il suo stesso tragitto.

– Ehilà, come va? – domandò la professoressa.

A quel punto il ragazzo si voltò verso l’insegnante, una donna sulla cinquantina dai lunghi capelli grigi coperti da una cuffia a pois. Lo stava fissando con il suo solito sorriso raggiante.

– Hai sentito cos’hanno fatto alla statua di Nerone, ieri notte?

L’alunno fece un balzo.

– Cos’è successo?

– Dei brutti ceffi hanno tappezzato di scritte e colorato la statua dell’imperatore in centro. Ti rendi conto? Era uno dei reperti dell’antica Roma più conosciuti! Se li prendo io, quei... – e concluse la frase, consapevole di aver esagerato.

– Sono senza parole anch’io – fece il giovane. Non aveva detto una bugia: era senza parole per quello che aveva fatto!

– Certa gente ha proprio le rotelle fuori posto...– commentò la professoressa, che salutò l’alunno e se ne andò.

I pensieri del giovane furono nuovamente interrotti dal suono della campanella e si affrettò per entrare in aula, con le pareti di un colore giallo talmente abbagliante da far male alla vista.

Le prime ore non trascorsero particolarmente piacevoli, accompagnate da complesse equazioni algebriche e dalla Divina Commedia. Nell’ultima ora arrivò da qualche metro indietro un biglietto grossolanamente arrotolato, che invitava il nostro amico a incontrarsi, la sera stessa, a un ritrovo con il suo gruppo.

Più precisamente le parole furono: “incontro via dei Laghi, ore 21. non portare bom-bolette. lo scaltro non ha detto nulla”. Un’altra delle loro bravate?

A questo punto, il ragazzo comprese la difficile situazione in cui si trovava; doveva scegliere tra il morire per la patria o morire per se stesso. Insomma, l’imbarazzo della scelta.

categoria under 15 TERZO CLASSIFICATO

24

Il suo sguardo era vacuo o forse assorto, e sembrava fissare un punto inesistente pre-sente solo nel suo mondo di paure e tristi presentimenti. Si grattò il mento per rilassarsi e improvvisamente il suo cuore sembrò rannicchiarsi per andare a dormire.

Il lavandino era colmo delle unte stoviglie della cena che si era appena consumata.Il nostro amico, nella speranza di non essere fermato per lavare i piatti, si congedò.

– Vado a prendere una boccata d’aria! Oggi a scuola ho avuto una giornataccia!

E quindi, quatto quatto, si diresse verso l’uscita, dove sotto il portone di casa, trovò ad aspettarlo un suo amico, se così si poteva nominare. Presero il bus e raggiunsero il loro gruppo, esattamente nel luogo prefissato quella mattina a scuola.

Lo scaltro, che in quell’occasione aveva stranamente portato il suo armamentario per occasioni speciali (trattasi di piedi di porco, accendini, ecc), si tolse il passamontagna che si era tenuto sino a quel momento. Il volto del ragazzo incuteva timore ad ogni malcapitato che avesse occasione di conoscerlo.

– Ragazzi, questa sera tentiamo una cosa che non abbiamo mai compiuto... – disse a voce bassa lo scaltro, – Conoscete tutti quell’ubriacone di un barbone che dorme sotto i ponti avvolto in cartoni? Noi daremo fuoco al suo letto!

Un coro esultante si levò dal gruppo, escluso il nostro amico, che riuscì a stento a trat-tenere le lacrime. Il “barbone ubriacone” che il capogruppo aveva appena nominato era un suo caro amico di quando aveva circa quattro anni. Si ricordava ancora di quando suo nonno, tenendolo per mano, lo portava con sé mentre faceva le commissioni e incontrava questo sconosciuto che gli chiedeva i soldi per mangiare. Il nonno, uomo semplice e generoso, non diceva mai di no e il senzatetto era ormai diventato un amico per loro.

Una domenica mattina, quando il ragazzo aveva compiuto i cinque anni, nonno e nipote si recarono dal macellaio per acquistare le bistecche per il pranzo. Durante il tragitto un uomo vestito di scuro, vedendo un anziano e un bambino indifeso, colse l’occasione per rubare il portafoglio al nonno.

Il fuggitivo fu subito sbattuto a terra dal loro nuovo amico clochard, che gli tolse il por-tafoglio dalla mano e lo diede all’anziano. Non accettò soldi, ringraziamenti. Disse soltanto che una buona azione non aveva prezzo.

Il ragazzo si ricordava dei suoi occhi, del suo volto. Si ricordava della sua piccola casa di cartone sotto il ponte, nella periferia ovest della città. E non avrebbe mai permesso che qualcuno gli potesse fare del male.

Ma come evitarlo?

In quel momento avrebbe solamente dovuto avvertire il suo amico clochard per poi darsela a gambe e fuggire in un paese molto lontano. In America Latina o negli Stati Uniti avrebbero avuto delle difficoltà a trovarlo. Umorismo a parte, quello che al nostro giovane amico doveva servire era il coraggio, che gli era sempre mancato. E forse non l’avrebbe mai avuto.

Come gli avevano sempre insegnato, doveva ascoltare il cuore. Quindi si diresse verso una via di fuga e, all’insaputa dei coetanei, corse all’impazzata.

TERZO CLASSIFICATO categoria under 15

25

Percorse stradine secondarie, attraversò vicoli malfamati, sino a quando incontrò un uomo, sulla sessantina, che stava beatamente sonnecchiando su uno scomodo letto fatto di cartone.

Guardò i suoi occhi e si accorse che erano i medesimi che qualche anno prima l’aveva-no fissato e gli avevano detto che una buona azione non ha prezzo.

Il senzatetto si svegliò e scrutò il giovane che si trovò accanto.

– Ti ricordi di me? – chiese il vecchio.

– Sì. – rispose il ragazzo. Osservava il suo volto che negli anni si era arricchito di rughe e la sua corporatura robusta. Indossava un lungo giaccone nero consunto dall’uso e una cuf-fia grigia che gli copriva a malapena il capo.

– Voglio solo avvisarti che delle persone arriveranno e bruceranno la tua casa! – disse al clochard, – Ti conviene scappare! Sono pazzi!

– Stai tranquillo – sussurrò l’anziano senzatetto che nel frattempo si era alzato, – Me la caverò bene da solo. Ma tu non devi rimanere qui... devi ritornare a casa! Corri, ragazzo!

– E tu, cosa farai?

– Me la caverò, non preoccuparti.

Furono queste le ultime parole del vecchio, prima che il ragazzo corresse via. Era certo che i delinquenti non l’avrebbero trovato. In quel momento, in quella gelida notte d’inverno, attorno al ragazzo c’era solo il buio. Ma dentro il suo cuore, per la prima volta, si era accesa una luce.

categoria under 15 TERZO CLASSIFICATO

categoria under 15 SEGNALATO27

Categoria Under 15

Segnalato

IL CLUB – UNA PRIGIONE PER ZOEdi Elena Marangon - Lughignano di Casale sul Sile (TV)

Motivazione della GiuriaCon uno stile semplice ma efficace l’autrice racconta le paure e la forza dell’amicizia

nel mondo degli adolescenti.

Era una giornata d’estate. Zoe si affacciò alla finestra e pensò a quel giorno quando… stava andando a scuola tutta contenta, perché era il compleanno di Rachele la sua migliore amica. Arrivata a scuola Zoe, durante l’intervallo, andò da Rachele a farle gli auguri di Buon Compleanno per i suoi 10 anni, e mentre si avvicinò sentì alcune sue amiche parlare di un “Club”.

Zoe si insospettì e andò a raccontare tutto a Rachele. Quest’ultima si arrabbiò molto e il giorno dopo andò da loro per sapere come mai non l’avevano chiamata a far parte del loro “Gruppo”. Alla fine, dopo una lunga discussione la fecero entrare per paura di perderla come amica. In questo “Club” partecipavano ragazze della loro età le quali giocavano sem-pre insieme, e non volevano per nessun motivo stare assieme agli altri compagni. Passarono alcuni giorni e Zoe si sentiva sempre più triste, diversa da tutte le altre e non capiva cosa fosse sbagliato in lei. La cosa che più la faceva stare male era quella di non poter giocare con la sua migliore amica Rachele. Quando tornò a casa si isolò nella sua camera da letto e molto amareggiata cercò di pensare e ripensare come poter riacquistare la sua fiducia e la sua amicizia. Si sfogò con il suo diario segreto e mentre scriveva tra le righe la sua disperazione rifletté a lungo ma non le venne in mente nulla di geniale.

Il giorno seguente, si alzò faticosamente; durante la notte non era riuscita a chiudere occhio nel valutare come risolvere la situazione che la faceva soffrire molto.

Fece colazione velocemente, salutò di corsa sua mamma e mentre si incamminava per andare a scuola le balzò alla mente un’idea: “se riuscissi a far parte anch’io del “Club” forse Rachele cambierebbe idea e anziché giocare con le solite amiche potrebbe giocare anche con me.” Arrivata a scuola Zoe entrò in classe e chiese a Rachele di far parte anche lei del “Club”. Rachele con tono molto deciso rispose: “È meglio di no! Per far parte del “Gruppo” bisogna essere “qualcuno” ed essere come noi!”. Qualche ora dopo Zoe insistendo e in modo molto convincente glielo richiese; Rachele era ormai sfinita dalle tante richieste che non ne poteva più e così cedette facendola entrare in questo “Club”. Naturalmente per essere un vero mem-bro doveva comportarsi in determinati modi. Dopo qualche settimana Zoe si accorse che le amiche del “Gruppo” erano diventate silenziose, troppo silenziose rispetto agli altri giorni

in cui parlavano in continuazione. Si accorse anche che queste nuove amiche non parlavano più con lei, non giocavano più insieme; erano ognuna per conto loro. Zoe tornò a casa un po’ dispiaciuta per quello che stava accadendo, ma sapeva cosa fare.

Il giorno dopo, ritornò a scuola, le spiò mentre parlavano tra di loro e scoprì che stava-no discutendo sul suo comportamento non adeguato al gruppo. Zoe se ne risentì e furibonda piena di collera se ne andò da loro chiedendo le dovute spiegazioni. Le amiche del “Club” le risposero: “Per essere un vero membro del nostro “Gruppo” devi rispettare queste regole:

• giocare solo con noi e non con gli altri;• vestirti con gonna, camicia e stivali neri;• non badare agli altri;• ricorda che le tue amiche siamo solo noi!”

Queste erano condizioni che stavano molto strette al modo di essere di Zoe e se ne andò molto sconsolata e arrabbiata; voleva che qualcuno la accettasse così com’era senza dover per forza assomigliare a dei modelli etichettati.

Durante la lezione di storia Zoe era assente, non rispondeva alle domande che l’inse-gnante le poneva, non parlava, era come se stesse dormendo.

Finita la lezione Zoe andò a casa piangendo, rifugiandosi in camera sua senza nem-meno salutare chi incontrava. Dopo essersi sfogata e aver messo la camera a soqquadro Zoe andò al parco e si sedette vicino ad una quercia grande e maestosa, lì si mise a piangere dispe-ratamente, quando all’improvviso passò una bambina della sua stessa età. Si fermò da lei e le chiese: “Cosa ti succede? Perché piangi così tanto?”. Zoe stupita rispose: “Come mai dimo-stri così tanto interesse nei miei confronti?” La bambina si presentò dicendo:“Io mi chiamo Agata e ho 10 anni, frequento la tua stessa scuola, ti ho visto diverse volte, ma non abbiamo mai avuto occasione di incontrarci e di parlare assieme. Sai, io abito nella casa vicino al parco e mi piacerebbe avere un’amica come te.” Nel sentire queste parole Zoe aprì il suo cuore, le sembrava strano che una bambina della sua stessa età potesse nutrire tanto interesse per lei.

Passarono diverse ore assieme, giocarono nel parco e fecero subito una profonda ami-cizia. Si era ormai fatto tardi e prima di salutarsi Zoe chiese ad Agata: “Ma, mi accetti così come sono? Non vuoi che cambi?” Agata stupita ma con molta semplicità le disse: “Sì, cer-tamente, non ho nessun dubbio, per me vai bene così come sei, non voglio affatto che assumi delle maschere che non sono tue.”

