quando la fotografia diventa arte?
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Questo saggio intende esplorare e rivelare i passaggi storici, filosofici e sociali che hanno portato ad una connotazione artistica della fotografia. Si tratta altresì di una riflessione personale nella quale cerco di svelare alcuni assunti (che molto spesso vengono dati per scontati) che intervengono quando utilizziamo la parola 'arte': che cos'è l'arte, quale è il significato di questa parola?TRANSCRIPT
A cura di 08-02-2011 Toffoletti Cristiano
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea in DAMS Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
Curriculum Cinema e Televisione
Insegnamento di Storia della Fotografia
QUANDO LA FOTOGRAFIA DIVENTA ARTE
Prima di avventurarci in un mondo vasto e delicato come l’Arte, è necessario delineare un percorso; un percorso già battuto da altri prima di noi, ma riscoprirlo ci permetterà di creare i presupposti che poi ci aiuteranno meglio a capire questo passaggio: “ quando la Fotografia diventa Arte”. Mi riferisco alla nascita della Fotografia.
Per citare una frase del polisemico scrittore Roland Barthes “si dice sovente che a inventare la Fotografia (trasmettendole l’inquadratura, la prospettiva albertiana e l’ottica della camera obscura) siano stati i pittori. Io invece dico: sono stati i chimici”. Difatti, la caratteristica fondamentale della fotografia, è la capacità di captare e fissare direttamente i raggi luminosi emessi da un oggetto variamente illuminato. Una scoperta che ha permesso e permette ancora oggi di fruire materialmente delle immagini, e ci permette di riconoscere frammenti della realtà colte in frazioni di tempo. Una testimonianza dell’ “è stato”.
Lo sviluppo di dispositivi ottici come le camere obscure sarebbe potuto rimanere confinato nel contesto della pittura come semplice ausilio al servizio dell’artista intento a cogliere e rappresentare il più fedelmente possibile le infinite sfumature che la realtà porta naturalmente con sé.
L'interesse per la produzione di immagini senza l'intervento dell'uomo scaturì dagli studi di Joseph Nicéphore Niépce, precisamente da studi derivanti la litografia. Sperimentando diverse tecniche Niépce riesce ad ottenere, nel 1826, la sua prima immagine disegnata dalla luce (dopo aver steso uno strato di bitume di Giudea ridotto in polvere e disciolto in essenza di lavanda; Unico imprevisto: il risultato del suo lavoro non è fissato e quindi si annerisce progressivamente al contatto con la luce. Il suo impegno è dedicato, in questi anni, al miglioramento della nitidezza dell'immagine. Nel 1827, durante un viaggio a Parigi, conosce Daguerre e Lemaitre che in seguito diventeranno suoi collaboratori. Nel 1829 fonda con Daguerre un'associazione per il perfezionamento dei materiali fotosensibili consistenti in un’unica lastra di metallo, di solito rame, ricoperto da un velo d’argento, reso poi sensibile alla luce mediante l’esposizione ai vapori di iodio. Muore tuttavia prima di vedere riconosciuta l'importanza delle sue ricerche. Nel 1837, dopo un decennio di tentativi infruttuosi Daguerre mette finalmente appunto un procedimento per ottenere immagini ottiche permanenti con l’aiuto di una camera oscura e mediante il processo di sensibilizzazione, esposizione, sviluppo e fissaggio. La “sua” invenzione raccolse consensi a livello internazionale e venne adottata da subito come strumento “ufficiale”, anche se, successivamente, convisse negli studi dei professionisti con altri procedimenti. I primi decenni dell’Ottocento sono comunque caratterizzati dalla presenza di numerosi ricercatori che sperimentano i più diversi materiali e supporti allo scopo di sviluppare altrettanti differenti procedimenti. Un esempio ne è la Calotipia, così battezzata dalla parola greca Kalòs(bello) e Tipos(copia) , Il suo maggior rappresentante fu l’inglese Fox Talbot che trovò un sistema in grado di fissare le impressioni luminose su superfici in negativo;Dove con il termine “negativo” si indicava la copia originale dalla quale era possibile ottenere, per contatto, delle copie successive: i “positivi”. Nonostante il processo di Talbot risulti essere una rappresentazione semplificata dal punto di vista chimico