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1 EQUIPES NOTRE DAME – END EQUIPE RESPONSABILE INTERNAZIONALE – ERI Equipe Satellite sulla Formazione Cristiana ALBERGO/CORSO SULLA MORALE CRISTIANA Osservazione: Documento scritto in origine in Portoghese (del Brasile).

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Page 1: ALBERGO/CORSO SULLA MORALE CRISTIANA · 2020. 5. 21. · solo la vita personale, ma anche i suoi atteggiamenti nella convivenza umana (vita sociale e comunitaria). Il Corso sulla

1

EQUIPES NOTRE DAME – END

EQUIPE RESPONSABILE INTERNAZIONALE – ERI

Equipe Satellite sulla Formazione Cristiana

ALBERGO/CORSO SULLA

MORALE CRISTIANA

Osservazione: Documento scritto in origine in Portoghese (del Brasile).

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INDICE

INTRODUZIONE GENERALE ..............................................……….. 4

Tavola 1 INTRODUZIONE ALLA MORALE – QUESTIONI PRELIMINARI….. 8

1.1- Terminologia ...........................................................……………. 8

1.2- La questione morale ..............................................…………... 10

1.3- Le basi razionali dell’etica......................................……………. 13

Tavola 2 ETICA TEOLOGICA E TRADIZIONE...................................………. 17

2.1- Etica Teologica …...........................................................…….. 17

2.2- Fedeltà alla genuina Tradizione ............................……………. 22

2.3- Morale Rinnovata ...........................................................…….. 29

Tavola 3 QUESTIONI CHIAVE DELLA MORALE - CATEGORIE MORALI

DI BASE …............................................................……..……………. 35

3.1- Libertà ............................................................…….............….. 35

3.2- Responsabilità ..............................................................………. 39

3.3- Atto morale....................................................................……….. 43

3.4- Opzione fondamentale …............................……………………. 45

3.5- Legge naturale...............................................................………. 47

Tavola 4 QUESTIONI FONDAMENTALI DELLA MORALE - LA COSCIENZA

MORALE …..........................................................................………… 49

4.1- Il mistero della coscienza..............................................……….. 50

4.2- I tipi di coscienza ..........................................................………... 51

4.3- Elementi della storia della dottrina cristiana..................………… 53

4.4-Cosa ci insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica sul

rispetto della Coscienza Morale?............................................………. 54

4.5- Formazione della coscienza ........................................………… 55

Tavola 5 MORALE PERSONALE: PECCATO E CONVERSIONE ….…………. 64

5.1- Il male morale e la libertà ......….................................…………. 64

5.2- Problemi e sfide intorno al peccato …………….............……….. 66

5.3- Il peccato nella Sacra Scrittura .….................................……….. 69

5.4- Nozione del peccato mortale e veniale ........……………………. 73

5.5- Prossima occasione di peccato ....................................……….. 77

5.6- La conversione: in che consiste? ..................................……….. 78

5.7- Il vangelo incarnato della conversione …......................……….. 79

5.8- I sacramenti della conversione .....................................……….. 81

5.9- La partecipazione del convertito nella conversione ......……….. 84

Tavola 6 MORALE PERSONALE: LE VIRTÙ ……....................................…… 87

6.1- Le virtù cardinali ...........................................................……….. 91

6.2- Le virtù teologali ………….….......................…...........…………100

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Tavola 7 BIOETICA ............................................................................……….. 113

7.1- Una prima riflessione: casi che sfidano la Bioetica …......……. 114

7.2- Il valore della vita umana e le esigenze etici ………............…. 115

7.3- L'aborto dal punto di vista morale …............................………. 117

7.4- Eutanasia e Distanasia………..…………...…................………. 120

7.5- Trasmissione della vita umana ed esigenze etiche. ……….… 121

7.6- Interventi umani per impedire la trasmissione della vita……… 130

Tavola 8 SFIDE ETICHE - CARATTERE SOCIALE DELLA MORALE ……… 134

8.1- Sfide etiche dell'economia.............................................………. 136

8.2- Sfide etiche del lavoro ..................................................……… 137

8.3- Sfide etiche della povertà .............................................……… 139

8.4- Sfide etiche della politica ..............................................……… 140

8.5-Sfide etiche della cultura ...............................................………. 141

8.6- Sfide etiche del ambiente .............................................………. 142

CONCLUSIONE ..................................................................………. 146

BIBLIOGRAFIA UTILIZZATA, CITATA E RACCOMANDATA……… 151

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Questo corso rappresenta un sussidio per lo studio della morale cristiana, o

della Teologia Morale (anche chiamata Etica Teologica), che cerca, alla luce della

parola di Dio, di discernere le norme concrete che portano le persone alla loro

piena realizzazione: umana e cristiana.

In questo senso, “la morale cristiana è la pratica della fede, seguendo

Gesù Cristo e la realizzazione del Regno di Dio”. Pertanto, quello che meglio

definisce la morale cristiana è il suo legame con la fede. Ossia, la morale è una

dimensione necessaria della fede cristiana (fede intesa come relazione tra l'uomo

e il suo Dio).1

Marciano Vidal, rende ancora più chiara la definizione sopra citata, quando

afferma che la Teologia Morale “è quella parte della Teologia che, alla luce della

Rivelazione e della fede vissuta nella comunità ecclesiale, propone un cammino

dell'umanizzazione piena delle persone e della società, seguendo le tracce di

Gesù Cristo e del suo Regno”.2

Come possiamo percepire, la morale cristiana non solo descrive il

comportamento umano, ma punta ad un ideale che deve essere perseguito o

vissuto, e che è anche la sua forza ispiratrice: Gesù Cristo. Egli è la suprema

norma da seguire per il comportamento morale e per vivere come cristiano.

La Gaudium et Spes afferma che Cristo, che è la piena rivelazione del

Padre, è allo stesso tempo la piena rivelazione dell'uomo (cf. nº 22). Quindi la

morale cristiana si pone in vista della Rivelazione contenuta nelle Scritture e

integrata nella vita della comunità di fede, e nella vita di ogni cristiano.

Così si è espressa la Pontificia Commissione Biblica:

Per i cristiani , la Sacra Scrittura non è soltanto la fonte della rivelazione, base

della fede, ma anche l’imprescindibile punto di riferimento della Morale. I

cristiani sono convinti che, nella Bibbia, è possibile trovare le indicazioni e le

regole per agire correttamente e per raggiungere la vita piena.3

Il Concilio Vaticano II° propone un aggiornamento ed un rinnovamento della

Teologia Morale, che fino al secolo XVII aveva una tonalità o una visione negativa

e pessimista, più preoccupata di tracciare una condanna agli errori morali delle

persone, della società e del mondo, invece di promuovere le persone alla loro

integrità.

Nella prospettiva della Morale chiamata “casistica” (o la casuistica), vi era

una concezione dualista in relazione agli essere umani, al mondo, al corpo, alla

                                                            1 VIDAL, Marciano. Para Conhecer a Ética Cristã. São Paulo: Edições Paulinas, 1993, p. 11‐15. 2 VIDAL, Marciano. Moral de Atitudes. Aparecida: Editora Santuário, 1978, p. 482‐489. 3 PONTIFÍCIA COMISSÃO BÍBLICA. Bíblia e Moral ‐ Raízes Bíblicas do Agir Cristão. 

INTRODUZIONE GENERALE 

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sessualità, separati o realtà opposte come corpo e anima, spirituale e materiale,

cielo e terra, etc.

Papa Giovanni XXIII ha dichiarato nell'apertura del Concilio Vaticano II° che

“gli errori cadono da soli o cadono a confronto con i valori cristiani presentati in

maniera positiva”.4

In un un testo conciliare fondamentale in cui si parla dell’aggiornamento

della Teologia Morale:

Si è prestato particolarmente attenzione al miglioramento della Teologia

morale, la cui esposizione scientifica, arricchita con maggiore intensità

mediante la dottrina della Sacra Scrittura, dovrebbe mostrare l'eccellenza dalle

vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di produrre frutti nella carità per la

vita nel mondo.5

I commenti dei teologi a proposito di questo testo e la necessità di un

aggiornamento evidenziano che il Concilio richiede dalla morale:

a) Carattere scientifico (“esposizione scientifica");

b) Specificità cristiana (“arricchita con maggiore intensità mediante la

dottrina della Sacra Scrittura”);

c) Orientamento positivo e di perfezione (“dovrebbe mostrare

l'eccellenza della vocazione cristiana”);

d) Carattere ecclesiale (“dei fedeli in Cristo”);

e) Unificata nella carità e aperta al mondo (“il loro obbligo di produrre

frutti nella carità per la vita nel mondo”).

In questo contesto, questo corso ha i seguenti obbiettivi:

Obbiettivo generale:

Comprendere che la Morale è sempre esistita e che l’essere

umano possiede una conoscenza morale che lo porta a

distinguere il bene dal male nel contesto in cui vive, e che

questa stessa Morale indica Gesù Cristo come l'ideale da

seguire e da vivere.

Obbiettivi specifici:

Presentare la Etica/Morale e l’Ethos. La prima come

dimensione teorica e riflessiva, mentre la seconda come

dimensione pratica della vita morale nella vita quotidiana;

Fare capire che l'uomo agisce nel quotidiano non solo per

tradizione, educazione o abitudine, ma sopratutto per la

convinzione di fede, come pure per intelligenza e ragione;

Prendere coscienza che la persona è il centro di ogni

considerazione Etica e Morale nella prospettiva cristiana.

                                                            4  AGOSTINI,  Nilo.  “Moral  Renovada  para  uma  Catequese  Renovada”.  Texto  publicado  em  CNBB  (Org.). Catequistas para a catequese com adultos: Processo formativo. 1ª edição, São Paulo: Paulus, 2007, p. 45‐62. 5 Decreto Optatam Totius sobre Sulla Formazione Sacerdotale, n° 16. “Le discipline teologiche siano insegnate alla  luce  della  fede  e  sotto  la  direzione  del  magistero  della  Chiesa,  in  tal  modo  che  gli  alievi  possono incontrare con esattezza la dottrina cattolica nella Rivelazione divina, a penetrare profondamente, facendone alimento di vita spirituale e diventare capaci di annunciare, esporre e difendere nel ministero sacerdotale”.  

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Quindi, il presente corso permetterà ai lettori (interessati), in mezzo alla

grave crisi morale che stiamo vivendo nel presente momento (“cambiamento

dell’epoca”, secondo Papa Francesco),6 di comprendere i segni dei tempi e

interpretarli alla luce del Vangelo, ma anche dare una risposta, con il suo modo di

vivere nel quotidiano, alle domande e alle questioni degli uomini nel senso della

vita presente e futura , e il rapporto tra le due cose.

Il cristiano non crede soltanto, ma anche vive. Pertanto, la vita del cristiano

deve essere in accordo con quello che crede, le sue credenze devono incarnarsi

nella vita quotidiana.

Considerando che l'uomo è sociale per natura, la vita morale non riguarda

solo la vita personale, ma anche i suoi atteggiamenti nella convivenza umana (vita

sociale e comunitaria).

Il Corso sulla MORALE è strutturato a partire dalle seguenti tavole:

Introduzione alla Morale: questioni preliminari

Etica teologica e tradizione

Categorie morali di base

La coscienza morale

Morale personale: peccato e conversione

Morale personale: le virtù

Bioetica

Morale sociale

In mezzo ad società consumistica piuttosto permissiva e tollerante, che ha

perso il senso etico e ha deteriorato i rapporti umani, dove i media hanno una forte

influenza (sia positiva che negativa), c'è una crescente necessità di formazione

cristiana delle persone (dei cattolici, delle coppie cristiane), per essere illuminati

dalle linee fondamentali del Vangelo .

La morale cattolica spesso vista, anche da noi cattolici, come un insieme di

precetti più o meno restrittivi, che sostanzialmente dice ciò che è giusto e ciò che

è sbagliato – anche se spesso le persone non capiscono il motivo per cui certe

cose sono considerate giuste ed altre sbagliate per la Chiesa. Questa visione

negativa e povera della morale o dell’etica cristiana allontana molte persone dalla

religione, ma è quella più sfruttata dai media laici, che insistono nel presentare la

Chiesa come “grande repressore.”

Papa Francesco afferma che “non tutte le discussioni dottrinali, morali e

pastorali devono essere decise per un intervento del magistero”, poiché molte delle

risposte e delle soluzioni possono essere cercate nella cultura del proprio paese,

rispettando le tradizione e le sfide locali.

                                                            6 La sua natura è principalmente culturale, nel quale si dissolve la concezione integrale dell’essere umano e il suo rapporto col mondo e con Dio. 

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Il Papa prosegue: “un vero pastore (educatore) non deve accontentarsi

dell’applicazione delle leggi morali. Nel credere che tutto è bianco o nero, a volte

ostacoliamo il cammino della misericordia”.

Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana

sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha

raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Con la sua Parola, con i suoi gesti

e con tutta la sua persona, Gesù di Nazareth rivela la misericordia di Dio.7

La misericordia del Nostro Signore si manifesta sopratutto quando Egli si

abbassa sopra la miseria umana e dimostra la sua compassione, per coloro che

hanno bisogno di comprensione, di cura e perdono. Tutto in Gesù parla di

misericordia; ancora di più, Lui stesso è la misericordia.

È a questo che si propone questo studio: che nessuno viva al margine del

Vangelo di Gesù Cristo, e che tutti possano aderire alla persona di Gesù Cristo e,

di conseguenza, alla dottrina di Gesù, e del Suo Vangelo.

Gesù e il suo messaggio - il Regno di Dio - è il punto di partenza e di arrivo

per ogni cristiano (Mc 1,15; Mt 5,3-12).

Lo studio della morale cristiana - per i fedeli laici - rivela certe complessità; in generale,

non solo in ragione dei concetti astratti coinvolti, ma anche perché le persone hanno

ancora tanti dubbi sulla dottrina della Fede e della Morale cattolica.

Per molti, la morale cristiana è considerata un insieme di teorie, difficili da comprendere

nella loro pienezza, e non un fondamento ed una motivazione per l'azione dei cristiani nel

loro quotidiano.

Questo corso possiede, forse, una maggiore complessità rispetto agli altri, e per questo

stesso motivo, il linguaggio può sembrare più complesso. È, ancora, più lungo e contiene

più domande alla fine di ogni tavola realizzata per consentire una migliore comprensione

di ciò che è stato letto.

Tuttavia, opera nello stesso spirito e nello stesso desiderio di rispondere alle domande

della nostra fede cattolica, in ricerca della Verità.

Padre Caffarel ha sempre detto che uno degli obbiettivi del Movimento delle Equipes

Notre Dame è di essere “una scuola di vita cristiana”, che aiuta le coppie ad “acquisire

una comprensione delle esigenze della vita cristiana, di cui ella è, e tutte le ricchezze del

dogma”; deve aiutare a vedere che “è la vita cristiana, nel suo intero , in tutta la sua

ampiezza” (…) perché “gli equipers della Equipe Notre Dame devono desiderare vivere

in Cristo, come Cristo, per Cristo, ovunque; nella sfera del matrimonio, (…) ma anche

nella vita professionale, nella città, nella parrocchia, e nel tempo libero”.

                                                            7  Papa  Francesco.  Misericordiae  Vultus.  Bollettino  della  Proclamazione  del  Giubileo  Straordinario  della Misericordia, Roma, 11 aprile del 2015. 

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Iniziamo questa tavola con alcuni definizione di base, poiché possono

esistere dubbi o confusione nella terminologia utilizzata.

È importante registrare che lo studio di questo corso - Morale Cristiana –

inserito nel contesto della Teologia Morale, che tratta della riflessione sull’agire

umano, in vista della sua realizzazione come persona umana in Gesù Cristo, come

parte del piano della Creazione e della Redenzione. Riflette, poi, sullo stile di vita

che il cristiano è chiamato a seguire in ogni particolare campo della sua vita.

Tratteremo di morale cristiana che, da un lato, sottolinea una questione

antropologica (realizzazione della persona umana) e, dall’altro lato, una

questione teologica (realizzazione della persona umana alla luce della fede in

Gesù Cristo).

La Sacra Scrittura è lo spirito della morale cristiana, non come un codice di

“moralità”, bensì come la fonte di vita morale.

1.1- Terminologia

I termini Morale ed Etica sono spesso utilizzati come sinonimi, ma

mantengono tra di loro alcune differenze, come vedremo in seguito:

I filosofi greci coniavano la parola “etica” a partire da ethos o dall'abitudine

morale. Etica è la riflessione sistematica che prova a sostenere il

comportamento della natura umana. Cicerone, nel suo piccolo libro sul

fatalismo (De Fato), propone di arricchire la lingua latina evitando così di

utilizzare il grecismo etico, inventando la parola ‘morale’. Così, come i greci

derivano l'etica da ethos, abitudine, così possono fare anche i romani,

derivando moralis, morale, da mos, costume in latino. E, così, nel mondo

occidentale sono rimaste le due parole, etica e morale che originariamente

significavano la stessa cosa, una in greco e l'altra in latino. È vero che nel corso

dei secoli, queste due parole sono state arricchite con sfumature che sono state

aggiunte. E così, in alcune occasioni e per qualcuno arrivano a distinguersi,

anche se storicamente fossero sinonimi.8

In questo modo, usiamo:

Etica per un approccio più razionale, filosofico.

                                                            8 HORTELANO, Antonio. Morale Alternativa ‐ Manuale della Teologia Morale. Traduzione dello spagnolo per  João Rezende Costa, Editora Paolus: San Paolo, 2000, p. 20. 

TAVOLA 1 

INTRODUZIONE ALLA MORALE: 

QUESTIONI PRELIMINARI 

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Morale per una considerazione religiosa e per i codici di

comportamento che fanno riferimento a questa visione.

Quindi, etica (Ethica) è la regola, mentre la morale (MOS) è l'azione.

In altre parole, l'etica è quello che succede nel campo del discorso, e la morale

quello che succede nella pratica. La morale è la convenzione, e l'etica la

riflessione.

Nella prospettiva della Morale Cristiana, Etica e Morale coincidono, e

possono essere definite come:

Il modo di essere, di pensare e di organizzare di un popolo;

Un insieme di conoscenze estratti dell'investigazione del

comportamento umano, nel tentativo di spiegare le regole della

morale di forma razionale, fondata, scientifica e teorica;

Una riflessione sulla vita morale, dove sono fissati i valori, le norme e

i principi per il buon agire umano;

Gli studi delle abitudini, comportamento o norme che regolano la vita,

orientano le azioni ed i giudizi sulla moralità degli atti umani.

In questo modo, saranno l'Etica, e/o la Morale, le responsabili per costruire

le basi che guidano la condotta della persona umana, determinando il loro

carattere e la loro forma di comportamento in società.

Qual è il senso della parola ETHOS?

Ethos significa rispetto verso la vita morale di un individuo o di un gruppo.

Nella lingua greca, la parola ethos si incontra in due forme:

Iniziata con Є (épsilon) => Significa Costume/Etologia (studio dei

costumi).

Iniziata con η (éta) => Significa Carattere/Modo di essere.

Questo ethos si riferisce al carattere, ha la priorità sulla Morale, perché

l'etico si identifica più con il carattere o il modo di essere acquisito, che con il

costume.

La parola “etica” dal greco ethos, significa, letteralmente, abitare, vivere,

casa, nido, rifugio, identità, coscienza, il luogo dove le persone abitano; l'eterno e

misterioso abitare dell’Essere, la dove gli esseri umani possono incontrarsi in

profondità con “L' ESSERE” e, quindi, con sé stessi.

In questo senso , ethos si riferisce al humanum, e punta ad un modo proprio

di essere e di vivere dove “abita” l'umano.

Pertanto, quando si parla, di ethos cristiano emerge tutta l'esperienza

accumulata a lungo dei cristiani dalla storia, avendo come riferimento

fondamentale la persona, il mistero, e l'opera di Gesù. Il proprio Cristo è la norma

massima dei cristiani.

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1.2- La questione Morale

La questione Morale può essere confusa , a volte, con la realtà sociologica

o giuridica. Questi sono realtà prossime e importanti per la morale, ma non sempre

coincidono. Per non essere una morale astratta, con base soltanto nei principi, è

importante che essa consideri la realtà (il vissuto e la normativa).

a) I costumi e la morale – il livello sociologico della Morale

La Morale deve tener conto della realtà. È il suo punto di partenza. I

costumi, sopratutto gli errori di una cultura, sono molto più familiari a tutti noi, e più

vicini di quanto ci piacerebbe che fossero.9

La Morale ha come obbiettivo: trasformare costumi in criteri che si

giustificano; trasformare le scale di valori che giustificano la vita; lavorare l’insieme

di aspirazioni che fanno parte della comprensione della vita, e che sono anche

responsabili per i cambiamenti socio-storici.

La conoscenza sociologica e statistica tratta sui giudizi di fatto, ossia, su

quello che è. L'etica si muove sotto il segno dei giudizi di valore, ossia, su quello

che deve essere.

Una morale concreta può essere distaccata, ma può anche cedere alla

tentazione di voler dedurre, del vissuto e fatti, attitudini o principi di valore.

Nel caso della verità e di valore non pesa la credenza pseudoscientifica

della maggioranza assoluta. L'Etica non va misurata per la quantità. Non è perché

“ lo fanno tutti” che qualcosa è una virtù.

Conclusione: L'Etica non ha il suo fondamento nel fattore sociologico.

b) Il lecito (legale) e la questione Morale

Una legge o una norma ha il suo valore positivo. Serve per proteggere, per

regolamentare, e ha finalità pedagogica. La Morale è vincolata nel livello lecito-

illecito, legale-illegale.

Tuttavia, una etica che si occupa di ciò che deve essere, ha la funzione di

demistificare il livello giuridico della realtà.

È necessario aver chiaro che l'ordine giuridico non è l'unica istanza

normativa ( la Morale non deve più fidarsi della protezione giuridica dei valori etici,

ma neanche la legge positiva deve essere l'espressione dei valori e sistemi morali

della maggioranza dei gruppi).

Tanto che un comportamento concreto può essere valutato partendo dalla

coscienza (carattere morale), e può essere valutato a partire dalla prospettiva del

sistema giuridico (carattere giuridico). Nel caso concreto di una persona, è la

coscienza in primis; pertanto, esiste subordinazione del livello giuridico all'ordine

morale.

                                                            9 Per esempio, una cultura che preme per  l’economia, come asse guida e  regolatore delle  relazioni sociali, produce  inevitabilmente  una  tendenza  religiosa  consumista,  nel  percorso  della  prosperità  che  stabilisce relazioni commerciali  con il divino.   

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La giustizia dell’ordinamento giuridico è misurata in proporzione al bene

comune. Dentro la realizzazione del bene comune, la giustizia delle leggi civili

deve avere spazio per l'obiezione di coscienza, senza però causare danni al bene

comune.

Conclusione: la questione Morale non si identifica, sebbene abbia una

connessione o un legame stretto, con il sistema giuridico.

c) Condizionamenti della questione Morale

Viviamo nel tempo in cui possiamo identificare una “crisi” nella Morale.

Pertanto, questa crisi può essere valutata sotto l’aspetto demoralizzante oppure

sotto quello del cambiamento.

La realtà, oggi, è di luci ed ombre. La crisi si fonda nelle scorretta

comprensione delle aree significative della realtà (il mondo, l’uomo, Dio). Hanno

subito oscurazioni. La crisi della Morale è collegata alla crisi della cultura e della

civiltà.

Osservando la crisi sotto l’aspetto demoralizzante, percepiamo tre livelli

come:

a) Immoralità: E’ il modo più superficiale di analizzarla. Di solito, tende

a misurare la realtà in termini quantitativi .

b) Permissività: La società oggi è permissiva, frutto di un pluralismo

che genera la tolleranza.10 Pluralismo, permissività e tolleranza

ripercorrono profondamente la maniera di vivere e di formulare la

Morale. Viviamo oggi in società aperta.

La permissività sociale si caratterizza dal passaggio dalla clandestinità alla

pubblicità. Fattori importanti per questo passaggio sono i mezzi di comunicazione

sociale, per giustificare la necessità di rendere pubblici i fatti: “Dobbiamo mostrare

come stanno le cose”.

Il grande problema, da un lato, è che la pubblicità delle mancanze morali o

dell’esperienza, senza tenere conto del valore, crea l’oscuramento del valore

morale. Fa passare una mentalità di naturalità con il male. Fa decadere il livello di

reazione morale. Gli aspetti negativi di permissività sono più noti per gli

adolescenti, persone in formazione, persone semplice, ecc.

Dall’altro lato, dobbiamo stare attenti con lo scandalo fariseo e con una

morale ipocrita. La vita privata, per il bene dell’individuo e per il bene della società,

è molto devastata. Le mancanze nell’amministrazione pubblica, devono essere

pubblicate. Aiuta a sollevare il senso morale della propria società.

Per quanto riguarda la permissività giuridica, per esempio, ha favorito il

decrescere dei valori morali cristiani. E’ necessario che sia chiaro che, per noi

cristiani, l’ordinamento giuridico deve basarsi sull’ordine morale. Se la legge

permette che questo accada, può essere che dal punto di vista morale sia

                                                            10 Alcuni  autori affermano che la tolleranza è una delle tante virtù , necessarie per portare l’essere umano alla condizione di civiltà, e rappresenta un fase meno meccanizzata  di convivenza con le differenze. 

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immorale. Se la legge civile tollerante crea un vuoto morale, è dovere dei cristiani

riempire questo vuoto con il loro esempio, e lavorare onestamente e con sincerità

per persuadere a cambiare la legge.

c) Amoralità: Questo è il livello più profondo e più preoccupante. La

nostra società ha fattori strutturati che ostacolano l'etica e generano

l’amoralità (modi di relazione: consumismo, massificazione,

edonismo, tecnicismo, ecc.).

Abbiamo l’emergere dell’uomo - di massa, per esempio, caratterizzato per

l’impulso collettivo e irriflessivo. È presente qui l'anonimato, l'incompetenza,

l'impotenza. È anche molto presente, nei giorni di oggi, la disintegrazione delle

relazioni umane. È necessario che abbia più organizzazione e articolazione. Le

cose sono troppo impersonali e professionali.

Dopo, si evidenzia anche la funzione manipolatrice della parola

(comunicazione). Questo dimostra la funzione manipolatrice degli attitudini. I mezzi

di comunicazione , per esempio, dettano le norme di comportamento e manipolano

facilmente individui e gruppi, creando individui e gruppi completamente alienati.

Tutto questo per esempio, favorisce la degradazione dell'amore e della

sessualità. Non esistono più gli incontri di persone. Non c’è compromesso. La

musica, i gesti sono segni di degradazione dell'amore.

La cultura del domani dipende dalla cultura di oggi. Tutta la pubblicità,

attualmente, presenta sempre l'erotismo e questo è spersonalizzato. La violenza, a

sua volta, è presa come forma di relazione Inter-umana. Si percepisce l'aumento

della violenza gratuita. Esiste un impasse ideologico: l'umanità non sa se deve

dare più potere allo Stato o all'individuo.

Infine, si osserva una povertà dello spirito umano. Mancanza di altruismo;

mancanza di volontari; mancanza oblativa (di gratuità). Quando lo spirito è povero ,

è difficile parlare di etica.

Ma, è chiaro che esistono anche i fattori socioculturali che aiutano a

mantenere vivi le questioni morali:

La ricerca del senso della vita;

La necessità di fare sorgere utopie globali, di ideali, di sogni. Per

l'umanità la manca di “scommettere su utopie”;

Il valore inalienabile della persona umana. C’è la possibilità che

risorga l’etica. L'umanità ha una sensibilità per i diritti umani .

Osservando la crisi sotto l'aspetto di cambiamento - ed è così che siamo

chiamati ad interpretare la situazione attuale come cristiani -, è necessario già

dall'inizio affermare che esistono cambiamenti nella propria comprensione di vita e

dei valori.

Alcuni cambiamenti significativi si devono sottolineare:

Valorizzazione della storicità dell'uomo e del mondo (GS, 5).

l'uomo è un essere storico. Non solo vive nel tempo, ma è

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temporalità; quindi, lui è una realtà dinamica, che percepisce i

valori di modo nuovo o differenti.

La diversità culturale e sociologica delle norme di comportamento.

È importante non confondere una forma concreta di

comportamento umano con le norme etiche. È necessario aver

cura dell'etnocentrismo.11 I valori propri di una cultura non devono

scomparire. Tuttavia, non tutte le forme socio-culturali sono valide;

Dobbiamo avere un sospetto sincero sul concetto di natura

umana. La natura umana è stata considerata dalla Morale

Cristiana come il luogo astratto di valori e di principi etici.

1.3- Le basi razionali dell'Etica

Prima di dimostrare il fondamento dell'Etica Cristiana, è necessario

dimostrare la razionalità dell'Etica. È necessario basare l’Etica Cristiana nella

razionalità, e questo è dare maggiore credibilità alla Morale Cristiana. Vogliamo

risaltare, sopratutto, la razionalità della dimensione etica dell'essere umano.

1.3.1- Il senso etico della esistenza umana

La razionalità dell'etica è reale per causa della presenza del senso morale

all'interno dell’insieme della esperienza umana (si svolge in ogni vita umana). La

vita umana è inseparabile dalla sua interpretazione.

Il senso etico dell’esistenza umana appare quando guardiamo alle

dimensioni di responsabilità e di impegno. Secondo Aristotele, “l'essere umano

nasce etico perché può, per mezzo della intelligenza, coordinare gli impulsi della

sua profonda natura (physis) e decidere sulle loro azioni”.12

Il Papa Benedetto XVI, nel discorso davanti ai parlamentari del Partito

Popolare Europeo, spiega il senso etico dell’esistenza umana, evidenziando

che esistono principi non negoziabili, che non sono frutto della religione, ma hanno

fondamenta nella natura umana:

Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, l'interesse principale dei suoi interventi

nel campo pubblico è la tutela e la promozione della dignità della persona e,

pertanto, essa chiama coscientemente ad una particolare attenzione ai principi

che non sono negoziabili.