Zoe era al settimo cielo, era felicissima, tanto felice da quasi dimenticare quello che era accaduto con Rachele.

Purtroppo questa contentezza non durò a lungo perché il solo pensiero di dover risol-vere la questione con Rachele la rattristava, ma nello stesso tempo sapeva che non era più sola, poteva contare su Agata, la sua nuova amica.

Il giorno seguente, Zoe si svegliò piena di vita con la voglia di parlare e chiarire con Rachele.

Rachele nel vederla così solare le chiese: “È da tanto tempo che non ti vedo così radio-sa, come mai?” Zoe le rispose: “Cara Rachele, ho deciso di dirti una cosa molto importan-te”. “Cosa sarà mai?” chiese Rachele con tono incuriosito:“Voglio sapere definitivamente se le amiche del “Club” e in modo particolare anche te, mi potete accettare veramente come amica, così come sono; se questo non è possibile allora me ne vado via.” Zoe era decisa e

28SEGNALATO categoria under 15 28

categoria under 15 SEGNALATO29

sicura mentre esprimeva il suo pensiero. Rachele in modo molto riflessivo rispose: “Io non voglio obbligarti a rimanere in questo “Club” e se questa è la tua decisione, ti lascio andare.” All’udire queste parole Zoe si sentì finalmente libera e felice. Nei giorni seguenti Zoe appro-fondì l’amicizia con Agata e divennero veramente delle buone amiche in un rapporto in cui regnavano la fiducia, la sincerità e la libertà di essere se stessi.

Questa avventura costò molto a Zoe; dovette lasciare la sua migliore amica Rachele per ritrovare se stessa ma le portò un regalo meraviglioso: la libertà di scelta e la consapevolezza di essere importanti per quello che si è.

Con un lampo e un tuono del temporale Zoe si svegliò. Le era venuto in mente quel periodo quando aveva litigato con Rachele e aveva avuto il coraggio e la paura di cambiare e diventare la migliore amica di Agata.

Categoria Under 15

Segnalato

UN SOGNO PER DOMANI...di Giada De Pieri - Casale sul Sile (TV)

Ciao, ho 13 anni e tre quarti (fra due mesi ne ho 14!) e ormai sono diventata “grande”. Come già so però, più si cresce più aumentano le decisioni da prendere e le responsabilità.

Quest’anno, ad esempio, devo scegliere la scuola superiore da affrontare dopo le medie. All’inizio mi sembrava facile, ma posso assicurare che non è così scontato! Io ho già scelto scuola e indirizzo, ma quando penso a quello che ho scelto e a quello che dovrò comunque affrontare mi vengono i brividi. Mi assale quella paura che ti fa dire “E se sto sbagliando?”. E la paura di sbagliare si somma al resto, che è la paura di cambiare. La nuova scuola è in città, non più nel paesino dove vivo, cambia la mentalità, cambiano le persone, le “modalità” e più di tutto mi fa paura il fatto di dover ricominciare tutto dall’inizio... un’altra volta.

Mia mamma dice che la scuola che ho intenzione di fare è impegnativa, così come lo sono i cambiamenti che dovrò affrontare, ma che sono una persona forte e determinata e che ce la posso fare. E ha ragione.

Io penso che nessuno sarà mai totalmente sicuro di ciò che sceglie. Ognuno di noi fa quello che ritiene più giusto per sé in quel determinato momento della sua vita. Non avrà mai la certezza di aver fatto la scelta giusta. Una strada, infatti, esclude l’altra e nella nostra vita non c’è il tasto per tornare indietro, né tanto meno il tasto replay. Quello che io so con certezza, quello che ho capito, è che a volte bisogna avere il coraggio di rischiare: ci sono opportunità che si hanno una volta sola nella vita, treni che passano e che non tornano più.

E quando quei treni passano bisogna avere la forza e l’audacia di prenderli, salirci e affrontare il nostro viaggio.

Anche se le persone intorno a noi ci deridono dicendo che è impossibile o non ci sostengono...

Perché dobbiamo ascoltare il nostro cuore e la nostra anima, di fronte a situazioni così importanti.

E a volte ci sembrerà di aver sbagliato, ci sentiremo tristi ed esausti, ci chiederemo per chi stiamo affrontando tutto questo... cadremo... ma sono sicura che avremo anche la forza

categoria under 15 SEGNALATO31

Motivazione della GiuriaMalgrado lo stile essenziale e acerbo, riesce ad esprimere

una visione della vita matura e coraggiosa.

di rialzarci e ricominciare, ricordandoci che dopo la notte viene l’alba e che abbiamo già superato un grande traguardo decidendo di intraprendere quel viaggio.

Quanti hanno il coraggio di rischiare anche se hanno paura? Pochi. Tanti preferiscono accontentarsi, senza nemmeno provare a pensare che forse, osando, potrebbero ottenere qualcosa di più. E si dimenticano che “sopra l’uomo che corre c’è l’uomo che vola”.

Magari poi non riescono a raggiungere la loro meta, ma secondo me è meglio averci provato e non esserci riusciti piuttosto che avere il rimpianto per tutta la vita di non aver nemmeno tentato.

Ed è esattamente questo quello che io voglio fare: volare. Rischiare, osare e provare a diventare “qualcuno”. Provare ad ottenere di più e a realizzare quei sogni che custodisco nel mio cuore (e che non sono solo desideri!). Volare sempre più in alto e raggiungere il mio traguardo.

Quello che è sicuro è che per raggiungere quell’obiettivo impiegherò tutta me stessa, tutte le mie forze. E se alla fine non ci riuscirò, almeno avrò la certezza di averci provato. Perché qui non stiamo parlando di una verifica di storia, di geografia, di aritmetica o di un’interrogazione.

Qui si parla di me.

È in gioco il mio futuro.

Parliamo della mia vita.

SEGNALATO categoria under 15 32

categoria under 19 SEGNALAZIONE DI MERITO33

Categoria Under 19

Segnalazione di Merito

LA METAMORFOSIdi Elisa Bertoncini - Vicopisano (PI)

Motivazione della GiuriaPer l’originalità della storia che si dipana tra sogno e realtà

fino ad una piena comprensione della bellezza della vita.

La campanella suonò quel giorno con qualche minuto d’anticipo. Gli studenti si alza-rono dalle loro sedie come uno sciame disordinato, pronti a schizzare via, ancor prima che il gesso del professore si sollevasse dalla fredda ardesia della lavagna. L’insegnante rimase con la mano sospesa a mezz’aria, indeciso sul da farsi mentre la classe si svuotava. Passato l’ura-gano, non restarono che pochi alunni, coloro che si erano attardati nel preparare la cartella cercavano di evadere il più in fretta possibile.

Tra questi vi era Giada: si morse un labbro, stando ben attenta a tenere lo sguardo basso mentre ficcava i libri alla rinfusa nel buco-nero del suo zaino, già decisa a scappare verso l’uscita appena fosse stata capace di infilare il mastodontico tomo di storia fra i suoi simili.

Appena ci riuscì, un colpo di tosse le fece alzare lo sguardo d’istinto: aveva di fronte a sé il professore di storia. – Giada, avrei bisogno di parlarti un attimo di “quella cosa”.

La ragazza annuì ben consapevole di ciò che le avrebbe detto. Erano settimane che l’intero corpo docenti la martoriava con la solita questione.

– Alla fine hai deciso a quale scuola iscriverti? – chiese.

Giada cominciò a rigirarsi le mani l’una sull’altra: – Ecco...– cominciò, senza più stac-care gli occhi dalla punta delle sue scarpe – Sono ancora un po’ indecisa...

A quel punto il professore la interruppe: – Ti ricordo che la scadenza è tra meno di due settimane.

Ma questo la giovane lo sapeva meglio di lui, tante erano le volte che gli era stato ripe-tuto.

“Sei una ragazza in gamba. Prova a pensare a cosa vorresti fare da grande e poi, in base a quello, decidi. Perchè non provi ad andare a vedere qualche istituto”. Un mucchio di volte le erano stati dati simili consigli, tuttavia lei si ritrovava ogni volta al punto di partenza con la testa sommersa, forse, da più dubbi di prima.

SEGNALAZIONE DI MERITO categoria under 19 34

Il suo futuro non era uno scherzo, questo lo sapeva. Eppure era sempre più sicura che tredici anni non fossero sufficienti per prendere una simile decisione.

Il problema era che nessuno poteva essere delegato a fare la scelta al posto suo. Toccava a lei e a lei soltanto plasmare il suo avvenire.

Il prof. fece un respiro profondo: – Ho capito... leggi questo e poi magari se hai ancora dei dubbi ne riparliamo.

Pronunciate queste parole, tirò fuori un piccolo libricino foderato di rosso e glielo porse.

La studentessa rimase per qualche secondo imbambolata a fissarlo: suggerimenti di questo tipo non ne aveva ancora ricevuti, perciò ne fu sorpresa.

Prese il volumetto tra le mani un po’ confusa.

Un bizzarro particolare la catturò: il libro non recava alcun titolo.

Quel pomeriggio, tornata a casa, Giada lasciò cadere lo zaino davanti all’ingresso e subito si precipitò su per le scale per rifugiarsi in camera sua. Ma una presenza vigile la teneva d’occhio e con un colpetto di tosse si fece avvertire chiara e distinta: – Dove pensi di andare, signorina?

La giovane fu costretta a fare marcia indietro come un automa.

– Quante volte ti ho detto che non devi lasciare le tue robe in giro? – la rimproverò la madre – Poi tocca a me rimetterle a posto come si deve e lo sai bene anche tu che il medico mi ha detto di non fare sforzi – e con lo sguardo indicò il suo bel pancione tondo, già al nono mese, che spuntava sotto il completo pre-maman – Sii più responsabile – aggiunse seria.

Giada fece subito dietro-front, obbedendo in rassegnato silenzio all’ordine ricevuto: afferrò lo zaino e se lo ricaricò in spalla, dopodiché scomparve come un fulmine. Salì di corsa le scale e si precipitò nella propria stanza, poi chiuse la porta alle sue spalle e fece volare lo zaino sul letto, non un solo cipiglio di rabbia comparve sul suo volto impassibile.

Tirò fuori una tuta dall’armadio e si cambiò. Poi tornò verso il letto, ci saltò sopra, aprì lo zaino... e un attimo dopo era sprofondata nella lettura.

“Secondo un antico mito greco, in un’epoca molto lontana dalla nostra, esisteva una città favolosa scolpita nella pietra per mezzo dell’alacre lavoro di umili uomini che si ergeva su una delle più alte vette della Terra, talmente elevata da scomparire talvolta completamente tra le nuvole. Gioiello della civiltà, meraviglioso rifugio per i sognatori e luogo raccolto di meditazione...”

La fervida immaginazione della ragazza si trovò, già dopo quelle poche righe, a caval-care lontano in quel paesaggio fiabesco e idilliaco che si stagliava contro il cielo.

Socchiuse gli occhi per un attimo: il mito l’avvinceva, tuttavia era certa che il prof. consegnandole il libro avesse voluto dirle qualcosa; così, tornata momentaneamente coi piedi per terra riprese solerte a leggere.

“Si diffuse la voce che, tra quelle cime isolate, gli uomini potessero risolvere qualsiasi conflitto interiore li opprimesse e riconciliarsi con loro stessi. Cambiava la loro percezione del mondo, delle cose e la loro mente volava libera, si elevava alta come le nubi che amman-

categoria under 19 SEGNALAZIONE DI MERITO35

tavano la città. Il cambiamento era tale da sconvolgerli completamente, e non soltanto spi-ritualmente.

Nessuno sapeva bene come avveniva il processo, fatto sta che lentamente la popolazio-ne cominciò a trasformarsi.

Gradualmente persero i lineamenti umani, poiché non erano più uomini: erano altro, qualcosa di nuovo, mai visto prima, qualcosa di più elevato, pronto a spiccare il volo.

Scomparvero peli, apparvero piume. Da miseri uomini divennero magnifici volatili variopinti, ognuno differente per livrea, leggiadri, quasi eterei”.

Giada s’interruppe; il racconto le aveva suscitato uno strano sentimento: un misto di incredulità, curiosità, rapimento e allo stesso tempo paura.

Accadde un fenomeno noto come metamorfosi.

Le loro nobili anime potevano librarsi nell’azzurro del cielo, nel blu del firmamento senza confini ed intrecciare lievi voli fra le nubi.