del procedimento di Daguerre tuttavia non consente nell’immediato né un risparmio nei tempi di esposizione(30 o più minuti), né una migliore qualità dell’immagine; Le sue qualità, si affermarono così solo molti decenni dopo e risultarono vincenti fino a pochi anni fa. La notevole competizione tra le diverse nazioni per accaparrarsi i brevetti allo scopo di sfruttare commercialmente le idee proprie o altrui(ormai poco importa) farà comunque “il gioco” della Fotografia in generale, un successo che le garantirà un posto in prima fila in campi come le scienze la cultura e le arti. In primis fu lo stesso Talbot a suggerire l’uso scientifico dello strumento fotografico. Abbiamo i primi tentativi di imprimere sulle lastre le immagini degli astri, qualcun altro quelle delle forme di vita più piccole, collegando un’apparecchi fotografico ai telescopi o microscopi. In campo culturale le principali nazioni occidentali incaricano fotografi professionisti di registrare immagini dei principali monumenti nazionali e stranieri, mentre vengono pubblicati volumi con le immagini dei più noti siti architettonici e archeologici del mondo. Per quanto riguarda le arti invece, il discorso è un po’ diverso. Lo scopo del dispositivo fotografico, rispetto a quello dell’arte pittorica, era sostanzialmente coincidente, soprattutto in quel determinato periodo storico di inizio secolo, nel pieno dell’età dei lumi e della scienza, entrambi votati quindi a scrutare e indagare minuziosamente la realtà e cercare di riprodurla il più fedelmente possibile. Gli ovvi vantaggi del dispositivo fotografico rispetto alla pittura, come: la restituzione istantanea del soggetto e il realismo fecero entrare di prepotenza la fotografia nel mondo dell’arte la quale surrogò la pittura, con conseguenti tensioni tra i personaggi di spicco dei due mondi. Non tutto il male venne per nuocere; dopo qualche tempo, iniziarono a comprendere. Entrambe, potevano imparare l’una dall’altra cogliendo quelle particolari essenze che erano peculiari di
ognuna, e integrarle, ampliando così l’orizzonte delle possibilità che potevano offrire. Iniziarono dunque a dialogare. Fu così che, schiere di artisti rimasti fedeli al mezzo pittorico, cominciarono ad utilizzare appieno la fotografia per documentarsi e per procurarsi modelli visivi senza doversi sottoporre a costose ricostruzioni o lunghi spostamenti. Dal canto suo, la fotografia, giudicata fino all’ora un prodotto meccanizzato quindi privo di quella spiritualità che permeava i dipinti, per meglio integrarsi nel mondo dell’arte, iniziò a sviluppare intenzioni estetiche, cercando di emulare in vari aspetti la pittura, riducendo in primis, la concezione referenziale con il soggetto. La fotografia approda al pittorialismo. Contemporaneamente, la pittura, impossibilitata a competere in quanto realismo con i nuovi strumenti, elabora nuove e più potenti forme espressive che culminano nel movimento impressionista. (cercare di restituire l’impressione del momento, del “cogli l’attimo”, annullando quindi le fasi preparatorie, la prospettiva viene subordinata al punto di vista e grande importanza viene conferita alla soggettività del pittore). La presa di coscienza più ampia, la fotografia, la acquisisce negli anni ’90 dell’800 con Stiglitz; Partendo da modalità Pittorialiste, Stiglitz capisce che la foto può affidarsi completamente alla realtà. Attraverso la consapevolezza che la realtà è già formalizzata in sé stessa, è sufficiente(ma non sempre facile) interpretare con la dovuta sensibilità ciò che già c’è; Proprio in questi anni abbiamo uno dei primi interventi di scrittura con lo scopo di conferire dignità al mezzo fotografico. Teorizzando una relazione con l’occhio umano, si cerca di recuperare gli specifici fotografici che le sono sempre appartenuti(Geometria; Composizione; Sottrazione; Contrasti; Pieni e vuoti; ecc). La fotografia diventa indipendente e inizia a costruirsi una propria identità, sono proprio gli anni ’90 che decretano la nascita della fotografia come istituzione. Ora può finalmente coesistere ufficialmente anche tra gli enti artistici. Ogni progresso, porta inevitabilmente a liberare nuove strade da percorrere ma pone anche di fronte, nuove problematiche da risolvere. Il