Tra questi, oggi, emergono chiaramente i seguenti: protezione della vita in tutte

le sue fasi, dal primo momento del suo concepimento fino alla morte naturale;

riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, come

unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, e la sua difesa di

fronte ai tentativi di far sì giuridicamente equivalente a forme radicalmente

diverse di unioni che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua                                                             11 Una visione etnocentrica dimostra, a volte,  il disconoscere dei differenti abitudini culturali, portando alla mancanza  di  rispetto,  al  disprezzo  ed  intolleranza  per  chi  è  differente,  originando,  nei  casi  più  estremi, attitudini preconcettuose, radicali e xenofobe. Un individuo etnocentrico considera le norme ed i valori della sua propria cultura migliore delle altre. Questo può rappresentare un problema, perché frequentemente dà origine a preconcetti ed idee infondate. 12 MOSER, Antônio. Teologia Moral: a busca dos funda mentos e princípios para uma vida feliz. Petrópolis: Vozes, 2014, p. 23. 

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destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo ruolo sociale

insostituibile; la protezione del diritto dei genitori ad educare i loro figli. Questi

principi non sono verità di fede, anche se sono illuminati e confermati dalla

fede. sono insiti nella natura umana, e pertanto, sono comuni a tutta l'umanità.

L'azione della Chiesa nella loro promozione non è quindi di carattere

professionale, ma si dirige a tutte le persone, indipendentemente della loro

affiliazione religiosa.

Questa azione è anzi ancor più necessaria nella misura in cui questi principi

vengono negati o fraintesi, perché in questo modo si compie un’offesa alla

verità della persona umana, una grave ferita provocata alla giustizia stessa.13

Nel quotidiano, ci troviamo di fronte spontaneamente con il senso morale

che la vita ha, per esempio, nel proprio linguaggio: uccidere è sbagliato; non fare

questo; correre è buono. Anche la struttura socio-storica della realtà è fatta di

valorizzazioni, normative (quindi il senso etico). Qualsiasi struttura sociale ha realtà

aperte e realtà governate.

È necessario collocare, quindi, il senso della morale, nell’insieme dell'attività

basiche di cui è fatta l'esistenza umana; cioè nelle esperienze economiche,

intellettuali, sociali, estetiche, religiose, ecc.

Guardando l’intera esistenza umana, possiamo distinguere livelli

nell’esperienza: biologico, antropologico-culturale, psicologico, religioso, ecc.

Nel livello psicologico, il senso morale si traduce nei comportamenti, cioè,

avviene la risposta del soggetto agente davanti gli stimoli significativi.

Possiamo evidenziare tre elementi di motivazione fondamentali del

comportamento che integrano la struttura psicologica della condotta morale: aspetti

connettivi, aspetti affettivi e aspetti motivazionali.

Aspetti connettivi:

Coscienza di se stesso;

Coscienza dell'altro;

Previsione dalle conseguenze del comportamento ;

Formulazione e applicazione di norme e principi;

Convinzioni morali (comprensione dei valori);

Capacità del pensiero congetturale (pensiero logico basato su

ipotesi);

Coerenza intellettuale.

Aspetti affettivi:

Capacità empatica (identificazione con l'altro e dei loro problemi);

Imitazione (sopratutto nei primi anni di vita);

Pudore, vergogna e rimorso ( in quanto indicatore di moralità).

                                                            13 BENEDETTO XVI, Ad Congressum a “Populari Europae Factione” provectum (30  marzo del 2006), in AAS 98 (2006), 344‐345. 

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Aspetti motivazionali:

Dipendenza dall'esterno (eteronomia);

Approvazione sociale;

Reciprocità (importante per la giustizia);

Coscienza morale (indica l'autonomia morale).

1.3.2- Struttura socioculturale dell'Etica

Se la condotta individuale ha una necessaria base etica, allora, anche il

groviglio della vita sociale, ha la sua dimensione etica (individuo X società). La

dimensione etica della struttura sociale condiziona la prassi trasformatrice della

realtà sociale.

a) Antropologia culturale e etica

L'ethos fa parte della cultura di qualsiasi gruppo umano. Si manifesta nelle

motivazioni, nelle giustificazioni, negli orientamenti di valore, nelle norme concrete.

Per questo, è difficile particolarizzare l'etica di una cultura concreta.

La cultura è la peculiarità umana, ed è ciò che distingue l’umano dal

comportamento degli altri animali. L’animale è limitato per natura. L’essere umano

è libero ma “indifeso” per la cultura. l’essere umano, quindi, è essere culturale e in

lui sta, necessariamente, l’etica.

b) La cultura in quanto dato socio-storico

La cultura è una realtà fattuale. È una forma reale di vita di un gruppo

umano. È il modo di esprimere la vita e di comprenderla. Per l'etica significa evitare

il relativismo morale e anche l’etnocentrismo morale.

c) La funzione dell’ethos nella struttura socioculturale

Questa funzione può essere vista in modo critico o di in modo ingenuo. La

cultura socio-dominante tende sempre a manipolare l’ethos di una società concreta

(esistono componenti ideologici sia nella etica vissuta che in quella formulata).

La funzione ideologizzata dei contenuti morali è manifestata da quegli

atteggiamenti che vogliano mantenere l'ordine stabilito.

Quanto alla responsabilità: è essa che torna soggettiva o personale la

morale. La manipolazione viene visualizzata in un trasferimento di responsabilità,

per esempio ad una autorità esterna, che può essere la legge o anche di Dio.

d) Gli effetti di posizione etica

L'etica si trova all'interno della coscienza morale. Si manifesta attraverso:

Giudizi di coscienza eteronomo, cioè il centro della decisione è

dall’esterno (è frutto della mancanza di capacità critica);

Giudizi di coscienza autoritari: è dominata per l'autorità o agisce

autoritariamente;

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Giudizi di coscienza massificati: agisce per reazione di massa, per

contagio;

Giudizi di coscienza unidimensionale: è la tendenza di servire

l'ordine stabilito.

e) A che serve la manipolazione etica

Come maggiore parte della manipolazione etica è strutturale, essa

naturalmente è al servizio del potere politico, economico, culturale o della religione

predominante.

1.3.3- Prospettive filosofiche dell'Etica

La dimensione etica dell’esistenza umana è l’argomento di primo ordine

nella riflessione filosofica. Lo è sempre stato e sempre sarà. Un fondamento che

dà sostegno all'etica della ragionevolezza critica è la funzione che oggi possiamo

ammettere. La principale è la ragione critica. Se non è razionale, non è in grado di

sostenere o giustificare.

Domande: è vero, che la ragione umana funziona sempre

ragionevolmente? A volte la ragione non preferisce la irragionevolezza? Agendo

ragionevolmente, noi siamo più capaci di essere parziali?

Non esiste una sola giustificazione filosofica per l'etica. Non è funzione

dell'Etica Teologica pronunciarsi per l’una o per l’altra etica filosofica (la Chiesa non

ragiona così). L’Etica Teologica si deve servire dei vari contributi filosofici validi e

discernerli.

Per riflettere:

1) Come possiamo definire Etica e Morale?

2) Nella prospettiva della Morale Cristiana, Etica e Morale coincidono. Quali

sono le caratteristiche che vuoi evidenziare?

3) Qual'è il senso della parola ETHOS? Cerca un po' di più su ETHOS con

riferimento a “l’humanun”.

4) La questione Morale è una realtà sociologica o giuridica? O nessuna di

queste realtà? Spiegalo.

5) Cosa significa dire che stiamo vivendo oggi una “crisi morale”? Quali

sono gli aspetti predominanti di questa crisi?

6) Perché è necessario basare l'Etica Cristiana nella razionalità? Che cosa

significa? Quali sono le basi razionali dell'Etica?

7) Perché i principi etnici dell’esistenza umana non sono frutto di qualsiasi

religione e sono considerati non negoziabili ?

8) Evidenzia ed effettua una ricerca su criteri "positivi" che sostengono e

supportano l'Etica.

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In questa TAVOLA si approfondiscono le riflessione sull’Etica Teologica – o

la morale cattolica – che ha Cristo come riferimento. Come afferma la Costituzione

Pastorale Gaudium et Spes, la morale necessita di Gesù come modello; i fedeli

cristiani devono aspirare l’identificazione con Lui; la Bibbia serve per comprenderlo

e conoscerlo meglio. (GS, 22)

In questo contesto, è importante comprendere quale è l’obiettivo e la

missione della morale cattolica. Come afferma Pinckaers:14

“La morale cattolica non si riduce ad un semplice codice di prescrizione e divieti

insegnati dalla Chiesa al fine di mantenere le persone obbedienti in detrimento

della loro libertà. Essa cerca, soprattutto, di rispondere alle ansie del cuore

umano per la verità e il bene, offrendo un percorso che, quando seguito, fa

questa aspirazione crescere e la fortifica sotto la luce del Vangelo. La morale

cattolica non è opprimente per natura, neanche conservatrice per principio:

cerca di educare per la crescita. Questa è la sua vera missione”.

2.1- Etica Teologica

Come abbiamo visto nella Tavola 1, il Concilio Vaticano II° ha chiesto una

presentazione della morale alimentata dalla dottrina della Scrittura e dai Padri della

Chiesa; più fermamente unita all’insegnamento dogmatico della Trinità, Cristo ed i

sacramenti; per un miglior fondamento, tanto scientifico come filosofico, per

garantire un confronto più giudizioso con il pensiero contemporaneo.

2.1.1- LE Fonti dell’Etica Teologica o Teologia Morale15

Sono fonte della Teologia Morale: la Parola di Dio e l’esperienza umana.

Parola di Dio non solo scritta, ma anche accettata, interpretata, vissuta, proclamata

dalla Chiesa nei secoli (Sacra Scrittura, Sacra Tradizione e Sacro Magistero).

E’ imprescindibile ricorrere alla Sacra Scrittura. Se una fonte della Teologia

Morale non è presente nello spirito della Parola di Dio, non è cristiana.

Nascono, pertanto, alcune domande:

Qual’è la relazione esatta tra la Sacra Scrittura e la Morale?

Quali norme bibliche sono valide oggi?

                                                            14 PINCKAERS, Servais‐Théodore. A Moral Católica. Tradução de Paulo Jacobina, São Paulo: Quadrante, 2015, p. 9. 15 Cf. GS 33, 36 e 46. 

TAVOLA 2 

ETICA TEOLOGICA E TRADIZIONE 

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La Sacra Scrittura dà soltanto orientazioni fondamentali? O

fornisce anche regole categoriche e valide per i nostri giorni?

a) La Sacra Scrittura e le orientazioni fondamentali

Nella Chiesa non esistono dubbi quanto all’origine dalla Sacra Scrittura

dell’Etica Cristiana, e dalla quale le orientazioni fondamentali per la Teologia

Morale sono il contributo originale e specifico della Sacra Scrittura. Quindi è un

dato definitivo. Basta verificare che cosa ci dice la Costituzione dogmatica Dei

Verbum sulla Divina Rivelazione, nel numero 24, quando si ha a che fare con

l'importanza della Sacra Scrittura per la teologia:

La Sacra Teologia si basa come un fondamento perenne sulla parola di Dio

scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa vigorosamente si e si

ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel

mistero di Cristo. Le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché

ispirate, sono veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine

come l'anima della sacra teologia. Anche il ministero della parola, cioè la

predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo di istruzione cristiana, nella

quale l’omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, trova in questa stessa

parola della Scrittura un sano nutrimento e un santo vigore.16

Con questo si conclude:

E’ la Sacra Scrittura che condiziona l’Etica Cristiana; perciò, non

si deve ricorrere alla Sacra Scrittura per aver conferma delle

posizioni o decisioni etiche;

Non è sufficiente trovare il senso esatto del testo. E’ necessario

interpretarlo e viverlo; cioè, domandarsi qual’è la volontà di Dio

“hic et nunc” (qui e adesso) per l’essere umano concreto oggi;

Dobbiamo evitare due estremi: il fondamentalismo ed il

liberalismo. Il fondamentalismo è l’interpretazione letterale,

senza interpretazione razionale dell'obbligatorietà o meno delle

norme morali della Sacra Scrittura. O ancora, è prendere un

determinato versetto o pericope17 e da esso dedurre

immediatamente le norme morali. Mentre il liberalismo sarebbe

interpretare capire la Sacra Scrittura come se questa non avesse

nessun contenuto morale, e l’argomento per parlare di questo è

che la Bibbia è storicamente collocata; quindi i condizionamenti

culturali e religiosi sono molto presenti.

Per noi la Sacra Scrittura ha valore indicativo e imperativo. Ad

esempio, il senso imitativo di alleanza morale, in cui i benefici del

Signore (indicativo) sono fondamento per l’agire del Popolo di

Israele (imperativo). Nel Nuovo Testamento, quello che Dio

                                                            16 Dei Verbum, nº 24. Vedi anche i numeri 7 e 21. 17  Pericope  è  un  termine  greco  che  significa  “tagliare  intorno”,  ossia,  una  parte  staccata  di  un  testo,  per essere analizzata e studiata separatamente. Passaggio biblico selezionato per la lettura. 

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realizza per l’uomo in Cristo, costituisce impegno per il cristiano

(indicativo e imperativo). Per San Paolo, l’“essere in Cristo”

rappresenta il “vivere in Cristo”. Per San Giovanni, l’essere “ figlio

di Dio”, rappresenta una condotta dei figli (cf. 1Jo, 6).

b) Orientazioni fondamentali

Le orientazioni fondamentali danno lo spirito, l’animus che deve essere

vissuto nella vita. Le orientazioni fondamentali presenti nella Sacra Scrittura sono

perenni, e ciò significa che rimangono valide in qualunque epoca e luogo.

In sintesi, possiamo dire che corrisponde a ciò che Paolo dice ai Galati:

“Fides quae per caritatem operatur” (“La fede che opera per amore ”). (Gl 5,6).

Alcuni esempi di orientazioni fondamentali sono :

Sequela Christi (Seguire Cristo);

Conversione e partecipazione nella vita divina;

Missione del Regno di Dio;

Docilità allo Spirito Santo (discernimento);

Ubbidienza ai Comandamenti;

Tensione Escatologica (posizionarsi nella Speranza presente e

nella Salvezza ancora intervenuta);

Lottare contro la Sarx (carne);

Portare la Croce => affrontare la vita con allegria, nonostante le

difficoltà che questa ci presenta;

Vivere la vita come servizio;

I dieci Comandamenti sono orientamenti fondamentali.

Possiamo concludere dicendo che La Sacra Scrittura offre orientazioni

fondamentali a darti il presupposto ontologico per vivere come cristiano, a partire

dal quale noi deduciamo le orientazioni operative concrete.

c) La Sacra Scrittura e le orientazioni particolari

La Sacra Scrittura insegna e stabilisce anche orientazioni particolari. La

Bibbia parla del Comandamento e dei comandamenti, come opzioni fondamentali

e scelte particolari. Possiamo vedere lo spirito della legge e la lettera della legge:

“Amare il Signore e non seguire altri dei”.

Differentemente delle orientazioni fondamentali incontrate nella Sacra

Scrittura, orientazioni che sono perenni e non sono suscettibili a cambiamenti, le

orientazioni particolari possono cambiare, evolvere o addirittura scomparire con il

passare della storia.

2.1.2- Valutazione Etica dell’Antico Testamento

a) L’imperfezione delle orientazioni morali dell’Antico Testamento

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Imperfezioni e contraddizioni particolari sono notevoli e

abbondanti. Esemplificando: oppressione reale, anche se non

sempre legale, contro le donne, schiavi e stranieri.

La resa dei conti con utilizzo della vendetta del sangue (la legge

del Taglione; la maledizione del nemico).

l diritto matrimoniale con una morale sessuale che permette la

poligamia, il divorzio, il concubinato, l’abuso delle prigioniere e il

levirato18, per garantire la proprietà particolare, etc.

b) Valutazione della Costituzione Dogmatica Dei Verbum

I libri dell’Antico Testamento, divinamente ispirati, conservano un

valore perenne;

Tuttavia, contengono anche cose imperfette e transitorie (cf. Dei

Verbum nº 14);

Sono state integralmente assunte dalla predicazione apostolica

(cf. Dei Verbum nº 15);

Cosi, possiamo concludere che è necessario un equilibrio per

valutare l’Antico Testamento, dove è possibile percepire “un più e

un meno” (cf. Gesù).

Gesù è il criterio. Tutto l’Antico Testamento è letto tenendo Gesù

come riferimento. Le norme morali dell’Antico Testamento sono

tanto più valide quanto più erano allineate con il pensiero e il

comportamento di Gesù.

c) Carattere frammentario dell’Antico Testamento (cf. Hb 1,1)

E’ normale, in un discorso religioso morale che è durato otto

secoli, dove sono stati presenti tanti e diversi autori, che hanno

lasciato tracce personali e della cultura di quel tempo.

L’Antico Testamento ha un valore relativo, in quanto offre una

risposta parziale, che deve essere valutata con i criteri del Nuovo

Testamento. Valore relativo significa che c’è valore. E’ una

testimonianza culturale, antropologica ed etica di grande influenza

per la formazione della coscienza dell’uomo occidentale.

Per un cristiano, l’Antico Testamento è l’orizzonte di comprensione

che è stato riletto a partire dall’evento storico-salvifico del Nuovo

Testamento.

Il valore relativo non può essere considerato assoluto, perché

molti concetti sono stati corretti e le motivazioni etiche non

corrispondono ad una morale rivelata, e sono frutto di una

insufficiente antropologia.

                                                            18 L’obbligo, che la legge di Mosè ha imposto al fratello di un defunto, di sposare la vedova di questo. 

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2.1.3- DIRETTRICI morali del Nuovo Testamento (carattere vincolante)

a) Il comportamento di Gesù (l’esempio e il criterio di un amore che serve e si

dona).

La venuta, la vita e le azioni di Gesù sono necessariamente

legate con il servire, che solo si completa con la morte. (cf. Lc

22,27ss; Mc 10,25; etc.).

Nella rilettura di Paolo sulla “manifestazione di Gesù”, si dice che

Gesù ha vissuto una kenosis (svuotamento o riduzione), in questo

Egli è un paradigma di una etica imitativa (cf. Fl 2,6ss; 2Cor 8,9).

La condotta di Gesù è, di conseguenza, caratterizzata da un

amore, che serve e si dona per noi, e con questo, torna visibile

l’amore di Dio (cf. Rm 5,8; 8,31ss).

b) La Parola di Gesù è ultima norma morale

Le parole di Gesù esplicitano l'amore di Gesù, colui che è venuto e

fu crocefisso. Per Paolo, la parola del Signore ha una forza

obbligatoria, definitiva e permanente (cf. 1Cor 9,1-5; 7,1-16).

c) Direttrici particolari implicano obbligazioni diversificate

Il proposito dell’amore fraterno, in quanto rimane in generale,

assume un valore incondizionato come LEGGE DI CRISTO (cf. Gl

6,2).

2.1.4- Sacra Scrittura e Teologia Morale (contribuiti)

Leggere con speciale attenzione Esodo 20,1-17 e Matteo 5,1-12.

Per un cristiano, la Sacra Scrittura non è soltanto la fonte della rivelazione,

la base della fede. Ma è anche l’imprescindibile punto di riferimento della morale. I

cristiani sono convinti che, nella Bibbia, possono incontrare indicazioni e norme per

agire correttamente per raggiungere una vita piena.

Dobbiamo, per tutto questo, porci la seguente domanda: Quale è il valore e

il significato del testo ispirato per la morale del nostro tempo, senza ignorare le

difficoltà che possono essere menzionate per viverlo?

Nella Bibbia si incontrano molte norme, comandamenti, leggi, collezioni di

codici, etc.; una attenta lettura ci fa tenere presente, però, che tali norme non sono

mai isolate, non appaiono in forma autonoma, ma sono sempre inserite in un

determinato contesto.

E’ certo che nella Sacra Scrittura non si possono trovare direttamente

soluzioni ai tanti problemi dei giorni di oggi. Nonostante, la Bibbia, anche se non

offre soluzioni pronte, presenta criteri la cui applicazione aiuta a trovare soluzioni

valide per l’agire umano.

Due criteri, prima di tutto, vengono indicati: la conformità con la visione

biblica dell’essere umano e la conformità con l’esempio di Gesù .

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Da tutta la Sacra Scrittura, infatti, possono essere derivate almeno sei linee

di forze per raggiungere prese di posizione morali solide, che si basano sulla

rivelazione biblica:

Criteri di convergenza: un’apertura alle diverse culture e,

pertanto, un certo universalismo etico;

Criteri di contrapposizione: una presa di pozione ferma contro

valori incompatibili;

Criteri di progressione: un processo di raffinamento della

coscienza morale che si trova all’interno dei due Testamenti;

Criteri di dimensione comunitaria: una correzione della

tendenza a rilegare la decisione morale solo nella sfera soggettiva

individuale;

Criteri di finalità: un'apertura per un futuro assoluto del mondo e

della storia, suscettibile a segnare in profondità l’obbiettivo e la

motivazione dell’agire morale;

Criteri di discernimento: una determinazione attenta, secondo i

casi, del valore relativo o assoluto dei principi e precetti morali.

Tutti questi criteri sono profondamente radicati nella Bibbia, la loro

applicazione potrà aiutare i credenti: ci fa vedere quali sono i punti che una

rivelazione biblica offre per aiutarci, oggi, nel processo delicato di un giusto

discernimento morale.19

2.2- Fedeltà alla genuina Tradizione

Presentiamo un breve sviluppo storico dell’insegnamento morale della

Chiesa a partire dai Padri della Chiesa Cattolica, o Patristica.

2.2.1- La Teologia Morale (Insegnamento Morale) della Patristica

La situazione culturale all’inizio dell’era cristiana era caratterizzata dalla

presenza di numerose correnti filosofiche. Non si può prescindere da questa

conoscenza, se si vuole comprendere correttamente la riflessione che, all’interno

del cristianesimo, si sviluppa, da parte di alcuni che venivano chiamati “Padri della

Chiesa”.

Il periodo Patristico si distingue, tra le altre cose, per una prima

elaborazione dell’ethos cristiano. Però, nei primi due secoli non ha ancora un

interesse di carattere propriamente teorico per la tematiche morali, e la produzione

letteraria è segnata quasi totalmente per l’intenzione pratica, parenetica20 e

pastorale.

All’inizio si distinguono i Padri Apostolici, così chiamati perché nei loro scritti

(composti tra la fine del 1º secolo e la prima metà del secondo, e soltanto

cronologicamente legati tra loro) si percepisce una fedele e genuina riflessione                                                             19 Cf. PONTIFÍCIA COMISSÃO BÍBLICA. BÍBLIA E MORAL ‐ RAÍZES BÍBLICAS DO AGIR CRISTÃO – Prefácio, 2008. 20 L’arte di  pregare, di discorsi mediante i sermoni ; eloquenza sacra, sacra o religiosa. 

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della prima predicazione apostolica. Con loro, l’esercizio vivo della trasmissione

della fede si attuava , soprattutto, tramite la predicazione. Senza dubbio, la morale

è presente, anche se i Padri Apostolici non possono essere definiti come “moralisti”

nel senso tecnico del termine.21

Nella riflessione dei Padri Apostolici, l’etica è preferenzialmente religiosa;

non si fa ancora l'analisi della natura umana; la morale è teocentrica o

cristocentrica, e consiste nel voler fare quello che Dio vuole.

Questi autori sanno anche che se la parola è il fondamento della morale, ha

la necessità del dono della grazia, la quale esclude tutta la forma del farisaismo.

L’insegnamento morale si articola in stretto legame con l’esperienza

liturgica. Ed è sempre kerygma,22 e non una astratta comprensione della natura

umana, che vincola al comandamento di Dio.

Importanti anche all’inizio della Chiesa sono i cosiddetti Padri Apologisti.23Il

confronto del cristianesimo con la cultura dell’ambiente incontra le prime

testimonianze nella letteratura di genere apologetica, così chiamata perché si tratta

di scritti nei quali gli autori dovrebbero effettivamente difendere la verità della fede

dagli attacchi ostili provenienti da diverse parti.

La caratteristica che più ci interessa di questi scrittori è il confronto che è

stato stabilito tra la morale cristiana e il paganesimo. Gli apologisti insistono

fortemente sulla differenza di vita tra cristiani e pagani, e tendono a risolvere le

questioni con senso del rigore. Tuttavia, è difficile incontrare negli apologisti una

consistente documentazione di vita cristiana effettiva; ma ci offrono riferimenti

marginali e in termini idealizzanti.

Nel secolo IV, numerosi vescovi si sono impegnati nell’istruzione dottrinale.

Nella loro dottrina e nel loro insegnamento non è mai stata assente la pratica

morale. La stessa necessità di resistere alla pressione dei costumi pagani e di

preservare dagli errori il pensiero cristiano, ha determinato un approfondimento

teorico e una più diffusa esposizione della verità di ordine morale.

L’ideale morale dei cristiani è segnato profondamente anche dalla vita

monastica, nelle sue varie forme.

Nell’Occidente, si evidenziano alcuni nomi; Santo Ambrogio; Santo

Agostino; San Zeno di Verona; San Gerolamo; San Massimo di Torino e Giovanni

Cassiano.

a) Qual’è la sfida dei Santi Padri?

La grande sfida era proclamare il Kerygma oltre la cultura giudaica. Il

mondo ellenico esigeva riflessione sull’evento Gesù Cristo, e una

                                                            21 Si distinguono tra  i Padri Apostolici: San Clemente di Roma; Santo  Ignazio di Antiochia; San Policarpo di Smyrna;  Il  Didaché,  scritto  anonimo,  il  cui  testo    completo  fu  scoperto  nel  1873.  E’  conosciuto  come  la dottrina dei dodici apostoli;  La Lettera del  Pseudo‐Barnaba ; e il Pastore di Erma. 22  Kerygma  è  l’annuncio  della  Buona  Novella  di  Gesù  Cristo.  E’  una  parola  greca  che  significa “proclamazione”, “annuncio”. Kerix è  il messaggero, che porta le buone notizie. Per questo si dà  il nome di kerigma all’annuncio del Vangelo.  23 Si distinguono tra gli apologisti i seguenti: San Giustino; La Lettera a Diogneto;  San Ireneo di Leone. 

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riflessione sulla pratica in questo mezzo (una riflessione esegetica ed

ermeneutica).

b) Caratteristiche comune dei Padri:

E’ una Teologia Morale di perfezione, cioè, ha come obbiettivo

arrivare alle virtù e, soprattutto, alla carità.

La fonte maggiore è la Sacra Scrittura, seguita dello stoicismo e

dal platonismo;

La Teologia Morale è elaborata nella omiletica 24 in un clima

liturgico.

c) Conclusioni:

È una etica non accademica, ma inserita nella vita e nella attività

della comunità ecclesiale. Ha dato identità per la comunità davanti

al mondo (inculturazione e senso critico di fronte alle categorie

culturali);

È una etica parenetica, che esorta per la pienezza della vita

cristiana. Il compromesso etico sorge dalla grandezza della

vocazione. L’etica è conseguenza della mistica. Quindi, nasce dal

cuore della spiritualità;

È una etica veramente teologica; ha una unione stretta tra la

teologia e l’etica. Senza la dimensione etica, l’identità cristiana

sarebbe mutilata, e sarebbe un mutualismo soltanto. È, pertanto,

una etica di fede;

È una etica per la comunità ecclesiale. Il punto di riferimento di

tutta la comunità, sebbene la formulazione era fatta per i

responsabili della comunità.

2.2.2- Dalla Patristica alla Scolastica

a) Secoli VI – XI

Merita una attenzione speciale la caduta dell’Imperio Romano e l’arrivo dei

Barbari. La Chiesa ha provato a conservare il legame teologico dei Padri. Ha in

questo periodo un’assenza di creatività teologica:

Cambiarono i criteri per l’ingresso nel cristianesimo;

Cambiarono la pratica penitenziale, arriva ciò che viene chiamato

“Toties Quoties” (tante volte quante si ha disponibilità a ricevere il

perdono);

Sorgevano i libri penitenziali, che si limitavano a catalogare

peccati, per facilitare ai confessori l’imposizione della penitenza;

Questi “Libelli Sacerdotum” sono formali, giuridici, senza vedere le

motivazioni e la catechesi. Il clero in questo periodo è analfabeta

o semianalfabeta.

                                                            24  L’omiletica  è  considerata  l’arte  della  predicazione,  cioè  utilizzando  i  principi  della  retorica  per  lo  scopo specifico di parlare del contenuto della Sacra Bibbia.  

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b) Secoli XIII – XIV

Abbiamo in questo periodo le Summae Confessariorum. Consistevano in

una specie di lessico o vademecum (avevano istruzioni sulla morale, diritto,

liturgia, pastorale dei sacramenti).

Erano piccoli manuali di dottrina, presentati in ordine alfabetico, che

raccoglievano le opinioni dei diversi autori sulla materia. Era un aiuto teologico al

lavoro ministeriale dei confessori. Era un cammino parallelo alle grandi Summe

Teologiche dei scolari.

2.2.3- Il secolo XIII (Morale Scolastica)

a) Fatti con influenza decisiva per la storia della morale cristiana

Questo secolo è certamente tra i maggiori, se non il maggiore, per la

teologia cristiana, che ha trovato la sua massima espressione in Tommaso

D’Aquino. Questo secolo anche raccoglie i frutti più maturi della riflessione

medievale sul problema etico.

Tra i fatti successi nel secolo XIII, tre in particolare hanno una influenza

decisiva per la storia della morale cristiana:

La fondazione dell’università;

La fondazione degli ordini mendicanti;

La scoperta della filosofia aristotelica e il conseguente massiccio

ingresso anche dell’etica aristotelica nella riflessione cristiana.

Nel suo complesso, il secolo XIII si caratterizza per un ritorno alla fonte

cristiana. È anche qui ammessa la possibilità di considerare il cristiano come

oggetto di un studio speculativo e scientifico.

b) L'emergere delle grandi Summae Teologiche e la produzione dei libri

penitenziali

Al fianco delle grandi Summae Teologiche continuano a essere composti

molte Summae di casi di coscienza, o per i confessori, che già esistevano nei due

secoli precedenti.

Però, dopo il Concilio Lateranense IV, sotto il Papa Innocenzo III, che ha

promulgato il decreto Omnis Utriusque Sexus, imponeva a tutti i fedeli, che

facevano uso della ragione, l’obbligo della confessione annuale dei peccati gravi di

fronte il proprio parroco; la realizzazione di queste Summae per i confessori sono

state più che abbondanti.25

Appaiono anche in questo periodo i grandi Manuali, destinati agli insegnanti

e agli specialisti in Teologia e in Diritto. Ma, per la maggior parte dei sacerdoti

                                                            25  In questo processo mettiamo in evidenza i seguenti autori:   a) prima del Concilio Laterano IV, Roberto di Flamborough;  b)  Dopo  il  Concilio  si  evidenziano  Thomas  di  Chobham,  Paolo  Ungaro,  San  Raimondo  di Peñafort,  Giovanni  di  Dio, Monaldo  di  Capodistria,  Giovanni  de  Friburgo,  Giovanni  di  Erfurt  e  Alberto  da Brescia. 

