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FONDO PER LA PROMOZIONE DI ACCORDI ISTITUZIONALI“PIATTAFORMA DI BIOTECNOLOGIE VERDI E DI TECNICHE GESTIONALI PER UN
SISTEMA AGRICOLO AD ELEVATA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE”
QUADERNO
BIOCONTROLLO
Febbraio 2014
FONDO PER LA PROMOZIONE DI ACCORDI ISTITUZIONALI“PIATTAFORMA DI BIOTECNOLOGIE VERDI E DI TECNICHE GESTIONALI PER UN
SISTEMA AGRICOLO AD ELEVATA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE”
QUADERNO
BIOCONTROLLO
PresentazionePer Regione Lombardia il sostegno all’innovazione e alla ricerca, la valorizzazione del capitale umano
rappresentano leve fondamentali per rendere più attrattivo il territorio, aumentare la competitività del
sistema economico, accademico, scientifico e sociale e rilanciare una crescita dinamica, solida e sostenibile.
Ecco perché Regione Lombardia sta mettendo a fattor comune politiche qualificanti, svolgendo un ruolo di
promotore e facilitatore di reti tra università e centri di eccellenza, istituzioni locali e nazionali, camere di
commercio e associazioni di impresa a livello locale e globale. In questo contesto si inserisce il programma
di Ricerca e Sviluppo “BIOGESTECA”, uno degli 11 progetti finanziati da Regione Lombardia attraverso il
“bando di invito a presentare proposte di accordi istituzionali per la realizzazione di programmi di ricerca e
sviluppo nei settori energia, ambiente, salute e manifatturiero avanzato a valere sul fondo per la
promozione di accordi istituzionali”. Un bando che è stato lanciato nel 2009, con assegnazione nel 2010, di
circa 27 milioni di euro, nell'ambito del Fondo per la Promozione di Accordi Istituzionali. Il programma
BIOGESTECA, favorendo la costituzione di una rete collaborativa tra università, centri di ricerca, istituzioni e
imprese del sistema lombardo della ricerca ne ha rafforzato la visibilità e la competitività a livello
internazionale. Ma ha anche permesso di fornire risposte alla crescente domanda globale di prodotti
alimentari, una delle principali sfide che ci attendono e tema di Expo Milano 2015, che deve
necessariamente coniugarsi con uno sviluppo sostenibile, capace di tutelare l’ambiente e allo stesso tempo
valorizzare l’applicazione di strumenti innovativi e tecnologici. BIOGESTECA ha il merito di offrire un
contributo essenziale alla soddisfazione di tali esigenze attraverso un approccio innovativo cha ha portato
anche alla realizzazione di una piattaforma di biotecnologie verdi e di tecniche gestionali per lo studio e la
sperimentazione di diverse soluzioni che interagiscono tra di loro con la finalità condivisa della sostenibilità
del sistema agricolo. I risultati prodotti dalle attività pluriannuali del progetto, che ha impegnato più di
cento ricercatori e ha reclutato e formato più di quaranta dottorandi di ricerca e giovani ricercatori, ci
forniscono interessanti spunti che a breve e medio termine si riveleranno utili per chi opera in Lombardia
nei settori dell’agro alimentare, delle bioenergie e della salvaguardia ambientale. Di certo il nostro impegno
sarà rivolto, anche con la collaborazione della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di
Lodi che ha cofinanziato il progetto, insieme a Regione Lombardia, a dare ampia divulgazione e promozione
del trasferimento tecnologico dei risultati, con iniziative specifiche che si inseriranno tra quelle previste
dalla Regione stessa e dai diversi Enti partner del progetto nelle attività di avvicinamento all’importante
Esposizione Universale di Milano 2015.
Mario Melazzini Assessore alle Attività produttive, Ricerca e
Innovazione di Regione Lombardia
Il programma di Ricerca & Sviluppo BIOGESTECALa sostenibilità e competitività del sistema agricolo nel suo insieme impegnano il mondo della ricerca alla
definizione continua di soluzioni e tecnologiche innovative. La configurazione attuale della produzione
agraria si caratterizza per elevati impieghi di mezzi tecnici, risorse naturali ed energia che si traducono in
impatti significativi sull’ambiente ed in consistenti produzioni di rifiuti. Allo stesso tempo, i prodotti agricoli
hanno quasi sempre perso le loro connotazioni territoriali e la collettività stenta a riconoscere il ruolo
dell’agricoltura come presidio di un territorio da mantenere e di cui usufruire. La competitività del sistema
agricolo non può prescindere da questo riconoscimento, soprattutto in un contesto europeo dove viene
sempre più riconosciuta una remunerazione, diretta o indiretta, alla multifunzionalità dell’agricoltura.
L’obiettivo a cui tendere è, quindi, quello di un sistema agricolo che sia in grado di ridurre la pressione
ambientale salvaguardando le risorse naturali limitando la produzione di rifiuti e recuperando i
sottoprodotti in modo da trasformarli in energia e fertilizzanti. In questo modo, il sistema agricolo può
caratterizzarsi come rispettoso dell’ambiente e generare al contempo esternalità positive riconoscibili e
quindi remunerabili dalla collettività.
Sistema agricolo attuale Sistema agricolo sostenibile
In stretta coerenza con le finalità del Bando “Accordi Istituzionali” lanciato nel 2009 da Regione Lombardia,
il programma di Ricerca & Sviluppo BIOGESTECA ha generato e consolidato una rete collaborativa tra
gruppi di ricerca appartenenti all’Università degli Studi di Milano, all’Università degli Studi di Milano
Bicocca, al Consiglio per le Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, all’Ente Nazionali Risi, alla
Fondazione Parco Tecnologico Padano, alla Fondazione Filarete e ad Agricola 2000, che creando forte
sinergia e integrazione tra competenze ha prodotto nuove conoscenze e innovazioni tecnologiche in grado
Sistemaagricolo
Materieprime emezzitecnici
Energia dialta qualità
Risorsenaturali
Riutilizzodell’energia
Emissioniinquinanti
Prodotticaratterizzati dalla
sostenibilità delsistema produttivo
Sottoprodotti
Sistema agricolo
Materie prime emezzitecnici
Energia di alta qualità
Risorse naturali
Emissioniinquinanti
Energia dibassaqualità
Rifiuti
Prodotti pocodifferenziati
Valorizzazioneenergetica efertilizzante Rifiuti
Schema del sistema agricolo attuale Schema di sistema agricolo sostenibile
di fornire risposte alla richiesta di sostenibilità del sistema agricolo lombardo e più in generale delle
agricoltura in ambienti ad elevata pressione antropica.
Le attività del Programma BIOGESTECA, articolate in sette workpakages, hanno adottato approcci di
biotecnologie verdi per la definizione di strategie di gestione delle colture e del territorio agricolo a ridotto
impatto ambientale in combinazione con tecnologie per la riduzione degli input e per l’utilizzazione dei
reflui e residui con finalità energetiche e fertilizzanti. In particolare sono presi in considerazione aspetti
delle colture e della loro gestione, relativi all’uso dell’acqua, dei fertilizzanti, dei presidi fitosanitari e
dell’energia, al fine ultimo di migliorare l’efficienza d’uso di queste risorse a garanzia della sostenibilità
ambientale ed economica della produzione primaria. Per alcune delle tecnologie e delle alternative
innovative sperimentate è stata eseguita anche una analisi tecnica, economica e ambientale in modo di
acquisire una valutazione non solo delle singole soluzioni, ma anche dell’intero sistema in cui possono
essere impiegate; ciò tenendo conto, quindi, anche dei loro effetti sull’ambiente in termini di energia,
emissioni, utilizzo di mezzi tecnici, produzione di rifiuti e delle esternalità (positive e negative) delle
produzioni agricole verso la collettività, quali il miglioramento della fruibilità e la salvaguardia del territorio.
I risultati del progetto, disponibili al sito www.biogesteca.unimi.it e raccolti in quattro volumi di sintesi
(Gestione della risorsa irrigua; Efficienza d’uso dei nutrienti e razionalizzazione delle fertilizzazioni;
Biocontrollo delle avversità biotiche; Gestione e valorizzazione dei reflui) forniscono alcune soluzioni
tecniche e spunti innovativi che a breve e medio termine potranno fornire soluzioni efficaci per il
rafforzamento della sostenibilità dell’agricoltura intensiva moderna, sia in un contesto regionale sia in un
contesto più ampio nazionale e internazionale. Per quest’ultima ragione le attività e i risultati del
WP1Gestione degli
apporti difertilizzanti al
suolo
WP2Efficienza d’uso deinutrienti mineralie riduzione degli
apporti difertilizzanti al
suolo
WP3Uso della risorsa
idrica nellacoltivazione del
riso
WP4Biocontrollo
WP5 Esplorazione dellavariabilità genetica
e scelte varietaliWP6 Utilizzo di reflui e
residui per laproduzione di
energia efertilizzazione dei
terreni
WP7Valutazione tecnica, economica e ambientale
Programma BIOGESTECA trovano piena collocazione tra le tematiche e gli obiettivi che caratterizzano
l’evento EXPO in programma nel 2015 nel nostro paese.
Il programma si è avvalso per il monitoraggio dei lavori di un Comitato Guida che in qualità di membri
esterni alla rete collaborativa ha annoverato esperti del settore di fama internazionale quali il Prof. Paolo
Balsari (Università degli Studi di Torino), il Prof. Fabio Fava (Università degli Studi di Bologna), il Prof. Enrico
Martinoia (Università di Zurigo), il Prof. Zeno Varanini (Università degli Studi di Verona) e il Prof. Fabio
Veronesi (Università degli Studi di Perugia). Le divulgazione dei risultati tra gli steakeholders a vario titolo
ad essi interessati si è avvalsa del sostegno della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura
di Lodi.
I coordinatori del Programma
Prof. Gian Attilio Sacchi
Prof. Giorgio Provolo
Biocontrollo
a cura di Roberto Pilu e Pamela Abbruscato
Indice
Introduzione pag. 11
Sviluppo di mezzi a basso impatto ambientale
di biocontrollo dell’agente del brusone pag. 17
Mais ricco in antiossidanti: un’opportunità
per il contenimento dell’uso di agrofarmaci pag. 45
Peptidi endogeni del seme ad attività biocida pag. 62
Selezione e caratterizzazione di colture
batteriche con attività antagonista pag. 69
Introduzione
Dopo i grandi successi realizzati dalla Green Revolution, che ha modificato radicalmente l’agricoltura nei paesi
sviluppati, al giorno d’oggi si parla sempre più insistentemente di tematiche riguardanti la sostenibilità e la
competitività del sistema agricolo. Infatti, l’utilizzo di genotipi superiori, di mezzi tecnici, risorse naturali ed
energia conseguenti all’applicazione delle metodologie di coltivazione messe a punto nell’ambito della Green
Revolution, ha determinato non solo un incremento della produttività agricola ma anche impatti significativi
sull’ambiente e consistenti accumuli di rifiuti. Allo stesso tempo, i prodotti agricoli hanno quasi sempre perso le
loro connotazioni territoriali e la società stenta a riconoscere il ruolo dell’agricoltura come presidio di un
territorio da preservare e non solo di cui usufruire. L’obiettivo a cui tendere è, quindi, quello di un sistema
agricolo che sia in grado di ridurre la pressione ambientale salvaguardando le risorse naturali ad esempio con
un corretto sfruttamento della risorsa idrica e limitando l’utilizzo di fertilizzanti e agrofarmaci. In questo modo,
la produzione agricola potrebbe essere caratterizzata, oltre che dalla qualità e tipicità dei prodotti stessi, dal
riconoscimento che il sistema produttivo è rispettoso dell’ambiente e capace di generare al contempo
esternalità positive riconoscibili e quindi remunerabili dalla collettività. Infatti, le strategie agroambientali della
Politica Agricola Comune (PAC), definita dalla UE, sono mirate in larga parte a migliorare la sostenibilità degli
ecosistemi agricoli. Uno sviluppo agricolo sostenibile deve quindi garantire la redditività dell'agricoltura
prevenendo i rischi del degrado ambientale concorrendo ad una più efficiente gestione delle risorse. In
quest’ottica si colloca il progetto “Piattaforma di biotecnologie verdi e di tecniche gestionali per un sistema
agricolo ad elevata sostenibilità ambientale” BIOGESTECA. Nell’ambito di questo progetto, finanziato dalla
Regione Lombardia, si colloca la tematica del Biocontrollo (Work Package4, WP4). Obiettivo di questo
WorkPackage è quello di cercare di limitare l’utilizzo degli agrofarmaci in agricoltura per quanto riguarda le
colture del riso e del mais che caratterizzano in particolare la nostra Regione. L’elevato costo dei prodotti
fitosanitari ed il loro possibile impatto ambientale rendono prioritaria la messa a punto di strategie alternative
di difesa delle piante tese a ridurre, se non ad escludere, l’impiego di questi prodotti. Infatti, le coltivazioni del
mais e del riso hanno raggiunto elevati livelli di produttività grazie alle moderne pratiche agronomiche, ai
sistemi meccanici a disposizione e all’uso di prodotti fitosanitari per il contenimento dei danni dovuti a insetti,
funghi ed infestanti e alla concimazione. Come precedentemente detto, questa metodologia di agricoltura
intensiva contribuisce al degrado dell’ecosistema e non è in linea con le richieste delle direttive della nuova
PAC e delle “European Integrated Farming Framework Guidelines (2011), nonché della Direttiva 128/2009
sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. Di conseguenza, la sfida per la maidicoltura e risicoltura lombarda
oggi non è solo il mantenimento dell’attuale elevata produttività, ma la sua attuazione senza l’uso o con un uso
limitato di agrofarmaci e con mezzi e modalità sostenibili per l’ambiente e compatibili con le risorse a
disposizione o addirittura con differenti risorse o gestione alternative delle risorse. Questo è un obiettivo
importante per migliorare la qualità e la sicurezza dei mais e risi coltivati in Lombardia: basti pensare infatti,
che l’Italia è il primo paese produttore di riso d’Europa che con una superficie coltivata di 235.000 ha (dati ENR,
2012), rappresenta circa il 53% della superficie e produzione della Comunità Europea. La peculiarità della
risicoltura italiana è che il 94% dell’area produttiva si concentra in Piemonte (52%) e Lombardia (42%) per un
valore equivalente di 517 milioni di euro (dati Istat 2008). E’ implicito, quindi, il valore economico della
risicoltura lombarda che è protagonista insieme a quella piemontese della filiera risicola nazionale. Per quanto
riguarda il mais la superficie coltivata con questo cereale è di circa 214.000 ha per una produzione di granella di
circa 2263100 tonnellate (dati Istat 2012) usate in gran parte a fini mangimistici e dall’agroindustria in generale.
Quindi il biocontrollo potrebbe contribuire alla salvaguardia e allo sviluppo, in maniera sostenibile, di questo
enorme patrimonio agricolo così importante per la nostra Regione e per l’intero Paese. L’elevato costo dei
presidi fitosanitari ed il loro possibile impatto ambientale rendono prioritaria la messa a punto di strategie
alternative di difesa delle piante tese a ridurre, se non ad escludere, l’impiego di questi prodotti.
Il biocontrollo in un contesto di agricoltura sostenibile è effettuato con un insieme di tecniche utilizzate per
ridurre i danni dovuti agli agenti delle avversità biotiche, tra i quali notevole importanza rivestono funghi
fitopatogeni, con il fine di ridurre l’utilizzo di agrofarmaci di sintesi. I mezzi a disposizione per l’attuazione del
biocontrollo sono essenzialmente: a) scelta varietale/modifica dei genotipi delle piante; b) sostanze naturali ad
attività inibitoria nei confronti degli agenti delle avversità biotiche c) organismi ad attività antagonista (Fig. 1).
Nell’ambito di questo progetto, in sintonia con la logica di multidisciplinarietà e di applicazione di approcci
all’avanguardia adottata in tutto il programma di R&S del progetto BIOGESTECA, tutti i mezzi disponibili per
l’attuazione di un efficace biocontrollo sono stati utilizzati e indagati con metodi afferenti a discipline diverse e
complementari tra loro come la chimica, la microbiologia, l’ agronomia, il miglioramento genetico, la biologia
molecolare, la genomica e la bioinformatica.
Figura 1. Le tre principali strategie utilizzate nel biocontrollo: a) selezione/modifica di genotipi; b) trattamenticon bioestratti e c) utilizzo di organismi benefici ad attività antagonista.
Nell’ambito della strategia (a), l’attenzione è stata rivolta ai funghi fitopatogeni e tossinogeni, responsabili di
danni rilevanti alle colture. L’insorgenza e la diffusione delle infezioni fungine è generalmente limitata
mediante trattamenti con fungicidi specifici. A titolo di esempio, in anni particolarmente favorevoli alle
infezioni, quasi l’80% della superficie investita a riso nel nord Italia viene sottoposta a trattamenti fungicidi.
Diversi studi hanno mostrato l’esistenza di variabilità genetica di alcuni caratteri legati alla resistenza delle
piante alle infezioni da parte di funghi fitopatogeni; tali resistenze sono determinate da un singolo gene o da un
gruppo di geni che possono essere studiati e sfruttati per la selezione o l’individuazione di varietà con
un’elevata capacità di contrastare l’insediamento del patogeno, da potersi impiegare in strategie low input di
contenimento dei danni. Fra le malattie del riso è di particolare rilevanza il brusone il cui agente eziologico è il
fungo Magnaporthe oryzae che causa sulle foglie lesioni a macchia di colore rosso, dal tipico aspetto di
“bruciature” (Fig. 2A). I sintomi della malattia possono comparire su foglie (brusone fogliare), culmo, colletto e
pannocchia (mal del collo), assumendo diverse forme e colore, anche in base alla sensibilità della cultivar. Il
brusone è sicuramente la malattia che causa le maggiori perdite di produzione proprio alle nostre latitudini,
quando il riso è coltivato in terreni sommersi e sciolti, carenti in sostanza organica, eccessivamente concimati
(con particolare riferimento all’azoto), e comunque in presenza di varietà sensibili. Occorre inoltre sottolineare
che molti funghi possono influenzare la qualità delle produzioni in quanto produttori di micotossine
estremamente pericolose per la salute dell’uomo e degli animali domestici. I cereali, ed in particolare il mais,
sono tra i vegetali più frequentemente contaminati da micotossine, che possono essere prodotte sia in fase di
coltivazione, sia in post raccolta. Su mais sono particolarmente frequenti funghi del genere Fusarium,
soprattutto i produttori di fumonisine, mentre più sporadici sono i miceti afferenti ai generi Aspergillus e
Penicillum, in grado di accumulare rispettivamente aflatossine e ocratossine (Fig. 2B).
Figura 2. Due tra le più importanti malattie del riso e del mais causate da funghi fitopatogeni, brusone in riso(A) e fusariosi in mais (B).
La sintesi di micotossine da parte dei singoli ceppi fungini dipende da numerosi fattori, il primo dei quali è
senza dubbio rappresentato dalla presenza dei geni che rendono possibile lo svolgersi dell’intero iter
metabolico che porta all’accumulo delle varie sostanze tossiche. La potenzialità tossinogena si esprime solo
quando si verificano le opportune condizioni climatiche e nutrizionali e la componente biotica ambientale
non interferisce negativamente con la sintesi della micotossina. Risulta quindi importante verificare
l’influenza della composizione delle cariossidi dei diversi ibridi sulla potenzialità tossinogena di isolati di
Fusarium, Aspergillus e Penicillium, al fine di individuare eventuali fattori che inibiscono l’accumulo delle
varie micotossine. La strategia più efficace attualmente adottata in pre raccolta per ridurre il rischio di
infestazione e quindi di accumulo di micotossine, si fonda essenzialmente su principi di lotta agronomica
(scelta varietale basata sull’epoca di semina e/o sulla durata del ciclo produttivo e controllo della
concimazione azotata) o di lotta chimica contro la piralide, insetto chiave nella coltura del mais che favorisce
le infezioni fungine. Lo studio dell’insieme dei fattori che consentono lo sviluppo di funghi fitopatogeni nei
cereali potrebbe essere affrontato anche attraverso l’identificazione di meccanismi molecolari e di vie
metaboliche coinvolti nei fenomeni di resistenza da osservati in alcuni genotipi o varietà di piante. L’impiego
delle moderne tecnologie di indagine bio molecolari sui vegetali potrebbe quindi fornire indicazioni utili per
lo sviluppo di strategie di biocontrollo.
