storia della geografia e delle esplorazioni - astengo

77
Storia della geografia e delle esplorazioni Prof.: Astengo Appunti presi alle lezioni 7-10-03 Trattando delle esplorazioni, analizzeremo vari modi di esplorare i territori vicini e lontani; tra i primi che si cimentarono nelle esplorazioni vi sono sicuramente arabi e cinesi. Gli arabi conoscevano bene il Mediterraneo e le sue coste spagnole, nord- africane e medio-orientali; i cinesi invece dopo alcuni viaggi abbandonarono i loro tentativi ritenendo disagevole il contatto con i Barbari. Metodi che risultano abbastanza differenti da quelli usati dagli Europei, dall’antichità fino a tempi relativamente moderni. Analizzando le conquiste europee e i tentativi di uscire dall’Europa è inevitabile fare riferimenti al Mar Mediterraneo: innanzitutto è un mare da cui è difficile uscire, poiché i suoi due sbocchi principali, Gibilterra e Dardanelli, presentano una corrente che spinge (tra i 2 e i 4 nodi) all’interno di esso. Quindi sia dal Mar Nero che dall’Oceano Atlantico si instaura una corrente che spinge verso il Mar Mediterraneo, per cui è difficile uscirne (poiché la corrente spinge nel verso contrario a chi sta uscendo). I venti che prevalgono soffiano da N-W, ma è frequente che si mischino a venti locali che soffiano da N.; questi fattori rendevano la navigazione abbastanza difficile e veniva effettuata solo in buona stagione (sarà così fino al Medioevo). Inoltre nella navigazione venivano evitate le coste del Nord-Africa poiché presso di esse si trova una corrente anti-oraria di circa 1-1.5 nodi. Analizzando le fotocopie: 1) è presente un’indicazione (o incisione) rupestre, con scene di vita quotidiana. Sembra rappresentare una sorta di “catasto”, con l’indicazione delle vie, delle case (alcune aggiunte posteriormente); ritorna il “mito” della scala, alcune case la possiedono come accesso ai piani superiori, mentre una è posizionata come a significare un accesso all’aldilà, o forse indica una continuazione della cartina. E’ difficile però chiamare carta questo documento, perché per farlo bisogna avere una certa quantità di notizie anche sul popolo che l’ha prodotta, cosa che in questo caso manca. Una carta non è universale perché ogni popolo crea le proprie e

Upload: rino-timon

Post on 07-Aug-2015

75 views

Category:

Documents


8 download

TRANSCRIPT

Page 1: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

Storia della geografia e delle esplorazioniProf.: Astengo

Appunti presi alle lezioni

7-10-03

Trattando delle esplorazioni, analizzeremo vari modi di esplorare i territori vicini e lontani; tra i primi che si cimentarono nelle esplorazioni vi sono sicuramente arabi e cinesi. Gli arabi conoscevano bene il Mediterraneo e le sue coste spagnole, nord-africane e medio-orientali; i cinesi invece dopo alcuni viaggi abbandonarono i loro tentativi ritenendo disagevole il contatto con i Barbari. Metodi che risultano abbastanza differenti da quelli usati dagli Europei, dall’antichità fino a tempi relativamente moderni. Analizzando le conquiste europee e i tentativi di uscire dall’Europa è inevitabile fare riferimenti al Mar Mediterraneo: innanzitutto è un mare da cui è difficile uscire, poiché i suoi due sbocchi principali, Gibilterra e Dardanelli, presentano una corrente che spinge (tra i 2 e i 4 nodi) all’interno di esso. Quindi sia dal Mar Nero che dall’Oceano Atlantico si instaura una corrente che spinge verso il Mar Mediterraneo, per cui è difficile uscirne (poiché la corrente spinge nel verso contrario a chi sta uscendo). I venti che prevalgono soffiano da N-W, ma è frequente che si mischino a venti locali che soffiano da N.; questi fattori rendevano la navigazione abbastanza difficile e veniva effettuata solo in buona stagione (sarà così fino al Medioevo). Inoltre nella navigazione venivano evitate le coste del Nord-Africa poiché presso di esse si trova una corrente anti-oraria di circa 1-1.5 nodi.Analizzando le fotocopie:

1) è presente un’indicazione (o incisione) rupestre, con scene di vita quotidiana. Sembra rappresentare una sorta di “catasto”, con l’indicazione delle vie, delle case (alcune aggiunte posteriormente); ritorna il “mito” della scala, alcune case la possiedono come accesso ai piani superiori, mentre una è posizionata come a significare un accesso all’aldilà, o forse indica una continuazione della cartina. E’ difficile però chiamare carta questo documento, perché per farlo bisogna avere una certa quantità di notizie anche sul popolo che l’ha prodotta, cosa che in questo caso manca. Una carta non è universale perché ogni popolo crea le proprie e le notizie sul popolo sono dunque fondamentali. In questo caso si tratta della popolazione dei Camuni di cui abbiamo davvero poche notizie. Da essi possiamo passare poi ai Sumeri (e alle popolazioni Mesopotamiche) intorno al V° millennio a.C. e agli Accadi nel III° il cui re amava farsi raffigurare e in una di queste raffigurazioni, in una statua per la precisione, viene ritratta una tavoletta, su cui vi è una pianta geometrica in scala (forse di un palazzo o di una città).

2) Viene rappresentato il mondo allora conosciuto. Vengono riprodotti vari luoghi, alcuni senza i nomi, solo sapendo che lì si trovava un luogo, e poi alcuni “settori” esterni rappresentanti il cosmo secondo i Babilonesi. C’era ancora la convinzione che la Terra fosse piatta e così sarà fino a Pitagora. Sarà proprio Pitagora e poi i suoi discepoli a diffondere l’idea di una Terra sferica.

3) Il mondo secondo gli Egizi. Vengono riportate tre brevi diciture, Nut, Shu e Keb. Shu sarebbe il padre, Nut e Keb rispettivamente sorella e fratello. Il mondo secondo gli antici egizi inizialmente sarebbe stato costituito da Nut e Keb sdraiati l’uno sull’altra, il che avrebbe impedito la vita. Ad un certo punto però arrivò Shu, il padre, che solleva Nut e allontana Keb, e permette così lo sviluppo della vita.

Tornando alle popolazioni che si sono avventurate in esplorazioni, non possiamo tralasciare gli Egiziani: essi erano un popolo piuttosto sedentario e questo viene testimoniato in molte occasioni. Erodoto ci testimonia però una spedizione ordinata da un Faraone intorno al 600 a.C., per

Page 2: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

circumnavigare l’Africa. La spedizione, che è da ascrivere per vari motivi più ai Fenici che non agli Egiziani, comunque rispettò le fermate per semine e raccolti e si dice che impiegò circa 3 anni per compiere il viaggio. Una durata abbastanza ridotta e che sembra improbabile anche ad Erodono stesso, il quale però ci fornisce un dato che, se per lui screditava del tutto la spedizione, a noi invece dà motivo di credere che sia stata effettuta veramente, poiché ci dice che i marinai, una volta giunti presso le coste meridionali dell’Africa vedevano il Sole alla propria destra. Una cosa per lui impensabile viste le scarse conoscenze in merito, ma che per noi rappresenta la prova dell’avvenuta spedizione, poiché la nave si trovava nell’emisfero boreale. Gli Egiziani navigavano nel Nilo e nel Mar Rosso ma raramente si avventuravano fuori dei territori da loro conosciuti e/o controllati. Importavano materie e prodotti sia dall’Africa che dal Medio-Oriente ma erano per lo più sedentari. Ciò non impedì loro di sviluppare ottime qualità cartografiche, in quanto ne necessitavano spesso per via delle piene del Nilo. Inoltre creavano piante immaginarie per il Regno dei Morti. Grandi navigatori nel Mediterraneo furono invece i Cretesi, che per primi stabilirono le rotte verso le coste e verso alcune isole come Melo e Cipro, e verso l’Egitto stesso. Cipro deriva dal greco cioè rame, da cui si capisce l’importanza dell’isola. Bisogna anche notare cosa si intendeva una volta per attracco in un porto: oggi abbiamo una certa idea legata al porto, ma una volta arrivare in un porto voleva dire arrivare su una spiaggia sabbiosa e tirare in secco la nave per metterla al sicuro. Dopo i Cretesi fiorirà la civiltà Micenea. Anche Omero, nella Grecia antica e non classica, ci dà segnali di una certa padronanza delle conoscenze geografiche e nautiche, come ci testimonia lui stesso nel canto III dell’Iliade, in cui parla dell’esistenza di popoli lontani o di climi particolari. Forse lui non era molto esperto circa l’argomento, forse inventa anche un po’, quello che per certo conosceva era il mondo greco e quello circostante.

Documenti allegati: 3 fotocopie. 1) Roccia dei campi di Bedolina 2) Tavoletta di Nuzi 3) Carta Cosmografica (XXX Dinastia, 350 ca a.C.)---------------------------------------------------------------------8-10-03

Intorno al 400 a.C., abbiamo testimonianze di viaggi ed esplorazioni tramite i racconti di Erodoto. Egli si stupisce di coloro che hanno ridotto il mondo in sole tre parti, ovvero Africa, Asia ed Europa; riteneva inoltre che l’Europa da sola fosse più lunga di Asia ed Africa messe insieme. Come abbiamo già visto precedentemente, Erodoto ci racconta della spedizione egiziana per circumnavigare l’Africa. Grande importanza nella colonizzazione e nella navigazione del Mediterraneo va attribuita però ai Fenici, i quali fondarono colonie in Sicilia e nel Nord-Africa, tra cui la più importante fu sicuramente Cartagine, centro culturale fenicio. Cartagine commerciava con una piccola cittadina della costa spagnola vicino a Cadice, Tartesso: era una cittadina molto prospera ed importante per i commerci che in essa si potevano svolgere. Infatti lì arrivava lo stagno dalle cosiddette “Isole Cassiteridi”, isole immaginarie che in realtà si riferivano alla zona della Cornovaglia. Lo stagno aveva una grande importanza soprattutto se legato al rame dalla cui fusione si otteneva il bronzo. Tartesso quindi era importante come centro di scambi e i Fenici sembravano averne il monopolio. Questo fino a che non si intromisero i Greci che cominciarono a trafficare anche loro con la cittadina di Tartasso la quale per rappresaglia fu distrutta dai Fenici. Oltre allo stagno, un’altra materia è decisamente importante: l’ambra, proveniente dal Mar Baltico. Questa materia aveva un grosso vantaggio, cioè poter essere trasportata per via terrestre, cosa che non poteva avvenire per tutte le materie, visto che alcune necessitavano di altri tipi di trasporto. Un commercio importante sarà quello legato alle spezie, provenienti in gran parte dall’Asia. Le spezie erano importanti anche perché nell’antichità non vi era modo di conservare i cibi e le carni, e le spezie venivano usate proprio a questo scopo.Un’altra colonia molto importante nel bacino del Mediterraneo è Massalia (Marsiglia) che però è greca. Tornando ancora una volta ai Fenici, intorno

Page 3: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

al 500-480 a.C. essi conobbero il loro periodo di massimo splendore, anche per quanto riguarda le esplorazioni. Successivamente a questi anni verranno sconfitti dai Greci e di conseguenza ridimensionati. Per quanto riguarda invece i viaggi di cui ci è giunta notizia, si parla di un certo Annone Cartaginese in una stele: avrebbe compiuto una spedizione di circa 60 navi con più o meno 30000 uomini ma erano logicamente troppi per il numero di navi a disposizione. Si è ipotizzato dunque che vi fosse un errore nella cifra, ma anche 3000 sembra impossibile in quanto sarebbero stati troppo pochi. Comunque a prescindere dalle cifre, in questo viaggio dovrebbero essere state fondate alcune colonie sulla costa africana ma il racconto è incompleto e non sappiamo come andò a finire. I viaggi come si sa non vengono fatti solo a scopo esplorativo ma anche e soprattutto a scopo commerciale, e così sempre più si verificò in passato che il destinatario andasse a prendersi le merci così da eliminare l’intermediario e pagare di meno. E’ questo il caso di Imilcone nel suo viaggio verso la Cornovaglia che non completerà perché spaventato dalla nebbia. Parallelamente alla caduta Cartaginese si assiste allo sviluppo greco, sia in ambito coloniale che in quello delle rotte commerciali. Si dice che il primo greco a varcare le Colonne d’Ercole sia stato Coleo di Samo. I greci sono più portati a rappresentare i dati geografici: è proprio in Grecia che si sviluppa l’idea di un cosmo inteso come un tutt’uno che governa il mondo e dunque conoscendolo si può conoscere l’universo. I greci devono molte delle loro conoscenze a contatti con popolazioni vicine e lontane, in particolare con i Persiani. Essi conoscono una grande espansione con Ciro I e Ciro II, ma soprattutto con Dario. Ciro II sarà colui che darà la maggior espansione alla Persia, mentre il suo successore Cambise cercherà di espandere i domini verso Sud. Ma è con Dario che si osano le conquiste maggiori, ovvero quelle verso Nord (dove stavano gli Sciti) e verso Ovest (la Grecia). Gli Sciti per combattere i Persiani usano le tecniche proprie delle popolazioni russe, cioè ritirarsi verso l’interno distruggendo tutto ciò che trovavano in modo da lasciare il nemico senza rifornimenti. Nel tentativo di conquistare la Grecia, Dario subirà perdite immani, così come i suoi successori Serse ed Artaserse. Poi fra Greci e Persiani verrà stipulata una pace intorno al 450 a.C., e si assisterà a scambi culturali fra i due popoli, scambi grazie ai quali abbiamo notizie su altri popoli, come quello indiano che ci viene descritto da un certo Ctesia. Sempre in questo periodo, intorno al 500 a.C., si hanno notizie di rappresentazioni del mondo che però a noi non sono giunte. Il primo a costruire una carta sarebbe stato Anassimandro, un filosofo greco, ma si hanno solo notizie poche certezze. Seguente ad Anassimandro, dovrebbe trovarsi Ecateo, sempre nel tentativo di costruire una carta, che secondo gli storici sarebbe stata realmente prodotta. Infatti tramite le poche notizie a disposizione, gli esperti sono riusciti a rielaborarne un modello, rappresentante una Terra piatta, idea che è ormai al tramonto proprio in questi anni.

Documenti allegati: 2 fotocopie. 4): Itinerari fenici e cartaginesi 5): Rappresentazioni del mondo (Omero, Ecateo, Erodoto, Dicear- co, Eratostene)

9-10-03

Come accennato nella lezione precedente, il primo mappamondo di cui abbiamo qualche certezza dovrebbe essere quello di Ecateo (forse prima di lui Anassimandro). Il mappamondo altro non è che la rappresentazione in piano di tutta la superficie terrestre. Si confonde spesso con un altro termine, “globo”. In Ecateo possiamo osservare una bipartizione del mondo abitato: Asia ed Africa che sembrano un tutt’uno e poi l’Europa. Successivamente si passerà ad una tripartizione, con Asia, Africa ed Europa, e questa concezione durerà fino al Medioevo. Si dice che quando Colombo scoprì l’America sapeva bene di essere in una quarta parte del mondo ma non avrebbe osato dirlo per paura dell’Inquisizione. Lo farà invece Vespucci. Tornando alle rappresentazioni del mondo, Erodoto ce ne dà una che probabilmente non apparteneva a lui stesso poiché non c’è nessuno che parli di Erodoto in termini di cartografo: ebbene in quella carta compaiono Asia ed Europa

Page 4: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

confinanti sul Tanai (oggi il Don) mentre il Nilo stabiliva il confine tra Europa ed Africa. Intorno al 300 a.C., Dicearco disegnò una carta in cui erano presenti due linee, una N-S, l’altra E-W. Il centro della sua carta, dove si incontravano le linee, erano Rodi. E’ un primo abbozzo a quello che poi sarà il sistema dei meridiani e dei paralleli. Chiudendo l’argomento relativo alle rappresentazioni, vediamo di tornare sulle spedizioni: nel 326 a.C., Alessandro Magno cominciò una spedizione punitiva contro i Persiani; coinvolgerà tutta la Grecia non solo la Macedonia. Durerà circa dieci anni, nei quali sconfiggerà più volte i Persiani, conquisterà l’Egitto, raggiungerà la Palestina, le sponde del Mar Caspio, i fiumi Oxes e Jaxates, e infine arrivò fino in India, dove sconfisse il raja che si offrì di governare come sotto il suo potere. Alessandro è arrivato fino alle sponde dell’Indo, ma sa di un altro grande fiume sempre su quel territorio, il Gange, ma non lo raggiungerà mai, poiché dopo dieci anni di campagna militare i soldati si rifiutarono di appoggiarlo chiedendo di tornare in patria. Ormai però Alessandro aveva assimilato i costumi Persiani, parla dei popoli conquistati come fossero i suoi. Nel tornare indietro Alessandro morirà improvvisamente nel 323 a.C., e da quel momento in poi il suo regno andrà in rovina e verrà diviso in più parti. I risvolti geografici furono molto importanti, poiché si fece finalmente luce su quelle che erano le reali dimensioni dell’Asia, sull’orografia (catena dell’Himalaya), sul fenomeno delle maree fino ad allora sconosciuto, nonché scoperte di tipo biologico come i grossi cetacei dell’Oceano Indiano. Entrarono in gioco i cosiddetti “bematisti” coloro i quali si occupavano di misurare le lunghezze dei tragitti svolti, in modo da avere una certa quantità di informazioni. Queste informazioni vennero utilizzate da uno studioso del tempo, Eratostene di Cirene, il quale le rappresentò su carta. Lo stesso Eratostene misurò per primo la lunghezza della circonferenza terrestre, con poche informazioni che seppe però utilizzare al meglio: egli infatti sapeva che a Siene (l’odierna Assuan) in una giornata durante la stagione estiva, il sole non gettava ombra da una colonna, mentre lo stesso giorno ad Alessandria il sole gettava ombra. Calcolò quindi la misura dell’angolo ad Alessandria, conosceva le distanze tra i due luoghi, e tramite una proporzione, riuscì a stabilire un valore della circonferenza terrestre di soli 40000 km sbagliato. Successivamente, si cimentò nell’impresa un certo Posidonio, che usò un metodo simile: calcolò l’angolo che una stella creava in un luogo preciso (?) mentre a Cipro la stella era visibile all’orizzonte. La misura risultò di circa 1/3 inferiore a quella reale, ma sarà comunque accettata per secoli (fino a Colombo) a scapito della misurazione di Eratostene che invece era quella giusta. Un altro viaggio di cui abbiamo notizia è quello compiuto da Pitea di Marsiglia, un greco, intorno al 300 a.C.; effettuò un viaggio nel Nord-Europa e circumnavigò l’Inghilterra, arrivando a toccare le coste Scandinave per addentrarsi fino nel Baltico, alla ricerca dell’ambra. E’ a partire da questa esplorazione che si stabilì la forma pressoché triangolare per l’Inghilterra. Nel corso del viaggio, Pitea identificò un posto col nome di Thule: non sappiamo a quale luogo si riferisse, sappiamo solo che era situato molto a Nord. Eratostene nella sua rappresentazione tenne conto anche della spedizione di Pitea. Facendo un salto storico fino ai Romani, troviamo un mondo molto più pragmatico. Dell’età romana sappiamo che l’uso delle misure del terreno era molto frequente, soprattutto quando venivano fondate nuove colonie. Stabilirono due linee nelle città, il cardo e il decumano, che costituivano l’ossatura centrale della città, da cui si sviluppavano poi le zone periferiche. Anche i Romani costruirono rappresentazioni grafiche, si dice ad esempio che Agrippa ne avesse fatta incidere una nel marmo per metterla nel Foro. Sempre al periodo romano risalirebbe un altro documento che ci è giunto probabilmente in forma di copia medievale di un originale romano: la “Tabula Peuntingeriana”. E’ una carta stradale (7 metri per soli 30 cm), che sottolinea l’aspetto pratico della cartografia romana. Era divisa in dodici segmenti ma manca il primo (forse già nell’originale). La carta non è in scala per cui il cartografo segna la lunghezza in miglia per ogni strada che rappresenta. Ad ogni “spezzata” vi sono dei nomi, apparentemente sconosciuti: non sono infatti nomi di città ma bensì di locande e stazioni dove cambiare i cavalli. La carta romana rappresenta quindi strutture pubbliche. Ci sono tre città identificate come centri imperiali, ovvero Roma, Costantinopoli ed Antiochia, il che fa pensare che la carta risalga più o meno al 365 d.C.

Page 5: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

Documenti allegati: 1 fotocopia: 6) Porzione della “Tabula Peuntingeriana”

16-10-03

Per quanto riguarda i viaggi e le esplorazioni del passato trattiamo ancora Tolomeo e Marino di Tiro, entrambi bibliotecari ad Alessandria. Marino viene prima, è il predecessore, ma di lui non sappiamo quasi nulla se non quello che ci dice Tolomeo. Sappiamo quindi che Marino aveva creato una carta totalmente deformata del mondo, in cui i meridiani erano segmenti di retta paralleli tra loro. Quello dei meridiani paralleli è il primo rimprovero che Tolomeo muove a Marino, mentre il secondo riguarda l’estensione del mondo: Marino, secondo Tolomeo, aveva esteso troppo il mondo abitato, dalle Canarie fino al Sinus Magnus, un golfo immaginario in Asia, per un totale maggiore ai 200°. Tolomeo dice che secondo lui il mondo si estendeva invece per 180° (ma anche lui sbagliava, in realtà sono 135°). Tolomeo verrà ricordato per le sue opere a Bisanzio, ma totalmente dimenticato a Roma. Scrisse due opere, una geografica ad una astronomica, quest’ultima dimenticata fin da subito, salvo poi essere recuperata dagli arabi che la riportarono in Europa. Egli poneva la Terra al centro dell’Universo, ma si rese conto che gli astri avevano un moto irregolare, cosa anomala, e la spiegò (o tentò di farlo) con la Teoria degli Epicicli: la sua teoria geocentrica sarà accettata fino al Rinascimento. Venne accettata poiché poneva la Terra al centro dell’Universo, quindi era in armonia con la dottrina della Chiesa, per cui la Terra era il prodotto di Dio. Poi via via si fece strada la teoria eliocentrica, ed i promotori avevano grandi argomenti per dimostrarne la validità. Tornando comunque a Tolomeo, nella sua opera troviamo un elenco di coordinate geografiche per molti luoghi. In base ai dati riportati si possono costruire anche carte del mondo e regionali. Ci sono carte costruite in base ai suoi dati, ma sono sicuramente posteriori a Tolomeo, e alcune di esse sono conservate sul Monastero del Monte Athos, in Grecia. Infatti dell’epoca di Tolomeo non c’è rimasto nulla. L’opera consisteva di due carte del mondo (una con 27 tavole, l’altra con 60). Nel 1410 un Bizantino, Emanuele Crisalora, portò con sé a Roma una copia della geografia di Tolomeo. Costantinopoli era sotto i colpi degli Ottomani, ma all’improvviso questi ultimi furono attaccati dal Regno di Tamerlano, per cui furono costretti a difendersi e ad abbandonare momentaneamente l’obbiettivo di Costantinopoli. Questo permise a Costantinopoli di sopravvivere per altri 43 anni. Crisalora, non fu comunque in grado di tradurre l’opera di Tolomeo, la cui traduzione fu effettuta da un suo allievo e in poco tempo ne vennero prodotte una grande quantità. Si potrebbe dire con un termine moderno, che l’opera di Tolomeo costituì un “best-seller”. Via via furono aggiunte in appendice altre tavole, dette “Tabulae Novae”, ovvero le più recenti, perché più passava il tempo e più ci si rendeva conto che l’opera non era affidabile. Con l’arrivo del 1500 l’opera di Tolomeo non fu più stampata. Vedremo in seguito come anche Colombo si fosse preparato ed avesse studiato la geografia di Tolomeo ma anche quella di Marino. Infatti mentre Tolomeo stabiliva un’estensione del mondo di circa 180° e Marino invece di oltre 200°, Colombo utilizzò quest’ultimo perché gli faceva comodo, e in base a Marino appunto stabilì che in un mese di navigazione sarebbe arrivato in Asia, pensando che l’estensione del continente Asiatico fosse molto più di quella reale. Tolomeo fece anche numerose proiezioni del mondo, la prima conica, la seconda conica modificata, per non avere una brusca angolazione all’Equatore (cosa che si verificava nella prima proiezione): i meridiani e i paralleli vengono arrotondati e resi convergenti. Per quanto riguarda la rappresentazione dell’Asia, Tolomeo disegna un Oceano Indiano chiuso, mentre l’India è molto appiattita, con un’enorme isola sul meridione (probabilmente l’odierna Sri Lanka). E’ probabile che nel disegnare questa enorme isola, Tolomeo abbia staccato parte dell’India trasformandola in isola. La geografia di Tolomeo venne dimenticata nell’Alto Medioevo nell’Europa Cristiana; sopravvisse, come già visto, nell’Europa Bizantina. A testimonianza che i viaggi nell’antichità si svolgevano, ci sono alcune strutture come i monasteri che lo dimostrano: i monasteri costituivano posti di riposo per i viaggiatori, ed è il caso ad esmpio del monastero di S.Gallo, di cui c’è giunta una rappresentazione. Un’altra rappresentazione del mondo ce la fornisce intorno al VII° secolo d.C., Cosma Indicobleuste (così chiamato perché era stato in India); è una

Page 6: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

delle poche rappresentazioni non sferiche, prodotte nel Medioevo, periodo storico che mantiene la visione della Terra sferica. La rappresentazione è presente in un’opera di Cosma stesso, e immagina che il mondo sia un baule, sul cui fondo “siederebbe” il mondo abitato. Le pareti e la parte alta sarebbero la volta celeste. Cosma stabilisce lo “stereoma”, un confine fra il mondo abitato e l’aldilà: permette di vedere le stelle ma non ciò che si trova aldilà di esse, cioè il Paradiso. Il mondo abitato è rappresentato come quadrangolare: nella parte superiore (nel Paradiso) nascerebbero i quattro fiumi più importanti dell’antichità: Nilo, Gange (o Indo), Tigri ed Eufrate. Gli ultimi due sono certi, i primi sono dedotti. Come facessero a nascere lassù e poi a discendere giù fin sulla Terra, Cosma non lo spiega. Nella rappresentazione ci sono anche i mari più noti, ovvero Mediterraneo, Caspio e Golfo Persico. Secondo Cosma, nella navigazione non si può mai uscire dai Golfi: come si giunga però in India senza uscire dai Golfi, Cosma non lo dice. Cosma cerca di spiegare anche alcui fenomeni naturali come il dì e la notte, e dà una spiegazione alquanto fantasiosa: ovvero il Sole, che gira intorno alla Terra, si “nasconde” dietro un monte dando origine alla notte. Stessa cosa vale nel caso delle eclissi: l’ombra proiettata sulla Luna sarebbe quella del monte dietro cui si troverebbe il Sole. Cosma dice di aver solo cercato di interpretare l’universo e non pretende che la sua interpretazione valga come prova scientifica. Rimanendo nel periodo dell’Alto Medioevo, una navigazione da ricordare è quella di San Brindano: era un monaco irlandese che ebbe notizia della Terra Promessa e decise di andarvi con alcuni fratelli. Si prepararono al viaggio con 40 giorni di digiuno (forse non era il metodo migliore…), e le navi erano leggere e rivestite in pelle, tipiche navi irlandesi. Il racconto è pieno di fatti miracolosi, rappresenta una sorta di viaggio di iniziazione verso il Paradiso, con varie prove da sostenere lungo il viaggio. E’ come se ogni prova raffigurasse un paesaggio ben preciso, ed è proprio per questo che merita di essere ricordato in ambito geografico, perché si riconoscono elementi geografici propri dell’Oceano Atlantico Settentrionale, come Islanda, Mar Glaciale Artico, oppure elementi del paesaggio come gli iceberg.