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(spesso poveri, con poca istruzione, e che non potevano usufruire di opere erudite

e costose) erano destinati manuali semplici e facili.

c) La produzione teologica della scuola francescana

Circa a metà del secolo XIII si inizia la produzione teologica della scuola

francescana. Tra gli autori di questo periodo distinguiamo:

Alexander de Hales, la cui fama è legata, soprattutto, a una

monumentale summa teologica, vasta sintesi della dottrina

teologica che costituisce il patrimonio comune dell’agostinismo

medievale. Con la speculazione di Alexander è penetrata l’idea

del bene, e nelle loro opere sono presenti due caratteristiche che

hanno segnato tutta la scuola francescana: l’agostinismo e il

volontarismo.

San Bonaventura di Bagnoregio, nelle cui opere non si assegna

un posto distinto alla considerazione morale, ma espone le

questioni morali seguendo nella prima opera dell’ordine di

Lombardo, e nella seconda quella della summa alessandrina.

Tutta l’opera bonaventuriana ha un uso limitato delle categorie

filosofiche e una certa resistenza alla introduzione dell’etica dei

filosofi.

Per Bonaventura, il punto di partenza di tutta la riflessione teologica è

sempre e soltanto Cristo, Verbo di Dio, fonte di tutte scienze, supremo modello. E

Cristo, per questo, è il centro della vita morale.

Fondamento e norma ermeneutica dell’agire morale è l’insegnamento della

sua vita e della sua parola. Certamente, l’azione morale esige una partecipazione

della ragione, ma il cammino dell’uomo per arrivare a Dio non si può realizzare

soltanto sotto l’aspetto intellettivo.

A questi autori si aggiunge anche, Santo Antonio da Padova, grande

predicatore, che preferiva l'interpretazione e il commento della Sacra Scrittura,

privilegiando il senso allegorico e morale, in cui i temi preferiti sono i precetti della

morale cristiana; e Pierre di Gian Olivi, che ha sviluppato, prima di tutto, il primato

della volontà sulla ragione.

d) La teologia della scuola domenicana

La teologia della scuola dominicana, a sua volta, si caratterizza per

l’aristotelismo, e quindi, è più razionale ed empirico della scuola francescana.

Qui si distinguono diversi nomi come:

Santo Alberto Magno, che è il primo filosofo cristiano che ha

chiara coscienza della distinzione che esiste tra filosofia e

teologia, e della perfetta autonomia della prima in relazione alla

seconda. Per lui, tutta la teologia comporta un processo

intellettivo-affettivo. E, per il fatto che tutta la teologia è disciplina

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principalmente pratica, nel suo sistema teologico, non solo è solo

ignorata una parte propriamente morale, ma la considerazione

morale cristiana viene ridotta alla esortazione morale pratica,

supportata per esempio dalla pietà e santità contenuti nella

Bibbia.

San Tommaso d’Aquino, per lui certamente la teologia è anche

pratica, una volta che la Sacra Scrittura offre numerosi

insegnamenti rispetto ai comportamenti; ma, nella parte pratica, la

teologia deve essere trattata come metodo principalmente

speculativo. Nell’insegnamento di Tommaso si ha un

riconoscimento dell’autorità della fides in relazione all’intellectus.

La morale di Tommaso è essenzialmente teologica e teocentrica. Lui

valorizza la realtà degli esseri creati e della natura umana in particolare. Per lui,

l’uomo, come creatura razionale, è partecipe dei piani della provvidenza divina.

Quanto alla legge nuova del Vangelo, questa è una legge interiore, infusa nel

cuore del credente, e ha come elemento principale la Grazia dello Spirito Santo,

che è dato ai fedeli da Cristo.

La coscienza è la terza categoria fondamentale della riflessione etica

tomista, il suo giudizio è criterio irrinunciabile dell’agire umano, senza essere

norma assoluta. Anche per Tommaso, l’uomo incontra le regole dell’agire morale

nella propria natura razionale e le leggi umane stabiliscono i principi generali della

legge naturale.

Infine, per San Tommaso D’Aquino, la misura di perfezione più nobile di

tutte le virtù è la carità, la cui funzione è unire a Dio. La progressiva formazione

della carità è criterio legittimo della morale.

2.2.4- Morale Casistica

a) Preliminari e caratteristiche della Morale Casistica

Nel periodo successivo al Concilio di Trento, la morale casistica ha occupato

un posto privilegiato nella storia della Teologia Morale. La morale si è affermata

come disciplina indipendente. Alcuni fattori emersi da questa morale sono:

L’influenza del nominalismo di Guglielmo di Ockham (+1349). Per

Ockham, la legge è la volontà di Dio, che possiamo conoscere, in

primo luogo, attraverso la rivelazione: “Il diritto divino l’abbiamo nelle

Scritture”, che interpretiamo secondo le leggi della logica stretta o la

saggezza interiore della mistica. L’altra fonte di conoscenza della

leggi è la ragione, poiché nella ragione umana esiste “una

sensazione che certe azioni sono ordinate o proibite”. Ha, pertanto,

una legge interna, che determina il nostro dovere. E’ l’imperativo

categorico, la voce di Dio dentro di noi.

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La morale di Guglielmo di Ockham è un’etica positiva, che deve guardare

prima per capire se la legge esiste. La moralità consiste nell’obbedienza alla legge.

Si tratta, quindi di una morale legalista, che si preoccupa solo degli atti.

Il nominalismo di Ockham dà valore al singolare, all’individuo; per lui,

l’universale e le specie non esistono. Contrapponendosi ai difensori degli

“universali”, il nominalismo accentuerà al “singolare” opponendosi a una visione di

totalità, va a privilegiare l’azione; respinge le motivazioni interiori, cade nel

legalismo arbitrario, al quale non sfuggono neanche i Comandamenti, considerati

senza coerenza interna, sono intesi come imposizioni di Dio. Pertanto, sarebbe

accontentarsi con poco, per non contrariare le disposizioni divine. C’è poco spazio

per grandi entusiasmi di generosità spirituale. È esattamente nel nominalismo che

si incontra una delle radici della Morale Casistica, in quello che questa presenta di

più fragile e negativo.

Conseguenza per la morale: l’atto libero è sempre emanazione di un essere

singolare, un momento singolare (esistono nell’essere umano disposizioni per il

bene e il male, come l'abitudine, ma l’azioni singolare e libera sostituisce tali

disposizioni).

b) Critiche alla casistica

Nella morale casistica si ha una stretta alleanza tra la teologia morale e il

diritto canonico, portando di conseguenza un giuridicismo esagerato, dove le

norme morali sono interpretate come norme giuridiche. Di conseguenza, la

coscienza morale riceve dalla legge tutta la sua ragione di moralità: essa deve

essere conforme a quello che la legge dice universalmente.

Tante opere della morale casistica portano il titolo di “Teologia Morale”, con

la seguente aggiunta “secondo le norme di diritto canonico e civile”. Pertanto, le

questioni di teologia morale vengono presentate secondo il metodo della scienza

giuridica, cui l’attenzione principale è la delimitazione dei doveri universali.

La morale diventa, così, prima di tutto, una questione di legge, norme e

regole. Un atto umano diventa propriamente morale nel rapporto che ha con la

legge. Sarà buono o cattivo nella misura in cui sarà d’accordo o contrario alla

legge, ai doveri. Così, dà un grande spazio al diritto canonico, che è considerato

uno dei trattati più importanti. Il pericolo che minaccia questa morale è evidente:

cadere nel legalismo e nel giuridicismo.

I manuali sono rivolti ad un fine molto ristretto: la preparazione giuridica dei

confessori soprattutto della vita piena vissuta per Cristo. Tali manuali hanno un

contenuto molto negativo, dando maggiore enfasi al peccato che alle virtù.

La casistica dà l'impressione che il cristiano esiste soprattutto per soddisfare

una incalcolabile quantità di precetti e leggi. Così, anche la coscienza viene

repressa, sottraendo all'applicazione di leggi generali i casi particolari. In essa, la

morale è staccata dalla dogmatica, sopratutto dalla spiritualità.

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Dopo la 2ª Guerra Mondiale sono state osservate da più vicino le mancanze

della Morale Casistica, i sui vuoti ed i suoi limiti:

Svincolo della morale nella sintesi teologica: Non è negativo

l’emergere della morale come disciplina autonoma, ma è negativo lo

svincolo della morale dalla ispirazione delle fonti della vita cristiana,

quindi, dalla Sacra Scrittura, dalla Cristologia, dall'Ecclesiologia, etc.

Esagerato legalismo: Dare troppa importanza al dovere, l'obbedienza,

morale o etica praticamente limitato alla normalità (di norma morale). Si

dà una esagerata importanza alla legge ecclesiastica. Esempio: Il

Vangelo dice: “amerà”; la casistica dice: “obbedirà”.

Positivismo teologico: Si è data troppa importanza quando si trattava di

un argomento d’autorità; per esempio, citazione biblica, documento

ministeriale, accumulo di opinioni unanimi dei moralisti, etc. Senza

sottomettersi alle soluzioni e risoluzione ed a una revisione. La principale

preoccupazione è stata quella di dedurre l’applicazione per i casi di

alcuni principi indiscutibilmente accettati, etc.

Vincolo eccessivo con la prassi penitenziale: La Casistica voleva

aiutare i confessori. La preferenza in determinare i peccati (per alcuni la

casistica era la morale del peccato, la morale minima o la morale

limitata).

2.3- Morale Rinnovata

Già nel secolo XIX vi furono contestazioni di carattere metodologico alla

Morale, con tentativi di rinnovamento, ma non hanno portato cambiamenti

significativi. All’inizio del secolo XX il disagio era diffuso, e proveniva da varie parti,

affermando con forza la necessità di realizzare un rinnovamento della Morale.

2.3.1- Il secolo XX - Necessità di rinnovamento

Il secolo XX può essere diviso in tre periodi:

a) Il primo periodo (fino 1930), caratterizzato per discussioni del

principio sulla struttura della teologia morale;

b) Nel secondo periodo (1930-1960) si assiste a ripetuti tentativi di

preparare manuali con nuove metodologie;

c) Il terzo periodo è dominato e influenzato dal Concilio Vaticano II.

Il dibattito teologico-morale dell’inizio del secolo fino al 1960 sembra essere

motivato da tre diverse linee fondamentali:

Una prima linea fondamentale caratterizzata, prima di tutto, per

il fatto che, in alcuni manuali, lo schema dei comandamenti viene

sostituito da quello delle virtù, conseguenza di una riflessione sui

principi fondamentali dell’agire cristiano e dell’orientamento ad un

discorso etico più attento all’unità della persona.

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Una seconda linea ha portato la domanda decisiva: qual’è

l’ultimo fondamento della norma morale per il cristiano? Intorno a

quale principio è costruito il discorso teologico-morale?

Lo sviluppo liturgico e biblico, e il tentativo della chiamata “Teologia

Kerigmática” hanno dato un forte impulso per rispondere a queste domande.

La risposta, modulata in base alle diverse varianti, è che l’organizzazione

del discorso teologico-morale deve essere fatto solo intorno ad un principio

specificamente cristiano, che abbraccia tutti gli altri e costituisce l’idea dominante.

Così, la persona e predicazione di Cristo sostituiscono la scienza tomistica della

verità come punto di riferimento programmatico.

Sulla scia della “Scuola di Tubinga”, per esempio, molti teologi moralisti,

nelle loro pubblicazioni, hanno cercato di strutturare una teologia morale positiva

della vita cristiana, mettendo in evidenza l’imitazione di Cristo, il regno della

testimonianza di Dio e l’agape.

Alcuni autori sono del parere che il principio capace di dare unità al discordo

etico è la carità. Tra i tanti autori che si sono orientati per questo “principio-carità”,

ricordiamo: René Carpentier (che propone una morale della carità più direttamente

legata a una visione biblica); Gérard Gilleman e Jacques Leclercq, che , tra le altre

cose, avvertono la necessità di una riforma della teologia morale, sulla base della

denuncia dei gravi difetti dell'approccio casistico.

Abbiamo ancora Bernhard Häring, per il quale la vita cristiana è l’imitazione

di Cristo, e molto altro ancora, è la vita in Cristo. Il grande merito di Häring è aver

esposto sotto forma di manuale i principali risultati delle ricerche della teologia

morale maturata soprattutto nella Germania dal 1920 al 1950, in modo particolare

da Fritz Tillmann. Häring viene ricordato per la specificità della morale cristiana e

l’influenza liberatoria dei comandamenti - obbiettivo della vita cristiana.

Una terza linea fondamentale comprende quegli autori e quelle

pubblicazione che cercano di superare i precedenti tentativi. Ecco le

nuove domande: quale dovrebbe essere l’impatto tra il kerigma e la

storia? E ancora: quale è la rilevanza della fede cristiana per l’agire

terreno, professionale o politico?

E qui vogliamo sottolineare la teologia della realtà terrena, come viene

chiamata la teoria critica della prassi cristiana temporale. Un importante

chiarimento di carattere dogmatico di questa teologia può essere incontrato in

Gustave Thils, che afferma, prima di dire agli uomini come comportarsi in relazione

alle cose, è necessario dare loro una visione divina e fare capire loro. Così , Thils

stabilisce un confronto-scontro tra rivelazione e realtà empirica.

2.3.2- In evidenza: Ante, in, pos Concilio Vaticano II

2.3.2.1- Prima del Concilio

Fritz Tillmann (+1953) => Ha dato alla Morale una impostazione

biblica e cristocentrica. Autore dell’opera chiamata “Manuale della

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Morale Cattolica”. Curiosità: lui era un insegnante del Nuovo

Testamento in Bonn, è stato obbligato ad insegnare Teologia Morale.

Jacques Leclercq => Autore dell’opera chiamata “L'insegnamento

della Morale Cattolica”. Curiosità: il Giornale L’Osservatore Romano,

nel giorno 02/02/1956, ha scritto: Quest’opera ha prodotto un effetto

di un ariete impeccabile demolitore”.26

Bernhard Häring => “La legge di Cristo” (1954) è il primo manuale ad

introdurre in modo organico e sistematico le nuove tendenze della

morale. È un manuale di transizione tra la casistica e la morale

rinnovata. Dopo sorgerà “Liberi e Fedeli in Cristo” (1978), con un

stile più didattico e discorsivo. 27

2.3.2.2- Durante il Concilio

Per il Concilio Vaticano II sono state varie commissione che hanno

elaborato i documenti di lavoro o testi preconciliari. Il testo della Morale era

chiamato “ Di Ordine Morale”. Esso è stato rifiutato dai sacerdoti conciliari e non è

stato sostituito da un altro. E’ stato detto che era un testo molto contraddittorio.

Ma, alla fine che cosa il concilio Vaticano II ha portato per la Morale ? Il

Concilio Vaticano II parlava poco della Teologia Morale, ma ha dato importanti

direttive metodologiche e ha cercato di preparare due testi specifici: uno per la

morale della carità integrale, nella Costituzione Lumen Gentium, nº 39-42, e l’altro

nella Costituzione Gaudium et Spes, dove, superando una etica individualista,

sono presentati i principi fondamentali di una morale sociale al livello planetario.28

Per alcuni intenditori, come Ives Congar, il Concilio ha portato poche novità.

Per altri, come Häring, tutti i documenti del Concilio aiutano a creare la Morale per i

nuovi tempi.

Possiamo dire che le due posizione sono corrette, perché il Concilio

Vaticano II non è stato un concilio con la preoccupazione per la morale, e il

Concilio ha finito per maturare e consolidare ciò che era già latente all’interno

nella vita della Chiesa (in particolare, la morale non aveva maturato un grado

d’istruzione).

Nel Optatam Totius (nº 16), dove si parla di studi ecclesiastici, possiamo

constatare chiari e decisivi punti importanti per lo studio della Teologia Morale:

Che si faccia una esposizione più scientifica della Teologia

Morale;

Dare valore per la specificità cristiana (alimentata dalla Sacra

Scrittura);

                                                            26 L’ariete è una antica macchina da guerra composto da un tronco di alberi di frassino o un robusto albero di legno  , con una  fronte  in  ferro o bronzo, generalmente sagomata come  la  testa di un ariete  ;  loro    furono utilizzati per rompere porte e pareti di castelli o fortezze. 27 Nota: fino al Concilio Vaticano II, la Morale Casistica è stata insegnata nei Centri di formazione teologica .  28 Il decreto Optatam Totius, al numero 16, prevede la direttiva per costruire una morale centrata sul mistero 

di Cristo e sulla storia della salvezza. Al centro  di questa morale c’è la carità. 

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Dare alla morale una orientazione pratica e di perfezione

(mostrare l’eccellenza della vocazione cristiana);

Dare una orientazione ecclesiale (basata sulla vocazione comune

in Cristo);

Accentuare l’unione nella carità e l’apertura al mondo (la vita

cristiana deve produrre frutti per la vita del mondo).

Nel Concilio, la chiesa è attenta al tempo e allo spazio in cui ci troviamo,

cosciente di essere, come Chiesa, un dono di Dio al servizio della umanità,

facendosi da coordinatrice nella storia, e riferimento fondamentale.

Così, la propria Teologia Morale cerca di collocarsi nel tempo e nello spazio

per essere un sostegno adeguato per l’essere umano di oggi, davanti alle sfide e le

interrogazione del momento presente. Si realizza questo in ascolto attento alle

chiamate di Dio negli eventi storici.

Si supera, così, quella visione che pensava che, nel campo della morale,

tutto già era stabilito una volta per tutte, senza la necessità di nessun

rinnovamento.

2.3.2.3- La Morale nel Post-Concilio

Possiamo tracciare una periodizzazione della Teologia Morale Post-

Conciliare della seguente forma:

Periodo immediato post-concilio (1965 – agli inizi degli anni 70).

Dialogo interdisciplinare (sorge da Humana e Vitae - 1968 - alla fine

degli anni 70).

Questioni di “Proprium” - quali sono le questioni specifiche della

morale cristiana? (a partire dagli anni 80).

Morale autonoma - Etica della fede.

Pluralismo Morale.

Alcune tematiche in relazione alla morale del post-concilio:

Dialogo con la cultura moderna.

Dimensione Teologica: in che senso la morale è realmente teologia?

Problema epistemologico della morale.

Necessità di concretizzare la proposta di rinnovamento del Concilio.

È necessario rispondere alla domanda: in che modo la fede interviene nella morale

cristiana?

Altra domanda importante: quale è la specificità della morale cristiana?

Era necessario cercare di chiarire questo .

A partire dal Concilio, si assume una visione integrale dell’essere umano e

del mondo, nella quale il mondo è il luogo dove Dio manifesta il suo piano di

amore, essendo Gesù Cristo la manifestazione piena di questo amore e di grazia.

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Insieme, si supera il dualismo, di una visione negativa e pessimista in

relazione all’essere umano, al mondo , al corpo, e alla sessualità, che ha separato

e oppone realtà come corpo e anima, spirito e materia, cielo e terra, etc.

Il legalismo, nella sua esagerazione, fa spazio per le categorie di Alleanze,

delle Beatitudini e, specialmente, del Regno di Dio. In queste, Dio è quello che

invita e quello che non obbliga; Gesù Cristo è quello che propone e non quello che

impone.

Lasciarsi conquistare dall’invito di Dio, per la proposta di Gesù Cristo, nella

forza dello Spirito Santo, diventa il sostegno di una morale rivestita da uno spirito

evangelico.

Dopo il Concilio Vaticano II° si arriva alla conclusione che, se la Teologia

Morale è realmente una disciplina teologica, la Sacra Scrittura e le altre fonti

teologiche devono avere un posto centrale ed essere lette con i criteri di

un’esegesi scientifica; e ancora, utilizzando in tal modo i dati teologici non si può

ignorare ciò che le scienze hanno messo a disposizione oggi.

Così, la riflessione teologica-morale è chiamata a guardare ogni

problematica etica alla luce della Parola di Dio.

Anche, dopo il Concilio, c’è stato il dibattito sull’esistenza di una specificità

della morale cristiana .

La Teologia Morale ha conosciuto un sviluppo abbondante e promettente.

Sono nati settimanali teologici sulla morale, riviste specializzate, dizionari,

enciclopedie, associazioni di moralisti, etc.

2.3.3- Tracce caratteristiche della Morale Rinnovata

a) Morale della Persona per la Persona: morale dell’autonomia e della

responsabilità, cioè, porre la persona al centro delle preoccupazioni etiche. La

persona è il soggetto delle valutazioni etiche.

b) Morale del dialogo e per l’uomo secolare: oggi abbiamo bisogno di dialogo,

di apertura e di convivenza, senza perdere l'identità e la specificità cristiana. È

importante il dialogo con l’insieme della scienza teologica, mantenendo

dipendenza in quanto disciplina. È anche importante il dialogo con le scienze

umane (esso aumenta la conoscenza). È ancora fondamentale il dialogo con

le altre etiche non cattoliche, etc.

c) Morale sprovvista: dobbiamo dare una tonalità più comunitaria alle questione

morali. Le sfide sono più sociali, comunitarie e globali che individuali.

Riassunto: la morale che ha enfatizzato di più il “non può”, “non deve” e

“paura”, dà luogo ad una morale secondo la quale il cristiano “può” e “deve”

partecipare al progetto di Dio per un mondo nuovo, che sono – qui ed ora – il

luogo e il tempo della grazia di Dio per noi.

Si riconciliano l’uomo e il divino, essendo un cristiano un partner di Dio che,

creato a Sua immagine, è chiamato al dominio della creazione, nella cura, nel

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rispetto e nella corretta amministrazione di questa creazione, senza lasciarsi

dominare da nessuna forma di “idolatria”.

Per riflettere :

1) Nella prospettiva della morale cattolica, perché “serve” la Bibbia? Perché,

per la Chiesa, la Parola di Dio è fonte primordiale dell'orientazione morale?

2) Cosa significa dire che la Parola di Dio condiziona l’etica cristiana?

3) Quale è l’obbiettivo e la missione della morale cristiana?

4) Quali sono le fonti della Teologia Morale?

5) Quali sono le orientazioni fondamentali per il cristiano, presenti nella Sacra

Scrittura?

6) Perché le guide morali del Nuovo Testamento hanno carattere vincolante?

7) Alcune caratteristiche e preoccupazioni in relazioni all'insegnamento morale

dell’epoca Patristica (Padri della Chiesa) .

8) Perché il secolo XIII è considerato un periodo decisivo per la storia della

Morale Cristiana? Quali sono i fatti che hanno avuto maggiore influenza

nell’elaborazione della Morale Cristiana ?

9) Cosa significa Morale Casistica? Quali sono le principali caratteristiche o

contributi della Morale Casistica per la morale cristiana? Quali sono le

principali lacune e limiti della Morale Casistica?

10) Cosa significa la Morale Rinnovata? Quali sono le principali caratteristiche

e contributi della Morale Rinnovata per la morale cristiana? Quali sono le

principali lacune e limiti della Morale Rinnovata?

11) Quali sono le principali caratteristiche e contributi della Teologia Morale

post Concilio Vaticano II per la Chiesa e per la vita dei cristiani?

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Riflettiamo in questa TAVOLA, su alcune categorie morali fondamentali,

quali la libertà, la responsabilità, l’atto morale, opzione fondamentale.

Abbiamo visto, nelle tavole precedenti, che l'intera vita morale si basa sulla

responsabilità umana, e che non è possibile "il vivere e la pratica della morale"

senza responsabilità. Inoltre, non si può capire la responsabilità della persona

senza mediazione morale. Di qui l'affermazione che "essere liberi" e "agire

moralmente" sono la stessa realtà.

Secondo il Catechismo della Chiesa cattolica, Dio creò l'uomo dotato di

ragione e gli diede la dignità di una persona capace di iniziativa e padronanza delle

sue azioni, in modo da poter lui stesso, "cercare il suo Creatore e liberamente

aderire ad egli, raggiungere la piena e felice perfezione ". (CCC, 1730, GC: 17)

Raggiungere la piena e felice perfezione significa vivere in Beatitudine, il

disegno di origine divina, posto da Dio nel cuore dell'uomo al fine di attrarlo a se,

perché solo lui - l'uomo – è in grado di soddisfare questo disegno. Pertanto, nella

visione di Dio, "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5,8). Cioè, solo

vivere delle Beatitudini permette all'uomo di partecipare della natura divina e della

vita eterna. Per mezzo delle Beatitudini, l'uomo entra nella Gloria Di Dio.

3.1- Libertà

La ragione per la quale si esige dall’uomo un comportamento morale, è che

lui è un animale razionale e libero. In virtù della libertà, la persona diventa padrone

dei propri atti, ed è necessario che se ne assuma la piena responsabilità.

Se l'agire non è libero, le azioni (da un punto di vista etico) non sono né

buone né cattive, dal momento che non sono compiute in virtù di una decisione

personale presa liberamente.

Pertanto, la libertà è la prima condizione dell'agire etico: anche se fosse

un atto oggettivamente cattivo, come ad esempio l'omicidio, perderebbe la qualità

di "moralmente cattivo", se realizzato agendo non mediante atto libero.

Rispetto agli altri esseri che esistono in natura, l'uomo si distingue per la

razionalità e la capacità di agire liberamente. Qui nasce una differenza radicale tra

TAVOLA 3 

QUESTIONE FONDAMENTALI DELLA MORALE 

CATEGORIE BASE DELLA MORALE  

 

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l'uomo e il resto delle realtà create. Di fatto, gli esseri inorganici sono guidati dalle

leggi matematiche che regolano la materia. Ad esempio, la legge di gravità si

manifesta ogni qual volta lasciamo cadere una pietra.

Anche gli esseri viventi agiscono secondo le loro leggi biologiche: i vegetali

si sviluppano (nascono, crescono e muoiono) seguendo alcune leggi che

configurano la loro specie. Conseguentemente, gli animali si comportano secondo

l'istinto delle rispettive specie, ed è noto che questi istinti sono inclusi nei loro geni.

Di conseguenza, l'animale agisce automaticamente, sempre allo stesso modo,

seguendo il proprio impulso istintivo.

L'uomo, al contrario, può intervenire direttamente nel processo del proprio

agire : decidere o astenersi; interrompe quello che aveva deciso o sceglie tra le

molteplici possibilità che vengono offerte; decidere di continuare o sospendere una

particolare azione; e si può anche optare per il suo opposto, etc. Questo si

chiama "libertà".

La libertà, dunque, è la capacità di autodeterminarsi. L'essenza della libertà

non è in realtà la possibilità di scegliere, perché la "scelta" in quanto tale segue la

"autodeterminazione", in modo che, una volta che il soggetto (uomo) ha scelto, non

può esercitare di nuovo questa scelta. È chiaro, che l'uomo può decidere di fare

un'altra scelta, e può anche correggerla, ma ciò equivale a "autodeterminarsi", di

nuovo.

Pertanto, la libertà è il potere, basato sulla ragione e nella volontà, di agire o

di non agire, di fare questo o quello; pertanto, a praticare atti intenzioni . La libertà

è nell'uomo una forza di crescita e di maturazione nella verità e nella bontà. La

libertà raggiunge la sua perfezione quando è orientata verso Dio, nostra

beatitudine. (CCC, 1731)

Alcuni autori classici distinguono tre tipi di libertà:

La libertà della necessità: è la possibilità di agire o di non agire.

La libertà della specificità: è la capacità di scegliere tra le diverse

possibilità.

La libertà di contraddizione: è quella che decide tra due cose opposte.

3.1.1- La concezione della libertà umana

La concezione della libertà umana dipende dal concetto dell’uomo, di fede,

di Dio e della morale che abbiamo.

Quando applichiamo all'uomo la parola "libero", che vogliamo realmente

dire? E quando applichiamo questa parola alla fede?

Se per morale si capisce cosa si dovrebbe fare o non debba più essere fatto

per raggiungere la salvezza (il Regno di Dio, Beatitudine), il concetto di libertà avrà

una matrice o l’altra. C'è la possibilità, ad esempio, per comprendere la libertà in

termini giuridici, negativo (se mi si consente o no, se è peccato o meno; fin dove

sono libero di agire o meno). Qui, la libertà è intesa in termini del minimo

indispensabile per non cadere nella irregolarità con un carattere negativo.

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La morale pretende presentare le possibilità offerte da Cristo per vivere in

coerenza con ciò che si è. Quindi, morale è: ciò che siamo in grado di rendere

coerente con la nostra dignità umana e cristiana (cfr CIC, 1691).

Da lì si comprende la morale come il comportamento in coerenza con la vita

a cui siamo chiamati, portando alla nuova cittadinanza del Regno, nel comportarsi,

non soltanto che ci porta. Vivere in coerenza con il Vangelo, in linea con ciò che

siamo (figli di Dio), con il modo di vita degno dei santi (cf. Lettera ai Romani).

Se la morale cristiana è questo, la morale cristiana è liberatoria. Siamo stati

creati liberi per vivere in libertà. Noi siamo stati liberati dal peccato, nel senso

positivo della Grazia di Dio.

Di fronte a una visione negativa di libertà, presentiamo adesso una visione

più positiva. Tuttavia, se a tutto questo aggiungiamo le questioni sulla libertà

dall’ambito della filosofia, della Bibbia,ecc., la cosa inizia a complicarsi.

La libertà è stata intesa come possibilità che io mi autodetermino, o

"possibilità di eleggere", o come "atto volontario" (faccio quello che voglio), o,

ancora, a partire dalla prospettiva della spontaneità, o come "l'assenza di

coesione”, "o" contare su un certo margine di incertezza ".

Da queste prospettive nella storia del pensiero umano, molti hanno

sostenuto la libertà, e altri l'hanno negata. Si parla di molti tipi di libertà (di

espressione, di associazione, di stampa, etc.), per cui si deduce che è una realtà

molto complessa.

Chi meglio ha formulato la libertà nella morale cristiana è Santo Agostino. La

libertà è un enigma, nel quale si sottolinea il suo carattere di valore (è un grande

valore) e il suo carattere mitologico (è un mito, mistero, enigma). "Quando agisco,

so che sono libero, ma se mi chiedete che cosa è la libertà, non posso rispondere."