La strategia (b) attua un contenimento dei patogeni mediante l’uso di sostanze naturali. Queste includono:
1) metaboliti ad attività antifungina estratti da microrganismi e/o piante
2) estratti cellulari di microrganismi e/o molecole che attivano/potenziano le reazioni di resistenza dellapianta
Nel primo caso si tratta di molecole che agiscono direttamente sul fungo stesso, inibendone la crescita o
causandone la morte, in modo analogo ai fungicidi di sintesi, dai quali si differenziano perché estratti da
piante e/o microrganismi. Nel secondo si tratta di estratti che non hanno alcuna azione sul fungo patogeno,
ma agiscono indirettamente attivando o amplificando le difese della pianta. Le piante dotate di geni di
resistenza reagiscono all’infezione da parte del patogeno, cercando di limitarne/impedirne lo sviluppo.
Questo può tradursi in una rapida risposta di difesa in corrispondenza del sito di infezione, la cosiddetta
risposta ipersensibile (Hypersensitive Response o HR), che comporta la variazione dei flussi di ioni calcio,
produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), ed infine la morte delle cellule invase con il conseguente
contenimento del propagarsi dell’infezione. In altri casi non si evidenzia risposta ipersensibile e la limitazione
della colonizzazione dell’ospite viene conseguita con la produzione di molecole ad attività antimicrobica
diretta, proteine di patogenesi (PR proteins:pathogenesis related proteins) come glucanasi o chitinasi e
l’apposizione di barriere fisiche rappresentate da callosio o lignina. La risposta ipersensibile è
frequentemente associata con l’attivazione della cosiddetta resistenza sistemica acquisita o SAR (Systemic
Acquired Resistance) che si manifesta a distanza temporale di uno o più giorni dalla HR e interessa anche
organi distali rispetto alla zona di interazione ospite patogeno. L’attivazione della SAR è mediata dall’acido
salicilico che induce la sintesi di PR e al contempo inibisce le catalasi che degradano le ROS. La SAR viene
stimolata, oltre che da HR, anche da infezioni ad esito necrotico e da composti chimici di varia natura,
denominati nel loro complesso, attivatori di resistenza. La somministrazione degli induttori di resistenza
prima dell’evento infettivo predispone la pianta a reagire più prontamente e più efficacemente al tentativo di
colonizzazione da parte del patogeno.
Ulteriori prospettive sono recentemente emerse in seguito all’individuazione di microrganismi naturalmente
associati ai cereali ed in grado di contrastare lo sviluppo di agenti fitopatogeni esercitando una funzione di
biocontrollo attraverso fenomeni di competizione per nicchie ecologiche e substrati, produzione di inibitori,
sostanze allelochimiche, antibiotici, cianidi ed enzimi litici (strategia c).
Batteri promotori della crescita vegetale (Plant Growth Promoting Bacteria, PGPB) sono in grado di esercitare
un’attività di stimolazione indiretta della crescita. PGPB aventi attività antagonista nei confronti di classi
diverse di fitopatogeni, risultano infatti utili nella protezione delle colture e sono inoltre applicabili in approcci
di difesa integrata. L’attività antagonista comprende diversi meccanismi, quali la competizione per nicchie o
substrati, la produzione di inibitori allelochimici appartenenti alle classi dei siderofori, enzimi litici (1,3
glucanasi, chitinasi), antibiotici, batteriocine e cianidi. Appare quindi interessante la possibilità di procedere
ad uno studio di screening e di eventuale isolamento di microrganismi dotati di tale capacità e promettente la
loro applicazione in campo come innovativo sistema di biocontrollo delle fitopatologie del riso e del mais.
In questo quaderno verranno raccolti gli studi effettuati nell’ambito di questo progetto di ricerca suddivisi
nelle seguenti attività:
Sviluppo di mezzi a basso impatto ambientale dell’agente del brusone
Gli obiettivi specifici dell’attività saranno la selezione e la messa a punto di mezzi “naturali” di biocontrollo da
utilizzare nella difesa del riso dall’agente del brusone. Per la selezione di mezzi di biocontrollo a basso
impatto ambientale da utilizzare in alternativa ai fungicidi di sintesi, si intende studiare l’efficacia dell’utilizzo
sia di una classe di sostanze naturali a nota azione fungicida, le saponine, di cui sono piuttosto ricche le specie
afferenti al genere Medicago, sia di attivatori del sistema di difesa di riso. La biosintesi delle diverse saponine
di Medicago spp. è stata caratterizzata molecolarmente per la sintesi di saponine specifiche in vitro su scala
industriale. Inoltre, materiali genetici di Medicago con contenuti e composizioni specifiche di saponine
differenti sono stati investigati per la costruzione di varietà utili alla produzione sia di foraggio sia di specifici
metaboliti secondari. Un secondo obiettivo di questa attività sarà quello di identificare i geni chiave attivati
nella risposta di difesa del riso a brusone, quali target utili per sviluppare molecole ad azione protettiva e/o
guidare i programmi di miglioramento genetico di varietà più resistenti.
Mais ricco in antiossidanti: un’opportunità per il contenimento dell’uso di agrofarmaci
Obiettivo specifico dell’attività è la costituzione e l’identificazione di genotipi di mais ad elevata
pigmentazione e contenuto in flavonoidi in grado di contenere la contaminazione da micotossine. I risultati
dell’attività, oltre a costituire un primo passo verso la costituzione di genotipi di mais con minor richiesta di
trattamenti con agrofarmaci, potrebbero permettere la costituzione di linee da utilizzate nella produzione di
ibridi ad elevato valore nutraceutico in quanto, appunto, ricchi in flavonoidi.
L’attività è suddivisa in due parti, la prima che costituirà e studierà i genotipi pigmentati e la seconda che
studierà i genotipi più promettenti (coltivati in prove parcellari in diverse località) per quanto riguarda la
caratterizzazione dei funghi patogeni presenti potenzialmente capaci di produrre micotossine.
Peptidi endogeni del seme ad attività biocida
L’attività si propone di identificare linee di mais i cui semi meglio di altre accumulano e rilasciano nel mezzo,
durante le primissime fasi della germinazione, proteine e/o peptidi in grado di inibire la crescita di funghi
patogeni. L’indagine si propone inoltre, ricorrendo ad opportuni protocolli di purificazione ed analisi
proteomica, l’identificazione, la purificazione e la caratterizzazione molecolare delle molecole attive. Le linee
di mais più interessanti potrebbero costituire materiale di base per possibili programmi di miglioramento
genetico indirizzati alla costituzione di ibridi di mais i cui semi necessitano in misura minore di trattamenti
concianti. Inoltre, l’identificazione e la caratterizzazione delle molecole attive è un ottimo presupposto per un
eventuale sfruttamento del loro potenziale biotecnologico applicativo in una logica di biofarming, cioè di
messa a punto di sistemi biologici (colture batteriche, colture cellulari o di tessuti) per una loro produzione in
scala industriale.
Selezione e caratterizzazione di colture batteriche con attività antagonista
Obiettivo di questa attività è quello di isolare e caratterizzare ceppi batterici con attività antagonista nei
confronti di alcune specie batteriche di fitopatogeni che interessano mais e riso. I risultati di questo lavoro
permetteranno di selezionare specifici ceppi microbici che da soli o in co coltura potranno essere sfruttati
come antiparassitari biologici in grado di proteggere le colture di mais e riso dall’attacco di specifici
microrganismi fitopatogeni. E’ stata così generata una collezione microbica di circa 100 isolati batterici
endofiti e rizosferici da piante di mais e riso. Sono stati condotti dei test in piastra per valutare la capacità
della collezione microbica di attinomiceti e degli isolati microbici con attività di promozione della crescita
ACC deaminasica (ACCd) di effettuare attività di biocontrollo contro fitopatogeni del mais e del riso. L’intera
collezione, è stata saggiata nei confronti di ceppi sia di Fusarium verticillioides, sia di Magnaporthe oryzae. I
ceppi che hanno dimostrato attività antagonista nei confronti dei fitopatogeni saggiati sono stati identificati
tramite sequenziamento parziale del gene 16S rRNA. Successivamente è stato intrapreso uno screening
attraverso saggi in vitro per caratterizzare quali attività di promozione della crescita vegetale (PGP) siano
coinvolte nel biocontrollo.
Introduzione a cura di Roberto Pilu, Pamela Abbruscato e Annamaria Vercesi.
Sviluppo di mezzi a basso impatto ambientale di biocontrollo
dell’agente del brusone
Pamela Abbruscato1, Laura Crispino1, Barbara Menin1, Pietro Piffanelli1
Elisa Biazzi2, Maria Carelli2, Patrizia Gaudenzi 2, Carla Scotti2, Aldo Tava2
1) Fondazione Parco Tecnologico Padano, Lodi2) CRA Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero Casearie, Lodi
Introduzione alla tematica
Tra le diverse problematiche ambientali da affrontare in agricoltura, per evitare ingenti perdite di raccolto, la
gestione delle malattie è una delle più complesse, dal punto di vista pratico (diversità e incidenza dei
patogeni) ed onerose per l’aspetto economico (costo dei fitofarmaci). La malattia del riso più grave e più
diffusa nel mondo e anche nell’areale lombardo è il brusone (Ou, 1985), il cui agente eziologico è il fungo
fitopatogeno Magnaporthe oryzae B. Couch (Couch and Kohn, 2002) telomorfo di Pyricularia oryzae Cavara,
che può svolgere più cicli infettivi durante la stagione vegetativa dell’ospite. La malattia interessa le foglie e i
culmi della pianta, ma la forma più dannosa è il cosiddetto “mal del collo”, dovuto allo sviluppo nell’ultimo
internodo sotto alla pannocchia, con conseguente deperimento ed essiccamento parziale o totale delle
spighette in essa contenute. Ciò determina danni sia alla quantità di raccolto, sia alla qualità, ovvero di resa
alla lavorazione (Cortesi, Giuditta 2003). L’incidenza di questa malattia è aggravata dalle condizioni meteo
climatiche (escursioni termiche e valori medi di temperatura elevati, persistenza di rugiada in prima mattina,
bagnatura fogliare, umidità dell’aria) che favoriscono lo sviluppo e germinazione del patogeno, nonché la sua
penetrazione nella pianta. Nel 2007, il consistente aumento delle temperature ed umidità nel periodo estivo
ha causato una grave incidenza del “mal del collo” e si sono registrate perdite vicine a 10 quintali/ettaro.
Durante la campagna 2008, l’intensità dei danni causati dal patogeno è stata decisamente tra le più elevate
degli ultimi decenni. Le condizioni dei nutrienti nel terreno possono aggravare l’entità delle perdite: terreni
carenti in sostanza organica o sabbiosi o limosi (Picco et al., 2000) e/o l’eccessiva concimazione azotata
aumentano significativamente la gravità dell’epidemia (Manibhushan Rao, 1994). Uno studio recente sulla
diffusione territoriale della malattia tra Piemonte e Lombardia (Tabacchi, 2011) ha evidenziato una maggior
frequenza ed intensità delle epidemie di brusone nelle provincie di Pavia e Milano, legata a questi fattori.
Infatti, il terreno nell’areale lombardo, avendo un minor contenuto di sostanza organica e una tessitura
sabbiosa, richiede un maggior apporto di azoto, facilitando conseguentemente l’instaurarsi e la diffusione
della malattia. Inoltre, in queste aree, è più diffusa la semina interrata a file su terreno asciutto (con
irrigazione 20 30 giorni dopo la semina e successiva gestione in sommersione o turnata), che favorisce, però,
maggiore squilibrio nella nutrizione azotata ed elevate escursioni termiche.
Una recente ricerca sulle resistenze del germoplasma di riso storico italiano ha dimostrato che solo il 30%
delle varietà tipiche italiane presenta una resistenza genetica al brusone (Faivre Rampant et al., 2011),
richiamando la necessità di sviluppo di nuove varietà resistenti. Nelle provincie lombarde sono maggiormente
coltivate le varietà tipiche da risotto, come Carnaroli, Vialone Nano, Arborio che sono, però, tra le più
suscettibili al brusone di tutte le varietà storiche italiane, aggravando ancora di più la gestione della malattia
in Lombardia. Tali fattori hanno comportato, in queste provincie, un uso metodico e continuo di fungicidi per
limitare i danni ed evitare la perdita dei raccolti. A queste condizioni, infatti, senza appositi trattamenti
fungicidi, si stimano perdite produttive attorno al 7 10% in bassa presenza di brusone; in aree ad alta
incidenza il danno può superare perfino il 40%. Dal 2012, fatta eccezione per una proroga concessa in Italia
anche l’anno successivo, la Comunità Europea ha vietato l’uso di fungicidi contenenti triciclazolo, sostanza
attiva molto efficace nei confronti di M. oryzae. Solo due sostanze attive, azoxystrobin e flutriafol, risultano al
momento registrate su riso per il contenimento dei danni dovuti al patogeno: i Disciplinari di Protezione
Integrata in vigore in Lombadia e Piemonte consentono l’esecuzione di un unico intervento all’anno con il
solo azoxystrobin. L’incremento della fertilizzazione azotata in risaia, la mancanza di una resistenza genetica
nelle varietà tipicamente coltivate in Lombardia e la minor disponibilità di fungicidi dotati di diverso
meccanismo d’azione rendono cruciale e attuale mettere a punto strategie di difesa nei confronti di M.
oryzae che consentano di coltivare il riso in Lombardia rispettando l’ambiente e compatibilmente con le
risorse disponibili. Tale obiettivo può essere perseguito con la selezione di varietà di riso più resistenti al
patogeno, ma anche con sostanze naturali attive nei confronti di M. oryzae, da utilizzare in sostituzione dei
fungicidi di sintesi. La maggior parte degli studi in corso per lo sviluppo di strategia di lotta biologica si
concentrano sull’identificazione di microorganismi o loro estratti cellulari ad elevata attività inibitoria nei
confronti di M. oryzae. Tra questi: il fungo endofita Harpophora oryzae (Su et al., 2013), una miscela di
rizobatteri (Filippi et al., 2011), due ceppi batterici dal caratteristico comportamento da plant growth
promoting rhizobacteria (PGPR) identificati come Pseudomonas fluorescens e Chryseobacterium balustinum
(Lucas et al., 2009), Bacillus methylotrophicus BC79 (Shan et al., 2013) e il batterio endofita Achromobacter
xylosoxidans AUM54 (Melvin et al., 2012). L’attività antifungina di singoli metaboliti estratti da Streptomyces,
come la molecola antifungalmicina 702 isolata da S. padanus JAU4234 (Xiong et al., 2013) o le molecole
resistomicina e tetracenomicina D isolate da S. canus BYB02 (Zhang et al., 2013), è stata verificata, ma,
essendo in alcuni casi queste sostanze antibiotici antibatterici, l’utilizzo in campo di queste molecole può
comportare seri rischi per la salute del consumatore e per l’ambiente.
Per quanto riguarda, invece le molecole derivate da piante e dotate di attività antifungine, sono ancora pochi
i composti saggiati per un eventuale uso nei confronti di M. oryzae, malgrado il vivo interesse suscitato nel
settore medico, farmaceutico e agro industriale. Esiste, infatti, una vasta letteratura che descrive molecole
estratte da piante agrarie o medicinali ad attività antifungina nei confronti di diversi patogeni fungini umani e
vegetali (Arif et al., 2011). Questi composti isolati da diverse specie vegetali e anche noti come fito chimici o
fito complessi sono almeno 5000 (Crozier et al., 2006).
Si tratta essenzialmente di metaboliti secondari che le piante stesse producono a scopo difensivo nei
confronti di diverse classi di microrganismi patogeni e insetti fitofagi, ma anche metaboliti implicati nella
produzione degli aromi, delle pigmentazioni dei fiori e di altri organi della pianta.
Le principali classi di composti antifungini di origine vegetale ad oggi descritte sono rappresentate da fenoli e
acidi fenolici, flavonoidi, cumarine, chinoni, saponine, xantoni, terpenoidi, alcaloidi e olii essenziali (Harborne
et al., 1999). Inoltre, questi composti possono anche avere natura proteica, come numerose lecitine e
polipepetidi (Selitrennikoff, 2001). Tutte queste molecole hanno dimostrato in diverse prove in vitro e in vivo
attività biocida o biostatica (inibizione di attività enzimatiche) sia con il loro uso tal quale, o previa
modificazione chimica per la loro attivazione o infine come modelli per lo sviluppo di altre molecole analoghe,
ma più efficaci (Arif et al., 2011). A oggi è stata dimostrata una notevole attività antifungina contro M. oryzae
sia in vivo che in vitro solo per due metaboliti appartenenti alla famiglia delle cumarine (decursina e
decursinolo angelato), estratti dalle radici di una pianta coreana Angelica gigas (Yoon et al. 2011).
In questo progetto sono state indagate per la loro nota attività fungicida (Tava e Avato, 2006) le saponine
triterpeniche del genere Medicago e, in particolare, quelle prodotte da erba medica (Medicago sativa L.), la
più importante leguminosa foraggera coltivata in Italia, il cui areale di coltivazione coincide in larga misura
con quello del distretto risicolo padano. Le saponine presenti nel genere Medicago sono metaboliti secondari
costituiti da una miscela complessa di glicosidi triterpenici. Questi composti hanno dimostrato di possedere
un ampio spettro di attività biologiche, tra cui quella inibire lo sviluppo di patogeni vegetali fungini e batterici,
insetti fitofagi e microfauna del terreno, come i nematodi (Tava e Avato, 2006). L’attività biologica dei
triterpeni che complessivamente costituiscono le saponine nel genere Medicago è in relazione con la loro
struttura chimica: in particolare, le caratteristiche della parte agliconica della molecola (sapogenina) e la
natura e posizione degli zuccheri ad essa legati (Tava et al., 2011). In erba medica, ad esempio, si distinguono
saponine emolitiche e non emolitiche sulla base della loro capacità di provocare emolisi per rottura delle
membrane cellulari. I due gruppi presentano diversi sostituenti ossidrilici ( OH) e carbossilici ( COOH) in
posizioni precise dell’anello triterpenico, come mostrato nella figura 1.
Figura 1. Principali saponine in Medicago spp.
In genere, le saponine emolitiche sono più efficaci rispetto alle saponine non emolitiche, ma anche all’interno
del gruppo emolitico sono state riscontrate notevoli variazioni di attività biologica, ad es. saponine dell’acido
medicagenico più attive di quelle dell’acido zanico (Tava e Avato, 2006). E’ dunque importante per un uso
Saponine emolitiche
Saponine non emolitiche
ederagenina acido medicagenico acido zanico
soiasapogenolo Asoiasapogenolo B
R O
CO O R 1
OH
RO
COOR 1
HOO C
HO
RO
COOR 1
HOO C
HOO H
RO
O H
O H
RO
O H
O R 1
O H
R=R1=H
R= zuccheriR1=H
R=R1=zuccheri
sapogenina
saponina
efficiente e competitivo di questi composti naturali individuare quelli più attivi nei confronti di diversi
patogeni.
Una delle attività della tematica del biocontrollo sviluppata nell’ambito del progetto BIOGESTECA mirava alla
selezione di mezzi naturali di biocontrollo da utilizzare nella difesa del riso nei confronti di M. oryzae e alla
loro eventuale messa a punto per un utilizzo a breve medio termine. Tramite diversi approcci di analisi sono
state esplorate tre possibili soluzioni potenzialmente integrabili in un’unica strategia di difesa:
Applicazione di saponine, sostanze naturali estratte da Medicago spp., a nota attività fungicida;
Utilizzo di Verdeviva, soluzione salina ad azione fungicida e/o biostimolante;
Identificazione dei geni chiave coinvolti nella risposta di difesa di riso a brusone utili per lo sviluppo di nuovi
composti ad azione di protezione e/o di nuove varietà resistenti.
Dati i promettenti risultati raggiunti con le saponine, è stata svolta un’approfondita caratterizzazione
molecolare della via biosintetica delle saponine, in vista di un’ottimizzazione della loro sintesi sia in pianta
che in sistemi eterologhi (es. lieviti). Tale caratterizzazione ha previsto sia l’identificazione e analisi funzionale
di geni della via biosintetica delle saponine in Medicago spp. che l’individuazione di materiali vegetali
diversificati per contenuto e composizione in saponine, per l’ottenimento di varietà commerciali destinate
alla produzione di queste sostanze.
Per perseguire gli scopi previsti di questa attività, oltre all’approccio multidisciplinare già menzionato
nell’introduzione generale, sono stati applicati approcci e metodi tra i più moderni ed innovativi, come il
sistema di screening ad alta processività BLASTEST, l’analisi trascrittomica globale e l’analisi TILLING della
variabilità genetica.