Vi era, però, tra i cittadini anche chi non si trasformava, perché non ne era capace o perché preferiva conservare il proprio aspetto, restare un individuo statico rinunciando all’immensità del cielo...”. Giada saltò qualche riga.

“Coloro che temevano la metamorfosi, l’ebrezza del cielo, la sfida del volo, per non veder cambiato il loro corpo e aperta la loro mente, si gettavano dalla rupe.”

– Per non volare – pensò la giovane tra sé e sé, un pensiero pervaso da una nota melan-conica.

Chiuse il libro.

Giada spalancò di colpo gli occhi: le tenebre la cingevano come catene. Non riusciva a muoversi, ancora era sconvolta.

Lentamente la sua vista cominciò a mettere a fuoco le sagome scure della sua stanza: il comodino, la casa delle bambole, l’armadio di ciliegio, la sedia con sopra una mostruosa pila d’abiti.. e pian piano il respiro affannato tornò a farsi più regolare.

Per l’ennesima volta si era lasciata sopraffare dalla sua fantasia. Aveva fatto un sogno.

Il semplice ricordo le infondeva ancora una certa inquietudine. Nel sogno era una farfalla.

Cominciava così la sua metamorfosi: oppressa dalla scuola e dal dover soddisfare le aspettative della propria famiglia, si trovava a meditare su quale futuro l’attendesse.

Si era spesso interrogata sul suo destino, tuttavia non lo aveva mai fatto seriamente. Adesso, invece, il gioco si faceva duro: i professori insistevano affinché facesse una scelta. Aveva ormai tredici anni, era grande abbastanza per prendere da sola le sue decisioni, eppu-re aveva paura di esser cresciuta troppo velocemente; temeva quell’aria di responsabilità che, come uno stormo in picchiata, le era planata addosso.

Le erano spuntate le ali, grandi ali cerulee che le avevano squarciato la maglietta, schiu-dendosi come una conchiglia. Andavano dal turchese al blu cobalto, correndo attraverso una serie di lunghe venature pervinca che sfumavano nel blu del lapislazzuli. Ali incantevoli, ali da sogno... Eppure per lei erano un incubo: ali maledette, ali che non desiderava.

SEGNALAZIONE DI MERITO categoria under 19 36

Sebbene non fossero quelle piumate degli uomini-uccello, eran pur sempre ali.. per volare.

Scostò le lenzuola ed andò a specchiarsi sul vetro della finestra. Fuori pioveva e le gocce scorrevano giù lungo il vetro come lacrime cineree.

Fece un paio di volte il giro su se stessa, toccandosi più volte la schiena come ad accer-tarsi che niente di tutto ciò fosse reale.

Si sentiva straordinariamente a disagio, come se il mondo le si stesse rivoltando contro. Ed il piccolo in arrivo avrebbe sconvolto tutto ulteriormente. Non che con ciò avesse voluto dire che il nuovo compagno della mamma non le andasse a genio, anzi, era un uomo tanto gentile e l’aveva sempre trattata come fosse stata davvero sua figlia, ma adesso le cose sareb-bero sicuramente cambiate. Erano ormai passati cinque anni dal divorzio dei suoi genitori, era più che normale che ora decidessero di rifarsi una vita con altre persone, sposarsi ed avere dei figli, erano ancora molto giovani entrambi, tuttavia Giada non si vedeva per niente nei panni della sorella maggiore. Aveva paura che l’arrivo del fratellastro avrebbe sconvolto per sempre il rapporto con sua madre. Aveva paura di cambiare. Era come se dentro di sé sentisse che era giunto il momento di crescere, ma una parte di lei non volesse accettarlo.

Alla ragazza la situazione andava bene così com’era: le sarebbe piaciuto restare per sempre la figlia unica, la più coccolata, la sognatrice, la pura ed innocente bambina che scri-veva poesie.

Temeva di perdere le sue doti più preziose: l’immaginazione, la creatività. Pur di pre-servarle, sarebbe stata disposta a fare come gli uomini del mito che, per non lasciarsi trasfor-mare ed imparare a volare, si lasciarono cadere nell’abisso del cielo.

Non si sentiva neppure pronta ad assumere il ruolo di sorella maggiore e prima d’allora la possibilità non l’aveva mai neanche sfiorata.

Adesso invece c’era dentro fino al collo, l’equilibrio del suo mondo era stato sconvolto e difficilmente sarebbe tornato più come prima.

I giorni passarono monotoni uno dopo l’altro... fino a quella mattina.

Tutto cominciò con un leggero colpetto sulla porta e l’entrata in classe della bidella.

– È qui Giada? – domandò, cercando di riconoscerla tra i volti assonnati degli studenti. La ragazza scattò in piedi prevedendo già il motivo di quell’appello.

– I nonni sono venuti a prenderla. La madre è stata ricoverata in ospedale e sta per partorire- spiegò la donna all’insegnante, mentre l’alunna gettava anche l’ultimo quaderno nello zaino e tirava la cerniera.

Afferrato il cappotto, stava per varcare la soglia, quando il prof. la trasse da una parte.

– Allora il racconto?- fece. A Giada sembrò una domanda fuori luogo, ma rispose comunque che l’aveva letto.

– E ne hai capito il senso? – domandò l’uomo. La studentessa non sapeva cosa rispon-dere.

– Si dice che coloro che vanno alla ricerca di se stessi non tornano mai come prima perché il viaggio che l’uomo compie lo cambia irreparabilmente, certe volte verso il bene,

categoria under 19 SEGNALAZIONE DI MERITO37

altre verso il male, ma è comunque una cosa che va fatta. Cambiare, intendo – aggiunse il prof. – Crescere. Fa parte di noi. Per alcuni può avvenire prima, altri più tardi. Tocca a te decidere se i tempi sono maturi abbastanza. Ma ti svelo un segreto...– detto ciò, si accostò al suo orecchio e con fare paterno le confidò:– La vita stessa è un continuo mutamento. Noi non smettiamo mai di crescere.

Giada pensò al piccolo, una nuova vita che stava per far capolino in quel disordinato mondo caotico ma straordinario. Poi pensò alla scienza, ai progressi dell’uomo, alle lotte per i diritti, al coraggio di chi ha preso scelte difficili, a chi continua a farlo ogni giorno. E pensando a tutta quella massa di persone, si sentì un po’ rincuorata, ed in parte anche un po’ sciocca.

– Grazie – aggiunse, sorridendo per la prima volta.

Le parole del professore presero davvero significato solo quando Giada assistette al pianto di sua madre mentre stringeva forte a sé quel piccolo fagottino. Ora capiva che era stata solo l’ignoranza a guidarla. La meraviglia di una nuova vita così piccola, grezza a suo modo, ma incredibilmente pura l’aveva sorpresa.

Stringerla tra le braccia fu una gioia enorme, capace di perforarle il petto. Sua sorella era lì adesso, sarebbe cresciuta con lei, avrebbero condiviso migliaia di attimi insieme, eppu-re Giada non riusciva più a vedere niente di spaventoso in tutto ciò: era il corso della vita. E la sua era in un certo senso iniziata quel giorno: una nuova vita, s’intende, poiché adesso non temeva più di volare, ma pensava solamente a quanto lontano la potessero portare le sue ali.

Si sentì come pungere alle spalle.

Si passò la mano dietro il collo, dove il pizzicore l’aveva colta.

Le sue dita affusolate incontrarono qualcosa di morbido, leggero, ma per nulla si sor-presero.

Ed eccola spuntare lì la prima piuma.

Categoria adUlti

Primo classificato

LA MIA MIGLIORE AMICAdi Alex Himmel - Quinto di Treviso (TV)

Ilaria è la mia numero uno.

È stata la mia prima migliore amica. È stata la prima ragazza della quale mi sono inna-morato. È stata la prima - e forse l’unica - ragazza che mi ha fatto battere il cuore, che mi ha fatto sentire vivo. È stata la prima persona che ha conosciuto il mio segreto. È stata la prima persona a vedermi senza maschera.

Ilaria ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella mia vita ed occuperà per sempre un angolo speciale nel mio cuore. Per lei farei di tutto. Davvero. Senza nemmeno il bisogno di prendermi del tempo per riflettere. Se ne avesse bisogno, le donerei anche la mia vita.

Non finirò mai di sentirmi in debito nei suoi confronti. Posso solo ringraziarla, ogni volta che i nostri occhi si incrociano. Posso solo dirle grazie quando, in quelle sere nelle quali l’unica voglia che ho è quella di prendere una lametta e di tagliarmi le vene, le sue parole calmano il mio personale temporale di emozioni.

Lei mi salva. Mi salva sempre.

Quando guardo nei suoi occhi nocciola tremendamente sinceri e dolci, però, mi sento sporco e bugiardo. Sono sicuro di averla amata. Quando frequentavo le scuole medie, non facevo altro che immaginare la mia vita assieme a lei. Il matrimonio, il viaggio di nozze, i figli. La vecchiaia. Immaginavo il mio mondo assieme e lei.

Quando avevo quattordici anni tutto aveva un senso. Ora la mia vita è immersa nella nebbia. Il mio futuro sembra essere avvolto da un alone di mistero.

Sono sicuro di aver amato Ilaria per tanti anni. Allora come mai ogni volta che la guardo mi sento sporco? Sono un bugiardo perché mentre, giorno dopo giorno, coltivavo il nostro amore, dentro di me sentivo crescere e maturare una curiosità - la mia verità - che avevo sempre cercato di non ascoltare.

La curiosità verso il mondo maschile l’avevo già quand’ero poco più di un bambino. Guardavo con attenzione e curiosità, il corpo degli amici di mio fratello, con il desiderio di poterlo toccare. Viaggiare. Scoprire le differenze. Ritagliavo e studiavo le forme del corpo

categoria adulti PRIMO CLASSIFICATO39

Motivazione della GiuriaIl racconto è un viaggio interiore di straordinario valore umano

alla ricerca dell’accettazione della propria identità. Lo stile semplice e chiaro è un valore aggiunto alla profondità del tema.

PRIMO CLASSIFICATO categoria adulti 40

dei modelli stampati in tutte le riviste, sperando di abbandonare il mio corpo da bambino per entrare in uno di quei modelli. Troppo belli. Troppo perfetti. Troppo, per essere veri.

Ci sono giorni in cui il dubbio sulla propria identità sessuale è come se fosse un granel-lo di sabbia all’interno di un mondo. Una nullità. Niente. Ci sono giorni in cui quel granello di sabbia, diventa il tuo mondo. Un mondo troppo grande per vivere soltanto dentro di te. Un silenzio che fa troppo rumore.

Pochi giorni prima di partire per un viaggio di piacere a Londra, decisi che era arriva-to il momento di parlarne con qualcuno. Ero confuso perché avevo conosciuto in una delle migliaia di chat esistenti in Internet, un ragazzo che abitava ad una ventina di chilometri da casa mia. Si chiamava Filippo.

Se ripenso a lui, riesco soltanto a sorridere. Si trattava davvero di una banalissima cotta. Non era amore, ne sono certo. Probabilmente avevo soltanto bisogno di certezze. E di affetto. Il fatto che Filippo avesse una storia molto simile alla mia, mi fece in qualche modo sentire spaventosamente attratto da lui. Sentii di non essere solo in questo mondo.

Una sera, proprio per salutare Ilaria prima della grande partenza, io e lei decidemmo di andare a bere qualcosa in un rinomato pub della zona. La serata cominciò come tante altre nostre serate. Abbraccio, bacio sulla guancia, il classico “come va?”, la solita bugia “va tutto bene!”.

In realtà non andava per niente bene. Apparivo pallido, occhi spenti contornati da due vistose occhiaie nere e movimenti privi di vitalità.

La mia vita si stava trasformando, giorno dopo giorno, in un interminabile film dram-matico. Il peso della mia identità sessuale mi stava letteralmente schiacciando. Sentivo che era arrivato il momento di farmi aiutare. Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a soste-nere quel macigno.

Trovare qualcuno che accetti senza riserve la tua diversità non è per niente semplice. L’amicizia vera è difficile da trovare. L’amicizia è una merce rara, non si trova sugli scaffali di nessun supermercato del mondo.