Documentazione allegata: 1 fotocopia (?)

21-10-03

Tra i grandi viaggiatori del passato troviamo senz’altro anche gli arabi: essi, cominciarono la loro conquista del Mediterraneo a partire dall’Egitto, che costituiva il “serbatoio” di grano per l’Impero Bizantino (Imperatore Eraclio). La loro espansione si estenderà successivamente a tutto il Nord-Africa, tanto da arrivare nel 711 d.C. presso lo Stretto di Gibilterra, prima di essere definitivamente fermati nel 732. I musulmani sono portati a viaggiare anche dalla loro stessa religione, che prescrive loro di compiere nella vita almeno un pellegrinaggio a La Mecca; inoltre in ogni luogo devono sapersi orientare verso La Mecca per poter pregare. Il primo racconto che ci è giunto di un viaggio è quello di un certo Salab, ma si tratta di un viaggio leggendario. Si dice che il califfo avesse fatto un sogno in cui avrebbe previsto che dalla Cina sarebbe arrivate disgrazie e rovine: diede incarico dunque a questo Salab perché attraversasse tutta l’Asia per giungere fino alla Muraglia Cinese e verificare se i suoi timori fossero fondati o meno. Un viaggio vero fu compiuto intorno al IX°-X° secolo da un mercante, di nome Suleyman: è un periodo di grandi movimenti per il mondo musulmano che arrivò fino all’odierna Saint Tropez. Vi rimasero per circa 70 anni, durante i quali usavano compiere frequenti scorrerie nell’interno per derubare o rapire i viaggiatori. Intorno al 970 però rapirono “un pezzo grosso” ovvero San Maiolo, abate di Cluny, di ritorno da Roma: in quel caso i Cristiani decisero di non pagare alcun riscatto ma anzi di coalizzarsi e cacciare definitivamente i musulmani. Fu un periodo di riscatto per i Cristiani, che cominciarono a non farsi più schiacciare dai musulmani. Alcuni sostengono che tale reazione si deve al fatto che era stato superato il fatidico anno 1000, di cui i Cristiani avrebbero avuto paura, perché temevano la fine del mondo; questa teoria è falsa, perché non è vero che i Cristiani attendessero la fine del mondo, magari qualcuno ma non certo la maggior parte. Infatti anche prima del 1000 si possono notare segni di questo riscatto cristiano. In ogni caso l’essere venuti a contatto con i musulmani giovò

Page 7: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

parecchio al mondo cristiano e gli scambi culturali furono notevoli. Per quanto riguarda la fine del mondo ci sono tre date che erano considerate le potenziali: 1000, 1033 (mille anni dopo la morte di Cristo) e 1054 (avvenne un fenomeno astronomico, cioè il passaggio di una supernova, che illuminò le notti per parecchio tempo e fu interpretato come un segno del destino). Saint-Tropez, costituiva per gli arabi un posto strategico, poiché partendo da lì potevano facilmente insidiare le navi europee che navigavano nel Mediterraneo. Usavano navi particolari, le galere, con un’autonomia di 2-3 giorni, per cui avevano il tempo di andare a cercare le navi in giro per il Mediterraneo, cosa che non potevano fare partendo dalle coste del Nord-Africa, perché avrebbero impiegato quel tempo solo per arrivare fin sulle coste europee. Quindi la cacciata dei musulmani dall’Europa continentale rese più sicuri anche i traffici per mare. L’espansione araba volgerà anche verso est, come in India; i viaggiatori musulmani si muovevano per lo più nel mondo islamizzato. Ci sono giunte parecchie testimonianze di viaggi compiuti da musulmani, tra cui uno che andò a Roma, mentre un altro, partito per un viaggio, incontrò un gruppo di vichinghi e si aggregò a loro finendo in Danimarca a Trelleborg, e quindi abbiamo una sua interpretazione del mondo vichingo, ovvero un’interpretazione araba del mondo nordico. Nel 1183 uno scrittore araba, particolarmente devoto, che stava a Granada, decise di effettuare il suo primo pellegrinaggio a La Mecca. Nel suo viaggio toccherà molti posti, tra cui Ceuta, Alessandria, il Nilo, attraversò il Mar Rosso e arrivò prima a Jedda e poi a La Mecca. Nel ritorno passò da Baghdad, in Palestina (naturalmente visitò Gerusalemme), andò a S.Giovanni d’Acri, ultima roccaforte cristiana a cadere, ed infine, una volta arrivato in Sicilia, a Messina e a Trapani, si imbarcò per Cartaghena e di lì fece ritorno a Granada. Per un totale di tre anni, come già detto in precedenza. Come si è potuto notare il viaggiatore musulmano ha compiuto tre lunghi viaggi per mare, tutti su nave genovese, quindi cristiana: si deduce che i viaggi per nave venivano effettuati ugualmente e tranquillamente. La navigazione, aprendo una breve divagazione, si effettuava con vela triangolare latina (molto utile nel Mediterraneo in condizioni di vento variabile); nel 1350 nel Mediterraneo però la velatura torna ad essere quadrata. Come ci si spiega tale cambiamento? La risposta è molto facile: nel 1300 si diffonde la peste, che mieterà milioni di vittime, si calcola quasi la metà della popolazione europea, e la velatura triangolare impiegava più uomini mentre la quadrata meno, e siccome gli uomini erano pochi, il gioco è presto fatto!. Con la ripresa economica successiva alla peste, si svilupperà una velatura mista ed è in questo periodo che nascono le navi “moderne”. Tornando ai viaggi, grazie ad essi si assiste a numerosi scambi culturali e l’Europa ne usufruì parecchio. Merita sicuramente un cenno anche un certo Ibn –Batuta, un viaggiatore arabo che partì nel 1325 e rappresenta il Marco Polo degli arabi. Egli infatti partì per La Mecca, passando per il Nord-Africa: non vi giunse immediatamente poiché incontrò disordini in Egitto. Si diresse allora in Asia Minore, Anatolia e Mesopotamia per poi giungere a La Mecca. Andò successivamente in India e si fermò a Delhi dove diventerà “Kadhi” ovvero un giudice di pace: visitò anche le Maldive e venne inviato in Cina dall’ambasciatore di Delhi. La descrizione che ne fa è molto sbrigativa, quindi non abbiamo la certezza che ci sia andato davvero, forse ha riportato solo notizie sentite qua e là, oppure potrebbe aver compiuto un soggiorno molto breve. Tornò a Tangeri dopo 24 anni. L’analogia con Marco Polo si completa con la dettatura delle proprie memorie ad un letterato esattamente come fece proprio Marco Polo. Ibn-Batuta tornò nel 1349, ma a differenza di M.Polo, si rimise in viaggio a poco tempo di distanza: infatti tra il 1352-54 andò all’esplorazione dei regni a sud del Sahara, di cui era giunta notizia. Infatti nel 1310 aveva destato curiosità il pellegrinaggio effettuato dal Re del Mali a La Mecca: aveva al suo seguito una carovana di schiavi con tanto oro e proprio su queste informazioni su basò Ibn-Batuta nella sua ricerca. Visitò proprio il Mali, e raggiunse Timbuctù, la capitale del Deserto. Sorge vicino alle rive del Niger (a 30 km) ed era importante come centro commerciale, infatti da lì le merci venivano poi dirottate verso il Nord-Africa. Quando ci giungeranno gli europei, troveranno una Timbuctù decaduta, poiché i Portoghesi le avevano tolto il commercio con il loro insediamento nel Golfo di Guinea.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Al-Idrisi: mappamondo e carte regionali”

Page 8: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

22-10-03

Nella fotocopia consegnata nella lezione precedente, si parla di un certo Al-Idrisi, che visse presso la corte del Re Ruggiero, un sovrano normanno, e scrisse anche un libro sulle conoscenze geografiche del tempo. Nel mappamondo di Al-Idrisi il Sud è posto in alto. Il Nord in alto è una convenzione ma non è stato sempre così: nell’antichità, in Europa, si usava ad esempio l’Est in alto, perché si riteneva che il Paradiso fosse in Oriente. Gli Arabi ponevano invece il Sud in alto, come nel caso di Al Idrisi. Questi mappamondi come quello di Al Idrisi, sono interpretazioni delle sacre scritture: gli Arabi interpretavano il Corano, i Cristiani la religione cattolica. E’ evidente dunque come l’interesse delle due parti si focalizzasse maggiormente su aspetti ben distinti tra loro. Infatti, Al-Idrisi ci presenta in maniera molto chiara proprio l’Asia e il Medio-Oriente, mentre l’Europa viene messa poco in risalto, poiché probabilmente era in possesso di poche notizie. Nel libro scritto per Re Ruggiero, nella sezione geografica, furono proposte molte carte regionali, unite successivamente in un’unica carta. Il Sud è sempre posto in alto. Spostando ora il nostro ragionamento sull’argomento “pellegrinaggi”, abbiamo già visto come ogni buon musulmano dovesse almeno una volta nella vita compiere un pellegrinaggio a La Mecca. Ogni fede aveva ovviamente i propri luoghi di culto: i centri più frequentati dai pellegrini erano comunque tre, cioè Gerusalemme, Roma e Santiago de Compostela; quest’ultimo luogo si trova in Galizia all’estremità del mondo, presso il capo Finis-Terrae. Il pellegrinaggio a Santiago iniziò più tardi rispetto agli altri, e se ne fa risalire l’origine ad un fatto leggendario, cioè la morte di S.Giacomo: si dice che esso fu sepolto proprio lì dopo essere stato trovato in mare con numerose conchiglie attaccate al corpo, dovute al prolungato periodo passato in acqua. Il motivo della conchiglia diventerà ricorrente nella simbologia del pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Insomma il motivo del pellegrinaggio in questo si dovrebbe, secondo la leggenda, al ritrovamento della tomba di S.Giacomo. Con l’inizio dei pellegrinaggi si risvegliò anche un certo risentimento contro i mori. Nel lungo viaggio verso Compostela, i pellegrini avevano modo di imparare ed insegnare molte cose: erano quindi numerosi gli scambi culturali fra popoli diversi. Il pellegrino seguiva itinerari precisi perché quasi ogni città presentava le proprie reliquie. Per il fedele esse rappresentavano un tramite con l’aldilà. Le reliquie nel corso della storia verranno anche spostate da un posto all’altro e anche rubate: si diceva ufficialmente che lo spostamento doveva avvenire perché le reliquie dovevano trovarsi nel luogo sacro, e se il Santo non fulminava il ladro, voleva dire che era d’accordo. La motivazione reale era soprattutto economica e si cercava di deviare il flusso pellegrino da un luogo ad un altro. Non mancavano poi quelli che “bollavano” le reliquie e l’ eccessiva venerazione di esse, come ad esempio Boccaccia che parla di un “culto delle reliquie” e lo mette a nudo nelle sue novelle. Bisogna sapere inoltre che spesso con la scusa del pellegrinaggio, molti delinquenti si spostavano da un paese all’altro, e la Chiesa si lamentò più volte per questo fatto. Oppure con il tempo si sviluppò l’abitudine di mandare qualcuno a compiere il pellegrinaggio per conto di qualcun altro. Come abbiamo accennato in precedenza, ogni pellegrinaggio aveva un proprio simbolo di riconoscimento: la conchiglia per Santiago, una spilla di piombo per Roma e Gerusalemme. La spilla di Gerusalemme rappresentava una foglia di palma mentre la spilla di Roma inizialmente mostrava una veronica, ovvero una veste con il volto della Madonna, e successivamente le chiavi di S.Pietro. L’immagine della veronica sparì intorno al ‘500 con il Sacco di Roma. Il pellegrino aveva con sé un bastone, che oltre a sorreggerlo lo difendeva anche dagli eventuali aggressori, e una piccola borsa di pelle di animale. La pelle di animale richiamava alle origini dell’uomo; la borsa inoltre doveva essere aperta e non chiusa con lacci, a significare che il pellegrino sarebbe stato pronto a dividere con gli altri quel poco che aveva. Esistevano per i pellegrini dei luoghi dove dormire e ristorarsi: erano ubicati o presso i luoghi sacri oppure sui valichi. Uno ad esempio si trova sul S.Bernardo, che prende il nome dal Santo che ne decise la ricostruzione: in passato si chiamato Mons Jovis. E proprio i valichi e le Alpi in generale hanno da sempre rappresentato un ostacolo e un pericolo per i pellegrini: gli abitanti di queste si

Page 9: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

organizzarono ben presto in consorzi e si offrivano di guidare i pellegrini nel passaggio del valico in cambio di somme in denaro. Che il passaggio fosse cosa ardua e pericolosa ce lo testimoniano in molti, come è il caso dell’Arcivescovo di Canterbury o di due abati di Liegi di ritorno da Roma. Sappiamo abbastanza precisamente quanto accadde loro, che decisero di passare il Gran S.Bernardo in inverno: già era difficile farlo negli altri periodi, figurarsi d’inverno. Le guide infatti si offrono ugualmente di accompagnarli ma in cambio di una grossa somma. Sulle guide, che aprivano la strada ai religiosi, si abbattè però una valanga che li uccise. Gli abati dunque decisero di aspettare ancora qualche giorno per ritentare il passaggio, e rimasero nel villaggio (stranamente affollato) fino all’Epifania. Successivamente partirono ed impiegarono solo due giorni a passare il Gran S.Bernardo. I pellegrinaggi per Gerusalemme (quello precedente era di ritorno da Roma) si svolgevano a piedi fino a Venezia o Bari/Brindisi, dopodiché ci si imbarcava per la Terra Santa. I pellegrinaggi continuarono anche quando Gerusalemme cadde in mano musulmana. Le vie per giungere invece a Santiago erano molte, tra cui ricordiamo: Via Turonense, Lemovicense, Podense, Tolosana. Passati i Pirenei le vie si univano nel “Camino de Santiago”.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Peregrinatio ad limina S.Jacobi”

23-10-03

Nel corso del XII° secolo l’Europa comincia a prepararsi ad espandere i propri orizzonti geografici. Vengono compiuti tanti piccoli passi in vista dell’apertura al mondo, come l’Oriente e la Cina. Proprio dalla Cina giungeva la seta, mentre da altri paesi provenivano le spezie (dal Borneo, Giava Molucche, ed in generale il Sud-Est Asiatico); la cannella proveniva invece dallo Sri Lanka. Molti di questi prodotti prima di giungere in Europa compivano lunghi viaggi: arrivavano via mare fino al Mar Rosso, e successivamente venivano trasferite ad Alessandria dove venivano smerciati: quindi un qualsiasi mercante di spezie doveva recarsi necessariamente ad Alessandria per comprarle. Le spezie avevano un ruolo importante non tanto per aromatizzare i cibi, quanto per conservarli; aromatizzavano solo i vini. Il fatto che questi prodotti provenissero da luoghi lontani aveva scatenato l’interesse di molti. Interesse che, a causa di fenomeni storici e bellici contingenti, si spostava anche verso l’Occidente: tra questi fenomeni ricordiamo la conquista musulmana di Gerusalemme (nel XIII secolo) e la quarta Crociata (1204) che portò alla conquista di Costantinopoli e non di Gerusalemme. I Bizantini successivamente riusciranno a ristabilire il controllo e a riacquisire potere grazie all’aiuto genovese. Un terzo avvenimento da ricordare è quello che accade all’inizio del XIII° secolo: ovvero la creazione degli ordini religiosi mendicanti, francescani e domenicani. Non erano come gli altri ordini (ad esempio i benedettini), infatti questi nuovi ordini avevano come prerogativa quella di viaggiare e diventarono col tempo ideali viaggiatori-ambasciatori per il Papa. Dall’Oriente giungono notizie circa un’espansione sempre più costante: è quella Mongola, che aveva spazzato via l’Impero dei Turchi Selgiuchidi che si frantumò in varie parti e non poteva più costituire un pericolo per l’Europa, anche per i viaggiatori e non solo per i commercianti. Da uno di questi Stati che si crearono nascerò però l’Impero Ottomano. Dall’Oriente le notizie si succedono, perché non era una terra così inesplorata anche dagli stessi europei: in molti infatti c’erano già arrivati e se tornavano indietro portavano le loro testimonianze. Ecco allora che un certo Dario di Gabala porta la notizia che esiste un Regno in Oriente, che, essendo rimasto ai margini dell’espansione musulmana, non è stato islamizzato e quindi è un regno tollerante e diverso dai comuni regni islamici. Un’altra persona, Ottone di Frisinga, riporta più o meno la stessa notizia, ma dà indicazioni più precise: a capo di questo Regno sta Gianni, capo spirituale ma anche temporale, che sarebbe discendente dei Re Magi. Successivamente verrà conosciuto come il “prete Gianni” che avrebbe inviato una lettera ai tre massimi poteri europei, ovvero il Papa, l’Imperatore e l’Imperatore Bizantino: in tale lettera egli avrebbe cercato di esprimere il concetto secondo cui l’unione delle due cariche (temporale-spirituale, Papa ed Imperatore) portava il benessere. Il Regno di Gianni sarebbe stato, come già detto, ai margini

Page 10: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

dell’Impero musulmano e avrebbe compreso l’India Maggiore (India), l’India Minore (Birmania e Thailandia) e l’India Mezzana (Etiopia). Siccome nel Medioevo non si troverà mai nessun regno con tali connotati si cominciò a dubitare dell’esistenza non solo di tale regno ma anche dello stesso Gianni, tanto che successivamente alcuni studi avrebbero evidenziato come la lettera non fosse stata scritta da lui ma da un monaco di Metz. Sta di fatto comunque che la fantasia del Medioevo volle collocare a tutti i costi questo regno in una qualche parte del mondo, e lo collocò in Etiopia perché sembrava possedere quelle caratteristiche narrate. Come si può notare dunque, il Medioevo è un periodo di grandi fantasie, ma anche di fatti piuttosto certi come l’espansione mongola. Essi usavano la cavalleria e l’estrema mobilità come armi in più, che in effetti gli Europei non conoscevano, poiché essi combattevano con gli eserciti schierati gli uni di fronte agli altri. Usavano tecniche e strategie, e infatti i Mongoli distruggeranno l’esercito russo sul Mar Nero e di questo fatto giungono notizie dalle colonie genovesi. Soltanto la morte di Gengis Khan costringerà i Mongoli a tornare indietro per nominare un successore (Odotai). I Mongoli si diceva fossero crudeli e cruenti nelle battaglie, ma anche tolleranti nella religione. Questo indusse il Papa a pensare che tolleranza fosse sinonimo di disponibilità a convertirsi. E furono organizzate ben quattro ambascerie: due domenicane e due francescane. A capo dei domenicani vi erano Ascerino e Longunel ma nessuno dei due riuscì a penetrare a fondo nell’Impero Mongolo. Per i francescani invece erano stati scelti Giovanni Pian del Carpine ed un altro che però non partì. Giovanni aveva già 63 anni, quindi era molto vecchio, basso e grasso, in sostanza il meno indicato per svolgere quel lungo verso la terra Mongola. Ma sarà proprio lui l’unico a recapitare la lettera papale al Gran Khan; fu accompagnato da due monaci di cui il più importante è Benedetto di Polonia che ci ha lasciato un suo scritto sul viaggio. Ci fu un episodio in cui si trovarono molta paura perché i Mongoli fecero irruzione nel loro accampamento: saranno però proprio loro a scortarli poi fino alla capitale. Della risposta del Gran Khan, Giovanni Pian del Carpine non parla, neppure nel suo libro “Historia Mongalorum”: ne parlerà invece Benedetto. Fu un dialogo tra “sordi” poiché il Papa voleva la conversione mentre il Gran Khan la accettava solo con la sottomissione del Papa all’Impero Mongolo. Poche sono anche le indicazioni sull’itinerario che ci dà Giovanni, tranne che in una delle ultime sezioni del suo libro, a carattere etnografico. Del libro di Giovanni verranno fatte molte copie manoscritte. Egli fu poi eletto vescovo di una cittadina della Dalmazia. Morì poco dopo il suo ritorno, in tempo per scrivere il suo libro ed intraprendere la carica affidatagli. Un altro tentativo verso la Mongolia fu effettuato più avanti da Luigi il Santo Re di Francia, un sovrano particolarmente pio, che organizzò anche due crociate entrambe con esiti disastrosi (in una delle quali morì anche). Questa ambasceria verso la Mongolia, fu affidata a Guglielmo di Rubruck, un frante francescano fiammingo, che seguì in parte l’itinerario di Giovanni Pian del Carpine. Erano cambiati i “Gran Khan” da allora ma Guglielmo notò che erano molti gli Europei che si trovavano già in Oriente. Ci racconta di una certa “Pasca”, oppure di un tale Guglielmo che faceva l’orefice. Quindi i contatti c’erano, ma poche ne erano le traccie.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Vie del commercio in Oriente”

28-10-03

Intorno al 1250, due mercanti veneziani, Niccolò e Matteo, fratelli, seguendo quanto fatto già da altri europei, si trasferirono a Costantinopoli. Commerciavano pietre preziose, e questo li portava a viaggiare molto. Da Costantinopoli si spostarono verso Oriente. Abbiamo notizie sul loro conto grazie a Marco, figlio di Niccolò. Appartenevano tutti alla famiglia Polo. Da Costantinopoli giunsero dapprima in Crimea e da lì successivamente proseguirono fin presso un Re dei Tartari. Il Khan ricevette molto bene i mercanti e diede loro la possibilità di viaggiare sui suoi territori. Quando vollero tornare indietro furono bloccati da disordini locali, per cui proseguirono il loro viaggio, giungendo fino ad una grande città, forse la capitale del Regno Mongolo. Il Khan allora era Kublay e fu proprio lui a spostare la capitale da Ulan-Bator a Pechino, ma non si sa con certezza in

Page 11: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

quale delle due si trovassero i Polo. Fu Kublay che allargò notevolmente i domini mongoli, estendendoli fino dal Catai (Cina Nord) fino al Mangi (Cina Sud), cercando anche di invadere il Cipangu (Giappone) allestendo una grande flotta che fu però distrutta per ben due volte da un tifone (o kamikaze). Anche Kublay ricevette bene i due mercanti, mostrando anche una certa curiosità verso la religione cristiana: investì i mercanti del ruolo di suoi ambasciatori, con il compito di portargli 100 saggi sulla religione cristiana. A Roma questa curiosità fu interpretata come una volontà di conversione, ma non era così perché era solamente pura curiosità. Kublay diede inoltre due tavole d’oro ai mercanti, in modo che mostrandole potessero spostarsi tranquillamente nel suo Regno (oggi diremmo “pass”). Siamo nel periodo in cui si andava affermando la Pax Mongolia, che garantiva la libera circolazione nell’Impero Mongolo. I due mercanti veneziani portarono con sé il giovane Marco, una volta tornati e ripartiti da Venezia. Il Papa, Clemente V, era morto ed il Conclave continuava a riunirsi ormai da due anni, inutilmente, senza infatti riuscire ad eleggere un sostituto. Quindi per i Polo vi era il problema della risposta papale al Khan; si rivolsero allora al legato Pontificio, una sorta di sostituto del Papa, Tebaldo Visconti, che si trovava a S.Giovanni d’Acri. Egli scrisse loro il messaggio da recapitare al Khan, ed inoltre assegnò loro due aiutanti che li accompagnassero nel viaggio. Essi però abbandonarono presto il viaggio. I Polo dunque ripartirono da S.Giovanni d’Acri e, quando ormai erano giunti in Asia Minore, furono richiamati a Roma perché il Papa nel frattempo era stato eletto, ed era lo stesso Tebaldo Visconti che desiderava cambiare il messaggio, scrivendolo ora in veste Papale. I Polo continuarono invece il viaggio attraverso l’Asia Minore e si imbarcarono poi alla volta dell’Oceano Indiano; spaventati però dall’aspetto particolare delle navi, preferirono proseguire via terra, seguendo la “via della Seta” e arrivarono fino a Pechino, la nuova capitale mongola. Il viaggio ebbe inizio nel 1271 e per arrivare a Pechino ci vollero tre anni e lì rimasero per ben 17 anni. Il padre e lo zio di Marco Polo proseguirono i loro commerci, mentre lui fu mandato più volte dal Khan a svolgere mansioni diplomatiche. Visitò dunque l’Impero. Il ritorno cominciò intorno al 1291 anche se il Khan non era d’accordo, perché avrebbe voluto trattenere a corte i Polo: Niccolò e Matteo però si sentivano vecchi e pensavano che non avrebbero più avuto le forze di intraprendere questo lungo viaggio se avessero aspettato ancora a lungo. L’occasione per partire fu fornita loro da un matrimonio combinato tra un Re Persiano (comunque sotto i Mongoli), Argun, ed una giovane ragazza mongola. Il viaggio di questa giovane cominciò via terra ma fu interrotto dopo poco: decisero allora di farla partire con una nave e i Polo furono scelti per accompagnarla. Nel frattempo, quando giunsero in Persia, Argun era morto e le toccò sposare il nipote. Il viaggio dei Polo continuò fino a Trebisonda per poi proseguire fino a Venezia. Il viaggio era durato 24 anni e dovettero faticare per farsi riconoscere e riaccettare dai Veneziani. Marco dirà nelle sue memorie di aver assistito ad uno scontro navale fra Genova e Venezia (forse la battaglia di Curzola) e lui fu imprigionato proprio in quell’occasione a Genova nei sotterranei di Palazzo S.Giorgio. Con lui nella cella si trovava un Pisano, Rustichello, di professione letterato che lo aiutò a stendere le sue memorie che inizialmente si intitolava “Libro dei divisamenti dei paesi” e solo successivamente “Il Milione”. Il viaggio occupa solo 2-3 capitoli, poi vengono raccontati i vari paesi visitati ma senza un ordine ben preciso. Secondo uno storico francese, Colombo lesse il Milione e lo interpretò come un diario di viaggio ed ebbe l’impressione che vi fossero distanze enormi per cui nelle sue rappresentazioni allungò di molto l’Asia. Il Milione ebbe grande diffusione sia manoscritta che a stampa: era scritto inizialmente in franco-provenzale (lingua dei romanzi cavallereschi), poi una prima edizione in latino fu curata da Frate Pipino. Il Milione fu copiato da un francese “de Mandeville” che scrisse un itinerario ed ebbe la stessa grande diffusione, con la differenza che De Mandeville non si era mai mosso da casa e aveva studiato tutto a tavolino. Ma la questione era proprio questa: non interessava se il viaggio fosse stato compiuto davvero o no, ma che il libro divertisse e piacesse. E divertiva e piaceva proprio perché raccontava fatti strani e di terre lontane, senza che però nessuno si chiedesse se raccontasse cose vere o meno.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “La via della seta”