Il saggio BLASTEST è un metodo messo a punto presso i laboratori della Genomica Riso del PTP che, tramite
l’infezione di piante di riso con diversi ceppi di M. oryzae e successiva fenotipizzazione dei sintomi fogliari,
consente di valutare l’incidenza/severità della malattia e, quindi, dì estrapolare il livello di efficacia in planta
di un trattamento fungicida o protettivo dopo la sua applicazione. Permette una valutazione qualitativa in
funzione delle categorie di sintomi da 1 (assenza malattia) a 5 (grave incidenza malattia), e quantitativa,
grazie alla stima numerica delle foglie sintomatiche di ciascuna categoria, pianta per pianta.
Per la ricerca di geni di riso coinvolti nella risposta di difesa è stata adottata un’analisi trascrittomica globale
molto sensibile che permette di identificare liste di geni che vengono attivati o disattivati in funzione
dell’infezione del fungo. Tali liste, analizzate con programmi bioinformatici ad elevata capacità di
processamento di set di dati ampi, permettono di comprendere quali meccanismi molecolari e vie
metaboliche sono significativamente correlati con la risposta del riso all’attacco del brusone, e, quindi, quali
target siano di potenziale interesse per composti ad azione protettiva o biostimolante nel controllo del
brusone del riso, nonché per migliorare geneticamente le varietà di riso.
L’indagine molecolare della via biosintetica delle saponine è stata effettuata tramite analisi di una collezione
di mutanti TILLING (Targeting Induced Local Lesion IN Genomes) costituita nella specie modello M. truncatula
(Porceddu et al., 2008). La tecnologia TILLING (Henikoff et al. 2004) permette di identificare mutazioni
nucleotidiche nella sequenza di geni putativamente coinvolti nella determinazione di un carattere di
interesse, di individuare le piante che portano tale mutazione allo stato omozigote o eterozigote e di
studiarne il fenotipo per determinare il ruolo del gene mutato. I vantaggi della tecnica TILLING sono: di
fornire sia mutazioni non senso (knock out), che mutazioni di senso, di essere applicabile a molte specie di
interesse agrario senza fare ricorso alla trasformazione genetica, di produrre un’alta densità di mutazioni ed
essere indipendente dalle dimensioni del genoma, dal sistema riproduttivo dell’organismo in esame e dal
tempo di generazione. Un altro approccio che è stato applicato per l’analisi di variabilità genetica è
l’ECOTILLING via sequenziamento dell’intero frammento dei geni candidati.
Questo approccio si basa sulla ricerca di mutazioni spontanee che esistono in diversi genotipi/popolazioni di
una stessa specie, sotto forma di polimorfismi di singoli nucleotidi (SNPs). L’analisi degli SNP può fornire
informazioni importanti per mettere in relazione la variabilità fenotipica con la variazione di sequenza di geni
putativamente coinvolti nella determinazione del carattere stesso.
SELEZIONE DI DIVERSI MEZZI DI BIOCONTROLLO DELL’AGENTE DEL BRUSONE
L’obiettivo specifico di questa ricerca è la selezione e messa a punto di uno o più mezzi naturali di
biocontrollo da utilizzare nella difesa del riso nei confronti di M. oryzae. A tal fine è stato applicato un
approccio articolato in tre soluzioni complementari da utilizzare all’interno di un’unica strategia di lotta
integrata. Da un lato, infatti, è stata studiata l’efficacia delle saponine di Medicago spp., a nota attività
fungicida, su una miscela di isolati di M. oryzae, rappresentativi della biodiversità genetica del brusone
nell’areale lombardo e dalla diversa virulenza verificata su di un gruppo rappresentativo di genotipi di riso.
L’efficacia delle saponine, saggiata tramite BLASTEST, è stata verificata su genotipi di riso dal diverso
comportamento nei confronti del patogeno (suscettibile, mediamente suscettibile e resistente) e
nell’efficienza d’uso delle risorse ambientali (azoto, zolfo e idriche), per rispondere totalmente agli obiettivi
del progetto e meglio integrarne i risultati nella prospettiva di una gestione integrata della coltivazione del
riso in Lombardia. La fenotipizzazione tramite BLASTEST sugli stessi genotipi è stata svolta anche per valutare
gli effetti del Verdeviva, una soluzione elettrochimicamente attivata ottenuta da KCl ed acqua utilizzando il
sistema EVA System® 100 di Industrie De Nora S.p.A. In precedenti prove sperimentali, il Verdeviva ha
dimostrato azione battericida/fungicida e capacità di stimolare le difese endogene di piante orticole:
rappresenta, quindi, una promettente alternativa o strumento integrativo anche per il controllo di M. oryzae.
Dall’altro lato, tramite analisi trascrittomica globale dopo l’infezione di riso con diversi ceppi di M. oryzae,
sono stati identificati i geni chiave coinvolti nella risposta di difesa di riso al patogeno, utili per
l’identificazione di nuovi target per lo sviluppo di nuove molecole ad azione protettiva/biostimolante o per
guidare i programmi di miglioramento genetico verso varietà più resistenti.
Attività svolte
Efficacia delle saponine di Medicago spp. nei confronti dell’agente del brusone del riso
Le saponine sono state estratte da parti aeree e da parti radicali di una popolazione di erba medica (Ecotipo
Romagnolo) notoriamente ad alto contenuto in queste sostanze, purificate e caratterizzate nella loro
composizione agliconica mediante analisi gascromatografiche (Tava et al., 1993; Tava et al., 1998). Le miscele
di saponine grezze e alcune singole saponine in purezza ottenute mediante procedimenti di separazione
cromatografica in fase normale (gel di silice) e in fase inversa (RP18) (Tava e Avato, 2006), sono state valutate
per la loro attività in vitro contro M. oryzae tramite determinazione della MIC (minima concentrazione
inibente) per selezionare la miscela o il composto più efficace da utilizzare nelle prove in planta. L’efficacia
delle diverse miscele/singoli composti è stata paragonata con quella del flutriafol, principio attivo
comunemente applicato in risaia nei confronti di M. oryzae. Il lavoro è stato svolto in collaborazione con il
Dipartimento di Scienza della Terra e dell’Ambiente, Laboratorio di Micologia dell’Università di Pavia.
Nel contempo, è stata indagata la diversità genetica di una collezione di più di 200 isolati di M. oryzae,
ottenuti da campioni di riso raccolti nell’areale lombardo in tempi recenti, per selezionare i ceppi di
riferimento da utilizzare nelle prove in planta. Per il fingerprinting della collezione, ovvero l’analisi molecolare
della diversità genetica sono stati utilizzati i marcatori microsatelliti, detti anche SSR (Simple Sequence
Repeat). I marcatori SSR sono regioni di DNA non codificante caratterizzate dalla ripetizione di una stessa
breve sequenza; il numero di ripetizioni di queste sequenze, che è diverso tra differenti individui, dà origine a
polimorfismi. I SSR sono caratterizzati da un elevato grado di polimorfismo anche all’interno di una stessa
specie e da un’ampia distribuzione nel genoma; queste caratteristiche li rendono particolarmente adatti
all’analisi degli isolati di M. oryzae, che presentano un’elevata similitudine perché in campo si riproducono
principalmente per via clonale, ovvero asessuata. I SSR sono stati applicati agli studi di diversità genetica del
brusone fin dal 2000 e ad oggi si stimano in più di 1000 nel genoma di Magnaporthe. Zheng e collaboratori
(2008) hanno sviluppato un set di 176 marcatori SSR utilizzando i dati di sequenza del genoma di M. grisea e
costruito una mappa genetica. Gli stessi autori hanno anche sviluppato un database online dei SSR
disponendoli all’interno del genoma per facilitare ricerche di mappaggio e clonaggio genico in Magnaporthe.
Tra tutti i SSR di Magnaporthe già utilizzati in precedenti studi di diversità genetica e di popolazione di diverse
collezioni di M. oryzae (Kaye et al., 2003; Dean et al., 2005; Adreit et al., 2007; Saleh et al., 2012) sono stati
scelti 25 SSR distribuiti nei 7 cromosomi, da testare sulla collezione di isolati italiani e lombardi del progetto
BIOGESTECA. Gli isolati prescelti per le prove di infezione in planta sono stati preliminarmente saggiati su un
gruppo di genotipi di riso a diverso livello di suscettibilità/resistenza per valutare la loro variabilità nella
capacità infettiva. I 9 genotipi di riso utilizzati per queste prove di virulenza includevano, in ordine crescente
di resistenza, 3 varietà suscettibili (Maratelli, Vialone Nano, Arborio), 3 mediamente suscettibili (Carnaroli,
Volano, Gladio) e 3 resistenti (Augusto, Salvo, Gigante Vercelli). Scelti i ceppi di riferimento e definita la loro
virulenza, sono state effettuate prove preliminari per la messa a punto della modalità di applicazione delle
saponine e per ottimizzare la metodologia di fenotipizzazione.
Infine, sono state eseguite 2 serie di prove di verifica della potenziale attività di controllo delle saponine sul
brusone: la prima con il genotipo Maratelli altamente suscettibile al patogeno, utilizzando il formulato di
flutriafol nella concentrazione normalmente utilizzata in campo (250 mg L 1) come testimone trattato, mentre
per la seconda serie sono stati impiegati il genotipo mediamente suscettibile Baldo e il genotipo resistente
Selenio, perché queste due cultivar erano risultate interessanti nelle altre tematiche di progetto (WP1, WP2,
WP3) per gli aspetti di alta efficienza d’uso dell’azoto, dello zolfo e dell’acqua, allo scopo di integrare i risultati
delle diverse unità operative e tematiche del progetto BIOGESTECA. Tutte le prove hanno previsto
l’applicazione delle saponine sia in pre infezione (24 ore prima) sia in post infezione (3 giorni dopo infezione)
alla concentrazione di 10 g L 1. Una miscela di ceppi, con un rappresentante per ciascun gruppo filogenetico
identificato con le analisi fingerprinting, è stata utilizzata per le infezioni. Ciascuna prova ha previsto tre
repliche biologiche condotte a tempi diversi, per le opportune analisi statistiche.
Valutazione degli effetti della soluzione Verdeviva sul brusone del riso
La soluzione Verdeviva è stata sottoposta a valutazione degli effetti sulle piante di riso infettate in pre (24
ore) e post infezione (72 ore), alle stesse condizioni e con le stesse modalità del trattamento e
fenotipizzazione delle saponine, applicando la soluzione alla concentrazione di 500 ppm. Dato il potenziale
effetto biostimolante della soluzione è stata anche applicata a 24 e 72 ore post infezione, per valutare un
eventuale effetto additivo di 2 applicazioni successive.
Ricerca dei geni chiave coinvolti nella risposta di difesa di riso a M. oryzae
Per la ricerca dei geni coinvolti nella risposta del riso al brusone sono state effettuate infezioni con 4 diversi
ceppi di Magnaporthe dalle caratteristiche diverse: i ceppi M. oryzae FR13, BR32 e CL367 isolati da riso o altri
cereali (entrambi graminacee) e quindi in grado di infettare questi ospiti, mentre il ceppo M. grisea BR29 è
stata ottenuta da una graminacea infestante (Digitaria sanguinalis) e quindi non risulta patogena per il riso o
i cereali coltivati. Inoltre, i tre ceppi ospite mostrano virulenza distinta, ovvero che si distinguono in base al
tipo di risposta (suscettibile/resistente) che generano nel riso. Più precisamente l’isolato FR13 è noto per
essere virulento sul genotipo di riso in esame, Nipponbare, quindi capace di infettarlo. Gli altri due ceppi
(CL367 e BR32) infettano solo i genotipi che non contengono i corrispondenti geni di resistenza e sono quindi
avirulenti su Nipponbare che presenta i geni di resistenza coniugati ai geni di avirulenza di CL367 e BR32. Di
conseguenza, Nipponbare risulta resistente nei confronti di BR32 e CL367. Siccome M. grisea BR29 non
infetta il riso, Nipponbare manifesta un fenotipo totalmente resistente dopo l’infezione con questo ceppo.
Dalle piantine inoculate sono stati prelevati campioni di foglie a 2 diversi tempi (12 e 24 ore dopo l’infezione)
per identificare i geni coinvolti nella risposta di difesa a tempi precoci e tardivi. Le prove hanno incluso il
controllo (mock), ovvero piante mantenute nelle stesse condizioni, ma nebulizzate con la soluzione priva di
spore fungine per analizzare il livello di espressione basale dei geni in assenza di infezione.
Le infezioni sono state svolte in 4 repliche e dopo verifica della qualità dell’RNA, sono stati analizzate 3
repliche biologiche tramite ibridazione con chip Affymetrix. I dati di espressione ottenuti sono stati sottoposti
ad analisi statistica di significatività e multiple testing (FDR) per eliminare falsi positivi, tramite il pacchetto
software LIMMA di R (Bioconductor). L’analisi globale delle differenze tra le diverse interazioni è stata
effettuata tramite raggruppamento delle componenti similari o Hierarchical Clustering Analysis e Principal
Component Analysis (PCA). Sono state ottenute le liste di geni differenzialmente espressi con un valore soglia
di significatività statistica pari ad un rapporto tra infettato/controllo maggiore di +2 (induzione minima di 2
volte rispetto al controllo) o minore di 2 (repressione minima di 2 volte) e un valore di significatività statistica
(p value) di 0.05. Tali liste sono state analizzate per identificare il numero di geni specifici per ciascuna singola
interazione. Il software MAPMAN è stato utilizzato per visualizzare le vie metaboliche attivate nel riso in
risposta ai 4 ceppi di brusone analizzati. L’analisi comparativa degli elementi in comune tra tutti i dati ottenuti
dalle 4 interazioni o meta analisi delle liste, condotta con il pacchetto software MAMA di R, ha permesso di
identificare dei geni comuni e di dedurre quali siano gli elementi chiave della risposta del riso a M. oryzae.
Risultati ottenuti
Efficacia delle saponine di Medicago spp. nei confronti dell’agente del brusone del riso
Le analisi preliminari di fingerprinting degli ceppi isolati di M. oryzae hanno evidenziato che 14 dei 25 SSR
selezionati da precedenti studi risultavano polimorfici negli isolati della collezione in esame (Tabella 1). Gli
altri 11, utili nell’analisi di isolati provenienti da altre regioni dell’Europa e del mondo, sono risultati
monomorfici e, quindi, non informativi per distinguere i ceppi di brusone provenienti dall’areale lombardo.
Tabella 1. Elenco dei microsatelliti (SSR) polimorfici per lo studio degli isolati di M.oryzae in esame.
Conseguentemente questi 14 SSR sono stati utilizzati per analizzare gli isolati lombardi più 5 rappresentati dei
principali lineages della biodiversità europea di M. oryzae (IT10 per lineage E1, IT02 per E2, HN1 per E3, SP06
per E4, IT03 per E5), per verificare l’appartenenza degli isolati dell’areale lombardo ai principali lineages
europei, in accordo con Roumen et al. (1997).
L’analisi tramite Neighbor Joining delle distanze genetiche ottenute dai profili SSR, ha mostrato che la
collezione si suddivide in 5 gruppi principali (A, B, C, D, E) e che esistono alcuni isolati totalmente divergenti
dagli altri (Figura 2).
Figura 2. Albero della diversità genetica senza radice (formato circolare) ottenuto tramite analisi NJ (weightedanalysis) delle distanze genetiche (Darwin 5.0) dei ceppi di M. oryzae (isolati lombardi) e ceppi E1 E5rappresentativi dei principali lineages europei (in rosso con frecce).
Osservando la Fig. 2 si nota che la collezione di M. oryzae in esame condivide similarità genetica con i lineages
E1 E2 (gruppo E), E4 E5 (gruppo C), mentre il ceppo di riferimento HN01 del lineage ungherese E3 diverge dai
gruppi principali, così come precedentemente osservato in Roumen et al. (1997). E’ di particolare interesse
sottolineare che i gruppi A, B e D non includono nessun ceppo di riferimento, suggerendo l’esistenza di
cluster che potrebbero rappresentare nuovi aplotipi di M. oryzae, caratteristici dell’areale lombardo.
Probabilmente questi isolati hanno subìto una pressione selettiva ad opera di diversi fattori ambientali e
rappresentano, quindi, interessanti candidati per identificare eventuali varianti e/o co evoluzione tra geni di
avirulenza/resistenza. In base ai risultati delle analisi di diversità genetica è stata scelta una serie di isolati
rappresentativi dei gruppi principali, da utilizzare nelle prove di efficacia delle saponine.
Questi ceppi sono stati ulteriormente analizzati per verificare eventuali differenze nel loro livello di virulenza.
Tramite infezione di genotipi a differente spettro di suscettibilità a M. oryzae, è stato osservato che i 2 isolati
appartenenti ai gruppi E C mostravano un profilo di aggressività simile tra loro e coerente con il fenotipo
atteso, mentre gli altri 3 risultavano decisamente più virulenti, infettando in modo molto grave anche quei
genotipi generalmente considerati mediamente suscettibili o che mostrano solo limitate lesioni con ceppi
meno virulenti. E’ ipotizzabile che questi isolati abbiano acquisito nuovi sistemi di attacco o geni di avirulenza,
che non presentano corrispondenti geni di resistenza nelle varietà in esame, tipiche rappresentanti del
germoplasma di riso italiano e, quindi, lombardo. Di conseguenza, è stato concluso che la miscela degli isolati
selezionati risultava idonea per i successivi test in planta, perché non solo rappresentava la diversità genetica
della collezione, ma presentava un diversificato spettro di virulenza.
I primi risultati dei test in vitro utilizzando singole saponine purificate e testate contro diversi isolati di M.
oryzae hanno messo in evidenza una relazione struttura attività: infatti, l’azione di biocontrollo è risultata
maggiore per le saponine monodesmosidiche, che contengono cioè una sola catena glicosidica nella
molecola, rispetto alle saponine bidesmosidiche, che invece ne contengono due. Sulla base di queste
evidenze sperimentali si è provveduto a preparare una miscela di saponine la cui composizione fosse
esclusivamente di composti monodesmosidici, mediante idrolisi basica selettiva di gruppi funzionali. L’attività
biologica di tale miscela di saponine monodesmosidiche è stata, quindi, utilizzata per i successivi esperimenti
in planta.
Precedenti ai test in planta, sono state le prove di solubilità delle saponine in etanolo e DMSO (solventi
comunemente utilizzati per sciogliere queste molecole) a diverse concentrazioni, oppure in soluzione acquosa
con l’addizione di gelatina, per definire metodiche e procedure di applicazione già adattabili ad un eventuale
utilizzo in campo, evitando l’uso di sostanze dannose per l’ambiente e che potessero interferire con la vitalità
delle spore di brusone. E’ risultato che le saponine sono facilmente solubilizzabili in soluzioni acquose
contenenti gelatina (la stessa utilizzata per le infezioni con gli isolati di M. oryzae), previo riscaldamento.
Questo risultato è di grande rilevanza per l’applicabilità della metodica in condizioni di campo, perché etanolo
e DMSO sarebbero incompatibili con un loro utilizzo e diffusione nell’ambiente.
Per le prove in planta è stato modificato il protocollo di fenotipizzazione BLASTEST per effettuare una stima
quantitativa degli effetti delle saponine. Dopo 7 giorni dall’infezione si osservano i sintomi fogliari secondo
una scala di incidenza/severità della malattia che va da 1 (assenza della malattia) a 5 (grave incidenza), come
mostrato in Figura 3. Dalle 5 categorie di incidenza della malattia è conseguentemente estrapolata e valutata
l’efficacia del trattamento delle saponine che viene descritta con 3 principali classi/livelli di protezione visibile
dai sintomi sulla pianta: P pianta protetta che include le categorie di sintomi 1 e 2, in NP pianta non
protetta per i sintomi 4 e 5, mentre la classe MP pianta mediamente protetta equivale ai sintomi della
categoria 3. Tale visualizzazione permette di descrivere più efficacemente e chiaramente i risultati.
Figura 3. Scala di incidenza della malattia (da 1 a 5) riconducibile ai sintomi fogliari osservabili a seguito diinfezione con M. oryzae (sopra) e delle corrispondenti classi di protezione della pianta a seguito deltrattamento con saponine (sotto), estrapolate in funzione della severità della malattia.
In queste prove, la valutazione degli effetti è stata effettuata sia tramite catalogazione della severità della
malattia per tipologia di sintomi della seconda foglia sintomatica (secondo la precedente scala dei sintomi) sia
mediante conta di ciascuna di esse (pianta per pianta) nelle rispettive 5 categorie. Di conseguenza, la risposta
della pianta alle diverse applicazioni è riportata come valore medio del numero di foglie sintomatiche
appartenenti a ciascuna categoria nelle 3 repliche. I valori di tutte le condizioni (trattamento/repliche) sono
stati analizzati tramite analisi della varianza per valutare la robustezza dei risultati ottenuti, scegliendo un
valore di p value minore di 0,001 come soglia minima di significatività statistica.