Sapevo che Ilaria avrebbe accettato la mia diversità. Sentivo che, dopo quella sera, il nostro rapporto, la nostra amicizia, sarebbe diventata ancora più solida. Un sentimento che va ben oltre l’amicizia e anche oltre l’amore. Nonostante questa certezza, ero ancora spa-ventato dall’idea di dirle la verità. Se da una parte mi sentivo attratto dai ragazzi, dall’altra ero convito di amarla ancora. La mia migliore amica mi fissava con occhi pieni di dolcezza. Avrei sentito il peso del suo sguardo a chilometri di distanza. Sentivo il cuore pulsarmi con prepotenza nella testa.

Prima di iniziare la conversazione più importante della mia vita, io e Ilaria affrontammo svariati argomenti piuttosto superficiali: lavoro, famiglia, salute. Successivamente fui costret-to a fermarmi ad un distributore automatico per prendere un pacchetto di sigarette che mia mamma mi aveva commissionato prima di uscire.

Quando salii nuovamente in automobile mi resi conto che la mia trasformazione stava per iniziare. Ilaria aveva cambiato posizione. Le sue gambe bellissime erano rivolte verso il posto guida. Le sue mani accarezzavano in continuazione i capelli neri, lunghi e dal profumo fruttato, probabilmente per scaricare un’ansia che stava pian piano diventando ingestibile. Ilaria era pronta a farmi delle domande. Ed io ero pronto a risponderle. Ero pronto a dirle tutta la verità. Via la maschera. La mia vita stava per cambiare.

categoria adulti PRIMO CLASSIFICATO41

«Hey piccolo, c’è qualcosa che non va?» esordì lei. All’interno dell’automobile si riu-sciva a distinguere chiaramente la sua sete di verità.

«Niente. Va tutto bene!» mentii, cercando di prendere tempo.

Non sapevo ancora se volevo togliermi la maschera.

Sapevo che dopo aver svelato a Ilaria il mio segreto, le cose fra noi sarebbero cambiate. La amavo. Ma amavo anche il mio negativo, il mio opposto. Amavo la mia verità. Odiavo i cambiamenti. Avevo sempre avuto la tendenza a fossilizzarmi nei miei personali ragiona-menti e convinzioni. Ma era arrivato il momento della svolta o, nella mia vita, non avrei mai raggiunto i miei scopi. Era arrivato il momento di cambiare o, nella mia vita, mi sarei sempre limitato ad esistere. Ed io, ero stanco di esistere. Volevo vivere. Volevo avere indietro la mia vita.

«Riccardo, lo sai che non puoi mentirmi…» sostenne, accarezzando dolcemente la mia mano che tenevo appoggiata sopra la leva del cambio. «Non va tutto bene. Nel tuo volto non c’è luce, ma solo sofferenza. Sei dimagrito tantissimo. Non sorridi più.» la lista dei miei difetti sembrava essere interminabile.

«È difficile. Non so da dove cominciare!» le confidai, continuando a fissare la strada deserta davanti a noi.

«Non sai da dove cominciare? E perché?» mi chiese confusa, non conoscendo ancora il mio terribile segreto.

«Ho paura di deluderti. Di perderti. E la mia vita non avrebbe senso senza di te!»

Ilaria sorrise, divertita e lusingata dalla mia ultima esclamazione. «Riccardo, io e te saremo amici per sempre. Non potrai mai deludermi. Sarò sempre dalla tua parte, tiferò sempre per te. Perché ti voglio bene. E lo sai.»

«Lo so che mi vuoi bene, ed è proprio per questo che non riesco a dirti la verità.»

«Dentro di te c’è qualcosa di grande che ha bisogno di uscire.» sostenne, senza mai staccare i suoi occhi magnetici da me. «Sono qui per te. Ti prego, parlami…»

«Mi sento in una prigione, cazzo…» sbottai, dopo circa un minuto di silenzio.

Tic tac. Tic tac.

Avevo voglia di mostrare a Ilaria la mia diversità, la mia bellezza. Ma nonostante questa volontà, continuavo a temporeggiare.

«Una prigione? In che senso?» Ilaria rispose alla mia affermazione, con una domanda inaspettata, alla quale non sapevo rispondere. Mi sentivo in una prigione. Ma perché?

La mia prigione era composta da migliaia di mura. Erano mille, o forse più, i motivi che mi bloccavano perennemente in una prigione personale. L’unica cosa che sapevo con certezza era che, in qualsiasi direzione guardassi, mi sentivo con le spalle al muro.

«Non lo so.» ammisi, abbassando lo sguardo.

«Tranquillo Ricky…» mi rassicurò lei accarezzandomi nuovamente la mano, probabil-mente notando la delusione scatenata dalla mia impossibilità ad esprimere le emozioni. «Te lo chiedo perché anch’io a volte mi sento così. A volte per paura di deludere qualcuno, non faccio quello che in realtà vorrei fare. Sbaglio?»

«No.»

«Chi hai paura di deludere?»

Avevo paura di deludere la mia famiglia. Ilaria. Avevo paura di deludere me stesso, le mie aspettative.

«Mi sono innamorato…» sostenni all’improvviso, fingendo di non aver sentito la sua domanda.

«Ma è una cosa bellissima!» Ilaria festeggiò battendo le mani e baciandomi sulla guan-cia. La mia migliore amica aveva ragione: era una notizia stupenda. L’amore è il sentimento più bello che esista.

Ed io, per qualche stupido motivo, lo stavo trasformando in un siparietto comico.

«Ilaria, devo dirti una cosa…» dissi sospirando. Era arrivato il momento della verità. «Non mi sono innamorato di una ragazza. Ma di un ragazzo!»

In quel momento vidi una luce alla fine del tunnel. Ero morto e rinato nello stesso momento.

Sentivo il cuore perforarmi il petto, mentre attendevo una reazione di Ilaria. L’attesa durò una manciata di secondi, ma mi sembrò l’attesa più lunga e snervante del mondo. Temevo che Ilaria scendesse dalla mia auto ed iniziasse a vagare da sola nell’oscurità. Delusa. Amareggiata dalle mie rivelazioni. Tradita dal suo migliore amico, dal suo più grande amore. Sapevo che le mie ipotesi non si sarebbero mai avverate. Ne ero certo. Al contrario, Ilaria mi avrebbe compreso e aiutato come aveva fatto migliaia di volte nel corso della nostra amicizia, mentre le radici del nostro rapporto si intrecciavano, creando un legame unico ed indistrutti-bile. Ilaria mi avrebbe preso per mano e, a modo suo e in base alle sue possibilità, mi avrebbe condotto in quel mondo per me nuovo. Mi avrebbe abbracciato fra il cuore e le ali, e non mi avrebbe lasciato cadere. Mai.

Scrollai la testa, cercando di riordinare velocemente i pensieri. Ancora silenzio. Era il silenzio più fastidioso che io avessi mai sentito.

La guardai negli occhi. Era un angelo. Bellissima. Lei era luce e profumo. Inebriante.

Ero riuscito a togliermi la maschera, a dirle la verità, ma nonostante questo mi sentivo un traditore perché l’amavo più della mia vita, ma mi ero reso conto, dopo tanti anni, tanta fatica e tante lacrime, di non essere più attratto da lei. Non ero attratto dal suo mondo.

«Ricky, posso dirti una cosa?» disse, alzando lo sguardo e guardandomi negli occhi. Nell’anima. Il suo sguardo era talmente profondo da farmi male, come una lama conficcata nel petto. Nonostante questo appariva sorridente e rilassata.

«Dimmi!» miagolai, socchiudendo gli occhi, come se il mondo stesse per crollarmi addosso. Consapevole che stavo per risorgere dalle mie ceneri. Come una favolosa fenice.

«…Quale sarebbe il problema?»

È proprio vero. La mia vita è indubbiamente cambiata in quella fredda sera di fine ottobre, nella mia squallida automobile, vicino alla mia migliore amica. Con il passare degli anni, io e Ilaria siamo cresciuti. Siamo cambiati. La nostra amicizia è cresciuta e cambiata. Con il passare degli anni ho capito che lei sarebbe stata una presenza fissa nella mia vita.

PRIMO CLASSIFICATO categoria adulti 42

43

Una sorella. Un angelo. Non ci lasceremo mai. Il nostro rapporto va ben oltre l’amicizia e l’amore, perché è destinato a durare per l’eternità. Il mio segreto sigilla le nostre anime, in una promessa indistruttibile ed eterna. Io e Ilaria, amici per sempre. Qualunque cosa suc-ceda nelle nostre vite, in qualunque posto decideremo di vivere i nostri giorni, sarai sempre il primo pensiero. Non potrò mai ringraziarti a sufficienza per tutto quello che hai fatto per me. Sei speciale. Sei indelebile. Se non fosse per te, la mia vita non avrebbe alcun senso. Se non fosse per te, probabilmente, non sarei davanti ad un computer a scrivere la mia storia. Se non fosse per te, probabilmente, questa sera non esisterebbe nemmeno.

Questo racconto non è riuscito come speravo. Forse è banale. Forse è caotico. Non è accattivante e nemmeno magnetico. È sicuramente troppo corto. Sulla migliore amica avrei tantissime cose da raccontare. Non basterebbe una vita per parlare di lei. Del suo profumo. Dei suoi colori. Dei suoi occhi. Ma questo non è il suo spazio. Questa è la mia storia. Questo inchiostro è solo un insieme infinito di parole. Ed io e Ilaria non siamo parole, non siamo amici e nemmeno amanti. Io e lei siamo eterni. Come la verità.

categoria adulti PRIMO CLASSIFICATO

Categoria adUlti

Secondo classificato

SCELGO DI ESSERE FELICEdi Elisabetta Taschin - Casale sul Sile (TV)

“Se no te fa el bon te buto in te a leda.”

Al mio paese era la minaccia che usciva dalle bocche spazientite dei genitori, impotenti davanti alle bravate dei figli. A quelle parole i bambini si zittivano e dimenticavano ogni strana intenzione. La leda indicava, infatti, uno stagno, scuro e melmoso, nascosto nel fitto bosco che stava alle spalle del paese dove abitavo. La nonna diceva che, da quando la gente ricordava, boscaioli e cacciatori non seguivano mai il sentiero che passava vicino alla palude, troppa era la paura di incontrare le strane creature di cui si narrava da tempi immemorabili. Gli anziani narravano, invocando i santi, che solo pochi uomini del villaggio, robusti e arma-ti, avevano avuto l’ardire di raggiungere quel luogo in una rara e luminosa giornata estiva. Rara perché prima la nebbia mattutina e poi l’ombra fredda di maestose cime impedivano ai raggi solari di illuminarci. Anche d’estate. Quando i coraggiosi erano tornati, avevano raccontato di strani vapori, di sordi brontolii e di un sinistro cerchio di pietre, simile a un altare. Un uomo, più coraggioso degli altri, aveva tentato di avvicinarsi all’acqua ma i piedi erano sprofondati nella melma, trascinati da una mano invisibile e lui era scappato così velo-cemente da perdere gli scarponi, che aveva visto affondare nel fango senza lasciare traccia.

Nonna Pina, vivevo con lei dopo la morte dei miei genitori, mi raccontava, con voce carica di tensione, che nelle notti di luna piena uscivano dalle torbide acque creature mostruose che si dimenavano al chiarore della luna, seguendo musiche non percepibili da orecchio umano. Poi mi narrava sottovoce che molto tempo prima alcuni stranieri si erano avvicinati al luogo in una notte di plenilunio e non erano più tornati ai loro villaggi. Per que-sto motivo nessuno al paese c’era mai andato di notte.

Mai, fino a quella notte.

Antonio era un ragazzo di circa vent’anni. Biondo, occhi limpidi e sinceri, alto e musco-loso. Quando la nonna, con voce tremante per le rinnovate emozioni, me lo descriveva, lo immaginavo come il forte e gentile principe azzurro delle fiabe. Di lui si diceva che amasse leggere e ascoltare musica classica. Sognava di viaggiare. Aveva confidato alla mamma di voler lasciare il grigio paese, chiuso nelle sue tradizioni e superstizioni, e colorare la propria

categoria adulti SECONDO CLASSIFICATO45

Motivazione della GiuriaUna fiaba tenera e coraggiosa che la scrittrice ci racconta con una semplicità avvincente.