Page 12: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

29-10-03

Dopo Marco Polo sono molti i viaggi compiuti verso l’Oriente, per lo più da altri mercanti ma anche da missionari. Infatti era stata attivata una diocesi a Pechino. Nel 1292, a questo proposito, sappiamo che fu mandato proprio a Pechino un certo Giovanni da Montecorvino, un prete; grazie a lui abbiamo una testimonianza della breve parentesi del Cristianesimo in Asia. Più avanti, intorno al 1318 fu inviato sempre a Pechino un altro religioso, Odorico da Pordenone: tornò nel 1330. Odorico seguì un itinerario opposto a quello di Marco Polo, infatti fece l’andata via mare e il ritorno seguendo la via della seta quindi via terra. La sua descrizione dei popoli incontrati ebbe un buon successo, grazie anche ad una narrazione semplice ma non priva di elementi fantastici. Elementi che non solo riguardavano l’Asia ma anche l’Europa, e più precisamente l’Irlanda: lì infatti sarebbero esistiti alberi che generavano uccelli!. Sull’Asia ci sono molti elementi strani, come un’isola dove non si poteva nascere, etc…. Odorico fu colpito particolarmente da un monte nell’Isola di Ceylon (odierno Sri Lanka): questo monte presenta una depressione che i Buddisti interpretano come l’impronta di Buddha, mentre i Cristiani come quella di Adamo. Il monte non a caso si chiama “Picco di Adamo” ed è sacro ad entrambe le fedi religiose. Odorico rimane talmente impressionato da tale rilievo da pensare che i fiumi che da esso nascono trasportino pietre preziose (per le quali l’isola è molto famosa). Si trasferirà successivamente nelle isole di Giava e Sumatra, dove racconta di aver incontrato strani animali e una popolazione già conosciuta, i Pigmei. Il mito di tale popolazione era già vivo nell’antichità, dapprima con Omero, poi con Erodoto, tanto che l’età classica aveva posto i Pigmei in Africa mentre il Medioevo li “aveva spostati” nel Medioevo. Odorico ci descrive anche le navi cinesi, con grande stupore. Odorico è uno degli ultimi a viaggiare via terra verso la Cina. Forse l’ultimo sarà Giovanni da Marignolle, che viaggiò tra il 1432 e il 1438 e fu colui che mostrò minore interesse verso le “novità” asiatiche. Le rotte si spostarono anche verso l’India, e un tale Giordano da Semerach scrisse “Mirabilia descripta” in cui racconta proprio questa nuova rotta e ciò che incontrò in tale viaggio. Altri viaggi furono intrapresi poi in Asia Centrale (da Pasquale da Vittoria) e in Iran da un altro missionario. Grossi cambiamenti erano ormai in atto in Asia, che avrebbero fatto cambiare definitivamente l’approccio europeo verso queste terre. Infatti parte delle pianure russe vennero islamizzate e i mongoli furono cacciati dalla Cina, che sotto la dinastia dei Ming (1361) chiuse il Paese a tutto il mondo esterno. E non vi saranno più contatti per circa due secoli, cosicché l’immagine della Cina restò quella di Marco Polo. Le vie dell’Oriente diventano quindi difficilmente percorribili, e vengono pian piano abbandonate: si fa strada la via Occidentale. Genova è una delle prime ad aprirsi all’Occidente mentre Venezia rimase legata all’Oriente, difendendo le proprie colonie orientali e continuando il commercio delle spezie. L’arrivo dei Portoghesi cominciò a fare concorrenza al commercio dei Veneziani circa le spezie, ma le spezie dei Veneziani, trasportate via terra erano comunque preferite a quelle portoghesi che dovevano stare molti mesi in mare prima di arrivare in Europa. A metà del ‘400 un fiorentino, Niccolò de’ Conti, viaggiò in India e ce ne parla un letterato, Poggio Bracciolini. Svolse il viaggio un po’ per mare e un po’ per terra, dandoci anche congnizioni nautiche. Racconta infatti che gli indigeni usavano le stelle come riferimenti e costruivano navi anche molto più grosse rispetto a quelle europee. Hanno però i compartimenti stagni, cosa molto innovativa. Niccolò de’ Conti visiterà l’India e Ceylon e da lì si spostò fino all’odierna Indonesia. Nel viaggio di ritorno decise di fermarsi sul Sinai per visitare il Monastero di S.Caterina e lì vi trovò un altro europeo, un catalano che gli racconterà di aver visitato luoghi ben più conosciuti. L’elemento meraviglioso è pressoché scomparso con Niccolò, che invece preferisce concentrarsi su altri aspetti come quello etnografico. Sempre di questo periodo è un “Manuale della Mercatura” di Pegolotti, un manuale fatto a tavolino raccogliendo testimonianze varie da più mercanti. Forniva consigli di vario genere a chi volesse viaggiare. E’ unico nel suo genere perché difficilmente i mercanti fornivano informazioni, per paura di favorire i loro concorrenti. Come abbiamo già avuto modo di constatare, il Medioevo era ricco di racconti fantastici, e dei cosiddetti “viaggi a tavolino”. Forse erano dovuti a

Page 13: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

motivazioni che impedivano di viaggiare realmente, come ad esempio la peste del ‘300. Uno tra i più curiosi libri a tavolino, fu sicuramente “Inventio Fortunata”, tutti ne hanno parlato molto nell’antichità ma oggi non c’è rimasta alcuna copia di tale libro. Sarebbe stato scritto da un frate che nel suo viaggio sarebbe arrivato fino al Polo Nord, e le uniche notizie che abbiamo sono quelle riportate su alcune carte o documenti antichi.

30-10-03

Introduciamo oggi le navigazioni nel Mediterraneo. Questo mare presenta una corrente di circa 1,5 nodi che si muove in senso antiorario e tocca un po’ tutte le sponde del Mediterraneo. I venti non sono regolari, i più comuni sono quelli provenienti da NW e vi sono inoltre venti solo stagionali In certi periodi dell’anno esistono particolari venti, detti “meltemi”, che rinforzano quelli comuni. Boccaccio nella novella di Alatiel ci parla di congnizioni nautiche, perché ne era abbastanza esperto. Si calcolava sempre che il viaggio di ritorno durasse il doppio di quello di andata. Le navi più usate erano le galere, e si calcola che avessero un’autonomia di 10 giorni al massimo. Le galere trasportavano anche acqua per tutti gli occupanti. Spesso nel corso della storia, le navi musulmane costituirono un pericolo per quelle cristiane: quando però i musulmani cominciarono a perdere punti di riferimento nel Mediterraneo, risulteranno anche meno pericolosi. Inoltre, utilizzando navi con autonomia di soli 10 giorni non potevano spingersi molto in là nelle acque, arrivando ad esempio lungo le coste italiane. In Asia poi si andarono formando molti piccoli emirati, quindi costituivano una minaccia sempre minore. Tra questi piccoli emirati ve ne sarà uno che piano piano prenderà il sopravvento sugli altri, quello Ottomano, che arriverà a conquistare l’Oriente e Costantinopoli. Vennero momentaneamente fermati nella loro espansione solo dal Regno di Tamerlano, che contribuì anche alla salvezza per ancora qualche decennio di Costantinopoli. Anche il Regno di Tamerlano ebbe comunque vita breve e si sfasciò con la morte di Tamerlano stesso. L’Egitto invece sarà occupato dai Mamelucchi, una popolazione mista, proveniente dall’Asia, il cui regno durerà fino all’arrivo di Napoleone. Tutta questa serie di avvenimenti rese i musulmani sempre meno pericolosi per le navi cristiani che viaggiavano nel Mediterraneo. Passiamo ora a dare uno sguardo d’insieme alle navi in se stesse, ovvero alla loro costruzione, e al loro impiego. Dopo la peste del ‘300 la navigazione subì dei cambiamenti: le navi infatti erano molto diverse rispetto a quelle romane. Innanzitutto per prima cosa veniva costruito il “guscio”. Serviva molta manodopera e a bassi costi, quindi c’era un largo impiego di schiavi: erano proprio abili schiavi a costruire le navi. La navigazione anche nel Medioevo, così come nell’antichità, non si effettuava d’inverno, e sarà così per ancora molto tempo, fino all’età moderna. I Romani uavano una vela triangolare che permetteva di stringere il vento: si chiama anche “vela latina”. La vela era sostenuta da due elementi ma le operazioni per ammainare la vela e farla passare dall’altra parte risultavano lunghe e complesse. Inoltre con vento forte la nave tendeva ad affondare a prua e più volte incorreva nel rischio di girarsi su se stessa. Nel Medioevo la nave da carico più diffusa era la nave tonda. Diffusa nell’Alto Medioevo fino al ‘300 presentava una chiglia arrotondata, ed aveva prua e poppa arrotondate. Presentava due timoni, disposti uno per lato, che fungevano da remi e che venivano controllati da due timonieri. Se però la nave si inclinava anche leggermente da un lato, diventava meno sensibile al controllo. Era dotata di una velatura triangolare (questo tipo di velatura alla latina resisterà almeno fino al ‘300). Esistono però navi tonde (cioè da carico) anche con più alberi. Con le Crociate si cominciarono a costruire nuove navi: a Genova veniva costruita “l’usciere” per trasportare uomini armati e cavalli. I cavalli venivano stipati nella parte più bassa della nave e il portellone sigillato, perché con la nave a pieno carico la parte inferiore finiva sott’acqua. Furono costruite anche nuove galere, le più usate per operazioni militari, con una disposizione per i remi “a lisca di pesce”. Ogni rematore aveva un remo, lo scafo però era piccolo, e quindi i rematori si trovavano in uno spazio molto ristretto ed inoltre posti molto in basso, per ottenere una rematura quasi parallela. Questo però comportava che con il mare mosso entrava acqua. Per ovviare a questi problemi, allo scafo della nave venne aggiunto un “aposticcio” che però non migliorò di molto le

Page 14: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

condizioni di chi stava all’interno della nave ma anzi costringeva la nave a ruotare su se stessa non appena subito una anche minima inclinazione. Furono create anche galere da mercato un po’ più grosse ma comunque non adatte a grossi carichi, eccetto quelli di spezie (la tratta Venezia-Anversa si faceva con queste galere). Alcune galere furono utilizzate anche per trasportare pellegrini: l’unica ragione di questo utilizzo era che venivano effettuati molti scali. Successivamente con le Crociate, fu introdotto un nuovo tipo di nave, la “cocca nordica”, con chiglia a V più pronunciata, prua e poppa piuttosto dritte. Presentava una sola vela quadrata e un solo timone. Era nata per l’Atlantico ed entrò nel Mediterraneo con le Crociate, ma si affermò per la metà del ‘300. Non si esclude che la peste abbia portato all’utilizzo di questa nave: infatti a parità di tonnellaggio richiedeva meno della metà dei rematori (marinai). Era utile in condizioni variabili (come nel Mediterraneo). Un’evoluzione sulla cocca nordica si ebbe più avanti con l’installazione di un doppio albero (e non più solo uno) e una modifica alla vela (venivano installati dei lacci che collegavano la parte superiore e quella inferiore della vela, che consentivano in casi particolari di navigazione di sfruttare meglio le condizioni atmosferiche; l’unico rischio era che la vela, essendo legata, potesse spezzarsi. Questi lacci venivano detti “bonetti”). Le modifiche più sostanziali che si ebbero nel Mediterraneo furono le aggiunte di più alberi, ottenendo quindi un frazionamento della velatura, con ogni albero che aveva più vele. Inoltre si arrivò ad una velatura mista con più alberi e più vele di vari tipi (triangolari o quadrati), ma questo solo molto più avanti, nel ‘500 con le “Caracche”. Saranno queste ultime le navi delle esplorazioni (la S.ta Maria era una caracca) e le usò anche Magellano. Nel frattempo però si erano sviluppate anche le caravelle, in genere più piccole e con vele triangolari o quadrate a seconda della condizione, utili soprattutto per le esplorazioni sotto costa. I Portoghesi le usavano spesso, nelle loro esplorazioni delle coste Africane. Tra le armi, poiché sulle navi venivano trasportate anch’esse, prima del ‘400 le più usate a bordo erano la balestra (da Genovesi e Veneziani) e l’arco lungo (dagli Inglesi). Nel ‘400 si diffonde l’artiglieria: c’erano diversi tipi di cannoni (forgiati non fusi perché le tecniche del tempo non lo consentivano ancora; i cannoni forgiati erano costituite da barre d’acciaio saldate intorno ad un cilindro di legno). Questi cannoni erano a retrocarica: nella parte posteriore veniva introdotto dall’alto il “mascolo”, l’attrezzo che conteneva la polvere da sparo. L’artigliere era l’unico sulla nave a svolgere solo ed esclusivamente la sua mansione, mentre tutti gli altri dovevano adattarsi a svolgere un po’ tutti i compiti. Questo perché il compito dell’artigliere era estremamente delicato.

Documentazione allegata: 1 fotocopia. “Le navi più comuni tra Medioevo e ‘500”

4-11-03

Con la caduta di S.Giovanni d’Acri, Chio assunse il ruolo di spicco nel Mediterraneo. Rappresentava un importante centro commerciale, e dell’allume. Nel frattempo in Europa si stava aprendo la via delle Fiandre, mentre per arrivare in Inghilterra le merci venivano trasportate fino a Bordeaux e da lì imbarcate per l’Inghilterra. Quando però si riuscì a navigare fino all’Inghilterra, passando da Gibilterra, i mercanti videro aumentare di 7 volte i loro profitti. Intorno al 1291 si registra una prima esplorazione verso Occidente, ma evidentemente era ancora troppo presto: ce la racconta un certo A.D’Oria. Era la spedizione dei fratelli Vivaldi. Questi mercanti genovesi andarono in cerca delle Indie ma non si ebbe più notizia di loro. Il cronista scrive nel 1294. Vengono considerati i precursori di Colombo. Su questa spedizione abbiamo molte altre testimonianze grazie a studiosi medioevali, tra cui un certo Pietro d’Abano. Un’altra notizia molto interessante riguardante questa spedizione ce la offre un monaco, che nel ‘300 scrisse un particolare viaggio, “a tavolino”, ovvero mai compiuto. La notizia riguardava le due galere con cui i Vivaldi avevano affrontato il viaggio: il monaco dice che una delle due fece naufragio sulle coste Africane e gli occupanti furono successivamente portati nel cuore dell’Africa. In un’altra notizia ancora si dice che un genovese, Sorleone Vivaldi, sarebbe giunto in Africa in cerca del padre e dello zio, ma che gli fu impedito di proseguire nella sua ricerca dal Re locale. Un altro genovese, Antoniotto

Page 15: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

Usodimare, scrisse una lettera dalle Coste africane diretta ai suoi creditori; in essa racconta ciò che ha visto e anche di “uno della stirpe” riferendosi addirittura ad uno dei discendenti dei Vivaldi. Era molto improbabile, quasi impossibile che fosse realmente così, essendo passati circa 150 anni; l’importante però non è tanto questo aspetto ma l’interesse mostrato per tali imprese, ovvero per le esplorazioni verso l’Occidente. In più se poi i Vivaldi avevano usato delle galere, il viaggio sarà diventato di sicuro insostenibile, perché non erano certo navi adatte a lunghi viaggi. Inoltre bisognava imparare nuove tecniche di navigazione, specie in mare aperto. Altre esplorazioni si ebbero nel corso del ‘300, e a testimonianza di questo abbiamo due carte: una del Mediterraneo, una della costa Africana. Nella carta Africana, del 1330, vengono rappresentate le Isole Canarie che quindi erano state scoperte (peraltro da un Genovese, Lanzarotto Maluccello). Anche Petrarca ci fornisce questa notizia. Le Canarie furono successivamente oggetto di esplorazioni sia Genovesi che spagnole. Esisteva una popolazione locale che non fu facile sottomettere. Di un altro viaggio verso le Canarie partito da Lisbona, ci dà notizia Boccaccio: uno dei capitani delle navi era fiorentino, e molti prodotti furono portati in Europa dalle Canarie. Boccaccio scrive dopo l’impresa. Tra il ‘300 e il ‘400 si registra anche un tentativo di impossessarsi delle isole, portato avanti da due avventurieri francesi, ma furono scacciati dalla popolazione locale. A partire dal ‘400 la situazione cambiò definitivamente: nel 1415 una spedizione occupa Ceuta e dà inizio all’espansione Europea. Alla spedizione prese parte anche il Principe Enrico di Portogallo (fu l’unica volta che salì su una nave, ma gli valse comunque l’appellativo di “Navigatore”). Enrico si sarebbe ritirato poi nella cittadina di Sagres vicino al Capo San Vincenzo (Spagna meridionale): lì avrebbe assunto i migliori cartografi e navigatori e diede inizio all’espansione portoghese in Africa, finanziando e promuovendo le spedizioni. Enrico inoltre, essendo Gran Maestro dell’ordine di Cristo (una componente dei Templari), poteva disporre delle sostanze e delle finanze dell’ordine religioso. Enrico è un uomo intelligente, capisce l’importanza di espandere i domini in Africa per una nazione piccola come il Portogallo ma dall’altra parte sogna ancora una crociata: Costantinopoli stava cadendo e sogna di abbatterla attaccandola dall’altra parte (conquistando cioè il Nord-Africa).

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Isole atlantiche e costa africana”

5-11-03

Oggi vediamo le esplorazioni portoghesi sulla costa africana seguendo la via delle Indie. A spronare i marinai contribuirono anche le leggende su isole fantastiche. Si parla di una certa isola “Antilia” o delle 7 città; non si sa come siano nate ma sta di fatto che a partire dal ‘300-‘400 cominciano ad apparire anche sulle carte queste isole fantastiche. Una spiegazione in realtà esiste, e sarebbe: nel ‘300 cominciano ad apparire le Canarie (1330) poi successivamente il gruppo di Madeira. Compariranno anche le Azzorre ma non quelle vere e proprie, perché infatti chi si era spinto più in là nell’Atlantico affermava di aver trovato un arcipelago di isole che in effetti rappresentavano le vere Azzorre, mentre le precedenti erano altre isole. La moltiplicazione delle isole sulle carte è però tipico di questo periodo: può darsi che le Azzorre siano state identificate più volte e quindi localizzate diversamente. Tornando ai miti, si formò quello dell’isola “dalle 7 città”: esiste una leggenda alle spalle secondo cui queste isole sarebbero state abitate da immigrati spagnoli. Queste città sono raccontate come città d’oro, quindi molto ricche, e questa leggenda durerà a lungo, anche quando le esplorazioni successive confermeranno che così non era. Comunque il dato importante da sottolineare è la credenza che nell’Atlantico vi fossero isole, ricche e abitate, e proprio questo spinse i marinai spagnoli ad affrontare questi viaggi esplorativi. L’espansione portoghese invece è molto legata alla figura di Enrico il Navigatore. Per molti anni le esplorazioni non si spingono oltre il capo di Bojador. Oltre alle leggende, c’era anche una motivazione reale che giustificava tutto questo: il viaggio d’andata era generalmente facile, perché si aveva il vento in poppa, ma il ritorno era difficile, ed era necessario sfruttare le brezze, quindi navigare a zig-zag. Nel 1433 Jim Eales sarebbe stato il primo a superare questo capo. Nel compiere il viaggio di ritorno capì che il “trucco”

Page 16: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

era di farsi trascinare lontano dalla costa sfruttando i venti alisei, per poi farsi respingere verso l’Europa sfruttando i venti Occidentali. Questo però denota un’evoluzione delle capacità nautiche; tra gli strumenti più utilizzati nelle misurazioni nautiche troviamo l’astrolabio e il cerchio graduato. L’astrolabio era uno strumento difficile e non adatto propriamente ai marinai, per cui fu creato anche l’astrolabio nautico che i marinai potevano usare più facilmente rispetto a quello tradizionale per misurare l’angolazione delle stelle. La latitudine veniva calcolata utilizzando il quadrante dai portoghesi, ma per la misurazione della longitudine bisognerà attendere il ‘700. Tutti gli strumenti erano però soggetti alla gravità; venne dunque in aiuto il mondo arabo, con uno strumento chiamato “kamal” che i portoghesi modificarono in un’asta graduata per misurare l’altezza in gradi delle stelle. Il suo utilizzo però era difficoltoso sia di notte, in cui era difficoltoso riconoscere l’orizzonte, sia di giorno in cui il Sole abbagliava e rendeva difficile sempre l’individuazione dell’orizzonte. Gli Inglesi nel ‘500, con un gioco di ombre, riuscirono ad ovviare al problema con uno strumento, “l’ottante” diventato poi “sestante” utilizzato fino a venti anni fa per definire le coordinate di una nave in mezzo al mare (punto-nave). Per svolgere questa operazione i portoghesi si avvalevano di due dati: la rotta seguita (con la bussola) e la velocità della nave (in maniera molto approssimativa). Nella vita di Enrico ogni anno il Portogallo conquistò un pezzo di costa in più. Da questi territori venivano portati schiavi e qualche prodotto, ma non rappresentavano ancora reali vantaggi economici. Verso la fine della vita di Enrico, navigò per conto dei Portoghesi, nel 1455-56, un certo Alvise Cà da Mosto, un veneziano, che stese poi una relazione su queste sue esplorazioni. Le Canarie sono ormai colonizzate (una Bolla Pontificia assegnava le Canarie al Portogallo, mentre le altre isole dell’Atlantico alla Spagna). La navigazione lo portò oltre il fiume Senegal e all’avvistamento dell’arcipelago di Capo Verde. Nel suo racconto ci fornisce un’indicazione molto importante: un genovese l’anno prima vi era già arrivato prima di lui in quei posti, quindi c’era molta gente in giro per il mondo senza però che noi ne abbiamo prove. Altra informazione interessante è che dove si trovava non si vedeva più la stella Polare, perché si trovava nell’Emisfero Sud, quindi vedeva un gruppo di sei stelle che formavano una Croce, la cosiddetta “Croce del Sud”. L’anno seguente a questi racconti giunse a Capo Verde, dove diede i nomi alle tre isole principali: la prima fu chiamata Buena Vista (oggi Boavista), la seconda SS. Giacomo e Filippo (oggi Santiago) e la terza Maggio (oggi Maio). Con la morte di Enrico la corona portoghese si disinteressò un po’ alle esplorazioni geografiche perché le casse dell’ordine di Cristo, di cui Enrico era Gran Maestro, erano vuote. Per i dieci anni successivi le spedizioni furono date “in appalto” ad un privato, Esteban Gomez, che stipulò un contratto con la corona che prevedeva, sotto pagamento di una quota annua alla corona stessa, che esplorasse ogni anno almeno 100 leghe. In cambio otteneva di poter commerciare con tutte le popolazioni incontrate. I progressi furono quindi lenti anche per le difficoltà incontrate: il caldo, le malattie, le popolazioni bellicose, quindi molti morti durante il viaggio. Sulle rotte per l’America si calcolava di non avere perdite, ma nelle rotte per l’Asia (con la circumnavigazione dell’Africa, una delle più percorse dai Portoghesi) si calcolava il 20% di perdite sull’equipaggio. Sulla rotta Pacifica, la più lunga, Perù-Filippine-Perù, oltre il 50%.