dibattito che scaturì successivamente a questa presa d’identità della fotografia e lungi dall’essere concluso ancora oggi, può essere espresso con una domanda: ”ma, quando è possibile considerare una fotografia( impronta della realtà, colta attraverso procedimenti meccanici o chimici..) come arte? e quando invece, rimane una mera riproduzione oggettiva del reale? Dal momento che, in entrambi i casi, di realtà si parla e raramente frammenti di realtà vanno a finire esposti in gallerie d’arte; A meno che non ci sia in mezzo lo “zampino” dell’uomo. Forse, proprio per questo, dovremmo indagare, più che il soggetto rappresentato, cioè la realtà, le modalità o le intenzioni con cui la stessa viene colta. Fu Stiglitz, in principio, ad esplorare le categorie dell’ estetismo e del formalismo (caratteristiche dell’arte) associate all’immagine fotografica, attraverso lo studio di come la fotografia si sia legata alla pittura per ricomporre un linguaggio. L’arte a quel tempo, per essere considerata tale, passava attraverso un apprendistato “obbligatorio” fatto di canoni che ricalcavano i gusti ufficiali e in grado di riproporre la natura e le fattezze umane. Proprio basandosi su questi “canoni prestabiliti” che l’arte doveva possedere, Stiglitz ne derivò che anche una fotografia che veicola il proprio linguaggio all’attività artistica, deve produrre delle immagini che si attengano a dei codici estetici ben precisi. I codici estetici coincidevano con i valori ancorati allo specifico fotografico come: l’aspetto grafico, alternanza tra pieni e vuoti, i contrasti, le geometrie, le informazioni, i dettagli, le sfumature ecc.. Attraverso l’uso retorico di elementi linguistici, come questi sopracitati, le fotografie artistiche potevano essere analizzate da gruppi di professionisti che utilizzavano dei codici universali, universali in quanto conosciuti. Questo, secondo Stiglitz, era il giusto approccio che l’operatore avrebbe dovuto avere nei confronti della fotografia, qualora il suo scopo fosse produrre arte.
Oggi, dopo centosettanta anni dalla sua nascita, gli orizzonti della fotografia si sono ampliati notevolmente. A questo punto, alla luce della storia, ripercorsa a grandi linee, dalla sua nascita fino all’entrata di diritto nel mondo delle arti, come intendiamo nel ventunesimo secolo la fotografia? Quali sono oggi, piuttosto che in passato, i parametri per distinguere una semplice fotografia( si fa per dire) da una fotografia che pretende di essere un’opera d’arte e che troviamo esposta nelle gallerie o pubblicata nelle riviste di settore? L’arte, come la conosciamo oggi, è molto cambiata rispetto a come si presentava alla fine dell’800. E’ possibile affermare che, da quando è comparsa la fotografia e da quando si è integrata nel mondo delle arti, l’arte stessa è letteralmente “impazzita”; La fotografia ha surrogato la funzione che in origine aveva la pittura (che comprendeva la quasi totalità delle espressioni artistiche) e quindi dell’ arte in generale. Per continuare a convivere pacificamente la pittura dovette prendere altre vie mentre la fotografia si è evoluta. L’esempio più eclatante, che ha testimoniato questo cambiamento nell’arte e di conseguenza anche nella fotografia, può essere ricondotto alla figura di Duchamp, colui che prese un orinatoio da un locale pubblico, lo tolse dal suo contesto funzionale e lo portò in un museo proponendolo come opera d’arte. La posizione assunta da Stiglitz diventò minoritaria nel momento in cui è entrato in campo l’uso dell’arte, in questo caso della fotografia in senso concettuale. Da quel momento, i valori estetici e formali hanno perso di rilevanza, in favore di un’impronta concettuale proveniente dal Futurismo prima e Dadaismo poi (primi decenni del ‘900). Che definizione diamo della fotografia oggi? Il dispositivo che genera l’immagine fotografica è di tipo Meccanico-‐Fisico-‐Chimico. Una fotografia, per essere considerata tale, le basta essere un’impronta referenziale di replica diretta della realtà fenomenica, colta in una particolare circostanza spazio temporale. A partire dal ruolo che svolge la fotografia nella società, è considerata inoltre, come parte del sistema comunicativo moderno e come tale, trattata dalla semiologia