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WWW.DOGONREVIEW.ORG ANNO I NUMERO 4 31 OTTOBRE 2010 APERIODICO XXXXXXX CENSURATO NEL 2010 WWW.DOGONREVIEW.ORG O W W

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Wom - Aperiodico xxxxxx censurato nel 2010 ANNO I - Numero 4 xxxxxx xxxxxxxxxx xxxxx

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WWW.DOGONREVIEW.ORGANNO I NUMERO 431 OTTOBRE 2010

APERIODICO XXXXXXX CENSURATO NEL 2010

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L E T T E R A I V ( p r i m a p a r t e ) - F E U I L L E T O N - L A S T R A C C I A T E L L A D I J O S E P H

Mia cara, non devi essere in collera con me, sai bene che tu sei la mia confidente e che a nessun altra potrei rivelare tutte le pie-ghe del mio cuore con lo stesso sentimento di sicurezza e intimità come faccio con te. Se non t’ho scritto per qualche tempo è solo perché sono stata impegnata e non ho avuto neppure un attimo di calma per sedermi al mio scrittoio impugnare il calamaio e met-termi a spifferarti le ultime novità sul mondo. Ma tra una cola-zione “chez Madame Questo” e un “souper dai Questi altri” non ho proprio avuto modo, credimi. Dapprima sono stata in viaggio con Joseph. M’ha convinta infine e siamo stati in giro per tutta l’Europa a visitare le corti più turbolente. Una settimana di fuoco e veramente istruttiva. È una persona eccezionale Joseph, un pò arcigno, ripeto, con delle idee che fanno girar la testa e delle volte sembra d’esser sprofondati in preda ad una specie di Savonarola con gli occhi ancora più roventi, ma c’è in lui qualcosa che ha della leggerezza del visionario. La cosa affascinante è che passeggiando con lui per le strade di Firenze, di Parigi, per le campagne della Provence o ovunque passassimo, tutto diventava luogo di medi-tazione, non c’è una singola lapide, non un sasso un mattone o qualche monumento dimenticato dalle mappe turistiche che lui non riempa di echi, di memoria, tutto con lui è motivo di aned-doti. Ogni singola cosa è la traccia d’un gesto che ha sempre a che fare con forze immense, divine. Sembra di passeggiare familiari

al trascendente. Per esempio passavamo di fronte al nuovo Pa-lazzo delle Nazioni, che stava giusto davanti una gelateria dove Joseph diceva ci fosse la miglior stracciatella del mondo, e devo dire che anche in fatto di gelati è un grande intenditore, perché la sua stracciatella era magnifica. I pezzetti di cioccolato si scioglie-vano caldi tra le labbra mentre lui fissando il Palazzo delle Nazio-ni, ridacchiando con quegli occhi ghignanti che sai, ah ché tutto quell’edificio non era che un’ammasso di scartoffie, che tentano di fornire un ordine, delle leggi a qualcosa che agisce ben al di là delle leggi, la vita. Tutte quelle leggi e parlamenti e uffici e segre-tari, con un architettura così poco nobile, per cercare di dar ordi-ne a qualcosa da cui loro stessi dipendevano. E che poi non c’era più ordine, e non ci poteva più esserne, da quando le costituzioni hanno dato vita alla politica, al governo del compromesso e dello smercio delle cariche. Nulla era più stabile, ma tutto dipendeva da una serie di leggi dettate e scritte da gente che non potevano assolutamente poter prevedere l’evolvere del destino. Diceva che più si scriveva più l’istituzione era instabile. Il silenzio è l’unica cosa totale e completa, quando poi la parola rompe questo silen-zio il dipanarsi del mondo e le sue vicissitudini diventano la sto-ria, storie di storia, che è la politica sperimentale.. Ti confesso che spesso anche per me le parole risultavano un po’ oscure, ma per capirlo bisogna avvicinarsi a quel suo cuore striato che tiene ben

EDITORIALEL A L I b E R T à D A L L A S T A m P A

Quanti sospiri per la libertà di stampa! Ma da che cosa deve venir liberata la stampa? Ovviamente dalla dipen-