3.1.2- Libertà, concetto equivoco

Di che concetto di libertà si parte? Da ciò che propone Santo Agostino, si

possono dedurre quattro affermazioni:

Dio è libero, nel senso che è onnipotente, onnisciente (...);

L'uomo non è Dio, e così non è come Dio. Però, è l'immagine di Dio, e

per essere, è l'immagine libera;

L'uomo, libera immagine di Dio, è schiavo del suo fine, limitazione;

Cristo viene a liberare la libertà umana schiavizzata dell’uomo.

A partire da lì ci avviciniamo alla tema della libertà nella morale cristiana. Il

cristiano è un uomo libero, nel senso che la libertà non è qualcosa di periferico o

riferito esclusivamente alla morale. È una dimensione caratteristica della vita

umana: "per la libertà ci ha liberati Cristo" (Gal 5,1).

Il credente, in quanto tale, è libero ed è chiamato a vivere in libertà. Questa

libertà non può essere intesa come l'assenza di pre-programmazione, neanche

come indipendenza personale, ma come una possibilità di riempire di diverse

possibilità la vita stessa.

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Questa libertà è "indipendente“ dagli altri, dalla legge dei nostri istinti (non

totale indipendenza). Indipendenza nel senso che il credente, per il fatto di esserlo,

si intende liberato dall’opera di Dio in Cristo. Dio si autocomunica nell'uomo.

La libertà deve essere intesa come un dono, grazia e compito. E 'un bene

per l'uomo (GS, 17), è un compito, necessità, possibilità, l’esigenza di

autodeterminarsi. Permette all'uomo di passare da un approccio ontico29 all'altro

etico, in modo che la libertà e la coscienza della dignità umana sono correlate. La

libertà è presentata a partire dalla necessità di autodeterminazione.

3.1.3- Libertà responsabile

La Gaudium et Spes, al punto 17, sottolinea che l'uomo può volgersi al bene

soltanto nella libertà, alla quale aspira, ma non sempre riesce bene ad educarsi in

essa , coltivando molte volte comportamenti viziati, come se fosse lecito fare tutto

ciò che piace ed aumentare i propri interessi personali.

La libertà, invece, è stata data all'uomo in modo che, attraverso di essa, lui

cerchi spontaneamente Dio e arrivi ad Egli con libera adesione interiore (scelta

consapevole libera e responsabile).

Da tutto ciò risulta evidente come l'uomo è un essere libero, ma proprio

perché è così, deve anche rispondere delle proprie azioni e comportamenti davanti

a Dio. Quindi, la libertà e la responsabilità sono i due elementi costitutivi dell'atto e

del comportamento morale. Pertanto, il fondamento antropologico della morale è la

libertà della creatura umana.

3.1.4- L'agire libero

Da una semplice osservazione del comportamento umano possiamo vedere

subito che l'uomo è in grado di agire, di decidere e di scegliere. Questo è il punto di

partenza per la valutazione dell'agire umano: la costatazione di questa capacità.

Tutto l’agire volontario nasce da una scelta che si traduce in decisione e che

sbocca in azione.

La decisione si impone come mediazione tra il volontario e l'involontario.

Esiste la volontà quando, nel mio agire, si uniscono una intenzione e una

motivazione.

L'intento è quello che mi fa "in-tendere", ossia , quello che mi spinge verso

ad una determinata decisione, e implica un atto di libera volontà. Già la

motivazione è ciò che giustifica e mi muove nella mia scelta e decisione; è il

perché, la ragione per cui agire.

L'uomo è libertà fondamentale. Ciò significa riconoscere, dietro ogni

azione, un soggetto che si autodetermina con l'azione, esprimendo così

l'intenzione e la motivazione. Il compito dell'uomo è quello di implementarsi

                                                            29  L’ontico si  riferisce all’essere, all’immanente, al  fenômeno  (  fenômeno: dal greco  fanòs, ciò che appare),  ciò  che  i  sensi  ci mostrano.  L’ontico  è  il  superficiale  che  fondamenta  il  senso  comune.  E’  quello  che  tutti vedono.    

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(costruirsi) a se stesso; e questo diventa impegno morale finalizzato alla

realizzazione della stessa umanità nella libertà.

Anche se l'uomo è essenzialmente un essere libero, tuttavia, la sua libertà

non è assoluta, ma condizionata e limitata. In altre parole, la sua libertà è una

libertà creata. L'uomo, quindi, decide sempre a partire da certi contesti e condizioni

delle situazioni, che possono essere interni o esterni all'uomo stesso.

La libertà creata, quindi, è la fatica maggiore della vita, perché nasce tra

l'impulso verso l'infinito (la piena realizzazione della libertà) e la condizione di

finitezza (creatura); in altre parole, è l'aspirazione alla realizzazione della piena

libertà nello stato finitezza.

Questa è la contraddizione della vita dell'uomo che crea l'angoscia e l'ansia

di vivere, e che ha portato Santo Agostino, nelle sue Confessioni, ad esclamare:

"Inquietum est cor nostrum, Domine, Donec Requiescat in tei" ("Il nostro cuore è

inquieto finché non riposa in te, Signore").

La libertà non vuol dire, quindi, prima di tutto, potere fare questo o quello,

ma il diritto di essere attendibile a se stesso e di essere in grado di decidere per se

stesso in modo responsabile, che significa "autogoverno" nel senso di autonomia.

E questo potere è dato a partire dall'uomo.

Dire che la libertà umana fa dell'uomo il soggetto, che si appartiene in modo

autonomo, non significa che questa libertà sussiste in sé, rifiutando di sottoporsi a

qualsiasi vincolo. La libertà torna l’uomo soggetto precisamente orientato per altra

libertà.

Così l'uomo, dotato di spirito, è, per sua propria essenza più intima, rivolto a

Dio come il suo unico fine soddisfacente. Questo orientamento è inscritto nella

natura umana dell’uomo. Si esprime in un "desiderio naturale" e l'uomo realizza la

libertà se si orienta e tende a questo fine.

3.2- Responsabilità

Qual’è la responsabilità? Dal latino: responsabilis, responsum => ciò che

richiede una risposta.

Responsabilità ha a che fare, quindi, con una risposta: pagare le bollette,

fare una contabilità. Presuppone una relazione dialogica. È necessario rendere

conto all’altro rispetto a qualcosa.

Ha anche a che vedere con la "causalità". Qualcuno deve rispondere delle

conseguenze di cui è o è stato la causa; è legata all'obbligo di occuparsi delle cose

o persone, e deve rendere conto del modo in cui esso ha svolto questo compito. È

una qualità personale. Egli è il responsabile; implica uma capacità o competenze

personale; è relazionata alla punizione e ricompensa.

La libertà è un principio costituzionale perché l'essere umano può essere

giudicato sulla responsabilità delle proprie azioni. La libertà qualifica gli atti umani.

Così, la relazione che esiste tra libertà e responsabilità morale è una relazione di

complementarietà. Leclercq afferma:

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[...] gli atti hanno solo carattere morale nella misura in cui interviene la libertà; e

il suo carattere morale diminuisce in proporzione al diminuire dell'intervento del

libero arbitrio.30

Dunque la moralità degli atti consiste nel fare uso della libertà. Quando si è

privati della libertà, non si ha responsabilità morale. Pertanto, l'uomo è

responsabile degli atti che pratica con libertà. Vasquez aggiunge:

[...] atti propriamente morali sono quelli in cui possiamo attribuire all'agente una

responsabilità non solo per quello che si proponeva di fare, ma anche per i

risultati o le conseguenze della loro azione. Ma, il problema della responsabilità

morale è strettamente relazionato, a sua volta, con della necessità e libertà

umana, poiché solo ammettendo che l'agente ha una certa libertà di opzione e

di decisione che si può responsabilizzare dei propri atti.31

Se avesse l'individuo possibilità di opzione, sarebbe possibile assegnarli

una responsabilità morale.

Quindi, quali sono le condizioni necessarie e sufficienti per potere attribuire

all’individuo una responsabilità morale per i suoi atti? Basicamente: è necessario

che il soggetto non ignori ne le circostanze o neanche le conseguenze delle sue

azione, ossia, che il suo comportamento possiede un carattere cosciente. E che,

causa dei suoi atti sia egli stesso e non un altro agente che lo costringa ad agire in

un certo modo; cioè, che la sua condotta sia libera.

3.2.1- La responsabilità come concetto etico-morale

Alcune provocazione:

In direzione ad una definizione di responsabilità: cosa è la

responsabilità? Cosa vuol dire quando qualcuno fa uso di questa

parola?

Classificazione della responsabilità: come distinguere tra di loro, e sulla

base di quali concetti chiave possiamo rivelare i distinti tipi di

responsabilità?

Le relazioni di responsabilità: sociale / personale.

Il giudizio e l'attribuzione di responsabilità: come siamo arrivati a

giudicare se qualcuno ha la responsabilità di agire o meno, o che

qualcun altro è responsabile di quello che ha fatto?

La responsabilità cristiana oggi: l'impegno cristiano di vivere in modo

responsabile è ciò che la sapienza cristiana ci offre come guida.

Questa provocazione ha lo scopo di aiutare a rispondere alle seguenti

domande, che sono fondamentali: a cosa serve la morale? Cosa significa

essere buono?

Esistono molte risposte possibili a queste domande, come ad esempio: la

moralità ci aiuta a fare il bene; aiutarci a diventare una persona buona; ci permette

di vivere insieme in pace gli uni con gli altri; ci offre una stabilità sociale; rende

                                                            30 LECLERQ, J. As grandes linhas da filosofia moral. São Paulo: Herder. 1967, p. 376.  31 VÁZQUEZ, A. S. Ética.  16ª edição. Trad. João Dell’ Anna. Rio de Janeiro: Civilização brasileira, 1996, p. 91. 

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possibile costruire un mondo migliore; ci motiva a prendersi cura degli altri; ci

sensibilizza alla necessità di chiedere giustizia; ci qualifica quanto al modo di

trattare gli ingiusti; etc.

H. Richard Niebuhr (1894-1962) è stato uno dei teologi nordamericani più

influenti e prestigiosi del suo tempo e nella sua opera sulla responsabilità

personale (un saggio sulla filosofia morale del cristianesimo), ha identificato tre

metafore, e i conseguenti tipi di narrativa morale che incarnano queste diverse

abitudini, quando si tratta di telos (scopo) della moralità: egli parla del buon

artigiano (che costruisce la bontà), del buon cittadino (che collabora con gli altri) e

dell’osservante - o responsabile (chi reagisce o risponde).

a) L'Artigiano del bene rappresenta quella persona che ha potere creativo,

di modo che crea in libertà sulla base di un'idea e scommette su questa

idea. Nel fare egli crea se stesso, il suo Mondo personale e sociale, la

sua società. Quanto è buono o cattivo, per lui la vita morale è un

impegno artistico. Egli ritiene che il più importante è la libertà di scelta e

si concentra nella finalità del loro agire , ossia, il bene.

b) Il cittadino non ha la stessa quantità o la qualità di libertà che ha

l'artigiano. Lui non è un creatore di se stesso; lui è creato. Devi imparare

ad assumere ciò che ha ricevuto. Tutto quello che è, vieni imposto

dall'esterno, a partire da Dio, dagli altri, la cultura, la società, la genetica,

ecc. Il massimo possibile è quello di imparare a vivere in armonia con i

suoi impulsi, desideri, percezioni, ecc., cercando di sottomettere tutti

questi ad un controllo personale.

c) L’osservante o responsabile cerca di spiegare questa dimensione

unificante e dinamica della persona come soggetto morale. Lui unisce le

intuizioni più importanti dell’artigiano con quella del cittadino. Non li

annulla, ma li integra. Il concetto chiave che relaziona tutti gli altri

concetti morali diventa "la responsabilità".

L’artigiano domanda: "Cosa devo fare per diventare buono? Qual’è la

migliore scelta? "

Il cittadino domanda: "Qual’è il mio dovere? Cosa devo fare? Qual’è la

scelta giusta? ",

L’osservante dice: "Fare il bene è la scelta giusta." Unisce la presenza di

valori trascendentali con le esigenze deontologiche del momento in una situazione

reale ed immanente, personale e sociale. Fà prima la domanda: "Che cosa sta

succedendo qui?" E dopo: "Come devo rispondere: come essere umano e come

Cristiano, etc."

Tutti e tre rispondono ai due impegni principali della vita psicologica

dell'essere umano:

L'autonomia personale: farmi una brava persona;

Alterità - socialità: convivere in pace con gli altri e costruire con

loro un buon posto dove abitare (vivere).

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Tuttavia, ognuno di questi attori sociali dà una risposta più o meno differenti

nell'uso della sua libertà in tempo di agire, di fare delle scelte tra il bene e il male, o

tra ciò che è giusto o no.32

La risposta di ogni persona, nella sua condotta morale, è formulata sulla

base di un'interpretazione personale o interpersonale dei fatti. L'agire morale è

condotta che ha un significato, e questo significato è il risultato di un processo che

coinvolge "analizzare, interpretare e giudicare", e dipende da ogni persona e il suo

ruolo che esercita nella società.

Pertanto, il senso di responsabilità sta presente nella formulazione della

risposta. Siamo consapevoli della necessità di giustificarsi davanti agli altri, tanto

della nostra interpretazione come della nostra risposta. Ma, allo stesso tempo,

siamo cosciente che altri interpretano ciò che facciamo (le nostre motivazioni, ecc),

e per rispondere a ciò che facciamo sulla base delle loro interpretazioni sul nostro

agire.

Per questo, la responsabilità esige conoscenza dei motivi o della intenzione,

che è la natura della attività stessa. Così, la responsabilità morale esige anche una

"perdita" di innocenza, che porta con sé la capacità di distinguere tra un atto buono

o cattivo.

Tuttavia, comunicare la risposta in modo ragionevole richiede allo stesso

tempo, la conoscenza della lingua morale della società di cui la persona è parte.

Ogni gruppo ha un discorso morale particolare, e la spiegazione (giustificazione)

che viene fatta deve comunicare all'interno di questo "universo e linguaggio

morale".

Da questa forma, chi è moralmente responsabile?

Colui che è cosciente;

Colui che è capace e competente nella comunicazione

relazionale;

Colui che è strettamente legato all'altro come risultato della

propria alterità. È la persona responsabile.

Quindi, a chi abbiamo il dovere di rispondere? All’autorità.

La moralità è un fenomeno puramente umano. Gli animali non sono né i

soggetti né oggetti di responsabilità morale. La responsabilità morale è dare una

risposta a qualcuno in grado di capire la risposta. Comprendere la risposta richiede

la capacità di interpretare la risposta. Interpretazione richiede competenze e

conoscenze linguistiche. La conoscenza e il linguaggio richiedono socialità.

Socialità richiede comunità come locus di valore e luogo e dove la domanda è

posta.

                                                            32  Per  coloro  che  vogliaono  approfondire  questo  tema  ,  si  sugerisce  di  vedere  :  H.  Richard  Niebuhr.  The Responsible Self – an essay in Christian Moral Philosophy. Library of Theological Ethics Edition, Westminster John Knox Press, USA, 1999. Questo autore rivela nei suoi scritti una grande preoccupazione per l’impatto del cristianesimo  sulla  cultura  del  suo  tempo,  collaborando  così  nel  dibattito  sul  ruolo  sociale  della  chiesa cristiana.   

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Il cristiano deve rispondere, in primo luogo, a Dio; come persona umana, fu

creato a sua immagine e somiglianza . Devo rispondere nel modo in cui io divento

e per quello che sono io con gli altri - il tipo di immagine che sono.

Come un agente, possiedo potere creativo. Sono un co-creatore con Dio

dello stato attuale del mondo come uomo "capace di Dio". Dio agisce anche

attraverso la storia umana, e l'uso della nostra capacità di agire ha a che fare con

lo sviluppo della volontà divina. Dobbiamo dare conto del modo in cui abbiamo

collaborato o meno con Dio nell’attività di costruire una nuova terra e nuovi cieli.

Della prima responsabilità possono derivarne altre:

La "responsabilità di base" significa rispondere con l’obiettivo di

armonizzare le tensioni interne ed esterne.

La "responsabilità morale" come modalità consapevole di

"responsabilità di base "ci ricorda che: dare un a risposta è un

modo di agire. Ma una risposta morale richiede spiegazioni alle

ragioni perché abbiamo fatto quello che abbiamo fatto.

3.3- Atto morale

La persona umana è pienamente coinvolta in ogni azione che compie.

Questo coinvolgimento è ancora più evidente quando si tratta di decidere su

questioni che riguardano la loro intimità; o anche quando il soggetto si sente

responsabile dei suoi atti perché si giudica che si comporta bene o male in base ai

criteri morali che sono stati suggeriti da convinzioni personali o per il credo

religioso che pratica.

L'impegno di fare il bene ed evitare il male è ancora più evidente nel

cristiano. In realtà, un battezzato che conosce la propria dignità e cerca di essere

fedele a ciò che professa, farà tutto il necessario in modo tale che le proprie azioni

rispondano alla vocazione ricevuta, che in pratica consiste nel compiere la volontà

di Dio ed identificare la propria vita con la vita di Gesù.

Al contrario, chi non vive d’accordo con la propria vocazione, sperimenta un

rimorso che lo accusa di infedeltà e incoerenza, dal momento che non pratica ciò

che ha promesso.

L'attività morale in sé è molto complessa, perché si unisce alla ricchezza

insondabile dell'essere umano. In pratica, occorrono almeno i seguenti fattori:

I dati genetici ereditati;

La Psicologia che definisce il carattere personale;

La sensibilità e le passioni che in questa vivono;

Le abitudini che - quasi come una seconda natura - giocano un

ruolo considerevole nelle determinazioni della volontà;

Le circostanze concrete in cui opera e nelle quali si svolge la

propria vita;

Le opinioni del momento;

L'educazione ricevuta;

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La formazione religiosa; e, soprattutto,

La lucidità della conoscenza di ciò che si fa , oltre la capacità di

decisione con la quale si realizza.

Per giudicare la moralità di un comportamento, si deve tener conto

dell’insieme di questi fattori. Più precisamente, in quanto vi è una stretta relazione

tra la morale e l'antropologia, la vita morale deve partire dai quattro caratteri che

definiscono l'essere umano come tale:

La unità radicale della persona;

La storicità;

La socialità; e,

L'apertura al trascendente.

Da questi quattro caratteri, in realtà, deve partire il giudizio morale su un

determinato comportamento della persona.

Il primo carattere è l'unità essenziale propria della persona umana, in cui

convergono il corpo e l'anima: è l’individuo uomo e l’individuo donna che fanno il

bene o il male, dato che "è nell'unità dell'anima e del corpo che la persona è il

soggetto dei propri atti morali" (VS 48). Non esistono peccati del corpo e peccati

dello spirito, ma è l'individuo concreto che pecca o colui che fa bene.

Inoltre, si deve considerare la condizione storica che è propria della

persona umana; nel suo operare/agire intervenire - in diversa misura - l'età e la

condizione dell'individuo, la formazione ricevuta, la biografia e la storia del proprio

passato, e la valutazione etica del loro tempo, ecc. .

Allo stesso modo, dobbiamo prendere in considerazione la socialità, che è

una dimensione essenziale dell'essere umano, permette alla persone di percepire

anche i diversi fattori sociali, come l'influenza dell'ambiente culturale, l'azione

negativa del cosiddetto "peccato sociale" e le "strutture di peccato", le sensibilità

caratteristiche del suo tempo, ecc..

Infine - e soprattutto - è necessario considerare che la persona è

radicalmente aperta alla trascendenza, e questo richiede una condotta morale

secondo la volontà di Dio. A questa dimensione religiosa - comune a tutti gli uomini

- il cristianesimo aggiunge l'elevazione soprannaturale dovuta alla grazia divina.

Tale cosa, se da un lato facilita l'azione morale, dall'altro esige un livello di

comportamento che supera le forze naturali, per cui è necessario l'aiuto dei doni

soprannaturali.

Il risultato dei diversi fattori è che la vita morale è così importante e decisiva

per l'esistenza di un uomo concreto quanto difficile e impegnativa al tempo stesso,

di giudicarla, di interpretarla.

Per questo motivo, il Vangelo ci avverte, "Non giudicate" (Mt 7,1-4). Solo Dio

può emettere un giudizio autentico sulla condotta delle persone; ma, ogni individuo

deve essere vigile, in modo da capire come interpretare la propria vita alla luce

delle esigenze e degli imperativi morali come sono proclamati dal Vangelo, in base

al quale saranno giudicati da Dio.

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Essendo così, qualcosa di preliminare e definitiva allo stesso tempo, è la

seguente: è necessario distinguere ciò che sono atti umani e ciò che sono atti

dell’uomo. San Tommaso li definisce come segue: "in considerazione solo se

stessi azioni come specificamente umane che procedono da una decisione

deliberata; altre azioni, è meglio essere chiamati atti dell'uomo, non è umano,

perché non provengono da uomo in quanto uomo "(Sth I-II, 1.1).

In modo che un azione possa essere considerata come "morale", prima di

tutto deve essere "umana". Pertanto la moralità di un'azione richiede che la

persona realizzi con conoscenza e libertà, due caratteristiche dell'essere umano,

che sono, allo stesso tempo, razionale e libero.

Pertanto, un atto sarà morale nella misura in cui, prima di realizzarlo, il

soggetto è in grado di riconoscere la sua bontà o malizia, ed essere disposto a

realizzarlo liberamente, o in alcuni casi ometterlo.

Papa Giovanni Paolo II attira la nostra attenzione sul fatto che :

L'uomo può essere condizionato, pressato, indotto da numerosi e potenti fattori

esterni, ma può anche essere soggetto a tendenze, difetti e abitudini legate alla

sue condizioni personali. In non pochi casi tali fattori esterni e interni

possono attenuare, in misura maggiore o minore, la libertà e quindi la sua

responsabilità e colpa.

Tuttavia, è una verità di fede, confermata anche dalla nostra esperienza e dalla

nostra ragione, che la persona umana è libera. E non si può ignorare questa

verità, per scaricare su realtà esterne - le strutture, i sistemi, altri - il peccato di

ciascuno. Inoltre, sarebbe cancellare (annullare) la dignità e la libertà della

persona (Reconciliatio et Penitentia, n.16).

I criteri che permettono di giudicare un atto umano sono

fondamentalmente: i difetti di conoscenza e la mancanza di libertà. Per quanto

riguarda i difetti di conoscenza, abbiamo l'ignoranza e il dubbio. Quanto riguarda

l’insufficienza di libertà, può essere dato da ignoranza, concupiscenza, violenza e

paura.

Così, la moralità non si limita o si esaurisce nell’azione poiché intervengono

molto fortemente i sentimenti e le intenzione. Perché l’azione sia moralmente

buona, deve adattarsi perfettamente ai valori oggettivi. Tuttavia, il valore dell'atto

non è determinato dal valore obiettivo in sé, ma solo nella misura in cui tale valore

è la vera ragione per l'azione. Da qui l'ultima determinante del prezzo delle azioni

non è l'oggetto ma il motivo. Il motivo decide, in ultima analisi, il valore morale

dell'azione.

3.4- Opzione Fondamentale

L'auto-realizzazione della libertà (che può essere chiamata opzione

fondamentale) storicizza la persona come un essere unico e irripetibile. L’opzione

fondamentale o di auto-realizzazione della libertà della persona è un atto morale.

Libera e consapevole, la persona sceglie la via di Dio (il Bene Assoluto), sceglie di

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vivere il Regno nel suo cuore nel rapporto con i suoi fratelli, o scegli anche

liberamente di respingere questo cammino (i beni relativi).

L’opzione fondamentale di ogni essere umano, in libertà, dà senso alla

propria esistenza, in modo concreto, per la realizzazione del sé come persona

nell’apertura verso il Bene Assoluto, o nella depersonalizzazione (nullità)

dell'essere per la chiusura egoistica.

L'opzione si dà nell'agire morale. Qualcuno potrebbe avere buoni

sentimenti, ma agire dannosamente a suo fratello. L'Apostolo già diceva: "Io non

faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio".

Oggi, è difficile dire con certezza quando qualcuno fa un’opzione cosciente

e libera. L'uomo è enormemente condizionato dalla società dei consumi. Così,

l’opzione fondamentale, in quanto scelta libera e matura, deve essere intesa come

una scelta fatta nel profondo di se stesso. Optare per Dio, scegliere il bene, il bello,

il perfetto. Da questa scelta derivano tutte le altre scelte che, anche se possono

essere fatte liberamente, sono scelte relative.

Pertanto, è necessario riconoscere che, anche nell'opzione fondamentale,

l'iniziativa è di Dio. Egli mette nel cuore umano la sua legge d'amore, dando

all'uomo la grazia di scegliere e optare per il suo amore di Padre.

Ma, dove è nato il concetto di opzione fondamentale? Una questione di tipo

teologico: come si può dire che anche un non battezzato può essere salvato?

Su questo tema è nata una opzione fondamentale: i non battezzati,

aprendosi al bene con se stessi e gli altri, compiono una scelta (opzione)

fondamentale, guidando la propria vita, in questo caso, per il bene. Quindi, questa

apertura in fondo caratterizza la vita di una persona e traspare in ogni scelta e

azione che questa compie. Come detto in precedenza, ogni coscienza presuppone

una per-comprensione, che si inserisce nel conoscimento.

Ciò si riferisce alla decisione, nel senso che quando ho deciso, sono già

spinto non tanto su quello che farò, ma su quale direzione dovrei dare a quello che

farò.

L'opzione fondamentale, poi, è un orientamento esistenziale che sostanzia

le mie azioni individuali, che possono apparire, ma anche contraddire l’opzione

fondamentale.

Il concetto di opzione fondamentale abbraccia l'uomo nella sua totalità e

getta necessariamente la sua luce su altri aspetti della vita morale, dando a loro un

nuovo significato. Non si può, quindi, parlare di opzione fondamentale senza

parlare di coscienza.

Gaudium et Spes, nel numero 16, sottolinea che, nel suo intimo, l'uomo

scopre una legge che non è lui a donarsi, ma che lo spinge a obbedire, e che gli

dice di amare, per scappare dal male e fare il bene (l'uomo ha una legge scritta da

Dio nel suo cuore).

Questa è la voce della coscienza, intesa come il nucleo più segreto, come

il santuario dell'uomo, dove lui si incontra da solo con Dio in un dialogo intimo.

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Santo Agostino nelle sue Confessioni, ha dichiarato: "Noli foras ire, in te

ipsum redii, in interiore hominis habitat Veritas" ("Non uscire, ritorna dentro di te: la

verità vive dentro l'uomo".).

Ed è esattamente qui che si dà il concetto di coscienza fondamentale, della

quale, dopo, nasce l'opzione fondamentale come una risposta esistenziale alla

Veritas scoperta dentro l'uomo stesso.

Ma in cosa consiste questa Veritas? Per noi cristiani, il Dio che si è fatto

carne, morto e risorto per noi uomini, e ha inviato su di noi il suo Spirito. Con la sua

morte, muore il vecchio mondo adamitico, corrotto dal peccato; con la sua

risurrezione realizza una nuova creazione, un nuovo Adamo, da cui discende una

nuova umanità. Nel resuscitato sono stati anticipati i nuovi cieli e la nuova terra in

cui stiamo già vivendo e partecipando, anche se non pienamente.

Queste nuove realtà anticipate in Cristo, e che già vivono in noi, dobbiamo

testimoniare. Questo è ciò che Paolo chiama la vita nello Spirito e secondo lo

Spirito. Questa Veritas, che costituisce la nostra coscienza fondamentale,

coscienza che è un contenitore/recipienti della verità che illumina la nostra

esistenza e ci spinge a conformare la nostra esistenza a questa Veritas.

Ed è proprio qui che sorge la risposta esistenziale, questa è, la decisione di

incarnare nella mia vita questa Veritas, e di conformare la mia vita a questa. Ecco

che nasce l'opzione fondamentale.

Tuttavia, questa opzione fondamentale, una volta acquisita, non è garantita

per sempre, ma ha bisogno di essere alimentata attraverso un constante rapporto

con la Parola di Dio, nei sacramenti, nella preghiera e nello studio. È proprio

questo continuo lavoro interiore che rimane vivo, si alimenta e si rafforza.

3.5- Legge naturale

La legge naturale è tradizionalmente definita dai teologi come la

partecipazione della legge eterna nella creatura razionale. La legge naturale è la

legge stessa dell'essere umano: di tutti e di ogni uomo, in quanto essere

intelligente e libero. Quindi non dovrebbe essere intesa come una legge eterna

riferita alla materia o agli animali.

La legge naturale non è come una legge fisica che disciplina la materia o

una legge biologica che regola gli esseri viventi, applicate all'uomo. È una legge

radicalmente umana, che Tommaso di Aquino descrive in questi termini:

"Per quanto riguarda le altre creature, la creatura razionale è soggetta ad un più

eccellente modo per divina provvidenza, essa diventa partecipe della

provvidenza, offrendo se stessa e gli altri; per cui v'è in essa una parte della

ragione eterna, grazie alla quale v'è una naturale inclinazione ad agire e

dopo dovuta; tale partecipazione della legge eterna nella creatura razionale è

chiamata legge naturale "(Sth I-II, q. 91, a. 2).

La legge naturale è quindi la leggi della persona , in quanto essere razionale

e libero. Per questo, il punto di riferimento non sono le leggi fisiche dei minerali,

neanche le leggi della biologica delle piante e animali, ma una legge specifica,

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scritta da Dio nella natura dell’uomo e della donna, che permette loro di conoscere

il bene e il male.

Il fatto è che la natura umana non si riduce agli elementi fisici o chimici –

anche se questi sono inseriti nell’uomo –, ma è la propria natura di un essere

spirituale, come afferma la Veritatis Splendor. Pertanto, la legge naturale non è

altro se non la luce della intelligenza infusa da Dio nella natura razionale; legge

che è espressione della sapienza divina.

Tra la funzione della coscienza vi è quella di integrare persona e natura. A

questo sforzo continuo va riconfermata, per sua corretta interpretazione, la storicità

della legge naturale. Se esiste la possibilità di mutazione della legge naturale,

questo succede soltanto in funzione del grado di maturità della coscienza.

Per riflettere:

1) Perché la libertà è la prima condizione dell'agire etico della persona?

2) Dove si trova l'essenza della libertà della persona umana? Che cosa

significa che "la libertà qualifica gli atti umani"?

3) Che cosa significa che “ l’uomo è libertà fondamentale"?

4) Ritenete la morale cristiana come liberatoria o opprimente? Giustificare la

risposta.