come un segno; Un segno è l’unità costitutiva del linguaggio(esistono un infinità di segni). Il codice invece è un’insieme di norme o leggi che permettono una serie di corrispondenze tra i vari segni e tra gli elementi all’interno dei segni stessi, grazie al codice è possibile riconoscere i vari segni, farli interagire e quindi comunicare, a patto che il codice utilizzato si riferisca al medesimo sistema di appartenenza dei segni. Il segno è a sua volta costituito da due aspetti indissolubilmente legati tra di loro: il significante e il significato. Con significante intendiamo la “veste” del segno, può essere grafica, fonetica, cinesica comunque coincidente con il piano dell’espressione(carattere denotativo). Con il significato intendiamo l’informazione che è veicolata da quel preciso significante e che coincide con il piano della comprensione(carattere connotativo). In linea puramente teorica, l’immagine fotografica, è un’impronta referenziale della realtà fenomenica e come tale, possiede un carattere denotativo che non necessita di codici per essere letto. Tuttavia le immagini fotografiche non sono dei messaggi privi di codice; Esse subiscono l’influenza di una sovrastruttura la cui natura è socio-‐culturale e coincide con la coscienza dell’ operator. L’ uomo, in quanto dotato di coscienza, è per natura inadeguato alla riproduzione neutra della
realtà, finisce sempre per interpretarla, filtrandola con ideologie,condizionamenti storici, esperienze personali ecc.. Questa sovrastruttura conferisce un valore aggiunto all’immagine fotografica, che così, viene connotata creando un significato. La fotografia a questo punto possiede sia un significante che un significato, diventa così un segno e come tale, veicola un messaggio. Allo spectator, che è il fruitore materiale delle immagini fotografiche, si rivela necessario, ai fini di una corretta interpretazione del messaggio, possedere(di foto in foto) il medesimo codice utilizzato dall’operator per connotare l’immagine, così che lo spectator possa decodificare il “messaggio-‐foto” cioè rimettere esplicito il significato dell’immagine e quindi leggerla correttamente. Per facilitare questa operazione, la “società” ha scelto convenzionalmente che tutte le fotografie che sono state connotate con uno stesso codice, in questo caso, che sono state prodotte con il medesimo proposito, vengano, sempre per convenzione, automaticamente raggruppate a partire dai rispettivi contesti d’appartenenza. Da qui nascono le cosiddette categorie, come per esempio le foto a destinazione giornalistica o fotografia etnografica piuttosto che la categoria scientifica o quella didascalica per arrivare anche alle categorie di foto che ognuno di noi produce magari in vacanza o in occasioni particolari allo scopo di testimoniare l’evento. L’attuazione di questi espedienti di raggruppamento semantico, facilitano di molto il compito di analisi-‐giudizio dello spectator ;Infatti, conoscendo il contesto Storico-‐Socio-‐Culturale che ha generato talune foto, si riesce a ricavare la giusta chiave di lettura. Partendo dai presupposti che abbiamo esposto, mentre cercavamo di definire il linguaggio dell’immagine fotografica, abbiamo detto che, l’operator, a seconda della funzione che andrà a ricoprire la fotografia e che coinciderà con l’appartenenza ad una categoria piuttosto che un’altra, opera la scelta del codice che sarà più adatto a connotare l’immagine che si appresta a cogliere. Ma nel caso l’operator desideri cogliere nel flusso continuo e confuso della realtà fenomenica una combinazione artistica, che codice dovrebbe usare per riuscire a connotare l’immagine in quel senso? Beh, che codice utilizza un’artista quando dipinge un quadro? Il suo. Non ci è dato saperlo. Semplicemente perché è impossibile penetrare in maniera profonda nella mente di una persona, a maggior ragione mentre sta cercando di esprimere concetti, emozioni, pensieri o dinamiche di natura astratta e imprimerle nella materia. Diversamente, possiamo evincere il codice connotativo di un fotografo, intento a catturare i momenti salienti di un matrimonio: il perché abbia preferito scegliere di catturare il momento dello scambio delle fedi piuttosto che quello in cui lo sposo si soffia il