denza, dalla soggezione e dalla servitù in cui si trova! Ma liberarsi da tutto questo è appunto una faccenda che riguarda ogni singolo e si può supporre con assoluta certezza che, una volta che ti sarai liberato dalla servitù, anche ciò che scriverai apparterrà a te come cosa tua propria, invece di venir pensato e scritto al servizio di una qualche potenza. Un cristiano può mai dire o pubblicare qualcosa che sia più libero dalla fede cristiana di quanto non lo sia lui stesso? Se io non so e non posso scrivere qualcosa, la pri-ma colpa forse è mia. Sebbene quest’osservazio-ne sembri poco pertinente, la sua applicazione è immediata. Con una legge sulla stampa io pongo o lascio che vengano posti dei limiti alle mie pubblicazioni e, se li oltrepasso, sono nel torto e merito una punizione. Sono io stesso a limitarmi. Per rendere libera la stampa, la cosa più importante sarebbe liberarla da ogni costri-zione a cui potrebbe venir sottoposta in nome di una legge. E per arrivare a questo punto, do-vrei appunto cominciare a svincolare me stesso dall’obbedienza alla legge. Certo, l’assoluta li-bertà di stampa è, come ogni altra libertà asso-luta, una cosa assurda. La stampa può certo li-berarsi da molte cose, ma sempre e soltanto se ne sono libero anch’io. Se ci libereremo dal sa-cro, se noi saremo senza religione e senza legge, tali diverranno anche le nostre parole. I nostri scritti possono venir sotratti ad ogni costrizio-ne nel mondo solo per quel tanto che ce ne sia-mo sbarazzati noi stessi. Ma nella misura in cui noi siamo liberi, possiamo rendere liberi anche i nostri scritti. Essi devono dunque diventari nostri propri, anziché servire uno spettro, com’è avvenuto finora. Questa richiesta della libertà di stampa non è posta con chiarezza. Ciò che apparentemente si chiede è che lo Stato renda libera la stampa, ma ciò che si vuole veramente, anche senza esserne consapevoli, è che la stam-pa si liberi, si sbarazzi dello Stato. La prima è una petizione allo Stato, la seconda una ribel-lione contro lo Stato. La prima come “richiesta

di giustizia”, sia pure come richiesta risoluta di una legge sulla libertà di stampa, presuppone lo Stato come donatore e può sperare soltanto in un dono, in una benevola concessione. È certo possibile che uno Stato agisca in modo insensa-to, concedendo il dono richiesto, ma c’è da scommettere che i beneficianti non ne sapren-no far uso finché considereranno lo Stato come una verità: essi non si renderanno colpevoli nei confronti di questa “sacra” instituzione e invo-cheranno una legge sulla stampa assai severa per chi osasse farlo. In breve, la stampa non può essere libera da ciò da cui non sono libero io stesso. Forse che mi dimostro, in questo modo, nemico della libertà della stampa? Al contrario, io affermo soltanto che non la si potrà mai otte-nere se si vuole quella libertà soltanto, cioé se si tende a un’autorizzazione illimitata. Continuate pure a mendicare quest’autorizzazione: potrete aspettare in eterno: non c’è nessuno al mondo

che possa darvela. Finché vorrete farvi “leggiti-mare” all’uso della stampa con un’autorizzazio-ne, ossia con la libertà di stampa, vivrete spe-rando e soffrendo invano. “Sciocchezze! Tu che hai le idee che stanno nel tuo giornale non puoi purtroppo pubblicarle se non per un caso for-tunato o per vie traverse; eppure sei proprio tu a non volere che si pungoli e si stimoli lo Stato fino a ottenere la libertà di stampa finora nega-ta!”. uno scrittore apostrofato in questo modo potrebbe forse rispondere - giacché l’impuden-za di questa gente non ha limiti: “pensate bene a quel che dite! Che cosa faccio io per poter pubblicare il mio giornale? Chiedo un permes-so o non ricerco piuttosto un’occasione propir-zia, senza preoccuparmi minimamente della legalità, e , appena ne intravedo una, la colgo al volo, senza riguardo alcuno per lo Stato e per i suoi desideri? Io - bisogna pur dirla questa pa-rola tremenda - inganno lo Stato. In modo in-

consapevole anche voi fate lo stesso. Dall’alto delle vostre tribune voi cercate di convincere lo Stato che è suo dovere esporsi agli attacchi degli scrittori e, d’altro canto, che non ha niente da temere. Ma voi lo ingannate; infatti ne va della sua stessa esistenza, non appena perde la sua inaccessibilità. A voi lo Stato potrebbe certo concedere tranquillamente la libertà di stampa; voi siete fedeli dello Stato e non siete capaci di scrivere qualcosa contro lo Stato, per quanto vogliate riformarlo e “aiutarlo a rimediare alle sue manchevolezze”. Ma che succederebbe se gli avversari dello Stato potessero usare a modo loro lo strumento della libertà di parola e co-minciassero ad attaccare aspramente e rigoro-samente Chiesa, Stato, morale e ogni principio “sacro”? Allora voi sareste i primi a richiamare in vita, spaventatissimi, le leggi di settembre. Troppo tardi vi pentireste di quella sciocchezza fatta a cuor leggero, cioé di aver persuaso e se-

dotto lo Stato o il governo dello Stato con le vo-stre belle parole. Io voglio dimostrare con la mia azione soltanto due cose. La prima è che la libertà di stampa è sempre legata a “occasioni proprizie” e che quindi non potrà mai essere li-bertà assoluta; la seconda, invece, è che chi vuol goderne deve cercare e possibilmente costruire egli stesso l’occasione propizia, facendo valere contro lo Stato il proprio vantaggio e conside-rando se stesso e la propria volontà assai più importante dello Stato e di ogni “potenza supe-riore”. La libertà di stampa può venire imposta non nello, ma solo contro lo Stato; se essa deve venir ottenuta, non sarà come conseguenza di una richiesta, ma come risultato di una ribellio-ne. Ogni richiesta e ogni proposta per la libertà di stampa è già, più o meno consapevolmente, una ribellione, cosa che solo il filisteismo, avez-zo alle mezze misure, non vuole e non può rico-noscere a se stesso, finché un giorno se ne avve-