6-11-03

Con la morte di Alfonso V sale sul trono portoghese, nel 1482, Giovanni II. C’è una ripresa dell’interesse per le spedizioni geografiche e già l’anno seguente nel 1483, partirà una nave con a bordo materiale da costruzione per creare una base portoghese stabile nel Golfo di Guinea. Costruiranno un castello, di chiaro richiamo medioevale, detto il “Castello della Mina”. Ci stiamo avvicinando ormai al periodo di Colombo: Cristoforo Colombo nacque nel 1451, non si sa in quale giorno e mese, sappiamo grazie a lui che compì 41 anni durante il primo viaggio. Si scelsero le caravelle seguendo un’ottica ormai diffusa per cui solo tali navi potevano raggiungere il Golfo di Guinea. Su Colombo vennero dette molte cose, a partire dal dibattito sulle sue origini. Quasi certamente nacque a Genova da una famiglia modesta del levante: suo padre, Domenico, faceva il tessitore di lana (e non di seta), sua madre era Susanna Fontanarossa. Aveva tre fratelli e una

Page 17: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

sorella: un fratello più grande di lui, poco rilevante nella sua vita, Bartolomeo e Diego che invece ebbero un ruolo importante, soprattutto il primo, anche nelle esplorazioni. Diego era il più piccolo e Colombo nutriva quasi un affetto paterno nei suoi confronti. Si sa che visse in una casa vicina ad una porta della città quindi piuttosto in periferia. Non si può ricostruire di preciso il luogo della prima residenza genovese di Colombo essendo oggi la città molto cambiata. Verso i cinque anni si trasferì in un’altra parte della città, sempre vicino ad una porta che era ormai in disuso però: ovvero Porta Soprana. Colombo e la sua famiglia furono poi costretti ad andare a Savona, forse a causa delle vicende politiche che vedevano coinvolto il padre. A Savona Colombo svolse la professione di oste e probabilmente proprio da lì cominciò i suoi viaggi: abbiamo infatti notizia di uno o forse due viaggi verso Chio. Le notizie sulla sua vita ce le fornisce Fernando Colombo, il secondo figlio di Colombo, quello illegittimo, in “Historia delle vite e dei fatti di Don C.Colombo”. Smentisce che egli sia morto povero, conferma che morì dimenticato ma comunque ricchissimo. Il suo figlio naturale diventerà governatore di alcune terre scoperte dal padre. I problemi giunsero con il figlio di Diego, un tale Don Luis che ebbe il brutto vizio di sposarsi troppe volte (ben quattro). Fu per questo accusato di poligamia e messo in carcere: scappò dal carcere e una volta preso fu esiliato in Algeria. Diego si impossessò dello scritto di Fernando e forse lo cambiò apportando delle modifiche per renderlo più interessante, poiché Fernando non lo pubblicò prima di morire: si trovano notizie infatti un po’ troppo fantasiose e che non sembrerebbero derivare dalla “mano” di Fernando, come quella che vorrebbe Colombo discendente addirittura della nobiltà romana! Quindi lo scritto è meno attendibile di quanto si credesse un tempo. Ancora nello scritto di Fernando troviamo notizia di un viaggio compiuto nel 1477 verso l’estremo Nord. E’ il periodo in cui Colombo si stava trasferendo in Portogallo e sulle motivazioni che lo spinsero a tale trasferimento vi sono due ipotesi: una raccontata da Fernando, secondo cui la nave su cui si trovava Colombo vicino le coste portoghesi fu oggetto di un attacco dei pirati e Colombo fu costretto a raggiungere a nuoto il Portogallo, ed un’altra più probabile secondo cui Colombo avrebbe raggiunto a Lisbona il fratello Bartolomeo che aveva un negozio di cartografia (sembra improbabile che Bartolomeo che era più giovane avesse già un negozio di cartografia, materia che richiedeva una certa esperienza; probabilmente lavorava soltanto in una cartografia) e che si era sposato lì in Portogallo. Si parla anche di un primo viaggio di Colombo dal Portogallo verso il Golfo di Guinea ma non è certo che l’abbia compiuto veramente. Cristoforo comincò di sicuro in Portogallo a maturare il suo progetto di andare in India navigando verso Occidente e lo propose al Re. Fernando si impossessò successivamente di tutti i libri che erano stati del padre e sui quali aveva studiato per fondare le proprie certezze e quindi noi oggi possiamo sapere quali conoscenze geografiche avesse. Per alcuni studiosi però Colombo scrisse quegli appunti dopo il viaggio e quindi andrebbero solo a confermare quelle che erano le proprie credenze, ovvero di aver raggiunto l’Asia. Tra i libri che sicuramente Colombo studiò troviamo: la Bibbia, la geografia di Tolomeo, il Milione di M.Polo, l’opera di Papa Pio II, e l’opera di un tale Dailly. I libri fanno parte delle cosiddette “Postille Colombiane”. Colombo usò i dati di tutte queste opere, credendo che la Terra fosse più piccola di quanto è realmente e inoltre credeva che il Giappone si trovasse laddove vi era l’America. Un altro studioso, il Toscanelli, parla delle stesse cognizioni di Colombo ma è improbabile che i due abbiano avuto modo di parlarsi o scriversi, perché il Toscanelli era già morto da tempo quando Colombo tentò l’impresa. Anche in Germania troviamo un certo “Monetarius” che proporrà poi al Re di Portogallo la stessa impresa che Colombo stava già effettuando per la Spagna. Quindi le credenze di Colombo erano già piuttosto diffuse. Il periodo in cui Colombo prende contatti con Giovanni II è quello della ripresa delle esplorazioni, in cui in tale Diogo Cao disse di essere giunto nel 1484 già quasi all’estremità meridionale dell’Africa (anche se inrealtà mancava ancora un bel pezzo) e quindi Giovanni rifiutò la proposta di Colombo di tentare una nuova impresa. Colombo dunque passò alla Spagna e si stabilì in un convento dove un certo padre Marchesa lo appoggiò nel suo progetto e lo mise in contatto con la corte regnante. Quando Colombo propose alla Corte spagnola il suo progetto la decisione fu molto lunga, ma non si crede ormai più al fatto che gli oppositori al progetto credessero che la Terra fosse piatta. Nessuno infatti già a quei tempi metteva più in dubbio che la Terra fosse sferica ma si riteneva che le acque

Page 18: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

fossero molte più estese di quanto non credesse Colombo. Usavano ancora le concezioni aristoteliche delle sfere concentriche, per cui solo una parte della Terra emergeva dall’acqua e non esistevano quindi gli antipodi. Nel frattempo Colombo ebbe un figlio dalla sorella di un suo marinario, ma non la sposò mai perché ormai puntava in alto e sposarsi con la sorella di un marinaio non era certo il massimo. Del figlio Fernando ebbe però grande cura. In Portogallo comunque si stava ancora procedendo verso le Indie sfruttando il viaggio tradizionale: Bartolomeo Diaz aveva infatti doppiato l’estremità dell’Africa, forse per caso. Quindi ecco le vicende portoghesi si intrecciano nuovamente con Colombo: non aveva molte speranze di uno risposta positiva perciò cominciò a proporre il proprio progetto anche ad altri sovrani (Inghilterra, Francia e Portogallo nuovamente). Tornò da Giovanni II ma egli rifiutò una seconda volta e altrettanto fece il responsabile spagnolo, Talavera. Colombo non si arrese e pretese di avere un colloquio diretto con i sovrani spagnoli, e si recò a S.ta Fè dove essi si trovavano. Fece pressioni soprattutto sulla Regina e gli propose di finanziare la sua opera; chiese un rimborso spese inizialmente e, poiché si era fermato a questo, la Corona sembrava essere d’accordo. Allora Colombo capendo che l’accordo era vicino, alzò le pretese (voleva la carica di Vice-Re delle terre conquistate, di Grande Ammiraglio e il 10% dei proventi in caso di scoperta di nuove terre o dell’Asia): di fronte a tali richieste anche la Regina rifiutò. Fu il tesoriere di corte che fece ritornare sui suoi passi la Regina e le fece accettare la proposta. I motivi erano due: 1) Colombo non aveva ancora scoperto nulla. 2) i profitti sarebbero stati enormi in caso di scoperta. Le cariche che Colombo chiedeva erano ereditarie e furono oggetto di dispute tra gli eredi e la Corona, che non riconoscerà agli eredi il 10% dei profitti ma solo il 10% della quinta parte che spettava di diritto allo Stato. Ma bisogna dire anche che i parenti di Colombo alzeranno di molto le loro pretese: l’accordo verrà fissato poi sul 2%.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Il mondo secondo Enrico Martello: circa 1490”

11-11-03

Le navi utilizzate da Colombo nel suo viaggio verso l’America erano due caravelle sequestrate dallo Stato e un’altra nave, la S.ta Maria, di proprietà di un privato che diventerà in seguito molto esperto nella navigazione della tratta Atlantica. Colombo fece cambiare prima di partire la velatura alla Nina, che assunse la vela quadrata più adatta per viaggiare con il vento in poppa (cosa di cui Colombo era convinto). La Nina effettuò tre viaggi nell’Atlantico e fu poi rivenduta. L’equipaggio che viaggiò con Colombo era proveniente in gran parte dalla Spagna meridionale, precisamente dalla Regione di Palos. Tra gli ufficiali da ricordare troviamo Martin Alonso, Pinzon e Vicente Janos che comandavano la Pinta e la Nina. Erano quindi tutti esperti marinai ed è grazie a loro che Colombò trovò subito l’equipaggio per il viaggio. Non è vero imbarcò dei detenuti. Partì il 2 agosto, una data significativa: quel giorno molte altre navi cariche di arabi che non avevano accettato di convertirsi partiranno (soprattutto verso le coste Nord-Africane). Una prima sosta fu alle Canarie per una riparazione al timone di una delle tre navi. Le informazioni sul viaggio le abbiamo tramite Colombo che tenne un diario di bordo e uno segreto: nel primo annotava le distanze false, in modo che i marinai leggendolo non si spaventassero per le enormi distanze percorse, e in quello segreto le reali distanze e la velocità. Si ritiene però, dopo accurati studi, che il diario di bordo, da lui volutamente falsificato, sia in realtà più vero di quello segreto, visti i margini di errore con cui si calcolavano le distanze e le velocità. In entrambi i viaggi di andata e ritorno, Colombo viaggio con i venti favorevoli, portandosi vicino agli Alisei all’andata e più a nord al ritorno, forse per un colpo di fortuna. Su consiglio di Pinzon, ad un certo punto in mare aperto si effettuò un cambio di direzione verso SW poiché egli riteneva di aver già percorso tanta strada da aver già superato il Giappone: dopo pochi giorni un marinaio di Pinzon avvistò la terra. Nacque un piccolo caso in seguito a questo: le clausole del viaggio comprendevano una lauta ricompensa a chi avesse avvistato per primo la terra ma Colombo decise di non pagare il premio al marinaio di Pinzon, ritenendo che il merito fosse comunque il suo. Questo scatenò lo sdegno di Pinzon che di fatto proseguì per qualche

Page 19: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

giorno la spedizione da solo. Anche sulla prima terra toccata da Colombo ci sono molti dubbi: la teoria più accettata è quella del Morrison, secondo cui Colombo sarebbe arrivato dapprima a S.Salvador e passando poi attraverso alcune isole (Rum Key, Long Island, Crooked Island) sarebbe arrivato a Cuba, dove avrebbe avuto la certezza di essere arrivato in Asia. Bisogna ricordare comunque che il diario di Colombo non ci è giunto in originale ma in forma riassunta di cui si occupò Bartolomè de las Casas: personaggio ambiguo, partì dall’Europa con l’ambizione di arricchirsi nel Nuovo Mondo, finì con il diventarne il massimo difensore. Tornando a Colombo, disse che dopo l’arrivo a S.Salvador si diresse a Sud e che vide tante isole da non sapere in quale andare per prima: questo ha scatenato altre ipotesi perché in realtà movendosi a Sud di S.Salvador non è che vi siano poi molte isole all’orizzonte e quindi l’approdo iniziale potrebbe essere stato un altro. Come già detto, fu proprio l’approdo a Cuba che diede a Colombo la certezza di essere giunto in Asia; egli proseguì poi verso sud trovando un’isola di discrete dimensioni che chiamò Hispaniola (oggi Haiti e S.to Domingo) e ne esplorò la costa Nord-orientale. Nel viaggio però la S.ta Maria si incagliò e non si riuscì più a recuperarla: Colombo non disperò più di tanto, ma anzi lo interpretò come un segno del destino e quindi decise di fondare un insediamento proprio dove la S.ta Maria si era incagliata, lasciando così una trentina di persona sull’isola e potendo riprendere il viaggio di ritorno sulla Nina. Nel frattempo la Pinta aveva continuato la sua esplorazione da sola ma si era messa anche alla ricerca di Colombo per intraprendere il viaggio di ritorno insieme. Colombo, a cui faceva comodo avere due navi anziché una sola, si dimenticò della diserzione e “riaccolse” la Pinta. Un dato importante a favore di Colombo fu che non perse neppure un uomo nel viaggio e non vi furono altri imprevisti tranne quello già descritto della S.ta Maria. Nel ritorno puntarono decisi verso le Azzorre ma in prossimità di esse una tempesta divise le due navi che si ritroveranno solo a viaggio ultimato. La Nina infatti, su cui viaggiava Colombo, fece scalo alle Azzorre per poi arrivare a Lisbona, mentre la Pinta arrivò in Galizia. Anche l’approdo a Lisbona di Colombo destò perplessità: in fondo Colombo era passato alla Spagna abbandonando il Portogallo, poteva quindi anche essere rischioso approdare lì. Il Re Portoghese, Giovanni II, si limitò solo a constatare l’avvenuta scoperta e a rammaricarsi di non aver creduto in Colombo. La Pinta, che credeva che la Nina non fosse arrivata mandò un messaggero dalla Galizia alla corte spagnola, perché riferisse dell’avvenuta scoperta ma la corte rifiutò, affermando di accettare solo un resoconto dall’Ammiraglio Colombo (che però Pinzon riteneva morto). Fu allora una corsa contro il tempo, ma Colombo aveva un vantaggio di qualche ora: entrambi infatti risalirono il fiume che porta a Palos. Quando Pinzon arrivò e vide già le vele ammainate della Nina, si dice che cominciò il suo calvario che lo portò in circa dieci giorni alla morte, secondo alcuni per il dispiacere, secondo altri per la sifilide. Purtroppo la sifilide fu uno dei “regali” del Nuovo Mondo all’Europa che comunque contraccambiò con altre malattie contagiose, quali il vaiolo. Il ritorno di Colombo fu trionfale, aveva portato con sé anche alcuni indigeni come “campionario”: oggi nella Biblioteca Privata dei Duchi d’Alba, abbiamo una carta dell’isola di Hispaniola (solo la costa NE) forse disegnata proprio da Colombo. Il viaggio mise in moto anche la diplomazia: tre bolle Pontificie furono emanate in quel periodo. Ripartivano le rispettive zone di possedimenti di Spagna e Portogallo. Il Papa era Alessandro Borgia, uno dei peggiori della storia, che stabilì a taovolino una linea quasi orizzontale di 100 leghe che tagliava l’Atlantico: i territori ad ovest di tale linea spettavano al Portogallo, ad est alla Spagna. Il Portogallo lamentò di essere stato spudoratamente sfavorito a favore invece della Spagna, così che, tramite il Trattato di Tordesillas, la linea fu ampliata e quindi di conseguenze anche i possedimenti portoghesi. Quest’allargamento coinvolse ad esempio una grande regione sudamericana, ovvero il Brasile, che spettò al Portogallo.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Il viaggio di Colombo”

12-11-03

Page 20: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

Del viaggio di Colombo abbiamo un’altra importante testimonianza, uno scritto dello stesso Colombo diretto al tesoriere spagnolo Sanchez, poi tradotto anche in latino. Colombo si sa che fece anche un’altra spedizione per tornare a riprendere quelli che aveva lasciati sull’isola di Hispaniola. Questa volta partì con una flotta davvero imponente, ben 17 navi, e tra queste era di nuovo presente la Nina. Il fratello Bartolomeo non fece in tempo a sapere che Colombo era tornato, che già egli era ripartito per questo nuovo viaggio verso il Nuovo Mondo. Infatti Colombo riparì molto in fretta, già nella prima metà del 1493. Cominciò a firmarsi con sigle particolari, come la seguente: S. SAS. XMY. Xgo ferens, che vengono interpretate in molte maniere dagli studiosi. Il viaggio trascorse tranquillo; Colombo seguì una rotta più meridionale toccando alcune isole delle Antille, che vennero chiamate S.ta Maria Redonda (disabitata), poi S.ta Maria Gallante (dal nome della nave su cui Colombo si trovava), S.Domingo (oggi isola di Domenica; dal nome del padre di Colombo). Molte altre isole vennero solo avvistate poiché le popolazioni locali sembravano piuttosto bellicose e forse anche cannibali; altre isole incontrate furono chiamate “once mil virgenes” (oggi Is.Vergini) secondo una leggenda medioevale di S.Orsola, un’altra S.ta Maria di Guadalupa (dal nome di uno dei più famosi santuari europei). Tra le isole di maggiore grandezza fu toccata Portorico, chiamata S.Juan Batista. Fu ritrovato anche il forte della Navidad, o meglio il luogo dove esso sorgeva, poiché l’insediamento era stato completamente distrutto e nemmeno degli uomini sembrava esserci traccia. Solo successivamente si seppe che erano stati tutti uccisi dal capo locale (che raccontò però che ad ucciderli sarebbe stato un altro capo e non lui) perché si erano addentrati troppo all’internoin cerca di oro. Si scelse anche un altro luogo in cui porre un nuovo insediamento, la colonia Isabella: fu scelto da un dottore che era stato portato dalla Spagna, il dott. Cianca, ma la zona era malsana e paludosa, quindi fu una scelta non particolarmente felice. Un’altra testimonianza ancora del viaggio di Colombo la abbiamo da Michele da Cuneo, un amico di gioventù di Colombo. Sembrerebbe essere autentica. Dopo la fondazione della seconda colonia, Colombo rispedì a casa parte della flotta, perché ormai troppa gente si trovava nel Nuovo Mondo, tra cui molti “hidalgos” che erano arrivati con il solo scopo di arricchirsi sfruttando gli indigeni. Guidati da Fernando de Torres, tornarono dunque indietro in molti, e impiegarono davvero poco: un solo mese, un “record” che rimase inviolato per molto tempo. Torres inoltre aveva anche il compito di ritornare nella colonia per portare nuovi viveri: il non sapersi sostentare sarà una mancanza tipica degli insediamenti europei che rischiavano così di morire di fame. Perché se per un certo periodo venivano avviati scambi con gli indigeni tra cibo e oggetti (che incuriosivano molto gli indigeni), quando i cibi scarseggiavano anche per gli indigeni stessi, essi si rifiutavano e quindi erano necessari viveri. Torres comunque ne portò in abbondanza. Con Colombo aveva intrapreso il viaggio anche il fratello Diego, il più piccolo, e insieme continuarono l’esplorazione dell’area caraibica, toccando Hispaniola, Cuba e Giamaica. Colombo intravide il capo Occidentale di Cuba ma non lo esplorò; convinto che fosse la propaggine del continente Asiatico, fece firmare un giuramento a tutti i marinai perché giurassero che così era, di modo non diffondere l’idea che questa terra fosse un’isola. Ma al suo ritorno l’idea si sparse subito e nelle carte ne abbiamo subito la testimonianza. A questo punto Colombo decise di prepararsi al ritorno ma a sorpresa incrociò in America Centrale il fratello Bartolomeo, che nel frattempo si era fatto assegnare due navi dalla Corona. Questo ci indica come ormai il mondo fosse davvero cambiato: tutti percorrevano l’Atlantico che non faceva più paura, anzi anche chi, come Bartolomeo, non lo aveva mai solcato, poteva raggiungere il Nuovo Mondo in base a dati raccolti da alcuni marinai (forse da Torres). Colombo stesso ce ne dà la prova arrivando in America e trovando comunque Hispaniola, anche deviando leggermente la rotta, ma anche Fernando de Torres che andò e tornò in brevissimo tempo. Se però la situazione delle rotte di evolveva in positivo, la situazione nella colonia Isabella stava precipitando. In molti chiamavano ormai Colombo “Ammiraglio delle zanzare”; nel 1496, forse con un po’ troppo ritardo, Colombo tornò in Spagna per difendersi dalle accuse che gli venivano mosse, forse dagli stessi che erano stati accompagnati da Torres. Inoltre si ha notizia di un gruppo di disertori che sequestrata una nave in America tornarono in Spagna. Sta di fatto che comunque dopo il primo viaggio di Colombo, tutti volevano andare in America. Dopo il secondo viaggio il desiderio calò notevolmente, poiché si

Page 21: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

vedevano poche speranze di arricchirsi e nessuno era intenzionato a trasferirsi là. La Spagna dunque avrebbe volentieri abbandonato l’impresa se non fosse stato per le notizie che giungevano da altre parti d’Europa secondo cui Portogallo e Inghilterra si stavano movendo nelle esplorazioni. Nel 1497 infatti il Portogallo aveva doppiato il Capo di Buona Speranza con B.Diaz e avevano organizzato una spedizione verso le Indie con Vasco de Gama. L’Inghilterra dal canto suo cominciò le prime esplorazioni sulla stessa via dei Portoghesi ed Enrico VII affidò a Giovanni Caboto (un veneziano) una piccola nave per compiere questa impresa: Enrico VII d’altronde era rinomato per la sua avarizia. Il Portogallo si era mosso in netto ritardo perché Giovanni II non era molto aperto di fronte a questo tema e quindi di dovette attendere la sua morte e la salita sul trono di Re Manuel. Egli intravide la possibilità di avere altre isole “strategiche” come Azzorre e Madeira; i Portoghesi però non intrapresero la via di Colombo perché non avrebbe avuto senso. Seguendo infatti le dichiarazioni di Colombo stesso, erano necessari circa 40 giorni per arrivare in Asia (ovvero l’America), quindi 80 giorni per andare e tornare e con il rischio di percorrere una rotta poco conosciuta. Tanto valeva quindi continuare a percorrere la rotta Africana, completando la scoperta della costa che si affacciava sull’Oceano Indiano. Nel 1497 Vasco de Gama partì sfruttando anche le notizie che erano giunte sui monsoni, che bisognava sfruttare se non si voleva rimanere fermi per molti mesi, e raggiunse prima Malindi (in Africa) e poi da lì Caliput. Nel viaggio perse due navi, Diaz stesso si perse nell’Oceano e di lui non si ebbero più notizie. Vasco de Gama imbarcò un carico di spezie che, una volta arrivate in Africa, percorrevano il corso del Nilo e arrivavano ad Alessandria dove venivano smerciate e soprattutto i Veneziani le compravano. L’arrivo portoghese sconvolse un po’ i traffici in quell’area, ma non più di tanto visto che Venezia continuò a prosperare ancora a lungo. Quindi mentre Colombo si appresta ad affrontare il suo terzo viaggio nel 1498, si aprono nuove vie sia da parte Portoghese che Inglese. Colombo in questo viaggio si diresse più a sud e giunse alle foci dell’Orinoco, nella Baia di Trinidad: chiamerà questa nuova terra “otro mundo” ma non ancora “nuovo” cosa che invece farà Vespucci. Colombo infatti non riteneva di aver scoperto una nuova parte di mondo ma solo una parte ancora inesplorata dell’Asia. Ed essendo inoltre viva la credenza secondo cui proprio in Asia si sarebbe trovato il Paradiso Terrestre, Colombo credette di esservi quasi giunto. Rischiò anche il naufragio a causa di una violenta onda, tipica alle foci dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni. Si spostò più a nord dove “sapeva” esservi l’Isola Hispaniola. Fu leggermente deviato nella sua traiettoria dalla corrente del Golfo che logicamente ignorava ma raggiunse comunque l’isola. Un nuovo insediamento era stato creato a S.to Domingo ma la rivolta era già in atto anche lì. Solo l’arrivo di Bobadilla, funzionario amministrativo della Corona Spagnola riportò la calma, arrestando però entrambi i fratelli Colombo e riportandoli in Spagna. Lì fu dapprima imprigionato e solo a fatica riuscì poi a discolparsi dall’accusa di essere arricchito alle spalle della Corona. Ottenne nuovamente il favore della Corona ma rimase per un po’ di tempo “disoccupato”: risiedeva in un monastero a Siviglia e sarà forse lì che scrisse le “Postille” quella parte finale all’opera curata dal figlio Bartolomeo, in cui venivano probabilmente cercate conferme a quelle che erano le sue credenze. Nel 1500 venne quasi definitivamente abbandonato e sostituito da un certo Ovando, che ricopriva per la Corona i suoi incarichi. Organizzò un ultimo viaggio, ma ebbe l’imposizione di non andare ad Hispaniola.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “ I primi due viaggi di C.Colombo”

13-11-03

Caboto partì da Bristol nel 1497 con un equipaggio piuttosto esiguo. Il viaggio fu effettuato nel periodo estivo e in 40 giorni Caboto giunse sulle coste del Nord-America. Non si sa di preciso dove arrivò Caboto poiché non scrisse alcun diario di bordo quindi dobbiamo affidarci a notizie indirette sul suo conto e sul viaggio. Il figlio non fu come quello di Colombo, che diede un notevole contributo alla conoscenza delle scoperte paterne, ma anzi cercò di attribuirsene i meriti. Sappiamo del viaggio di Caboto da un certo Lorenzo Pasqualigo, un veneziano che mandò una lettera