5) Che cosa significa che la responsabilità è presente nella "azione umana"? In

questo senso, chi è moralmente responsabile?

6) Che cosa è un atto morale? E quali sono i fattori che influenzano l'atto

morale della persona?

7) Che cosa significa che il comportamento morale dell'uomo deve essere la

volontà di Dio? Spiega con le tue parole e dalla tua esperienza di vita.

8) Perché un atto morale dipende dalla opzione fondamentale della persona?

Spiega in che modo l'opzione fondamentale dà senso all'esistenza umana?

9) Trova di più sull’opera di Richard Niebuhr sulla responsabilità personale.

Approfondire la sua conoscenza delle metafore che questo autore presenta

e i tipi di narrativa morale che riguardano le abitudini di "buon artigiano"; il

"buon cittadino" e "l’osservante ".

10) In che senso un non battezzato può essere salvato?

11) A chi il cristiano deve rispondere in primo luogo? E perché?

12) Quali sono i fattori che influenzano nell'atto morale"? Cercare il significato di

ciascuno di questi fattori.

13) Cosa significa dire che l’opzione fondamentale è un orientamento

esistenziale?

14) Cosa cosa possiamo intendere per "voce della coscienza"?

15) Cosa si intende per legge naturale?

16) Qual’è l’importanza della legge naturale per l’agire umano?

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In questa TAVOLA vediamo che la coscienza morale è quello che esiste di

più nobile nell’uomo e nella donna. Se la libertà è quella che dà forma all’esistenza

umana, la coscienza caratterizza il proprio essere della persona.

Orígenes ha scritto:

“L’anima dell’anima è la coscienza”. La coscienza “è il nucleo più intimo “ della

persona, il “santuario di Dio”, il “tabernacolo dell’uomo”, il “luogo in cui Dio parla

con l’uomo”. Per questo, è considerata “sacra”.

Il senso comune riconosce questa sacralità e dignità della coscienza al

punto di definire la qualità della persona a partire della sua coscienza. Ecco perché

il più grande elogio che si può fare ad una persona è affermare . “È un uomo o una

donna di coscienza”. Parallelamente, il giudizio più negativo si esprime in termini

simili: “Quest’uomo o questa donna è senza coscienza” .

Dello stesso modo, l’importanza della coscienza personale si riflette nelle

espressioni che richiedono il suo riconoscimento e esigono i suoi diritti.

Affermazioni come “non permetto che nessuno si intrometta nella mia coscienza”,

“esigo che si rispetti la mia coscienza” “questo la mia coscienza non permette”, “è

qualcosa che devo fare in coscienza”, sono espressioni che nascono di forma

spontanea nei momenti in cui la persona umana deve prendere una decisione che

coinvolge il suo essere nella più profonda intimità.

Data alla importanza della coscienza personale, le solenni Dichiarazioni dei

Diritti Umani riconoscono la “libertà di coscienza” come uno dei diritti fondamentali,

alla quale per loro volta, è il punto di partenza di molti altri diritti.

Ugualmente, è riconosciuto il diritto alla “obiezione di coscienza”; con lui si

protegge la coscienza di qualunque ingerenza esterna, sia degli enti privati, sia

dello Stato. “Libertà” e “Obiezione” di coscienza sono riconosciuti nella

Dichiarazione dei Diritti Umani dell’ONU (art. 18), nella Dichiarazione sulla Libertà

Religiosa del Concilio Vaticano II° (Dignitatis Humanae, 1-2; Gaudium et Spes, 79)

e nella Costituzione di numerevoli Stati.

La descrizione più consistente e il ruolo decisivo che la coscienza sviluppa

nella vita morale si incontrano espresse nella lettera della Costituzione Pastorale

Gaudium et Spes con queste solenni parole:

TAVOLA 4 

QUESTIONI FONDAMENTALI DELLA MORALE: 

LA COSCIENZA MORALE 

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La coscienza è il nucleo più segreto ed il sacrario dell’uomo, nella quale si

incontra da solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità del suo essere. Tramite la

coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo

compimento nell’amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla voce della

coscienza, i cristiani si uniscono agli altri uomini, nel dovere di cercare la verità e

in questa risolvere numerosi problemi morali, che sorgono nella vita privata quanto

in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta , tanto più

le persone ed i gruppi si allontanano del cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi

alle norme oggettive della moralità. Tuttavia, succede non di rado che la coscienza

si erronea, per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua

dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il

bene, e quando la coscienza diventa quasi diventare cieca, in seguito all’abitudine

del peccato (GS 16).

In questo modo, già si può definire la coscienza, d’accordo con il

Catechismo della chiesa Cattolica (CIC), nei seguenti termini:

La coscienza morale è un giudizio della ragione, con il quale la persona

umana riconosce la qualità morale di un atto concreto (CIC, n. 1796).

Ossia, è un giudizio razionale pratico che giudica la bontà o malizia

(malvagità) di una azione. Pertanto, la funzione della coscienza è a di giudicare le

azioni personale dell’individuo, individualizzando la qualità morale dei atti, questo

è, permette una classificazione in buone o cattive.

4.1- Il mistero della coscienza

Una corretta proposta teologica della coscienza deve avere la consistenza e

la profondità non solo di essere, ma anche di essere nuova in Cristo, secondo il

rinascimento pasquale realizzato nel battesimo. È il “mistero” della coscienza che

se devi approfondire e annunciare con franchezza e onestà ai giorni di oggi,

prendendo molto in considerazione, di maniera particolare, la ricchezza dei dati

che la esegesi biblica ha evidenziato o proposto.

Nella comunità cristiana, la visione della coscienza viene radicata nelle

espliciti affermazione bibliche, sopratutto paoline, e nel centro che tutta rivelazione

attribuisci al cuore nel determinare la bontà del nostro agire: questo è l’ultimo e

decisivo criterio (cf. Mt 12, 33-35; 15,17-20). Oltre questa categoria, sono anche

importante altre, come: mente, pensamento, etc.

Ma, è necessario che la coscienza rimanga aperta a Dio - alla sua

parola, alla sua leggi, al suo Spirito - e ai suoi fratelli. Perdere il valore quando se

indurisce e se chiude; per questo, il costante chiamato alla formazione e alla

conversione (cf. Ez 36,26-28). Esige anche rispetto della parte degli altri: solo Dio

può entrare in essa senza negarli l’autonomia, ma dando pienezza di fondamento

e di orizzonte. È un cuore che, restando libero della “mentalità di questo secolo”,

se occupa di una attenta lettura della realtà “per potere discernere la volontà di

Dio, quello che è buono, che li gradisce ed è perfetto” (Rm 12,2).

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Nel capitolo 8 della Carta della Carta ai Romani – soprattutto quando si

legge avendo presente il contenuto del capitolo 7 -, tutto questo viene presentato

con una chiara prospettiva pneumatologica.33 La coscienza appare , quindi, come:

Ascolta/accoglie del testimone interiore che lo Spirito Santo fa della

nostra realtà di figli : “Lo Spirito Stesso attesta al nostro spirito che

siamo figli di Dio” (v. 14-16);

Che ci libera della schiavitù del peccato e dal desiderio dell’uomo

carnale, suggerendoci desideri e scelte nuove (v. 1-12);

Ci Rivela inseriti in una economia di speranza, non solo a livello

personale, ma anche di tutta la realtà (v. 18-25);

Ci fa Vivere costruttivamente anche una drammatica esperienza della

fragilità che rimane sempre nella nostra vita, aprendola alla

prospettiva della pienezza del progetto di Dio (v. 26-30);

Non ci fa mai dipendere dell’applauso degli altri, tornandoci più forti

(v. 31-39);

Il bene viene, quindi, aggiunto come possibilità di grazia che seduce

e apre gli orizzonti ed i desideri, più che mai come un dovere che

limita.

4.2- Tipi di coscienza

Sono tre i tipi di coscienza, dipende dal momento che si emette il giudizio:

Antecedente: è quel tipo che precede l’azione: prima di agire pensa

se è “buono” o “cattivo” quello che sta per fare;

Concomitante: è quel tipo che segue l’azione mentre la sta facendo;

Consequente: è il giudizio morale che si fa dopo aver realizzato un

atto.

Per ragione della sua concordanza con la legge di Dio, la coscienza può

essere retta o vera e sbagliata, secondo i suoi detti si adeguano o no a questa

legge. La sbagliata può essere vinta (se no si pone tutti i mesi per uscire

dall’errore) e invincibile (se tutti i mezzi a disposizione, non si può uscire

dell’errore). Si deve seguire la coscienza retta e vera, e anche la invincibilmente

sbagliata .

Per ragione di assenso che prestiamo quello che la coscienza ci detta,

questa si divide in certa (che emette il giudizio con sicurezza), probabile e

dubbioso (quando si dubita su qualunque dato relativo all’atto che si realizza o si

omette; o quando non si sa se esiste o no una legge che autorizza o vieta una

detta azione; o quando un dubbio nasce perché non si sa se una legge obbliga o

no), d’accordo con il grado di sicurezza che si ha.

                                                            33 La pneumatologia è il segmento della dottrrina cristiana che si occupa dello Spirito Santo. Il termine deriva dalle parole greche PNEUMA (spirito) e LOGOS (insegnamento). La Pneumatologia studia la persona e l’opera dello Spirito Santo, in particolare la sua partecipazione alla SALVAZIONE. 

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Si deve seguire la coscienza certa, in alcuni casi la probabile, ma mai la

dubbiosa.

Non è la stessa cosa essere sicuro di qualcosa e colpire il bersaglio. La

prima è la coscienza certa; la seconda è la coscienza vera. Una è la sicurezza

soggettiva, e l’altra l’obbiettiva. Poiché, non basta “essere sicuro” (coscienza

certa), ma se deve attuare con la leggi (coscienza vera).

Limitarsi a una sicurezza personale è mettersi nel posto di Dio, che è l’unico

che non sbaglia. Per questo cammino se finisce per confondersi lo spontaneo con

oggettivamente buono.

A causa della limitazione umana può occorrere che una persona sia certa di

qualcosa che non sia vero. Ecco perché, non è ideale avere una coscienza morale

certa: è necessario che tendono ad avere, quindi, una coscienza retta e vera.

La coscienza, per essere norma valida dell’attuare umano, ha di essere

retta, dunque, vera e sicura di se stessa e non dubbiosa e colpevolmente

sbagliata.

In ragione del solito modo di emettere un giudizio, possono essere

identificati vari tipi di coscienza. I più frequenti sono i seguenti:

Coscienza delicata: è quella che cerca in ogni momento, e nei atti

più piccoli che siano, giudicando correttamente ciò che è stato

comandato o proibito attenersi ad esso;

Coscienza scrupolosa: è quella che incontra motivo di peccato

dove non ha nessuna ragione per questo;

Coscienza rilassata: è quella per cui tutti i motivi sono buoni per

sentirsi giustificati e non osservare ciò che è comandato.

Per ragione della responsabilità con la quale se emette il giudizio, possono

essere classificati in:

Coscienza retta: è quella che se adegua al giudizio della ragione:

“Si chiama prudente l’uomo le cui scelte sono conformi a tale

giudizio” (CIC, n.1780);

Coscienza distorta o falsa: è quella che non se sommette alla

propria ragione; corrisponde all’uomo che agisce di modo

imprudente e temerario temerario.

Una persona che attua contro la coscienza pecca. Però anche pecca per

non aggiustare deliberatamente i suoi dettami alla legge di Dio, che è la norma

suprema di attuare.

La non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, i cattivi esempi ricevuti dai

dati degli altri, le schiavitù delle passioni, la pretesa ad un autonomia malintesa

della coscienza, il rifiuto della autorità della chiesa e del suo insegnamento, la

mancanza di conversione e carità possono condurre alla deviazione del giudizio

nella condotta morale. (cf. CIC, n.1792)

È certo che dobbiamo decidere con la nostra propria coscienza, e nessuno

anche ci può obbligare ad agire contro questa; ma, resta anche il fatto che

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abbiamo il dovere di agire con ciò che la coscienza ci detta, adeguandoci a quel

che Dio vuole, vale a dire che è ben costituita, che è retta o vera.

La coscienza buona e pura è chiara per la fede vera. Poi la carità precede lo

stesso tempo di un cuore puro, di una buona coscienza e di una fede senza

ipocrisia. (1Tm 1,5)

4.3- Elementi della storia della dottrina cristiana

Due sono i nomi di riferimento nella storia della dottrina cristiana: Santo

Agostino (V secolo) e San Tommaso d’ Aquino (XII secolo).

In Agostino incontriamo forte il tema della interiorità dell’uomo, nell’interiore

della quale incontriamo sua autenticità; ed è giustamente all’interno di questa

interiorità che Dio si fa accogliere ed ascoltare.

Il tema della voce di Dio e della coscienza dell’uomo appare per la prima

volta in Santo Agostino, nelle sue Confessioni, racconta il suo cammino interiore

verso Dio, quale dialogo intimo con Dio, nel quale scopre un Dio che lo interpella e

lo chiama. Significativo in tale senso è la sua affermazione: “Noli foras ire in te

ipsum redii, in interiore homine habitat veritas” (“Non uscire, ma ritorna in te stesso;

dentro l’uomo abita la verità”.).

Con San Tommaso siamo in piena scuola e ci è offerto, per la prima volta,

un pensiero teologico in forma scientifica. Nelle sue considerazioni sulla coscienza,

Tommaso parte di una posizione più oggettiva, nel senso che la realtà che è

davanti a noi, noi possiamo conoscerla e descriverla, cosa che, al contrario, il

pensiero moderno metterà in crisi.

Tommaso pensa la coscienza nell’interno della relazione tra la “synderesis”,

questo è, la capacità connaturale all’uomo di conoscere in modo corretto i principi

morali, e la “conscientia”, intesa come la coscienza considerata nella situazione

specifica. Questa coscienza quindi, è la facoltà che applica nelle situazioni

individuali i principi dell’agire morale.

Pertanto, mentre la “synderesis” esprime la capacità innata nell’uomo di

conoscere i principi dell’agire morale, la “conscientia” esprime la capacità

dell’uomo di applicare nelle situazioni individuali tali principi morali.

Una volta che le situazioni contingenti sono mutabili, la “conscientia” non

gode della infallibilità della “synderesis”, poiché, considerata la contingenza in cui

si muove, può arrivare ad una valutazione non sempre precisa/corretta.

Continua San Tommaso affermando che la coscienza produce un “sapere

razionale pratico”; questo è, perché l’uomo “sa cos’è il bene”, e giusto perché lo sa,

può anche viverlo; quindi, l’intelligenza anticipa e fonda la volontà.

In questo contesto, la coscienza è la capacità di conoscere quello che è

il bene ed il male, una conoscenza di tipo pratico, nel senso che se l’uomo sa

quello che è il bene o il male deve adeguarsi, conseguentemente. Quindi, la

coscienza non è soltanto conoscenza, ma ha a che fare con decisioni; pertanto è

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un conoscere in funzione di un decidere che deve essere in un unico senso: verso

il bene percepito.

Un altro aspetto della dottrina morale cristiana è la “casistica” (secoli XVI-

XVIII e, in buona parte fino ai nostri giorni). Con la casistica, la teologia morale non

è più impegnata a riflettere sull’agire dell’uomo e sulle sue motivazioni, ma

semplicemente su ciò che l’uomo deve fare o non fare per non commettere il

peccato mortale o veniale.

Si sviluppa, quindi, una serie di casi sui quali si dibatte la legittimità

dell’azione, studiando i significati tra il peccato veniale e il mortale.

L’agire dell’uomo, pertanto viene scomposto in tanti casi, sui quali si emette

la priori una valutazione morale.

In tale contesto, la coscienza viene ridotta ad una semplici applicazione

della norma, impoverendo il suo ruolo essenziale di fornire gli elementi ed i valori

fondamentali per l’orientazione della propria esistenza e sulla quale si concentrano

tutte le scelte del quotidiano.

4.4- Cosa ci insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (CIC) sul rispetto

della coscienza morale?

Il numero 1.776 del Catechismo della chiesa Cattolica definisce la coscienza

come “una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui

voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando

occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore, chiamando sempre ad amare

e fare il bene e ad evitare il male”, e questa legge è “una legge scritta da Dio

stesso” .

E così, citando la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, del Consiglio

Vaticano II, numero 16, il Catechismo afferma che

La coscienza è il nucleo più segreto ed il sacrario dell’uomo , nella quale si

incontra da solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità del suo essere.

È per questo che ci insegna il numero 1.777: “Quando ascolta la coscienza

morale, l’uomo prudente può sentire Dio che parla”. È anche per questo che si

esige la rettitudine della coscienza morale, dalla quale dipende la dignità della

persona umana (cf. n.1780).

Dice il numero 1780:

La coscienza morale comprende la percezione dei principi della moralità

(“sindérese”), la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un

discernimento pratico delle ragioni e di beni e, infine, il giudizio riguardante gli

atti concreti che si devono compiere o che sono già stati compiuti. La verità sul

bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è praticamente e

concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza. Si

chiama prudente l’umo le cui scelte sono conformi a tale giudizio.

Da qui si sa che è la coscienza che permette assumere la responsabilità

degli atti praticati, di forma che,

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Se l’uomo commette il male, il retto giudizio della coscienza può rimanere in lui

testimone della verità universale del bene e, al tempo stesso, della malizia della

sua scelta particolare [...]. Attestando la colpa commessa, richiama al perdono

da chiedere, al bene da praticare ancora e alla virtù da coltivare

incessantemente con la grazia di Dio. (CIC, n.1781)

Qui si vede la necessità di formazione continua della coscienza

morale. (CIC, nº 1783) L’educazione della coscienza è un compito per tutta la vita,

fin dai primi anni essa dischiude al bambino la conoscenza e la pratica della legge

interiore riconosciuta della coscienza morale. Si esige una educazione prudente

dove si insegna la virtù. “La formazione della coscienza garantisce la libertà e

genera la pace del cuore”. (CIC, n.1784)

Qui, avrà un ruolo fondamentale, come principale educatore della

coscienza, la parola di Dio, che illumina il cammino dell’uomo.

La dobbiamo assimilare nella fede e nella preghiera, e metterla in pratica.

Dobbiamo anche esaminare la nostra coscienza, rapportandoci alla croce del

Signore. Siamo sorretti dei dono dello Spirito Santo, aiutati dalla testimonianza o

dei consigli altrui e guidati dall’insegnamento certo della chiesa. (CIC, n.1785)

Infine, il numero 1789 del Catechismo ci presenta alcune regole basilari

essenziali che favoriscono la dovuta formazione di coscienza e rendono

possibile il discernimento morale, a sapere :

Non è mai consentito fare il male perché ne derivi un bene;

La “regola d’oro” è: tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi,

voi fatelo a loro (Mt 7, 12);

La carità passa sempre attraverso il rispetto del prossimo e della sua

coscienza: “Così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza, voi

peccate contro Cristo” (1Cor 8, 12). “È bene non fare...cose per la

quale tuo fratello possa scandalizzarsi” (Rm 14, 21).

Così, “la coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera. Infatti la

carità sgorga da un tempo, “di un cuore puro, di una buona coscienza e di una

fede sincera” (1Tm 1, 5) (CIC, n.1794).

4.5- Formazione della coscienza

Lo svegliarsi per le necessità di coscienze mature non è sufficiente.

Neanche è sufficiente a fermare il suo ruolo insostituibile, chiedendo un rispetto

sempre più convinto anche a livello sociale.

Per tutti si afferma la necessità di uno sforzo rinnovato per la formazione

della sua coscienza: non solo come inalienabile responsabilità di ognuno, ma

anche come corresponsabilità, che deve essere condivisa nella solidarietà.

4.5.1- Necessità di questa formazione

È necessaria la formazione per una persona di fede, che vuole conoscere

meglio Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica esalta bene questo dicendo che:

La coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato. Una

coscienza ben formata è retta e veritiera. Essa formula i suoi giudizi seguendo la

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ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del creatore. La

educazione della coscienza è indispensabile per esseri umani esposti a

influenze negative e tentati dal peccato, a preferire il loro proprio giudizio e a

rifiutare gli insegnamenti certi (CIC, n.1783).

In qualche materia abbiamo l’intenzione di raggiungere il maggior numero di

conoscenze per essere esperti di tale materia. E se non lo raggiungiamo, evitiamo

di parlare di questo tema.

Ma, succede allo stesso in relazione alla fede e alla morale ? Per questo, “la

coscienza ha necessità di formazione. Una educazione della coscienza è

necessaria, come è necessario per tutti gli uomini la crescita interiore, posto che

la loro vita svolge in un marco esteriore molto complesso e impegnativo”. Insegna

il Catechismo che “L’educazione della coscienza è un compito per tutta la vita (…)

La formazione della coscienza garantisce la libertà e genera la pace del cuore”

(CIC, n.1784).

Per questo, la formazione della coscienza segue regole simile di quelli di

tutte le formazione. È certo che, nel momento di applicare questi regole, non

possiamo dimenticare di un dato importante: quello che vogliamo al formare la

coscienza non è semplicemente raggiungere una abilità o sviluppare una facoltà,

ma sì ottenere il nostro destino eterno.

4.5.2- Rivelazione e il Magistero Ecclesiastico

Per conoscere nostro destino soprannaturale e i mezzi per raggiungerlo

abbiamo bisogno della Rivelazione. In questo senso, non siamo “spontaneo e

naturale cristiani”. La Parola di Dio non solo rassicura che qualcosa conduce

l’uomo al suo fine naturale, ma informa anche il suo fine soprannaturale e tutto

che le si avvicina. Obiettivamente rivelato conferma e corrobora, quindi, le

disposizioni impresse dello Spirito Santo nell’anima che è nella grazia .

Bene, come diceva Pio XII, la morale cristiana deve essere cercata:

Nella legge del Creatore impressa nel cuore di ciascuno e nella Rivelazione,

cioè nel complesso delle verità e dei precetti insegnati dal Divino Maestro.

Entrambi, sia la leggi scritta del cuore, ossia la leggi naturale, sia le verità e i

precetti della rivelazione soprannaturale – il Redentore Gesù ha rimesso come

tesoro morale della umanità , nelle mani della sua Chiesa, affinché essa le

predichi a tutte le creature, le illustri e le trasmetta, di generazione in

generazione, intatte e difese di ogni contaminazione ed errore. (Pio XII,

Alocución, 23/03/1952)

La chiesa, poi, attraverso il suo magistero ordinario e straordinario, e

la depositaria e maestra della verità rilevata. Da qui che “i cristiani, nella

formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina

sacra e certa della chiesa”.34

Difficilmente si può parlare della giustizia morale di una persona che non

obbedisce e disprezza il magistero ecclesiastico: “Chi ascolta voi ascolta me, chi

                                                            34 Dignitatis Humanae, nº 14; Veritatis Splendor, nº 64. 

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disprezza voi disprezza me; e chi disprezza me disprezza colui che mi ha

mandato” (Lc 10,16).

Sarà, poi, il Magistero Ecclesiastico la fonte fondamentale per la formazione

della coscienza ? Come ricordava Giovanni Paolo II:

Tra i mesi che l’ amore detentore di Cristo ha disposto per evitare questo pericolo di

errore [fa riferimento alla coscienza sostanzialmente sbagliata], si incontra il

Magistero della Chiesa: il suo nome, possiede una vera e propria autorità di

insegnamento.

Pertanto, non si può dire che un fedele abbia realizzato una diligente ricerca della

verità, se non tiene in conto che il Magistero insegna; se, equiparando a qualche

altra fonte di conoscenza, lui si costituisce in loro giudizio; se nel dubbio, segue

proprio la sua migliore opinione o dei teologi, preferendola agli insegnamenti certi

del Magistero.35

4.5.3- Una formazione integrale

La formazione della coscienza è uno dei campi dove la nostra cultura, con le

sue molteplici contraddizioni, pone numerose e forti sfide, che ripercuotono anche

nella proposta formativa, in tutti i livelli, cominciando a partire dalla famiglia.

Per il Catechismo della Chiesa Cattolica, come già visto:

L’educazione della coscienza è un compito per tutta la vita, fin dai primi anni

essa dischiude al bambino la conoscenza e la pratica della legge interiore

riconosciuta della coscienza morale. Si esige una educazione prudente dove si

insegna la virtù. “La formazione della coscienza garantisce la libertà e genera la

pace del cuore (CIC, n.1784).

Se nel passato la formazione delle persone ha privilegiato le dimensioni

cognitive o comportamentali, oggi si accentua sempre più verso le dimensioni

effettive e emozionali.

La formazione di coscienza è un cammino che non si può lasciare di essere

completato. È costantemente richiesto a delle nuove sfide, alle quali è chiamato ad

affrontarle. La gradualità è il suo componente fondamentale. Significativo è quanto

evidenzia la Familiaris Consortio n.34, che rispetta il “cammino graduale dei

coniugi”:

È sempre di grande importanza possedere una retta concezione dell'ordine

morale, dei suoi valori e delle sue norme: l'importanza cresce, quando più

numerose e gravi si fanno le difficoltà a rispettarli.

Proprio perché rivela e propone il disegno di Dio Creatore, l'ordine morale non può

essere qualcosa di mortificante per l'uomo e di impersonale; al contrario,

rispondendo alle esigenze più profonde dell'uomo creato da Dio, si pone al servizio

della sua piena umanità, con l'amore delicato e vincolante con cui Dio stesso ispira,

sostiene e guida ogni creatura verso la sua felicità.

Ma l'uomo, chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di

Dio, è un essere storico, che si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose

libere scelte: per questo egli conosce ama e compie il bene morale secondo tappe

di crescita.

                                                            35 Juan Pablo II, Discurso a los participantes en el II Congreso Internacional de Teología Moral, 12‐XI‐1988. 

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Anche i coniugi, nell'ambito della loro vita morale, sono chiamati ad un incessante

cammino, sostenuti dal desiderio sincero e operoso di conoscere sempre meglio i

valori che la legge divina custodisce e promuove, e dalla volontà retta e generosa di

incarnarli nelle loro scelte concrete. Essi, tuttavia, non possono guardare alla legge

solo come ad un puro ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla

come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà.

Perciò la cosiddetta "legge della gradualità", o cammino graduale, non può

identificarsi con la "gradualità della legge", come se ci fossero vari gradi e varie

forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse.

Tutti i coniugi, secondo il disegno divino, sono chiamati alla santità nel

matrimonio e questa alta vocazione si realizza in quanto la persona umana è in

grado di rispondere al comando divino con animo sereno, confidando nella grazia

divina e nella propria volontà.

4.5.4- La ministerialità nel processo di formazione

Nel cammino complesso di formazione di coscienza, la proposta morale

della chiesa dovrà assumere un obiettivo chiaramente pedagogico: a cominciare

dal suo interno (la spiegazione del significato), dovrà essere sempre una diaconia

(un servizio) alle coscienze.

Sono significative le affermazioni di Giovanni Paolo II nella Carta Enciclica

Veritatis Splendor:

La Chiesa si pone solo e sempre al servizio della coscienza, aiutandola a non

essere portata qua e la da qualsiasi vento di dottrina secondo l’inganno degli uomini

(cf. Ef 4,14), a non sviarsi dalla verità circa il bene dell’uomo, ma, specialmente

nelle questioni più difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in

essa (VS, 64).

Occorre, però, testimoniare con chiarezza che:

Questa opera della Chiesa trova il suo punto di forza - il suo ‘segreto’ formativo –

non tanto nell’enunciati dottrinali e nell’appelli pastorali alla vigilanza, quanto nel

tenere lo sguardo fisso sul Signore Gesù. La Chiesa ogni giorno guarda con

instancabile amore a cristo, pienamente consapevole che solo in Lui sta la risposta

vera e definitiva al problema morale (VS, 85).

È una ministerialità che deve essere vissuta alla luce dello Spirito Santo,

dono per l’eccellenza del Resuscitato: presente nella coscienza di tutti e di ogni

fedele, è Egli che testimonia la verità, inspira alle scelte concrete, apre e sostiene

nel cammino, dà sicurezza facendo superare i limiti e rendendoci capaci di non

dipendere più del consenso o dell’approvazione degli altri. (cf. Rm 8). Il “servizio

alla coscienza” è autentico se testimonia con chiarezza che è prima di tutto un

servitore dello Spirito.

Le affermazioni del Decreto Presbyterorum Ordinis, sul il ministero e alla vita

dei sacerdoti, si rivelano di forte autorità. Approfondendo il mistero dei presbiteri

in quanto “guide ed educatori del popolo di Dio”, il Concilio ricorda, prima di

tutto, il fondamentale riferimento a Cristo:

“Esercitando la funzione di Cristo capo e pastore per la parte di autorità che

spetta loro, i presbiteri, in nome del vescovo, riuniscono la famiglia di Dio come

fraternità viva e unita e la conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito

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Santo. Per questo ministero, così come per le altre funzioni, viene conferita al

presbitero una potestà spirituale, che è appunto concessa ai fini dell'edificazione.

Nell'edificare la Chiesa i presbiteri devono avere con tutti dei rapporti improntati

alla più delicata bontà, seguendo l'esempio del Signore. E nel trattare gli uomini

non devono regolarsi in base ai loro gusti bensì in base alle esigenze della

dottrina e della vita cristiana, istruendoli e anche ammonendoli come figli

carissimi secondo le parole dell'Apostolo: Insisti a tempo e fuori tempo:

rimprovera, supplica, esorta con ogni pazienza e dottrina (2 Tm 4,2)”.

Questa fedeltà ad esempio, del Redentore, permette una ministerialità

effettivamente evangelica, che viene dal Consiglio così delineata :

“Perciò spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori nella fede, di

curare, per proprio conto o per mezzo di altri, che ciascuno dei fedeli sia

condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione personale secondo

il Vangelo, a praticare una carità sincera e attiva, ad esercitare quella libertà con

cui Cristo ci ha liberati.

Di ben poca utilità saranno le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti, se

non sono volte ad educare gli uomini alla maturità cristiana. Per promuovere

tale maturità, i presbiteri sapranno aiutarli a diventare capaci di leggere negli

avvenimenti stessi siano essi di grande o di minore portata quali siano le

esigenze naturali e la volontà di Dio.

I cristiani inoltre devono essere educati a non vivere egoisticamente ma secondo

le esigenze della nuova legge della carità, la quale vuole che ciascuno amministri

in favore del prossimo la misura di grazia che ha ricevuto e che in tal modo tutti

assolvano cristianamente propri compiti nella comunità umana.