SECONDO CLASSIFICATO categoria adulti 46

vita di emozioni e scoperte. La mamma raccontava che il figlio era innamorato dei colori e avrebbe voluto dipingere e scrivere ma, in quel mondo di rudi taglialegna, non riusciva a esprimere la sua creatività. Intimidito e imbarazzato nascondeva i suoi pensieri decorandoli con veloci schizzi in minuscoli blocchi a quadretti, che custodiva nella sua camera. Aveva molti amici e le ragazze del paese erano tutte innamorate della sua bellezza e gentilezza. Lo soprannominavano Toni El zigante bon. Nessuno l’aveva mai visto arrabbiato o sentito urlare. Aiutava il padre nel lavoro di taglialegna senza lamentarsi. Non si era mai messo nei pericoli o aveva combinato guai. Anche quando i suoi coetanei lo sfottevano non rispondeva agli insulti ma si allontanava, dicendo che aveva cose più intelligenti da fare.

Ma quella domenica…

Dopo cena Antonio si era ritrovato con alcuni amici all’osteria del paese per giocare a carte. Il vino riscaldava gli avventori ormai infreddoliti dall’autunno avanzato. Alcuni anzia-ni, che chiacchieravano al tavolo vicino, iniziarono a prendere in giro i giovani sulle presunte future spose. Gli amici di Antonio rispondevano sghignazzando rumorosamente mentre lui sorrideva in silenzio. Era uno scambio di battute che faceva parte del gioco dell’età, finché qualcuno non disse “Par ti Toni xe bone sòl che e vecie dea leda”.

A quella frase l’osteria divenne silenziosa. Occhiate di rimprovero si puntarono sul vec-chio che aveva augurato quella cattiva sorte al giovane. Antonio, alzatosi di scatto, scaraventò la sedia contro il muro e uscì dall’osteria urlando che così sarebbe stato.

I ragazzi lo seguirono cercando di trattenerlo ma lui, sgomitando e allungando ceffoni a casaccio, li allontanò senza fatica. Nessuno aveva la forza per bloccarlo.

Così lo videro sparire tra le ombre del plenilunio.

Il papà, con alcuni uomini armati e col parroco, lo seguirono per riportarlo a casa.

Quando gli uomini raggiunsero il limitare del bosco non osarono uscire allo scoperto. Ombre evanescenti correvano tra gli arbusti. Ululati scuotevano le fronde. Bagliori sinistri rischiaravano il cielo. E d’improvviso un vento gelido paralizzò i loro corpi. La luna fu coper-ta da una spessa cortina fumosa e una fitta pioggia ghiacciata li respinse al paese.

Dopo alcuni giorni il padre, con il prete, raggiunse lo stagno per cercare il figlio.

Giunti alla radura il bosco precipitò nel silenzio.

Il ragazzo non c’era, ma le pietre sparse tutt’intorno testimoniavano che qualcosa era accaduto.

Poi nonna, recuperando il sorriso, mi mostrava alcuni ritagli di giornale, vecchi e sgual-citi. Parlavano di un famoso artista che realizzava fantasiose opere multicolori impreziosite da brevi versi. Nessuno era sicuro fosse Antonio ma tutti in paese lo speravano. Alcuni detta-gli della sua biografia lo lasciavano supporre anche se il riserbo dell’artista, che non rilasciava interviste e raramente si faceva vedere in pubblico, non aveva mai confermato nulla.

Rannicchiata nel letto, ricordo tra le lacrime questa storia. L’avevo custodita nel mio giardino segreto. Quell’angolo di cuore in cui nonna Pina, dalla morte di mamma e papà, mi aveva insegnato a raccogliere i bei ricordi e ad attingervi nei momenti di tristezza.

Non so se il racconto sia vero, se Antonio sia l’artista famoso di cui non si conoscevano le origini o se era solo la maniera in cui nonna m’insegnava che bisogna avere il coraggio di scegliere di essere felici.

Felice? Da quanto non lo sono? Da troppo.

Nella mente rimbalzano dolorosi gli insulti di Marco.

“Montanara, ignorante… taci” mi aveva urlato prima di sbattere la porta e uscire, dopo l’ennesima lite.

Ripercorro la catena di litigi e sfuriate che ho sopportato durante i pochi anni del nostro matrimonio. Troppo lunga da ricordare.

Marco l’avevo conosciuto al mio paese, dove aveva soggiornato durante un trekking nella nostra valle. Era manager di una multinazionale straniera che aveva una filiale in una città molto lontana dal mio paese. Era tornato dopo un mese con un mazzo di margherite. Poi la domenica successiva e quella dopo ancora, corteggiandomi senza fretta.

“Sei semplice, allegra. Sei il mio arcobaleno” mi sussurrava, mentre passeggiavamo mano nella mano.

“Con te riscopro la spensieratezza di quando ero bambino” mi diceva guardandomi negli occhi.

Quando arrivava mi chiedeva come avevo trascorso la settimana. Ammirava le mie creazioni artistiche, stupito di come plasmavo i doni della natura per far nascere bracciali, collane o estrosi oggetti. A volte mi accompagnava anche ai mercatini dell’artigianato, dove vendevo i miei oggetti. Era affascinante, colto, premuroso e gentile. Mi aveva letteralmente incantata. Parlavamo di tutto: dall’ultimo best seller alle traduzioni che facevo per alcune case editrici, dalla religione alle previsioni del tempo. Mi ascoltava facendomi sentire impor-tante. Condividendo le mie idee. Dopo pochi mesi l’avevo seguito in città e poi c’eravamo sposati.

Il nostro rapporto era cambiato dopo poco. Non potevo più realizzare bracciali o col-lanine perché non si addiceva alla moglie di un dirigente. Non potevo cantare, ballare. Non potevo uscire sola.

Poi Marco iniziò a lamentarsi del mio abbigliamento, di come tenevo la casa, di cosa leggevo. Prima con gentilezza e autorità poi con urla e insulti sempre più pesanti.

All’inizio, dopo le sue sfuriate, mi lasciava sola per tornare dopo ore con rose rosse e dolci scuse. Io cedevo agli abbracci. L’amore con lui era ancora bello, giocoso. Finché le richieste di scuse si diradarono fino a soffocare nelle ingiurie, che non mi risparmiava nep-pure di fronte a conoscenti o estranei.

“Stupida montanara ignorante. Non sapresti scegliere neppure i fiori per il tuo funera-le” urlava a ogni mio tentativo di essere autonoma.

Non mi aveva mai picchiata, ma la violenza delle sue parole aveva prodotto invisibili ferite che mi sfinivano. Non mi toccava più. Ero solo un oggetto che esibiva a qualche cena.

Mi sentivo sempre più insicura, frustrata, inutile. Lo specchio non mi rifletteva più. Non c’ero.

Io che amavo ridere, chiacchierare, ballare; che mi perdevo tra le parole di lontani viaggiatori o tra armonie di note musicali; che liberavo i miei sogni creando gioielli e oggetti bizzarri; che vivevo di colori ed emozioni ero diventata grigia, spenta. Vegetavo aspettando il suo rientro e sperando che il vestito indossato fosse adatto, che la tavola fosse apparecchiata correttamente e, soprattutto, che non dovessimo uscire a cena.

categoria adulti SECONDO CLASSIFICATO47

SECONDO CLASSIFICATO categoria adulti 48

E ora? Ancora una volta potrei asciugarmi le lacrime, fare la doccia, truccarmi, vestirmi elegante e aspettarlo ma la storia di nonna Pina m’incoraggia a scegliere. La forza e la deter-minazione di Antonio pare scorrano dentro me e m’infondono il coraggio di reagire.

In fretta preparo una borsa da viaggio. Ho deciso: prendo il treno e torno in paese. Lì troverò l’energia per risollevarmi e la forza di colorare di nuovo la mia vita. Lì posso vivere.

Scelgo di essere felice.

Categoria adUlti

Terzo classificato

LA VITA CHE NON SAPEVOdi Cristiano Vanin - Conscio di Casale sul Sile (TV)

Sabato mattina. In quel periodo tagliavo l’erba, anche se non serviva, quando riuscivo ad anticipare la pioggia grigia di febbraio. Era il mio momento per pensare e starmene solo, l’occasione per scaricare la tensione pigiata e pigiata dentro, giorno dopo giorno. Funzionava più di lavorare nell’orto. Un senso di benessere, di liberazione direi, mi partiva dalla testa fino alle ginocchia quando la lama falciava i ciuffi freschi, rigenerati da poco e già puniti, colpevoli di aver sperato che fosse per l’ultima volta.

Con l’erba potevo essere così spietato, con Paola no.

Lei stava in salotto, le ante del mobile accanto al divano erano nuovamente aperte, lì era conservato il nostro archivio di bollette, lettere e certificati, mentre lei seduta al tavolo riordinava la cartellina verde oliva. In lontananza la radio in cucina trasmetteva vecchie can-zoni degli anni Ottanta.

– Lunedì, prima della visita, ne compriamo una nuova, – le dissi – l’elastico è oramai mollo, non tiene più.

Mi sorrise, poi tornò a sistemare i fogli. Io avevo smesso di farlo. Ciascun foglio poteva essere così pesante tra le mani, condanna per me, vergogna per lei. Una nuova visita che avrebbe aggiunto altra carta da conservare, ma nessuna novità per cui sperare, già lo imma-ginavo.

Erano anni che mi sforzavo di non farle pesare questa sentenza, sempre più definitiva. Alimentavo in lei la speranza, cercai la battuta giusta per alleggerire la tensione risvegliata dalla visita di quel lunedì. Dentro di me una lotta che poco per volta stavo imparando a conoscere e a placare. Eppure non dipendeva da me, io non c’entravo, era lei il problema, non io. Dio solo sa quante volte ripetevo dentro questa frase e quanti tentativi di fare i conti con il senso di colpa pronto a insabbiarla, più in fondo possibile.

La baciai sulla fronte, con la delicatezza che si meritava. Credo ne avesse bisogno, chiuse gli occhi e il suo respiro divenne più lento, calmò anche me. Forse dovevo farlo più spesso e in cuor mio glielo promisi.

categoria adulti TERZO CLASSIFICATO49

Motivazione della GiuriaUn testo dal ritmo coinvolgente per ricordarci che cambiare talvolta

significa accettare ciò che la vita ci propone.

TERZO CLASSIFICATO categoria adulti 50

Attraversai la strada per portare a Manuela un po’ di radicchio. Come sempre mi rin-graziò.

– Vorrei provare una nuova ricetta questa volta, me l’ha consigliata un’amica. Se mi riesce bene vi invito a cena da noi.

E io ogni volta non potevo fare a meno di pensare a come sarebbe stata la mia vita se avessi incontrato una donna come lei. Sarei stato padre anch’io, come lo era mio fratello, scomparso oramai da un anno dopo quel maledetto incidente sull’A4. Ma la mia vita era un’altra, certamente imperfetta, forse ugualmente ricca. Ogni giorno da dimostrare.

Era più forte di me, capitava che incontravo Manuela e strisciava dentro il pensiero “Io posso, è Paola che non può. Se cercassi un’altra sarebbe tutto così semplice”. Lasciavo che il cervello fantasticasse per un po’, qualche volta me lo concedevo. Poi tornavo alla realtà, che è la mia. Questa e nessun’altra.

Eppure amavo Paola, lo dicevo a me stesso senza l’urgenza di pescare dentro l’emozio-ne che lascia il brivido. Non serve, la amavo e basta, lo sapevo. L’avevo imparato in questi anni, perché ad amare si impara, non è vero che ti viene spontaneo. È una delle poche verità che custodisco come si fa con le grandi scoperte, che pagherei pur di poterla insegnare a mio figlio. Una di quelle cose che capita una sola occasione nella vita per dirla, da uomo a uomo, e devi essere bravo a non lasciartela sfuggire. Io chissà se quell’occasione l’avrei mai avuta.

– Luca sta crescendo, lo vedi anche tu. Ho paura di non farcela, Carlo. Ci sono giorni in cui mi sento sprofondare, alzo la testa mi guardo intorno e cerco qualcosa a cui aggrapparmi. I peggiori sono quando spero che non ci siano mani attorno pronte a raccogliermi, così ho la scusa per non farmi forza.