Page 22: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

contenente notizie di questo viaggio proprio a Venezia (città natale anche di Caboto). Un’altra lettera fu mandata da un inglese, J.Day, ad un certo Grande Ammiraglio, che con molta probabilità era Colombo. In questa lettera J.Day dà alcune notizie a Colombo sulle nuove terre esplorate. Colombo in questo periodo era “disoccupato e in prigionia” e si dice che proprio a questo periodo si debbano le Postille Colombiane, ovvero quegli studi che avrebbero confermato le credenze di Colombo. Sembra quindi decadere l’ipotesi secondo cui abbia effettuato questi studi in preparazione del viaggio. Colombo è comunque in procinto di ripartire per effettuare un altro viaggio verso il Nuovo Mondo, così come Caboto l’anno seguente, nel 1498, ripartirà con cinque navi affidategli da Enrico VII, ma morirà nell’affondamento della nave su cui si trovava. Dopo questo luttuoso episodio, l’Inghilterra non si interessò più alle spedizioni anche se molte navi continuarono a recarsi a Terranova per pescare durante il periodo estivo. Questi viaggi non sono registrati perché puramente commerciali. Anche portoghesi, spagnoli e irlandesi percorrevano questa rotta: spagnoli e portoghesi, disponendo di molto sale effettuavano una pesca detta “verde”, mentre chi di sale ne aveva meno come Inghilterra e Irlanda, effettuavano la pesca “secca”. Tornando a Colombo, il 4° viaggio fu compiuto con cinque navi ma gli fu imposto di non gettare l’ancora ad Hispaniola. La Corona non voleva disordini con il nuovo governatore, Ovando. Colombo però non si attenne al divieto e chiese ugualmente di poter entrare nel porto: in realtà fu spinto a questa richiesta dal presentimento che un uragano stesse per abbattersi sulla zona. Ovando però non gli credette e non se ne preoccupò neppure, negandogli l’accesso e anzi dando il permesso ad alcune delle proprie di uscire dal porto. Colombo dunque fu costretto a ripararsi in un altro luogo mentre le navi di Ovando furono investite in pieno e travolte dall’uragano. Nella sciagura morì anche il Bobadilla, il governatore spagnolo. Nel disastro si salvò solo una nave, la più piccola, che guardacaso conteneva i beni di Colombo sequestratigli dalla Corona e che gli vennero restituiti con la morte del Bobadilla. Colombò proseguì la sua esplorazione sulle coste dell’Honduras; cercava l’Asia o meglio lo stretto di Malacca che gli avrebbe consentito di passare nell’Asia conosciuta. Cercava dunque un passaggio, non considerando l’esistenza di un altro oceano tra il continente americano e quello Asiatico. Cercava in sostanza l’Oceano Indiano che riteneva si trovasse oltre le coste che stava esplorando. Continuò il suo viaggio nell’America Centrale, in Honduras, Nicaragua e Panama, e proprio qui fece costruire un nuovo insediamento ma anche in questo caso la zona non era delle migliori, perché paludosa e abitata da indigeni piuttosto bellicosi. Perse anche una nave che fu abbandonata a Panama nella fuga dagli indigeni, quindi proseguì il suo viaggio verso Nord con le altre due navi. Ma arrivato sulle coste giamaicane affondarono anche le restanti due navi ormai perforate dai molluschi che si erano attaccati al fondo. Colombo dunque, sapendo che Hispaniola non era molto lontana da lì, inviò due uomini in canoa per chiedere soccorso. Il governatore però rifiutò e anzi mandò alcune navi a sorvegliare che cosa Colombo facesse sull’isola. Solo dopo vari tentativi, Bartolomeo Fieschi, uno dei due inviati ad Hispaniola riuscì a noleggiare una nave a sue spese e dopo otto mesi tornarono a casa. Al suo rientro, Colombo trova un ambiente diverso, quasi ostile nei suoi confronti: viene messo in disparte. Cerca di seguire la corte Spagnola nei suoi vari spostamenti di città in città e iniziò anche i suoi reclami verso la corte stessa per farsi riconoscere quello che gli spettava (la Corona gli dava il 2%, cifra già molto elevata, ovvero la decima parte della 5° che spettava di diritto alla Corona). Morì nel 1506 a Valladolid e cominciò l’odissea della sua salma: fu dapprima sepolto proprio a Valladolid e vi rimase per 4 mesi. Il figlio Diego decise poi di far spostare la salma nel Monastero di Triana vicino Siviglia dove Colombo aveva soggiornato. Nel 1514 in seguito ad una disposizione testamentaria di Diego, la salma di Colombo fu trasportata a S.to Domingo e sepolta insieme a quella di Diego. Il ‘600 sarà però il periodo della pirateria, e nel 1644, temendo che un’incursione di pirati avrebbe potuto trafugare la tomba, venne rimossa la lapide cosicché la tomba non fosse identificabile. Nel 1795, in piena Rivoluzione Francese, ad Hispaniola vi è un eccidio di bianchi in seguito ad una rivolta dei neri (nella metà francese dell’Isola). Si chiama ormai Haiti e si instaurano due imperatori, uno dopo l’altro, l’ultimo un certo Cristoph decisamente folle. La salma in seguito a questi eventi venne spostata a Cuba e poi da lì subito trasportata nuovamente a Siviglia. Nel 1847 venne però trovata a

Page 23: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

S.to Domingo (nella cattedrale) una cassetta con iniziali C.C.A. (Cristoforo Colombo Almirante) e molte altre iniziali che alludevano alle sue conquiste ed ai suoi titoli. In seguito a questo ritrovamento si è cominciato a pensare che i resti di Colombo probabilmente sono rimasti a S.to Domingo e a Siviglia è stato portato qualcun altro. Ci sono molti altri viaggi svolti sempre in questo periodo: nel 1498 Vespucci con alcuni ex-compagni di Colombo esplorò un tratto di Sud-America; le navi entrarono nella Baia di Maracaibo e per il ricordo di Venezia che suscitò nei marinai la zona fu chiamata Venezuela. Il Vespucci sarà quello che scrisse di più, e si attribuì anche un viaggio mai compiuto (datato prima del 1492; così poteva affermare di essere arrivato prima di Colombo). Ne effettuò uno, almeno così sembra, nel 1502 con i Portoghesi lungo le coste Brasiliane.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Le esplorazioni di Colombo in America Centrale”

18-11-03

Analizziamo oggi la scoperta dell’Oceano Pacifico. Esso fu “trovato” per la prima volta da un certo Balboa, ma la Corona Spagnola era molto diffidente e mandò un ispettore proprio come aveva fatto con Colombo: l’ispettore, un tale Arias, fece però processare e condannare a morte il Balboa. Venne successivamente creato un insediamento il “Vecchio Panama” che non si trovava dove sorge oggi Panama. E parlando del Pacifico è immancabile parlare di Magellano. Egli era portoghese, figlio di contadini che cercò fortuna come tanti imbarcandosi verso l’Oriente. Si unì alle grandi flotte che dopo le scoperte di Vasco de Gama andavano verso Oriente. Venivano acquistate le spezie e poi rivendute in Europa. Magellano prese parte alla 1° spedizione verso Malacca, che era un porto strategico perché lì venivano smistati i prodotti cinesi e del Pacifico. Arrivato a Malacca, Magellano incontrò l’opposizione del sultano locale che aveva capito che l’arrivo europeo avrebbe portato alla fine del suo regno. Molti ufficiali che erano con Magellano furono uccisi, ma la maggior parte di essi riuscì a tornare sulle navi e a riprendere il largo. Malacca verrà poi conquistata definitivamente l’anno successivo. E proprio l’anno dopo Magellano diede incarico ad un suo amico, Serrano, in viaggio con lui di proseguire l’esplorazione verso le Molucche su di una piccola imbarcazione. Le Molucche interessavano molto agli Europei poiché lì venivano prodotte le spezie più pregiate (noce moscata e chiodi di garofano). Sembra che Serrano avesse poi raggiunto tali isole e che fosse diventato una sorta di rappresentante portoghese laggiù. Magellano ripartì dall’isola di Goa ma naufragò ben presto e perse tutto il carico. Tornò a Lisbona e visse di stenti. Prese parte ad una spedizione militare in Marocco dove ebbe l’incarico di custodire i cavalli presi dai Nord-Africani ma fu accusato di averli venduti per ricavarne l’incasso. Non si discolpò in Marocco, perché intendeva farlo davanti al Re portoghese in persona. Diventando di fatto un disertore, andò via dal Marocco per recarsi dal Re Manuel, che però non accettò la sua motivazione e lo rimandò in Marocco con l’obbligo di seguire la trafila prevista per i casi come il suo. Per sua fortuna riuscì a discolparsi e, una volta tornato a Lisbona, riandò presso Re Manuel, ma questa volta per proporgli un progetto ambizioso: finanziare un viaggio alle Molucche. Egli rifiutò, ritenendo troppo rischioso il progetto, per cui Magellano si rivolse come i suoi predecessori (Colombo in testa) ad altri sovrani europei: non dovette viaggiare molto perché il suo progetto fu accolto subito dal Sovrano Spagnolo, Carlo I. Egli era diventato da poco Re di Spagna e a breve sarebbe diventato Imperatore del Sacro Romano Impero, con il titolo di Carlo V. Era imparentato con le dinastie più importanti d’Europa, per cui possedeva territori immensi, tra cui quelli Asburgici, e poi in Europa Orientale, Castilla e Aragona, Fiandre e Sud-Italia. Un impero immenso quindi e un sovrano giovane ed intraprendente, disposto ad investire in questo progetto voluto da Magellano. Questi ebbe il favore inoltre di molti nobili e sposò al suo arrivo in Spagna una portoghese da poco trasferitasi in Spagna. Alla corte di Carlo V vi era un certo Faleiro, che si diceva capace di calcolare la longitudine in 4 modi diversi (tutti sbagliati), e quindi in base ai suoi calcoli aveva stabilito che le Molucche in caso di conquista sarebbero spettate alla Spagna per quella convenzione per cui parte dei territori spettavano alla Spagna e parte al Portogallo. In realtà il calcolo era sbagliato perché le Molucche ricadevano nel

Page 24: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

territorio portoghese, ma il calcolo era estremamente difficile visti i sistemi a disposizione. In Portogallo la notizia che la Spagna si apprestava ad intraprendere questo viaggio fu accolto con un po’ di timore da parte di un ambasciatore, un certo Alvarez, che lo comunicò subito a Re Manuel. Inoltre fece notare Alvarez, al servizio spagnolo vi erano due ottimi cartografi portoghesi, i quali avevano confermato la notizia di Faleiro per cui le Molucche sarebbero spettate alla Spagna, con una perdita enorme in termini economici per il Portogallo. Lo stesso Faleiro contava di poter prendere parte alla spedizione come pari grado di Magellano, ma fu via via escluso, e non partì neppure. Morì pazzo. Magellano partì con una flotta di 5 navi. La cronaca del viaggio compiuto da Magellano ce la fornisce un vicentino, Antonio Pigafetta, che si imbarcò all’ultimo come uomo in più. Non poteva fare il marinaio perché era comunque un nobile, ma era alla prima esperienza nautica. A Magellano fu affiancato un certo Cartagena perché i marinai non si fidavano di lui. Abbiamo oltre alla relazione del Pigafetta, altre due relazioni: una di un anonimo genovese (forse Leon Pancaldo) e l’altra di un funzionario di Carlo V ma molto sintetica. Attenendoci alla cronaca di Pigafetta, il viaggio cominciò il 20 settembre 1519 e come prime terre toccò le Canarie, Capo Verde e Brasile per poi andare verso Sud e toccare quasi le terre antartiche. L’inverno lo passò nella baia di S.Julian, dove si registrò un tentativo di ammutinamento portato avanti dal Cartagena che cercò di impadronirsi delle navi e di detronizzare Magellano. Egli però sventò il tentativo di ammutinamento condannando a morte il principale responsabile, mentre abbandonò il Cartagena là dove si trovava. Al momento di ripartire una nave affondò ma non morì nessuno. Venne trovato e faticosamente attraversato lo Stretto che diventerà Stretto di Magellano (in 50 giorni); durante l’attraversamento una nave disertò e tornò indietro. Magellano, passato nell’Oceano che gli si presentò davanti lo chiamò Pacifico perché si presentò ai suoi occhi estremamente calmo. Nella traversata morirono 15 uomini. Il Pigafetta nota anche che il cielo australe è diverso rispetto al cielo a cui si è abituati nell’Emisfero Nord e nota la Croce del Sud. Continuano la loro esplorazione non incontrando alcun isola sul loro cammino e vivevano ormai in condizioni disperate sulle navi. Tante isole furono solo avvistate, mentre approdarono su quelle isole che denominarono “Isole dei Ladroni” a causa della popolazione locale (oggi le Marianne). Bisogna fare un piccolo “excursus”: Magellano quando era andato per la prima volta alle Molucche aveva portato con sé via di là uno schiavo, chiamato poi Enrico, che una volta giunto prima alle Marianne poi sempre più vicino al continente Asiatico, comincia a comprendere il dialetto parlato, quindi probabilmente Magellano era giunto nei pressi dei luoghi da cui lo schiavo proveniva. Raggiunte le Filippine, Magellano cambiò il suo atteggiamento nei confronti delle popolazioni locali diventando una sorta di missionario. Volle intraprendere una spedizione militare per conto del governatore dell’Isola di Cebu contro un’altra isola, di Maktan (Filippine) e lì morirà in uno scontro sulla spiaggia. Il sovrano di Cebu, farà poi scendere dalle navi di Magellano parte dell’equipaggio e a tradimento li fece uccidere. Le navi, al riparo più lontane dall’isola di Cebu erano rimaste tre e per di più con poco equipaggio. Assume il comando chi era più in grado di comandare le navi e dopo aver vagato parecchio nella zona in cui erano approdati con Magellano, trovarono finalmente le Molucche. Imbarcarono le spezie, ma solo due navi intrapresero il ritorno, la Victoria e la Trinidad, perché la terza nave, la Concepcion, non ripartì. Le strade delle due navi si divideranno, la Victoria percorrerà l’Oceano Indiano e tornò a casa compiendo un giro del mondo, mentre la Trinidad decise di ripercorrere la stessa strada al contrario, salvo poi consegnarsi ai Portoghesi che si trovavano alle Molucche. Quindi il primo uomo ad aver compiuto un giro del mondo completo potrebbe essere stato lo schiavo di Magellano, Enrico, che sparito durante i disordini a Cebu in cui Magellano morì, probabilmente aveva fatto ritorno a casa, per poi reimbarcarsi e proseguire il viaggio verso le Molucche. Il viaggio non era ancora terminato ed altre insidie si presentarono per la Victoria quando arrivò al Capo di Buona Speranza, dove si era fermata per fare rifornimento. I Portoghesi che vi si trovavano avevano capito tutto, ovvero che la nave era spagnola e proveniente dalle Molucche, ma il viaggio riuscì comunque a riprendere e la Victoria tornò finalmente a casa. Questo viaggio aprì nuove rotte sia verso le Molucche che verso le Filippine.

Page 25: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

Documentazione allegata: 2 fotocopie “Carta di J.Reinel, cartografo di Magellano” “Rotta della prima circumnavigazione del globo”

19-11-03

Con la scoperta dell’America si svilupperà anche la colonizzazione dei territori americani. La consuetudine spagnola voleva che il proprietario di una certa area fosse contemporaneamente anche proprietario delle persone che vi abitavano. Quindi disponevano di una grande abbondanza di schiavi, i quali non suscitavano nel padrone alcuna preoccupazione riguardo al loro mantenimento, tanto anche in caso di loro morte, il conquistadores avrebbe preso qualcun altro. La colonizzazione spagnola parte nel 1518 con Cortes che sbarcò nel Messico, e precisamente nella zona dello Yucatan: lì perse un uomo che fu fatto prigioniero dai locali. Ripartirà dunque alla volta di Cuba dove non otterrà il permesso dal governatore spagnolo di ripartire nella sua spedizione. Egli però, non attenendosi all’ordine, decise di ripartire ugualmente e fonda in Messico la città di Vera Cruz (Vera Croce). Come gesto simbolico farà bruciare le navi, per far capire che da lì nessuno se ne sarebbe andato. Fonda una parvenza di città, comunque nella piena legalità: Cortes era ossessionato dalla legalità e questo lo accomunerà a molti conquistadores. Basti pensare che egli aveva con sé un notaio che annotava ogni avvenimento. Venne creato anche un Consiglio Municipale in cui la figura più importante era ovviamente quella di Cortes. Prima di proseguire e di addentrarsi nell’Impero Azteco recuperò l’uomo che era stato fatto prigioniero a Yucatan, ovvero Heronimo de Aguilar. Cortes recuperò anche una donna locale, che alla fine sposò, donna Marina. Con l’ausilio di ambedue potè proseguire la spedizione poiché essi conoscevano tutte le lingue per poter capire e farsi capire. Presto Heronimo fu abbandonato, specialmente quando donna Marina imparò lo spagnolo. Cortes si addentrò nell’Impero e venne allo scontro con una popolazione locale alleata degli aztechi. Dopo averla sconfitta, entrò nella capitale azteca, posta su alcuni laghetti, dove oggi sorge Città del Messico: il Re era Montezuma, che ebbe un atteggiamento ambiguo nei confronti dei nuovi dominatori poiché era molto incerto. Infatti secondo le leggende gli spagnoli potevano rivelarsi o dei che tornavano presso il popolo azteco o come nuovi conquistatori. Quindi a questo si deve l’incertezza di Montezuma. Vengono alloggiati nella grande piramide proprio al centro della città. Nel frattempo però il governatore di Cuba che aveva impedito a Cortes di partire mandò un esercito ad arrestarlo: egli dunque dovette tornare a marce forzate verso la costa dove lo attendevano. Non ci fu l’atteso scontro fa Cortes e i militari, ma anzi dopo essersi alleato con loro, ripartì alla volta della capitale questa volta però con un numero nettamente maggiore di uomini. Intanto nella capitale la situazione precipitava: uno spagnolo del seguito di Cortes che aveva in mano il comando fino al suo ritorno ordinò parecchie condanne a morte per molti aztechi (anche nobili) poiché essi praticavano il sacrificio umano. Questo provocò la reazione azteca che fece prigionieri gli spagnoli nella piramide e stessa sorte dovettero subire sia il “rientrante” Cortes che le sue nuove truppe. Tutti si trovavano nella grande piramide assediati, ma gli spagnoli avevano un grosso vantaggio, cioè il Re Montezuma come ostaggio. Egli cercò di parlare al popolo esprimendo parole d’elogio per gli spagnoli ma il suo stesso popolo lo lapidò. Gli Spagnoli fuggirono dalla piramide di notte, sfruttando il fatto che durante la notte gli aztechi non erano soliti combattere. Gli Spagnoli dunque se ne vanno provvisoriamente, e proprio qui sta l’errore maggiore degli aztechi: essi ritengono che l’arrivo spagnolo sia stato solo un caso, un errore, e non si preparano ad un loro possibile ritorno, ritenendo che la situazione sarebbe tornata quella di prima. E infatti gli Spagnoli tornarono una seconda volta ponendo da subito sotto assedio la città, potendo vantare anche un’arma in più: il vaiolo. Esso decimò la popolazione locale, non abituata; morì anche il successore di Montezuma, Quiclauac, e al nuovo Re non rimase che rimettersi alla volontà degli Spagnoli. Siamo negli anni 1519-1524. Dopo aver instaurato il proprio potere nella zona, gli Spagnoli decisero di non spostarsi né a Nord né a Sud, poiché le zone desertiche del Nord nascondevano troppe insidie e in entrambi i casi erano troppe le popolazioni da sottomettere. Essi governarono sostituendosi di fatto alla classe dirigente che esisteva prima del loro arrivo, senza apportare grossi

Page 26: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

cambiamenti. La seconda ondata di conquista sarà quella di Pizarro, un altro grande conquistadores, verso il Perù: colse anche il momento in cui l’Impero locale, quello Inca, ne usciva da una guerra civile. Pizarro poteva contare su ancor meno uomini di quelli di cui disponeva Cortes. L’incontro tra Pizarro e il sovrano Inca, Atahualpa, avvenne in una cittadina e precisamente in una strettoia per cui il numero di uomini a disposizione contava relativamente. Pizarro si stava muovendo verso Sud mentre Atahualpa verso Nord: quando si incontrarono si avvicinò per primo ad Atahualpa, un prete, padre Valverde, che gli porse una copia del Vangelo. Atahualpa guardò questo strano oggetto senza capirne le scritte né l’utilità, dopodiché lo lasciò cadere a terra. Questo scatenò (o forse era solo il pretesto che cercavano) l’ira di padre Valverde che diede l’ordine di ucciderli tutti con la sua benedizione. Fatto prigioniero il Sovrano, raggiunsero la capitale, Cuzco: il sovrano per ottenere la libertà riempì d’oro una stanza solo per gli spagnoli, ma non fu comunque liberato, anzi per ordine ancora di Valverde fu condannato a morte. Verrà nominato un Imperatore fantoccio che di fatto era sotto la Spagna. Grosse debolezze come si erano riscontrate negli Aztechi le riscontriamo anche negli Inca: ad esempio il fatto che un Impero con 2000 anni di storia non conoscesse la scrittura, la ruota, non avesse memoria storica né conoscenze di tipo contrattuale, che non avesse mai avuto contatti esterni. Fu facile dunque per gli Spagnoli imporsi: la capitale fu posta a Lima e il porto principale a Caliao, vicino Lima. Come detto gli Spagnoli non faticarono a sostituirsi agli Incas ma non mancarono i tentativi di rivolta e di ribellione; tutto sommato fu più facile imporsi in Messico, anche per ragioni dipendenti dagli stessi spagnoli. Infatti in Messico il controllo è quasi totale mentre in Perù non ci sono accordi tra gli spagnoli stessa e quindi si assiste ad una sorta di guerra intestina. Anche in questo caso l’espansione si limitò al territorio peruviano e non proseguì verso Sud, dove l’unico tentativo fu quello di Valdivia, compagno di Pizarro, che però sarà ucciso dalle popolazioni locali. Quindi alla luce di quanto abbiamo visto finora la Spagna si assicura un Impero territoriale, ambizione non condivisa ad esempio dal Portogallo che mira solo agli interessi commerciali, quindi ad avere basi commerciali qua e là e una flotta potente nell’Oceano Indiano. L’unico dominio territoriale portoghese sarà una parte dell’Isola di Ceylon (che era divisa in tre parti). Il Portogallo faticava a controllare anche solo questi possedimenti commerciali e questo spiega il tentativo fin da subito di incentivare i matrimoni misti per creare una nuova classe più legata al Portogallo e che controllasse poi questi territori. Diversissimi saranno invece gli inglesi che non si mischiarono mai con la popolazione locale e che portarono nelle colonie i loro comportamenti e le loro tradizioni. In 50 anni comunque questo impero territoriale viene consolidato. Intorno al 1550 tutto il Sud-America verrà esplorato: uno dei fratelli di Pizarro, Gonzalo, nel 1544 fu accompagnato da un altro esploratore prima nelle Ande e poi nella discesa verso il Brasile percorrendo un affluente del Rio delle Amazzoni. Gonzalo non percorse la parte sul fiume perché preferì tornare indietro, mentre la percorse il Lorellana, che andò fino alla foce percorrendo buona parte del continente Sudamericano. Nel frattempo continuarono anche le esplorazioni nell’Oceano Pacifico. In base alle testimonianze dei 18 sopravvissuti di Magellano fu preparata una nuova spedizione guidata da un certo Loaysa nel 1526. Fu una spedizione come si suol dire “nata male” poiché morì prima il Loaysa e poi i suoi due successori al comando. Erano partiti da Siviglia e passato lo Stretto di Magellano arrivarono alle Molucche. Un altro importante esploratore fu il Saavedra che però partì già dalle coste del Pacifico, ovvero da Acapulco, riducendo quindi la distanza. Era cugino di Cortes; gli venne dato l’ordine di soccorrere il Loaysa che era bloccato alle Molucche, ma due navi si persero e solo una le raggiunse. In seguito ad un ritrovamento sui fondali marini vicino le coste dell’Alaska di due relitti spagnoli con cannoni datati 1522-23 si è pensato che probabilmente queste due navi non si fossero perse ma semplicemente non si erano mai dirette alle Molucche ma direttamente verso l’Alaska per tentare una nuova esplorazione. Il De Retes scoprì più avanti la Nuova Guinea, così chiamata per il colore della pelle degli abitanti che ricordavano i neri della Guinea Africana. Tra i molti esploratori di questo periodo è sicuramente da ricordare l’Urdaneta: fu preso per partecipare ad un viaggio come esperto e scoprì la via del ritorno passando di nuovo dal Pacifico, ripercorrendo in sostanza la stessa strada ma sfruttando i venti occidentali. Un metodo che Colombo aveva già scoperto molti anni prima, ai

Page 27: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

tempi delle sue scoperte, ma che gli Spagnoli impareranno solo molto tempo dopo. Da quel momento fu fondata una città alle Filippine, Manila, e fu istituito un viaggio annuale nel Pacifico tra Caliao e Manila, chiamato il Galeone di Manila. La rotta era Caliao-Manila-Canton/Macao-California-Acapulco, passando a sud delle Hawaii all’andata e a nord di esse al ritorno; per questo motivo esse rimasero per molto tempo sconosciute perché tutti vi passavano a nord o a sud. Di solito nel viaggio compiuto dal “Galeone di Manila” moriva la metà dell’equipaggio, ma era comunque l’unico modo possibile per andare e tornare senza rischi dalle Molucche, poiché i Portoghesi non permettevano di passare nell’Oceano Indiano. Fu un viaggio senza rischi fino al ‘600, poiché a partire da questa data si diffuse la pirateria; gli inglesi si dimostrano i più agguerriti, e il Galeone di Manila rappresentava una delle “prede” più ambite. L’ultimo viaggio del Galeone di Manila fu compiuto nel 1815 e la nave si chiamava Magellano. Gli studiosi cominciarono a capire che le terre emerse erano troppe nell’emisfero nord rispetto a quelle dell’emisfero sud. Si cominciò ad ipotizzare l’esistenza di un grande continente a Sud, ovvero l’Australia. Forse furono i portoghesi a toccarla per primi (la parte settentrionale) e infatti appare su alcune carte portoghesi questo nuovo lembo di terra. Anche i francesi però la riproducono, forse però copiando le carte dei portoghesi: essi la chiamavano “Javà le grànd”. Gli spagnoli la cercarono più volte ma non la trovarono: si imbatterono in molti altri arcipelaghi di isole (Salomone, N.va Caledonia, Is. S.ta Croce) da cui capirono che da qualche parte doveva per forza esserci un grande continente. Per caso l’Australia fu scoperta invece dagli Olandesi nel corso del ‘600. Poiché essi non volevano lo scontro con i Portoghesi nell’Indiano cercavano di evitare le rotte portoghesi, tenendosi molto a Sud una volta passato il Capo di Buona Speranza. Quando ritenevano di essere circa nella longitudine di Java viravano a Nord ma in realtà l’avevano già passata da molto e si imbatterono dunque in una nuova costa sconosciuta, quella occidentale dell’Australia.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Da e verso le Filippine 1525-65”