Ma, anche se sono tenuti a servire tutti, ai presbiteri sono affidati in modo

speciale i poveri e i più deboli, ai quali lo stesso Signore volle dimostrarsi

particolarmente unito e la cui evangelizzazione è presentata come segno

dell'opera messianica.

Anche i giovani vanno seguiti con cura particolare, e così pure i coniugi e i

genitori; è auspicabile che tali persone si riuniscano amichevolmente in gruppo,

per potersi aiutare a vicenda a vivere più pienamente come cristiani nelle

circostanze spesso difficili in cui si trovano.

Ricordino inoltre i presbiteri che i religiosi tutti sia uomini che donne costituiscono

una parte insignita di speciale dignità nella casa del Signore e meritano quindi

particolare attenzione, affinché progrediscano sempre nella perfezione spirituale

per il bene di tutta la Chiesa.

Infine, abbiano cura specialmente dei malati e dei moribondi, visitandoli e

confortandoli nel Signore “( PO,6 ) .

La diaconia alle coscienze dovrà essere sempre più rigida a partire dalla

prospettiva della chiamata universale della santità di tutti i battezzati. E’

l’indicazione fondamentale del Novo Millennio Ineunte:

E in primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il

cammino pastorale è quella della santità [...]. Così, occorre allora riscoprire, in

tutto il suo valore programmatico, il capitolo V della Costituzione dogmatica sulla

Chiesa Lumen Gentium, dedicato alla ‘vocazione universale alla santità’ [...]. La

riscoperta della Chiesa come ‘mistero’, ossia come ‘popolo adunato dall'unità del

Padre, del Figlio e dello Spirito’, non poteva non comportare anche la riscoperta

della sua ‘santità’, intesa nel senso fondamentale dell'appartenenza a Colui che è

per antonomasia il Santo, il ‘tre volte Santo’ (cfr Is 6,3).

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Professare la Chiesa come santa significa additare il suo volto di Sposa di Cristo,

per la quale egli si è donato, proprio al fine di santificarla (cf. Ef 5,25-26). Questo

dono di santità, per così dire, oggettiva, è offerto a ciascun battezzato. Ma il dono si

traduce a sua volta in un compito, che deve governare l'intera esistenza cristiana:

Questa è la “volontà di Dio, la vostra santificazione (1 Ts 4,3). È un impegno che

non riguarda solo alcuni cristiani: Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono

chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” (NMI 30).

Il Papa Giovanni Paolo II sapeva che tutto questo “poteva apparire, in un

una prima occhiata, qualcosa di difficile da svolgere”. Nella realtà, però,

In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una

scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il

Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e

l'inabilitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita

mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità

superficiale. Chiedere a un catecumeno: “Vuoi ricevere il Battesimo? “significa al

tempo stesso chiedergli: “ Vuoi diventare santo? ”. Significa porre sulla sua strada il

radicalismo del discorso della Montagna: “Siate perfetti come è perfetto il Padre

vostro celeste (Mt 5,48)” (NMI, 31).

È necessario, per questo:

È ora di riproporre a tutti con convinzione questa « misura alta » della vita cristiana

ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve

portare in questa direzione. È però anche evidente che i percorsi della santità sono

personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di

adattarsi ai ritmi delle singole persone. Essa dovrà integrare le ricchezze della

proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con

forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa

(NMI, 31).

Non è omettere, silenziare o tradire la verità, ma fare in modo che questa

possa essere riconosciuta come la “buona novella” per la coscienza; non è

relativizzare i valori morali, ma evidenziare il cammino che questi indicano; non è

minimizzare o proporre un tentativo di fuggire della imperatività morale, ma

l’apertura e tensione verso la santità partendo dalle fragilità.

Tutto questo è oggi importante per affrontare costruttivamente le tante

situazioni di difficoltà determinate a partire da fare penetrare dalle informazioni dei

mezzi di comunicazione sulla coscienza. Tutto questo vale particolarmente per un

dialogo nel Sacramento di Riconciliazione.

4.5.5- Mezzi per formare rettamente la coscienza

Adesso possiamo chiarire meglio le norme ed i mezzi per la formazione di

una coscienza retta e veritiera. Tuttavia, non possiamo considerare queste norme

come una concessione da parte nostra, “perché non c’è nessun altro modo”. La

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formazione non è “un collocarsi sui i binari che ci portano per dove non vogliamo

andare”, ma i mezzi che ci portano alla verità e all’amore (infine, alla santità).

Se non agiamo così, significa che non abbiamo il desiderio di formarci.

Anche, è preciso considerare che può costare non pochi sacrifici seguire u a

coscienza rettamente formata, poiché non ci dimentichiamo che una vita cristiana

porta fino alle sue ultime conseguenze, non si può escludere la croce: “Se

qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi

segua” (Mt 16,24).

Per ultimo, al formare la coscienza, non si può cadere nella chiusura

interiore ma neanche nell’ignoranza o al disprezzo delle norme della chiesa. Una

buona educazione o formazione sarà lontano dallo scrupolo dal lassismo36.

È necessario avere idee molto chiare, e che presto si applica, ognuno al suo

modo, con libertà e responsabilità personale.

Ricercare a Dio seriamente

Una buona formazione di coscienza deve partire da una base seria di

ricerca di questo Dio-uomo, che è sceso fino a noi facendosi vicino. Una ricerca

che deve essere già segnata al suo inizio con l’onore dello sforzo e sopportare

tutte le conseguenze dell’incontro perché Cristo ci chiama non per ammirarlo come

un essere eccezionale; ci chiama per seguirlo fino che arriviamo al punto di

identificarci con lui.

Sincerità

La sincerità con se stessi, con Dio e con gli altri è assolutamente

indispensabile per coltivare una coscienza retta.

E tante volte proviamo ad ingannare a noi stessi, e subito dopo ingannare

gli altri, e per ultimo, a Dio.

Un mezzo abituale per praticare la sincerità con se stessi e con Dio e un

esame di coscienza. In questo esercitiamo in modo chiaro la responsabilità

personale per aver presente i nostri errori, per fomentare i propositi di

emendamento e per confessarci se sarà necessario, e per farci male per avere

offeso al nostro Padre Dio.

Altro mezzo importante per conoscersi meglio, conoscere meglio il Signore

e aiutarci nella sincerità è una preghiera mentale, con la quale trattiamo con Dio

delle nostre cose (gioia, fallimenti, successi, preoccupazioni...), vederli con un altra

dimensione, non solo umana e comoda ai nostri interessi personali.

Appoggiarsi negli altri

L’appoggio negli altri dovrà partire dall’umiltà di chi non sa essere

autosufficiente, ma ha bisogno. Questo aiuto potrà verificarsi in diversi modi

                                                            36 Lassismo: tollernza ecessiva della mancata osservanza di doveri e obblighi.   

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complementari tra loro: attraverso la direzione spirituale, della confessione, da un

amico che ci da un determinato consiglio, delle lezioni che ampliano le conoscenze

dottrinali, da un buon libro, ecc.

È necessario ricordare dell’importanza della sincerità al parlare di direzione

spirituale, e sarebbe bene ricordare che, essendo sinceri con se stessi, non sarà

difficile - anche se ha un costo - sia con il direttore, perché la direzione spirituale o

si va con assoluta sincerità o non si va.

La confessione è al culmine della direzione spirituale, attraverso la quale

Dio ci da la sua grazia per vincere le lotte giornaliere. La confessione non ci

perdona i peccati e ci consegue una coscienza retta, perché consacra e divinizza il

nostro desiderio di rettificare. “in effetti, la confessione regolare dei peccati veniali

ci aiuta a formare la nostra coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a

lasciarsi guarire da Cristo, a progredire nella vita dello Spirito. (CIC, 1458).

Formazione attraverso la lettura

È ovvio che se la Chiesa è depositaria e interprete autentica della verità

rilevata, il nostro primo mezzo di formazione sarà lo studio dei documenti del

Magistero, e di altri libri con buona dottrina, valutati dalle autorità ecclesiastiche

competenti.

E, tra questi, il Catechismo della Chiesa Cattolica. Al parlare della lettura dei

libri – molto necessaria – non è superfluo considerare che è necessario un buon

accessorio prima di leggere un libro, affinché questo libro aiuti effettivamente a

illuminare la coscienza e a non oscurarla.

Per riflettere:

1) Che è la coscienza morale? Per ché la coscienza è qualcosa di sacro nella

persona? Rifletti su questo.

2) Guarda la Gaudium et Spes (nº 16) descrivi il ruolo della coscienza nella

vita morale della persona .

3) Guarda come si presenta la coscienza nel capitolo 8 della Carta ai Romani.

Approfondire su questa riflessione.

4) Quali sono i tipi di coscienza che una persona può avere? E che significa

ognuna di questi ?

5) Che è una coscienza retta e veritiera? Descrivi un esempio con alcune

situazioni vissute.

6) Che può portare o condurre una persona a deviare la sua condotta morale?

Guarda alcuni esempi nella nostra società attuale.

7) Che significa dire che “La coscienza buona e pura è chiara e veritiera per la

fede ”? Come è la tua fede in questo momento ?

8) Guarda che ci insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica a rispetto della

coscienza morale. Leggere con più attenzione i numeri 1.776 a 1.794.

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9) Per ché è necessario che questo sforzo quotidiano e per tutta la vita di

formazione della coscienza morale? Dove deve essere ricercata questa

formazione?

10) Ricerca quello che dice la Familiaris Consortio, nel numero 34

specialmente, a rispetto della “formazione graduale dei coniuge” nelle

questioni morale.

11) Che significa dire che la formazione deve essere una diaconia alle

coscienze? Cerca (cercare) di riflettere un po' più di rispetto del significato

della parola “servizio”.

12) Come si definisce l’importanza dei Sacerdoti nella formazione del Popolo si

Dio?

13) E come si ve l’importanza del Sacerdote Consigliere Spirituale nella

formazione della coppia nell’equipe?

14) Come il Concilio Vaticano II delinea questo ruolo di formazione conferito ai

Sacerdote? Come valuti il vostro Parroco in questo ruolo di “formatore” della

coscienza morale del cristiano?

15) Quali sono i mezzi per formare rettamente la coscienza umana? Spiega

un po' di ogni uno di questi mezzi.

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Vediamo in questa tavola, che la storia dell’umanità è la cronaca dell’amore

di Dio verso l’uomo. Dalla creazione alla redenzione, l’amore divino non solo

accompagna la storia della umanità, ma è stato esattamente l’amore a motivare i

grandi momenti di relazione di Dio con l’uomo.

Di fatto, la Bibbia e la tradizione teologica confermano continuamente che il

motivo della creazione è che Dio ha voluto manifestare il suo amore. Anche l’

Incarnazione di Verbo è la dimostrazione più palpabile di questo amore per

l’umanità intera, che si incontrava in uno stato di prostrazione profonda. Gesù

afferma in modo esplicito: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio

unigenito” (Jo 3,16). E’, sopratutto, nella Redenzione che l’ amore di Dio per l’uomo

arriva in cima e si fa’ guida: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la

vita per i propri amici” (Jo 15,13).

Se l’amore che Dio ha per noi è come il motore della storia dell’umanità, il

ruolo che l’uomo svolge in questa storia costituisce, molto frequentemente, “l’altro

lato della medaglia”; che vuol dire, il comportamento dell’uomo e della donna in

questa grandiosa storia è , non raramente, disobbedienza a Dio.

Inoltre, la storia del male nel mondo, che ha avuto inizio con la ribellione

dell’angelo, si estende e culmina nel peccato dell’uomo.

Si può concludere, quindi, con alcuni teologi, le due realtà che compongono

l’argomento della Bibbia sono “grazia” e “peccato”; o meglio, la grazia e

misericordia della parte di Dio, e peccato della parte dell’uomo. Queste realtà

costituiscono la trama su cui si svolge il grande rapporto di Dio per l’umanità, che

si chiama “storia della salvezza”.

5.1- Il male morale e la libertà

Il messaggio del Vangelo ci dice che Dio è buono e opera la salvezza

dell’uomo e della creazione intera, nonostante il male e superando ogni male.

Anche tenendo presente questo messaggio, non è facile trasmetterlo e

incarnarlo nella vita reale, perché sembra essere contrastato a partire da

numerose e diverse esperienze umane.

In realtà, l’esperienza di tutti giorni è molto esposta al male e alla sofferenza,

e l’uomo ha l’impressione di essere un “giocattolo”. Si sente come se si fosse

intrappolato da forze immense e profonde, le quali trasmettono un altro messaggio,

TAVOLA 5 

MORALE PERSONALE: 

PECCATO E CONVERSIONE 

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ossia: non c’è salvezza, perché le molteplici manifestazioni del male sembrano

indicare che alla fine di tutto c’è la morte, la distruzione, il non senso, il cadere nel

nulla.

Infatti, la grande potenza, e allo stesso tempo le tenebre del male possono

portare a una attitudine di pessimismo, scetticismo e adesione al nichilismo.37

Ma, l’esperienza umana testimonia anche una reazione e visione

contraria di fronte al male. Essendo proprio dell’uomo l’esperienza di amare, i

colpi distruttivi del male accendono e aumentano negli uomini la voglia e la sete di

vivere, di opporsi in modo decisivo alla minaccia assurda e l’anonimato. Dicono, o

meglio, gridano: le nostre sofferenze, oppressione e infelicità, i nostri dolori e

sacrifici non possono essere per nulla.

Il proprio male e la sua assurdità (contrario al senso comune) rivelano un

desiderio incorruttibile dell’uomo per il positivo e per il bene, per la giustizia e per

il compimento, per la felicità e per significato ultimo.

La stessa esperienza di questa salvezza, questo significato ultimo, non può

incontrarsi all’interno di questo mondo in cui l’uomo vive. Il proprio fatto che la

nostra realtà umana è impegnata per il male, spinge l’uomo a cercare l’esempio e

salvezza oltre, ad una trascendenza in quel che chiamiamo Dio.

Nella realtà e la sfida del male, allo stesso tempo, collocano Dio in dubbio e

per Lui acclamano. San Tommaso D’Aquino ha espresso questo grido a Dio

con una audacia intellettuale realmente inaudita. Facendo cadere la tesi

secondo quale il male non esiste, il quale il male dimostra che Dio non esiste, fa

del male un indicatore fortissimo dell’esistenza di Dio: “quia malum est, Deus est”

(“Perché il male esiste, Dio esiste”.).

Dall’inizio della storia, l’uomo ha chiesto: com’è possibile conciliare un Dio

creatore buono e onnipotente, e il male del mondo, che grida contro il cielo? Di

fronte al male Dio può essere il senso ultimo della realtà?

Come già visto prima che il male morale è relazionato con la libertà

dell’uomo. La libertà significa che l’uomo non è una cosa statica, un oggetto.

Significa che lui non è ciecamente legato ai modelli di comportamento e

meccanismi prestabiliti. Per questo, libertà significa, prima di tutto, che l’uomo è

affidato a se stesso.

L’opzione e la decisione del male non aumentano la libertà dell’uomo e non

significano un auto realizzazione; significano, al contrario, tradire la libertà,

diminuendo le possibilità di realizzazione dell’essere umano e alienano l’unico

fondamento che può dare all’uomo vita in pienezza.

Il libro della Genesi (capitolo 3), esprime questo fatto, dicendo che si

aprirono gli occhi di Adamo ed Eva dopo della loro cattiva azione, però, per fare

accorgersi la loro nudità (Gn 3,7). Allora, la nudità, non è, in primo luogo, un

simbolo che abbia a vedere con la sessualità, ma sì un simbolo che esprime la

                                                            37  Reduzione  a  nulla:  annientamento;  non  esistenza.  Punto  di  vista  che  ritiene  che  le  credenze  e  valori tradizionali siano infondati e che non esiste alcun senso o utilità nella esistenza.  

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perdita totale della dignità e della stima; la nudità esprime l’alienazione di se

stesso. Tanto profonda è questa alienazione, che viene espressa come il simbolo

dell’espulsione dal giardino, che significa allontanarsi da Dio, unica fonte di vita e

del bene.

Così, la libertà non è frutto del male, ma il dono di Dio. Dio crea l’uomo

come un essere confidato a se stesso, come immagine del modello originale che è

il proprio Dio, al fine che possa dire liberamente che il suo si all’offerta della auto

comunicazione divina.

Dobbiamo, pertanto, dire: il male morale deriva dalla libertà dell’uomo. In

tale libertà l’uomo fu creato “molto buono” da Dio. Insieme a tale libertà anche è

data la possibilità del male, possibilità che attraverso l’azione cattiva dell’uomo

diventa realtà storica. Questo fatto non contraddice l’onnipotenza e la bontà di

Dio. Al contrario: la libertà dell’uomo è una lode costante di tale onnipotenza e

bontà,anche attraverso tutti i suoi divieti.

5.2- Problemi e sfide intorno al peccato

Un confronto sommario tra la coscienza di oggi del peccato e quella dei

tempi passati fornisce un risultato paradossale.

Il medioevo ha conosciuto uno sviluppo nella pratica penitenziale e ha

alzato discussioni, per esempio, quando, si trattava di determinare quale fosse il

peccato veniale o mortale, o se conveniva dare più peso alla materia o

all’intensione. Ma, il peccato in quanto tale non era un problema. Ogni uomo era

consapevole, ovviamente peccatore, bisognoso della misericordia divina.

Miliardi di persone realizzavano ogni giorno lunghe e stancanti pellegrinaggi

per ottenere l’assoluzione dei peccati o la remissione di pena dovuta ai peccata.

Quando il ricco nel Medioevo sentiva avvicinarsi la morte, lasciava frequentemente

in eredità alla Chiesa grandi ricchezze, nella speranza di assicurarsi il favore di

Dio.

Il nostro tempo, al contrario, è particolarmente sensibile al fatto che al

mondo gli uomini sono esposti ai forti poteri dal male. La letteratura moderna si

lieta di discutere la trama di tutto e di tutti nel contesto del male. La psicologia, le

scienze sociali e quelle del comportamento si occupano ad esaminare i

meccanismi e le strutture del male, nella speranza che una volta conosciuti torni

possibile lanciare strategie per superare il male.

Parallelamente a questo, sembra che la coscienza del peccato va come

demolendosi. Quanto più l’uomo di oggi conosce il male tanto più questo per lui

diventa un problema.

Inoltre, in un radio messaggio al Congresso Nazionale di Catechesi degli

Stati Uniti, Pio XII affermava già nel 1946:

Forse il peccato più grande del mondo di oggi è di avere iniziato a perdere

il senso del peccato.

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Questa affermazione indica, senza alcun dubbio, una tendenza innegabile

dei tempi moderni e post moderni.

Il fatto che la coscienza del peccato sta sparendo è constatato, in primo

luogo, nel piano del linguaggio. Nel campo religioso, il concetto di uomo peccatore

sembra perdere sempre di più il suo contenuto concreto.

Molti fedeli non riescono più a comprendere le distinzioni tradizionali

tra peccato “veniale, grave o mortale”, o semplicemente non vogliono più

sapere di queste graduazioni.

Nel piano del comportamento percepiamo una chiara regressione nella

pratica della confessione. Le ricerche negli anni 1980-90 indicano un grande calo

della frequenza al Sacramento della penitenza in diverse chiese locali, soprattutto,

in Europa e in America del Nord .38

Non raramente, il penitente non sa a cosa pensare e a che dire quando

arriva davanti al confessionale. Inguanto la generazione passata non incontrava

nessuna difficoltà nell’enunciare i suoi peccati secondo il numero e la specie, oggi

il confessore ascolta molto frequentemente questo ritornello: “Non so che dire; non

so dove iniziare; per favore aiutami”!

Afferma che l’uomo di oggi, anche quello che crede, non ha più nessun il

senso della realtà di che è il peccato, senza dubbio, un giudizio affrettato e

pauroso. In tutti i modi, il peccato è diventato una specie di nebbia. Tra la cause di

perdita del senso del peccato abbiamo:

a) La perdita del senso di Dio

Il Papa Giovanni Paolo II evidenzia che "la perdita del senso del peccato è

una forma o un frutto della negazione di Dio: non solo di quella negazione atea, ma

anche di quella secolarista".39

Il mondo di oggi non è caratterizzato soltanto per un processo di

secolarizzazione. Egli è diventato anche un mondo pluralista. I viaggi, gli

interscambi culturali e, soprattutto i mezzi di comunicazione dimostrano

chiaramente che ogni individuo vive in un mondo differente, che gli permette di

conoscere religioni, convinzioni, costumi le diverse scale di valore, dove non

sempre Dio è presente.

b) La libertà posta in questione

Guardando le cose più da vicino, risulta che la questione della scomparsa

della coscienza del peccato ha sempre a che vedere con la questione della libertà.

                                                            38 Non abbiamo trovato studi recenti su questo argomento. Ma Papa Francesco e le Conferenze Episcopali di vari paese hanno stimolato la catechesi sul Sacramento della Riconciliazione (confessione), sottolineando che riconoscere se  stesso come peccatore davanti a Dio è una grazia. Ma  la perplessità di molti  credenti nella pratica  penitenziale  sembra  provenire  da  quattro  grandi  serie  di  fattori:  crisi  morale;  diverse  forme  di celebrazione;  inutilità  apparente  della  confessione;  alcuni  schemi  di  esame  di  coscienza  sono  rimasti  in ritardo rispetto alla situazione attuale.    39 Vedi  Esortazione Apostolica Reconciliatio et Paenitentia, 18. 

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Il Papa Giovanni Paolo II evidenziò questa problematica nella sua Enciclica

Veritatis Splendor dicendo:

Un insieme di disciplina, raggruppati sotto il nome di “scienze umane”, hanno

giustamente attirato l’attenzione sui condizionamenti di ordine psicologico e

sociale, che pesano sull’esercizio della libertà umana. La conoscenza di tali

condizionamenti e l’attenzione che viene loro prestata sono acquisizione

importante, che hanno trovato applicazioni in diversi ambiti dell’esistenza, come

per esempio nella pedagogia o nella amministrazione della giustizia. Ma alcuni,

superando le conclusioni che si possono legittimamente trarre da queste

osservazioni, sono arrivati al punto di mettere in dubbio o di negare la realtà

stessa della libertà umana.

Per molti, tutto quello che si contrappone ad una tale libertà, come di questa

preesistente, nasce quindi necessariamente come una limitazione e minaccia:

tradizione e autorità, cultura e istituzioni. È necessario, soprattutto, sovrapporre a

un esame radicale, per mezzo di una ermeneutica del sospetto,40 quando tale

realtà preesistente si fanno passare per norme e valori.

c) Un concetto ristretto del peccato nella teologia morale

Non solo le opzioni filosofiche e teologiche fondamentali contribuiscono per

la scomparsa della coscienza del peccato; contribuiscono per questo, anche, certe

concezioni ristrette della propria Teologia Morale.

Al passare del tempo il peccato passa ad essere considerato come una

cosa semplice, che risulta più lieve o più grave esclusivamente e secondo le

circostante giuridiche41. Non sono considerate, per esempio, le circostanze nella

quale il peccatore che si confessa ha agito, e le intenzioni per la quale è stato

motivato ad agire.

La dimensione della misericordia e della riconciliazione era quasi

inesistente. Permane, pertanto, una immagine ridotta e falsa di Dio.

d) Il modo corretto di parlare del peccato

Il punto di partenza deve essere l’uomo concreto nella sua orientazione a

Dio. L’uomo è, di fatto, il soggetto del peccato. Due elementi occupano una

posizione chiave in questa analisi: la relazione tra l’uomo e Dio, e la questione

della libertà dell’uomo. Da qui derivano due esigenze fondamentali :

Sul piano antropologico è importante chiarire, prima di tutto,la

relazione male/colpa/peccato e libertà;

Sopra piano teologico è importante mostrare che è possibile parlare

correttamente di peccato alla luce della grazia di Dio, che appare in

Gesù Cristo per la salvezza degli uomini (cf. Tit 2,11).

Solamente alla luce della santità e misericordia di Dio torna chiaro quel che

è il peccato. Solamente dinanzi a Dio il peccato rivela tutta la sua essenza

negativa e distruttiva.                                                             40 Che è il contrario della ermeneutica dello afidarsi. 41 L’obbiettivo è quello di classificare meglio il peccato secondo il suo tipo e il suo grado di gravità.  

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Il peccato non è semplicemente una piccola falla nel meccanismo del

mondo; non è semplicemente una mancanza di rispetto a qualsiasi prescrizione;

ma è il rifiuto di quel Dio Santo che ha dotato l’uomo di libertà; è il rifiuto di quel

Dio che va all’incontro dell’uomo con un amore infinito, anche quando l’uomo

pecca; è la rifiuto di quel Dio che, per tutte le creature è il cammino, la verità e la

vita (Jo 14,6).

Con il rifiuto di Dio è implicitamente rifiutato tutto quello che sta in relazione

con Dio, e solamente sopra la base di tale relazione che questo rifiuto può essere

propriamente individuato e valutato. E dove tutto questo accade, il peccato diventa

necessariamente una idolatria di tutto quello che non è Dio ed è, pertanto, nulla.

5.3- Il peccato nella Sacra Scrittura

Il peccato tocca il centro più profondo dell’esistenza umana. Questa è in un

ultima analisi, la volontà di non realizzare la libertà e non entrare in relazione con

Dio. Per questo, è opportuno girarsi e guardare per la Sacra Scrittura.

La Bibbia conosce a fondo la realtà del peccato. Tuttavia, questo non è in

alcun modo il suo tema principale. La tematica principale della Sacra Scrittura è la

lode e la glorificazione di quel Dio che creò il mondo e l’uomo per potere entrare in

una relazione di amore con le sue creature, e fà di tutto per proteggere e salvare

tale relazione, anche a costo di darsi in maniera molto radicale.

La Bibbia non parla, pertanto, nell’origine e neanche nel principio del

peccato, anche se lo menziona in quasi tutte le pagine. Tutti gli enunziati su Adamo

e sull’umanità peccatrice sono subordinati all’annunzio della salvazione definitiva

universale in Gesù Cristo.

Siamo capaci, pertanto, di delineare la teologia biblica del peccato soltanto

se, allo stesso tempo, facciamo brillare in maniera infinitamente più forte la

teologia biblica della grazia.

5.3.1- Aspetti del peccato nell’Antico Testamento: il peccato come rottura

dell’alleanza

L’Antico Testamento non ha elaborato nessuna teologia sistematica del

peccato. Basta sfogliarla per rendersi conto che lui parla molto raramente in termini

sistematici a rispetto dei peccati. Ma, dedica molto spazio alla perdita dell’uomo,

già li nella storia dell’origine (Gn, 1-11). La storia dell’origine ha di fronte agli occhi

l’orizzonte universale del mondo e dell’uomo, e traccia le costanti di tutto quello

che seguirà.

La storia dell’origine conta, per così dire, passo a passo, questo

comportamento sbagliato dell’uomo dinanzi a Dio, a cominciare da Adamo ed Eva,

i primi rappresentanti dell’umanità, fino alla superbia della costruzione della Torre di

Babele.

I profeti testimoniano continuamente la universalità di questo peccato in

Israele: vedi Geremia 6,28; Osea 1,2; 6; 9.

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Lo stesso quadro è tracciato nella letteratura della sapienza: vedi

Ecclesiasti 7,20; Jó 4,17-21; 15,14-16; 25,4-6; Salmo 50(51).

L’ Antico Testamento evidenzia la natura collettiva del peccato, quando

dichiara tutta una città peccatrice da cima a fondo. La città ritorna, per così dire,

come una metafora della peccaminosità collettiva nei suoi diversi aspetti. Sodoma

e Gomorra rappresentano una perversione sessuale collettiva (Gn, 19). A Babele

della Genesi 11 ritorna l’espressione di quella illusione collettiva, che induce l’uomo

di tutti i tempi a elevarsi sopra il Divino e in virtù delle proprie forze e prestazioni.

Il periodo di esilio, la distruzione di Gerusalemme e il collasso del vecchio

ordine anche profondamente scosso dalle idee religiose tradizionali degli israeliti.

Il quadro decisivo dentro il quale questo peccato nasce, è, nella maggior

parte dell’Antico Testamento, la rottura dell’alleanza tra Dio e il suo popolo.

Con la conclusione dell’alleanza nel Sinai, Mosè e Israele diventarono

alleati, e hanno assunto solennemente un impegno reciproco e giurarono fedeltà

perenne (Ex 20,24). Sono, soprattutto, i profeti a etichettare il peccato come una

rottura di alleanza da parte degli uomini e a fare luce sopra le diverse attitudini che

lo conducono a questo .

In Amos si tratta di ingratitudine; in Osea della infedeltà; in Isaia della

presunzione; in Geremia dell’ostilità contro a Dio, che fermenta segretamente

nell’intimo del cuore. Questi differenti aspetti, secondo i quali i peccati possono

occorrere, presuppone una inclinazione radicale per disubbidire al alleato

dell’alleanza.

La Sacra Scrittura indica tale disobbedienza specialmente con queste

parole: "Non dare ascolto alla voce del Signore, non ubbidirlo" (Dt 8,20;

9,23,18,16; 28,15.45.62).

Specialmente Geremia accennerà, nei suoi sermoni il peccato, questa forma

di disobbedienza, che chiude le orecchie e il cuore, al fine di essere capaci di

allontanarsi dal Dio dell’alleanza:

Ma essi non ascoltarono né prestarono orecchio, anzi procedettero secondo

l’ostinazione del loro cuore malvagio, e invece di voltarmi la faccia, mi voltarono le

spalle (Jr 7,24).

Tutti questi aspetti sono i riflettori, che fanno apparire i diversi lati del

peccato come una rottura dell’alleanza. L’essenza del peccato torna visibile

nel punto focale della violazione del patto di alleanza.

La ragione fondamentale che induce l’uomo a tradire l’alleanza con Dio è

l’orgoglio presuntuoso, che desidera prendere il posto di Dio e, così, non riconosce

più a Dio come l’interlocutore che è di fronte a lui e che fonda questa relazione

reciproca .

La relazione originale tra Dio e l’uomo è descritta per la Bibbia come una

relazione fatta di amicizia, fiducia e familiarità. Dio ha creato il mondo e l’uomo per

l’amore (Sb 11,24-25), per iniziare una storia tra Lui e la creatura umana. Questo si

esprime, soprattutto, per il fatto che l’uomo è modellato all’immagine di Dio. l’uomo

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è creato a immagine di Dio, in modo che sia capace di rispondere alla chiamata

del modello originale.

