quando la fotografia diventa arte?

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A cura di 08-02-2011 Toffoletti Cristiano UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in DAMS Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo Curriculum Cinema e Televisione Insegnamento di Storia della Fotografia QUANDO LA FOTOGRAFIA DIVENTA ARTE Prima di avventurarci in un mondo vasto e delicato come l’Arte, è necessario delineare un percorso; un percorso già battuto da altri prima di noi, ma riscoprirlo ci permetterà di creare i presupposti che poi ci aiuteranno meglio a capire questo passaggio: “ quando la Fotografia diventa Arte”. Mi riferisco alla nascita della Fotografia. Per citare una frase del polisemico scrittore Roland Barthes “si dice sovente che a inventare la Fotografia (trasmettendole l’inquadratura, la prospettiva albertiana e l’ottica della camera obscura) siano stati i pittori. Io invece dico: sono stati i chimici”. Difatti, la caratteristica fondamentale della fotografia, è la capacità di captare e fissare direttamente i raggi luminosi emessi da un oggetto variamente illuminato. Una scoperta che ha permesso e permette ancora oggi di fruire materialmente delle immagini, e ci permette di riconoscere frammenti della realtà colte in frazioni di tempo. Una testimonianza dell’ “è stato”. Lo sviluppo di dispositivi ottici come le camere obscure sarebbe potuto rimanere confinato nel contesto della pittura come semplice ausilio al servizio dell’artista intento a cogliere e rappresentare il più fedelmente possibile le infinite sfumature che la realtà porta naturalmente con sé.

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Questo saggio intende esplorare e rivelare i passaggi storici, filosofici e sociali che hanno portato ad una connotazione artistica della fotografia. Si tratta altresì di una riflessione personale nella quale cerco di svelare alcuni assunti (che molto spesso vengono dati per scontati) che intervengono quando utilizziamo la parola 'arte': che cos'è l'arte, quale è il significato di questa parola?

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Page 1: Quando La Fotografia Diventa Arte?

A cura di 08-02-2011 Toffoletti Cristiano  

 

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA  

Corso di laurea in DAMS Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo

Curriculum Cinema e Televisione

 

Insegnamento di Storia della Fotografia

 

QUANDO LA FOTOGRAFIA DIVENTA ARTE

 

Prima  di  avventurarci  in  un  mondo  vasto  e  delicato  come  l’Arte,  è  necessario  delineare  un  percorso;  un  percorso  già  battuto  da  altri  prima  di  noi,  ma  riscoprirlo  ci  permetterà  di  creare  i  presupposti  che  poi  ci  aiuteranno  meglio  a  capire  questo  passaggio:  “  quando  la  Fotografia  diventa  Arte”.  Mi  riferisco  alla  nascita  della  Fotografia.  

Per  citare  una  frase  del  polisemico  scrittore  Roland  Barthes  “si  dice  sovente  che  a  inventare  la  Fotografia  (trasmettendole  l’inquadratura,  la  prospettiva  albertiana  e  l’ottica  della  camera  obscura)  siano  stati  i  pittori.  Io  invece  dico:  sono  stati  i  chimici”.    Difatti,  la  caratteristica  fondamentale  della  fotografia,  è  la  capacità  di  captare  e  fissare  direttamente  i  raggi  luminosi  emessi  da  un  oggetto  variamente  illuminato.    Una  scoperta  che  ha  permesso  e  permette  ancora  oggi  di  fruire  materialmente  delle  immagini,  e  ci  permette  di  riconoscere  frammenti  della  realtà  colte  in  frazioni  di  tempo.  Una  testimonianza  dell’  “è  stato”.  

Lo  sviluppo  di  dispositivi  ottici  come  le  camere  obscure    sarebbe  potuto  rimanere  confinato  nel  contesto  della  pittura  come  semplice  ausilio  al  servizio  dell’artista  intento  a  cogliere  e  rappresentare  il  più  fedelmente  possibile  le  infinite  sfumature  che  la  realtà  porta  naturalmente  con  sé.    