naso o il perché ha scelto di inquadrare figure intere o primissimi piani, magari per esaltare il makeup impeccabile della sposa o l’eleganza del vestito bianco. Nel caso delle fotografie cosiddette artistiche, forse oseremo semplicemente affermare, che più c’è la possibilità di agire sulla connotazione di un segno(foto) più tale segno tenderà all’arte. Fino ad arrivare al punto estremo, per assurdo, quando la connotazione di tale segno sarà totale e quindi rappresenterà o esprimerà pura intenzione. In quel momento sarà arte al 100%. Ho usato il termine intenzione, inteso come il momento preciso dove avviene una manifestazione esteriore di un concetto appartenente alla mente (o allo spirito); esattamente la definizione elementare e sufficiente che diamo oggi dell’arte, in generale.
Viceversa, più il segno subisce il processo inverso, cioè quello della denotazione, più si avvicinerà ad un codice universale, o un non codice se preferiamo. Quindi più quel segno sarà rappresentazione di un concetto percepito in maniera identica da tutti, più quel segno sarà una manifestazione diretta o espressione referenziale della realtà concreta (non necessitiamo di alcun tipo di codice per percepirla o “leggerla correttamente” ). Potremmo affermare che un segno fotografico è arte quando è espressione della singolarità, o se preferiamo, dell’ unicità delle peculiarità di un individuo. Arte è quando un segno viene percepito in maniera diversa e personale dallo spectator e non è arte, quando invece, viene percepito in maniera identica da tutti; INFINITA’ DI CODICI DIVERSI = ARTE UN CODICE UNIVERSALE O NON CODICE = NON ARTE Se procedessimo per deduzione, dal momento che tutte le fotografie, per essere considerate tali, devono necessariamente avere un minimo comune denominatore( l’analogia con la realtà) significa che, anche le foto artistiche nascono dallo stesso punto di partenza di tutte le altre, cioè il piano della denotazione, che coincide unicamente con il “lavoro” dell’apparecchio fotografico. Quindi vuol dire che, ogni fotografia prodotta, potrebbe essere una fotografia artistica in potenza. È nei fatti impossibile considerare un’immagine fotografica come puro fatto estetico(artistico), completamente svincolato dalla realtà che l’ha materialmente prodotto. Da questa breve riflessione ne deriva che !’ “Arte” è un aspetto accessorio, non fa una categoria a sé, non può esistere da solo, è sì associabile a tutte le fotografie ma deve per forza essere subordinato ad una struttura più concreta, più empirica, per esempio le categorie fotografiche. In base alla categoria d’appartenenza, sia essa una foto shock o una foto di giornale per scopi documentaristici o quant’altro, ogni fotografia può arricchirsi di un valore aggiunto come l’artisticità, ma non può esistere, ed è una semplice opinione personale, una fotografia che nasce come arte pura. Ma esiste l’arte pura? Data la caratteristica essenziale della fotografia (e non accessoria) di essere un’impronta o traccia di una realtà spazio-‐temporale contingente, rispetto alla pittura, ha limitate capacità di connotazione. Possiede invece altissime capacità di denotazione, sempre rispetto alla pittura, anche se non potrà mai arrivare ad un livello totale di denotazione; Infatti un immagine non è il reale, ma ne è quantomeno l’analogon perfetto. (Il tipo di connotazione effettuabile su un immagine fotografica, come sappiamo, avviene principalmente su due livelli: il primo riguarda una modificazione del reale (angolo ripresa, inquadratura, composizione, prospettive, simbologie ecc..) il secondo livello agisce invece in fase di post produzione (proiezione in positivo,sviluppo, fissaggio, stampa). Mentre per l’arte classica(pittura, scultura) avviene l’esatto contrario. Anche per gli artisti, pittori o scultori che siano, non è possibile arrivare ad un concetto di arte puro al 100%. Dal momento che le immagini della loro mente, per quanto metafisiche, artistiche, personali o individuali che siano, deriveranno sempre da esperienze vissute nella realtà concreta, cioè nella vita oggettiva di tutti i