drà chiaramente e in modo inconfutabile, tremando di fronte alle conseguenze. Infatti la libertà di stampa che s’invoca ha certo all’inizio un’aspetto innocuo e seducente, perché non pensa nemmeno lontanamente a lasciare il campo alla “licenza”, ma a poco a poco il suo cuore s’indurisce e si rende conto lentamente del fatto che una libertà non è affatto tale se è al servizio dello Stato, della morale o della legge. Essa è certo una libertà della costrizione della censura, ma non una libertà della costrizione della legge. Ormai la stampa vorrà, tutta presa da voglie di libertà, diventare sempre più libera, finché alla fine lo scrittore si dirà: io sarò vera-mente e completamente libero solo quando non avrò niente da chiedere; ma lo scrivere sarà libero solo se sarà mio proprio e se io non rice-verò ordini da nessuna potenza o autorità, da nessuna fede e da nessun timore; la stampa dev’essere non libera (è troppo poco), ma mia, cioé mia propria, deve appartenere a me come individuo: la proprietà della stampa: ecco ciò che voglio prendermi. La libertà di stampa è in-fatti soltanto autorizzazione a stampare e lo Sta-to non può e non potrà mai decidersi libera-mente a permettermi di malmenarlo con ciò che scrivo. Se la stampa è mia propria, io ho bisogno, per usarla, di un’autorizzazione dello Stato tanto poco quanto ne ho bisogno e la ri-chiedo per soffiarmi il naso. La stampa sarà mia proprietà a partire dal momento in cui non ri-conoscerò nessun essere superiore a me stesso: infatti da quel momento Stato, Chiesa, Popolo, Società ecc., cesseranno di esistere, perchè essi devono la loro esistenza solo al mio diprezzo di me stesso e, venendo meno questa sottovaluta-zione, svanirebbero. Oppure, riuscite ad imma-ginarvi uno Stato del quale tutti i sudditi non s’interessano affatto? La stampa sarà finalmente mia se io non riconoscerò, per quel che riguar-da il suo uso, assolutamente nessun giudice all’infuori di me, cioè se io sarò spinto a scrivere non più dalla moralità o dalla religione o dal rispetto per le leggi dello Stato, ma da me stesso e dal mio egoismo.

DAI LA LIbERTA’ DI STAmPA A DELLE PECORE. QUESTE NON PUbbLICHERANNO

CHE I LORO SOLITI bELATI

IRAQ

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L E T T E R A I V ( p r i m a p a r t e ) - F E U I L L E T O N - L A S T R A C C I A T E L L A D I J O S E P H

Oggi nessun governo ammette di mantenere l’eser-cito per soddisfare eventuali voglie di conquista; esso deve invece servire alla difesa. Viene invo-

cato il patrocinio di quella morale che approva la leg-gitima difesa. Ma questo significa: riservare la morali-tà a sé e l’immoralità al vicino, perché si deve pensare che egli sia desideroso di attaccare e di conquistare, se il nostro Stato deve necessariamente pensare ai mezzi per la leggittima difesa; inoltre si taccia lo Stato vicino, - che proprio come il nostro Stato nega di avere inten-zioni aggressive e dà intendere di mantenere anche da parte sua l’esercito solo per motivi di leggitima difesa, - quando spieghiamo le ragioni per cui abbiamo bi-sogno di un esercito, di ipocrita e di astuto criminale, che assai volentieri vorrebbe sopraffare senza alcuna lotta una povera e ignare vittima. Così stanno oggi, gli uni di fronte agli altri, tutti gli Stati: essi presuppongo-no cattivi sentimenti nel vicino e buoni sentimenti in sé. Ma questa presupposizione è una inumanità, catti-va e pessima come la guerra: anzi, in fondo essa è già incitamento e causa di guerre, perché come s’è detto, attribuisce al vicino l’immoralità e sembra in tal modo provocare sentimenti e atti ostili. Bisogna abiurare la teoria dell’esercito come un mezzo di legitima difesa altrettanto radicalmente delle smanie di conquista. E forse verrà un gran giorno in cui un popolo, distin-tosi per guerre e vittorie e per la più alta formazione di ordine e di intelligenza militare, e avezzo a fare per queste cose i più gravi sacrifici, esclamerà volontaria-mente: “Noi spezziamo la spada” - e distruggerà tutto il suo apparato militare fin nelle sue fondamenta. Farsi inermi, quando si era i più armati, per altezza di sen-timento, - è questo il mezzo per la vera pace, che deve sempre riposare su una pace del sentimento: mentre la cosidetta pace armata, quale oggi si riscontra in tutti i paesi, è la bellicosità del sentimento, che non si fida né di sé né del vicino, e che a metà per odio e a metà per paura non depone le armi. Meglio perire che odiare e temere, e due volte meglio perire che farsi odiare e temere, - questa deve essere un giorno anche la più alta massima di ogni società statale! - Ai nostri rappresentati del popolo liberali manca, com’è noto, il tempo di riflettere sulla natura dell’uomo, altrimenti saprebbero che lavorano invano, quando lavorano per una “graduale riduzione dell’onere militare”. Piuttosto, solo quando questa specie di calamità sarà massima, sarà anche prossima la sola specie di Dio che qui può aiutare. L’albero delle glorie guerresche può essere ab-battuto solo in una volta, da un colpo di fulmine: ma il fulmine viene, voi lo sapete bene, dall’alto.