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L'interesse  per  la  produzione  di  immagini  senza  l'intervento  dell'uomo  scaturì  dagli  studi  di  Joseph  Nicéphore  Niépce,  precisamente  da  studi  derivanti  la  litografia.  Sperimentando  diverse  tecniche  Niépce  riesce  ad  ottenere,  nel  1826,  la  sua  prima  immagine  disegnata  dalla  luce  (dopo  aver  steso  uno  strato  di  bitume  di  Giudea  ridotto  in  polvere  e  disciolto  in  essenza  di  lavanda;  Unico  imprevisto:    il  risultato  del  suo  lavoro  non  è  fissato  e  quindi  si  annerisce  progressivamente  al  contatto  con  la  luce.  Il  suo  impegno  è  dedicato,  in  questi  anni,  al  miglioramento  della  nitidezza  dell'immagine.  Nel  1827,  durante  un  viaggio  a  Parigi,  conosce  Daguerre  e  Lemaitre  che  in  seguito  diventeranno  suoi  collaboratori.  Nel  1829  fonda  con  Daguerre  un'associazione  per  il  perfezionamento  dei  materiali  fotosensibili  consistenti  in  un’unica  lastra  di  metallo,  di  solito  rame,  ricoperto  da  un  velo  d’argento,  reso  poi  sensibile  alla  luce  mediante  l’esposizione  ai  vapori  di  iodio.  Muore  tuttavia  prima  di  vedere  riconosciuta  l'importanza  delle  sue  ricerche.  Nel  1837,  dopo  un  decennio  di  tentativi  infruttuosi  Daguerre  mette  finalmente  appunto  un  procedimento  per  ottenere  immagini  ottiche  permanenti  con  l’aiuto  di  una  camera  oscura  e  mediante  il  processo  di  sensibilizzazione,  esposizione,  sviluppo  e  fissaggio.  La  “sua”  invenzione  raccolse  consensi  a  livello  internazionale  e  venne  adottata    da  subito  come  strumento  “ufficiale”,  anche  se,  successivamente,  convisse  negli  studi  dei  professionisti  con  altri  procedimenti.  I  primi  decenni  dell’Ottocento  sono  comunque  caratterizzati  dalla  presenza  di  numerosi  ricercatori    che  sperimentano  i  più  diversi  materiali  e  supporti  allo  scopo  di  sviluppare  altrettanti  differenti  procedimenti.  Un  esempio  ne  è  la  Calotipia,  così  battezzata  dalla  parola  greca  Kalòs(bello)  e  Tipos(copia)  ,  Il  suo  maggior  rappresentante  fu  l’inglese  Fox  Talbot  che  trovò  un  sistema  in  grado  di  fissare  le  impressioni  luminose  su  superfici  in  negativo;Dove  con  il  termine  “negativo”  si  indicava  la  copia  originale  dalla  quale  era  possibile  ottenere,  per  contatto,  delle  copie  successive:  i  “positivi”.      Nonostante  il  processo  di  Talbot  risulti  essere  una  rappresentazione  semplificata  dal  punto  di  vista  chimico  del  procedimento  di  Daguerre  tuttavia  non  consente  nell’immediato  né  un  risparmio  nei  tempi  di  esposizione(30  o  più  minuti),  né  una  migliore  qualità  dell’immagine;  Le  sue  qualità,  si  affermarono  così  solo  molti  decenni  dopo  e  risultarono  vincenti  fino  a  pochi  anni  fa.        La  notevole  competizione  tra  le  diverse  nazioni  per  accaparrarsi  i  brevetti  allo  scopo  di  sfruttare  commercialmente  le  idee  proprie  o  altrui(ormai  poco  importa)  farà  comunque  “il  gioco”  della  Fotografia  in  generale,  un  successo  che  le  garantirà  un  posto  in  prima  fila  in  campi  come  le  scienze  la  cultura  e  le  arti.    In  primis  fu  lo  stesso  Talbot  a  suggerire  l’uso  scientifico  dello  strumento  fotografico.  Abbiamo  i  primi  tentativi  di  imprimere  sulle  lastre  le  immagini  degli  astri,  qualcun  altro  quelle  delle  forme  di  vita  più  piccole,  collegando  un’apparecchi  fotografico  ai  telescopi  o  microscopi.    In  campo  culturale  le  principali  nazioni  occidentali  incaricano  fotografi  professionisti  di  registrare  immagini  dei  principali  monumenti  nazionali  e  stranieri,  mentre  vengono  pubblicati  volumi  con  le  immagini  dei  più  noti  siti  architettonici  e  archeologici  del  mondo.  Per  quanto  riguarda  le  arti  invece,  il  discorso  è  un  po’  diverso.  Lo  scopo  del  dispositivo  fotografico,  rispetto  a  quello  dell’arte  pittorica,  era  sostanzialmente  coincidente,  soprattutto  in  quel  determinato  periodo  storico  di  inizio  secolo,  nel  pieno  dell’età  dei  lumi  e  della  scienza,  entrambi  votati  quindi  a  scrutare  e  indagare  minuziosamente  la  realtà  e  cercare  di  riprodurla  il  più  fedelmente  possibile.      Gli  ovvi  vantaggi  del  dispositivo  fotografico  rispetto  alla  pittura,  come:  la  restituzione  istantanea  del  soggetto  e  il  realismo  fecero  entrare  di  prepotenza  la  fotografia  nel  mondo  dell’arte  la  quale  surrogò  la  pittura,  con  conseguenti  tensioni  tra  i  personaggi  di  spicco  dei  due  mondi.    Non  tutto  il  male  venne  per  nuocere;  dopo  qualche  tempo,  iniziarono  a  comprendere.  Entrambe,  potevano  imparare  l’una  dall’altra  cogliendo  quelle  particolari  essenze  che  erano  peculiari  di  