I dati ottenuti in planta hanno indicato che l’applicazione delle saponine comporta una netta riduzione della
severità della malattia referibile alle classi 4 e 5 e una certa variabilità dei sintomi riferibili alle classi 2 e 3 (Fig.
4A). Un effetto simile è osservabile con l’applicazione del formulato di flutriafol, ma in misura di gran lunga
inferiore (Fig. 4B) rispetto a quanto osservato dopo applicazione delle saponine.
Figura 4. Percentuali (%) di foglie appartenenti alle classi di protezione P (protetta), MP (mediamenteprotetta), NP (non protetta) sul totale delle foglie analizzate a seguito dell’applicazione in condizionicontrollate di saponine (A) e del formulato di flutriafol (B) in pre/post infezione sul genotipo di riso Maratellialtamente suscettibile (valori medi di 3 repliche biologiche).
L’analisi ANOVA ha indicato che i due diversi trattamenti (fungicida e saponine) risultano altamente
significativi (p value <0,001) rispetto al controllo (pianta non trattata). Il trattamento con le saponine risulta
significativamente più efficace (p value<0,001), quando applicato in pre infezione piuttosto che in post
infezione (a/b in Fig. 4A), per un incremento netto anche della percentuale di foglie afferenti alla classe
protetta (P), mentre il fungicida non mostra differenze significative tra pre e post infezione (c in Fig. 4B).
La successiva prova sui genotipi Baldo e Selenio ha evidenziato un risultato ancora più incoraggiante (Fig. 5):
con Baldo la riduzione della percentuale di foglie afferenti alle categorie di severità 4 e 5 è maggiore di quella
osservata con Maratelli e addirittura drastica con Selenio. Inoltre, le foglie senza sintomi o con sintomi limitati
aumenta fino a prevalere in Baldo ed essere dominante in Selenio. Appare, quindi, evidente che
l’applicazione delle saponine ha un effetto di protezione dall’infezione di M.oryzae nei confronti di entrambi i
genotipi, con nette variazioni osservabili in funzione della resistenza della varietà considerata. Risulta altresì
confermato che il trattamento è più efficace in condizioni di pre infezione, con un maggior aumento della
classe P rispetto a quanto osservato in post infezione sia in Baldo che in Selenio.
Figura 5. Percentuali (%) di foglie appartenenti alle classi di protezione P (protetta), MP (mediamente protetta),NP (non protetta) sul totale delle foglie analizzate a seguito dell’applicazione in condizioni controllate disaponine in pre/post infezione sul genotipo di riso Baldo, mediamente suscettibile, e Selenio, resistente (valorimedi di 3 repliche biologiche).
Effetti della soluzione Verdeviva sull’agente del brusone del riso
Un primo BLASTEST preliminare condotto su Maratelli in parallelo con il formulato del flutriafol ha verificato
solo un leggero aumento della classe MP mediamente protetta, rispetto al controllo (pianta non trattata). Si è
osservata un maggiore effetto del Verdeviva quando applicato in post rispetto al pre infezione, sempre a
favore della classe MP, simile a quanto osservato con l’applicazione del formulato del flutriafol (dati non
riportati in grafico). La successiva prova in post infezione con i genotipi Baldo e Selenio ha evidenziato un
effetto di protezione maggiore nei confronti di entrambi i genotipi. In sintesi, l’efficacia del Verdeviva risulta
decisamente più rilevante con Selenio (Fig. 6); l’effetto additivo delle due applicazione successive (24 e 72 ore
post infezione), in accordo con una potenziale azione biostimolante del Verdeviva, è confermato e
decisamente più marcato nel Baldo, mentre influisce in misura minore nel Selenio. Sono visibili lievi variazioni
degli effetti in funzione della tempistica di applicazione (24 o 72) nel Selenio. Ai tre i tempi e per i due
genotipi la differenza trattato e controllo è statisticamente significativa con valori di p value minori di 0,001.
Figura 6. Percentuali (%) di foglie appartenenti alle classi P (protetta), MP (mediamente protetta), NP (nonprotetta) sul totale delle foglie analizzate a seguito dell’applicazione della soluzione Verdeviva 24, 72 e 24+72ore post infezione in condizioni controllate sul genotipo di riso Baldo, mediamente suscettibile, e Selenio,resistente (valori medi di 3 repliche biologiche).
A
Ricerca dei geni chiave coinvolti nella risposta di difesa del riso a M. oryzae
Una prima analisi preliminare dei Geni Differenzialmente Espressi (Differential Expressed Genes DEG),
ovvero indotti o repressi e quindi coinvolti nella risposta del riso all’attacco dei 4 ceppi di Magnaporthe, ha
rivelato considerevoli differenze tra le due tempistiche analizzate (12 e 24 ore post infezione) e tra i ceppi
ospite e non ospite. A 12 ore post infezione (hpi), si nota una massiva risposta del riso in tutte e 4 le
interazioni (Fig. 7A); le piante infettate con FR13 presentano il maggior numero di geni indotti (1012), quelle
con BR29 il minore (616). Come evidenziato dai diagrammi di Venn (Fig. 7B), una frazione consistente dei geni
indotti sono comuni alle 4 interazioni (32% per FR13, 41% per BR32 e CL367 e 53% per BR29), mentre una
differenziazione è osservabile a livello dei geni repressi tra i ceppi di M.oryzae BR32, CL367 e FR13 rispetto al
ceppo M.grisea BR29: quest’ultimo, infatti, condivide il 65% dei propri geni repressi con i 3 M.oryzae, mentre
in questi ultimi la percentuale di geni repressi condivisi varia tra l’11 e il 15%. A 12 ore esiste, quindi, una
potenziale distinzione della risposta del riso al ceppo incapace di infettare il riso rispetto ai tre ceppi
potenzialmente patogeni.
Figura 7. Diagramma a barre (A) e di Venn (B) del numero di geni differenzialmente espressi durante leinterazioni tra riso e i ceppi M. oryzae FR13 (virulento), CL3.6.7 e BR32 (avirulenti) e M.grisea BR29 (nonospite) a 12 e 24 ore post inoculo.
A 24 ore post infezione il profilo di espressione delle 4 interazioni si differenzia drasticamente, sia perché
nelle piante infettate con i 2 ceppi avirulenti il numero di geni di riso indotti si riduce nettamente, sia perché
nell’interazione con FR13 il riso aumenta enormemente la repressione genica (Fig. 7A). Inoltre, i DEG in
comune durante le 4 interazioni sono ridotti a percentuali molto basse per i geni indotti (4% per FR13, 23%
per BR32, 17% per CL367 e 13% per BR29) e praticamente nulle per quelli repressi (Fig. 7B). L’analisi di
raggruppamento (hierarchical clustering analysis) che permette di evidenziare tra loro similarità e differenze
nei profili di espressione globali, ovvero di tutti i DEG che sono indotti/repressi in modo statisticamente
significativo (p value <0,05 FDR), ha confermato che i profili di riso a 12 ore post infezione sono simili a
seguito di interazione con i ceppi potenzialmente patogeni (Fig. 8A), mentre il profilo di espressione del riso a
seguito di infezione con BR29 si separa dagli altri campioni.
B
A
Ciò potrebbe essere legato, soprattutto ai due gruppi di geni (riquadri gialli in Fig. 8A) che mostrano una
regolazione opposta a seguito dell’interazione con il ceppo non infettivo BR29, rispetto alle interazioni con gli
altri ceppi di M. oryzae. Tali geni potrebbero corrispondere a geni chiave coinvolti nella risposta a patogeno
non specifico del riso.
Figura 8. Hierarchical clustering analysis a 12 (A) e 24 (B) ore post infezione del numero di genidifferenzialmente espressi (p value 0.005, FDR) durante le interazioni tra riso e i ceppi patogeni M. oryzaeFR13 (virulento), CL3.6.7 e BR32 (avirulenti) e non patogeno M.grisea BR29.
A 24 ore, la situazione si differenzia nettamente, infatti il profilo del controllo (mock) e del ceppo non
specifico del riso BR29 sono molto simili tra loro e si raggruppano vicini (Fig. 8B a destra), mentre gli altri tre
ceppi specifici del riso sono separati da questi ultimi e raggruppati tra loro in una seconda ramificazione (Fig.
8B a sinistra). A questo punto dell’infezione (24 ore), però, appare evidente anche che la risposta del riso nei
confronti dei ceppi avirulenti si distingue anche da quella messa in atto rispetto al ceppo virulento FR13.
Un’ulteriore conferma di questa osservazione è stata ottenuta attraverso l’analisi delle componenti principali
o Principal Component Analysis (PCA), che spiega le associazioni/distinzione tra gruppi di dati in base alla loro
distribuzione nello spazio. La PCA dei dati globali di espressione del riso a 24 ore post inoculo con i 4 ceppi di
Magnaporthe (Fig. 9) indica che la maggiore differenza esiste tra il gruppo mock/BR29 (blu e rosso in Fig. 9) e
i 3 ceppi specifici del riso (con il 30,5% della variabilità totale spiegata da questo confronto), quindi, come
osservato precedentemente, questi due gruppi di interazioni rappresentano gli estremi nella risposta di
resistenza del riso a Magnaporthe. Inoltre anche la distinzione tra FR13 (in giallo in Fig. 9) e i ceppi avirulenti
appare chiara lungo una delle componenti principali (PC1), perché FR13 è totalmente separato dagli altri 2
ceppi (verde viola in Fig. 9). Queste chiare differenze osservate a 12 e 24 e tra 12 e 24 ore post infezione
indicano che la cinetica di espressione è una strategia di difesa messa in atto dal riso in risposta all’attacco del
patogeno e in funzione della virulenza del ceppo che attacca e cerca di penetrare nella foglia di riso.
B
Figura 9. PCA dei profili globali di espressione durante le interazioni con i ceppi M. oryzae FR13 (virulento),CL3.6.7 e BR32 (avirulenti) e M.grisea BR29 (non patogeno) a 24 ore post inoculo.
Data l’importanza della cinetica temporale nella risposta del riso ai diversi ceppi analizzati, sono state
ricercate nelle liste dei DEG di ciascun ceppo le principali proteine espresse a ciascun tempo (12 o 24 ore), per
individuare i geni candidati di maggiore importanza durante la risposta del riso ad una singola interazione. E’
stato osservato che non esistono proteine espresse solo in BR32 o CL367 a 12 e/o 24 ore post infezione,
indicando che entrambi gli isolati condividono almeno uno o più vie metaboliche nella risposta di difesa al
brusone. Questo è stato confermato dal fatto che, tra i geni comunemente indotti dai 2 ceppi, sono presenti
alcuni della via biosintetica delle fitoalessine (diterpeni a azione antifungina, note per la loro funzione chiave
nella difesa del riso e di altre piante coltivate. Per quanto riguarda FR13 e BR29 è stato possibile ottenere le
liste di geni specificatamente indotti durante queste due interazioni (Tabella 2).
Tabella 2. Elenco dei geni indotti singolarmente durante l’interazione tra riso e M. grisea BR29(sopra) o M. oryzae FR13 (sotto) a 12 e 24 ore post inoculo. In tabella sono riportati i valori di ratioe p value corrispondenti per ciascun gene.
Questi corrispondono a geni generalmente coinvolti nelle reazioni di percezione dell’infezione fungina,
distribuzione del segnale all’interno della cellula (signalling) e di risposta al fungo tramite rilascio di proteine
di difesa, o di proteine di resistenza o di composti anti stress ossidativo e fattori trascrizionali imputati alla
regolazione di tutti i meccanismi sopraelencati.
Dopodiché, per ricostruire le diverse sequenze di reazioni metaboliche attivate dal riso in risposta a
Magnaporthe, le liste complete dei geni differenzialmente espressi (DEG) delle 4 interazioni sono state
analizzate tramite il software MAPMAN, che permette l’identificazione e la collocazione dei DEG all’interno di
vie biochimiche/metaboliche note e caratterizzate. Come si può vedere dal Figura 10, i meccanismi molecolari
principalmente coinvolti nella risposta a stress biotico nel riso includono le vie di sintesi di: ormoni
(specialmente auxina, ABA ed etilene), enzimi coinvolti nella modificazione della parete cellulare (glucanasi
ed enzimi proteolitici), enzimi antiossidanti (perossidasi, glutatione transferasi, ecc.), heat shock proteins
(HSP) e metaboliti secondari. Inoltre, un ruolo molto rilevante lo rivestono i fattori trascrizionali e i geni del
signalling coinvolti nella regolazione e co regolazione a diversi livelli dei geni sopracitati. Dal confronto dei
profili, appare evidente che 12 ore dopo l’infezione (Fig. 10 in alto) i geni coinvolti nel signalling giocano un
ruolo fondamentale nella risposta del riso agli isolati di Magnaporthe sia patogeni che incapaci di infettare
l’ospite e M.oryzae avirulento e virulento, così come i metaboliti secondari e gli enzimi proteolitici. In
parallelo anche le Heat Shock Protein (HSP), i metaboliti secondari e gli enzimi proteolitici sono le classi con il
maggior numero di geni differenzialmente espressi. A 24 ore dopo l’inoculo (Fig. 10 in basso), questi geni
vengono repressi in tutte le interazioni, tranne che in BR29, indicando che i geni coinvolti nel signalling, nella
sintesi di metaboliti secondari e della proteolisi, giocano un ruolo cruciale nel determinare il tipo di risposta
del riso al patogeno.
Dall’osservazione di questi profili metabolici si deduce che le differenze nella risposta di difesa del riso
durante le diverse interazioni non sono dovute a specifiche classi di geni e a pathway (perché la maggior
parte di essi sono in comune), ma sono da imputarsi a singoli geni all’interno di queste classi/pathway e al
livello di induzione e/o repressione degli stessi. Per poter identificare quali fossero i geni chiave coinvolti
nella risposta del riso a Magnaporthe è stata effettuata una meta analisi (confronto incrociato) di tutti i dati
di espressione di ciascuna delle 4 interazioni, tramite un software che effettua l’analisi globale dei dati con
diversi algoritmi per restituire una lista di DEG comuni, precisa e robusta perché basata su calcoli statistici di
confronto simultaneo di tutte le interazioni. Questo approccio ha una capacità di analisi molto approfondita,
infatti permette di identificare geni di rilievo per le 4 interazioni, altrimenti non riconoscibili dal semplice
confronto delle liste. In questo modo è possibile recuperare quei geni che rimarrebbero esclusi perché non
esplicitamente coinvolti nel processo di difesa del riso. Contemporaneamente, lo stesso software esclude
quei geni DEG che sono regolati durante l’interazione per altre cause, ma non necessariamente implicati nella
risposta a M. oryzae. Per maggior robustezza dei risultati, sono stati selezionati solo quei geni che risultavano
essere statisticamente significativi contemporaneamente per 5 test statistici su 6 effettuati. I geni nella
tabella 3 corrispondono a candidati chiave che meritano maggiori approfondimenti a livello genomico
funzionale per comprendere i meccanismi molecolari che sottendono la resistenza del riso al M. oryzae.
Figura 10. Profilo MAPMAN delle vie metaboliche coinvolte nella risposta del riso agli isolati patogeniM.oryzae FR13 (virulento), CL3.6.7 e BR32 (avirulenti) e M.grisea BR29 (patogeno non specifico del riso)a 12 (in alto) e 24 (in basso) ore post infezione. Quadrati rossi: geni repressi; quadrati blu: geni indotti.
Tabella 3. Elenco ottenuto tramite META ANALISI dei geni comuni espressi durante l’interazione del risocon tutti e 4 i ceppi di Magnaporthe testati. In tabella sono riportati i nomi dei geni secondo lanomenclatura dell’ MSU Rice Genome Annotation Project (http://rice.plantbiology.msu.edu/) e sonospecificati i valori di significatività statistica come rank ratio di ciascun gene.
Tutti questi geni appartengono alle categorie sopramenzionate, oltre che alla via metabolica della fotosintesi,
degli aminoacidi, di degradazione delle proteine, indicando che altre classi di geni, precedentemente non
caratterizzate, possono intervenire direttamente o indirettamente nel processo di difesa. E’ interessante
notare come le proteine non ancora caratterizzate e nemmeno segnalate (expressed protein) rappresentino il
25% del totale e possano, quindi, rivestire un ruolo rilevante nella resistenza del riso. Tali geni rappresentano
target totalmente nuovi ed inediti per lo sviluppo potenziale di molecole ad azione protettiva/biostimolante
per il riso. Questa analisi statistica oltre che molto robusta si è dimostrata sensibile, avendo identificato per
uno stesso gene coinvolto nella resistenza, anche una sua diversa forma di processamento o splicing form (in
giallo nella tabella), un sistema cellulare che serve a modulare finemente la presenza di una proteina in
funzione di diversi fattori di pressione ambientale. I risultati ottenuti durante queste ricerche hanno quindi
permesso di identificare non solo i geni specificatamente espressi durante l’interazione del riso con BR29 ed
FR13, ma anche tutti quei candidati comuni che permettono di attivare l’insieme delle risposte innate e
programmate dal riso per difendersi dall’agente del brusone. Tali geni corrispondono a geni chiave coinvolti
nella risposta del riso a M. oryzae e ottimi candidati che meritano maggiore approfondimenti per meglio
decifrare la complessità dei pathways metabolici, al fine di sviluppare nuove molecole ad azione
protettiva/biostimolante o per guidare i programmi di miglioramento genetico verso lo sviluppo di varietà più
resistenti.
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DELLA VIA BIOSINTETICA DELLE SAPONINE
Per quanto riguarda la caratterizzazione molecolare della via biosintetica delle saponine, gli obiettivi specifici
di questa attività sono stati di identificare e caratterizzare funzionalmente geni coinvolti nella via biosintetica
delle saponine in Medicago spp. allo scopo di acquisire strumenti molecolari di assistenza alla selezione e
fornire le basi per una eventuale sintesi di specifiche saponine in vitro (es. lieviti geneticamente modificati).
Inoltre, si mirava a costituire materiali genetici di Medicago con contenuti e composizioni specifiche di
saponine da utilizzare per la costituzione di varietà a duplice attitudine: produzione di foraggio e produzione
di specifici metaboliti secondari. Per quanto riguarda lo studio della via biosintetica, le analisi sono state
focalizzate sullo studio della variabilità genica dei geni chiave coinvolti nella biosintesi delle sapogenine, la
parte agliconica delle saponine tramite analisi TILLING della collezione di M. truncatula presente presso CRA
FLC (Porceddu et al., 2008). In particolare, sono stati investigati i citocromi P450 (CYP450) responsabili delle
reazioni di ossidazione in specifici punti del nucleo triterpenico che dal precursore comune amirina portano
alle diverse sapogenine presenti nella specie modello M. truncatula e in M. sativa. Per il materiale vegetale
sono state utilizzate delle famiglie S2 derivate da ibridazione interspecifica M. sativa x M. arborea (Sativa
Arborea Crosses o SAC) reincrociate per M. sativa non dormiente (Bingham e Haas, 2005), perché la sintesi
mediante incrocio di specie diverse, M. sativa e M. arborea, e l’utilizzo di varietà fisiologicamente differenti
(dormienti/non dormienti) all’interno di M. sativa è stato considerato un buon presupposto per ottenere un
ampia gamma di variabilità per il contenuto in saponine/sapogenine.
Attività svolte
Analisi funzionale di geni della via biosintetica delle saponine in Medicago spp.
In collaborazione con la Piattaforma Genomica del Parco Tecnologico Padano sono state effettuate sette
analisi TILLING della collezione di mutanti di M. truncatula già dimostratasi valida per l’identificazione e
l’analisi funzionale del citocromo CYP716A12, responsabile del primo passaggio della biosintesi delle
sapogenine emolitiche (Carelli et al., 2011). In questa indagine sono state ricercate mutazioni in cinque
CYP450 putativamente coinvolti nella biosintesi di sapogenine e in un gene putativo implicato nel controllo
della via biosintetica. Tra i geni esaminati sono stati trovati tre mutanti; le linee corrispondenti sono state
allevate e caratterizzate chimicamente presso CRA FLC. Un solo mutante ha mostrato un fenotipo del tipo
‘knock out’ cioè assenza completa di una specifica sapogenina. Il gene corrispondente è stato clonato e
espresso in lievito; la sua attività è stata saggiata in un sistema di microsomi di lievito nei confronti di diversi
substrati per stabilire il suo ruolo specifico nella biosintesi delle sapogenine.