I L mEZZO PER L A VERA PACE

al trascendente. Per esempio passavamo di fronte al nuovo Pa-lazzo delle Nazioni, che stava giusto davanti una gelateria dove Joseph diceva ci fosse la miglior stracciatella del mondo, e devo dire che anche in fatto di gelati è un grande intenditore, perché la sua stracciatella era magnifica. I pezzetti di cioccolato si scioglie-vano caldi tra le labbra mentre lui fissando il Palazzo delle Nazio-ni, ridacchiando con quegli occhi ghignanti che sai, ah ché tutto quell’edificio non era che un’ammasso di scartoffie, che tentano di fornire un ordine, delle leggi a qualcosa che agisce ben al di là delle leggi, la vita. Tutte quelle leggi e parlamenti e uffici e segre-tari, con un architettura così poco nobile, per cercare di dar ordi-ne a qualcosa da cui loro stessi dipendevano. E che poi non c’era più ordine, e non ci poteva più esserne, da quando le costituzioni hanno dato vita alla politica, al governo del compromesso e dello smercio delle cariche. Nulla era più stabile, ma tutto dipendeva da una serie di leggi dettate e scritte da gente che non potevano assolutamente poter prevedere l’evolvere del destino. Diceva che più si scriveva più l’istituzione era instabile. Il silenzio è l’unica cosa totale e completa, quando poi la parola rompe questo silen-zio il dipanarsi del mondo e le sue vicissitudini diventano la sto-ria, storie di storia, che è la politica sperimentale.. Ti confesso che spesso anche per me le parole risultavano un po’ oscure, ma per capirlo bisogna avvicinarsi a quel suo cuore striato che tiene ben

nascosto sotto la pettorina. Mi dice: « Riesci a immaginare che in quel palazzo, tutti i giorni non si fa che legiferare, è una sorta di macchina esercitata a produrre cavilli. Ci dicono, ‘ci sono le leggi di base’, la Costituzione, poi da queste basi, come si trattasse di leggi naturali, moralmente sperimentabili, si deducono una sfilza di sotto leggi e comma che raggiungono la complessità di equa-zioni a n gradi. Si aggiunge legge a legge sperando così di poter finalmente trovare quell’unica legge capace di garantire l’Ordine. Ma loro non hanno idea di cosa mai sia l’Ordine e di come sia dif-ficile legiferarne qualcosa in proposito. L’Ordine, se guardiamo le cose dal mio cono di pistacchio, immaginiamolo come fosse Dio in se stesso. Bene, ti sembra possibile definire Dio con una legge? Dio è forse la cosa più complessa che l’uomo possa mai concepire, e forse non è neppure una cosa e neppure concepibile, del resto. Ecco loro vorrebbero trovare una legge capace di determinare tale ordine, solo che ahimé, l’uomo non è Dio, l’uomo non è Ordine; il suo di ‘ordine’ è un ordine spezzato dall’origine. L’uomo manca all’origine, non è mai conchiuso in Sé e per Sé. L’uomo è una crea-tura precipitata dal gusto della mela, di cui ti consiglio d’assaggia-re qui il sorbetto, diabolico al palato! L’uomo è nel caos, è fatidico. In questa sua caduta ha perso la luce dell’ordine ed è entrato nella ‘miscela’. Da qui non può più trova-re l’Ordine, perché c’è sempre qualcosa che preesiste l’uomo, egli