giorni, per cui avranno sempre un legame con una matrice esterna con cui stabiliranno una referenza nella loro mente(una specie di analogon). Allora… quando una foto raffigura qualcosa di astratto è da considerarsi automaticamente Arte? La natura della fotografia fluttua costantemente tra due tipologie di segno: l’indice e l’icona. L’indice è un segno dove tra il significante e il significato si è stabilita una relazione di continuità dovuta a fattori fisici, per esempio, in un termometro, l’altezza della colonnina di mercurio è indice della temperatura. Esattamente come l’immagine impressa in un rettangolo di carta, che noi chiamiamo fotografia, è indice di un qualcosa che per forza deve essere stato lì in quel preciso momento per aver lasciato una traccia. Il fatto poi, che “l’immagine nel rettangolo” assomigli anche al suo referente fisico fa scivolare il segno fotografico più verso una natura iconica. Infatti l’icona è un segno dove la relazione tra significante e significato è data da un fattore di similitudine o somiglianza in cui l’immagine starà sempre per il contenuto. E’ necessario sottolineare che, mentre la natura indicale dell’immagine fotografica, è intrinseca nella sua natura, l’accezione iconica è dovuta al rapporto di analogia che esso stabilisce con la visione umana. L’immagine fotografica appartiene contemporaneamente a entrambe le tipologie, si tratta solo di stabilire di volta in volta, le giuste proporzioni. A causa della natura indicale della fotografia, abbiamo visto come sia impossibile scindere il vincolo che lega l’immagine fotografica alla sua analogia con il reale: fenomeno dell’astrazione. L’astrazione può avvenire solo a livello di icona e solo agli occhi di chi osserva la fotografia, cioè lo spectator che potrebbe non riconoscere la somiglianza dell’immagine con il suo referente. Quindi l’astrazione, se c’è, può avvenire solo da un punto di vista pragmatico cioè nel rapporto che la fotografia stabilisce con il suo fruitore: l’uomo. L’astrazione in sé, non implica tuttavia un atto connotativo, per esempio, pur non avendo subito processi connotativi, un immagine catturata al microscopio e presentata al di fuori di quel contesto e senza didascalia, difficilmente potrebbe essere ricondotta al suo referente nella realtà. QUANDO LA FOTOGRAFIA DIVENTA ARTE? Questo rapporto ambiguo che la fotografia mantiene nei confronti dei segni, può essere paragonato, in un altro livello , al rapporto altrettanto ambiguo che la fotografia mantiene nei confronti del’arte. Infatti, ogni fotografia può essere artistica o non artistica allo stesso tempo, dipende in che proporzioni l’operator ha deciso di connotarla oppure di limitare al minimo il proprio impatto sull’operazione denotativa che l’apparecchio fotografico naturalmente svolge. Si può dedurre che, come non potrà mai esistere un segno fotografico puramente indicale o iconico, non potrà mai esistere un’immagine fotografica completamente priva dell’aspetto accessorio dell’artisticità; O viceversa, completamente permeata da questo aspetto. Se avessimo un’asse immaginario che collega i due punti estremi: uno che comprende il piano fenomenologico della realtà puramente denotativa e l’altro che comprende l’insieme delle
espressioni più uniche e personali della nostra mente(o spirito) sede delle capacità connotative; Quanto più noi abbiamo la capacità di “spostare” il concetto dell’immagine che vogliamo cogliere verso la dimensione interiore di noi stessi, tanto più quella porzione di realtà conterrà un’accezione artistica. Conclusione Se trasferissimo questo ragionamento su un piano pratico, il segno fotografico, tanto più è arte, quanto più dimostriamo capacità o abilità NON DI ASTRAZIONE MA BENSI’ DI PERSONALIZZAZIONE. Il sapiente uso dello specifico fotografico che interagisce con la continuità della realtà fenomenica e si combina con la coscienza dell’operatore stesso dà origine ad uno stile. La combinazione di questi fattori faranno sì che quel determinato stile sarà personale e non potrà appartenere a nessun’altro operatore. Se partiamo dal presupposto che, personalizzazione o sviluppo di uno stile siano sinonimi, o quantomeno aspetti altamente correlati, sarebbe lecito affermare che, per quanto concerne la fotografia e la fotografia soltanto, più un operatore sviluppa doti stilistiche, più queste aggiungono valore artistico al segno fotografico.