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ognuna,  e  integrarle,  ampliando  così  l’orizzonte  delle  possibilità  che  potevano  offrire.  Iniziarono  dunque  a  dialogare.  Fu  così  che,  schiere  di  artisti  rimasti  fedeli  al  mezzo  pittorico,  cominciarono  ad  utilizzare  appieno  la  fotografia  per  documentarsi  e  per  procurarsi  modelli  visivi  senza  doversi  sottoporre  a  costose  ricostruzioni  o  lunghi  spostamenti.  Dal  canto  suo,  la  fotografia,  giudicata  fino  all’ora  un  prodotto  meccanizzato  quindi  privo  di  quella  spiritualità  che  permeava  i  dipinti,  per  meglio  integrarsi  nel  mondo  dell’arte,  iniziò  a  sviluppare  intenzioni  estetiche,  cercando  di  emulare  in  vari  aspetti  la  pittura,  riducendo  in  primis,  la  concezione  referenziale  con  il  soggetto.    La  fotografia  approda  al  pittorialismo.  Contemporaneamente,  la  pittura,  impossibilitata  a  competere  in  quanto  realismo  con  i  nuovi  strumenti,  elabora  nuove  e  più  potenti  forme  espressive  che  culminano  nel  movimento  impressionista.  (cercare  di  restituire  l’impressione  del  momento,  del  “cogli  l’attimo”,  annullando  quindi  le  fasi  preparatorie,  la  prospettiva  viene  subordinata  al  punto  di  vista  e  grande  importanza  viene  conferita  alla  soggettività  del  pittore).  La  presa  di  coscienza  più  ampia,  la  fotografia,  la  acquisisce  negli  anni  ’90  dell’800  con  Stiglitz;  Partendo  da  modalità  Pittorialiste,  Stiglitz  capisce  che  la  foto  può  affidarsi  completamente  alla  realtà.  Attraverso  la  consapevolezza  che  la  realtà  è  già  formalizzata  in  sé  stessa,  è  sufficiente(ma  non  sempre  facile)  interpretare  con  la  dovuta  sensibilità  ciò  che  già  c’è;  Proprio  in  questi  anni  abbiamo  uno  dei  primi  interventi  di  scrittura  con  lo  scopo  di  conferire  dignità  al  mezzo  fotografico.  Teorizzando  una  relazione  con  l’occhio  umano,  si  cerca  di  recuperare  gli  specifici  fotografici  che  le  sono  sempre  appartenuti(Geometria;  Composizione;  Sottrazione;  Contrasti;  Pieni  e  vuoti;  ecc).    La  fotografia  diventa  indipendente  e  inizia  a  costruirsi  una  propria  identità,  sono  proprio  gli  anni  ’90  che  decretano  la  nascita  della  fotografia  come  istituzione.  Ora  può  finalmente  coesistere  ufficialmente  anche  tra  gli  enti  artistici.    Ogni  progresso,  porta  inevitabilmente  a  liberare  nuove  strade  da  percorrere  ma  pone  anche  di  fronte,  nuove  problematiche  da  risolvere.  Il  dibattito  che  scaturì  successivamente  a  questa  presa  d’identità  della  fotografia  e  lungi  dall’essere  concluso  ancora  oggi,  può  essere  espresso  con  una  domanda:  ”ma,  quando  è  possibile  considerare  una  fotografia(  impronta  della  realtà,  colta  attraverso    procedimenti  meccanici  o  chimici..)  come  arte?  e  quando  invece,  rimane  una  mera  riproduzione  oggettiva  del  reale?  Dal  momento  che,  in  entrambi  i  casi,  di  realtà  si  parla  e  raramente  frammenti  di  realtà  vanno  a  finire  esposti  in  gallerie  d’arte;  A  meno  che  non  ci  sia  in  mezzo  lo  “zampino”  dell’uomo.  Forse,  proprio  per  questo,  dovremmo  indagare,  più  che  il  soggetto  rappresentato,  cioè  la  realtà,  le  modalità  o  le  intenzioni  con  cui  la  stessa  viene  colta.      Fu  Stiglitz,  in  principio,  ad  esplorare  le  categorie  dell’  estetismo  e  del  formalismo  (caratteristiche  dell’arte)  associate  all’immagine  fotografica,  attraverso  lo  studio  di  come  la  fotografia  si  sia  legata  alla  pittura  per  ricomporre  un  linguaggio.  L’arte  a  quel  tempo,  per  essere  considerata  tale,  passava  attraverso  un  apprendistato  “obbligatorio”  fatto  di  canoni  che  ricalcavano  i  gusti  ufficiali  e  in  grado  di  riproporre  la  natura  e  le  fattezze  umane.  Proprio  basandosi  su  questi  “canoni  prestabiliti”  che  l’arte  doveva  possedere,  Stiglitz  ne  derivò  che  anche  una  fotografia  che  veicola  il  proprio  linguaggio  all’attività  artistica,  deve  produrre  delle  immagini  che  si  attengano  a  dei  codici  estetici  ben  precisi.  I  codici  estetici  coincidevano  con  i  valori  ancorati  allo  specifico  fotografico  come:  l’aspetto  grafico,  alternanza  tra  pieni  e  vuoti,  i  contrasti,  le  geometrie,  le  informazioni,  i  dettagli,  le  sfumature  ecc..    Attraverso  l’uso  retorico  di  elementi  linguistici,  come  questi  sopracitati,  le  fotografie  artistiche  potevano  essere  analizzate  da  gruppi  di  professionisti  che  utilizzavano  dei  codici  universali,  universali  in  quanto  conosciuti.  Questo,  secondo  Stiglitz,  era  il  giusto  approccio  che  l’operatore  avrebbe  dovuto  avere  nei  confronti  della  fotografia,  qualora  il  suo  scopo  fosse  produrre  arte.  