Per la Sacra Scrittura, il comandamento non è uno strumento di

pressione, ma serve per rendere possibile la libertà concreta. Il

comandamento, quindi, rende possibile la libertà, ma allo stesso tempo delimita il

suo spazio. Il comandamento stabilisce i limiti e chiarisce le relazioni. In esso si

manifesta chi è il creatore e chi è la creatura, chi è il donatore originale e chi è per

principio il recettore.

5.3.2- Aspetti del peccato nel Nuovo Testamento

Anche il Nuovo Testamento, è simile all’Antico, non si propone di formulare

una teoria sistematica del peccato. Esso semplicemente presuppone il potere del

peccato e le varie forme di peccati individuali.

Tanto Gesù come la comunità primitiva lo utilizzavano per capire il peccato

trasmesso a partire dagli scritti dell’Antico testamento. L’incredulità, che porta a

rifiutare il Messia, è criticata per Gesù stesso (Mt, 23) e per Stefano (At, 7,51ss.)

come una continuazione dei peccati dei genitori.

Nella sua carta ai Romani, Paolo inizia la sua dottrina di redenzione

descrivendo la peccaminosità dei pagani e dei giudei, e arriva alla conclusione

che tutti loro sono sotto l’ira di Dio: "Non c’è nessun giusto, nemmeno uno" (Rm

3,10).

Questa nozione di universalità del peccato, ereditata dal Vecchio

Testamento, induce anche in Nuovo Testamento, a usare una varietà di termini,

immagini e concetti, quando il soggetto se rivolge al peccato e al peccatore.

Come regola generale, possiamo dire che nei Vangeli sinottici42 le

affermazioni sul peccato sono ancora ben poco sistematizzate. Questo non solo

perché egli rappresenta un certo numero di termini differenti, ma anche perché

questi termini, quando si tratta di sostantivi, stanno molto spesso al plurale.

Esso mostra che i Sinottici pensano, in primo luogo, nelle azioni

peccaminose individuali, che possono essere realizzati in modo concreto in molte

varietà di forma.

Invece di tutto questo, nella teologia paolina si nota una chiara tendenza per

la sistematicità. Questo risulta di fatto che l’apostolo dei cristiani, con poca

eccezione, usa la parola peccato nel singolare. Come questo, egli non dice che,

per lui, non esistono peccati individuali, ma molto più “i peccati”, quel principio

che manifesta una orientazione sbagliata e corrotta di tutta la persona umana. Il

peccato è uno stato e un potere, che domina sopra tutti gli uomini individualmente

e sopra l’umanità nel suo complesso.

                                                            42  I Vangeli di Matteo, Marco e Luca sono conosciuti come vangeli sinottici perchè contengono una grande quantità di  storia  comune, nella  stessa  sequenza,  e  tavolta usano esattamente  la  stessa  struttura e usano anche  le stesse parole. Mmolti studiosi ritengono che questi vangeli condividono  lo stesso punto di vista e sono chiariamente connessi tra di loro.  

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Paolo distacca questo, soprattutto, nella carta ai Galati (Gl, 3,22) e ai

Romani (Rm, 6,6.17.20), dove afferma che solo la fede in Gesù può liberare e

redimere il peccato.

Al contrario di Paolo, Giovanni vede nel peccato una stadio presente

nell’intimo dell’uomo, più che un potere dominante sopra l’uomo. La natura di

questo stadio si rileva a noi nella migliore forma nella prima lettera di Giovanni, che

identifica il "peccato" come la volontà in noi di prestare attenzione alla chiamata

della grazia, che è fatta in Gesù (1Jo 3,4b).

Il “peccato" è, pertanto, alla base, un rifiuto in riconoscere e

confessare la vera natura di Gesù Cristo. L’essenza di Gesù contiene anche il

suo amore, il quale torna visibile in maniera insuperabile precisamente in Gesù

(1Jo 4,7ss.). In maniera coerente, la prima lettera di Giovanni colloca, per lui, il lato

del peccato di eresia, il peccato di odio contro il fratello (1Jo 2,9-11).

Avere odio e incredulità, il peccato si immerge, in ogni caso, nell’oscurità,

nel buio. Nella terminologia di Giovanni, l’oscurità sta in netto contrasto con Dio,

che è luce. Il rappresentante del buio è il diavolo, a cui Giovanni dà il titolo di

“principe di questo mondo”. Il mondo intero mondo giace nel potere del maligno.

Questa è il buoi e l’oscurità, ed è soggetta al verdetto del peccato. Così, la

concezione del mondo è rivestita da un significato negativo sotto il profilo etico e

religioso. Coloro che amano il mondo sono in disaccordo con l’amore di Dio (1Jo

2,15).

In questo senso, gli scritti di Giovanni rappresentano una specie di circolo.

Da un lato, il peccatore è responsabile per i suoi peccati, porta le sue colpe nel

cammino nell’oscurità. Da l’altro lato, egli pecca, necessariamente, perché nelle

sue tenebre e nella sua qualità di figlio il diavolo non può non farlo sbagliare. Il

peccato è, pertanto, allo stesso tempo, causa e effetto, elemento costitutivo e

fenomeno conseguente.

Solo un cammino porta fuori da questo circolo vizioso: la fede in Gesù.

Il Vangelo di Giovanni l’illustra estensivamente e in forma eloquente nella narrativa

della cura dell’uomo nato cieco (Giovanni 9). Solo Gesù e la fede in lui può fare

entrare la luce nelle tenebre del cuore, perché Gesù è la luce del mondo. Quello

che, al contrario, credono che possono vedere questa luce senza Gesù

ignorandolo, rimangono nel peccato (Giovanni 9,41).

Il rifiuto consapevole di vedere Gesù e accoglierlo con fede, può portare al

"peccato che conduce alla morte", come dice la prima lettera di Giovanni (1Jo

5,16). Questo peccato è imperdonabile per quelli che negano che in Gesù è

apparso il proprio Dio; così sapendo che ,egli nega che Dio è amore.

Dio, di fatto,rivelò il suo amore “inviando al mondo suo Figlio unigenito, così

che noi potessimo avere vita per mezzo di lui" (1Jo 4,9). Ma, questa rilevazione è,

allo stesso tempo, la prova, che con Cristo è venuto al mondo.

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5.4- Nozione di peccato mortale e veniale

La distinzione del peccato in mortale e veniale è stato un fattore decisivo

per la formazione della coscienza morale cristiana e una scrittura importantissima

nella pastorale, soprattutto penitenziaria. Questa distinzione è stata , nella teologia

e nella pastorale, una relazione stretta con aspetti importanti del cristianesimo:

privazione o non privazione della grazia; possibilità di accedere alla Eucarestia-

Comunione. Inoltre, in questa distinzione si afferma la salvazione o la dannazione

eterna.

Mentre le altre divisioni del peccato sono collocate sull’oggetto o valore di

compromesso (distinzione specifica; distinzione numerica; peccati interni -esterni;

peccati capitali, ecc.), la divisione tra peccato mortale e veniale si trova nel

compromesso definitivo cristiano. In essa si mette in gioco “essere o non essere”

della vita cristiana del credente.

Per questo, è necessario conoscere bene la nozione dei termini e i concetti

del peccato mortale e del peccato veniale.

5.4.1- Storia della distinzione tra peccato mortale e veniale

Come si è arrivati a questa formulazione vigente, che distingue tra peccato

mortale e veniale ? Questa formulazione appartiene al nucleo della comprensione

cristiana? O meglio, si tratta di una formulazione storicamente condizionata, e per

questo soggetta a revisione?

a) Origine biblica di distinzione

La Sacra Scrittura non offre a noi una distinzione tra peccato mortale e

veniale. Ma, nel valutare che la Scrittura dei peccati una graduazione, ha “un più e

un meno”.

b) La pratica penitenziale

Negli scritti dell’inizio del cristianesimo (Padri apostolici) incontriamo un

elenco di vizi e virtù. Tuttavia , tra poco appare una nitida distinzione del peccato

mortale e peccato veniale come nella nostra guida morale. Si sapeva che un

peccato era molto grave di un altro, ma, la distinzione tra peccati “maggiori” e

“minori” era molto imprecisa.

Sarà la pratica penitenziale che dovrà introdurre maggiori dettagli

nell’apprendere dalla maggiore o minore gravità dei peccati.

Esiste una correlazione tra la storia del Sacramento di Penitenza e la storia

della distinzione dei peccati a causa della loro gravità. Nella penitenza canonica

(sec. III-VII) si considerava come grave il peccato della famosa triade: apostasia,

adulterio e omicidio. Nell’epoca del “prezzo della penitenza” (sec. VII-XII) si

stabilirono liste molto precise e dettagliate del peccato “grave” e “piccolo”. La

pratica penitenziale attuale (sec. XIII-XX) sta condizionata dalla nozione dei

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peccati mortali; solo è obbligatorio confessare i peccati mortali; e in questo una

persona può comunicare.

Questa correlazione tra pratica dei peccati e distinzione della gravità nei

peccati è molto importante; da essa possiamo dedurre conseguenze importanti per

la teologia del peccato e per la pastorale della penitenza.

c) Riflessione teologica

È necessario distaccare un altro fattore di grande importanza nella storia

che prende coscienza sulla distinzione tra peccato mortale e veniale. È una

riflessione teologica.

Questa riflessione teologica cominciò a realizzarsi tra i Santi Padri. Entro la

fine dell’epoca dei padri, oltre dei “crimini” che separano il credente dall’altare e

che esigono la pratica di penitenza canonica, fecero una distinzione tra peccati

mortali e veniali (= “mortiferi” e “quotidiani ”).

Così, Santo Agostino ammette che, per la remissione dei peccati quotidiani,

basta un a preghiera, l’elemosina, il digiuno. D’altra parte, Santo Agostino, insieme

a San Gerolamo, rifiuta l’opinione degli storici e dei scrittori cristiani influenzati

dalla storia che tutti i peccati sono uguali.

La distinzione tra peccati mortali e veniali incontra la sua riflessione

teologica nel rinascimento teologico del medioevo. Nel secolo XII, nasce la

discussione sul peccato veniale, in questa si considerava come peccato materiale

senza importanza. Nel secolo XIII si fa una considerazione molto profonda sulla

distinzione tra peccato veniale e mortale, per la ragione della sua relazione con

Dio, con l’ultimo fine e con la legge.

Fu soprattutto San Tommaso che fece una seria riflessione teologica sul

peccato e, concretamente, sulla distinzione tra peccato mortale e peccato veniale.

E la riflessione che ha prevalso nella teologia cattolica, soprattutto attraverso

l’opera dei commentatori alla Somma Teologia.

d) La moralità casistica

La dottrina di Tommaso fu estesa per Morale Casistica in due direzioni:

elemento oggettivo e elemento soggettivo.

I casisti realizzarono una opera finita di precisioni e distinzione, come si può

vedere in qualunque guida morale. Il punto principali in cui si basa la dottrina

vigente sopra la distinzione del peccato mortale e veniale sono i seguenti:43

È dogma della fede che non tutti i peccati sono uguali (cioè, alcuni

sono più gravi di altri); le prove di questa affermazione provengono

dal Magistero della Chiesa, dalla Sacra Scrittura, dalla tradizione dei

Padri e dalla ragione teologica;

                                                            43 M. ZALBA. Theologiae Moralis compendium, I (Madrid, 1958). 

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Il giudizio sopra sulla gravità dei peccati può essere formato a partire

da alcune regole fatte di moralisti;

Dentro questa maggiore o minore graviti, se deve ammettere come

dottrina di fede che alcuni peccati sono mortali (gravi) e altri veniali

(leggere);

Dentro ciascuna specie (mortale-veniale) esiste anche una diversità

di gravità;

Il peccato mortale è un atto morale e perfettamente libero, dove

l’uomo si posiziona contro la legge divina e semplicemente si

allontana dal proprio Dio, che l’ultimo fine; alla massima gravità tra i

mali che possono capitare all’uomo;

Gli effetti dei peccati mortali sono: privazione della grazia santificante,

ragione della amicizia divina, perdita dei meriti (ma no una perdita

definitiva);

Le condizioni perché si dia il peccato mortale sono: peccato materiale

grave, piena consapevolezza, pieno consenso ;

Le condizioni che si dia il peccato veniale sono: un poco di malizia

dell’oggetto, un poco di consapevolezza e un poco di consenso.

e) Magistero della Chiesa

Il magistero della Chiesa suppone la distinzione tra peccati mortali e veniali.

In confronto il pensiero dei Pelagiani,44 sostiene che non tutti i peccati rimuovono la

giustizia. In confronto il pensiero dei Protestanti, afferma che possono verificarsi

peccati mortali tra i fedeli.

Il Magistero della Chiesa insegna che ai peccati mortali corrisponde una

pena eterna, e ai veniali una pena temporale. Afferma la necessità di confessare i

peccati mortali. Condanna la tesi secondo cui non esistono peccati veniali “ex

natura sua”.

Questi sono le principali posizioni del magistero della Chiesa prima della

distinzione del peccato in mortale e veniale.

5.4.2- Nuovi punti di vista sulla nozione di Peccato Mortale

La formulazione della morale casista, basata in parte nella riflessione

teologica di Tommaso, acquisisce una accettazione teorica e pratica durante

l’ultimo secolo.

Dal Concilio di Trento, questa dottrina è stata configurata in modo da

intendere la distinzione gravità del peccato, e tiene in considerazione la pratica del

Sacramento della Penitenza (soprattutto nei suoi aspetti di obbligatorietà e di

                                                            44 Il pelagianismo fu un concetto teologico che negava il peccato originale, che però non macchiò la natura umana , il  libero arbitrio, (schiavitù, prigioniero) ovvero arrivare alla salvezza senza la necessità della grazia divina.  Il termine deriva dal nome Pelagio della Bretagna. 

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dichiarazione), e, in parte, la pratica del Sacramento della Eucarestia

(nell’inclinazione alla partecipazione nella comunione).

Questa distinzione del peccato in mortale e veniale ha configurato anche

tanta parte della preghiera e della vita cristiana. Da anni che si cominciò a avvertire

dei chiari sintomi di malessere nel modo di interpretare queste distinzioni. Ha dato

un progressivo aumento dei peccati mortali, in funzione del tipo di analisi fatto per

mortalità e per una esacerbazione della coscienza cristiana.

Da un lato, questa proliferazione dei peccati mortali, in alcune aree di

comportamento morale, è stata accompagnata da una mancanza di coscienza

morale. Dall’altro lato, pare innegabile che il comune denominatore dell’istruzione

religiosa e del sentire del Popolo cristiano sul peccato faceva ricadere sulla misura

del peccato, piuttosto che comprendere la sua intensione morale.

Il malessere ha portato a un ripensamento della dottrina vigente.

Ripensando quel che è stato fatto dai presupposti di una considerazione più

personale della morale e da una conoscenza più esatta della psicologia umana.

a) Peccato mortale in prospettiva di “opzioni fondamentali”

Nel ripensamento attuale della distinzione del peccato in mortale/veniale si

osserva una certa umanità nel definire il peccato mortale nella prospettiva delle

opzioni fondamentali. Come esempio, ricorriamo al punto di vista di B. HÄRING:45

Si evidenzia la naturalezza della distinzione tra peccato mortale e

veniale: “la differenza tra peccato mortale e peccato veniale è

immensa e qualitativa. Per questo, la ragione specifica della sua

differenza non può essere in alcun modo soltanto quantitativa. Nella

migliore tradizione che è arrivata, ancora oggi, si sostiene una

differenza specifica tra peccato mortale e peccato veniale. Questo

significa che il concetto del peccato non è univoco , ma analogo”.

Dall’altro lato, si ritiene che la differenza tra l’uno e l’altro non si può

concretizzare esclusivamente o preferibilmente dall’oggetto. “Il

peccato mortale è una determinazione, libera e profondamente

cosciente, contro i comandamenti del Signore. Tale determinazione

deve provenire direttamente dal centro della capacità deliberativa

dell’uomo, in modo tale che l’uomo, con la sua decisione, si esprime

e si orienta contro l’amicizia del Signore”.

“Quando la libertà umana si ritrova compromessa e sotto lo stimolo

della concupiscenza o dalla pressione dell’ambiente, il peccato

mortale può esserlo veramente se tocca l’intimità della persona

                                                            45  B.  HÄRING,  Pecado  y  secularización, Madrid,  1974,  133‐151.  Da  questo  orientamento  personalistico  in considerazione  al  peccato  e  alla  nozione  di  peccato  mortale,  condividono  molti  altri  teologi:  J.  FÜCHS, Theologia  Moralis  Generalis,  II  (Roma,  1966‐67),  138);  L.  MONDEN,  Conciencia,  libre  albedrío,  pecado, Barcelona  1963,  50).  Anciaux  (P.  ANCIAUX,  Das  Sakrament  der  Busse,  Mainz  1961,  37‐41),  Rahner  (K. RAHNER, Gerecht und Siinder zugleich: «Geist und Leben», 36 (1963), 434‐443), Scheffczyk (L. SCHEFFCZ'XK, Pecado:  Conceptos  fundamentales  de  Teología,  III,  Madrid  1966,  387‐398.),  Schoonenberg  (P. SCHOONENBERG, El poder del pecado, Buenos Aires 1968), etc. 

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libera; questo è, quando l’uomo avverte in maniera sufficiente e

equilibrata che si tratta di una decisione che fornisce una

orientazione finale della sua vita e, quindi, consente liberamente”.

“L’elemento decisivo del peccato mortale è, pertanto, l’origine

dell’atto dal profondo del proprio cuore malvagio e con tale misura

della conoscenza e della libertà che può imprimere a tutta la vita una

orientazione contraria al Signore”.

5.5- Prossima occasione del peccato

a) Occasione volontaria e occasione necessaria del peccato

Il concetto di occasione di peccato e un concetto relativo. Il che per alcuni è

occasione remota del peccato, per altri risulta essere una occasione prossima.

Un insieme di circostanze o da un ambiente si considera essere

un’occasione remota di peccato se la tentazione che ne deriva è lieve e facile da

superare per la persona in questione.

D’altro lato, se è forte e non facile da superare, la tentazione risultante di

tale circostanze e di tali ambienti, quindi, si parlerà di occasione prossima del

peccato.

Una persona deve stabilire se l’occasione del peccato è volontaria o

necessaria. È occasione volontaria e può essere evitata da una persona di buona

volontà. Non succede così nell’occasione necessaria del peccato.

b) L’occasione prossima del peccato

Umanamente è impossibile evitare tutte le occasioni di peccato. Che cosa

può fare una persona, è equilibrare sinceramente la propria forza in relazione alle

forze che lo tentano. Quindi, la stessa si pone in una posizione che può

prudentemente determinare un rischio e che si trova, ad agire di conseguenza.

c) Visione cristiana di ambiente

I manuali della teologia morale del secolo passato vedevano nell’ambiente

una possibile occasione di peccato. In questo modo, considerare l’ambiente

esclusivamente come una minaccia è anche difficilmente conciliabile con la nostra

missione di cristiano, di promuovere nella nostra società la libertà dei figli di Dio.

Considerare le cose in tal modo è una visione negativa, che può, inoltre, essere

dannosa in senso psicologico.

San Paolo ci mette in guardia contro il pericolo di presentare al popolo una

raccolta morta di prescrizioni e proibizioni: “Fai questo”, “non fare quello”. Quindi

ha scritto:

Cosa diremo, allora? Che la legge sia peccato? Non ci pensiamo! Ma io non avrei

conosciuto il peccato se non esistesse la legge, non avrei conosciuto la

concupiscenza se la legge non avesse detto: Non desiderare. Ma, il peccato colta

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l’occasione per mezzo del comandamento, produsse in me ogni concupiscenza...

(Rm 7,7-8).

Insieme alla legge, dobbiamo ispirare i motivi che inducono il cristiano a

morire spiritualmente a sé. Se non riusciamo a infondere in un cuore umano

incentivi per vivere una nuova vita dedicata a Dio, la legge servirà solo per

suscitare la curiosità per la cosa proibita.

Affinché il cristiano possa agire efficacemente nella società, deve assumere

il comando dei suoi vizi, e di quello delle sue virtù. Solo così può immunizzarsi

contro il male del suo tempo.

È, pertanto, indispensabile che l’educazione cristiana produca uomini e

donne maturi, che comprendano il valore dell’autorità e della responsabilità

personale. Perché questi sono gli uomini e donne che devono incontrarsi di fronte

con la società e, con la forza delle loro convinzioni, devono aiutare e illuminare gli

angoli ed i vicoli della società secolare.

Non possiamo preparare un cristiano per il suo posto nel mondo

alimentandolo con una dottrina di obbedienza cieca.

Dai i primi anni i bambini devono apprendere la gerarchia dei valori; ad essi

si deve insegnare ad apprendere i valori della loro religione, dalla loro famiglia e

dal loro ambiente. La loro educazione deve indirizzarli per una profonda

penetrazione nei valori e per una maturità che gli permette di essere fermamente

attenti ai principi e alle credenze acquisite nella loro formazione cristiana.

Fai una riflessione a partire dal quotidiano della tua vita, cercando di vedere:

Quali sono le occasioni che possono rappresentare un pericolo per la

mia fede e per la fede del cristiano in generale?

Quali sono le occasioni del peccato contro la carità e la giustizia?

Quali sono le occasioni del peccato contro la castità e la fedeltà

coniugale?

Quali sono le occasioni del peccato nel mio impiego o luogo di

lavoro?

5.6- La conversione: in che consiste?

Il primo significato del termine conversione, che sta nella radice all’origine

della parola e in tutti i sui derivati, contiene una esperienza umana, estranei a

qualsiasi dimensione religiosa. Suppone l’idea di essere sbagliato nel seguire un

cammino, e la necessità successiva di prendere una direzione differente. È un

ritorno, al fine di orientarsi per una meta che si pretende raggiungere e non per

perdersi per “percorsi” che non portano da nessuna parte. È il riconoscere l’errore

ed il desiderio di correggerlo.

Questa stessa esperienza si ripete anche nella vita del credente. La nostra

opzione fondamentale barcolla e, qualche volta, si può rompere per causa della

falsità, della debolezza e dalla incoerenza. È necessario riconvertirsi nuovamente

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per tornare sul cammino corretto. Conversione è, quindi, un cambiamento che

ristabilisce un amicizia con Dio e allontana il credente dal peccato.

La vita cristiana è in costante processo di conversione, perché nessuno può

essere soddisfatto con quello che realizza. Tra l’ideale evangelico e la pratica

concreta ha un disadattamento che la persona credente deve eliminare. Si tratta di

uno sforzo di miglioramento e di conversione che non smette mai completamente.

La conversione cristiana non consiste in ottenere una buona nota e figurare

nel quadro dell’onore, nell’avanzare nel cammino di perfezione, della santità.

quella conversione richiede un ricerca, con tutto l’impegno, e una consegna

radicale a Dio per amarlo sopra ogni cosa, cominciando a partire dalla propria

incoerenza e limitazione umana.

La conversione è una consegna; per quanto, che non sarà vera in quanto

non si apre anche a una dimensione sociale e comunitaria, al fine di superare il

pericolo di un etica troppo individuale.

5.7- Il vangelo incarnato della conversione

Cristo, vero figlio di Dio e vero Figlio dell’uomo è il Vangelo vivo, il

sacramento della conversione. Egli è il Profeta (che smaschera tutta l’alienazione e

porta alla riconciliazione). Egli è l’Alleanza (l’incarnazione della solidarietà

salvifica).

a) Cristo è il Sacramento originale della conversione

Cristo simbolizza e porta alla luce la realtà della conversione. Egli porta

all’umanità l’esperienza salvifica della vicinanza di Dio, e chiama tutti gli uomini per

rivolgersi a Dio. Egli è il messaggero della Buona novella della conversione. Egli è

il “tempo favorevole” annunciato dai profeti, che proclama la venuta del regno di

Dio .

La conversione ritorna ancora possibile e, per questo, diventa un

comandamento. Non è solo una conversione intellettuale e morale. Il suo

contenuto principale è la fede, come accettazione gioiosa, grata e umile di colui

che è la Verità, il Cammino e la Vita. La fede è una risposta totale della vita, è

dedicazione a Cristo, dentro delle norme del mistero pasquale. Conversione, la

luce del mistero pasquale e del Vangelo di Gesù Cristo, significa, soprattutto, la

rimozione totale del peccato, l’egoismo, l’arroganza, l’orgoglio, l’alienazione.

L’espressione greca usata per conversione è metanoia (trasformazione

spirituale). Essa comprende il pentimento e profonda tristezza a causa dei peccati.

Il significato essenziale è quello di un nuovo rapporto con Dio, di un ritorno alla

casa del Padre, di essere a casa con Lui. È una totale dedicazione a Lui, che è la

verità; un “si” totale alla verità e al cammino che Lui ci insegna.

La conversione coinvolge tutto l’essere umano in tutte le sue relazioni

fondamentali. Il punto centrale della conversione cristiana è sempre Cristo. È il

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desiderio ardente di conoscerlo in tutte le loro relazioni, di seguirlo ed accettarlo

come Signore e Salvatore.

Chiunque si converte a Cristo sa che è accettato senza alcun merito. Il vero

convertito è con e in Gesù Cristo, come segno e parte vivente del regno di Dio. La

conversione a Cristo è per i suoi discepoli la partecipazione nella loro libertà e

fedeltà creativa; rappresenta assumere un ruolo di co-attore nel lavoro continuo di

redenzione e liberazione.

b) Cristo profeta – liberazione dall’alienazione

I profeti non insegnarono dottrine astratte. Essi erano sempre chiamati a

predicare la conversione e, con questo obiettivo, smascherare il peccato alla luce

della bontà e della giustizia divina.

Invita alla conversione ogni individuo nell’intimo del loro cuore, ma, allo

stesso tempo, anche al rinnovamento dei costumi e al cambiamento delle strutture

di autorità. Egli proclama la sovranità di Dio e la sua azione salvifica, per cui

nessuno può scusarsi se non corrisponde alla richiesta alla conversione.

Cristo è il profeta per eccellenza. In Lui il regno di Dio è visibile. Con Lui è

arrivato la “fine del tempo”, il “momento favorevole”. In tutti i sermoni di Gesù

risuona profeticamente l’invito a fare saggio uso di questo tempo favorevole. Cristo

recrimina i peccati di quelli che proclamano la propria giustizia, degli ipocriti, di

quelli che usano la religione per la loro auto esaltazione (cf. Lc 15,7).

c) Cristo, colui che riconcilia

La nostra conversione deve essere vista interamente alla luce della propria

iniziativa di Dio. È l’accettazione della riconciliazione concessa da Dio attraverso

Gesù Cristo e dalle ispirazioni dello Spirito Santo. Questa è la “nuova creazione”.

Poiché questa nuova creazione è iniziativa spontanea di Dio, non può

lasciare di essere recepita per noi con gratitudine infinita. Quando non esiste

gratitudine, si perde il dono, e la generosità di Dio è disonorata. Tale gioia e

gratitudine generano le energie necessarie per vivere sul piano della

riconciliazione. La “nuova creazione” che San Paolo chiama di riconciliazione (cf.

2Cor 5, 17-19), significa soprattutto una nuovo tipo di relazionarsi.

È importante guardare la riconciliazione come iniziativa creativa di Dio.

Questo ci consente di dare una risposta creativa e di accettare fedelmente le

nostre responsabilità di fronte alla riconciliazione del nostro mondo, al fine di

essere ambasciatori di pace a tutti i livelli e in tutte le dimensioni.

d) “Che lo Spirito Santo scenda su di noi e ci purifichi”

Riconciliazione e conversione costituiscono l’opera dello Spirito Santo che ci

dà un “nuovo cuore”, senza il quale nuove relazioni sarebbero impossibili. Le

ispirazione dello Spirito ci permettono a proseguire nella continua conversione, alla

totale purificazione della mente, del cuore e della volontà.

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La venuta dello Spirito Santo segna l’epoca escatologica46 e il richiamo più

urgente per il cambiamento e la purificazione radicale, e al ritorno a Dio. Dall’inizio

alla fine, tutto è opera dello Spirito Santo, ma queste ispirazione consentono ed

esigono la nostra cooperazione creativa e fedele.

Solamente confidando nello Spirito Santo e ad essere sensibili alle sue

ispirazioni possiamo vivere la conversione permanente che ci fa sempre più

conformi a Cristo crocifisso e risorto.

e) Cristo, il liberatore della solidarietà nel peccato

Un approccio puramente e principalmente individualista non apprenderà il

mistero della redenzione e del peccato originale. La conversione deve essere

individuale e allo stesso tempo comunitaria.

Siamo redenti da un'unica persona, Gesù Cristo, il quale, però, incarna

anche la solidarietà salvifica, la solidarietà di alleanza, in cui manifesta la giustizia

di salvazione dell’unico Dio e Padre di tutti. Pertanto, la dottrina sul peccato e la

conversione devono essere presentati nella prospettiva di alleanza, e mai da una

semplice moralità di difesa.

5.8- I sacramenti della conversione

a) Chiesa come sacramento

Cristo è il segno della redenzione originale e perfetto, ed è la chiamata

effettiva alla conversione. Lui concede alla Chiesa i sacramenti che sono segni e

fonti della nostra conversione e del nostro sforzo comunitario di rinnovazione.

La chiesa è una specie di sacramento o di segno di unione intima con Dio e

dalla unione di tutta l’umanità. Essa è anche uno strumento per il perfezionamento

di tale unione e unità. Tuttavia, è importante riconoscere che essa necessita di un

rinnovamento permanente.

Cristo stimola la Chiesa, durante il suo pellegrinaggio questa continua

riforma di cui ha sempre bisogno, dal momento che è un’istituzione degli uomini

qui nella terra. La chiesa chiama realmente alla conversione, alla riconciliazione e

alla unità, ma soltanto alla condizione che lei stessa sia una santa penitente.

b) I sacramenti della conversione

I sette sacramenti sono segni privilegiati di conversione di base e

permanente. Ci insegnano che non si tratta solo della conversione morale di fronte

ai precetti individuali, ma, prima, della conversione ad una vita nella pienezza della

fede, speranza, amore, giustizia e pace: un’adorazione di pienezza nello spirito e

nella verità.                                                             46 Escatologia è la pare della teologia che studia la dottrina delle ultime cose, la fine del tempo, il  ritorno di Cristo.  In escatologia,  in sintesi, si studia  in rispetto della seconda venuta di Gesù Cristo, della resurrezione finale  (che è  il  ritorno alla vita di  tutti  i morti), del giudizio  finale  ( giudizio di Dio) e anche del paradiso e dell’inferno.  