20-11-03

Di sicuro nessuno nel corso del ‘500 avrebbe mai scommesso sul dominio Inglese dei mari, ma anzi la maggior parte si sarebbe sbilanciata a favore della Francia. Essa in fondo aveva 20 milioni di abitanti contro i 4 dell’Inghilterra, ed inoltre aveva scali marittimi sia nel Mediterraneo che nell’Atlantico, ma per vari motivi non riuscì ad imporsi e a cogliere questa grossa opportunità di dominare i mari. Influì di sicuro la guerra di religione che sconvolse la Francia e che vedeva coinvolti gli ugonotti; e pensare che comunque la Francia aveva cominciato a muoversi in questo senso, ovvero verso le esplorazioni, e con Giovanni da Verrazzano aveva compiuto le più importanti nella prima metà del ‘500. Del viaggio abbiamo una testimonianza che è una copia della lettera di Giovanni da Verrazzano inviata al Re di Francia; siamo nel 1524 e il viaggio si compì con una sola nave, la Delfino. Abbiamo anche una carta di Girolamo da Verrazzano, fratello di Giovanni a cui si deve l’esplorazione delle coste del Nord-America; in realtà egli non era interessato al Nord-America ma bensì a trovare un passaggio verso il Pacifico per giungere in Cina. L’America in sé non interessava ancora. Fino a quel momento si era scoperta la costa Americana meridionale, fino all’odierna Florida. Giunti più a nord di essa, i fratelli da Verrazzano scambiarono una lunga striscia di sabbia per un istmo: pensarono di aver davvero trovato il passaggio verso il Pacifico e la “scoperta” fu riportata da Girolamo nella sua carta e più volte ricopiata anche da altri cartografi negli anni successivi. Ci furono i primi contatti con gli indigeni che inizialmente si comportarono in maniera gentile ed ospitale mentre più a nord (nell’odierno Maine) furono ostili; Verrazzano ripercorse poi l’Atlantico e tornò indietro. Nella sua relazione aggiunse ai territori già scoperti i suoi appena scoperti, ma sbaglia il calcolo relativo all’estensione delle terre di circa il 50%. Ebbe però una grande intuizione ovvero che l’America è un continente. Da Verrazzano non effettuò altri viaggi per un po’ di tempo a causa di disordini interni al paese ma successivamente ebbe la possibilità di effettuare un nuovo viaggio di cui non vi è testimonianza se non che durante lo

Page 28: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

svolgimento Verrazzano morì ai Caraibi. L’errore compiuto da Verrazzano circa l’istmo che avrebbe collegato l’Atlantico al Pacifico continuò per ancora alcuni anni fino a quando un altro esploratore, Jacques Cartier, partito nel 1534 non costeggiò gli stessi territori. Egli arrivò fino all’Isola di Terranova e si trovò poi nell’estuario del fiume S.Lorenzo. Venne a contatto con la locale popolazione degli Huroni sterminata poi nel corso del ‘600 da un’altra popolazione locale a lei nemica. Dal loro sterminio nacque il mito del “buon selvaggio” di cui essi diventarono l’immagine. Cartier convinse il Re locale delle sue buone intenzioni ed egli accettò, affidandogli anche i suoi due figli perché fossero condotti a Parigi e riportati in Canada dopo un anno. Cartier tornò dunque l’anno dopo e risalì il corso del S.Lorenzo: l’insediamento era posto in un punto particolare chiamato Quebec. In realtà Cartier non aveva perso la speranza di trovare il passaggio verso il Pacifico ma cominciava comunque a rendersi conto di essere in un fiume. Dopo aver riconsegnato i figli al Re locale, Cartier volle proseguire nella sua spedizione verso l’interno risalendo il corso del fiume, ma sia il re che i figli si mostrarono contrari all’impresa affermando che gli Dei non era favorevoli ed avrebbero generato una tempesta colossale: in realtà temevano che Cartier si alleasse con una popolazione locale che si trovava più all’interno. Cartier proseguì ugualmente raggiungendo l’odierna Montreal e l’isola di S.Elena. Lì furono fermati dalle rapide e quindi preferirono tornare indietro al villaggio. Una volta tornati presso il villaggio decisero di svernare, cioè di passare l’inverno in quel luogo. Ma l’inverno sarà durissimo, specialmente perché i Francesi non sapevano come procurarsi il cibo e gli abitanti del posto non erano disposti a scambiare il cibo con oggetti quando esso scarseggiava anche per loro. Sta di fatto che Cartier appena fu possibile ripartì, vista anche l’epidemia di scorbuto che aveva colpito il suo equipaggio, abbandonando il forte che aveva fatto costruire e rapendo il re locale. Egli aveva raccontato molte storie fantasiose sulle popolazioni dell’interno, e Cartier volle che le raccontasse anche di fronte al Re di Francia. Parlava di un paese ricco d’oro poco distante dal suo, ma non era vero. Cartier gli promise che lo avrebbe riportato in Canada entro un anno. In Francia ebbe un grande successo tanto che fino il Re gli credette. Nel 1534 e poi nel 1536-37 furono effettuati i nuovi viaggi verso il Canada ma nel frattempo il re locale, DonnaCona, era morto e non tornò più in Canada. Il comando dell’esplorazione non fu più affidato a Cartier ma ad un certo Robervall, che però non sembrava molto convinto e di fatto non si decideva mai a partire, tanto che Cartier ad un certo momento prese l’iniziativa e partì da solo assumendo nuovamente il comando del suo 3° viaggio. Al suo arrivo in Canada il governatore provvisorio non si dimostrò dispiaciuto della morte di DonnaCona e i francesi nel frattempo proseguirono le loro esplorazioni verso l’interno. Il percorso verso i grandi laghi era difficoltoso risalendo il S.Lorenzo perché vi erano troppe rapide; era meglio percorrere un altro piccolo affluente del S.Lorenzo vicino Ottawa, in cui le rapide non si avvertono quasi. Anche questa volta però l’inverno fu durissimo e le vittime molte ed appena potè Cartier ripartì. Arrivato a Terranova pronto a salpare verso l’Europa incontrò le navi di Robervall che finalmente si era deciso a partire ed era arrivato in Canada: egli gli chiese di proseguire il viaggio con lui ma Cartier rifiutò, disertando, anche perché i soldati non l’avrebbero consentito. Nella seconda metà del ‘500 entrarono in scena gli Inglesi. Uno dei più importanti fu Sir Martin Frobisher; partì con una piccola nave alla ricerca del passaggio verso il Pacifico. Si era diffusa la consuetudine secondo cui erano tre i passaggi possibili per giungere in Asia, quello di NW, di NE e di N, uno attraverso l’America, uno attraverso l’Asia ed infine l’ultimo, quello a Nord attraverso il Polo Nord che fortunatamente nessun mai provò. Frobisher cercava quello di NW. Egli passò lo stretto di Davis a sud della Groenlandia e si ritrovò in un fiordo profondissimo per cui si convinse di aver trovato il passaggio per il Pacifico. Siamo nel 1574. Porta ancora il suo nome questo passaggio. Perse molti uomini rapiti dagli eschimesi e dovette tornare a casa. Diede ordine ai suoi uomini di raccogliere tutto ciò che potesse destare interesse, tra cui anche un nuovo minerale la pirite. Analizzato in Europa esso inizialmente fu ritenuto inutile, poi intorno agli anni 70 del ‘500 uno studioso italiano, probabilmente corrotto, affermò che da esso si poteva ricavare addirittura l’oro. E in base alle sue affermazioni nel 1576-77 con Frobisher partirono altre due navi da carico che caricarono pirite all’inverosimile; altra cosa negativa fu che Frobisher non potè andare avanti nella Frobisher Bay

Page 29: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

rimanendo dunque convinto che quello fosse il passaggio verso il Pacifico e la Cina. Ripartì una terza volta per fare un altro carico di pirite ma nel frattempo il minerale era stato rilavorato e ci si rese conto della sua totale inutilità e quindi una volta tornato in Europa cadde in disgrazia e morì nel 1599 in una spedizione militare. Sempre nel 1578 era partito anche Francis Drake che compì un intero viaggio del globo, saccheggiando molti porti spagnoli. Sempre in questo periodo vi furono molti altri che compirono spedizioni in Nord-America, tra cui ricordiamo Davis e Hudson; nel 1630 si concluse che non vi era un passaggio marittimo verso il Pacifico e quindi la ricerca si spostò sulla terra, basandosi su di un’assurda credenza per la quale i continenti avrebbero avuto una struttura piramidale con i rilievi posti al centro e siccome l’America presentava i propri rilievi proprio vicino alle coste si pensò che quello fosse il centro o che comunque fosse lì vicino. Non considerarono il fatto che invece la teoria era assurda e che il Nord America la smentiva in pieno presentando zone montuose in prossimità delle coste e zone pianeggianti all’interno.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Planisfero di Girolamo da Verrazzano, 1529”

25-11-03

Continuando i tentativi di approdare alle Molucche passando dall’America, si cercava il cosiddetto passaggio di NW: siamo nel 1500 ed un certo Maldonado inviò al Ministro che si occupava delle Indie un suo resoconto circa questo passaggio. Più avanti intorno al 1580, si ebbe notizia che tre navi inglesi avevano raggiunto il Pacifico passando proprio dal passaggio di NW e quindi furono immediatamente inviate navi da parte spagnole per verificare quanto riportato. La notizia è di un marinaio greco ribattezzato poi Juan de Fuca, il cui nome fu dato allo stretto che separa l’isola di Vancouver dalla terra ferma. Probabilmente egli aveva percorso quello stretto e dopo esserne uscito credette di aver trovato il famoso passaggio di NW che in realtà non era ancora stato scoperto. Il figlio di Caboto invece, era al servizio della Spagna e per conto di essa aveva esplorato la foce del Rio della Plata aprendo le frontiere alla colonizzazione di queste zone e in età avanzata era passato al servizio inglese: ormai organizzava solo i viaggi poiché non poteva più affrontarli, però verso il passaggio di NE, ovvero verso Oriente. Nel 1533 vi fu la prima esplorazione in questo senso, con una flotta composta da tre navi e guidati da due comandanti. Una delle tre navi fu bloccata dai ghiacci e tutti gli uomini morirono, mentre le altre due superarono Capo Nord e penetrarono nel Mar Bianco. Giunsero in una cittadina, Colmagro (vicino l’odierna Arcangelo), durante l’inverno: gli inglesi lì presero contatto con i Russi e avrebbero voluto commerciare con loro, ma i russi si rifiutarono poiché non avevano il permesso dello zar Ivan IV il Terribile. Dunque gli Inglesi vollero raggiungere Mosca per incontrare lo zar. Furono da lui ricevuti ed egli si disse disposto a commericiare con loro. Interessavano soprattutto i tessuti in lana, oltre alle armi e a strumenti tecnologici e in cambio offrivano canapa, olio e pellicce. I Russi si dimostrano acquirenti curiosi e anche un po’ pignoli: infatti desideravano la lana solo blu e avevano l’abitudine di bagnarla per vedere se si restringeva (quindi se era nuova). Al ritorno delle navi in Inghilterra era salita al trono Maria la Cattolica: fu disposta un’altra spedizione sempre diretta al Nord della Russia e gli scambi via via si intensificarono. Lo zar voleva un’alleanza militare ma gli inglesi non erano interessati, e avevano solo scopi commerciali. La nave però nel ritorno da questa seconda spedizione affondò vicino alla Scozia e morì tutto l’equipaggio, tra cui vi era anche un ambasciatore russo. L’anno dopo per continuare le esplorazioni in questo senso fu inviato Anthony Jenkinson: egli però cercava ancora il passaggio di NE, da molti ormai dimenticato poiché i traffici con i Russi sembravano molto vantaggiosi tanto che “La Compagnia del Catai” che finanziava le spedizioni diventò “Moscovian Company”. Jenkinson pensò di raggiungere la città di Astrahan, attraversare il Mar Caspio (su cui si trova) e proseguire poi via terra per i territori mongoli. Jenkinson si rese conto ben presto che il controllo mongolo era ormai solo un miraggio e di fatto i mongoli avevano perso la loro importanza, sostituiti da tante popolazioni bellicose che rendevano la via impraticabile per un mercante. Jenkinson effettuò due viaggi. Agli occhi degli inglesi, le manifestazioni religiose russe

Page 30: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

apparivano alquanto strane ed arretrate ma solo con Pietro il Grande vi sarà un tentativo di modernizzare il paese, e ai tempi degli inglesi regnava ancora Ivan IV. Ancora una spedizione in questo senso sarà quella effettuata dal Bowes che cercò di rabbonire Ivan IV che si era molto adirato in seguito al provvedimento preso dalla regina di vietare le pellicce (per proteggere l’industria tessile) che sfavoriva i commerci russi. Alla morte di Ivan IV, gli successe al trono per poco tempo Teodoro (che era folle) e poi il famoso Dimitri, un bambino, che per la sua giovane età non poteva regnare e la reggenza fu affidata a Boris Godunov che però, facendo sparire il bambino, in poco tempo diventò zar. Tra il 1605-1613 si presentarono ben due persone che dicevano di essere Dimitri, il primo fu chiamato “falso Dimitri”, il secondo “pseudo-Dimitri”. Si generarono disordini che continueranno fino al 1613 con l’avvento dei Romanov. Ma i commerci russi erano ormai in calo. Si cercavano nuovi paesi e i Gesuiti effettuarono esplorazioni in Cina e Giappone: dal Giappone furono prelevati 4 giovani e condotti in Europa. Nel frattempo in Giappone il cristianesimo fu vietato e al loro rientro i 4 furono processati. I Gesuiti seppur aperti e di ampie vedute capirono che in Cina non era possibile farsi accettare: non piacevano i loro canoni tipici (umiliazione, vesti modiche,…). La ricerca del passaggio di NE non era comunque del tutto cessata: verso la fine del ‘500 alcune navi inglesi provarono a proseguire oltre il Mar Bianco ma si bloccarono sempre nel Mar di Kara. Entrarono in gioco anche gli olandesi: stavano per liberarsi degli spagnoli. La Compagnia delle Indie cominciò ad operare una sorta di dominio sui territori con cui commerciava e sarà così fino a metà ‘800: infatti con la Rivolta Indiana ci sarà lo scioglimento della Compagnia delle Indie e l’India diventò colonia della Corona Inglese; gli inglesi si costituirono in compagnia coloniale per cercare nuovi mercati e si lanciarono alla ricerca del passaggio di NE. Tra tutte le nazioni che avevano un Impero coloniale uno era giunto al tramonto: si tratta del Portogallo che con la morte di Sebastiano II intorno al 1570, passò sotto il controllo del Re di Spagna che ne era il parente più vicino. Non vi fu una fusione fra i due paesi , ma il Re spagnolo sacrificò notevolmente l’Impero coloniale Portoghese e l’Olanda si sostituì ad esso (occupò ad esempio l’isola di Ceylon). Un altro che invece tentò di trovare il passaggio di NE fu William Barents. Esperto navigatore, fece anche un atlante “portolano del Mediterraneo” proprio per i navigatori come lui. Effettuò tre viaggi: ebbe l’idea di passare a Nord dell’Isola di Nova Zemlja ma la nave fu bloccata dai ghiacci e fu costretta a svernare. La carta che abbiamo davanti è stata scritta dal cartografo ufficiale della Compagnia delle Indie sulle informazioni dei marinai che erano con Barents. Non si tentò più questa via perché era successo qualcosa. I cosacchi stavano conquistando la Siberia guidati da un certo Jermak e la offrirono allo zar. E quindi nel 1636 i Russi erano giunti all’estremità dell’Asia e in quell’anno i cosacchi passarono lo Stretto di Bering: esistevano quindi sia il passaggio di NE che quello di NW. La scoperta rimase nascosta però fino al ‘700 quando vi arrivò un danese, Bering.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Il passaggio di NE sulle informazioni di Barents”

26-11-03

Il 2° viaggio di circumnavigazione della Terra fu quello compiuto da Drake; era un corsaro al servizio della Regina Elisabetta. Aveva una piccola flotta ma le piccole navi vennero ben presto abbandonate e il viaggio proseguì di fatto solo con l’ammiraglia “Pelikan”; il nome fu poi cambiato perché non piaceva il nome di un uccello così goffo come il pellicano!. Drake partì nel 1477 e tornò nel 1480. Si diresse subito verso il Brasile, su cu facevano rotta anche Portogallo e Francia. I francesi soprattutto avevano instaurato un ottimo rapporto con gli indigeni. Fece scalo in Brasile essenzialmente per i rifornimenti e svernò nella Baia di S.Giuliano, la stessa di Magellano. E proprio le orme di Magellano sembrano essere state seguite da Drake, visto quanto testimoniato nel diario di bordo tenuto da Francis Fletcher. Anche tra i marinai di Drake vi fu un tentato ammutinamento sempre nella Baia di S.Giuliano, proprio come era accaduto a Magellano. Gli ammutinati volevano far fallire la spedizione. Sedato l’ammutinamento, la flotta attraversò lo stretto

Page 31: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

di Magellano (le piccole navi erano già state abbandonate) e poi si diresse inizialmente a sud poiché riteneva che i due oceani, Pacifico e Atlantico, si unissero. In un secondo momento cambiò la rotta e navigò verso Nord e cominciò i saccheggi a tutti i porti spagnoli che incontrò sulla sua strada. Gli spagnoli vennero colti di sorpresa perché ritenevano di essere soli nel Pacifico e non erano molto attrezzati per combattere gli inglesi. Una volta svuotati i magazzini, Drake ripartiva prima che la notizia si diffondesse; fu saccheggiato anche Caliao, il porto spagnolo sulle coste peruviane. Lì gli spagnoli erano sicuramente più attrezzati ma non riuscirono ad opporsi un po’ perché colti di sorpresa e un po’ per la “bravura” di Drake. Solo quando egli ripartì furono inviati tre galeoni per inseguirlo, ma non lo trovarono (forse non provarono neanche, non volendo lo scontro con Drake). Si fermò in California, dove la nave venne rimessa in sesto in vista del ritorno in patria. La California fu battezzata Nuova Albiona e Drake se ne impossessò in nome della Regina. Nel ritorno Drake preferì evitare di ripercorrere la stessa via dell’andata, poiché riteneva che allo stretto di Magellano gli spagnoli lo stessero aspettando. Dunque attraversò il Pacifico e l’Indiano e nel 1480 fece ritorno a Plymouth. Nel 1495 prese parte ad una spedizione contro i porti spagnoli nelle Indie ma morì di colera durante la spedizione. Tornando al suo ritorno dall’America, aveva ragione a pensare che lo attendessero allo Stretto di Magellano gli spagnoli: infatti un abile ma sfortunato comandante, Pedro Sarmiento di Galboa, fu mandato proprio là ad attendere Drake. Attese a lungo ma invano. Visto il prolungarsi dell’attesa, pensò di colonizzare la zona e fortificarla in vista di un possibile scontro. Tornò dunque in Spagna ed il suo progetto fu accettato, ma il comando della missione fu affidato ad un certo Flores che non aveva alcuna intenzione di trasferirsi nello Stretto ma se mai, di dare la caccia alle navi straniere nell’Atlantico. Sarmiento dunque fu costretto a raggiungere con poco equipaggio il Sud-America. Fondò due colonie, a 100 km di distanza (troppi per difendersi). Il primo inverno trascorse con il forte pericolo di morire di fame e stenti: Galboa si rese conto che c’era necessità di uomini e viveri. Tornò un’altra volta in Spagna per avanzare le proprie richieste, ma ecco che comincia una vera e propria odissea: giunto in Brasile viene trattenuto per ben due anni perché lì fece naufragio e non riuscì ad affittare un’imbarcazione per appunto due anni. Quando finalmente ottenne la nave e si imbarcò verso la Spagna, fu catturato dagli Inglesi e fatto prigioniero: fu portato spesso a Corte, poiché era un uomo colto e la Regina non disdegnava di colloquiare con lui. Dopo due anni di prigionia fu rilasciato ma non aveva fatto ancora i conti con gli ugonotti che lo rapirono una volta giunto in Francia e lo trattenerono per altri due anni. Quando finalmente riuscì a raggiungere la Spagna era passato ormai troppo tempo e gli uomini delle colonie erano sicuramente tutti già morti. Un terzo viaggio di circumnavigazione fu effettuato da un certo Cavendish, che ripetè la rotta di Drake. Passò dunque dallo Stretto di Magellano, saccheggiò navi e porti che incontrò e tornò in patria nel 1488 (anno inoltre della vittoria inglese sulla “invicibile armada” spagnola). Nel 1493 ritentò una nuova spedizione, ma questa volta non raggiunse neanche lo Stretto e si perse nell’Atlantico a causa dei venti che lo spinsero al largo e lì morì. Era molto giovane, sui trenta anni, ma affetto già da un male strano, alcuni ipotizzano un tumore al cervello, che gli causava forti sbalzi d’umore. Per quanto riguardava l’aspetto della navigazione ormai anche la via del Pacifico era stata aperta e il Pacifico non rappresentava più solo “un lago spagnolo”. Certamente la navigazione attraverso lo Stretto di Magellano non era facile ma comunque non impercorribile. In più si affacciarono anche gli Olandesi che incominciarono a percorrere quella rotta. Spesso la scelta olandese di percorrere questa rotta era motivata dal fatto che in Olanda esisteva una compagnia di navigazione, e chi non apparteneva ad essa non poteva percorrere la rotta Indiana doppiando il Capo di Buona Speranza. Quindi nel 1515 una spedizione olandese, partiti da Horn, doppiarono la parte estrema del Sud-America, trovando quindi un’altra via (molto più facile) per raggiungere il Pacifico. I due comandanti erano La Maire e Schouter entrambi di Horn, da cui l’odierno Capo Horn. Ormai gli olandesi avevano in mano le rotte nautiche. Tra gli altri grandi navigatori merita sicuramente di essere ricordato, Henry Hudson, di cui abbiamo pochissime notizie. Si sa che era inglese e che era sposato con un figlio che portò con sé nelle sue spedizioni. Il suo nome appare nel 1607 quando fece la prima esplorazione nell’Atlantico. Viaggiava per una compagnia mercantile. Non si sa se la

Page 32: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

meta di questa prima spedizione fosse il passaggio di NE o quello di NW. Viaggiò nell’Atlantico settentrionale e scoprì le isole Jan Mayen. Compì altri viaggi, di cui importante è il terzo: lo fece al servizio degli olandesi con meta iniziale il passaggio di NE salvo poi cambiare e dirigersi verso quello di NW. Scoprì un fiume, oggi fiume Hudson (che bagna New York) e lo risalì fino all’odierna cittadina di Albany. Scoprì l’isola di Manhattan e decise di far ritorno in Inghilterra e di ritornare al servizio inglese. Giunto dunque a Bristol, lasciò che le navi olandesi se ne andassero e si rimise alla ricerca del passaggio di NW. L’equipaggio era dunque misto, composto da olandesi e inglesi. Il diario del viaggio fu tenuto da un certo Abacuc, un uomo al servizio di un matematico; non si sa quanto veritiero possa essere tale relazione. Si parla di un equipaggio piuttosto scalamanato e difficile da controllare. Hudson comunque tornò nell’Atlantico Settentrionale e penetrò in uno stretto, lo Stretto di Hudson e sfociò in un’immensa baia, appunto la Baia di Hudson. Vista la grandezza del luogo e poiché non vedeva l’altra costa, Hudson ritenne di essere giunto nel Pacifico. Trovando i ghiacci, dovette svernare ; in primavera l’equipaggio si ammutinò e Hudson insieme ai suoi fedeli, furono calati con scialuppe nel mare. Gli ammutinati prima di partire per l’Europa andarono in cerca di viveri ed i tre principali colpevoli dell’ammutinamento furono uccisi dagli esquimesi. Il che fu la fortuna di coloro che ritornarono al momento del processo che subirono per aver abbandonato Hudson: la colpa fu data ai tre che erano morti e gli ammutinati riuscirono a farsi assolvere. Nel 1611 una nave comandata da un certo Button, fu inviata per cercare Hudson. In realtà egli cercava più che altro il passaggio di NW e non Hudson. Constatò che la Baia era chiusa e che quindi non si trovava in mare aperto. Di Hudson invece si persero le tracce. Di sicuro raggiunse la terra ferma e forse l’insediamento francese di cui ignorava l’esistenza: il Quebec. Un inviato francese, successivamente disse di aver ritrovato i resti di un insediamento sicuramente occidentale, e non è da escludere che sia stato quello costruito da Hudson e dai suoi fedeli, tra cui uomini anche molto esperti in queste campi di competenza. Costruito dunque un forte sarebbero poi morti lì. Nel frattempo si espandono gli insediamenti inglesi e francesi nel Nuovo Mondo grazie anche ai Missionari. Essi inviavano poi resoconti in patria, ma spesso li riempivano di notizie per fare colpo sulle alti classi nobiliari, perché essi finanziassero le loro imprese. Grazie ai missionari nel corso del ‘600 fu esplorata la zona dei Grandi Laghi in America, ma anche la Cina e il Congo. Il ‘600 fu però anche il secolo dei pirati: nel 1679 partì un certo Dampier che il governatore di Giamaica definifì come un poco di buono, propenso alle scorrerie e agli atti di saccheggio e vandalismo. Insomma parole non di elogio nei suoi confronti. Egli si imbarcò su molte navi di pirati, nell’Atlantico e nel Pacifico; passò poi su navi indigene e locali, toccando sia l’Oceano Indiano che l’Australia. Dopo 19 anni di navigazione decise di tornare in patria e di scrivere un libro in base alle sue esperienze: il suo libro diventerà un best-seller, come si direbbe oggi, e subito gli fu affidata una spedizione scientifica in Nuova Guinea e in Australia. In tarda età, nel 1710, si imbarcò come consulente nella spedizione del Rogers. Esplorò il Pacifico che rappresentava ancora la parte più oscura del globo. Non accadde nulla di importante durante questa esplorazione, se non un fatto: il ritrovamento nell’isola di J.Fernandez di un marinaio che per 4 anni era rimasto lì nell’isolamento più totale. Dampier si sta avvicinando alla grande epoca dei lumi: in questo periodo un noto studioso, Halley, disegnò la prima carta della declinazione magnetica. Halley sarà legato a Cook, grande esploratore che fu inviato per studiare inizialmente, un passaggio di Venere sul Sole, nel suo primo viaggio.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Carta delle scoperte di H.Hudson”