Manuela parlava senza guardarmi, i capelli neri raccolti da un mollettone di quelli che oramai non si trovano più. Continuava a lucidare il lavello con energia, sempre sugli stessi punti, quasi a voler scaricare sulla spugna quel pianto che non si dava il permesso di assag-giare davanti a me. Forse per vergogna, forse per dignità.

– Ci sono tante cose che suo padre gli avrebbe dovuto insegnare. Toccherà a me ma non è giusto. Fra qualche anno farsi la barba ad esempio, ti pare? Mi viene da sorridere, ma non sono sciocchezze queste.

La ascoltavo assorto, sparisce il tempo nella stanza quando la tua preoccupazione incrocia quella di qualcun altro, anche se non è la stessa. Un’unica grande bolla che non vedi l’ora esploda per respirare aria corrente. Ma avevo imparato a non scappare, a non cercare quella frazione di attimo per andarmene, a non avere paura della paura, perché è ridicolo, mi dicevo, un gioco di parole contorto. Mi alzai d’istinto per aprire la finestra, cadde la tendina, il solito gancio difettoso:

– Lascio passare un po’ d’aria, – dissi – l’acqua della pasta sta appannando i vetri.

Aspettai qualche secondo, scrollai la testa per liberarmi dal torpore, cercavo le parole giuste per rassicurarla:

– Io e Paola ci siamo, lo sai. Quando senti che è più dura attraversa la strada, va bene?

Non aggiunsi altro. Questo mi riuscì di dire, era Paola quella brava a parlare. Quando qualcuno ti fa accarezzare la sua angoscia, più e più volte, non riesce ad ascoltare troppe parole, sente le sue e basta. Serve dirgli che ci sei, serve dare un po’ di quella quiete che rigenera.

– Zio, potevi dirmi che eri arrivato! – gridò Luca dal pianerottolo della scala. Scese di corsa.

– Attento che con le pantofole scivoli sul legno! – gli ricordò sua madre, con un tono che avrebbe voluto aggiungere “Te lo ripeto ogni volta!”.

Evitò gli ultimi due scalini, come faceva di solito, un unico grande salto per fare prima. Mi abbracciò forte, con la testa appoggiata sul petto, per ascoltarmi la vita, credo. Ne voleva un po’ per sé come scorta per la primavera.

Quelle braccia strette attorno mi bastavano, sapevano scaldarmi più del tiepido sole che entrava dalla finestra, non pretendevo altro per la mia giornata. Le prime volte il suo affetto mi trovava impreparato. Non potevo ancora permettermi che capisse quanto deside-ravo quell’abbraccio, quanto volevo essere padre, quanto ero ancora incapace di contenere quel desiderio così grande. Ma ora non mi importava. Se il prezzo da pagare per amare è essere smascherati nei propri punti deboli ero disposto a farlo. Anche con un bambino.

Con il tempo avevo capito cosa dire a Luca con quell’abbraccio e non mi stancavo mai di farlo. Una promessa, quella che in fondo fa ogni padre quando mette al mondo un figlio. Che è bello vivere, che vale la pena esserci. Che ti sarò vicino per aiutarti a scoprirlo. Chi altri avrebbe potuto dirglielo?

Strofinò l’orecchio sul maglione, poi alzò la testa e mi fissava:

– Ti devo raccontare un sacco di cose che sono successe questa settimana a scuola – con l’impazienza di chi vorrebbe legarti a sé un po’ di più della volta precedente, perché quando qualcosa è buono ed è gratuito non si è mai sazi.

– Vai Luca, dimmi tutto.

– A ginnastica ci hanno insegnato un nuovo gioco, un mio compagno dice che somiglia al rugby, perché lui ha suo fratello che ci gioca. La maestra dice che ci dovremo allenare per un po’ di settimane, così ci prepariamo alla partita contro la 4B la domenica prima di Pasqua. Vieni vero? La maestra insiste che servono i papà a fare il tifo, forse perché le femmine ci capiscono poco, ho pensato. Io le ho risposto che posso portare un super-zio, che fa anche i massaggi ai polpacci se mi faccio male.

– Certo che vengo! – gli risposi scavalcando le sue ultime parole, senza preoccuparmi di verificare se fossi davvero libero.

Avevo cercato per tanto tempo qualcosa che cambiasse la vita, la mia e quella di Paola. La novità di un figlio. È chiedere troppo alla vita? Capitava che me lo chiedessi. Ti sforzi, ti ostini perché vuoi che qualcosa accada, lo pretendi nella direzione che decidi tu, l’unica che sai essere buona per te. Ma niente, energia che non serve, che ti stanca e basta. Mentre insi-stevo nel cercare un cambiamento nella mia vita, la vita aveva già cambiato me, in un modo che non avrei immaginato ma che sapeva riempirmi. Ammetterlo riusciva a darmi pace.

Avevo imparato ad amare Paola, a tifare per la sua vita, a voler bene al suo grembo ferito. A stare vicino a Manuela, guarendo la mia sordità al suo dolore. A guardare crescere Luca, ad accettare che potevo essere padre in un modo anomalo, a cui però non avrei più potuto rinunciare. Il cambiamento più grande era quello che avevo vissuto, non quello pre-teso. Era la vita che non sapevo: che non sapevo sarebbe stata così, che non sapevo come affrontare, che non sapevo però sminuire. Vita che non avevo sperato né sognato, ma pur sempre vita.

categoria adulti TERZO CLASSIFICATO51

TERZO CLASSIFICATO categoria adulti 52

– Ora lo zio deve tornare a casa, era venuto per portarci un po’ di radicchio fresco. Stasera preparo le crespelle, che dici?

– Evvai! – si illuminò Luca, che però cercava di trattenermi:

– La maestra ci ha raccontato una storia sul nostro radicchio, dice che quello di Treviso è speciale.

– Sentiamo un po’ che dice la tua maestra – gli prestai attenzione.

– Dice che il nostro radicchio quando lo raccogli è brutto e rovinato. Sembra quasi che abbia sofferto perché avrebbe voluto diventare un fiore, come quelli che si regalano alle fidanzate o si comprano alla festa della mamma. Ha perfino sperato che il gelo lo cambiasse, invece lo ha sciupato ancora di più. Ma non si è accorto che la terra, l’aria e l’acqua lo hanno col tempo trasformato dentro in un fiore bellissimo. Certo, non lo potresti regalare alla zia Paola per il suo compleanno, che figura ci faresti, però è un fiore buonissimo da mangiare, vero zio?

– Certo Luca, è un fiore buonissimo.

– Già.

– È proprio un fiore – dico a lui. – Ciò che in fondo voleva essere – dico a me.

Categoria adUlti

Segnalato

DECRESCERE PER CRESCEREdi Rainalda Torresini - Carbonera (TV)

Era una giornata grigia e nebbiosa, una di quelle in cui anche il cielo non prova a distrarsi dalla noia e non regala un filo di luce, nemmeno nelle ore più calde del mattino. Nebbia fuori e dentro il cuore di Paolo mentre entrava in ufficio, solo, perso nei suoi pro-positi di abbandono.

“C’è un momento nella vita in cui ti trovi sull’orlo del precipizio”, aveva iniziato a scrivere nel biglietto intestato alla ditta.

Aveva deciso di farla finita. Tutta la sua vita distrutta da un evento rovinoso. In una notte, le fiamme di un incendio improvviso avevano divorato il capannone con la merce da consegnare e i macchinari si erano ridotti a un ammasso nero e puzzolente. Il lavoro di tre generazioni sfumato insieme al nome dell’azienda, costruita con tenacia dal padre e prima ancora dal nonno, figlio di contadini.

Paolo, in seguito ad un incidente aereo, era rimasto orfano dei genitori, quando ancora era studente all’università. Figlio unico, in quel doloroso frangente aveva deciso di prendere le redini della ditta e abbandonare gli studi. Seguendo le orme paterne aveva impiegato le sue forze per mantenere una produzione artigianale, sviluppata senza grosse ambizioni, e sempre nel rispetto della legge e dei lavoratori.

Nel corso degli anni aveva assunto diversi operai, immigrati dal Senegal. Lontana da lui l’idea dello sfruttamento, aveva subito cercato di rendere loro la vita confortevole. Si era pro-digato per trovare un alloggio decoroso per accogliere mogli e figli, che li avevano raggiunti.

Insieme erano diventati una grande famiglia.

“Sono egoista ad abbandonare tutto e tutti, ma sono costretto a fare questo gesto igno-bile – rifletteva, guardando i resti del rogo – Mi sento responsabile verso i miei dipendenti che dovrò licenziare e lasciare in mezzo a una strada. Per una svista, non avevo rinnovato l’assicurazione. Lo so che quello che è successo è solo colpa mia. Ho chiesto aiuto alle banche e ieri anche l’ultima richiesta di prestito mi è stata negata.” Pensava alla fine della sua vita: la voleva veloce e meno dolorosa possibile.

categoria adulti SEGNALATO53

Motivazione della GiuriaUna storia tremendamente attuale che ha il merito di offrire una speranza concreta,

in un mondo che sembra aver dimenticato il valore della solidarietà.

Si alzò e guardò fuori dalla finestra dell’ufficio, rimasto miracolosamente intatto. Si affacciava sul Sile, il fiume che lui amava. Sorrideva Paolo, guardando lo specchio d’acqua, coperto dalla foschia, e ricordava le gite in bici con Maria, conosciuta da poco, e le passeg-giate, mano nella mano, lungo il ramo vecchio, al tramonto, con tanti sogni da realizzare insieme. Vedeva, come in un film, scorrere le immagini delle loro uscite domenicali lungo l’alzaia, sul percorso in legno, con i bambini nel passeggino, intento a riprendere con la macchina fotografica le famiglie dei cigni, che galleggiavano in fila indiana sull’acqua, nel cimitero dei Burci. “Hai visto Maria le folaghe – diceva emozionato – il maschio e la femmi-na costruiscono il nido insieme, come due amanti fedeli? - e aggiungeva - Uniti, anche loro, come siamo noi.”

Si amavano ancora dopo trent’anni, nonostante i problemi affrontati nel lavoro. Avevano combattuto fianco a fianco, sacrificando le vacanze e qualsiasi lusso per rendere la vita più facile ai figli. Due figli che avevano riempito la casa di grida gioiose. Diplomati tutti e due, avevano scelto una vita diversa dal lavoro nell’azienda paterna, e al momento erano disoccupati.

“Che ne sarà di loro? – rifletteva preoccupato – Dovranno pagare i debiti che ho fatto. Maria dovrà vendere la casa, privarsi di quello che abbiamo, e vivere una vita misera. La crisi ha colpito tutti, i clienti non riescono a pagare le consegne già fatte e io non ho più niente da vendere, tranne il terreno dove sorgeva il capannone. Ricominciare a produrre non è più possibile, senza un finanziamento, e io dagli strozzini non voglio andare.”

Sentì all’improvviso un brivido corrergli lungo la schiena. Il sole pallido dell’inverno illuminava all’alba le sponde del fiume, coperte ancora di foglie color ocra, e l’acqua che cominciava ad assumere riflessi dorati. “Nel Sile no, – esclamò – non riuscirei ad annegare facilmente. Il mio istinto mi direbbe di nuotare, di galleggiare anche tra i mulinelli.”

Tornò a sedersi e si accorse del giornale, abbandonato sul tavolo la mattina della disgra-zia, e iniziò a scorrere le pagine locali. “Questi articoli sembrano la strage degli innocenti. Non si parla altro che di violenze verso donne indifese, furti, rapine, omicidi di familiari e nell’ultimo periodo tanti suicidi. Non voglio diventare anch’io una fotografia sulla cronaca nera.”

Paolo, tra le disgrazie di quel giorno, aveva notato il nome di un commerciante: Non resistendo al disonore del fallimento, si è dato fuoco davanti al Comune, diceva l’articolo. Aveva riconosciuto nella foto un suo compagno di Università. Da ragazzo lo aveva invidiato per la sua spigliatezza e da adulto lo aveva seguito, per un certo periodo, nella scalata al suc-cesso. Il vecchio amico apparteneva ad una famiglia benestante e non aveva dovuto lottare per costruirsi un nome.