non nasce dal nulla, ma da qualcosa che l’ha preceduto. Pensa un po’ all’idea della nostra origine evolutiva, se stiamo a fissarne i presupposti e i nessi, l’uomo è la conseguenza di un’infinità di dislocazioni della materia che si è liberata nel cosmo quando un solo grumo di non si sa bene che, sarebbe esploso alla maniera di un fuoco d’artificio ad infinita densità. E come poi diavolo vuole l’uomo poter leggiferare se le sue leggi stesse derivano da quel ca-otico movimento che l’ha preceduto. È una pretesa idiota quella di voler creare l’ordine con la forza delle leggi. La sola cosa che le leg-gi possono creare sono delle armi sempre più violente nelle mani della polizia e dei tribunali. Una carta costituzionale, se ne sollevi il risvolto, nasconde sempre una ghigliottina che fa saltar teste in nome della comunità regnante, garantita dalla costituzione votata e dai tribunali e polizie che la fanno agire. Dare ordine al mon-do è una pretesa veramente idiota. Calcolare la superficie di Dio, dice sempre il mio amico Alfred, te l’ho mai presentato? Uno di questi organizziamo magari qualcosa a tre nel mio appartamento se ti va. Ebbene lui ama sempre dire che solo un idiota può voler calcolare la superficie di dio. E poi distingue due tipi di idiozia. C’è quella santa, patafisica, che permette di attingere ad una co-noscenza che è regolata da una logica simile a quella che regola uno sciamano in stato di grazia, e poi c’è quella della canaglia, che ignora persino il fatto che la conoscenza è dubbio e meditazione

e crede invece fermamente che sia l’opinione degli altri a fornirgli il suo proprio parere. È una persona squisita il mio amico Alfred; da ridere morendo. In fondo questi signori in giacca e cravatta che vedi uscire, guardali non hanno nulla che ne dimostri una regalità, un potere leggiferante. Nulla in loro esprime grandez-za, tutto puzza di mediocre e umano troppo umano. Guarda quei gelati che leccano, prefabbricati e senza neppure i pezzi di frutta. Mancano assolutamente di gusto, di prestigio. Ma quando dico prestigio, questo non deve essere inteso nel senso che mancano di titoli. I titoli, quelli, si comprano. Il prestigio è una marca, un segno. La regalità non è una coroncina di lapislazzuli, o dei guanti ricamati, altrimenti in questo senso, anche il papa sarebbe dota-to di prestigio. Ma ti sembra che quell’omino esprima qualcosa dell’immensità e dell’indicibilità dello Spirito Santo? O ti sembra che possa tener testa a Cristo? Se Cristo tornasse oggi sulla terra, sono certo che come nella parabola, si recherebbe nel tempio, in chiesa o in parlamento, o in ogni altro luogo del culto della pleba-glia credula e borghese e rovescerebbe i loro altari ricolmi solo di monete e fidi bancari e essoteriche baggianate.....

c o n t i n u a . . . . .

D IARIO D I GUERRAD A L N O S T R O I N V I A T O S P E R A N Z A S E N Z A m A N I

L A G A m E L L A E L A C O S C I E N Z A D E L m A L E“... qui donne à penser que le Diablefait toujours bien tout ce qu’il fait!”

Baudelaire

Immaginate cinque cani che mangiano tutti dall-la stessa gamella, abituati

ormai a dividere i pasti, sempre con oc-chiate bieche e denti a fil di labbra, ma decorosamente in pace. Poi arrivano altri cinque cani che vogliono mangiare dal-la stessa gamella. I primi cinque faranno gioco comune e comincieranno a lottare con i nuovi arrivati, visti come degli in-vasori. Ora, i cinque cani invasori sono dei mastini addestrati e armati di zanne affilate e borchie d’acciaio, gli altri non sono che dei barboncini allo sbando. In breve tempo la gamella è tolta loro di bocca. Cosa mai succederà in seguito? I cinque barboncini, affamati, non mol-leranno l’osso fino alla fine, non hanno in fondo molto da perdere. O muoiono lottando o moriranno di fame. Così ecco che nonostante i mastini siano riusciti a conquistare la gamella, gli altri cinque non smetteranno di organizzare attentati nel tentativo di rientrare in possesso del-la loro gamella. È ciò che viene chiamata “guerra civile”. Forma ossimorica e pleo-nastica al tempo stesso. Esiste una guerra “civile”? Quale civiltà può effettivamente dirsi civile, dal momento che la guerra è un suo corollario? E poi esistono guerre diverse da guerre civili? Si uccidono i pro-pri simili: uomini, bestie, piante, si fresa la terra con bombe all’uranio impoverito che fertilizzano la terra di residui radioat-tivi che mandano in malora i raccolti per i prossimi quattro o cinque secoli. Ogni guerra è ua guerra civile, credo l’avesse già ripetuto Pavese. Qui a Bagdad alcuni ge-nerali affermano che la guerra è l’unica so-luzione e il male minore. Se non sono loro a sparare sui terroristi, saranno i terroristi a sparare su loro. Concordo fino al punto

in cui non vedo differenza tra una pistola col marchio della U.S. Army o quella di contrabbando dei suddetti terroristi. En-trambe hanno il non trascurabile affetto di rendere un’essere vivente, materia inerte e sanguinante. Ma nonostante questi ten-tativi di spiegazione, che non sono parti-colarmente apprezzati dalle forze armate, che preferiscono sempre il silenzio e la sottomissione silente, si continua a citare Clausewitz come un’utorità. Si ripete che la guerra è il proseguimento della politica con altri mezzi, rendendo ben evidente il fatto che la politica intesa in questa manie-