27-11-03

Un grosso ostacolo alle esplorazioni continuava ad essere anche nel ‘600 il calcolo della longitudine. Vi furono molti tentativi al riguardo, tra cui quelli di Galileo Galilei che poi era intenzionato a venderli per ricavarne qualcosa. Si sa che egli aveva scoperto alcuni satelliti di Giove, i cosiddetti pianeti medicei, e proprio dalla loro osservazione (dalle loro eclissi ) egli aveva individuato un metodo per calcolare la longitudine. Si sfruttava dunque l’eclissi ma era un

Page 33: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

fenomeno troppo raro e comunque non attuabile da una nave che si trovava in mare. Inoltre l’eclisse veniva osservata in varie città del globo e di conseguenza l’ora in cui veniva vista era diversa da luogo a luogo. Un primo esemplare di orologio a pendolo fu inventato da un olandese ma logicamente in mare non poteva funzionare subendo gli sbalzi della nave. L’osservazione delle eclissi e l’uso del pendolo sulla terra ferma contribuirono comunque alla creazione di buone carte. Il metodo di Galileo non era sbagliato, tenendo anche conto della frequenza con cui queste eclissi avvengono: aveva solo il limite di non poter essere attuato in mare. Un altro metodo fu poi quello basato sulle distanze lunari, senza bisogno dell’orologio. Ma gia nel corso del ‘500 gli orologiai si erano messi all’opera per creare orologi funzionanti anche in mare. Un fatto importante a questo proposito avvenne con un navigatore inglese. Di ritorno da una spedizione a Cadice, incontrò molta nebbia il che gli impediva di imboccare la via per la Manica. Temendo di urtare scogli o isole, riunì a bordo dell’Ammiraglia i piloti per una consultazione sul da farsi: decisero di andare verso nord per un paio d’ore ritenendo che fosse il tempo necessario per raggiungere la Manica. In realtà però essi si trovavano già molto più a nord, e questo lo aveva già capito un marinaio, che, a suo rischio e pericolo, aveva portato al comandante i propri calcoli. Il comandante lo fece impiccare e mai errore più grave fu commesso (bisogna sapere comunque che i marinai non potevano assolutamente fornire calcoli sulle rotte perché potevano anche essere anche spie): fatto sta che la flotta nel giro di poco tempo urtò un’isola e ben quattro affondarono, causando oltre 2000 morti. Guardacaso solo il comandante dell’Ammiraglia era riuscito a sopravvivere ed aveva raggiunto le coste inglesi a nuoto: fu però poi ucciso da una donna sulla spiaggia dove era arrivato. Questo naufragio così vicino a casa scosse parecchio l’opinione pubblica tanto che venne addirittura istituita una commissione per lo studio ed il calcolo della longitudine (anche se in questo caso specifico il problema era stato causato da un errore di latitudine) con un premio di 2000 sterline per chi avesse fornito una dimostrazione plausibile. La longitudine fu invece la causa di un’altra strage quella della flotta dell’Ammiraglio Hanson. Egli effettuò un viaggio di circumnavigazione del globo e, una volta passato lo Stretto di Magellano, volle fare scalo all’isola di J.Fernandez per rifornirsi di viveri, ma non sapendone la longitudine si diresse ad ovest. Trovando però le coste cilene, capì l’errore e si diresse verso est ma nel frattempo erano morte ben 70 persone. Intanto in Europa nel corso del ‘700 vi era stato un avvenimento bellico, la guerra dei 7 anni, che vide da una parte l’Inghilterra e la Prussia e dall’altra la Francia e l’Austria. Se in Europa il contrasto maggiore fu fra la Prussia e l’Austria, furono le colonie i principali terreni di scontro per Inghilterra e Francia. La guerra sancì la vittoria della Francia che perse il Canada. Gli inglesi, forti di nuovi possedimenti strappati ai francesi, vollero estendere ancor di più il loro dominio e si lanciarono in altre esplorazioni. È in questo periodo che nascono nuove scienze come l’antropologia. Dopo la pace di Parigi, che sancirà la vittoria degli inglesi e la fine della guerra, furono intraprese parecchie spedizioni nel Pacifico. C’erano alcune informazioni sbagliate sulla collocazione di alcuni arcipelaghi come le Is.Salomone che figuravano al centro del Pacifico: infatti dopo la loro scoperta da parte degli spagnoli nel ‘500 non erano più state ritrovate. Altre spedizioni importanti furono quelle di Boungainville, Byron e Wallis: quest’ultimo scoprì un arcipelago di isole al centro del Pacifico che diventerà uno scalo importantissimo, ovvero le Isole della Società con Tahiti. Una di queste isole fu denominata “Re Giorgio” in nome di Giorgio III che governò l’Inghilterra dal 1760 al 1820. Gli successe Giorgio IV dal 1820 al 1830, poi Guglielmo dal 1830 al 1837 ed infine dal 1837 al 1902 la Regina Vittoria. Le Isole della Società presero questo nome dalla Royal Society. Per quanto riguarda Boungainville egli era francese ed agì più o meno nello stesso periodo di Wallis. Voleva trovare una patria per gli abitanti del Canada, che ormai era passato agli Inglesi. Pensò alle isole Falkland, poi Malvine, ma la Spagna si oppose e quindi i coloni furono dapprima costretti a sbarcare in Brasile e poi da lì furono rimpatriati in Francia. Nel Pacifico, Boungainville ebbe un ruolo importante, toccando anche lui le isole della Società (che ignorava fossero già state scoperte e per questo ribattezzò Tahiti “N.va Cithera”). Proseguendo nel viaggio toccò le Samoa e le Salomone (aveva toccato le vere Salomone, quelle scoperte dagli spagnoli nel ‘500, ma inconsapevolmente). Anche un altro esploratore, il Carterè era passato di lì ma non le aveva riconosciute. Tornando al problema della longitudine, una

Page 34: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

grossa occasione per calcolarla fu offerta dal passaggio di Venere sul Sole. Halley ne aveva previsto il passaggio nel 1761 ed uno successivo nel 1769. Il mondo scientifico si mobilitò e i migliori scienziati vennero inviati nelle varie parti del globo per osservare tale fenomeno: non ebbero però molta fortuna. Infatti l’Abate Chat, inviato in Siberia, non appena aveva piantato i propri strumenti fu investito da una tempesta di pioggia, e gli abitanti diedero la colpa ai suoi strumenti, e dovette scappare. Ancora più sfortunato fu uno studioso mandato in India: nel viaggio fu catturato dagli inglesi. Fu liberato quando ormai era troppo tardi e il fenomeno era già avvenuto. Decise di aspettare in India i successivi 8 anni per osservare il secondo passaggio, ma quel giorno il tempo era nuvoloso e non dunque vedere nulla. Altri andarono in America, nella Bassa California, altri ancora a Tahiti. Un civile si offrì di guidare la spedizione per Tahiti, ma il comando venne affidato ad un comandante d’esperienza, James Cook, poiché un civile destava sospetti e difficilmente avrebbe saputo tenere la disciplina a bordo. James Cook era un esperto comandante, proveniente da una famiglia modesta. L’origine modesta di molti comandanti generò nel corso della storia parecchi disordini, poiché i nobili non erano disposti a farsi comandare da persone “inferiori” a loro. Cook inoltre si era già distinto nella guerra dei 7 anni come ottimo cartografo e topografo. Insieme a Cook si imbarcarono molti studiosi, scienziati, botanici, antropologi, tra cui vi era anche un botanico famoso, Sir Josef Banks. Ricchissimo, si diede alla botanica e pagò anche la sua quota per partecipare alla spedizione. Sarà colui che promuoverà l’esplorazione dell’Africa. Cook era protetto da un certo Lord Sandwich, malato del gioco d’azzardo ma anche uomo potente e sul quale Cook aveva fatto colpo. Giunti a Tahiti, effettuarono le osservazioni del caso e proseguirono poi scoprendo la Nuova Zelanda. Essa era già stata avvistata nel ‘700 da un olandese che riteneva fosse parte del continente Australe; Cook invece constatò la sua divisione in due isole. Urtò anche contro la Barriera Corallina, causando una falla alla nave, che fu riparata nella Botany Bay dove si fermarono. Erano morti molti uomini nel viaggio. Al suo ritorno venne preparato un secondo viaggio in cui si pensava che Cook risolvesse la questione Australe.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Il viaggio di Boungainville”

2-12-03

Il primo viaggio di Cook ebbe un ottimo successo scientifico; era tornato nel 1771 ma già l’anno dopo, nel ’72, Cook ripartì verso l’estremo Sud del mondo con il compito di scoprire la “terra australe incognita”. Nelle carte appariva un grosso continente, ma non si sapeva quale fosse e quanto grande fosse. Cook doppiò in questo secondo viaggio il Capo di Buona Speranza e si spinse molto a Sud, fin troppo, tanto che fu bloccato dai ghiacci. Era partito con due navi, e siccome durante il viaggio si erano perse di vista, si ritrovarono in Nuova Zelanda, luogo scelto anticipatamente per “l’appuntamento” in caso di smarrimento. Cook si spinse fino a 70° Sud e definì dunque i limiti del continente australe, che era dunque piccolo e non così vasto come si riteneva. Fece successivamente tappa a Tahiti prima di tornare in Inghilterra. In questo secondo viaggio non portò con sé Sir Josef Banks, risultato troppo scomodo dopo il primo viaggio, poichè finì con l’attribuirsi gran parte delle scoperte. Cook invece portò con sé due Botanici, padre e figlio, gli Hoster. Anche il secondo viaggio, terminato nel 1774-75, fu ritenuto un successo anche se non aveva centrato pienamente l’obiettivo previsto. Già nel 1776 Cook ripartì per un terzo viaggio, anche questa volta con due navi, la Discovery e la Resolution (ammiraglia già del 1° viaggio), con il compito di esplorare la parte settentrionale del Pacifico, giungere allo Stretto di Bering e accertarsi dell’esistenza dei passaggi di NE e NW. Trovò un arcipelago ancora sconosciuto, le Is. Hawaii, che risultavano proprio al centro del Pacifico e quindi fuori dalle rotte spagnole che le evitavano sempre, passando o troppo a Nord o troppo a Sud. Queste isole erano abitate da polinesiani che al suo arrivo accolsero bene Cook e compagni; da lì poi raggiunse lo Stretto di Bering ma fu bloccato dai ghiacci. Non cercò i passaggi di NE e NW poiché un certo ammiraglio De Ponte, secondo una notizia diffusasi su un giornale europeo, sembrava già averlo scoperto; solo molto tempo dopo si

Page 35: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

seppe che era stata tutta un’invenzione del direttore del giornale, per vendere qualche copia in più, ma la presenza dei passaggi sulle carte geografiche rimarrà a lungo. Cook sapeva comunque che vi era la possibilità di raggiungere a piedi l’oceano Artico partendo dalla Baia di Hudson, secondo quanto riferito da un funzionario che lo aveva fatto di persona. Cook dunque non si preoccupò pi di tanto della presenza o meno di questi passaggi e una volta scoperte le Aleutine, tornò alle Hawaii dove svernò. Questa volta però gli abitanti dell’isola si dimostrarono ostili, spaventati dal ritorno di questi europei, e un po’ come successo a Magellano, in seguito ad uno scontro, Cook venne ucciso. Il suo successore, capitano Clark, ripetè il tentativo di trovare i passaggi di NE e NW, ma fu bloccato anche lui dai ghiacci e dovette rientrare. Nonostante la sua morte, il terzo viaggio di Cook fu ritenuto comunque buono dall’Ammiragliato inglese. La Francia, visti i risultati conseguiti dagli inglesi, decise di organizzare anche lei una spedizione. La Francia si era fermata ai tempi di Boungainville, e da allora non aveva più ripreso con le spedizioni. Due navi furono messe a disposizione, con un certo La Perouse a capo dell’Ammiraglia e l’altra affidata ad un tale De Langle. Luigi XVI diede ben 16 pagine di istruzioni ai due, su come comportarsi con gli indigeni, cosa sottrarre loro, cosa osservare, e cosa non fare. Sono istruzioni che tutto sommato gli fanno onore, volendo egli mantenere un atteggiamento non offensivo nei confronti degli indigeni. Salparono da Brest nel 1785 e la data massima prevista per il rientro fu fissata per il luglio del 1789, e non più tardi di luglio. Si capisce facilmente che, essendo in corso la Riv.Francese, nessuno si accorse per un po’ di tempo che le navi non erano più tornate. La spedizione del La Perouse navigò nel Sud-America, toccò le coste argentine e cilene e poi raggiunse l’isola di Pasqua. Si diressero poi verso l’Estremo Nord, costeggiarono Alaska e Canada, poi nel Pacifico toccarono alcuni gruppi di isole e giunsero in Asia, prima nella Penisola di Kamcatka e poi arrivarono alla città di Pietropaolo. Da lì La Perouse inviò al Re di Francia un resoconto della prima parte del viaggio e subito dopo il viaggio riprese verso Sud, arrivando a toccare le Isole Tonga e la costa settentrionale dell’Australia. Lì si sa che incontrarono navi inglesi che trasportavano nuovi coloni, precisamente detenuti. Dopodiché non si seppe più nulla e anche il loro ritardo nel rientro passò inosservato per molto tempo. Dopo un po’ di tempo, l’Assemblea se ne accorse e mandò due navi a cercare La Perouse, a capo delle quali vi era D’Entrecasteaux, un nobile provenzale. Egli costeggiò tutta l’Australia, definendone i confini e fece poi un ulteriore giro verso le Isole di S.ta Croce. Arrivarono in un’isola, Vanikoro, su cui vi era l’ipotesi che si trovassero alcuni sopravvissuti della spedizione del La Perouse. In contro a D’Entrecasteaux andarono però alcuni indigeni, che riferirono che nessun europeo era lì presente, anche se in realtà doveva esservi qualcuno. Fecero allora ritorno e nel 1793 giunsero a Giacarta, colonia olandese, ma D’Entrecasteaux nel frattempo era morto di colera: lì appresero di quanto stava avvenendo in Francia e molti decisero di non tornarvi. Nel 1819, dopo le guerre napoleoniche, un inglese Peter Dillon che si trovava nel Pacifico aveva avuto modo di trasportare un disertore, tedesco, delle guerre napoleoniche da un’isola all’altra. Qualche tempo dopo, Dillon, incuriosito da quello strano personaggio, decise di fare ritorno su quell’isola per vedere cosa facesse; e proprio quell’uomo gli andò incontro su di una scialuppa, vestito di tutto punto ed accompagnato da alcuni indigeni, tra cui uno che trasportava una sciabola con le iniziali di La Perouse. Molti altri oggetti si constatò che provenivano dall’isola di Vanikoro, e quando Dillon tornò in Europa rese pubblica la notizia. Subito la Francia si attrezzò per organizzare una spedizione a Vanikoro, affidata a Durville. Arrivati laggiù si seppe che una delle due navi del La Perouse, aveva fatto naufragio contro la Barriera Corallina dell’isola e molti dell’equipaggio erano stati uccisi dagli indigeni, mentre altri furono poi lasciati liberi sull’isola. Dell’altra nave, l’ammiraglia su cui si trovava La Perouse, non si sapeva nulla. Solo dopo la 2^ guerra Mondiale, grazie allo sviluppo dell’archeologia subacquea, furono ritrovati i resti dell’Ammiraglia che probabilmente aveva fatto naufragio dapprima contro la prima barriera corallina ed in seguito contro la seconda, finendo completamente distrutta. Un’altra spedizione molto conosciuta è quella del Bounty, comandata dal Blaigh, un ufficiale che era stato con Cook, quindi molto esperto. Doveva giungere a Tahiti per raccogliere le “piante del pane” da piantare poi nelle Indie Occidentali. Tentò di doppiare il Capo Horn, ma i venti contrari glielo impedirono e dovette dunque passare dall’altra parte del

Page 36: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

globo, arrivando a Tahiti con un anno di ritardo. Con lui vi era un certo Fletcher, un nobile, che non amava farsi comandare da Blaigh, perché di modeste origini. Infatti dopo la sosta a Tahiti, l’equipaggio si ammutinò alle Tonga e Blaigh con pochi fedeli furono calati con una scialuppa e senza armi nell’Oceano, convinti che presto sarebbero morti. Molti degli ammutinati si fermarono poi definitivamente a Tahiti, mentre molti altri si stabilirono nell’isola di Pitcairn perché segnata in maniera errata sulle carte e quindi difficilmente raggiungibile se non per caso (e quindi non sarebbero stati ritrovati). Per quanto riguarda Blaigh compì una vera impresa riuscendo ad arrivare con una sola scialuppa fino ad una colonia portoghese molto più a nord, che lo rimpatriò. In cerca degli ammutinati del Bounty andrà Sir Edward Edwards, che li catturò ma fece naufragio sulla Barriera Corallina Australiana e non tornò più in Inghilterra. Anche gli Spagnoli decidono di muoversi nelle spedizioni nel Pacifico, vista ormai la contemporanea presenza di francesi, inglesi e anche russi che hanno conquistato l’Alaska. Gli spagnoli dunque si muovono verso la costa pacifica e conquistano l’alta California, senza un interesse ben preciso, ma solo per evitare che lo facessero altri. Lì vennero costruite delle “missioni” cioè fortezze e da esse partì l’urbanizzazione. Gli spagnoli affidarono ad Alessandro Malaspina (italiano) anche una spedizione intorno al mondo nel 1789; toccò il Sud-America, il Pacifico e le Filippine. Altro grande comandante fu George Vancouver, anche lui di modeste origini: con lui non vi sono civili, ma solo militari. Vengono effettuati esclusivamente rilievi cartografici. E’ finito il tempo delle esplorazioni civili, tutto rientra nelle mani dei militari.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “ La spedizione del La Perouse”

3-12-03

Una prima carta scientifica dell’Africa risale alla metà del ‘700; fino ad allora infatti esistevano solo carte “fantasiose” per l’Africa. Il continente africano era conosciuto sulle coste ma ancora un mistero rappresentava il suo interno. Non era facile addentrarsi per vari motivi, tra cui la natura, le popolazioni indigene e l’assenza di fiumi da poter risalire. Questa prima carta scientifica appartiene al Dunville, che la lasciò praticamente vuota al suo interno (si era soliti riempirle con elementi fantasiosi legati al mondo animale o anche umano). Persisteva ancora il problema delle fonti del Nilo, già noto dall’antichità classica in cui, ad esempio, Tolomeo riteneva che il Nilo attraversasse tutta l’Africa. Un paese già esplorato e abbastanza conosciuto era l’Etiopia per opera dei portoghesi. Avevano costruito una missione (fortezza) che il Re Etiope aveva consentito loro poiché gli erano venuti in aiuto; da lì poterono poi proseguire verso l’interno e giungere al Nilo Azzurro una delle principali ramificazioni del Nilo. Non erano le sorgenti ma la loro scoperta fu comunque utile ai fini della conoscenza più completa del corso d’acqua e delle sue ramificazioni. E il Dunville lo riproduce così come fu cartografato dai portoghesi. L’interno dell’Africa resta comunque un mistero nel ‘700. Una figura molto importante per le esplorazioni africane è quella di James Bruce, un nobile terriero. Fisico possente (1.95 m) e carattere arrogante e spavaldo ne erano le caratteristiche salienti che lo rendevano un uomo potente e temuto; aveva anche una discreta cultura, aveva studiato teologia ed ad un certo punto della sua vita volle addirittura farsi prete. Cambiò idea e si recò a Londra per farsi assumere dalla Compagnia delle Indie ma una volta arrivato nella capitale britannica si sposò; svolse un “grand-tour” in giro per l’Europa, tipico dei nobili. Visitò il Portogallo e il Belgio, conobbe le antichità classiche, la vita di corte e il Rinascimento, vide i diversi effetti del governare. Viaggiò inoltre in un periodo molto turbolento quello della guerra dei 7 anni. Tornato in Inghilterra si fece ricevere dal primo ministro Pitt per presentargli una sua proposta di attacco alla Spagna. La sua proposta fu ovviamente rifiutata per non spezzare quel clima di pace che faticosamente si stava creando in Europa ma ebbe comunque dei vantaggi da questa esperienza, come il farsi conoscere a corte. Tanto che in poco tempo fu eletto console ad Algeri. Laggiù gli era stato assegnato anche il compito di riprodurre, tramite disegni, ogni rovina. Non era un abile disegnatore e si arrangiò inizialmente con l’ausilio della camera

Page 37: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

oscura, poi però si decise ad assumere un giovane studente di architettura. Il consolato in Algeria era molto difficile, inoltre il Bey di Algeri era violento ed arrogante tanto quanto lui. Dopo due anni si fece sostituire, ma non aveva perso la speranza di entrare nella storia per una grande impresa: ed infatti volle scoprire le fonti del Nilo. Con lo studente si recò in Egitto; attraversò il Mar Rosso e ne delineò perfettamente ogni aspetto (soprattutto cartografici). Arrivò alla capitale dell’Etiopia dove si spacciò per medico; non lo era ma svolse comunque la professione e semplicemente applicando alcune norme igieniche ottenne ottimi risultati tanto che fu insignito anche del titolo di governatore della provincia meridionale. Vedrà molte atrocità commesse sugli indigeni, ma lo lasciavano del tutto indifferente. Questo fa emergere un lato negativo della persona che fu Bruce ma d’altronde egli non si propose mai di civilizzare il mondo solo di scoprirlo. Riuscì a giungere presso le sorgenti del Nilo Azzurro, già scoperte secoli prima dai portoghesi. Quindi fin qui non aveva compiuto nulla di eccezionale se non fosse che durante tutto il tragitto, ogni giorno egli aveva effettuato osservazioni astronomiche, annotando ad esempio ogni elemento dell’occultamento dei satelliti di Giove. I dati da lui raccolti permetteranno ai geografi di costruire carte precise sulla zona da lui percorsa (Etiopia). Seguì successivamente il corso del Nilo e una volta arrivato nel Mediterraneo, raggiunse l’Italia e poi tornò in patria. E proprio al suo ritorno commise l’errore forse più grave della sua esistenza: si inimicò Samuel Johnson, uomo molto colto (autore del vocabolario tuttora in uso). Johnson in gioventù aveva scritto un romanzo ambientato in Etiopia e rappresentava una delle persone più informate circa l’Etiopia, avendo tradotto i testi dei missionari portoghese che per primi l’aveva esplorata. Quando il Bruce cercò di screditare i missionari portoghesi attribuendosi onori che non gli spettavano e facendoli passare per ignoranti, Johnson si irritò molto. Il Bruce da quel momento in poi fu oggetto di ironie e satire e, indignato, si ritirò in Scozia. Là si risposò per la seconda volta, ebbe anche un figlio. Ma morì anche questa moglie, e Bruce cadde in depressione: gli amici gli suggerirono di stendere le sue memorie. Egli, riconoscendo di non essere un buon scrittore, assunse un letterato a cui dettò le proprie imprese. Il suo libro non ebbe grande successo in Inghilterra, mentre in Francia sì. Morì nel 1794 cadendo in casa e battendo la testa. Rappresentò l’ultimo viaggiatore individuale e sicuramente il più grande esploratore dell’Africa del ‘700. In quegli anni nacque anche l’Africain Association, nel 1788, a capo della quale vi era Sir Josef Banks già incontrato ai tempi di Cook. L’obiettivo che si pose questa associazione era di scoprire le fonti dei fiumi più importanti, quindi il Nilo, il Niger, il Congo e lo Zambesi. Si partì con il Niger e per trovare un esploratore disponibile si mise un’inserzione su un giornale. Si presentò per primo un americano ma non partì neppure perché morì. Aveva intenzione di partire da Il Cairo. L’anno dopo l’incarico fu affidato ad un ufficiale inglese, Daniel Houghton, che decise di raggiungere le sorgenti del Niger partendo dal Gambia. Sparì e non se ne seppe più nulla. Dopo due fallimenti non fu facile trovare persone disponibili e bisognerà attendere un medico, Mungo Park che partì nel 1795 anche lui dal Gambia. Risalì il corso del fiume fino a Timbuctu, che non è proprio sul fiume ma lì vicino. Non sbarcò a terra per timore di essere assalito, ma fu comunque rapito e solo dopo tre anni, dopo essere stato rilasciato, riuscì a raggiungere nuovamente il Gambia. Dato per morto Park nel frattempo l’Inghilterra aveva affidato ad un tedesco, Frederick Horneman l’incarico di scoprire le fonti del Niger. Egli partì da Il Cairo come era l’idea del primo esploratore; aveva il vantaggio di saper parlare benissimo l’arabo il che lo aiutò parecchio, e spesso si spacciò proprio per arabo. Anche di lui però non si seppe più nulla se non che morì a circa un giorno di distanza dalle sorgenti del Niger, per cui ce l’aveva quasi fatta. Il Park invece, tornato in patria, aspettò dopo le guerre napoleoniche per intraprendere il suo secondo viaggio: questa volta partì con una scorta armata. Ripetè lo stesso itinerario del primo viaggio, ovvero partendo dal Gambia, ma quando arrivò al Niger aveva perso già più di metà equipaggio. Si dimostrò ostile verso gli indigeni, forse per quello che aveva subito nel primo viaggio, e dopo aver preso due canoe e averle riunite insieme, diede l’ordine di sparare a tutte le altre canoe indigene. Questo gli causò forte odio tanto che appena fu costretto a scendere a terra perché aveva incontrato una magra del fiume fu assalito ed ucciso. Per altre spedizioni bisognerà attendere dopo il Congresso di Vienna, quindi verso il 1820. Ormai la base di partenza era Tripoli e un esploratore, Clupperton raggiunse da lì il lago Ciad. Da lì, senza