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   Oggi,  dopo  centosettanta  anni  dalla  sua  nascita,  gli  orizzonti  della  fotografia  si  sono  ampliati  notevolmente.  A  questo  punto,  alla  luce  della  storia,  ripercorsa  a  grandi  linee,  dalla  sua  nascita  fino  all’entrata  di  diritto  nel  mondo  delle  arti,  come  intendiamo  nel  ventunesimo  secolo  la  fotografia?    Quali  sono  oggi,  piuttosto  che  in  passato,  i  parametri  per  distinguere  una  semplice  fotografia(  si  fa  per  dire)  da  una  fotografia  che  pretende  di  essere  un’opera  d’arte  e  che  troviamo  esposta  nelle  gallerie  o  pubblicata  nelle  riviste  di  settore?    L’arte,  come  la  conosciamo  oggi,  è  molto  cambiata  rispetto  a  come  si  presentava  alla  fine  dell’800.  E’  possibile  affermare  che,  da  quando  è  comparsa  la  fotografia  e  da  quando  si  è  integrata  nel  mondo  delle  arti,  l’arte  stessa  è  letteralmente  “impazzita”;  La  fotografia  ha  surrogato  la  funzione  che  in  origine  aveva  la  pittura  (che  comprendeva  la  quasi  totalità  delle  espressioni  artistiche)  e  quindi  dell’  arte  in  generale.  Per  continuare  a  convivere  pacificamente  la  pittura  dovette  prendere  altre  vie  mentre  la  fotografia  si  è  evoluta.  L’esempio  più  eclatante,  che  ha  testimoniato  questo  cambiamento  nell’arte  e  di  conseguenza  anche  nella  fotografia,  può  essere  ricondotto  alla  figura  di  Duchamp,  colui  che  prese  un  orinatoio  da  un  locale  pubblico,  lo  tolse  dal  suo  contesto  funzionale  e  lo  portò  in  un  museo  proponendolo  come  opera  d’arte.  La  posizione  assunta  da  Stiglitz  diventò  minoritaria  nel  momento  in  cui  è  entrato  in  campo  l’uso  dell’arte,  in  questo  caso  della  fotografia  in  senso  concettuale.  Da  quel  momento,  i  valori  estetici  e  formali  hanno  perso  di  rilevanza,  in  favore  di  un’impronta  concettuale  proveniente  dal  Futurismo  prima  e  Dadaismo  poi  (primi  decenni  del  ‘900).      Che  definizione  diamo  della  fotografia  oggi?    Il  dispositivo  che  genera  l’immagine  fotografica  è  di  tipo  Meccanico-­‐Fisico-­‐Chimico.    Una  fotografia,  per  essere  considerata  tale,  le  basta  essere  un’impronta  referenziale  di  replica  diretta  della  realtà  fenomenica,  colta  in  una  particolare  circostanza  spazio  temporale.  A  partire  dal  ruolo  che  svolge  la  fotografia  nella  società,  è  considerata  inoltre,  come  parte  del  sistema  comunicativo  moderno  e  come  tale,  trattata  dalla  semiologia  come  un  segno;  Un  segno  è  l’unità  costitutiva  del  linguaggio(esistono  un  infinità  di  segni).  Il  codice  invece  è  un’insieme  di  norme  o  leggi  che  permettono  una  serie  di  corrispondenze  tra  i  vari  segni  e  tra  gli  elementi  all’interno  dei  segni  stessi,  grazie  al  codice  è  possibile  riconoscere  i  vari  segni,  farli  interagire  e  quindi  comunicare,  a  patto  che  il  codice  utilizzato  si  riferisca  al  medesimo  sistema  di  appartenenza  dei  segni.  Il  segno  è  a  sua  volta  costituito  da  due  aspetti  indissolubilmente  legati  tra  di  loro:  il  significante  e  il  significato.  Con  significante  intendiamo  la  “veste”  del  segno,  può  essere  grafica,  fonetica,  cinesica  comunque  coincidente  con  il  piano  dell’espressione(carattere  denotativo).    Con  il  significato  intendiamo  l’informazione  che  è  veicolata  da  quel  preciso  significante  e  che  coincide  con  il  piano  della  comprensione(carattere  connotativo).    In  linea  puramente  teorica,  l’immagine  fotografica,  è  un’impronta  referenziale  della  realtà  fenomenica  e  come  tale,    possiede  un  carattere  denotativo  che  non  necessita  di  codici  per  essere  letto.    Tuttavia  le  immagini  fotografiche  non  sono  dei  messaggi  privi  di  codice;  Esse  subiscono  l’influenza  di  una  sovrastruttura  la  cui  natura  è  socio-­‐culturale  e  coincide  con  la  coscienza  dell’  operator.                L’  uomo,  in  quanto  dotato  di  coscienza,  è  per  natura  inadeguato  alla  riproduzione  neutra  della  