ra non è che la solita spartizione tra cani affamati della solita gamella. Sarà che alla fine, a forza di prendere in considerazione dei libri sconsiderati, come già preconiz-zato da René Girard, si arriverà al punto d’achever Clausewitz. Gli arsenali atomici non mancano. Serve solo che qualcuno inneschi la miccia e della specie umana non resterà neppure il ricordo, giacché nessuno sarà là per ricordare. Sarebbe la soluzione più igenica secondo molti dei più incalliti generali, ma finora non sono riusciti che a metà. Perché l’umanità riesca a finirla con le sue indecorose manifesta-zioni ci vuole forse ancora un’eccesso di coraggio, e l’uomo così mediocre, non è neppure in grado di compiere infine que-sto gesto d’autoestinzione di cui in molti gli sarebbero grati. Intanto proseguono le esplorazioni nei dintorni. Anche se ancora

impossibile liberarsi dai controlli “dell’e-sercito di pace”. Come al Luna-Park sem-pre le solite attrazioni: una macchina che inaspettatamente salta in aria, mandando su tutti i nervi l’esercito invasore, che non sapendo che pesci pigliare, spara su ogni cosa si muova e che agli occhi del soldato impaurito e in paranoia completa, risulti sospetto. Ed è facile risultare sospetti nel momento in cui la paura è il motore iner-ziale col quale i soldati tentano di soprav-vivere all’inumano. L’uomo sopporta la violenza , come ogni bestia, quand’essa gli serve per procurarsi il cibo, ma quando la

brutalità è spinta al di là della so-glia del fabbisogno, scompare il senso sacrale del mangiare, man-ca la comunione col morto, così l’efferatezza non svilupperà che ulteriori forme di nefandezze. Ne sono un caso le violenze perpe-trate nelle carceri. Ci sono state le foto finite in mano ai goirnali della prigione di Abu-Grahib, e la società ha gridato allo scanda-lo, prima di dimenticare tutto, il giorno dopo - vi erano già delle

nuove notizie da ricordare. Ma le torture non sono certo terminate. Quello che ora succede è il divieto assoluto per i soldati di filmare o fotografare i loro atti. Non sono le torture ad essere sbagliate, è il giudizio della società. In guerra non ci si comporta come al supermercato. La guerra è guer-ra, continua un sottotente. Da casa è facile giudicare, ma chiunque si trovasse a vive-re nelle condizioni del soldato arriverebbe a commettere atti impensabili nella vita quotidiana. Il male è banale. L’uomo non è neppure una bestia cattiva, non è che una bestia. Quando procura del male agli altri esseri lo fa in tutta incoscienza, se in-fatti avesse coscienza del male due strade gli resterebbero: o farsi saltare il cervello col proprio fucile o ritirarsi asceticamente dalla società. Insomma un week-end qua-lunque nelle retrovie di Bagdad.

IRAQ

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E S E G E S I D E I L U O G H I C O m U N I

Se sapessimo tutto!

Saremmo Dio, situazione infinitamente sgradevole perchè si sarebbe allora costretti a negare la propria esistenza nel rischio di passare per un imbecille, disputarsi col Venerabile dalla sua loggia e essere mal visto nel quartiere. Nessuno ci farebbe più credito e nessuno ci saluterebbe più. Si passerebbe per fare dei mira-

coli e per avere un crocifisso nella propria famiglia. E la vile plebaglia priva d’ogni discernimento confondendo la Sostanza con l’Accente, chiamerebbe baciapile l’onniscente Borghese incolpato di divinità. Ah! credetemi, la cosa più sicura, e di non saper niente, sopratutto di non trarre niente dal nulla, a cominciare da se stessi. Per di più, non è la tradizione? A quale epoca, volete dirmelo? Gli antenati dei nostri borghesi hanno creduto profitabile di creare la luna e le stelle? Vi sono tante cose che è avantagioso ignorare e tante altre che è utile non fare! Lo scopo della vita non è unicamente di guadagnare parecchia grana e d’accapparrarsi, in questo modo, la Morte eterna?

COLLABORAZIONISTI: Léon Bloy, Exégèse des Lieux Communs. Friedrich Nietzsche, Umano troppo Umano. Max Stirner, L’unico e la sua proprietà

L A P O S T A D E L C U O R E

Ciao, mi chiamo Gioia, dall’età di tre anni sono stata chiusa in orfanotrofio, le suore non le ho mai amate molto. Mi picchiavano spesso perché dicevano stonassi il Mater Dolorosa ed invece non era per niente vero. Io sollevavo solo di un semitono, erano loro che non capivano nulla di musica. Quando cominciai ad amare l’organo, loro mi dicevano che non dovevo assolutamente toccarlo.L’organo non si tocca gridavano. E ci picchiavano con candelabri e croci-fissi. Era dedicato a Dio e non andava assolutamente avvicinato. Più loro mi nascondevano l’organo più io ne avevo la tentazione. Ma poi quando una notte riuscii ad arrivarci e feci risuonare le note del mio beneamato Buxtehunde, il giorno dopo l’organo venne trasferito altrove e distrutto per-ché dentro s’era insinuato il demonio. E non sapendo cosa fare, la mia com-pagna Giuditta mi ha detto di mozzare la testa a quelle baffute di suore. Se non volevano ridarmi il mio organo, lei ne conosceva uno che suonava polifonie altrettanto allietanti. Cosi’ ho scoperto il clitoride. Lei crede che sia un peccato?