“Eppure, poveretto, non ha resistito nemmeno lui alla vergogna e ha scelto di fare una fine atroce” pensò e, sconvolto da quella notizia, si mise a piangere. Le lacrime bagnavano la fotografia e consumavano il foglio come si consumava la sua disperazione, che trovava sfogo finalmente, dopo tanto penare in silenzio. Con i familiari non aveva voluto far capire la sua preoccupazione. Anche quella mattina si era allontanato da casa presto, con la scusa di una passeggiata. Niente faceva presagire la scelta estrema che stava per fare.

SEGNALATO categoria adulti 54

“Come sono arrivato a questa decisione così dolorosa?” si chiedeva, mentre allontana-va da sé l’idea di una fine orribile. I cattivi propositi e la ricerca di una soluzione possibile rimbalzavano nel cuore e nella mente.

“Se morirò, scapperò dalle cose brutte ma perderò anche le cose belle che potrebbe riservarmi il futuro. Ci sono persone che in cinquant’anni mi hanno voluto bene. Non ho chiesto la carità a nessuno preferendo chiudermi a riccio e allontanarmi anche dagli amici. Ho perso tutto, ma sento che c’è una forza in me che mi spinge a ricominciare. Vorrei esse-re un mago per estrarre dal cilindro una possibilità di vita. Dovrei provarci, ma come? Ho paura che il destino non stia dalla mia parte.”

Mentre rifletteva con la testa tra le mani, appoggiato alla scrivania, si addormentò.

Fu una pacca sulla spalla a svegliarlo.

Pensò subito di essere arrivato in Paradiso e di trovarsi vicino un angelo, un insolito angelo nero, che gli fece ricordare una canzone di Fausto Leali.

L’angelo lo chiamava per nome: “Paolo, che cosa stai facendo? Cosa significa quel biglietto? Hai dimenticato che siamo tutti una famiglia? Condivisione è il nostro motto, ricordi? Nella buona e nella cattiva sorte, come nella promessa di matrimonio!”

Paolo era stordito e non riusciva a capire quello che stava vivendo. Le lacrime ancora calde e il viso bagnato gli dimostravano che la sua non era una visione, ma la realtà. L’angelo nero stava strappando il foglio con il suo addio al mondo e lo gettava in aria riducendo i cattivi propositi in tanti coriandoli sparsi nella stanza.

“Vieni – disse – usciamo da qui, devo farti vedere qualcosa che ti scalderà il cuore.”

Lo trascinò fuori, e salirono in macchina. Paolo non riusciva a capire che cosa stesse succedendo, si sentiva ubriaco, sapeva solo che qualcuno, con la forza, lo aveva portato via da una scelta estrema e gli era riconoscente.

Scesi dalla macchina i due si incamminarono nella campagna. Fiducioso, aveva preso per mano il suo angelo, riconoscendo in lui Aftab, il suo fedele collaboratore nell’azienda.

“Dove mi porti?” chiese incuriosito. “Guarda.” gli rispose. Davanti a loro si estendeva la campagna veneta. Era passato tanto tempo da quando bambino trascorreva l’estate a casa del nonno, e con gli amici correva tra i filari delle viti per rubare i grappoli d’oro. Sentì una pace fresca scendere in lui. Pensò al fato, lo sconosciuto, che sapeva come sarebbe finita la sua vita. Si ricordò di avere letto, in un libro, una frase della quale, solo in quel momento, riusciva a capire il senso: “Ogni persona che troverete nel vostro cammino vi donerà qualcosa senza nulla chedere in cambio. Fa tutto parte di un disegno già segnato.”

“Non mi ero mai accorto di quanto fosse bella la campagna. – pensò sospirando- Sempre chiuso a lavorare, anche di domenica, avevo perso il contatto con la natura.”

Aftab gli aveva letto nel pensiero.

categoria adulti SEGNALATO55

“Non ti ho mai detto che nella mia lingua Aftab significa “sole”. Ecco, io voglio esse-re quel “sole” per te, la luce che hai perso. Nella disperazione e nella solitudine sei caduto nell’abisso più nero e io ti voglio aiutare a risalire la china. La nostra vita ricomincerà da qui.” disse mostrandogli un terreno.

“Non capisco – disse Paolo- continua...”

“Tu ci hai dato il lavoro nella tua azienda e noi, con i nostri guadagni abbiamo scelto di investire nella coltivazione di quello che voi chiamate “il fiore d’inverno”*. Ci ha appas-sionato scoprire, da nostro figlio, che alcuni semi sono stati inviati sulla luna. Il mio popolo ha sempre amato il lavoro della terra ma nel nostro paese tutto si secca in poco tempo. In campagna lavoriamo tutti, con mogli e figli. Ti abbiamo nascosto questo secondo lavoro, che facevamo nei giorni di riposo: non volevamo che tu potessi pensare a un abbandono.– disse notando che Paolo scuoteva la testa, in segno di diniego – Noi siamo persone leali e non ti avremmo mai tradito. Tu sei stato generoso ed è arrivato il momento di ricambiare. La nostra terra sarà anche la tua e quando avrai venduto ciò che rimane dell’azienda moltiplicheremo la produzione e lavoreremo insieme.”

Mentre Aftab parlava, la coltre grigia e umida che copriva il cielo si era diradata fino a scomparire ed era apparsa la luce. Un lieve tepore riscaldava l’aria, avvolgendo anche l’animo di Paolo.

Con le parole di Aftab il panorama gli appariva nuovo, e già la sua mente cominciava a lavorare. Avrebbe realizzato degli eventi speciali per diffondere il prodotto, una piattaforma informatica per far conoscere l’attività agricola anche ai non addetti ai lavori. La sua testa cominciava a lavorare come un computer.

“Sento il cuore che ricomincia a pulsare. – disse Paolo, battendosi una mano sul petto – Era coperto di ghiaccio e tu l’hai riscaldato. Era un giorno buio per me, con lacrime di pioggia che scendevano sul mio presente, oppresso dalla solitudine. Vagavo come un cieco e tu mi hai offerto il braccio per tornare a camminare sulla via della speranza. La mia gratitu-dine non avrà fine, fratello mio.”

Aftab non sembrava turbato dalle parole di Paolo e aveva ripreso, con disinvoltura, a parlare dei metodi usati per produrre al meglio, descrivendo nei dettagli le fasi della coltu-ra, illustrandone tutti i segreti, come se fosse nato nel Veneto e non al caldo della lontana Africa.” Ti insegnerò ad amare i frutti della terra, a non disprezzare il lavoro fatto sporcan-dosi le mani, soffrendo il gelo dell’inverno e il caldo dell’estate. Tornare ad avere i calli sulle dita può aiutare a sentire il cuore più leggero. Non sai quante soddisfazioni ti può dare fare il contadino e poi vendere i prodotti coltivati con amore.”

Paolo ascoltava Aftab a bocca aperta, chiedendosi quando mai avesse trovato il tempo di apprendere tutto quello che gli stava raccontando. Aveva molto da imparare da lui.

La voglia di avere una vita diversa lo entusiasmava. Pensava a quando l’avrebbe detto a Maria. Quella mattina si era alzata, sentendolo sveglio prima dell’alba. Ricordava le sue parole sulla porta di casa.” Vai pure a distrarti, ne hai bisogno, e ricordati che qui c’è la tua famiglia che ti aspetta, non dimenticarlo mai. Qualunque decisione tu voglia prendere, noi saremo al tuo fianco.”

“Talvolta per crescere bisogna tornare indietro, ai lavori dei nostri avi.” – disse ad Aftab – “Tornare alla terra mi aiuterà a capire il senso della vita.”

SEGNALATO categoria adulti 56

57

Il giorno volgeva al termine. Quel giorno, che era cominciato con un grande freddo fuori e dentro, si era trasformato. Il cielo al tramonto era coperto di nuvole rosa e i picchi lontani, rosso fuoco, lasciavano presagire un domani di pieno sole.

*“fiore d’inverno” (il radicchio rosso tardivo di Treviso)

categoria adulti SEGNALATO

Categoria adUlti

Segnalato

U CRIVUdi Antonio Giordano - Palermo

“Vede questa palla sotto i reni?”, mi dice con voce grave e saccente .”Il suo è un grosso, direi enorme, aneurisma all’aorta addominale che può scoppiare da un momento all’altro.E se succede non c’è ospedale che tenga”, aggiunge, facendo roteare indice e medio uniti, gesto che, dalle nostre parti, significa “morte sicura”.

Comincia a farmi antipatia questo spilungone, rossastro nella chioma e nella barbetta, che mi agita sotto il naso i risultati dell’ecografia. Ebbene, che mi può succedere, che vuol dire?

“Io posso operarla con una certa urgenza, fatti naturalmente gli accertamenti del caso, ma certo non prima di una decina di giorni”.

“E se, poniamo caso, nel frattempo avviene lo scoppio?”, balbetto preoccupatissimo.

“Beh, allora si vede che era destino. Io sono meridionale come lei e in questi casi, mi creda, non c’è che da affidarsi alla scaramanzia”, soggiunge, addolcendo la zeta di “scara-manzia” come sappiamo fare solo noi meridionali. “Comunque oggi è venerdì; lunedì comin-ciamo a fare gli esami preliminari e l’altro lunedì conto di operarla”.

“Se Dio vuole”, mormoro con voce soffocata.“Se Dio vuole” conferma con un sospiro, aprendo le braccia come a congedarmi.

E adesso che faccio? Arriverò vivo fino all’altro lunedì? E se, visto che l’aneurisma può scoppiare in qualsiasi momento, all’improvviso tiro le cuoia? Sento che sto respirando. E se smettessi di farlo tutt’a un tratto? Mi accorgerei di essere morto? Io non ho mai creduto né all’Aldilà né all’immortalità dell’anima e quindi svanirei in un nulla, così, a tradimento, senza nessun preavviso? Fino a quando starò a rimuginare su una mia incombente, probabile, ine-luttabile fine?

Anche se durassi, se rimanessi vivo, cioè, fino al lunedì dell’operazione, che inferno saranno le mie ore, i miei minuti, i miei attimi e soprattutto le mie notti? Si fa presto a dire. “E tu non ci pensare”.

categoria adulti SEGNALATO59

Motivazione della GiuriaTalvolta una malattia è l’occasione per riflettere sul vissuto.

La narrazione è ben organizzata e lo stile accurato.

SEGNALATO categoria adulti 60

Che mi insegnino a chiudere i rubinetti del pensiero, questi soloni da quattro soldi!

Ma io un modo debbo trovarlo per riempire il mio tempo, svuotandolo da angosce di fini fulminee e vincenti. Che fare? Come convincere il mio pensiero a fermarsi o, meglio, come dirottarlo verso altre “occupazioni” interiori, riempendolo e facendolo navigare in travagli più sereni?

Non mi è mai capitato di dover forzare la mia mente e le mie emozioni a orientarsi in direzione “vitale-utilitaristica”, mettendo cuore e cervello in una tale simbiosi operativa. Cuore e cervello? Simbiosi operativa? Percorsi emotivi utilitaristici? Ma sì, i miei quasi con-cittadini sono sempre stati maestri nel farlo. Posso tentare anch’io. Ebbene tentiamo con “u crivu”, con la “sguazzata d’u crivu” come hanno fatto e fanno certi miei compaesani.

A Corleone io non sono nato per puro caso: solo perché mia madre non stava bene e dovette partorire a Palermo. Ma i primi anni di vita e di scuola li ho passati in quel luogo contraddittorio ma meraviglioso, circondato da affetto e considerazione. E già, perché, tanti anni dopo, ci sono tornato come preside del Liceo Classico prima, e come insegnante di letture dantesche poi. E ho imparato tante cose, tante.

I corleonesi che operano nel campo della criminalità organizzata, i mafiosi insomma, quando sono costretti a periodi di detenzione e di isolamento forzato, di solito leggono, pregano o, più lucidamente, “sguazzano u crivu”, espressione che, tradotta approssimativa-mente in italiano, vuol dire “agitano il setaccio”. In una parte imprecisata del corpo e della mente, infatti, come essi sostengono, esiste e agisce, quando si è soli e tranquilli, in pace con se stessi, una sorta di “amarcord”, un rivivere criticamente persone e fatti, facendoli passare in un setaccio a maglie sottili. Da questa serie di sequenze e considerazioni si ricava la buona farina che viene separata dalla “canigghia” (pula), materiale grosso e di risulta che resta nella parte superiore del “crivu” e la cui consistenza diventa elemento di giudizio e di orientamento per futuri atteggiamenti, comportamenti e azioni. E coloro che sono giudicati negativamente dopo “a sguazzata d’u crivu”, diventano corpi da prendere solo in spregevole considerazione; “panzi ‘i canigghia”, insomma.