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realtà,  finisce  sempre  per  interpretarla,  filtrandola  con  ideologie,condizionamenti  storici,  esperienze  personali  ecc..  Questa  sovrastruttura  conferisce  un  valore  aggiunto  all’immagine  fotografica,  che  così,  viene  connotata  creando  un  significato.  La  fotografia  a  questo  punto  possiede  sia  un  significante  che  un  significato,  diventa  così  un  segno  e  come  tale,  veicola    un  messaggio.  Allo  spectator,  che  è  il  fruitore  materiale  delle  immagini  fotografiche,  si  rivela  necessario,  ai  fini  di  una  corretta  interpretazione  del  messaggio,  possedere(di  foto  in  foto)  il  medesimo  codice  utilizzato  dall’operator  per  connotare  l’immagine,  così  che  lo  spectator  possa  decodificare    il  “messaggio-­‐foto”  cioè  rimettere  esplicito  il  significato  dell’immagine  e  quindi  leggerla  correttamente.  Per  facilitare  questa  operazione,  la  “società”  ha  scelto  convenzionalmente  che  tutte  le  fotografie  che  sono  state  connotate  con  uno  stesso  codice,  in  questo  caso,  che  sono  state  prodotte  con  il  medesimo  proposito,  vengano,  sempre  per  convenzione,  automaticamente  raggruppate  a  partire  dai  rispettivi  contesti  d’appartenenza.  Da  qui  nascono  le  cosiddette  categorie,  come  per  esempio  le  foto  a  destinazione  giornalistica  o  fotografia  etnografica  piuttosto  che  la  categoria  scientifica    o  quella  didascalica  per  arrivare  anche  alle  categorie  di  foto  che  ognuno  di  noi  produce  magari  in  vacanza  o  in  occasioni  particolari  allo  scopo  di  testimoniare  l’evento.  L’attuazione  di  questi  espedienti  di  raggruppamento  semantico,  facilitano  di  molto  il  compito  di  analisi-­‐giudizio  dello  spectator  ;Infatti,  conoscendo  il  contesto  Storico-­‐Socio-­‐Culturale  che  ha  generato  talune  foto,  si  riesce  a  ricavare  la  giusta  chiave  di  lettura.      Partendo  dai  presupposti  che  abbiamo  esposto,  mentre  cercavamo  di  definire  il  linguaggio  dell’immagine  fotografica,    abbiamo  detto  che,  l’operator,  a  seconda  della  funzione  che  andrà  a  ricoprire  la  fotografia  e  che  coinciderà  con  l’appartenenza  ad  una  categoria  piuttosto  che  un’altra,  opera  la  scelta  del  codice  che  sarà  più  adatto  a  connotare  l’immagine  che  si  appresta  a  cogliere.  Ma  nel  caso  l’operator  desideri  cogliere  nel  flusso  continuo  e  confuso  della  realtà  fenomenica  una  combinazione  artistica,  che  codice  dovrebbe  usare  per  riuscire  a  connotare  l’immagine  in  quel  senso?        Beh,  che  codice  utilizza  un’artista  quando  dipinge  un  quadro?  Il  suo.  Non  ci  è  dato  saperlo.  Semplicemente  perché  è  impossibile  penetrare  in  maniera  profonda  nella  mente  di  una  persona,  a  maggior  ragione  mentre  sta  cercando  di  esprimere  concetti,  emozioni,  pensieri  o  dinamiche  di  natura  astratta  e  imprimerle  nella  materia.  Diversamente,  possiamo  evincere  il  codice  connotativo  di  un  fotografo,  intento    a  catturare  i  momenti  salienti  di  un  matrimonio:  il  perché  abbia  preferito  scegliere  di  catturare  il  momento  dello  scambio  delle  fedi  piuttosto  che  quello  in  cui  lo  sposo  si  soffia  il  naso  o  il  perché  ha  scelto  di  inquadrare    figure  intere  o  primissimi  piani,  magari  per  esaltare  il  makeup  impeccabile  della  sposa  o  l’eleganza  del  vestito  bianco.  Nel  caso  delle  fotografie  cosiddette  artistiche,  forse  oseremo  semplicemente  affermare,  che  più  c’è  la  possibilità  di  agire  sulla  connotazione  di  un  segno(foto)  più  tale  segno  tenderà  all’arte.  Fino  ad  arrivare  al  punto  estremo,  per  assurdo,  quando  la  connotazione  di  tale  segno  sarà  totale  e  quindi  rappresenterà  o  esprimerà  pura  intenzione.  In  quel  momento  sarà  arte  al  100%.  Ho  usato  il  termine  intenzione,  inteso  come  il  momento  preciso  dove  avviene  una  manifestazione  esteriore  di  un  concetto  appartenente  alla  mente  (o  allo  spirito);  esattamente  la  definizione  elementare  e  sufficiente  che  diamo  oggi  dell’arte,  in  generale.  