Individuazione di materiali vegetali diversificati per la produzione di saponine
Il materiale utilizzato deriva da ibridazione interspecifica M. sativa x M. arborea (Sativa Arborea Crosses o
SAC) seguita da reincrocio con M. sativa non dormiente cv. Sequel ottenuta da E.T. Bingham (Bingham e
Haas, 2005). Presso CRA FLC sono state effettuate due generazioni di selfing (S2) che hanno avuto lo scopo di
suddividere il pool di geni iniziale in diverse famiglie e individui entro famiglia; durante questa fase è stata
mantenuta la variabilità presente negli ibridi originali per il contenuto e la composizione delle saponine delle
foglie. Infine, dieci famiglie SAC S2 (278 piante totali) e il parentale M. sativa MBxS (5 piante S2 totali) sono
state allevate per due anni in parcelle tubolari 80 x 8 cm (densità equivalente a 200 piante.m 2) all’interno
delle quali è inserito un tubo di diametro 5 cm, forato, che ospita la pianta (Fig. 11). Il colore variegato dei
fiori, segregante nelle famiglie SAC, è un marcatore dell’ibridazione tra M. sativa (fiore violetto/azzurro) e M.
arborea (fiore giallo). Nel 2° anno di prova (2011) e in corrispondenza del 3° taglio (luglio) le foglie di 62
piante rappresentanti le 10 famiglie SAC e il parentale M. sativa sono state prelevate per l’analisi delle
sapogenine. Lo stesso è stato fatto per le radici secondarie sviluppatesi nell’intercapedine tra i due tubi, dopo
prelievo dei tubercoli N2 fissatori. Le sapogenine sono state identificate e quantificate mediante analisi
gascromatografica (GC MS e GC FID) (Tava et al., 1993; Tava e Pecetti, 1998).
Le stesse 62 piante analizzate per il contenuto/composizione in sapogenine sono state esaminate, per la
variazione di sequenza (variabilità allelica) del gene codificante il citocromo CYP716A12, responsabile del
primo passaggio della biosintesi delle sapogenine emolitiche (Carelli et al., 2011). Sul campione di 62 piante
delle famiglie SAC S2 è stato estratto l’RNA totale da foglie e radici e usato per esaminare, mediante analisi
quantitativa Real Time PCR, il pattern di espressione di CYP716A12 e di altri tre CYP450 putativamente
coinvolti nella biosintesi delle sapogenine. Questi ultimi erano, contemporaneamente, oggetto dell’analisi
TILLING della collezione di mutanti di M. truncatula.
Figura 11. SAC S2 allevate in parcelle tubolari; particolari del colore dei fiori.
Risultati ottenuti
Analisi funzionale di geni della via biosintetica delle saponine in Medicago spp.
La linea mutante ‘knock out’ di M. truncatula individuata mediante l’analisi TILLING ha mostrato un evidente
riarrangiamento del profilo delle sapogenine, con la presenza di composti diversi rispetto al controllo (Fig.
12). E’ interessante notare che nonostante il radicale cambiamento di composizione delle sapogenine nelle
piante mutanti, le piante stesse sono risultate fisiologicamente simili al controllo sia per la crescita che per la
capacità riproduttiva. L’analisi funzionale del gene è stata effettuata in vitro in un sistema di microsomi di
lievito e si è potuto assegnare una precisa funzione al gene nella via biosintetica delle sapogenine. Le linee
mutanti individuate per gli altri due CYP450 non sono risultate del tipo ‘knock out’: tutte le sapogenine
presenti nel controllo sono state ritrovate anche nei mutanti.
Figura 12. Gascromatogrammi delle sapogenine estratte da foglie e radici delle piante mutanti (linea rossa) econtrollo (linea nera). Le frecce indicano i picchi aggiuntivi presenti nel mutante rispetto al controllo.
Individuazione di materiali vegetali diversificati per la produzione di saponine
Le 10 famiglie SAC S2 hanno mostrato una significativa differenza per il contenuto e la composizione delle
sapogenine, dovuta principalmente alla variazione delle sapogenine emolitiche nelle foglie (Fig. 13). La
composizione della frazione emolitica fogliare è risultata variabile soprattutto in relazione ai due componenti
principali, l’acido medicagenico e l’acido zanico: il primo ha presentato un contenuto massimo (12,31 mg/g
s.s. fogliare) nella famiglia 94.111 e un minimo (0,59 mg/g) nella famiglia 29.010; il contenuto del secondo è
oscillato da 7,18 mg/g (famiglia 120.165) a 0,96 mg/g (famiglia 29.010) (Fig. 11). L’acido medicagenico e le
saponine da esso derivate hanno tra le più alte attività biologiche e di biocontrollo (Tava e Avato, 2006). E’
evidente dunque l’interesse a costituire materiali vegetali ad alto contenuto di questo specifico composto: la
famiglia 94.111, ad esempio, ha presentato livelli di acido medicagenico circa doppi rispetto ai valori massimi
riportati in letteratura per erba medica. Il contenuto di acido medicagenico fogliare è risultato inoltre
altamente conservato tra generazioni diverse della famiglie SAC, indicando l’elevata ereditabilità di questo
carattere.
Mediante incroci tra ed entro famiglia fra individui con contenuti simili di specifiche sapogenine da foglie,
sono stati prodotti une serie di ibridi semplici. Tali ibridi, moltiplicati per alcune generazioni, costituiranno
delle sintetiche geneticamente in equilibrio, e dunque continuamente riproducibili, caratterizzate da una
produzione stabile di livelli specifici (elevati/ridotti) di acido medicagenico.
Figura 13. Contenuto in sapogenine emolitiche e non emolitiche in foglie e radici delle 10 famiglie SAC e delparentale M. sativa MBxS (generazione S2). SAC S2: media delle 10 famiglie SAC.
La variazione del contenuto/composizione delle sapogenine emolitiche nelle radici è risultata inferiore
rispetto a quella delle foglie (Fig. 14). Inoltre, non è stata trovata alcuna correlazione per il contenuto di
sapogenine tra foglie e radici; i due organi si comportano dunque come comparti indipendenti per la sintesi e
il controllo delle sapogenine emolitiche. Questo risultato è interessante sia dal punto di vista delle
conoscenze sulla biologia della pianta sia per i suoi risvolti applicativi; poiché infatti le saponine sono parte
dei meccanismi di risposta della pianta ad infezioni fungine, la radice, da cui dipende la capacità di riprodurre
foglie e steli dopo ogni taglio (ricaccio) e in ultima analisi la sopravvivenza della pianta, ha un livello di
protezione elevato anche quando le sapogenine della parte aerea sono ridotte (es. famiglia 29.010, Fig. 14).
Figura 14. Contenuto delle principali sapogenine in quattro famiglie SAC S2: sapogenine emolitiche(ederagenina, acido medicagenico e acido zanico) e non emolitiche (soiasapogenolo A e B).
Foglie
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
6.001
6.002
29.010
85.082
85.088
94.111
100.156
100.157
120.165
120.168
SAC S2
MBxS
mg/
g s.
s.
Spg emoliticheSpg non emolitiche
Radici
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
6.001
6.002
29.010
85.082
85.088
94.111
100.156
100.157
120.165
120.168
SAC S2
MBxS
mg/
g s.
s.
Spg emolitiche
Spg non emolitiche
Foglie
0
2
4
6
8
10
12
14
16
29.01 94.111 100.157 120.165
Famiglie SAC S2
mg/
g s.
s.
medzan soyaAsoyaB
Radici
0
2
4
6
8
10
12
14
16
29.010 94.111 100.157 120.165
Famiglie SAC S2
mg/
g s.
s.
hed
med
zan
soyaA
soyaB
Le sapogenine non emolitiche, pur essendo anch’esse coinvolte nella risposta della pianta a stress biotici,
hanno mostrato una ridotta variabilità sia nelle foglie che nelle radici. Non è chiaro quali siano le ragioni di
una differenza così evidente nella variabilità delle due frazioni; si può tuttavia osservare che il principale
componente delle saponine non emolitiche, il soiasapogenolo B, è presente in tutto il genere Medicago e
diffuso in altre leguminose (es. trifogli, pisello, fagiolo, soia), suggerendo una origine evolutiva più antica della
via biosintetica delle sapogenine non emolitiche rispetto a quella delle emolitiche.
L’insieme di questi risultati sottolinea la grande complessità sottostante al termine comune ‘saponine’: una
complessità chimica, derivante dalla diversità delle strutture molecolari; una diversità biochimica e
molecolare, derivante dall’esistenza di vie biosintetiche specifiche per le due frazioni emolitica e non
emolitica; una diversità di distribuzione, e dunque di sintesi e di controllo, all’interno della pianta.
A quali meccanismi si può ricondurre la variabilità trovata nelle famiglie SAC per il contenuto e la
composizione delle sapogenine e in particolare per la frazione emolitica? Per cercare una risposta a questa
domanda abbiamo esaminato la possibilità di una variazione di sequenza (variazione allelica) nel citocromo
CYP716A12, gene chiave nella biosintesi di questa frazione. Un gene ortologo a CYP716A12 di M. truncatula
è stato individuato in M. sativa: il gene ha mostrato il 97% di identità e la stessa struttura esoni/introni di Mt
CYP716A12. Oltre alle 62 piante S2 sono state analizzate le sequenze di M. arborea e di M. sativa cv. Sequel;
le sequenze di due genotipi di M. truncatula, depositate nella banca dati internazionale delle sequenze, sono
state introdotte come riferimento. Fra le 62 piante S2 sono stati individuati 7 polimorfismi nucleotidici (Single
Nucleotide Polymorphism o SNP) di cui solo uno nella sequenza codificante. La sequenza dell’ enzima è
altamente conservata in SAC, M. sativa e M. truncatula (100% di identità); M. arborea presenta il 96% di
identità con il gruppo precedente, ma nessuno SNP responsabile dei cambiamenti di aminoacidi è trasmesso
al materiale SAC. In conclusione, la sequenza di CYP716A12 in SAC deriva principalmente da M. sativa e
produce una proteina uguale in tutte le piante esaminate: difficilmente dunque può essere alla base della
variabilità trovata per il contenuto in sapogenine emolitiche.
Abbiamo quindi esaminato i livelli di espressione di quattro CYP450 nelle famiglie SAC S2 nell’ipotesi che alla
base della variabilità trovata per il contenuto in sapogenine ci potesse essere un diverso controllo dei
meccanismi di traduzione dal gene alla proteina. Il parentale M. sativa MBxS è stato utilizzato come
riferimento per il calcolo dell’espressione nelle famiglie SAC. Oltre a CYP716A12 sono stati scelti altri tre
CYP450 putativamente coinvolti nella biosintesi delle sapogenine. La maggior parte di questi geni ha mostrato
una variazione significativa di espressione, positiva o negativa, rispetto al parentale M. sativa sia nelle foglie
che nelle radici, ma la variazione tra famiglie nelle foglie è risultata non significativa, anche per la notevole
variabilità delle piante individuali entro famiglia. In conclusione, un’alterazione significativa del controllo dei
CYP450 esaminati rispetto al parentale M. sativa è presente in SAC, ma non si struttura in una differenza tra
famiglie come avviene per il contenuto di sapogenine emolitiche. L’insieme di questi dati suggerisce che il
controllo della via biosintetica delle sapogenine sia principalmente del tipo post traduzionale o post
trascrizionale, avente cioè come oggetto l’RNA messaggero o la proteina.
Ricadute operative
La messa a punto di mezzi di biocontrollo del brusone da applicare in condizioni di campo nelle risaie della
Lombardia è sicuramente di interesse attuale sia per i significativi benefici produttivi, che per gli effetti
positivi a livello ambientale, con la riduzione dei danni a medio e lungo termine causati dall’utilizzo di
fungicidi di sintesi e la preservazione dell’ecosistema risaia.
Gli aspetti innovativi “teorici” delle attività del progetto sono la ricerca di una soluzione di difesa compatibile
nei confronti di M.oryzae del riso, attraverso l’utilizzo di molecole derivate non da sintesi chimica, ma isolate
da piante e in particolare da specie coltivate nelle stesse zone risicole, come nel caso delle saponine di erba
medica o dallo stesso riso, come nel caso dei composti coinvolti nei meccanismi di difesa al patogeno. E’ stato
dimostrato che, in condizioni sperimentali, specifiche componenti delle saponine di erba medica, in
particolare appartenenti alla frazione emolitica, sono efficaci nel contenimento dei danni dovuti a nematodi
su diversi ospiti (D’Addabbo et al., 2011). Durante il progetto BIOGESTECA le saponine hanno mostrato una
notevole efficacia nei confronti di M. oryzae, suggerendo un possibile utilizzo di tali molecole su vasta scala,
previa valutazione delle loro proprietà tossicologiche nei confronti delle componenti biotiche ambientali e del
loro comportamento nelle matrici acqua e suolo come richiesto dalle vigenti normative in materia di
autorizzazione dei prodotti fitosanitari (Regolamento CE 1107/2009). Le saponine, una volta autorizzate,
potrebbero essere impiegate nell’ambito di strategie di Protezione Integrata del riso. L’applicazione delle
saponine, però, implicherebbe la necessità di una produzione massiva di queste sostanze;
conseguentemente, sono stati affrontati diversi aspetti relativi all’incremento della loro sintesi in piante di
erba medica. Sono stati ottenuti materiali vegetali derivati da ibridazione interspecifica M. sativa x M.
arborea che hanno mostrato una variabilità per il contenuto di sapogenine emolitiche più ampia di quella
finora evidenziata in M. sativa e, in particolare, un contenuto più elevato di acido medicagenico, uno dei
composti a più alta attività biologica. Questi materiali sono la base per costituire popolazioni che producano
stabilmente livelli determinati di specifiche componenti delle saponine e, in particolare, di quelle a più alta
attività di biocontrollo. Materiali di questo tipo possono essere utilizzati dall’industria per l’estrazione dei
composti di interesse o direttamente in azienda, in particolare nel settore biologico, per il controllo di
parassiti del suolo e delle colture. Mediante l’analisi di una collezione di mutanti sono stati conseguiti
significativi avanzamenti nella conoscenza della via biosintetica delle sapogenine emolitiche, con
l’individuazione di un nuovo gene e la sua caratterizzazione funzionale. Inoltre, queste conoscenze molecolari
costituiscono la base per l’individuazione di marcatori molecolari (es. SNP) che aiutino la scelta delle piante
individuali, diminuendo tempi e costi (analisi chimiche) dei programmi di selezione e per il trasferimento della
via biosintetica o di parte di essa in sistemi diversi dalla pianta (es. lieviti geneticamente modificati) per la
produzione in bioreattori di queste sostanze.
Inoltre, nell’ambito del progetto BIOGESTECA è stato verificato che anche la soluzione Verdeviva potrebbe
essere un’utile mezzo che potrebbe contribuire al controllo del brusone del riso, perché a fronte di una minor
efficacia, presenta una elevata compatibilità ambientale, che ne permetterebbe diverse applicazioni senza
effetti collaterali indesiderati.
Data la potenziale attività biostimolante del Verdeviva, in linea con una strategie di Protezione Integrata del
riso, sarebbe auspicabile un suo utilizzo ad integrazione delle stesse saponine, per aumentare le difese del
riso e far fronte a episodi o aumenti di suscettibilità, in coincidenza di condizioni ambientali non ordinarie o
particolarmente favorevoli allo sviluppo del fungo.
Sempre in un’ottica di Difesa Integrata rientrano le ricerche dei geni chiave implicati nella risposta di difesa
del riso a M. oryzae. Con le ricerche sviluppate nel corso del progetto BIOGESTECA si è potuto decifrare che è
fondamentale l’aspetto della tempistica della risposta del riso all’attacco del fungo, sia esso specifico della
specie o meno, e che quindi le classi di geni coinvolte nel signalling e nella regolazione fine degli eventi
metabolici successivi all’infezione sono i target di maggiore interesse per lo sviluppo di molecole ad azione
protettiva se non addirittura biostimolante delle difese stesse della pianta. Parimenti, sono stati identificati
alcuni geni coinvolti nella sintesi di metaboliti secondari e della proteolisi che giocano un ruolo cruciale nel
determinare un fenotipo resistente della pianta; l’identificazione di questi geni apre la vie alla ricerca di
nuove strategie e/o molecole da utilizzare nella del riso nei confronti di M. oryzae. L’insieme o l’uso alternato
di queste soluzioni di biocontrollo rappresentano il vero strumento per rendere sostenibile, competitiva e
vantaggiosa la produzione del riso per tutta la filiera risicola lombarda.
Conclusioni
• L’utilizzo di miscele di saponine opportunamente trattate è una soluzione promettente per la difesa
biologica nei confronti dell’agente del brusone del riso con efficacia paragonabile a quella dei fungicidi di
sintesi. Qualora venissero autorizzate, è possibile ipotizzare un uso di queste sostanze in ambito agro
industriale.
• L’utilizzo di saponine è auspicabile anche in un’ottica di ecosostenibilità globale, perché risponde alle
esigenze di ridotto consumo delle risorse ambientali disponibili.
• L’utilizzo di saponine risponde anche alle esigenze di una risicoltura che risponde alle avversità biotiche
(quindi anche a M. oryzae) con un approccio di Difesa Integrata , che prevede il ricorso a diversi strumenti
(miglioramento genetico insieme all’applicazione di saponine e di prodotti biostimolanti) per ottenere
un’efficace protezionesenza ricadute sull’ambiente.
• La soluzione Verdeviva si è dimostrata un strumento alternativo e integrativo per il controllo del brusone
e l’innalzamento delle difese innate del riso.
• L’uso della soluzione Verdeviva sarebbe integrabile all’uso delle saponine o altri fungicidi naturali in
un’ottica di difesa integrata.
• Le ricerche sui geni chiave coinvolti nella risposta del riso a M. oryzae hanno aperto la via
all’identificazione dei prodotti che potrebbero indurre le risposte innate della pianta e quindi integrarsi con le
misure di protezione appena citate ben rispondendo al sistema di protezione del riso in chiave di Difesa
Integrata.
• La sintesi mediante incrocio di specie diverse, M. sativa e M. arborea, e l’utilizzo di varietà
fisiologicamente differenti (dormienti/non dormienti) all’interno di M. sativa si è rivelato uno strumento utile
per ampliare la variabilità del contenuto e della composizione delle sapogenine nei materiali derivati (SAC).
• L’utilizzo dell’autofecondazione è stata efficace nel suddividere la variazione presente negli ibridi iniziali in
famiglie S2 caratterizzate da differenti profili di sapogenine emolitiche fogliari. L’acido medicagenico,
componente della frazione emolitica e uno dei composti di maggior interesse per la sua attività di inibitoria
nei confronti di patogeni fungini, è risultato altamente ereditabile e dunque geneticamente stabilizzato nelle
famiglie in questione.
• Questi materiali sono attualmente utilizzati in un programma di miglioramento genetico per la
costituzione di varietà di erba medica specializzate nella produzione di metaboliti secondari di interesse
agrario, agro industriale e industriale.
• La collezione di mutanti TILLING nella specie modello M. truncatula si è rivelata uno strumento efficace
per l’individuazione di geni implicati nella via biosintetica delle sapogenine. Le conoscenze ottenute possono
essere facilmente trasferite a M. sativa, specie agronomicamente ed economicamente molto più importante,
come visto per tutti i CYP450 studiati nel progetto. In questo modo è possibile creare un circuito molto
efficace di collegamento fra conoscenze di base e ricerca applicata.
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Ringraziamenti
Si ringraziano Roberto Beghi e Annalisa Carenzi per l’indispensabile apporto tecnico nella gestione dei
materiali vegetali.