Man Ray è conosciuto soprattutto come fotografo surrealista, fu influenzato dalla lettura dell'interpretazione dei sogni di Freud.
Il primo Manifesto surrealista del 1924, definì così il surrealismo:
« Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale. »
ovvero quel processo in cui l'inconscio ci permette di associare libere parole, pensieri e immagini senza freni inibitori e scopi preordinati. Inoltre esso comprende immagini nitide e reali ma accostandole tra di loro senza alcun nesso logico.
Espediente di connotazione orientato all’esaltazione estetica
La solarizzazione propriamente detta è un'inversione tonale che si manifesta durante lo sviluppo del materiale sensibile. Il materiale è stato soggetto a un’esposizione ulteriore alla luce bianca a circa 2/3 della formazione dell’immagine dentro il bagno di sviluppo. In questo modo, si crea un effetto di contaminazione di positivo e negativo che coesistono in un’unica foto. In questo modo, le parti già sviluppate (le più scure) infatti agiscono come un filtro protettivo, mentre le altre, colpite dalla luce, subiscono un processo di inversione tonale (e sul negativo appariranno positive). Inoltre, fra le zone di diversa densità compare una sottile linea bianca luminosa, detta linea di Mackie, dovuta all'esaurimento locale dello sviluppo.
La foto IMPREVISTA è una foto che non mi aspettavo di ottenere nel momento in cui l’ho
catturata. L’intenzione iniziale era quella di immortalare il volto stanco e segnato di prima mattina del ragazzo in primo piano. L’errore di tempismo, unito a quello dello zoom troppo ridotto per catturare in dettaglio il volto del ragazzo, mi hanno regalato invece una bella composizione. Questo episodio, a mio avviso attesta ulteriormente la natura selvaggia e imprevedibile dell’atto fotografico, la difficoltà da parte nostra di interpretare sempre correttamente il “suo punto di vista” nei confronti della realtà. [Foto di Cristiano Toffoletti]
Espediente di connotazione finalizzato a veicolare un messaggio
In questo caso, l’obiettivo principale è quello di veicolare un’informazione o un messaggio attraverso:
• Scelta del tema • Composizione
In seconda istanza utilizzando codici che si basano sull’utilizzo del cosiddetto specifico fotografico della modificazione della realtà: inquadratura; contrasto; valori tonali; dettaglio/nitidezza; simboli e posa.
STUDIUM & PUNCTUM Lo studium, è il contesto generativo dell’immagine(cultura,informazione,genere,estetica). Lo studium è sempre codificato, il punctum non lo è mai. Il punctum, non si cura della morale o del buon gusto, può apparire osceno ma può anche commuovere. Potrebbe essere considerato un oggetto parziale, non di certo il soggetto intenzionale della foto ma comunque colpisce o ferisce la coscienza di un determinato spettatore. Il Braccialetto. [Foto di Cristiano Toffoletti]