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Viceversa,  più  il  segno  subisce  il  processo  inverso,  cioè  quello  della  denotazione,  più  si  avvicinerà  ad  un  codice  universale,  o  un  non  codice  se  preferiamo.  Quindi  più  quel  segno  sarà  rappresentazione  di  un  concetto  percepito  in  maniera  identica  da  tutti,  più  quel  segno  sarà  una  manifestazione  diretta  o  espressione  referenziale  della  realtà  concreta  (non  necessitiamo  di  alcun  tipo  di  codice  per  percepirla  o  “leggerla  correttamente”  ).  Potremmo  affermare  che  un  segno  fotografico  è  arte  quando  è  espressione  della  singolarità,  o  se  preferiamo,  dell’  unicità  delle  peculiarità  di  un  individuo.  Arte  è  quando  un  segno  viene  percepito  in  maniera  diversa  e  personale  dallo  spectator  e  non  è  arte,  quando  invece,  viene  percepito  in  maniera  identica  da  tutti;    INFINITA’  DI  CODICI  DIVERSI  =  ARTE                              UN  CODICE  UNIVERSALE  O  NON  CODICE  =  NON  ARTE    Se  procedessimo  per  deduzione,  dal  momento  che  tutte  le  fotografie,  per  essere  considerate  tali,  devono  necessariamente  avere  un  minimo  comune  denominatore(  l’analogia  con  la  realtà)  significa  che,  anche  le  foto  artistiche  nascono  dallo  stesso  punto  di  partenza  di  tutte  le  altre,  cioè  il  piano  della  denotazione,  che  coincide  unicamente  con  il  “lavoro”  dell’apparecchio  fotografico.  Quindi  vuol  dire  che,  ogni  fotografia  prodotta,  potrebbe  essere  una  fotografia  artistica  in  potenza.  È  nei  fatti  impossibile  considerare  un’immagine  fotografica  come  puro  fatto  estetico(artistico),  completamente  svincolato  dalla  realtà  che  l’ha  materialmente  prodotto.  Da  questa  breve  riflessione  ne  deriva  che  !’  “Arte”  è  un  aspetto  accessorio,  non  fa  una  categoria  a  sé,  non  può  esistere  da  solo,  è  sì  associabile  a  tutte  le  fotografie  ma  deve  per  forza  essere  subordinato  ad  una  struttura  più  concreta,  più  empirica,  per  esempio  le  categorie  fotografiche.  In  base  alla  categoria  d’appartenenza,  sia  essa  una  foto  shock  o  una  foto  di  giornale  per  scopi  documentaristici  o  quant’altro,  ogni  fotografia  può  arricchirsi  di  un  valore  aggiunto  come  l’artisticità,  ma  non  può  esistere,  ed  è  una  semplice  opinione  personale,  una  fotografia  che  nasce  come  arte  pura.        Ma  esiste  l’arte  pura?      Data  la  caratteristica  essenziale  della  fotografia  (e  non  accessoria)  di  essere  un’impronta  o  traccia  di  una  realtà  spazio-­‐temporale  contingente,  rispetto  alla  pittura,  ha  limitate  capacità  di  connotazione.  Possiede  invece  altissime  capacità  di  denotazione,  sempre  rispetto  alla  pittura,  anche  se  non  potrà  mai  arrivare  ad  un  livello  totale  di  denotazione;  Infatti  un  immagine  non  è  il  reale,  ma  ne  è  quantomeno  l’analogon  perfetto.  (Il  tipo  di  connotazione  effettuabile  su  un  immagine  fotografica,  come  sappiamo,  avviene  principalmente  su  due  livelli:    il  primo  riguarda  una  modificazione  del  reale  (angolo  ripresa,  inquadratura,  composizione,  prospettive,  simbologie  ecc..)  il  secondo  livello  agisce  invece  in  fase  di  post  produzione  (proiezione  in  positivo,sviluppo,  fissaggio,  stampa).  Mentre  per  l’arte  classica(pittura,  scultura)  avviene  l’esatto  contrario.  Anche  per  gli  artisti,  pittori  o  scultori  che  siano,  non  è  possibile  arrivare  ad  un  concetto  di  arte  puro  al  100%.  Dal  momento  che  le  immagini  della  loro  mente,  per  quanto  metafisiche,  artistiche,  personali  o  individuali  che  siano,  deriveranno  sempre  da  esperienze  vissute  nella  realtà  concreta,  cioè  nella  vita  oggettiva  di  tutti  i  