Mais ricco in antiossidanti: un’opportunità per il contenimento dell’uso di
agrofarmaci
I parte dell’attività
Roberto Pilu1, Katia Petroni2, Elena Cassani1, Chiara Lago2, Valentina Calvenzani 2, Michela Landoni2,
Monica Fornari2, Chiara Tonelli2
1Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Produzione, Territorio, Agroenergia, UNIMI,2Dipartimento di Bioscienze, UNIMI,
II parte dell’attività
Annamaria Vercesi, Gemma Assante, Giovanni Venturini, Daiana Salomoni, Silvia Laura Toffolatti, Paola
Campia, Laleh Babazadeh, Emilio Fasoli
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali Produzione, Territorio, Agroenergia, UNIMI
Introduzione alla tematica
Il mais è una delle più importanti colture del mondo e quantitativamente è la principale in Italia: circa il 10%
del prodotto raccolto entra direttamente o indirettamente nella catena alimentare umana. In Italia, la coltura
è particolarmente intensa nelle regioni settentrionali (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia,
Emilia Romagna) e nei comprensori di pianura del Centro Sud, dove maggiori sono le disponibilità idriche. In
particolare nella nostra Regione, la coltura del mais interessa una superficie di circa 235mila ettari,
occupando il 26% della superficie nazionale investita con questa coltura. Dalla fine degli anni ‘70 a fine ’90, le
produzioni sono passate da 50 a 100 quintali per ettaro, permettendo un grande sviluppo del comparto
zootecnico nella pianura padana, dove rappresenta di gran lunga la fonte primaria di calorie
nell’alimentazione animale, sotto forma di granella, pastone e silomais. Infatti l’utilizzo del mais in Italia è
ripartito all’ 82% ad uso zootecnico, 12% alle industrie amidiere, 4% al diretto uso umano e al 2 % per altri usi
industriali. A livello di Comunità Europea la maggior parte del mais “da industria” viene macinato “ad umido”
per la produzione di amido e derivati (65 70%), mentre la restante quota è lavorata “a secco” per ricavarne
prodotti vari, quali semolati, farine, fiocchi, ecc. Con la macerazione “ad umido”, la granella viene macerata e
trattata con anidride solforosa e fermenti lattici. Tutto ciò allo scopo di facilitare la successiva estrazione dei
granuli di amido. L’acqua di macerazione può essere destinata alla fermentazione oppure, dopo
concentrazione, all’industria mangimistica. La granella inumidita subisce una prima macinatura per la
separazione del germe, dalla cui lavorazione si ricava l’olio. Dalla lavorazione del mais, oltre a prodotti
alimentari, si ricavano carta, bioplastica e solventi e sempre più in futuro, il mais verrà utilizzato anche per
ottenere energia. Come ricordato in precedenza il mais, sotto forma di granella, sfarinato o insilato (derivante
dalla spiga o dalla pianta intera), rappresenta una delle materie prime più utilizzate per l’alimentazione
animale. Esso, infatti, è il principale componente della dieta per i suini avicoli e ruminanti. In presenza di
condizioni ambientali favorevoli, il mais può essere infettato, in campo e durante la fase di
immagazzinamento, da funghi con conseguente perdita di produzione e deterioramento della qualità della
granella a causa dell’accumulo di micotossine. Le micotossine sono metaboliti secondari a basso peso
molecolare caratterizzate da tossicità nei confronti dell'uomo e degli animali. Negli areali maidicoli della
pianura Padana i principali funghi tossinogeni e le corrispondenti micotossine ritrovati nel mais sono:
Aspergillus Link e aflatossine.
I miceti afferenti al genere Aspergillus si sviluppano generalmente a carico dei residui colturali e raramente
provocano danni di rilevante entità. Le specie più diffuse su mais appartengono alla sezione Flavi del genere
Aspergillus e in particolare alle specie A. flavus Link e A. parasiticus Speare (Giorni et al., 2007). A. flavus è
stato riscontrato più frequentemente in annate caratterizzate da piovosità scarsa e temperature elevate.
Lesioni dovute a insetti, uccelli e grandine rendono la pianta più suscettibile ai marciumi da A. flavus. I sintomi
sulle spighe infette sono localizzati soprattutto nella parte apicale e sono caratterizzati dallo sviluppo di
micelio di colore verde giallastro che diventa più scuro col passare del tempo. Le colonie fungine che si
isolano dalle aree sintomatiche della spiga in coltura pura appaiono come riportato nella Fig. 1.
Figura 1. Colonie di A. flavus su MEA Figura 2. Colonia di FGC su PDA
Le aflatossine, micotossine prodotte dai miceti della sezione Flavi, sono state isolate per la prima volta negli
anni '60 del secolo scorso a seguito del decesso nel Regno Unito di migliaia di tacchini a causa di questi
composti presenti nella farina di arachidi utilizzata per l'alimentazione dei volatili (Blount, 1961). Tra le 18
aflatossine identificate finora, in natura l'aflatossina B1 (AFB1) è stata rilevata più di frequente e in maggiore
quantità nelle derrate contaminate. L'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha stabilito che
AFB1 rientra nel Gruppo 1 delle sostanze cancerogene per la sua manifesta capacità di provocare cancro
epatico (IARC, 1993). L’Unione Europea (UE) ha stabilito i massimi livelli di contaminazione da aflatossine (da
5 a 10 ng/g) nel mais prima della lavorazione (CE, Regolamento No. 165/2010).
Fusarium graminearum clade e tricoteceni
Il marciume rosso della spiga di mais (GER) è causato da specie afferenti al genere Fusarium Link in
particolare al clade F. graminearum (FGC). La specie maggiormente associata a GER nel mais italiano è F.
graminearum sensu stricto Schwabe mentre F. culmorum (W.G.Sm.) Sacc., F. sporotrichioides Sherb. e F. poae
(Peck) Wollenw. sono state isolate meno frequentemente (Logrieco et al., 2002). FGC è favorito da
temperature pari a 24 25 °C e da un elevato contenuto di umidità nella granella. GER è favorita da elevati
livelli di umidità durante l’emissione delle sete, da temperature moderate e abbondanti precipitazioni
durante la maturazione delle cariossidi. FGC infetta l’ospite principalmente attraverso le sete e meno
frequentemente attraverso lesioni dovute ad insetti (Bakan et al., 2002). I sintomi sulla spiga sono localizzati
soprattutto nella parte apicale dove si sviluppa un micelio di colore rosa rosso. I ceppi di FGC che si isolano da
spighe recanti sintomi di marciume rosso allevati in coltura pura appaiono come riportato nella Fig.2.
Le micotossine collegate alla GER sono principalmente i tricoteceni di tipo A e B. I tricoteceni A includono la
tossina T 2 e HT 2, i tricoteceni B sono rappresentati principalmente dal deossinivalenolo (DON) e le sue
forme acetilate 3 AcDON e 15 AcDON. I tricoteceni sono associati a sintomi di intossicazione negli animali che
vanno da disturbi gastrointestinali all’anoressia (Pestkal e Smolinski, 2005). E’ probabile che i tricoteceni
causino i medesimi sintomi sugli umani ma la loro cancerogenicità è tuttora discussa. I livelli massimi di
contaminazione ammessi in UE nel mais e negli altri cereali vanno da 200 a 1750 ng/g per i tricoteceni B (CE,
Regolamento No. 1126/2007) e da 15 a 100 ng/g per i tricoteceni A (CE, Raccomandazione No. 165/2013).
Gibberella fujikuroi clade e fumonisine
In Italia settentrionale il marciume rosa della spiga (FER), associato alla presenza di FUM, è causato
prevalentemente da specie afferenti al clade G. fujikuroi (GFC) del genere Fusarium. All’interno di GFC il
principale agente eziologico di FER è F. verticillioides (Sacc.) Nirenberg, mentre secondari appaiono F.
proliferatum (Matsush.) Nirenberg ex Gerlach & Nirenberg e da F. subglutinans (Wollenw. & Reinking)
P.E.Nelson, Toussoun & Marasas (Logrieco et al., 2002). F. verticillioides può inoltre colonizzare tutta la pianta
di mais senza dar luogo ad alterazioni apparenti. Le condizioni favorevoli a FER sono temperature pari a 27 °C
(Rossi et al., 2009) e periodi siccitosi durante le fasi di riempimento delle cariossidi seguiti da periodi piovosi
poco prima della raccolta (Munkvold, 2003). FER si presenta su cariossidi distribuite in ordine sparso oppure
in gruppi di cariossidi spesso ricoperte da micelio bianco rosato (Fig. 3A). F. verticillioides sverna sui residui di
mais della stagione precedente presenti nel suolo e produce un’elevata quantità di spore, sia micro sia
macroconidi, facilmente dispersi dal vento e principali responsabili dell’infezione (Fig. 3B e 3C).
Figura 3. Colonia di F. verticillioides su PDA (A); Macroconidi di F. verticillioides (B); Microconidi e struttureconidiofore di F. verticillioides (C).
Numerose specie di insetti fitofagi tra i quali la piralide del mais (Ostrinia nubilalis Hübner, ECB) possono
disperdere i conidi di F. verticillioides (Dowd, 2003). Il fungo può inoltre contaminare il seme e svilupparsi fino
a raggiungere la cariosside. L'importanza delle singole vie d'ingresso dei conidi di F. verticillioides nella spiga
A B C
varia da regione a regione ma, insieme alle lesioni da insetti, l’infezione attraverso le sete ha un ruolo molto
importante nel ciclo infettivo contrariamente alla trasmissione sistemica del fungo all’interno della pianta
(Munkvold, 2009).
Le fumonisine (FUM) comprendono almeno 28 composti che, a differenza di altre micotossine, non hanno
struttura ciclica e sono solubili in acqua. Solo le FUM B, in particolare le FUM B1 e B2 , sono state rinvenute
nelle derrate. Le FUM provocano leucoencefalomalacia nei cavalli e nei conigli ed edema polmonare e
idrotorace nei suini. In aggiunta è stato supposto un collegamento tra l’assunzione continuativa di FUM e il
cancro esofageo nell’uomo (Richard, 2007).
Lo IARC ha classificato le FUM nel gruppo 2B, cui appartengono sostanze probabilmente cancerogene (IARC,
2002). I livelli massimi consentiti per le FUM nella granella di mais e nei prodotti derivati nell’UE sono
compresi tra 4000 e 200 ng/g (CE, Regolamento No.1126/2007).
La presenza di F. verticillioides (Venturini et al., 2011) e il ripetuto accumulo di FUM su mais coltivato in
pianura Padana (Torelli et al., 2012) compromettono la possibilità di ottenere granella di elevata qualità e
salubrità. Alla data odierna non è ancora stata individuata un’efficace strategia di riduzione della
contaminazione da FUM in mais. Alcune pratiche agronomiche come l’anticipo della semina, corrette
irrigazioni e fertilizzazioni abbinate alla riduzione dei danni causati da insetti possono contribuire a limitare
l’incidenza dei marciumi della spiga e l’accumulo di FUM (Maiorano et al., 2009). Su mais non è attualmente
registrato alcun fungicida attivo nei confronti di Fusarium spp., anche se sperimentalmente interventi
fungicidi all'emissione delle sete o a maturazione latteo cerosa della spiga, in combinazione con trattamenti
antipiralide, hanno garantito una riduzione della FER e della contaminazione da FUM (Folcher et al., 2009;
Mazzoni et al., 2011). Lo sviluppo di cultivar di mais meno suscettibili ai funghi tossinogeni potrebbe
contribuire a ridurre la contaminazione da micotossine come riportato recentemente per genotipi in grado di
accumulare grandi quantità di pigmenti flavonoidi che possiedono capacità antiossidante.
Gli antiossidanti contenuti nelle specie vegetali destinate alla dieta umana si dividono in composti nutrienti
(come vitamina C e carotenoidi) e non nutrienti (flavonoidi e composti fenolici in genere). Essi sono in grado
di prevenire il danno cellulare causato dalle specie attive dell’ossigeno e dai radicali liberi che si formano
durante il metabolismo aerobico o per effetto di fattori di stress esogeni, grazie alla loro prerogativa di
ossidarsi facilmente e diventare così bersaglio preferenziale di tali specie attive dell’ossigeno.
In particolare, i flavonoidi sono composti che determinano alcuni fra gli svariati pigmenti del mondo vegetale.
Sono molecole idrosolubili, che si ritrovano in forma glicosilata all’interno del vacuolo; sulla base della loro
struttura chimica, esse vengono raggruppate in diverse classi, di cui le più importanti sono flavanoni,
flavonoli, isoflavonoidi e antociani. Questi composti presentano una struttura di base, costituita da un anello
a 15 atomi di carbonio, derivante da una reazione di condensazione che coinvolge fenilalanina e acetato.
Le antocianine rappresentano una classe di metaboliti secondari che vengono sintetizzati esclusivamente
nelle piante conferendo il colore rosso ai tessuti dove vengono accumulate oltre ad esplicare diversi altre
funzioni fisiologiche (Taylor and Grotewold 2005). Diversi studi indicano che queste molecole possiedono
attività antiossidante e che, se assunte nella dieta, possono esplicare importanti effetti salutari su diverse
patologie umane e animali, quali cancro e patologie cardiache (Hagiwara et al. 2001; Tsuda et al., 2003; Lila
2004; Guerra et al. 2005; Taylor and Grotewold 2005; Kay 2006; Lala et al., 2006). In particolare, è stato
osservato che topi nutriti con varietà di mais a seme colorato risultano maggiormente protetti contro obesità
e iperglicemia in regime di dieta ipercalorica ad elevato contenuto di grassi (Tsuda et al. 2003) o contro
l’insorgenza di cancro indotto da agenti cancerogeni (Hagiwara et al. 2001). E’ stato inoltre messo in
evidenza come le antocianine esercitino un effetto antimicrobico con una significativa riduzione della sintesi
di aflatossine in vitro (Norton, 1999). Anche se la pianta di mais è in grado di accumulare antocianine in
diverse varietà locali, attualmente gli ibridi presenti sul mercato e utilizzati in tutto il mondo accumulano
quantità trascurabili di antocianine nella pianta e nella granella. Nel mais i diversi geni coinvolti nella via
biosintetica che porta all’accumulo di pigmenti di tipo flavonoide, vengono attivati da due classi di geni
regolatori: le famiglie di geni C1/Pl1 e R1/B1. La produzione di pigmenti in un qualsiasi tessuto della pianta
richiede, generalmente, l’interazione di un membro di ciascuna famiglia (Chandler et al., 1989; Pilu et al.,
2003; Petroni et al., 2000). Data la grande variabilità genetica esistente in questa specie, diversi alleli dei geni
regolatori della via biosintetica delle antocianine sono stati caratterizzati e sono noti conferire una forte
pigmentazione in vari tessuti della pianta: B1 (booster), Pl1 (purple plant), R1 (red color), e P1 (pericarp color)
(Chandler et al., 1989; Cone et al., 1993; Grotewold et al., 1994; Pilu et al., 2003). In particolare, gli alleli B1 e
Pl1 quando presenti nello stesso genotipo, inducono un grande accumulo di antocianine in vari tessuti della
pianta (radici, stocco, foglie, antere, tutolo, pericarpo e parzialmente nelle foglie) conferendo un colore rosso
intenso, R1 conferisce l’accumulo di pigmenti antociani nell’aleurone e P1 conferisce l’accumulo di flobafeni
nella granella (Fig. 4.)
Figura 4. Differente pigmentazione presente nei semi di mais. Semi incolori del genotipo r1 b1pl1 (A) e
colorati portanti R1 (B), P1 (C) e B1 Pl1 (D).
Tutti questi alleli sono dominanti e quindi in grado di agire anche in singola dose, prestandosi bene a livello
genetico per la costituzione di sementi ibride. Attualmente, nessun ibrido utilizzato nel mercato mondiale
accumula pigmento nella granella; solo alcune varietà colorate vengono utilizzate localmente in Centro e Sud
America, principalmente per l’alimentazione umana.
L’utilizzo di ibridi in grado di accumulare antiossidanti in maniera naturale potrebbe apportare un grande
beneficio in tutta la filiera agroalimentare sia per quanto riguarda la presenza di questi importanti
fitonutrienti che per la sicurezza alimentare in particolare per quanto riguarda FUM, come recentemente
pubblicato dal nostro gruppo di ricerca (Pilu et al. 2011).
Obiettivi
Gli obiettivi di questa attività di ricerca sono stati quelli di costituire e studiare genotipi di mais ricchi in
flavonoidi capaci di limitare l’accumulo di micotossine (in particolare fumonisine) in mais al fine di migliorare
la sicurezza alimentare limitando l’utilizzo di agrofarmaci. La prima parte dell’attività ha riguardato
1. la costituzione dei genotipi in grado di accumulare alti livelli di flavonoidi/antociani
2. la scelta del genotipo migliore mediante analisi chimiche e molecolari
3. la produzione di un ibrido pigmentato e del suo rispettivo controllo incolore da utilizzare nelle varie prove
in pieno campo e nelle diverse annate.
1. La coltivazione del mais è stata condotta nell’azienda agricola Angelo Menozzi dell’Università degli Studi
di Milano, a Landriano (PV) in un appezzamento di circa 1.6 ettari. L’attività di breeding è stata effettuata nei
mesi di giugno e luglio utilizzando degli isolatori (sacchetti di carta) che hanno permesso di controllare gli
incroci tra i vari genotipi od imporre l’autofecondazione (Fig.5).
Figura 5. Attività di breeding e produzione di granella sementi per gli altri partners del progetto.
Gli incroci effettuati (iniziati anni fa nell’ambito di altri progetti internazionali) hanno permesso tramite
procedure di selezione con note di “pedigree” di costituire nuove linee isogeniche da studiare in quanto tali e
da utilizzare come parentali per la costituzione di ibridi (Fig.6.). Durante la costituzione delle linee, la
selezione è stata effettuata per il contenuto di antocianine/flavonoidi, germinabilità, vigore della pianta e
peso granella per spiga. L’attività di breeding è stata coadiuvata anche dall’utilizzo di marcatori molecolari
strettamente associati ai geni regolatori utilizzati in questo lavoro. Ad esempio per quanto riguarda la
costituzione della linea B1B1 Pl1Pl1 (BPl) sono stati utilizzati i marcatori microsatelliti, nc009 associato a Pl e
umc 1776 associato a B al fine di seguire le segregazioni e l’effettiva fissazione in omozigosi nella linea BPl
ottenuta (Fig.7).
Figura 6. Schema semplificato delle procedure con note di “pedigree” utilizzato per la costituzione di nuovelinee e di alcuni ibridi prodotti.
Figura 7. Utilizzo dei marcatori molecolari (microsatelliti) per coadiuvare il lavoro di breeding. In figura èriportato la costituzione della linea BPl coadiuvata dai marcatori molecolari SSR nc009 (associato a Pl) eumc1776 (associato a B).
2. La scelta del genotipo migliore da portare avanti per le successive prove in pieno campo è stata basata sul
profilo di accumulo delle antocianine e dei flavonoidi effettuata inizialmente con l’analisi TLC (Thin Layer
Chromatography) e successivamente approfondita mediante l’utilizzo dell’HPLC (High Performance Liquid
Chromatography) come riportato in Figura 8. Le antocianine sono state quantificate spettrofotometricamente
mostrando che i genotipi in grado di accumulare i più alti livelli di pigmenti (principalmente cianidina e in
alcuni casi pelargonidina) sono stati i genotipi portanti BPl e il mais di origine tropicale “morado” coltivato
tuttora in Centro America (Fig. 9).
E’ stata anche valutata la capacità antiossidante espressa come TEAC (Trolox equivalent antioxidant capacity)
che ha messo in evidenza una relazione tra il contenuto di antocianine e la capacità antiossidante dei genotipi
oggetto di questo studio (Fig. 10). Lo studio effettuato ha contribuito a gettare le basi per ulteriori utilizzi di
questi materiali genetici come fonte di geni in grado di conferire alti livelli di antiossidanti ad esempio nel
campo della mangimistica e nella diretta alimentazione umana (e.g. mais da polenta, scoppio e dolce).
3. Comunque tra i vari genotipi studiati il materiale che è stato selezionato ed utilizzato nella seconda parte
del progetto è stata la linea portante l’allele P1 (Pericarp color1) che conferisce colorazione rossa della spiga
per l’accumulo, principalmente nel pericarpo, dei flobafeni che sono polimeri dei flavan 4 ols.
Figura 8. A sinistra è mostrata l’analisi TLC effettuata sugli estratti alcolici ottenuti dalla farina dei semi deigenotipi costituiti mostrati in alto a destra (a sinistra sono stati caricati gli standards). In basso, a sinistra,si puo’ osservare la stessa lastra cromatografica esposta agli UV. In basso a destra è mostrato il profiloHPLC dei pigmenti accumulati dal genotipo BPl.
Figura 9. Quantificazione delle antocianine presenti nella farina ottenuta dai vari genotipi.
Figura 10. Analisi della capacità antiossidante espressa come TEAC (Trolox equivalent antioxidant capacity).
In particolare è stato scelto un allele di tipo P1 rr (in grado di colorare sia il pericarpo che il tutolo) perché dati
preliminari ottenuti precedentemente dal nostro gruppo di ricerca suggerivano un possibile effetto sul
contenuto di fumonisine nella granella (Pilu et al. 2011). Al fine di studiare l’effetto della presenza di questo
allele sulle infezioni fungine della spiga di mais sono stati costituiti due ibridi a tre vie differenti solo per la
presenza dell’allele P1 (Fig. 11).
Figura 11. Produzione della semente ibrida a tre vie differente solo per la presenza di P1. Negli schemid’incrocio p1 e P1 indicano rispettivamente delle linee omozigoti.