Ho deciso. Per esorcizzare le mie ansie, per utilizzare in modo ipoteticamente proficuo il tempo che mi resta, lo dedicherò a sguazzare “u crivu” di chi mi è o mi sembra più vicino.

Ora mi distendo nella mia poltrona preferita. Non mi sento male. Solo una sorta di gorgoglio nervoso allo stomaco e qualche tuffo improvviso al cuore…

Oggi ho rivissuto il mio viaggio con Alessia. Alessia è mia moglie e la nostra storia è un insieme di percorsi e di tappe, di fortune, di incidenti, perfino di provvide sventure, come avrebbe detto Manzoni. Logorato il nostro rapporto da influenze familiari terribili da entrambe le parti, con il ricordo sono andato alla grande crisi. Al mio viaggio per sottrarmi ad angosce, battibecchi, guerre domestiche. Ai suoi viaggi per lo stesso motivo ma soprattut-to per staccarsi il più possibile da me per correre fra le braccia dei suoi parenti, miei acerrimi nemici. Alle cattiverie reciproche, al cercar di ferirsi con fendenti di rinfacci, di accuse, con tentativi di distruzione l’uno dell’altro, fatti soprattutto attraverso feroci riferimenti paren-tali. Al mio incidente, alle mie vicissitudini e al suo starmi accanto in modo completo, senza riserve e con un amore che ancora mi stupisce.

E il “crivu sguazza” tra afflati e avversioni, tra lacerazioni di affetti, rosicchiatimi da altri e soddisfazioni vincenti ma passeggere di toglierla a loro per averla accanto. So che questi giorni saranno decisivi per separare la “canigghia” dalla farina e so che i miei rovelli avranno una fine in un modo o nell’altro, con l’avvento del “fatto” o del “fattaccio”.

E le mie figlie? Non figlie sue perché la loro madre volle, ma invano, giocarmi, prima di andarsene , il tiro più feroce; togliermele insieme a tutto ciò che avevo di materiale, di spirituale, di ideale. Saranno accanto a me?

Come nel matrimonio anche per gli interventi chirurgici c’è un rito; quello della prima notte. La persona più cara passerà la notte successiva all’operazione su una sedia o in una sdraio, piazzata accanto al letto, per accudirmi, vegliando, pronta a ogni mia esigenza. Sì ma negli ospedali per “la prima notte” fanno restare solo persone dello stesso sesso. Io non ho figli maschi ma c’è Guido e, quindi, è come se lo avessi un figlio.

Sì, voglio lui anche se mio genero verrebbe, lo so.

Ma la mia vita e quella di Guido hanno sempre corso in parallelo.

Mi piace ora dedicare a lui questa giornata.

Stava seduto e in disparte, corrucciato, con il mento sul petto, quasi a non voler vedere né sentire. Gli chiesi cosa avesse ma lo sapevo di già. A sedici anni non si prendono “cotte”, si hanno amori grandi come universi, gioie da levare il fiato e dolori da sentirsi morire di languore o di rabbia. Non lo aveva voluto. Germana, brunetta tutta pepe e lentiggini aveva sdegnosamente respinto le profferte di Guido e lo aveva perfino preso in giro, facendogli lo sfregio di lasciarlo là, basito, e di farsi cingere da Roberto, il belloccio della classe, sbaciuc-chiandoselo con apparente passione. Guido era distrutto. Non studiava e dovetti correre ai ripari. Le vacanze pasquali erano vicine e decisi di portarlo con me in campagna per farlo distrarre e fargli recuperare qualche materia. Dapprima resistette ma poi cedette e lo trascinai nel mio piccolo regno, fra alberi, cinguettii di uccelli, frescure e scrosci di ruscelli.La campagna nelle montagne del centro della Sicilia sembra un po’ una piccola Svizzera, con i suoi boschi, i suoi corsi d’acqua, i suoi paesaggi. Non gli diedi neanche il tempo di pensare alla sua disavventura. Si andava per campi e si ripeteva ad alta voce, secondati o disturbati dai passeri, dal gracchiare delle gazze, dal canto dei cardellini e degli usignoli. Non riuscii subito tant’è che qualche tempo dopo ebbe un incidente con la macchina di suo padre e dovetti intervenire per sanare una situazione non facile. Ce la spuntai, però. Poi gli feci conoscere un’altra ragazza e con questa durò. Si diplomò, si scrisse all’Università e là un’altra lotta per farlo laureare. Gli davo lezioni quasi di tutto e anche mia moglie non si risparmiava. Ma si laureò. Si sposò con Adele e volle che gli facessi da testimone e ci univa sempre un affetto vero, pieno di attenzioni e di collaborazioni spontanee. Dopo aver avuto due figli Adele e Guido si separarono, però. Per me fu un grande dolore e, nonostante i miei tentativi, non potei farci nulla. Gli sono stato vicino in tutte le sue avventure e disavventure. Che so; aveva bisogno di una macchina e gli “vendetti” la mia UNO, facendomi dare piccole e simboliche rate. I suoi figli gli hanno dato dei dispiaceri ma lui, da padre forse troppo indulgente, ha chiesto spesso il mio aiuto. Fino a qualche mese fa mi ha chiesto in prestito una somma non indifferente per sopperire a richieste loro e di Adele e sono contento per avergliela data, senza chiedere nessuna garanzia. Aspetto di vederlo adesso al mio capezzale, il figlio maschio che non ho avuto ma a cui voglio tanto bene…

È passata. Sono ancora mezzo intontito e non sento metà del corpo. L’anestesia ha fatto il suo effetto. Sono vivo. Sono finite le giornate dei ricordi forzati, delle ansie e delle paure. Ce l’ho fatta.

categoria adulti SEGNALATO61

È una piccola brezza, magari odorosa di tabacco, il fiato di Alessia e la sua mano tiepida stringe la mia che trema. Questa piccola donna, meravigliosa, instancabile trottolina non ha voluto lasciarmi neanche per un attimo. E so che non sta bene, che anche lei dovrebbe subire un intervento. Ma prima ci sono stato io. Ma queste mani unite nella mia rinascita, la sua che dà calore alla mia, sono il muto vagito di una vita che si apre insieme. Gettiamo nella spaz-zatura dell’oblio la poca crusca del “crivu” e passiamoci sul volto dei sorrisi la bianca farina dei doni della vita. Ti amo, Alessia e ti ringrazio. La “canigghia” non c’è più.

E in questo riaprire gli occhi al mondo i visi delle mie ragazze sono puri e dolcemen-te miei. Più che mai e per sempre. Stasera forse faranno passare di nascosto mia figlia e le permetteranno di restare a farmi la “notte” La grande abita molto lontano, in un’altra città. Ha gli occhi stanchi ma non vuol darlo a vedere e, prima di partire all’alba, vuole passare la seconda notte accudendo suo padre.

Grazie e scusate se qualche volta ho dubitato del vostro affetto...

Guido non si è fatto sentire né vedere, benché sapesse dell’intervento. Sento adesso il dolore della ferita e non solo di quella relativa all’operazione. Guido ha da fare, non ci ha pensato o, solo, non ne ha avuto voglia. Neanche una telefonata.

Da un lato dell’occhio una lacrima scivola sul mio viso. La gioia di ritrovare e di rina-scere? Oppure?… “Tutto ciò che avremmo voluto che fosse, che non è e non sarà mai rimane dentro di noi come una piccola morte segreta di cui noi soli piangiamo” ho scritto una volta. Viva la vita!

La “canigghia” che cade pare che roda il mio cervello come il turbine di una pioggia acida e silenziosa.

Poi sento una carezza d’amore e, fluttuando nella ritrovata culla dell’essere, poso “u crivu” sul comodino del passato, socchiudo gli occhi e vado, nel sereno dormiveglia del vero, verso il sogno variopinto della mia libertà.

SEGNALATO categoria adulti 62

i partecipanti

PARTECIPANTI CATEGORIA “UNDER 15”

UNDER 15 PARTECIPANTI 64

ALESSIA PAPAla mia paUra di Cambiare Casale sUl sile - (tV)

ANGELA CORTESEnon sempre i Cambiamenti di Vita sono faCili treViso

CATERINA BALDASSOla sCelta di miChele spresiano - (tV)

CHIARA SARTORATOCresCere e Cambiare sCUola lUghignano di Casale sUl sile - (tV)

ELENA MARANGONil ClUb – Una prigione per zoe lUghignano di Casale sUl sile - (tV)

FIRDAWSS GARTITEUn nUoVo mondo Casale sUl sile - (tV)

FRANCESCO BALZARETTIil ragazzo, la statUa e il CloChard noVara

GIADA DE PIERIUn sogno per domani Casale sUl sile - (tV)

GRETA GUIDOLINil Coraggio e la paUra di Cambiare dosson di Casier

LINDA GIUSTIio posso, deVo e Voglio lUghignano di Casale sUl sile - (tV)

RACHELE PONIUna nUoVa aVVentUra Casale sUl sile - (tV)

SARA BREDAla mia paUra Casale sUl sile - (tV)

SERENA DEL COCOil Coraggio e la paUra di Cambiare leCCe

SILVIA ZAMBIANCOil Coraggio e la paUra di Cambiare Casale sUl sile - (tV)

PARTECIPANTI CATEGORIA “UNDER 19”

ADULTI PARTECIPANTI65

ANNA LETIZIAqUesta piCCola grande amiCizia silea - (tV)

ELISA BERTONCINIla metamorfosi ViCopisano (pi)

LORENZO MARCUZil Coraggio e la paUra di Cambiare treViso

MARIA BORTOLOZZOmenomazioni e battaglie(Ci amaVamo in realtà, lo sapeVano tUtti tranne noi dUe) faVaro Veneto (Ve)

ALEX HIMMELla mia migliore amiCa qUinto di treViso (tV)

ARRIGO CURIELil Coraggio e la paUra di Cambiare trieste

AURORA CANTINIil Coraggio di anita nembro (bg)

CHIARA SIMONETTOimpronta indelebile nel CUore loria (tV)

CINZIA TONINATOtre passi di danza mortale saonara (pd)

CRISTIANO VANINla Vita Che non sapeVo ConsCio di Casale sUl sile (tV)

ELISABETTA TASCHINsCelgo di essere feliCe Casale sUl sile (tV)

GIANNI MARTINETTIla farfallina triste CaVallirio (no)

GINA VIVIANI CASANOVA1° raCConto: il treno...dolCi e terribili reminesCenze2° raCConto: i dUe Volti leVanto (sp)

PIERO PARPINELnoi gioVani del fUtUro Casale sUl sile (tV)

ANTONIO GIORDANOU CriVU palermo

RAINALDA TORRESINIdeCresCere per CresCere Carbonera (tV)

RITA MAZZONpensieri padoVa

SILVIA GOBBOil segreto è: fare tUtto Come se Vedessi solo il sole mogliano Veneto (tV)

SIMONETTA GRAZIOLIil sogno dell’Uomo Con il mantello nero padoVa

PARTECIPANTI CATEGORIA “ADULTI”

Si ringraziano

Via Vittorio Veneto, 108 Casale sul Sile - TVTel. 0422.820338 [email protected]

Via Newton, 13 Villorba - TVTel. 0422.92697 - [email protected]

Hanno collaborato all’iniziativa

PROVINCIA DI TREVISO

COMUNE DI CASALE SUL SILE

ISTITUTO COMPRENSIVO DI CASALE SUL SILE

CENTROMARCA BANCA

COOPERATIVA G. TONIOLO

IL COMITATO ORGANIZZATORE

LA GIURIA

I VOLONTARI DEL GRUPPO PARROCCHIALE FESTEGGIAMENTI

riparazione vendita computer e cartolibreria

Viale delle Industrie, 17 Dosson di Casier - TVTel. 0422.331858 [email protected] r e a z i o n i i n v e t r o

Via C. Colombo, 41 Casale Sul Sile (TV)Tel. [email protected]

S T A M P E R I A - A P R I L E 2 0 1 3