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giorni,  per  cui  avranno  sempre  un  legame  con  una  matrice  esterna  con  cui  stabiliranno  una  referenza  nella  loro  mente(una  specie  di  analogon).      Allora…  quando  una  foto  raffigura  qualcosa  di  astratto  è  da  considerarsi  automaticamente  Arte?    La  natura  della  fotografia  fluttua  costantemente  tra  due  tipologie  di  segno:  l’indice  e  l’icona.  L’indice  è  un  segno  dove  tra  il  significante  e  il  significato  si  è  stabilita  una  relazione  di  continuità  dovuta  a  fattori  fisici,  per  esempio,  in  un  termometro,  l’altezza  della  colonnina  di  mercurio  è  indice  della  temperatura.  Esattamente  come  l’immagine  impressa  in  un  rettangolo  di  carta,  che  noi  chiamiamo  fotografia,  è  indice  di  un  qualcosa  che  per  forza  deve  essere  stato  lì  in  quel  preciso  momento  per  aver  lasciato  una  traccia.  Il  fatto  poi,  che  “l’immagine  nel  rettangolo”  assomigli  anche  al  suo  referente  fisico  fa  scivolare  il  segno  fotografico  più  verso  una  natura  iconica.  Infatti  l’icona  è  un  segno  dove  la  relazione  tra  significante  e  significato  è  data  da  un  fattore  di  similitudine  o  somiglianza  in  cui  l’immagine  starà  sempre  per  il  contenuto.  E’  necessario  sottolineare  che,  mentre  la  natura  indicale  dell’immagine  fotografica,  è  intrinseca  nella  sua  natura,    l’accezione  iconica  è  dovuta  al  rapporto  di  analogia  che  esso  stabilisce  con  la  visione  umana.  L’immagine  fotografica  appartiene  contemporaneamente  a  entrambe  le  tipologie,  si  tratta  solo  di  stabilire  di  volta  in  volta,  le  giuste  proporzioni.        A  causa  della  natura  indicale  della  fotografia,  abbiamo  visto  come  sia  impossibile  scindere  il  vincolo  che  lega  l’immagine  fotografica  alla  sua  analogia  con  il  reale:  fenomeno  dell’astrazione.  L’astrazione  può  avvenire  solo  a  livello  di  icona  e  solo  agli  occhi  di  chi  osserva  la  fotografia,  cioè  lo  spectator  che  potrebbe  non  riconoscere  la  somiglianza  dell’immagine  con  il  suo  referente.  Quindi  l’astrazione,  se  c’è,  può  avvenire  solo  da  un  punto  di  vista  pragmatico  cioè  nel  rapporto  che  la  fotografia  stabilisce  con  il  suo  fruitore:  l’uomo.    L’astrazione  in  sé,  non  implica  tuttavia  un  atto  connotativo,  per  esempio,  pur  non  avendo  subito  processi  connotativi,  un  immagine  catturata  al  microscopio  e  presentata  al  di  fuori  di  quel  contesto  e  senza  didascalia,  difficilmente  potrebbe  essere  ricondotta  al  suo  referente  nella  realtà.      QUANDO  LA  FOTOGRAFIA  DIVENTA  ARTE?    Questo  rapporto  ambiguo  che  la  fotografia  mantiene  nei  confronti  dei  segni,  può  essere  paragonato,  in  un  altro  livello  ,  al  rapporto  altrettanto  ambiguo  che  la  fotografia  mantiene  nei  confronti  del’arte.  Infatti,  ogni  fotografia  può  essere  artistica  o  non  artistica  allo  stesso  tempo,  dipende  in  che  proporzioni  l’operator  ha  deciso  di  connotarla  oppure  di  limitare  al  minimo  il  proprio  impatto  sull’operazione  denotativa  che  l’apparecchio  fotografico  naturalmente  svolge.  Si  può  dedurre  che,  come  non  potrà  mai  esistere  un  segno  fotografico  puramente  indicale  o  iconico,  non  potrà  mai  esistere  un’immagine  fotografica  completamente  priva  dell’aspetto  accessorio  dell’artisticità;  O  viceversa,  completamente  permeata  da  questo  aspetto.  Se  avessimo  un’asse  immaginario  che  collega  i  due  punti  estremi:  uno  che  comprende  il  piano  fenomenologico  della  realtà  puramente  denotativa  e  l’altro  che  comprende  l’insieme  delle  