Per quanto riguarda la seconda parte di attività volta allo studio dell’ibrido pigmentato selezionato e del suo
controllo incolore sono stati allestiti nel 2011 2012, 4 campi sperimentali, situati nei comuni di Albairate (MI),
Arcene (BG), Olmo (LO), Landriano (PV, 2011) e Rodigo (MN, 2012) al fine di analizzare la contaminazione da
Fusarium spp. e Aspergillus spp. nei due genotipi. Inoltre i campi sono stati suddivisi in parcelle in
presenza/assenza del trattamento antipiralide per stabilire la relazione tra l’attacco di questo insetto e le
infezioni fungine.
Le analisi effettuate hanno riguardato:
1. contaminazione da Fusarium spp. delle sete;
2. diffusione dei marciumi fungini e delle infestazioni da ECB su spiga
3. infezioni fungine latenti nelle cariossidi asintomatiche;
4. accumulo micotossine.
Nel 2013 l’effetto del genotipo (ibrido pigmentato vs ibrido incolore) è stato valutato presso l'azienda
sperimentale del DiSAA a Landriano (PV), utilizzando come strategia antipiralide una rete di polietilene che
ricopriva la spiga e inoculando sperimentalmente F. verticillioides nel canale delle sete.
Risultati ottenuti
1. Contaminazione da Fusarium spp. delle sete nel mais colorato e incolore.
Nelle due annate prese in considerazione solo funghi tossinogeni afferenti al genere Fusarium sono stati
isolati dalle sete. I più contaminati sono stati i frammenti derivanti dalle sete esposte, mentre i frammenti
dalle sete coperte dalle brattee sono risultati sporadicamente infetti da ceppi afferenti a GFC. FGC è stato più
frequentemente isolato nel 2011, GFC nel 2012. Più del 50% dei ceppi afferenti a GFC appartengono alla
specie F. verticillioides. Le popolazioni di Fusarium isolate dai due ibridi mostrano analoga composizione (Fig
12).
F
Figura 12. Contaminazione delle sete da Fusarium spp.
2. Danni da piralide e marciumi fungini su spighe di mais incolore e colorato, trattato e non trattato.
L'infestazione da ECB ha interessato il 58% delle spighe valutate nel 2011 e l’82% delle spighe nel 2012. I
marciumi, in ambedue le annate rappresentati quasi interamente da FER, erano diffusi sul 30% dei campioni
nel 2011 e sul 38% nel 2012. Sui 2 genotipi non sono state rilevate differenze significative nella % di spighe
danneggiate da ECB e dai marciumi, mentre il trattamento antipiralide ha ridotto solo la diffusione
dell’infestazione che è passata dal 66% nel mais trattato al 75% nel non trattato. Abbinando presenza di
flavonoidi e trattamento antipiralide, la % di diffusione di ECB (DP%) diminuisce significativamente: le parcelle
di mais colorate trattate hanno avuto infestazioni da ECB più contenute rispetto a quelle non trattate di
ambedue i genotipi (Fig 13A). Soltanto nel 2011 si è osservata una differenza tra la parcella colorata trattata e
non trattata. Nei 2 anni la FER è stata determinata essenzialmente da F. verticillioides e F. proliferatum. Solo
nel 2012 le parcelle del genotipo colorato sono risultate significativamente meno infette rispetto alla parcella
incolore non trattata (Fig. 13B).
Figura 13. (A) Diffusione danni da ECB (DP%) e (B) diffusione marciumi (DM%)
3. Infezioni fungine latenti e contaminazione da micotossine nella granella
Ceppi afferenti ad Aspergillus sez. Flavi, potenziali produttori di aflatossine, sporadici nel 2011, sono stati
isolati nel 2012 in tutti i campi e con elevata frequenza a Rodigo (MN) e Olmo (LO). Ciononostante la
contaminazione da aflatossine non ha mai raggiunto livelli preoccupanti. Le infezioni latenti dovute a GFC
sono risultate preponderanti. La % di contaminazione delle cariossidi rilevata nel 2011 nei siti sperimentali
(31%) è stata inferiore a quella riscontrata nel 2012 (41%). In generale né i flavonoidi né il trattamento hanno
ridotto significativamente le infezioni latenti da GFC. Solo nel 2012 le cariossidi del genotipo pigmentato
erano meno contaminate da GFC rispetto a quelle di mais incolore non trattato (Fig. 14 A). La maggioranza
dei ceppi isolati da granella asintomatica afferivano alle specie F. verticillioides e F. proliferatum, note
produttrici di fumonisine. Le fumonisine, frequenti e in concentrazioni variabili, hanno raggiunto livelli
mediamente più elevati nel 2012. Né il genotipo né il trattamento hanno influenzato in generale il livello di
FUM (Fig. 14 B). Al contrario sono state osservate differenze significative tra le località sia nel 2011 sia nel
2012. Dai dati raccolti è emerso che l’interazione genotipoXtrattamentoXlocalitàXannata induce una
diminuzione significativa della diffusione della piralide e della contaminazione da fumonisine. In particolare, il
fattore genotipo interagisce con la località nel ridurre la diffusione della piralide e dell’infezione asintomatica
da GFC e con l’annata nel determinare una contrazione di FER e infezione latente.
Figura 14. (A)Infezioni latenti da GFC (GFC%) e (B) Concentrazioni FUM nella granella (mg/kg)
4. Effetto dei soli flavonoidi sull’interazione F. verticillioides mais
Per eliminare l’effetto localitàXannata sull’interazione F. verticillioides mais incolore e colorato, sono state
effettuate inoculazioni sperimentali su entrambi i genotipi a Landriano (PV), proteggendo le spighe prescelte
con reti anti insetto al fine di ridurre l’infestazione da ECB. La presenza di flavonoidi nel pericarpo ha ridotto
la diffusione e la gravità di FER rispetto a quanto osservato sulle spighe prive di tali composti (Figura 15).
Figura 15. Diffusione e gravità FER nelle parcelle inoculate con F. verticillioides
Ricadute operative
I flavonoidi nel pericarpo del mais sono potenzialmente in grado di ridurre diffusione e gravità di FER nella
spiga. L’efficacia dei flavonoidi nel proteggere la granella di mais può variare significativamente in funzione
dell’annata, della località e dell’incidenza dell’infestazione da piralide. In annate caratterizzate da andamenti
meteorologici non particolarmente favorevoli a piralide e GFC, l’effetto dei flavonoidi, abbinato alle buone
pratiche colturali, è sufficiente a garantire un accettabile stato sanitario della granella, che al contrario in
presenza di elevate presenze dell’insetto e condizioni siccitose in concomitanza dell’emissione delle sete,
deve essere adeguatamente protetta nei confronti del fitofago.
Conclusioni
Oltre alle pratiche agronomiche (Maiorano et al. 2009) e ai trattamenti insetticidi nei confronti di O. nubilalis
(Mazzoni et al., 2011), la resistenza nei confronti dei funghi tossinogeni agenti di marciumi, dovuta a
flavonoidi o a cere presenti negli strati più superficiali della cariosside, può contribuire a migliorare qualità e
quantità della produzione maidicola lombarda. Dalle prove effettuate è emerso che:
la comunità fungina associata alla spiga di mais è dominata dal genere Fusarium ed in particolare da GFC,
mentre Aspergillus sez. Flavi è una componente minoritaria;
la maggior parte degli individui afferenti a GFC ha spiccate potenzialità tossinogene il che, insieme con la
diffusione, rende probabile l’accumulo di fumonisine nel mais lombardo;
GFC è in grado di infettare la cariosside attraverso le sete specialmente in presenza di condizioni
meteorologiche favorevoli (vedi 2012)
i flavonoidi sono in grado di limitare diffusione e gravità di FER in assenza di altri fattori predisponenti quali
lesioni da insetti;
nella definizione di strategie di protezione integrata, l’utilizzo di mais ricchi di flavonoidi può contribuire,
insieme con altre misure agronomiche e fitoiatriche, al miglioramento quali quantitativo della produzione
maidicola.
Ringraziamenti
Si ringrazia Agricola 2000 per l’allestimento e conduzione dei campi sperimentali.
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Peptidi endogeni del seme ad attività biocida
Alessio Scarafoni, Laura Azzini
Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l'Ambiente, UNIMI
Introduzione alla tematica
Durante la germinazione il seme e il suolo circostante costituiscono un habitat ricco per lo sviluppo e
l’interazione microbica. La principale fonte d’energia per i microrganismi in questo habitat è il carbonio
rilasciato dal seme nel suolo circostante. Alcuni microrganismi hanno una funzione benefica nei confronti
delle piante, ma altri risultano essere patogeni. Il seme in corso di germinazione è particolarmente
vulnerabile all’attacco delle specie patogene. La concia chimica delle sementi, in particolare quelle di mais, è
un trattamento protettivo effettuato con sostanze biocide (insetticidi e fungicidi) allo scopo di contrastare
preventivamente patogeni presenti nel terreno o negli strati superficiali del tegumento del seme riducendo i
danni che questi possono arrecare al seme stesso o alla giovane plantula che si svilupperà. Per contro, il
ricorso alla concia ha importanti ripercussioni ambientali, come recentemente ipotizzato per i principi attivi
nicotinoidi. Il seme di mais conciato con questi prodotti, si pensa possa causare mortalità e spopolamenti
degli alveari, come gli apicoltori con apiari dislocati in aree maidicole del nord Italia lamentano nel periodo di
semina della coltura. Al di là di casi particolari di tossicità acuta per l’ambiente, i concianti vanno ad
aggiungersi ai presidi fitosanitari di sintesi che immessi in agricoltura possono accumularsi nei suoli e nelle
acque superficiali e di falda, con un impatto negativo anche sulla salute dell’uomo. Al fine di ridurre l’utilizzo
di agrofarmaci di sintesi, il biocontrollo in agricoltura può essere effettuato in modo sostenibile utilizzando
sostanze naturali per controllare gli organismi che danneggiano i raccolti o utilizzando organismi benefici ad
attività antagonista nei confronti dei patogeni, oppure scegliendo opportunamente i genotipi delle piante più
adatti alle realtà ambientali locali per sfruttare le capacità di resistenza alle malattie delle piante stesse.
Un’alternativa per limitare l’uso di sostanze biocide durante la conservazione e la germinazione dei semi è
quella di sfruttare le naturali resistenze della pianta. Per fare ciò occorre identificare i composti alla base di
tali proprietàà e, attraverso successivi programmi di incroci, creare nuove varietà in grado di esprimere ad alti
livelli le molecole responsabili degli effetti di difesa.
Durante le prime fasi della germinazione, i semi sono in grado di rilasciare essudati nel loro intorno
(spermosfera) contenenti diversi tipi di molecole, sia di tipo organico a basso peso molecolare sia peptidi e
proteine intere, che mostrano attività antimicrobica in grado di inibire la crescita di specie fungine (Nelson,
2004). Ciò è stato dimostrato in diverse specie, sia monocotiledoni che dicotiledoni. Le proteine
maggiormente rappresentate negli essudati del seme sono enzimi e proteine bioattive (come ad esempio
chitinasi, inibitori delle xilanasi fungine, defensine, etc) che mostrano specifiche attività antimicrobiche in
grado di inibire la crescita di specie patogene (Wang et al. 2002). Inoltre, è stato dimostrato che alcuni peptidi
che vengono secreti dal seme si trovano già accumulati nel seme stesso prima del suo contatto con l’acqua
del suolo, altri vengono sintetizzati ex novo durante le prime fasi della germinazione, altri ancora si originano,
nelle fasi più avanzate, dalla digestione endogena di proteine di riserva già presenti nei semi, come ad
esempio le viciline (Marcus et al., 1999), globuline presenti in discrete quantità anche nel seme di mais.
Non è ancora noto se i semi di mais possiedano tale tipi di meccanismi per proteggere i primi stadi della
germinazione. E’ comunque stato dimostrato che nel seme già prima della germinazione sono presenti
proteine a basso peso molecolare in grado di inibire la crescita fungina (Serna et al., 2001).
Attività svolte
Scopo di questa parte del progetto è stata l’identificazione di varietà di mais che fossero in grado di secernere
nel loro intorno durante le prime ore dalla semina polipeptidi in grado di inibire funghi patogeni, in
particolare quelli produttori di aflatossine e fumosine, le cui tossicità nei confronti dell’uomo e dei
mammiferi, sono note da tempo. E’ stato altresì scopo del progetto la caratterizzazione delle proteine
mediante indagini molecolari di tipo elettroforetico e proteomico.
In collaborazione con il Dr Roberto Pilu sono state selezionate 11 linee di mais tra quelle più comunemente
utilizzate nei programmi di miglioramento genetico e tra quelle che presentassero una storia naturale
particolarmente adattiva nei confronti di avversità ambientali, come per esempio il famoso mais di Storo, un
mais di alta qualità utilizzato per la produzione di farina da polenta.
L’attività sperimentale svolta nella prima parte del progetto ha portato all’identificazione delle condizioni
sperimentali da adottare per selezionare le varietà che meglio sono in grado di difendersi in modo autonomo
da eventuali attacchi fungini. Sono state quindi svolte prove di germinazione controllata volte a riprodurre le
condizioni ambientali più favorevoli al rilascio da parte del seme di molecole con attività antifungina. Al
termine di questa fase sperimentale, i semi di ciascuna varietà sono stati posti a germinare in presenza di
acqua (0.5 mL/seme) in condizioni di sterilità e a temperatura controllata (18 °C) per 32 ore. Inoltre, i risultati
ottenuti hanno mostrato che gli essudati raccolti dopo 32 ore sono molto più efficaci nell’inibire la
germinazione dei conidi di quelli raccolti a tempi maggiori (per esempio dopo 72 ore dall’imbibizione).
Risultati ottenuti
Tra tutte le undici varietà solo tre (linee R2680, R2830, R2869, rispettivamente indicate per brevità con le
sigle “H”, “C” ed “I”) hanno prodotto, nelle condizioni sperimentali adottate, essudati in grado di inibire la
germinazione dei conidi di due specie fungine patogene, Aspergillus flavus e Fusarium verticillioides. I risultati
di queste prove biologiche sono riportati negli istogrammi della Figura 1, che riportano, come specificato in
dettaglio nella didascalia, le percentuali di inibizione valutate mediante lettura della densità ottica in piastre a
96 pozzetti. Ogni punto sperimentale è stato condotto in triplo. Le prove di inibizione di germinazione dei
conidi sono state svolte in collaborazione con i Dr. Giovanni Venturini e Gemma Assante, appartenenti
all’unità di ricerca di questo progetto coordinata della Prof. A. Vercesi. Una varietà (corrispondente alla linea
H, selezionata a Storo) si è mostrata particolarmente attiva nei confronti di F. verticillioides.
Figura 1. Attività antifungina degli essudati confronti di Fusarium verticillioides ed Aspergillus flavus sumicropiastre da 96 pozzetti. La crescita di ciascun ceppo è stata valutata ad intervalli di tempo prestabiliticonfrontando i valori di assorbanza (492 nm) al tempo zero con l’assorbanza letta alla fine di ogni periodo diincubazione. Questo metodo di analisi ad ampio spettro ha permesso di valutare in modo rapido la capacitàdegli essudati di inibire la crescita fungina.
Nei grafico di Figura 2 sono mostrati i relativi risultati (linea rosa), confrontati con il controllo di crescita (linea
blu). In questo caso la valutazione della inibizione è stata condotta mediante conta al microscopio del numero
di conidi germinati dopo ciascun tempo dall’inizio della geminazione dei conidi.
Figura 2. Quantificazione della capacità di inibizione della germinazione dei conidi di F. verticilloides medianteconta diretta al microscopio ottico: per questa prova è stato scelto l’ssudato che più inibiva la crescita fungina(H). La prova è stata svolta a 24°C di giorno e a 10°C la notte, le letture sono state effettuate ogni 2 ore (18ore totali); è chiara la capacità inibitoria dell’essudato H (PDB = controllo).
In seguito a tali risultati, utilizzando un approccio sperimentale analogo, abbiamo dimostrato che negli
essudati vi è la presenza di numerose proteine, alcune delle quali anche ad alto peso molecolare. Questi dati
sono riportati nella Figura 3, che mostra i tracciati elettroforetici degli essudati evidenziati mediante una
reazione specifica in grado di rivelare la presenza di proteine. Il dato è estremamente interessante,
soprattutto se confrontato con i risultati delle prove biologiche, in quanto tutte le varietà di mais analizzate
sono in grado di rilasciare nel mezzo di germinazione diversi tipi di proteine, ma solo tre, lo ricordiamo,
mostrano attività inibitoria nei confronti delle specie fungine saggiate. La nostra esperienza pregressa ci ha
portato a ritenere a questo punto che, in analogia con quanto avviene in altre specie di interesse agronomico,
come per esempio nel lupino (Scarafoni et al. 2013), che i peptidi e proteine che verrebbero rilasciati nella
spermosfera al momento della germinazione appartengano alle classi delle albumine e delle globuline. Si
tratterebbe per la maggior parte di proteine coinvolte nelle attività metaboliche del seme, ma per alcune di
esse è stata ipotizzata anche una funzione di riserva. Come vedremo in seguito, questa ipotesi non aderisce
alla realtà che abbiamo poi riscontrato per il seme di mais.
Figura 3. Tracciati elettroforetici SDS PAGE degli essudati prodotti durante la germinazione di 11 varietà dimais. La colorazione dei polipeptidi separatiè stata ottenuta mediante la metodica “Silver Staining”, in gradodi rivelare solo le molecole proteiche. I campioni sono identificabili dalle sigle corrispondenti alle lettere da“A” a “M”.
Durante questa ultima fase sperimentale è emerso che la comparsa delle singole proteine trovate negli
essudati avviene con una tempistica ben precisa. Per studiare più in dettaglio questo aspetto abbiamo messo
a punto un protocollo di germinazione che ha previsto la raccolta e la sostituzione del mezzo di germinazione
ogni 12 ore (Figura 4).
I tracciati elettroforetici degli essudati raccolti dopo 4, 8, 12 e 32 ore sono qualitativamente diversi gli uni
dagli altri, e quindi si può evincere che le diverse proteine vengono secrete in momenti diversi. Esse,
comunque, riescono a permanere intatte fuori dal seme almeno fino a 32 ore. Dobbiamo comunque
rimarcare le estremamente esigue quantità di materiale proteico trovato. Per ottenere i tracciati mostrati
abbiamo infatti utilizzato gli essudati prodotti da 200 semi.
Per ottenere i tracciati elettroforetici che mostriamo a titolo di esempio nella Figura 5 è stata necessaria una
fase di messa a punto della metodica, in particolare sono stati definiti sistemi tampone più efficienti per
l’estrazione delle proteine, e sono state definite le procedure più adatte alla purificazione della frazione
proteica da altri composti (polisaccaridi e molecole organiche a basso peso molecolare) mediante tecniche
biochimiche separative tradizionali. Questi interventi hanno permesso di ottenere materiale proteico con le
caratteristiche di purezza idonee alla esecuzione di analisi elettroforetiche bidimensionali (IEF/SDS PAGE).
Abbiamo scelto questa tecnica in virtù del suo alto potere discriminante, in grado quindi di separare anche
centinaia di proteine presenti contemporaneamente in una miscela.
Figura 4. Schema sperimentale adottato durante la seconda fase della sperimentazione
Le proteine così separate sono altresì idonee alla successiva analisi in spettrometria di massa, che permette,
mediante strumenti di bioinformatica, di stabilire l’identità di ciascuna proteina. Questo tipo di
caratterizzazione molecolare delle proteine secrete dai semi ci avrebbe permesso quindi di fornire un nuovo
tassello alle conoscenze scientifiche dei meccanismi di difesa messi in atto dai semi nelle primissime ore della
germinazione.
I tre campioni mostrati come esempio nella Figura 5 mostrano chiaramente che le proteine (visibili ciascuna
come una singola macchia) sono diverse per ciascun campione, suggerendo diverse caratteristiche
fenotipiche del fenomeno.
Figura 5. Analisi elettroforetica bidimensionale delle proteine essudate dai semi di tre varietà di mais.
Le proteine sono state prima separate in base alla loro carica elettrica, misurata sulla scale del pH, e poi in
base alla loro massa molecolare (Mr)
Durante l’ultima frazione del lavoro di ricerca, come anticipato, la attività sperimentale ha avuto come
obiettivo la identificazione, mediante spettrometria di massa e analisi bioinformatiche, di queste polipeptidi,
per comprendere quali proteine del seme sono coinvolti direttamente nella difesa del seme germinante e
quindi per contribuire ad orientare eventuali interventi volti alla selezione di nuove varietà con una
potenziata attività antifungina naturale.