Cara Gioia, Sant’Agostino diceva che un organo equivale all’altro. Non è l’oggetto che fa l’arte, ma la mano abile e svelta dell’artista. L’importante è che con qualunque organo a tua disposizione tu sia in grado di raggiun-gere le polifonie angeliche. Divino è il piacere, perché infinitamente fu-gace, solo lui ci dà l’apparenza d’esistere. Non credo tu debba sentirti una peccatrice. Nelle sacre scritture non vedo nessuna santa e nessun teologo scagliar maledizioni sul clitoride. L’unica cosa che posso consigliarti e che quando ti sdrai con le gambe allargate, devi assumere la concentrazione di un monaco in preghiera e considerare il tuo clitoride alla stregua d’una Shekhinah. In questo modo, sono sicuro, la paura del peccato (il demo-nio) ti sarà lontano e non proverai che letizia.

INFORmA ET ImPERAb A R b A R I E C I V I L I Z Z A T IT R A E U F E m I S m I E m E T A F O R E

Non esiste una società senza l’opinione. L’opinione è il collante degli individui. Fornisce ad essi ciò di cui parlare, e più importante ancora, fornisce loro dei nemici e amici comuni. Allarmanti giungono in Europa e America le notizie sui pestaggi e le rivolte in Iran, ma molto meno risalto prendono quelle, non certo dissimili (sempre di manganeli e sbirri si tratta) , in Europa. Quan-do la repressione di una manifestazione di belanti supporter dell’opposizione di Stato scende nelle strade, ecco che le pattuglie in massa s’assiepano in armi. Ma se il pestaggio avviene in Iran allora sono “atti illeciti”, “chiari segni di intolleranza”, “il male” ecc, mentre quando lo stesso avviene in Europa, sono dei tafferugli che hanno degenerato, i quali vengono paternalisticamente redarguiti dal ministro di turno che si premura, alla tv, di lanciare la sua costernazione e ricordare come lo Stato (che ora ormai diventa sempre più Il Governo) abbia sempre lavorato per il meglio (ed infatti i manganelli e i fumogeni in dotazione, hanno funzionato a perfezione). Ma perchè l’informazione si allarma come avesse visto il demonio se un tafferuglio si è svolto in Iran e non prende altrettanta cura a evidenziarne la violenza in Europa. La risposta è in sé semplice. Questione d’opinione. Un giornalista non si chiede mai cosa sia un “fatto” e quindi cosa succeda quand’egli scrive. Egli pre-

sume di riferire effettivamente gli avvenimenti. Crede fermamente che la notizia sia il “fatto” in sé. Quindi non si rende conto dell’analogia. L’opinone è a senso unico, l’analogia richiede invece che colui che ne fa “uso” abbia la netta certezza che il linguaggio non è che una metafora. Ecco che così al giornalista non interessa mettersi in un movimento di comprensione, ma gli basta confermare l’opinione che tutti hanno. Quindi se il pestaggio avviene in Europa, bé, lui in Europa se la spassa. È la sua terra. Lui si sente Europeo. Riconosce carte costituzionali. Si piace la domenica ad andare a votare ecc. In Iran invece, non c’è mai stato, ma ha sentito dire che laggiù vi è una dura dittatura. La gente scende in piazza per protestare? Bé laggiù gli pestano a sangue. E se qualcuno gli fa no-tare quel che è successo proprio caldo caldo in Grecia. Lui dice, bé che c’entra, è uno stato di crisi. In fondo il povero giornalista dal canto suo non c’ha tutti i torti: che ne sarebbe dell’Europa, del sentirsi Europeo, del sentirsi di appartenere a qualcosa, se rispetto a questa appartenenenza non vi fosse un fuori? A che serve un confine, se oltre il confine non vi sono gli ‘altri’? Come riuscirebbe-ro i cittadini a sentirsi uniti senza che tutti abbiano un nemico comune su cui ringhiare in coro?

C ’è L A PROVA. D IO S ’EV IRò DELL ’ORIG INE . L A C H I E S A R I V E N D I C A I L S U O m E m b R O . P E R I F I S I C I : “ S I è A N C O R A D E N T R O P A R A m E T R I A C C E T A b I L I ” .