Page 38: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

inoltrarsi troppo raggiunse il Niger ma non le sorgenti. Tornato in patria, ripartì con un servo, Richard Lender e tornò esattamente dov’era già stato. Voleva discendere il fiume fino alla foce ma morì e non fece in tempo. Quando il suo servo tornò in patria, i suoi racconti furono ritenuti così credibili dalla Corona che gli fu affidato l’incarico di completare la spedizione. Egli così ripartì, scoprendo finalmente le sorgenti del fiume e completando l’esplorazione: era il 1830. Quindi si impiegò molto tempo per percorrere tutto il Niger (1790-1830). Paralleli a questi viaggi ne furono compiuti molti altri “informali”: erano in crescita gli “esploratori dilettanti” così come le donne esploratrici. In uno di questi viaggi due inglesi risalirono il Nilo fino alla quarta cateratta. Nel 1830 si scioglie l’Africain Association e viene creata la Royal Geographic Society; segretario fu eletto Galton, un medico ma anche uomo di cultura vastissima che scrisse libri su molti argomenti, tra cui geografia, esplorazioni, genetica, biologia, meteorologia… che detenne il ruolo per 40 anni. Scrisse tra gli altri un libro “The art of travel” per i viaggiatori con moltissimi consigli ed ebbe un grande successo.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “Esplorazioni di M.Park e R.Lender”

4-12-03

Tra i grandi esploratori dell’800 vi è sicuramente David Livingstone; nato da famiglia poverissima nel nord dell’Inghilterra, suo padre svolgeva la professione di venditore ambulante di thè così da poter distribuire volantini religiosi, essendo lui molto credente. Il reddito molto basso della sua famiglia lo costrinse a lavorare in fabbrica fin da bambino, per 14 ore al giorno, facendo il giuntatore. Nonostante tutto si diplomò e poi studiò medicina a Glasgow. Voleva farsi missionario ed entrò a far parte di una società che finanziava le spedizioni missionarie. Inizialmente il suo desiderio era quello di andare in Cina, ma fu poi attratto dal Sud-Africa e vi andò. Arrivato a Città del Capo fu assegnato alla missione nel Colobeng, in una zona al limite del deserto Kalahari. In quattro anni riuscì a convertire solo un uomo, il capo tribù, che però era convertito per modo di dire. Prese in moglie Mary Moffath, figlia del Reverendo Moffath che lo aveva accolto ed assegnato in Sud-Africa alla sua prima missione. Essa lo accompagnò in numerosi viaggi, salvo quando Livingstone ritenne più opportuno lasciarla a Città del Capo. In compagnia di un certo Hoswell, un cacciatore, Livingstone raggiunse il lago Ngami (che gli valse anche una medaglia) e il villaggio di Lignanti in cui abitava una tribù molto povera, quella dei Makololo. Questa tribù diventerà la “protetta” di Livingstone. Per avere in cambio qualcosa davano loro stessi, vista l’estrema povertà e l’assenza di materie prime da offrire. Raggiunse poi il fiume Zambesi, lo risalì e giunse a Luanda, in Angola dove fu accolto dai Portoghesi. Ripartì e decise di tornare a Lignanti per percorrere lo Zambesi fino alla foce e dunque compiere un primo viaggio di esplorazione dell’Africa interna. Scoprì delle cascate e le denominò Vittoria, in nome della Regina, e subito dopo vi trovò un altopiano disabitato su cui ebbe l’idea di trasportare la tribù dei Makololo che avrebbe potuto costrursi una nuova civiltà, vista la zona sicuramente migliore e più accogliente. Livingstone viaggiava sempre da solo affidandosi alla benevolenza indigena. Raggiunse la foce dello Zambesi e successivamente tornò in Inghilterra, dove rimase qualche anno per stendere le proprie memorie; vendette circa 70000 copie e fu superato solo da un altro libro quello di Stanley che era incentrato sulla sua figura. Non ebbe difficoltà a farsi assegnare una nave per la spedizione: voleva nuovamente risalire lo Zambesi e portare la tribù Makololo sull’altopiano. L’imbarcazione fu però bloccata dalle rapide e dovette rinunciare. Ebbe notizia di un lago che si trovava lì vicino, il lago Niassa (oggi Malawi) ed era intenzionato a raggiungerlo ma la nave non riusciva a navigare su fondi bassi ed inoltre si stava rompendo; se ne fece assegnare un’altra con cui riuscì ad arrivare al Lago Niassa che però scoprì già frequentatissimo. Lì perse la moglie. Tornò in Inghilterra ma il viaggio in Africa era stato un totale fallimento. La sua reputazione non fu comunque scalfita ed in questi anni Livingstone comincia ad impegnarsi contro la schiavitù. Nel frattempo in un’altra parte dell’Africa veniva creata la Sierra Leone, un paese che avrebbe dovuto accogliere, nelle intenzioni

Page 39: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

inglesi, gli schiavi da loro liberati. Ma fu un fallimento e la Sierra Leone diventò anch’essa colonia. La Liberia invece, acquistata l’indipendenza nel 1830 la mantenne intatta; fu fondata da filantropi americani. La tratta degli schiavi costituiva una vera piaga sociale e vi erano dei veri e propri “magnati” di questi traffici. Mentre Livingstone era impegnato nello Zambesi, la Royal Geographic Society riprese il tema delle sorgenti del Nilo. Furono scelti due personaggi profondamente diversi tra loro: Richard Burton e John Henning Speeck. Burton era un ex ufficiale inglese, era stato in India e conosceva ben 30 dialetti e lingue diverse ed aveva il singolare hobby di travestirsi da indigeno e mescolarsi tra loro. Era stato poi anche a La Mecca e in Etiopia quindi era l’uomo ideale per questa spedizione, avendo inoltre scritto anche saggi su archeologia, traduzioni, … L’altro ufficiale, Speke era sicuramente meno fantasioso. Nel loro primo tentativo di scoprire le fonti del Nilo furono assaliti e Speke catturato e ferito. Nel 1858, due anni dopo, partirono da Zanzibar e viaggiarono verso Ovest, raggiungendo il villaggio di Tabora dove seppero di un grando lago nelle vicinanze, il Tanganica. Entrambi stavano male ma decisero di recarsi comunque a questo lago: dopo averne misurato il livello stabilirono che era troppo basso per alimentare il Nilo. Intuivano comunque che lì vicino doveva esservi il bacino che alimentava il Nilo. Gli indigeni infatti parlavano di un fiume che doveva essere un immissario del lago. Tornarono al villaggio di Tabora dove decisero di fermarsi per curarsi: Burton stava davvero male. Nel frattempo Speke venne a sapere dell’esistenza di un altro grande lago, il Lago Vittoria, e in 15 giorni lo raggiunse a piedi, convinto di aver trovato il bacino. Tornò a Tabora per riferirlo a Burton che non mostrò molto interesse poiché non lo aveva coinvolto nella spedizione. Ritarnarono indietro a Zanzibar ma Burton decise di partire un po’ dopo, stipulando un patto con Speke che fino al suo arrivo in Inghilterra egli non avrebbe parlato delle scoperte fatte. Il patto fu ovviamente non rispettato e quando Burton tornò in Inghilterra, Speke era già famosissimo. Entrambi scrissero un libro, quello di Burton sicuramente fu più avvincente. Nel 1862 vi fu un’altra spedizione di Speke in compagnia però di un altro ufficiale Augustus Grant, ottimo cartografo e facilmente subordinabile. I due sbarcarono a Zanzibar, raggiunsero Tabora ma commisero poi un errore: invece di tornare a sud del lago, dove già Speke era stato, compirono una sorta di arco giungendo nell’estremità nord del lago. Si ritrovarono nel Regno d’Uganda, dove soggiornarono a lungo presso il Re Mutesa, un tiranno sanguinario. Per farsi ben volere gli regalarono un fucile ma il Re lo adoperò come un giocattolo e le esecuzioni sommarie si moltiplicarono. Speke raggiunse un punto in cui un grosso corso d’acqua si dirigeva verso Nord. Decisero di non tornare indietro ma di risalire il fiume, ma l’impresa non riuscì del tutto e furono fermati dalle cascate. Evitarono nel loro tragitto il Lago Alberto. Fu inviato un certo Peterick per portare aiuto a Speke ma quest’ultimo non lo incontrò: incontrò invece un altro interessante personaggio, Samuel Baker un uomo anziano in compagnia della moglie (giovanissima). Aveva trascorso 8 anni in Ceylon, poi si era trasferito in Egitto dove aveva percorso il Nilo; volle offrire un aiuto a Speke chiedendogli in cambio che gli dicesse cosa vi fosse ancora da scoprire. Speke indicò il Lago Alberto, e Baker vi si diresse. Quando Speke tornò in patria godette per un po’ di tempo di buona fama ma via via cominciarono le critiche, specie da parte del Burton che affermava che forse Speke non aveva visto lo stesso lago nei due viaggi, ma due laghi diversi. Nel 1874, una Società decise di invitare entrambi ad un dibattito pomeridiano: al mattino i due si incrociarono dopo anni che non si vedevano, ma al pomeriggio si presentò solo Burton. Si seppe poi che Speke era morto, ufficialmente in un incidente di caccia, ma Burton affermò sempre che secondo lui si era suicidato perché non aveva il coraggio di presentarsi davanti al pubblico e a lui. Ma entrambe le possibilità sembrano da scartare: la prima perché sembra un incidente possibile per un cacciatore dilettante non per un uomo esperto come lui, la seconda perché Speke non era tipo da suicidarsi prima di aver esposto le proprie ragioni, peraltro vere. Perché infatti se il dibattito si fosse svolto, Burton avrebbe avuto probabilmente la meglio perché ottimo oratore ma in realtà sbagliava perché Speke aveva scoperto e ritrovato anche la seconda volta, il Lago Tanganica. In sostanza però la morte improvvisa e strana di Speke non fece che avvalorare le teorie (sbagliate) di Burton. Un ulteriore pasticcio si ebbe al ritorno in patria di Baker che affermava che il bacino da cui si alimentava il Nilo era il Lago Alberto. Quindi si avevano tre esploratori, ognuno con un’idea

Page 40: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

diversa: la Royal Geographic Society decise allora di affidare il compito di fare chiarezza sull’argomento al più esperto esploratore africano: David Livingstone, il quale accettò.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “L’esplorazione dello Zambesi da parte di Livingstone”

9-12-03

Samuel Baker aveva esplorato la parte settentrionale del Lago Alberto mentre la restante parte l’aveva solo ipotizzata, disegnandola di fatti molto estesa. Come abbiamo già anticipato nella scorsa lezione, vista l’intricata situazione che si era creata circa le sorgenti del Nilo, venne inviato nuovamente Livingstone in Africa per dirimere la questione. In realtà egli credeva che le fonti del Nilo fossero molto più a sud rispetto alla realtà, ed infatti iniziò la sua esplorazione dal lago Nassa. Per tre anni non se ne seppe più nulla, era come scomparso in Africa. Allora il direttore del “New York Herald” un giornale di New York, Gordon Bennett, decise di finanziare una spedizione alla ricerca di Livingstone guidata da Henry Stanley, un conquistatore senza scrupoli di umili origini. Era emigrato da bambino negli Usa dove era stato adottato da un ricco signore che lo fece studiare: dopo aver preso parte ad una spedizione militare in Etiopia fu molto fortunato. La spedizione, era punitiva, nei confronti del Re d’Etiopia, Teodoro, che aveva proposto alla Regina Vittoria di sposarsi: essa però non rispose mai al Re Africano. Questo lo irritò parecchio, tanto da imprigionare tutti gli inglesi che si trovavano sul suo territorio. Fu dunque decisa questa spedizione che avrebbe dovuto punire Teodoro e alla quale partecipò anche Stanley, che fu fortunato perché riuscì a mandare per primo i resoconti della battaglia, il che gli fece acquistare una buona fama di giornalista in patria e anche il Bennett, il mandante della spedizione. L’incontro fra Stanley e Livingstone avvenne vicino al lago Tanganica: insieme ne esplorarono la parte settentrionale. Dopodiché Stanley decise di tornare in patria, dove scriverà “How I found Livingstone” libro che avrà un grande successo. Livingstone invece proseguì nella sua spedizione sebbene fosse mal ridotto. Morì sulle sponde del Lago Bangweolo e il suo corpo fu imbalsamato e sistemato in un tronco d’albero, e successivamente trasportato per 800 km fino alla costa. I servi che trasportavano la sua salma incontrarono una spedizione britannica anch’essa alla ricerca di Livingstone, guidata da un certo Cameroon; la salma fu imbarcata su di una nave e portata a Londra dove venne sepolta a Westminster. Peraltro la figura di Livingstone era stata spesso associata alla lotta alla tratta degi schiavi, e proprio in quest’ultima spedizione si dice che egli assistette ad una strage di circa 300 morti operata dagli arabi, ma la sua età avanzata e la sua condizione non gli permisero di intervenire. Però il fatto scosse il Principe del Galles che si rivolgerà al khedivè d’Egitto per intraprendere una politica comune per combattere la schiavitù: bisogna ricordare inoltre che siamo nella seconda metà dell’800, e proprio in questo periodo, nel 1869, venne aperto il Canale di Suez che apriva di fatto nuove rotte anche per la tratta degli schiavi, che era diventato un business. Furono dunque concordati alcuni avamposti militari lungo il territorio egiziano sul canale, a capo dei quali fu posto Samuel Baker. Egli per quattro anni detenne questo compito; il Cameroon intanto aveva completato la traversata dell’Africa ma non aveva ancora risolto il grosso problema che riguardava l’Africa, cioè le sorgenti del Nilo. Escluso il lago Tanganica, rimanevano come possibili fonti i laghi Vittoria ed Alberto. Venne organizzata un’altra grande spedizione per risolvere una volta per tutte la questione e il comando fu affidato ad una vecchia conoscenza: Henry Stanley, che godeva di ottima fama in patria. Era una spedizione composta da ben 300 persone tra armatori e portatori, e solo 3 di questi erano europei (due fratelli pescatori del Galles e un portiere d’albergo dove Stanley aveva soggiornato) ma morirono tutti e tre durante la spedizione. Stanley fu molto criticato per una sua decisione presa in Africa: infatti egli si era messo d’accordo con il potente mercante di schiavi di Zanzibar perché si facesse scortare dai suoi uomini armati. Questo aveva una sua motivazione: gli uomini sarebbero arrivati tanto nell’interno che da soli, una volta abbandonati, non avrebbero più tentato di tornare indietro e a quel punto avrebbero solo potuto seguire il proseguire della spedizione. Venne circumnavigato il lago Vittoria e si ebbe la prova che il fiume

Page 41: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

che da esso usciva era il Nilo, e quindi aveva ragione Speke. Stanley avrebbe voluto esplorare anche il lago Alberto, ma era già stato esplorato da un italiano, Romolo Gessi. Dopo questa esplorazione, Stanley guidò solo spedizione di conquista: sarà al servizio del Re del Belgio, Leopoldo, nella conquista del Congo. Le potenze europee si stavano muovendo, e anche la Germania che era arrivata in ritardo, si era assicurata i suoi possedimenti facendo firmare protettorati ai capi locali. Il Tanganica divenne territorio tedesco, l’Inghilterra fece sua la zona di Mombasa e quindi il Kenya. Per quanto riguardava la tratta degli schiavi, non si era di certo fermata: percorreva altre vie, specie interne, ma non più il Nilo. Questo grazie alla corruzione dei funzionari egiziani che spingerà il nuovo capo degli avamposti, il Gordon, prima a ridursi lo stipendio fino ad 1/3 e poi addirittura a licenziarsi. Il khedivè egiziano inoltre si era indebitato fino al collo per ammodernare l’Egitto, ma il paese era piombato in una profonda crisi, tanto che egli scappò sul Bosforo e nel paese si scatenò una vera rivolta soprattutto contro gli stranieri. Dovette intervenire una flotta anglo-francese che bombardò Alessandria per riportare la calma. In Sudan però era nato un movimento e un certo Mohammed Ahmed se ne proclamò profeta: aveva riunito intorno a sé molti fedeli e proclamò la guerra Santa. Questo movimento sterminò la gendarmeria egiziana ed assediò una cittadina. Il profeta o “madhi” era sempre più potente ma inizialmente il primo ministro inglese, Gladstone, non volle intervenire. Tra l’esercito egiziano sterminato vi era anche il fratello di Samuel Baker, un certo Valentine: era stato a lungo un ufficiale inglese, ma accusato di aver aggredito una donna in treno a sfondo sessuale, fu espulso dall’esercito britannico e dovette scontare due anni di carcere. Dopo si arruolò prima per i turchi e poi per gli egiziani e si temeva che potesse meditare una vendetta contro gli inglesi, ma morì in battaglia. Gladstone fece dunque intervenire l’esercito per portare la calma, ma lo fece andare via subito, forse troppo presto, affidando il comando della zona ad una persona fidata e vicina all’Inghilterra, Gordon, che già aveva avuto il comando degli avamposti in Egitto. Ma anche egli fu sconfitto e il madhi riconquistò nuovamente il Sudan; tra gli uomini che erano al suo servizio vi era anche un tedesco, un sopravvissuto del Gordon, che era governatore dell’Equatoria. Stanley fu inviato per recuperarlo con ben 500 uomini, ma egli non sembrava né assediato né scontento di stare con il madhi. Nel viaggio morì più della metà del seguito, e furono toccati il Congo e il Tanganica. La spedizione completò il quadro dei grandi laghi africani con la scoperta di un nuovo lago, il Lago Edoardo (inizialmente Edoardo Alberto) ed inoltre fu scorto il Monte Ruwenzori. Il tedesco fu condotto verso Sud dove si trovava il consolato tedesco. Tornò poi in Equatoria al servizio del Kaiser e lì morì assassinato. Siamo ormai alla fine del secolo, e solo Stanley vedrà il 900. Alla fine dell’800 venne inviata finalmente una spedizione contro il madhi, che era ormai già morto: la spedizione infatti aveva ben 18 anni di ritardo. Il nuovo governatore diceva di “comandare per conto del madhi” era molto furbo. La spedizione raggiunse Khartoum e la liberò; era presente anche un giovanissimo W.Churchill. La spedizione per inseguire il madhi si spostò sempre più a sud e gli eserciti di Inghilterra e Francia si incontrarono a Fashioda, rischiando una guerra.

Documentazione allegata: 2 fotocopie “Ultimo viaggio di Livingstone” “Confronto fra le spedizioni di Speke-Grant e di Baker”

10-12-03

L’800 è per i continenti il secolo dei rilievi cartografici. Si aprono anche nuove vie, ma lo scopo primario diventa la cartografia. La Terra assume sempre più una sua forma. Non mancano ancora casi di espansione come per l’Inghilterra nel nord-america, ma sono limitati. Nei primi anni dell’800 vi fu una spedizione militare guidata da Louis e Clarke che attraverserà tutti gli USA dall’Atlantico al Pacifico, realizzando quello che era stato il sogno dei grandi esploratori degli States. Dopo la guerra dei 7 anni la Francia perse le proprie colonie in India e si affermarono gli inglesi. Nell’India meridionale vi era un potente sultano, Tipu Said, che andò allo scontro con gli inglesi e inflisse loro una dura sconfitta. Nel 1799 la capitale del regno di questo sultano fu però

Page 42: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

assediata e il sultano stesso imprigionato. Da quel momento e per ben 80 anni fu iniziata quell’opera di rilevamento cartografico dell’India. In molti si succedettero alla direzione di quest’opera e l’ultimo fu un certo comandante Everest; fu definita con lui una fitta rete di triangolazione. Appena egli andò in pensione, fu scoperta la montagna più alta del mondo, e a lui fu dedicata. L’accesso dei membri inglesi era molto più facile nell’India meridionale, mentre si incontravano non poche resistenze nella parte settentrionale, dove gli stranieri non erano ben visti. Gli inglesi dunque furono obbligati ad “inventarsi” una figura che governasse per loro, ed è il caso del “pandit”, una figura che si potrebbe dire “addestrata”. Questi pandit non potevano scrivere appunti, avevano a disposizione solo uno strumento girevole su cui erano scritte le preghiere che essi costantemente leggeva e recitavano. Su questi strumenti a volte essi riportavano qualche appunto (cosa peraltro vitatissima) sui dati di cartografazione, i quali per lo più venivano memorizzati e ripetuti a memoria come una preghiera, tanto che si riteneva che essi pregassero mentre invece ripetevano dati cartografici da riportare agli inglesi (direzioni e numero dei passi). Come già detto ci vollero ben 80 anni per ottenere una carta dettagliata dell’India. Stessa cosa faranno i Russi in Siberia. Nell’800 comunque vi era ancora un paese inesplorato, lontano e del tutto nuovo, dove i coloni ritenevano davvero di dover cominciare tutto da capo: l’Australia. Poco abitata, per lo più sulla costa, e da una popolazione locale piuttosto timida e che cercò di evitare il più possibile il contatto con gli europei, tanto da ritirarsi sempre più all’interno. Interno dell’Australia che era del tutto sconosciuto. Il grande sviluppo ebbe inizio intorno al 1850: la parte meridionale, nota come “Stato di Victoria”, si espanse con la corsa all’oro. Pochi anni prima, nel 1848, la stessa cosa era avvenuta in California. Arrivarono molti cercatori d’oro da tutto il mondo. Le regioni interne erano solo ipotizzate: alcuni credevano addirittura che all’interno vi fosse un mare “Mediterraneo” quindi un clima mite e una folta vegetazione, il che avrebbe permesso la costruzione di insediamenti. Un tedesco tentò le prime esplorazioni in Australia, era Leichkardt: egli aveva raggiunto il Golfo di Carpentaria ma se ne persero le tracce non appena si addentrò nel deserto. Gli insediamenti si svilupparono un po’ sulla falsa riga di quanto avvenuto in Nord-America, ovvero tutti sulla costa orientale. In entrambi in casi infatti vi è una Catena montuosa che impediva nei primi tempi di allargare gli insediamenti: negli Usa gli Appalachi, in Australia la Grande Barriera Divisoria. In Australia questa catena montuosa verrà superata dalla spedizione del Lawson. Nel grande sviluppo che il sud dell’Australia conobbe, c’è da ricordare anche la nascita di una Società Geografica a Melbourne: sarà proprio tale società ad organizzare una spedizione verso il Golfo di Carpentaria per battere i “cugini” di Adelaide. Scelsero come comandante della spedizione un certo Bourk, che non aveva alcuna esperienza esplorativa. Come mezzi vennero comprati alcuni cammelli in India e furono assunte delle guide indiane. Alla spedizione si uinirono anche studiosi, scienziati, botanici, e al momento della partenza sembrava più un circo che una spedizione scientifica. Fu raggiunta la località di Menindee sul fiume Murray, e lì il grosso della spedizione si fermò in attesa di viveri da Melbourne. Solo un gruppo ristretto proseguì nella spedizione verso Nord e raggiunse il Cooper Creek, un fiume che a seconda del periodo dell’anno può essere secco o meno. Lì anche questo gruppetto si fermò ad attendere il resto della spedizione che era rimasto ad Menindee. Non vedendoli arrivare, Bourk decise di proseguire con altre 3 persone, lasciando il gruppo al Cooper Creek e dicendo di aspettare lì circa tre mesi il suo ritorno. Aveva infatti stimato in tre mesi il tempo necessario per raggiungere il Golfo e tornare al Cooper Creek. Impiegò ben due mesi per arrivare quasi al golfo: non arrivò al mare ma era molto vicino. Si fermò a causa delle condizioni del tempo e delle condizioni fisiche degli animali. Durante il ritorno morì uno dei quattro e da qui in poi iniziarono una serie di disavventure volute dal caso che non ebbero termine. Infatti i tre sopravvissuti impiegarono altri due mesi per tornare al Cooper Creek per un totale di quattro mesi. Tornarono di pomeriggio e proprio nella stessa giornata ma al mattino, il gruppo che era rimasto ad aspettare Bourk era partito, poiché la spedizione ritardava di ormai un mese e i viveri lì al Cooper Creek cominciavano a scarseggiare. Quindi ecco la prima coincidenza sfortunata. Era stata però lasciata un’incisione su di un albero, che gli aborigeni non comprendevano: si diceva di scavare nel

Page 43: Storia Della Geografia e Delle Esplorazioni - Astengo

terreno per cercare una cassetta, nella quale vi era un biglietto che informava appunto che quella mattina il gruppo era ripartito verso sud per tornare indietro. I tre, senza più animali e con pochi viveri si incamminarono lungo il Cooper Creek dopo aver lasciato anche loro un biglietto e il diario del viaggio nella cassetta ma senza lasciare incisioni. Il gruppo che nella mattinata era partito andava molto velocemente e raggiunta la località di Menindee raccolti viveri ed animali decise di tornare al Cooper Creek, per verificare se mai i tre fossero arrivati. Quando essi arrivarono non trovarono nuovamente nessuno e non venne loro neanche in mente di scavare per vedere nella cassetta poiché non vi erano segni del passaggio dei tre. Il gruppo dunque se ne andò nuovamente e questa volta definitivamente: i tre che si erano incamminati lungo il Cooper Creek, resisi conto che non avrebbero fatto molta strada si ristorarono presso una fattoria nel deserto e fecero poi nuovamente ritorno al Cooper Creek, ma ancora una volta arrivarono leggermente in ritardo, quando i soccorsi erano già passati! Un anno dopo fu inviata una spedizione per cercarli o almeno per accertarne la morte e solo uno fu trovato: era stato nutrito e curato dagli aborigeni. Tra le esplorazioni compiute in questo periodo bisogna evidenziare quelle compiute da sognatori o da persone che inseguivano miti o leggendi. E’ il caso di un certo Fawcett, esperto cartografo, che all’inizio dell’800 fu inviato in Sud-America per dirimere la questione dei confini. Si era interessato alle leggende e ai miti locali, ed affermava di aver trovato un manoscritto anonimo attribuito ad un certo Raposo (esploratore portoghese del ‘700) che parlava delle regioni interne del Brasile come sede di una grande civiltà. Descrisse un altopiano da cui si scorgevano strane luci. Quando il Fawcett tornò in Europa per la prima guerra mondiale, con i suoi racconti ispirò un celebre libro “Il mondo perduto” ad un famoso scritto Conandoyle. Nel 1925 lo stesso Fawcett organizzò una spedizione ma sparì in Amazzonia. Ma non passò anno che non giungessero notizie di questa spedizione. Dopo la guerra, il figlio di Fawcett sorvolando la zona con una aereo risolse il problema: l’altopiano descritto esisteva, le luci erano inventate. Le rovine di una grande città altro non erano che formazioni calcaree.

Documentazione allegata: 1 fotocopia “La triangolazione dell’India”