Abbiamo ristretto in quest’ultima frazione del progetto quasi esclusivamente la sperimentazione sulla varietà
H, che si era mostrata particolarmente attiva nei confronti di F. verticillioides. In particolare, sono stati
analizzati campioni raccolti dopo 4, 8, 24 e 32 ore dall’inizio della geminazione. Nei primi due campioni non
siamo riusciti ad evidenziare nessuna proteina, probabilmente per via delle esigue quantità presenti, con le
metodiche sperimentali che abbiamo utilizzato. Nei negli ultimi due campioni siamo riusciti ad analizzare ed
identificare numerose e diverse proteine. Ma, con nostro stupore, non abbiamo riscontrato nessuna proteina
proveniente dal seme di mais, bensì attribuibili a specie batteriche caratteristiche della flora endofitica del
seme (Liu et al., 2012), quali, ma non solo, Pantoea ed Enterobacter.
Conclusioni
I risultati della nostra attività di ricerca hanno evidenziato che nelle condizione sperimentali adottate e con le
metodiche utilizzate non sono evidenziabili misurabili fenomeni di rilascio di proteine endogene da parte del
seme di mais germinante, al contrario di quanto osservato in altre specie. Gli effetti di inibizione della crescita
fungina, che in un campione è stato particolarmente significativo potrebbero essere attribuiti a molecole
organiche a basso peso molecolare, il cui studio era fuori da quanto prefissato in fase di progetto, o alla
presenza di un particolare assetto della popolazione endofitica del seme. Non si possono escludere fenomeni
di sinergia delle due frazioni.
Bibliografia
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Selezione e caratterizzazione di colture batteriche con attività
antagonista
Eleonora Rolli, Ramona Marasco, Elena Crotti, Francesca Cappitelli, Sara Borin, Daniele Daffonchio
Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l'Ambiente, UNIMI
Introduzione alla tematica
Ogni anno gli agricoltori affrontano perdite dovute ad agenti patogeni che variano dal 10% al 40% [Vercesi
and Cravedi, 2011]. I cereali, ed in particolare il mais e il riso, sono le colture più soggette all’attacco di
fitopatogeni sia nella fase di coltivazione che nelle fasi successive alla raccolta. In questo contesto, negli ultimi
decenni per mantenere un’alta resa e al tempo stesso una buona qualità del prodotto, gli agricoltori sono
stati costretti ad utilizzare elevate quantità di agrofarmaci di sintesi, quali fungicidi ed insetticidi. In Italia, nel
2011, sono stati distribuiti 142.425.026 Kg di prodotti fitosanitari, dei quali 4.860.517 Kg di fungicidi solo in
Lombardia [ISTAT, 2011].
I fitopatogeni, oltre a causare perdite del raccolto provocano numerose contaminazioni da micotossine,
composti altamente tossici che possono avere forti ripercussioni sia sulla catena alimentare umana che su
quella animale [Vercesi and Cravedi, 2011]. Ad oggi non esiste un metodo efficace per l’abbattimento delle
tossine ed è per questo motivo che risulta prioritario prevenire le contaminazioni controllando in maniera
eco sostenibile l’attacco da parte dei fitopatogeni, sia a livello di campo che in post raccolta.
Una nuova soluzione che potrebbe soddisfare queste esigenze è l’utilizzo di batteri promotori della crescita
vegetale (PGPB) aventi attività antagonista nei confronti dei fitopatogeni. L’impiego di microrganismi
naturalmente associati alle colture vegetali ed in grado di contrastare lo sviluppo di fitopatogeni è una
strategia importante nell’ambito di un’agricoltura sostenibile. I PGPB sono in grado di esercitare un’attività di
stimolazione indiretta della crescita delle piante, avendo attività antagonista nei confronti di classi diverse di
fitopatogeni, risultano quindi utili nella protezione delle colture e potrebbero trovare impiego in approcci di
lotta integrata. L’attività antagonista comprende diversi meccanismi, quali la competizione per nicchie o
substrati, la produzione di inibitori allelochimici appartenenti alle classi dei siderofori, enzimi litici (1,3
glucanasi, chitinasi), antibiotici, batteriocine e cianidi [Weller, 2007; Berg, 2009].
Appare quindi interessante la possibilità di procedere ad uno studio di screening e di eventuale isolamento di
microrganismi dotati di tale capacità. Obiettivo di questo attività è stato quindi quello di isolare e
caratterizzare ceppi batterici con attività antagonista nei confronti di alcune specie batteriche di fitopatogeni
che interessano mais e riso. I risultati di questo lavoro permetteranno di ottenere e selezionare specifici ceppi
microbici che da soli o in co coltura potranno essere sfruttati come antiparassitari biologici in grado di
proteggere le colture di mais e riso dall’attacco di specifici microrganismi fitopatogeni. L’applicazione di tali
preparati alle colture avrebbe la potenzialità di ridurre l’apporto di antiparassitari chimici alle colture.
Attività svolte
Nel mese di luglio 2011 è stato effettuato il campionamento di piante di mais e riso prelevando campioni di
tessuti radicali e suolo rizosferico, utilizzati per l’isolamento di batteri da saggiare per l’attività di biocontrollo
contro fitopatogenei rilevanti per le stesse colture cerealicole.
In laboratorio i campioni di tessuto radicale e suolo rizosferico sono stati processati entro 24 ore dalla
raccolta per l’isolamento dei microrganismi associati. Il suolo rizosferico, strettamente adeso alle radici è
stato separato da quest’ultime attraverso il metodo “pull and shake”. Le radici sono quindi state sterilizzate in
superficie attraverso cicli di trattamento con etanolo ed ipoclorito di sodio per eliminare i microrganismi
adesi sulla superficie radicale e permettere successivamente lo studio delle comunità batteriche endofite che
colonizzano l’interno dei tessuti radicali [Su net al., 2009]. I campioni vegetali così trattati sono stati usati
come inoculi per l’isolamento su terreni colturali specifici per (i) Attinobatteri [Locci, 1989] (ii) batteri con
attività ACC deaminasica (come precedentemente descritto nelle Attività del WP2 e WP3). L’interesse si è
focalizzato su questi gruppi procarioti in quanto gli attinomiceti sono noti per essere coinvolti nella
produzione di sostanze bioattive con ampio spettro di attività fungicida [Barakate et al., 2002; El Mehalawy et
al., 2004; Jain and Jain, 2007], ed i batteri con attività ACC demminasica sono noti per il loro coinvolgimento
nei processi di fitostimolazione e di protezione della crescita vegetale.
E’ stata così generata una collezione microbica di circa 300 isolati batterici endofiti e rizosferici provenienti da
piante di mais e riso da saggiare in vitro come potenziali agenti di biocontrollo. La possibilità di disporre di
ceppi con attività polivalente, fitostimolante (ACC deamminasi) e contemporaneamente anche di
biocontrollo, rappresenterebbe infatti un grande vantaggio per la futura applicazione in campo.
I batteri delle collezioni microbiche generate sono stati saggiati in vitro contro 2 patogeni fungini e 1
patogeno batterico. In particolare sono stati selezionati: (i) quattro diversi ceppi fungini appartenenti alla
specie Fusarium verticillioides (ceppo 2, 3, 10, 12), agente patogeno del marciume della granella di mais [Bush
et al., 2004], (ii) due ceppi fungini di Magnaporthe orzyae, agente patogeno della “blast desease” nel riso
[Wilson and Talbot, 2009], e (iii) un ceppo del patogeno batterico Acidovorax avenae agente eziologico di
diverse fitopatie come la striscia batterica del riso, il marciume del mais e la sterilità della pannocchia del riso
[Song et al., 2004]. Per valutare l’attività di biocontrollo della collezione batterica ottenuta, sono stati
condotti test di inibizione del patogeno in vitro tramite il sistema “dual culture assay” per il quale ai due lati
estremi di una piastra da 9 cm contenente terreno colturale agarizzato sterile è stato inoculato il potenziale
antagonista. La coltura batterica è stata lasciata crescere per 2 giorni aggiuntivi prima di inoculare nel centro
della piastra il fungo patogeno [Berg et al., 2001]. In questa maniera si assicura la sintesi da parte della coltura
batterica di eventuali molecole bioattive contro il patogeno, sintesi che avviene generalmente nella tarda
fase esponenziale/fase stazionaria della crescita, trattandosi generalmente di metaboliti secondari. Dopo 14
gironi di co cultura antagonista patogeno è stato valutato il potenziale effetto di biocontrollo degli isolati di
interesse tramite misura della presenza di un eventuale alone di inibizione o della riduzione della crescita del
fungo (raggio di crescita in piastra).
I batteri che hanno dimostrato attività di biocontrollo nei confronti dei funghi patogeni sono stati sottoposti a
saggi in vitro per valutare le potenziali attività coinvolte nell’antagonismo quali la produzione di siderofori
[Schwyn and Neilands, 1997], il rilascio di esoenzimi quali proteasi e chitinasi [Nielsen and Sørensen, 1997], la
sintesi di sostanze tossiche quali ammoniaca [Cappuccino and Sherman, 2005).] e cianati [Lorck, 2004]. Tali
saggi contribuiranno alla comprensione del meccanismo alla base dell’antagonismo.
Infine, i batteri coinvolti nei processi di biocontrollo sono stati identificati mediante il sequenziamento del
gene 16S rRNA.
Risultati ottenuti
La collezione di isolati batterici ottenuta da piante di riso e mais è stata saggiata in vitro per valutare il
potenziale di biocontrollo in essa presente. In particolare è stata saggiata la capacità degli isolati di inibire la
crescita di (i) due patogeni fungini, quali Fusarium verticillioides e Magnaporthe orza e (ii) di un patogeno
batterico, quale Acidovorax avenae.
I risultati mostrano che nessuno dei batteri con attività ACC deaminasica ha dimostrato attività di
biocontrollo nei confronti dei quattro ceppi di F. verticillioides, a differenza degli attinobatteri. In particolare
solo i ceppi M ACT1, M ACT2 e M ACT3, sono in grado di inibire la crescita di più ceppi di F. verticillioides
contemporaneamente. In particolare, i dati mostrano che il ceppo M ACT1, affiliati alla specie Burkholderia
ambifaria è in grado di inibire la crescita di tutti e quattro i ceppi fungini testati, il ceppo M ACT2, anch’esso
affiliato alla specie Burkholderia ambifaria, è attivo contro 3 ceppi fungini, mentre l’isolato M ACT3, affiliato
al genere Streptomyces, è risultato attivo solo contro 2 ceppi. In Figura 1 è riportato il grafico relativo
all’inibizione della crescita dei quattro ceppi mediato dagli attinobatteri isolati da piante di mais.
Figura 1. (A) Effetto di inibizione dellacrescita dei quattro ceppi di Fusariumvalutato come raggio di crescita delfungo in piastra. T test ***= p<0,001;CP= controllo positivo, crescita delfungo in piastra senza sfida diantagonismo. (B) Effetto di inibizionedella crescita dei quattro ceppi diFusarium valutato come percentuale diinibizione. (C) Immagini relative al testin piastra.
Al contrario, nella collezione batterica isolata da piante di riso, sia attinobatteri che batteri con attività ACC
deaminasica (ACCd) hanno presentato attività di inibizione in vitro nei confronti della crescita di
Magnaporthe orzyzae. In particolare, cinque ceppi di attinomiceti, tutti affiliati al genere Arthrobacter, e 8
ceppi ACCd appartenenti ai generi Bacillus, Enterobacter, Pantoea e Kluyvera, hanno mostrato una riduzione
della crescita nei confronti di almeno uno dei due ceppi di M. oryzae. Le percentuali di inibizione della crescita
mediate da questi ceppi variano dal 22% al 46,4% per gli attinobatteri (Figura 2) e dal 9,9% al 38% nel caso di
batteri ACCd (Figura 3).
Figura 2. Effetto di inibizione della crescita del (A) ceppo A e del (B) ceppo B di M. oryzae da parte diattinobatteri valutato come riduzione del raggio di crescita del fungo in piastra. Sotto ai grafici delle misuresono riportate le rispettive percentuali di inibizione della crescita. T test ***= p<0,001; **= p<0,01; CP=controllo positivo, crescita del fungo in piastra senza sfida di antagonismo. (C) Immagini relative al test inpiastra.
Figura 3. Effetto di inibizione della crescita del (A) ceppo A e del (B) ceppo B di M. oryzae da parte di battericon attività ACC deamminasica, valutato come riduzione del raggio di crescita del fungo in piastra. Sotto aigrafici delle misure sono riportate le rispettive percentuali di inibizione della crescita. T test ***= p<0,001;**= p<0,01; CP= controllo positivo, crescita del fungo in piastra senza sfida di antagonismo.
E’ stata quindi saggiata la capacità di 100 ceppi di attinobatteri e 29 ceppi ACCd, tutti isolati da piante di riso
sottoposte a diversi regimi colturali, di inibire la crescita del patogeno batterico Acidovorax avenae. I risultati
preliminari mostrano come 13 attinobatteri siano in grado di inibire la crescita in vitro di questo patogeno con
un effetto di inibizione che produce aloni di inibizione variabili tra 0,30±0,08 a 0,85±0,06 mm (Figura 4)
Figura 4. Effetto di inibizione della crescita del ceppo batterico Acidovorax avenae da parte di attinobatteri,valutato come riduzione della crescita batterica in millimetri (mm).
I 16 ceppi batterici che hanno mostrano attività di biocontrollo in vitro nei confronti di patogeni fungini sono
stati sottoposti a test volti a comprendere i meccanismi di inibizione della crescita. Sono state valutate in vitro
la capacità di produrre enzimi litici quali proteasi, cellulasi e glucanasi, la produzione di sostanze tossiche
quali ammoniaca e la produzione di molecole chelanti per il ferro, che impediscono l’assimilazione di questo
elemento essenziale per la crescita e proliferazione dei patogeni fungini. Tali saggi contribuiranno alla
comprensione del meccanismo alla base dell’antagonismo. Le attività più diffuse risultano essere la
produzione di ammoniaca effettuata da 14 ceppi e la sintesi di siderofori effettuata da 12 ceppi. Nessun
ceppo si è dimostrato in grado di produrre cellulasi e glucanasi mentre 5 ceppi sono risultati in grado di
produrre proteasi (Tabella 1). Sulla base dei test PGP effettuati, la sintesi di ammoniaca è risultata l’attività
principale di interferenza sulla crescita fungina, attività presentata da circa l’80% dei ceppi che hanno
mostrato antagonismo nei confronti dei fitopatogeni saggiati.
Inoltre, i dati ottenuti fino ad ora evidenziano una stringente selettività esercitata dalla pianta nei confronti
delle popolazioni associate in quanto solo i ceppi isolati dall’apparato radicale di una coltura presentano
attività antagonista verso il patogeno che affligge la stessa specie vegetale. Infatti, come mostrato in Tabella
1, solo i ceppi batterici isolati da mais sono in grado di esercitare un’attività di biocontrollo verso Fusarium,
patogeno fungino anch’esso isolato da piante di mais. Lo stesso vale per il modello riso, dove solo i ceppi
naturalmente associati a questa coltura sono capaci di inibire la crescita di M. oryzae .
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
Alon
edi
inib
izion
e(m
m)
Tabella 1. Identificazione filogenetica e test PGP dei batteri che hanno mostrato attività di biocontrollo neiconfronti dei ceppi di Fusarium e Magnaporthe saggiati. In grassetto sono evidenziate le attività PGP deiceppi più attivi nell’attività di biocontrollo.
Ricadute operative
L’uso di agro farmaci di sintesi ha sicuramente aiutato l’agricoltura in questo secolo, ma anche in questo caso
con forti ripercussioni sull’intero ecosistema agricolo. L’elevato costo dei prodotti fitosanitari ed il loro critico
impatto ambientale rendono prioritaria la messa a punto di strategie alternative di difesa delle piante tese a
ridurre, se non escludere, l’impiego di questi prodotti. Fino ad oggi le strategie alternative ed ecosostenibili
adottate si fondano essenzialmente sui principi di lotta agronomica basata sulla scelta varietale e sul controllo
della concimazione azotata. Ulteriori prospettive sono recentemente emerse in seguito all’individuazione di
microrganismi naturalmente associati alle piante ed in grado di contrastare lo sviluppo di agenti fitopatogeni
esercitando una funzione di biocontrollo attraverso fenomeni di competizione per nicchie ecologiche e
substrati, produzione di inibitori, sostanze allochimiche, antibiotici, cianidi ed enzimi litici. Esistono indicazioni
sempre più chiare riguardanti il ruolo di questi batteri, naturalmente associati alle piante, nell’esercitare un
effetto di protezione nei confronti di fitopatogeni sia di natura batterica che fungina. Il presente studio si è
concentrato pertanto sull’isolamento e la caratterizzazione di batteri coinvolti nei processi di biocontrollo dei
principali patogeni del riso (Magnaporte sp.) e del mais (Fusarium sp.) riscontrati in Lombardia, focalizzando
le procedure di isolamento su due categorie di batteri potenzialmente antagonisti. Sono stati infatti utilizzati
terreni colturali per selezionare (i) attinobatteri, già noti in letteratura per le loro attività di biocontrollo verso
molteplici fitopatogeni, e (ii) batteri con attività ACC deaminasica che grazie alle potenzialità di promozione
della crescita vegetale potrebbero essere sfruttati per la formulazione di prodotti con attività di biocontrollo,
e al tempo stesso biofertilizzante, in pratiche agricole sostenibili contribuendo a ridurre l’utilizzo di sostante
di sintesi.
La selezione di batteri associati a piante di riso e mais ha permesso di valutare il potenziale di biocontrollo nei
confronti di patogeni fungini e batterici associati alle diverse varietà cerealicole studiate e alle diverse
pratiche colturali con lo scopo di individuare ceppi antagonisti in grado di minimizzare le perdite produttive e
capaci quindi di contribuire al miglioramento complessivo della produttività cerealicola Lombarda.
I risultati ottenuti da questo studio mostrano come le stesse piante siano in grado di selezionare comunità
batteriche con un intrinseca attività antagonista nei confronti delle principali fitopatologie capaci di infettare
le stesse varietà vegetali. È infatti da sottolineare il fatto che non è stato trovato nessun ceppo isolato da
piante di mais capace di inibire la crescita dei fitopatogeni fungini del riso, e viceversa. Gli isolati selezionati
costituiscono quindi un interessante presupposto per la costituzione di formulati con attività di biocontrollo
specifiche in grado di proteggere le diverse colture cerealicole dai principali patogeni di interesse, riducendo
così la richiesta di apporti di agro farmaci di sintesi. Allo stesso tempo le potenzialità di promozione della
crescita vegetale dei ceppi selezionati rappresenterebbe un valore aggiunto al prodotto che potrebbe rivelarsi
molto utile nelle applicazioni di campo.
Conclusioni
I risultati qui riportati mettono in evidenza il grande potenziale di biocontrollo della collezione di ceppi isolati
da endosfera e rizosfera di riso e mais. In particolare, i risultati mostrano una stringente specificità di
inibizione della crescita del patogeno a seconda della pianta di origine. Infatti, solo i ceppi isolati dall’apparato
radicale sia del riso sia del mais presentano attività antagonista verso il patogeno isolato dalla stessa coltura.
Nel caso del riso, l’attività antagonista nei confronti di M. orza risulta presente in attinomiceti affiliati al
genere Arthrobacter (4 ceppi) e in 8 ceppi batterici con attività ACC deaminasica identificati come
appartenenti ai generi Bacillus, Klebsiella, Enterobacter, Pantoea e Kluyera. Al, contrario, nel caso del mais
solo tre ceppi hanno presentato attività di biocontrollo nei confronti di F. verticillioides, appartenenti ai
generi batterici Burkholderia sp. e Streptomyces sp..
Grazie ai test in vitro è stato possibile stabilire quale fosse l’attività antagonista maggiormente rappresentata
tra gli isolati e quindi possibile responsabile dell’inibizione stessa. Nel dettaglio, la sintesi di ammoniaca
risulta essere il meccanismo più diffuso coinvolto nell’interferenza sulla crescita fungina, seguito dalla
produzione di siderofori e proteasi. Al contrario, enzimi idrolitici come glucanasi e cellulasi non
sembrerebbero essere coinvolte nei processi di inibizione mediati da questi batteri.
Future ricerche dovranno approfondire le conoscenze sulla diversità metabolica e genetica dei ceppi che
hanno dimostrato in vitro ed in vivo attività PGP, per una futura applicazione in campo di formulati batterici
con attività biofertilizzanti e di biocontrollo. L’utilizzo di microrganismi PGP si presenta quindi come uno
strumento potenzialmente efficace nel limitare l’utilizzo di fertilizzanti, fitofarmaci e l’irrigazione di supporto,
contribuendo ad alleviare le conseguenze negative dei problemi climatici ed ambientali nell’ambito
dell’odierna agricoltura.
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