Quark e neutrini in Vaticano. La chiesa è in vertigiono-sa perdita di consensi. Le chiese sono vuote di fedeli e solo restano aperte quelle in cui far circolare turisti da

tutto il mondo, nella soleggiata e sorridente Italia degli spot ministeriali. I giovani non riuscivano più ad avvaccinarsi a certi testi, che diavolo gliene importava a loro dell’inferno, quando avevano sempre le derivate differen-ziali da inventare. Ma finalmente la svolta. I giovani ritrovano cool la chiesa. La teoria del Big Bang proposta dagli scienziati sembra collare perfettamente con precisi passi della Genesi, persino numerosi induisti hanno co-minciato a convertirsi al culto dell’abbassare la testa per essere vittima immolata al Tem-pio. Quest’improvvisa ondata di successi non ha trovato la curia impreparata. Immediata pubblicazione dell’enciclica Me Dedo, in cui s’invita a sposare il messaggio di Cristo in pienezza e sorvolare sulla simonia. Poteva la chiesa abdicare a Dio? Queste le prime rea-zioni di autorevoli teologi sui giornali e in tv. La scienza viene in suo soccorso. Il principio antropico salva capra e capovoli. Va bene per la chiesa perchè permette sempre di immaginarsi un Uno so-vradeterminabile, e alla scienza di giustificare le sue manfrine e teorie che collano alla realtà come una mela di Cezanne a quella nella fruttiera della propria tavola. Ma tra fantasmagorie ci si capisce bene. Quando due sono convinti di una cosa, non è difficile metterli daccordo su qualcos’altro. E la scienza e la chiesa sono convinte che in un modo o nell’altro, attraverso

il calcolo o attraverso le offerte, si possa attingere alla verità. Quindi ci si applicasse nelle università con devozione e spirito di guerriglia col proprio vicino che ti mangia il posto di lavoro, togliendoti il pane, e dall’altra si continuasse a castigare la vita, dimenticare che non solo la croce il cristo ha portato. Quella gliel’hanno messa gli altri sulle spalle. Quand’egli marcia, lo fa

su un’asinello scalzo. Ma ne la scienza ne la chiesa si curano di Cristo, l’importante è che si possa offrire ad ognuno la pro-pria croce. Il momento certamente più eccitante della cerimonia è stato quando, per allietare il santo padre, che s’annoiava in un angolino sonnecchiante – essendo carente in inglese, pentecoste mancata - sull’altare maggiore, sotto il baldacchino del Bernini, messo in valore da un gioco di luci stoltamente decorativo che ha un po’ rovinato l’ambiente, ma che non ha potuto evitare lo stupore per l’innesto del più evoluto modello di bomba a neutrini. Qualche istante dopo il taglio del nastro, congiuntamente, il papa e il rappresen-tante del consorzio scienza e investimen-

ti, hanno premuto un tasto rosso. Pochi istanti dopo gli affre-schi sparsi per le gallerie giacevano in macerie, mescolate alle polveri delle carni cremate nell’esplosione. La fine del mondo tanto attesa è infine giunta. E non sembra di sentir soffiar rim-pianti e neppure che il mondo sia affatto finito. La razza umana e molte altre specie sono state falcidiate dall’evento. Ma le altre continuano, quotidianamente.

Dopo il successo de “Un miraco-lo italiano”, che gli è valso persi-no gli elogi di Umberto Eco, che l’ha definito “il feuilleton, col superuomo delle masse più me-diocre dai tempi di Mike Buon-giorno”, il Primo Ministro della Repubblica Italiana, raddoppia. Nelle case di tutti gli italiani, nei prossimi giorni, il suo nuovo ca-polavoro: “Due anni di governo”. La critica si è levata in un solo coro: “Era dai tempi di Rableais che non si leggevano avventure tanto rablesiane”. Non mancano però i dettratori che evidenziano la scarsa conoscenza della metri-ca e sostengono che il Presidente non si sia affatto fatto aiutare da Apollo e le Muse, ma da una cor-te di esperti pubblicitari, buoni

solo a spacciare fumo negli oc-chi. Ma non si tratta che di una minoranza. Dai sondaggi tra i lettori emerge invece che la man-canza di stile viene particolar-mente apprezzata. “Non vi sono parole difficili”, “Non si conce-tualizza sulle cose, Silvio è come uno di noi, un burino”, questi i commenti al mercato di fronte a Palazzo Chigi questa mattina. L’idea è piaciuta anche all’estero. Tanto che altri capi di governo hanno deciso di copiarne l’idea. Nei prossimi mesi è infatti pre-vista l’attesissima uscita de “60 anni di burocrazia”, scritto da una commissione parlamentare europea, tradotta persino in li-tuano. Prevedibile il successo.

NELLE CASE D I TUT TI GL I ITAL IANI I L SECON-DO TOmO DELLE AVVENTURE DEL PRESIDENTE . Varato un decreto d’urgenza che gli vale

il premio Campiello. Immancabile la replica.