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espressioni  più  uniche  e  personali  della  nostra  mente(o  spirito)  sede  delle  capacità  connotative;  Quanto  più  noi  abbiamo  la  capacità  di  “spostare”  il  concetto  dell’immagine  che  vogliamo  cogliere  verso  la  dimensione  interiore  di  noi  stessi,  tanto  più  quella  porzione  di  realtà  conterrà  un’accezione  artistica.    Conclusione    Se  trasferissimo  questo  ragionamento  su  un  piano  pratico,  il  segno  fotografico,  tanto  più  è  arte,  quanto  più  dimostriamo  capacità  o  abilità  NON  DI  ASTRAZIONE  MA  BENSI’    DI  PERSONALIZZAZIONE.    Il  sapiente  uso  dello  specifico  fotografico  che  interagisce  con  la  continuità  della  realtà  fenomenica  e  si  combina  con  la  coscienza  dell’operatore  stesso  dà  origine  ad  uno  stile.  La  combinazione  di  questi  fattori  faranno  sì  che  quel  determinato  stile  sarà  personale  e  non  potrà  appartenere  a  nessun’altro  operatore.  Se  partiamo  dal  presupposto  che,  personalizzazione  o  sviluppo  di  uno  stile  siano  sinonimi,  o  quantomeno  aspetti  altamente  correlati,  sarebbe  lecito  affermare  che,  per  quanto  concerne  la  fotografia  e  la  fotografia  soltanto,  più  un  operatore  sviluppa  doti  stilistiche,  più  queste  aggiungono  valore  artistico  al  segno  fotografico.  

                                                 

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Man  Ray  è  conosciuto  soprattutto  come  fotografo  surrealista,  fu  influenzato  dalla  lettura  dell'interpretazione  dei  sogni  di  Freud.  

Il  primo  Manifesto  surrealista  del  1924,  definì  così  il  surrealismo:  

  «  Automatismo  psichico  puro,  attraverso  il  quale  ci  si  propone  di  esprimere,  con  le  parole  o  la  scrittura  o  in  altro  modo,  il  reale  funzionamento  del  pensiero.  Comando  del  pensiero,  in  assenza  di  qualsiasi  controllo  esercitato  dalla  ragione,  al  di  fuori  di  ogni  preoccupazione  estetica  e  morale.  »  

ovvero  quel  processo  in  cui  l'inconscio  ci  permette  di  associare  libere  parole,  pensieri  e  immagini  senza  freni  inibitori  e  scopi  preordinati.  Inoltre  esso  comprende  immagini  nitide  e  reali  ma  accostandole  tra  di  loro  senza  alcun  nesso  logico.  

 

 

 

 

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Espediente di connotazione orientato all’esaltazione estetica

La solarizzazione propriamente detta è un'inversione tonale che si manifesta durante lo sviluppo del materiale sensibile. Il materiale è stato soggetto a un’esposizione ulteriore alla luce bianca a circa 2/3 della formazione dell’immagine dentro il bagno di sviluppo. In questo modo, si crea un effetto di contaminazione di positivo e negativo che coesistono in un’unica foto. In questo modo, le parti già sviluppate (le più scure) infatti agiscono come un filtro protettivo, mentre le altre, colpite dalla luce, subiscono un processo di inversione tonale (e sul negativo appariranno positive). Inoltre, fra le zone di diversa densità compare una sottile linea bianca luminosa, detta linea di Mackie, dovuta all'esaurimento locale dello sviluppo.

 

 

 

 

 

 

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La  foto  IMPREVISTA  è  una  foto  che  non  mi  aspettavo  di  ottenere  nel  momento  in  cui  l’ho  

catturata.  L’intenzione  iniziale  era  quella  di  immortalare  il  volto  stanco  e  segnato  di  prima  mattina  del  ragazzo  in  primo  piano.  L’errore  di  tempismo,  unito  a  quello  dello  zoom  troppo  ridotto  per  catturare  in  dettaglio  il  volto  del  ragazzo,  mi  hanno  regalato  invece  una  bella  composizione.  Questo  episodio,  a  mio  avviso  attesta  ulteriormente  la  natura  selvaggia  e  imprevedibile  dell’atto  fotografico,  la  difficoltà  da  parte  nostra  di  interpretare  sempre  correttamente  il  “suo  punto  di  vista”  nei  confronti  della  realtà.  [Foto  di  Cristiano  Toffoletti]  

 

 

 

   

 

 

 

 

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Espediente di connotazione finalizzato a veicolare un messaggio

In  questo  caso,  l’obiettivo  principale  è  quello  di  veicolare  un’informazione  o  un  messaggio  attraverso:    

• Scelta  del  tema  • Composizione  

In  seconda  istanza  utilizzando  codici  che  si  basano  sull’utilizzo  del  cosiddetto  specifico  fotografico  della  modificazione  della  realtà:      inquadratura;    contrasto;  valori  tonali;  dettaglio/nitidezza;  simboli  e  posa.  

 

 

STUDIUM & PUNCTUM Lo  studium,  è  il  contesto  generativo  dell’immagine(cultura,informazione,genere,estetica).  Lo  studium  è  sempre  codificato,  il  punctum  non  lo  è  mai.  Il  punctum,  non  si  cura  della  morale  o  del  buon  gusto,  può  apparire  osceno  ma  può  anche  commuovere.  Potrebbe  essere  considerato  un  oggetto  parziale,  non  di  certo  il  soggetto  intenzionale  della  foto  ma  comunque  colpisce  o  ferisce  la  coscienza  di  un  determinato  spettatore.  Il  Braccialetto.    [Foto  di  Cristiano  Toffoletti]                                

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