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I sacramenti della fede proclamano l’obiettivo, cioè, la Buona novella che

Dio ci rivolge il suo viso e ci chiama a tornare in Lui. La celebrazione dei

sacramenti diventa una imperativo efficace mediante la propria gioia e forza della

comunità di fede.

In quanto tutti i sacramenti incentivano e promuovono la conversione

permanente, i sacramenti del battesimo e della riconciliazione sono legati alla

conversione di base l’opzione fondamentale per Cristo e per il suo regno. La

stessa celebrazione trova già il peccatore nella disposizione di un opzione

fondamentale per Cristo e per il bene.

c) Conversione e Battesimo

Il Battesimo è il sacramento di base della conversione. Esprime la verità che

è la bontà di Dio, manifestata in Gesù Cristo, che attira il peccatore ad avvicinarsi

con fiducia e gratitudine.

Il Battesimo dimostra che la conversione è un incontro di salvezza con Gesù

Cristo, e attraverso di Lui, con il Padre celeste. La preparazione al battesimo deve

essere tale che l’accoglienza che Cristo vuole dare al peccatore non incontri

nessun ostacolo dalla sua parte. La conversione per il Battesimo significa morte

del peccato. Pertanto, richiede una lotta continua contro tutte le tendenze

peccaminose in noi e intorno a noi.

Il sacramento di Confermazione, estremamente legato al Battesimo, anche

deve vedersi nella dimensione di conversione permanente. La Confermazione

deve essere vista nella prospettiva più ampia di Cristo che battezza i suoi discepoli

“nello Spirito Santo”, affinché possano essere santi e uniti nel loro amore nella lotta

contro le potenze nemiche.

d) La penitenza canonica

Nell’origine della più recente forma del sacramento di Penitenza c’è la

“Penitenza Canonica” dei primi secoli del cristianesimo. Come invito alla

conversione in quei secoli, la Chiesa esclude dalla partecipazione eucaristica i

quali avevano commesso peccati gravemente scandalosi.

Il sacramento della Penitenza non è solo riconciliazione per quelli che

abbandonarono Dio, ma anche un evento che restaura e previene una situazione

di peggioramento, e conduce ad una maggiore purezza del cuore e, quindi, a una

unione più stretta con il Signore.

e) A Eucaristia

Nel centro di tutto il ministero e di tutta la vita della Chiesa sta l’Eucarestia,

che è anche una celebrazione centrale del perdono dei peccati. L’Eucaristia è

anche un evento di perdono restauratore. Quello che il Battesimo ha iniziato,

l’Eucarestia continuerà e porterà a compimento.

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La celebrazione eucaristica nel suo complesso possiede la dimensione del

Confessio Laudis: confessione dei nostri peccati, lodando la misericordia di Dio.

Nella Eucarestia, il proprio Cristo continua a proclamare la Buona novella che è

morto per noi e desidera che viviamo in Lui.

f) Correzione fraterna

La correzione fraterna, come ha insegnato il Vecchio e Nuovo Testamento,

fu prevalentemente il contributo di maggior importanza allo sviluppo della

confessione spontanea davanti ad un sacerdote, quando non c’era l’obbligo di

sottomettersi alla canonica.

Tutti i cristiani sono obbligati a prestare un importante servizio di aiuto

fraterno, ma potevano farlo solo se sono “spirituali”, producendo i frutti dello Spirito

(Cf. Gl 5,19-25).

La correzione fraterna è l’espressione più significativa della “Legge di

Cristo”. Esemplifica la solidarietà della salvezza manifestata in Cristo ; e “la vita in

Cristo Gesù” la rende una legge scritta nella profondità del nostro essere. In

questo modo, possiamo aiutarci reciprocamente nel cammina di salvezza e della

conversione, sapendo che lo facciamo confidando nella grazia di Dio.

Cristo invita tutti i suoi seguaci ad agire in modo simile, non abbandonando

mai un fratello in pericolo. L’atto stesso della conversione fraterna, offerto e

accettato in maniera corretta, è una garanzia della presenza liberatoria e

restauratrice del Signore.

La dimensione religiosa della correzione fraterna è di enorme importanza.

Secondo una tradizione che si mantiene intatta fino al secolo XIII, possiamo dire

che la correzione fraterna è una specie di sacramento quando si realizza in

maniera spirituale, in una profonda solidarietà tra quelli che offrono e quelli che

ricevono la correzione.

g) Modi per celebrare il perdono: esame di coscienza

Un importante strumento di grazie e di lode a Dio è l’esame di coscienza

all’interno della famiglia cristiana. La revisione della vita nelle comunità religiose o

nei gruppi di laici svolgono un ruolo simile a favore di un’esperienza comunitaria

della nostra solidarietà di salvazione.

La Chiesa ha rivalorizzato le celebrazioni comunitarie di penitenza, che non

sono solo una buona preparazione per la confessione individuale – un aspetto che

non deve essere sottovalutato –, ma sono anche un segno privilegiato di grazia per

la comunità, poiché ci aiutano a comprendere meglio l’aspetto sociale del peccato

e della conversione. Anche se non sostituiscono la confessione individuale, sono

molto utili per promuovere la conversione e la rinnovazione.

L’attuale disciplina richiede la confessione individuale dei peccati mortali,

che non è un imposizione arbitraria, ma un invito urgente all’approfondimento delle

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contrizioni e dei buoni propositi, e ad una più piena apertura all’azione restauratrice

di Cristo.

Un umile confessione personale di fronte ad un sacerdote non costituisce

solo un importante esercizio d umiltà, ma anche un momento favorevole per un

incontro con Cristo.

5.9- La partecipazione del convertito nella conversione

Riconciliazione e conversione sono opere di Dio. E, secondo il Concilio di

Trento, il pentimento, la confessione e la soddisfazione sono le tre parti essenziali

del sacramento della Penitenza come atti del penitente.

a) Contrizione

L’autoesame costituisce una parte del momento di contrizione: è necessaria

l’umiltà di base e l’umile riconoscimento della nostra condizione di peccato. Le

radici più profonde dei tutti i peccati sono l’orgoglio. È importante avere il coraggio

di affrontare i nostri peccati, e non solo le singole colpe.

I più grandi peccatori non riescono a comprendere la profondità del loro

avvilimento e, per questo, non sentono la necessità della penitenza. Affrontare il

nostro stato di peccato è già l’ inizio della lode alla bontà del Signore.

Il pentimento, nel pieno senso religioso, presuppone la fede in Dio. Il

profondo pentimento penetra a fondo alla libertà dell’uomo, toccando la mente, la

volontà e le emozioni con un dolore che caratterizza le ferite del peccato.

Coscienza di libertà tradita e apertura alla grazie di Dio.

La contrizione è permanente, cioè, va oltre degli atti individuali nel processo

di conversione nella misura che il pentimento si approfondisce, anche l’amore

cresce, e con il progresso nell’amore, vi è uno sviluppo nel pentimento. Come la

nostra contrizione si approfondisce, le ferite causate dai peccati passati vengono

curate.

b) L’obbiettivo dell’emendamento

La sincerità e la profondità del pentimento traspare attraverso dei propositi

di emendamento. Al fine di essere fermi e forti, è necessario che la contrizione

maturi bene.

La conversione a Dio non accetta la mediocrità. Il proposito di

emendamento deve essere caratterizzato per la serietà e decisione, raggiungendo

la propria radice del male. Non basta, per esempio, che un adultero decida di non

commettere più il peccato di adulterio; deve anche essere disposto a respingere il

desiderio malvagio dalla sua mente e dal suo cuore.

c) La Confessione come lode alla misericordia di Dio

La confessione è una necessità umana. La persona umana è uno spirito

incarnato, che ha la necessità esistenziale di confessarsi. La nostra autoaccusa

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contrita adora la giustizia salvifica di Dio e glorifica la sua ammirevole misericordia.

La confessione neutralizza il potere oscuro del peccato, perché strappa la

maschera del male e mette luce nei più intimi recessi della nostra anima.

La confessione è più che il compimento della legge. Lo sforzo per essere

più completo nella confessione può causare conflitto con i valori e doveri più

importanti. Il sacramento della Penitenza ci è dato come un’esperienza liberatrice

e, pertanto, non deve fornire occasioni per una confessione compulsiva o per

qualsiasi tipo di scrupolosità .

I peccati mortali devono essere confessati nella misura in cui il penitente ne

è cosciente, dopo di un attento esame di coscienza.

È necessario distinguere tra: integrità materiale delle confessioni

(confessione integrale di tutti i peccati mortali in base al numero e al tipo) e

l’integrità formale della confessione (la sincera volontà di fare una confessione

materialmente integrale).

Tutti i tipi di domande che trasformano il sacramento della Penitenza in una

forma di tortura devono essere assolutamente evitati.

La Confessione deve essere ripetuta ed i peccati mortali confessati

nuovamente quando le confessioni precedenti erano certamente invalide o

addirittura sacrilegio.

d) Espiazione/Soddisfazione

“Produrre, quindi, frutti che dimostrano la vostra conversione” (Mt 3,8; Lc

3,8). “Pentitevi e tornate a Dio, e dimostrate azioni che provano il loro pentimento”

(cf. At 26,20).

Pertanto, l’idea che nessun carattere espiatorio dovrebbe essere introdotto

nell’espiazione umana, dal momento che Cristo da solo ha espiato, è insostenibile.

Lo spirito di espiazione è una lode riconosciuta all’espiazione offerta nel nostro

nome da Gesù Cristo.

L’opera penitenziale (satisfactio) dovrebbe prepararci per apprezzare meglio

e accettare più generosamente tutte le sofferenze che dobbiamo sopportare

(satispassio).

La soddisfazione è un riconoscimento grato della giustizia salvifica e della

misericordia gratuita di Dio. La penitenza imposta dal confessore, e tutte le

sofferenze accettate nello spirito del pentimento e espiazione, hanno valore in vista

di Cristo, che è il sacramento di riconciliazione, e alla vista della sacralità della

Chiesa.

Nei secoli passati, la soddisfazione sacramentale fu spesso svuotata per

routine. La riparazione dovrebbe essere una specie di antidoto contro la nostra

tendenza peccaminosa, un rimedio e un promemoria.

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Per riflettere:

1) Quali sono le realtà che, a partire dall’argomento biblico,

costituiscono la trama della storia della salvezza dell’uomo?

2) A tuo parere, è possibile conciliare l’idea di un Dio creatore buono e

onnipotente, e l’esistenza di tanti mali nel mondo, che affliggono tante

persone? Come spieghi tutto questo?

3) Come spieghi la seguente frase o affermazione di papa Pio XII: "forse

il più grande peccato del mondo di oggi è quello di avere iniziato a

perdere il senso del peccato ".

4) Pensi che la coscienza del peccato sta scomparendo, incluso tra i

cattolici? Quali sono le cause di questo fenomeno?

5) In che modo la Bibbia ci parla del peccato? Quali sono le differenze

che percepisci sull’idea del peccato nell’Antico Testamento e nel

Nuovo Testamento?

6) Come fai la differenza del peccato veniale dal peccato mortale?

7) Tutti noi viviamo “occasione prossima” del peccato, in tutti gli

ambienti che frequentiamo. Come cristiano, come cerchi di

allontanarti da queste occasioni? Fai una breve riflessione su questo.

8) In che consiste la conversione del peccatore?

9) Che cosa significa affermare che la vita cristiana si svolge in un

costante processo di conversione?

10) Che cosa significa affermare che Gesù Cristo è il sacramento

originale di conversione di ogni uomo e di tutta l’umanità?

11) Quali sono i sacramenti della conversione? Rifletti sul valore che dai

al sacramento della Penitenza o della Riconciliazione? Questo

sacramento ha un effetto di valore restauratore della tua fede in

Gesù?

12) Quali sono le tre parti essenziali del sacramento della Penitenza?

Qual'è il valore che attribuisci a ciascuno di essi?

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In questa TAVOLA vedremo cosa Dio si aspetta da noi – come cristiani – un

processo di crescita e maturazione continua nella vita di fede.

La vita cristiana è il seguire l’imitazione della vita di Gesù. Nel

Battesimo ci viene comunicata una nuova vita, affinché il cristiano, come insegna

l’Apostolo San Pietro, “partecipare della natura divina” (2Pd 1,4). E, una volta che

la vita divina è la vita di Cristo, il cristiano può dire: “non sono più io che vivo, ma è

Cristo che vive in me” (Gl 2,20).

Conseguentemente, ogni battezzato non solo deve “imitare” Gesù Cristo,

ma anche deve “identificare” la propria vita con l’esistenza di Gesù. Identificarsi

non è solo fare un passo avanti nella vita morale, ma proporre come ideale,

arrivare alla vetta della santità. Il Papa Giovanni Paolo II, nella Veritatis Splendor,

scriveva:

Non si tratta qui soltanto di mettersi in ascolto di un insegnamento e di accogliere

nell’obbedienza un comandamento. Si tratta, più radicalmente, di aderire alla

persona stessa di Gesù, di condividere la sua vita e il suo destino, di

partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Padre.

Seguendo, mediante la risposta della fede, colui che è la Speranza incarnata, il

discepolo di Gesù diventa veramente discepolo di Dio (VS, 19).

L’Enciclica Specifica, in modo più dettagliato, quello che un cristiano intende

per “identificarsi con Cristo”; si tratta di configurare la propria vita alla vita di Cristo.

L’Enciclica si esprime in questi termini:

Seguire Cristo non è una imitazione esteriore, perché tocca l’uomo nella sua

profonda interiorità. Essere discepoli di Gesù significa essere resi conformi a

Lui , che si è fatto servo fino al dono di sé sulla croce (cf. Fil 2,5-8). Mediante la

fede, Cristo abita nel cuore del credente (cf. Ef 3,17), e così il discepolo è

assimilato al suo Signore e a Lui configurato. Questo è frutto della grazia, della

presenza operante dello Spirito Santo in noi (VS, 21).

La vocazione divina di identificarsi con Cristo e vivere la sua vita così reale

– anche se non naturale, ma soprannaturale –, che il Papa Giovanni Paolo II

riprende le parole che San Agostino indirizzava ai neo battezzati:

Rallegriamo e ringraziamo: siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo stesso.

Meravigliamoci e gioiamo : diventiamo Cristo!

Conseguentemente, la prima pagina di un trattato della vita cristiana è la vita

storica di Gesù di Nazareth, perché egli è il prototipo dell’uomo, così, se qualcuno

TAVOLA 6 

MORALE PERSONALE: 

LE VIRTU’ 

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cerca un modello degno dell’esistenza della persona umana, questo non può che

essere la vita stessa di Gesù Cristo.

Gesù stesso si è presentato (o si propose) come modello: “Vi ho dato infatti

l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Jo 13,15). E San Pietro

ricorda al cristiano che “vi ha lasciato un esempio, perché ne seguiate le sue

orme” (cf. 1Pd 2, 21); mentre San Giovanni propone ai credenti di “comportarsi

come Egli si è comportato” (1Jo 2,6).

a) Necessità dell’azione dello Spirito Santo

Per identificarsi con Gesù Cristo è necessaria un azione dello Spirito Santo.

Le semplici forze dell’uomo non sono in grado di elevarsi ad un vertice così alto,

perché deve “cristificarsi” tutto il suo essere: l’identificazione coinvolge i diversi

ambiti dell’essere spirituale, cioè, la ragione, la volontà e la vita affettiva-

sentimentale.

Secondo la dottrina del Nuovo Testamento, il cristiano deve pensare come

Cristo (1Cor 2,16), amare come Cristo (Ef 3,17; Fl 4,7) e avere gli stessi sentimenti

di Cristo (Fl 2,5). Come già detto: il punto finale di questo processo di

santificazione è indicato da San Paolo, quando propone ai fedeli di identificarsi con

Cristo al punto di poter dire: “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”

(Gl 2,20).

Un cristiano deve corrispondere all’azione dello Spirito Santo, esercitandosi

in una serie di atti che gli permettono di arrivare più facilmente al vertice che

questa nuova vita comporta. La cooperazione del credente deve essere

persistente; non deve limitarsi ad un periodo di tempo determinato; e, ancora

meno, deve limitarsi ad atti isolati; ma, al contrario, deve essere una disposizione

continua alla lotta ascetica.47

In altre parole, la cooperazione umana all’azione dello Spirito Santo deve

essere abituale, in modo da creare nel soggetto una serie di abitudini. Questa

disposizione costante riceve nella Teologia Morale il nome di “virtù”. Di fatto, la

virtù è un abitudine che rende più facile il retto agire dell’uomo.

La vita morale non consiste in una successione di atti discontinui, ma è un

espressione di abitudini che danno continuità e certa unità al comportamento

umano: se queste abitudini, arrivano nell’intimità del soggetto, inclinandosi per il

bene, sono chiamate virtù; se si inclinano verso il male, sono chiamati vizi.

b) Significato della parola “virtù”

La parola virtù viene da “vir” (uomo, in latino), e significa una disposizione

abituale forte e vigorosa per fare il bene . La virtù non equivale ad un “costume”,

                                                            47  L’ascetismo cristiano è  lo  sforzo  che  facciamo per dominare  i  nostri  sensi,  corregere  le nostre  tendenze malvagie e  vivere un processo di  liberazione  interiore.  l’ascetismo è di  grande  importanza nel processo di santificazione  personale.  E’  anche  chiamato  mortificazione.  La  Chiesa  propone  ai  fedeli  alcune  pratiche ascetiche, come il digiuno e l’astinenza nei giorni penitenziali. Gesù e i Santi hanno insegnato, com le parole e esempi di vita, la pratica equilibrata dell’ascetismo cristiano.   

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perché questa potrebbe essere solo una routine – un semplice riflesso fisico o

psichico –, in quanto la virtù è desiderata e, nell’acquisirla, la persona è

interamente coinvolta.

Il semplice costume è ripetuto in maniera quasi meccanica, mentre la virtù

porta la persona ad impegnarsi per ogni azione, in modo che la persona si

perfezioni nell’acquisizione delle virtù, poiché questi richiedono una tenacità nel

praticare il bene.

La virtù è una disposizione abituale e ferma per praticare il bene. Permette

alla persona non soltanto di praticare atti buoni, ma di dare il meglio di se stessi.

La persona virtuosa tende per il bene con tutte le sue forze sensibili e spirituali;

cerca il bene ed opta per esso in atti concreti (Catechismo della Chiesa Cattolica,

1803).

Esistono alcune ragioni che giustificano e postulano la pratica della

virtù. Sono:

a) La virtù presuppone nel soggetto una disposizione cosciente e

deliberata del praticare il bene. Quando un cristiano decide di

prendere il cammino delle virtù, fa una opzione fondamentale

per Dio, e in questa opzione impegna tutta la sua vita.

Giustamente qui sta il significato e il valore della “opzione

fondamentale” nella Teologia Morale.

b) A chi decide di praticare le virtù, diventa più facile condurre un

esistenza cristiana, dal momento che le abitudini acquisite

favoriscono la pratica del bene in tutti gli atti, dato che, come si

usa dire, queste abitudini sono simili a una “seconda natura”. In

questo modo, l’uomo riesce più facilmente a fare il bene.

c) Rende più facile l’esercizio della libertà, una volta che, abituato a

scegliere il bene, la volontà libera dell’individuo rimane più

distante da quelle passioni che oscurano l'intelligenza e torna

difficile una scelta retta . La continua pratica del bene aumenta la

libertà.

d) Impedisce che la persona si lasci trascinare per la spontaneità,

che certe volte li fa agire istintivamente, come gli animali. Gli

animali non hanno abitudini, ma sono guidati per atti istintivi del

momento.

e) Aiutano la persona ad acquisire la perfezione che gli compete,

una volta che, come si può notare, le virtù non fanno altro che

perfezionare le inclinazioni profonde dell’essere umano in

direzione al bene. In questo modo, la virtù è come un incontro

dell’uomo con se stesso e, conseguentemente, con Dio.

f) Inoltre, la pratica della virtù garantisce che l’opzione fondamentale

fatta per Dio sia autentica: è la sua approvazione. Non solo, ma è

segnale che tale opzione è autentica e efficace, e dimostra che

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questa determinazione per Dio non è un semplice desiderio, ma è

lo sforzo – garantito per la prassi abituale e costante degli atti

buoni – di una persona che decide seriamente di compiere il

programma morale cristiano.

Tutte le virtù culminano nell’amore a Dio e al prossimo; è anche l’amore che,

in ultima istanza, mobilita le altre virtù e stimola il cristiano a coltivare la fortezza, la

temperanza, la giustizia... Le virtù stanno strettamente correlate tra loro.

c) Classificazione delle virtù

Distinguiamo virtù acquisite o naturali, e virtù infuse o sovrannaturali.

Le virtù acquisite, anche chiamate virtù umane, si dividono in:

virtù intellettuali (come la scienza, la saggezza, l’arte) e virtù

morali (in queste inseriamo le quattro virtù classiche della

prudenza, giustizia, fortezza e temperanza).

Le virtù infuse sono quelle che non si acquisiscono mediante

l’impegno umano, ma sono date da Dio. Sono chiamate virtù

teologali: fede, speranza e carità. A queste virtù si aggiungono i

doni dello Spirito Santo, anche questi infusi da Dio nell’anima dei

giusti.

Le virtù acquisite sono quelle che decorrono dai successivi atti buoni della

stessa indole; queste predispongono il soggetto a nuovi e nuovi atti buoni della

stessa indole, originando così le abitudini o le virtù rispettive; così, chi si astiene

dall’alcool per 24 ore e rinnova il suo proposito successivamente, finisce per

acquisire le abitudini o le virtù della temperanza.

Le virtù infuse sono principi di azioni buone che Dio comunica alle nostre

anime, senza che ci sforziamo per acquisirle; sono doni di Dio. San Paolo allude a

questo, dicendo: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello

Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). Ogni cristiano riceve, nel battesimo,

insieme con la grazia santificante, virtù infuse, che l’abituano ad agire nel nuovo

piano, come figlio di Dio.

Si distinguono, inoltre, virtù teologali e virtù morali. Le virtù teologali si

riferiscono direttamente a Dio; sono la fede, la speranza e la carità, dalle quali

tratta frequentemente San Paolo (cf. 1Cor 13,13; 1Ts 1,3; 5,8).

Nei cristiani, le virtù teologali sono sempre virtù infuse. Questo non significa

che ogni cristiano sia sempre una persona di fede o di amore; ma significa che tutti

i cristiani, dal loro battesimo, possiedono delle potenzialità per conoscere come

Dio conosce ed amare come Dio ama. Queste potenzialità dovrebbero essere

sviluppate dall’educazione religiosa e dall’esercizio stesso di queste virtù .

Le virtù morali, chiamate anche cardinali, si riferiscono direttamente alle

creature. Guidano la condotta dell’uomo in relazione ai beni di questo mondo.

Sono chiamati virtù cardinali, perché costituiscono i cardines (cerniere) o le

cerniere, e gli assi intorno ai quali ruota tutta la morale.

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Le virtù morali possono essere naturali (o acquisite) e sovrannaturali (o

infuse). Nel Battesimo il cristiano riceve l’abilitazione per essere prudente, giusto,

coraggioso e temperante non solo nel piano della natura, ma anche nella filiazione

divina.

6.1- Le virtù cardinali

6.1.1- La prudenza

La prudenza fu chiamata “auriga virtutum” (condottiera delle virtù)48, perché

indica alle altre virtù la regola e la misura che devono tenere come base quando

sono praticate.

San Tommaso d’Aquino definisce la prudenza come “retta norma d’azione”

(STh II-II, 47,2). L’uomo e la donna prudenti sono coloro che nei loro atti agiscono

sempre con misura e moderazione. Il Catechismo li definisce così:

La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni

circostanza il nostro vero bene è a scegliere i mezzi adeguati per compierlo.

“L’uomo accorto controlla i suoi passi” (Prv 14,15) [...] Essa non si confonde con la

timidezza o la paura, ne con la doppiezza o la dissimulazione [...] E’ la prudenza

che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L’uomo prudente decide e

ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della

prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e

superiamo i dubbi sul bene da compier e sul male da evitare (CIC, 1806).

La prudenza, quindi, dice rispetto sia al bene che si deve praticare, sia al

mezzo adeguato per realizzarlo. Per questo, la virtù della prudenza rende più facile

al soggetto l’applicazione degli atti concreti e dei principi morali che devono

guidare la sua condotta.

La prudenza è quella che, in ogni azione, orienta a crescere, seguendo la

chiamata di Cristo alla perfezione del Padre celeste; non nel senso di un

obbligazione a rendere perfetto se stesso, ma alla perfezione necessaria per lo

sviluppo della propria personalità, corrispondente alla grazie e alla statura della

vita cristiana nel momento attuale, seguendo le esigenze ecclesiali.

La prudenza è la virtù che giudica e dirige tutti gli atti umani in accordo con

le norme della moralità. E’ una specie di luce che indica il cammino all’uomo per

giungere al fine che lui desidera.

Il concetto della prudenza è molto differente dalla nozione che attualmente

si ha di tale virtù. Per molti, oggi, prudenza significa “paura del rischio, calcolo

avido, timoroso quasi codardo”. Nella verità, la prudenza include sempre coraggio

per agire o non agire, e diventa anche audacia.

La prudenza è la virtù dell’iniziativa e della responsabilità; quella che apre il

cammino accettando i rischi saggi.

                                                            48 Nell’ Antichità,  auriga era il conducente dell’auto, cocchiere. 

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a) I compiti della prudenza

I compiti della prudenza sono molteplici e vari, perché sono molto diverse le

situazioni nelle quali la persona può trovarsi. Per questo, la prudenza presuppone

e mobilita un insieme di virtù che aiutano:

Nella capacità di riflettere, di ricordarsi del passato e di tirare

conclusioni per il futuro;

Nella prontezza di giudicare e decidere, non cedendo alla

partecipazione avventata o temeraria né alla timidezza o alla lentezza

pigra;

Nella circospezione o nella capacità di guardarsi intorno e di valutare

le circostanze del proprio atto.

La prudenza sta strettamente legata al dono dello Spirito Santo del

“consiglio”. Questo contribuisce per dare al cristiano la flessibilità e la docilità o

l’”arte di tacere ed ascoltare”, questo rende il cristiano aperto agli avvertimenti più

delicati della volontà di Dio.

La virtù della prudenza può essere coltivata correttamente solo da persone

che hanno una coscienza retta e sincera, che non tengono paura della verità né si

lasciano abbattere codardamente per le conseguenze delle loro rettitudini. In

ultima analisi, essa suppone una persona orientata all’amore di Dio.

b) Vizi opposti alla prudenza

Esistono anche alcuni vizi opposti alla prudenza. Sono:

LA-PRUDENZA => la persona il-prudente può guardare ad un buon

obiettivo, ma non sa scoprire i mezzi che lo conducano;

IM-PRUDENZA => in questo caso, la persona può optare per un buon

obiettivo, ma colpevolmente non sa scegliere i mezzi adeguati.

L’individuo agisce con leggerezza, perché è negligente o sbadato;

CONTRO-PRUDENZA => è la ricerca dei mezzi adeguati per arrivare a

un fine inadeguato o cattivo. La persona mette la sua esperienza e la

sua conoscenza al servizio di una finalità illusoria.

6.1.2- La giustizia

Una definizione classica di giustizia, che tiene una lunga tradizione dal

diritto romano, dice:

Giustizia è una costante e ferma volontà di dare a ciascuno quello che gli è

dovuto. Nello schema accademico della teologia morale, la virtù della

giustizia riferita a Dio si chiama “virtù della religione”.

Gli autori affermano che la “religione è la parte essenziale della giustizia”. E

con questo diciamo che, in questo caso non si attinge propriamente una delle

caratteristiche essenziali, ossia, l’equità, una volta che una creatura non può

restituire a Dio ciò che ha ricevuto.

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San Tommaso è uno che unisce l’aspetto della giustizia con la religione,

giustamente perché la religione esprime ciò che si deve a Dio, un debito che

d’altra parte è inestimabile, dato che l’uomo a Lui deve tutto e non potrà mai

restituirgli nessun compenso in condizioni di parità (cf. S. Th., 2-2ae, q. 80, a. 1).

Riferita agli uomini, la giustizia riconosce i diritti e i doveri reciproci dei

cittadini ed esige che “si deve a ciascuno quel che gli è dovuto o che gli è di

diritto”. In questo senso, la virtù della giustizia contempla le relazioni degli uomini

nella convivenza, in vista di attingere al bene comune nelle relazioni umane, sia

nelle comunità ecclesiastiche sia nell’ambito della società civile.

La giustizia come virtù morale, quindi, è la volontà ferma e costante di dare

a ciascuno quel che gli compete. Essa implica anche il riconoscimento dei diritti

degli altri.

“Dare ad ognuno quel che gli compete” non significa dare ad ognuno la

stessa cosa. La distribuzione deve essere proporzionale, cioè, deve corrispondere

alla capacità di ognuno. Dove uno è uguale all’altro, ha diritti uguali; dove uno è

differente dall’alto, ha diritti differenti.

La responsabilità di ciascuno corrisponde ai suoi talenti. San Paolo ha

sviluppato a lungo la dottrina della diversità dei doni e dei compiti corrispondenti,

ricorrendo all’immagine del corpo umano: questo è uno e armonioso nonostante

delle differenze esistenti tra i suoi membri e le loro funzioni (cf. 1Cor 12, 12-27).

a) Gli elementi specifici della giustizia ed I tipi di giustizia

Gli elementi specifici, richiesti dall’oggetto o dal proprio campo di giustizia,

sono i seguenti :

Altruismo: le relazioni di giustizia sono sempre bilaterali; richiedono

alterità;

Esigenza rigorosa: appartiene all’attitudine etica della giustizia o si

riferisce a qualcosa “dovuto” all’altro, cioè, cosa deve essere dato

all’altro per essere suo ;

Uguaglianza: la giustizia richiede l’uguaglianza tra domanda e

soddisfazione, tra ciò che si deve e ciò che si richiede , tra il debito

ed il pagamento.

I tre tipi di giustizia, in senso stretto sono:

Giustizia commutativa: il soggetto attivo e passivo è la persona

privata (o qualche società come persona morale): i termini della

giustizia commutativa sono le persone di comunità considerate come

distinte e uguali. Il requisito è di equivalenza assoluta; richiede un

equilibrio perfetto. Questi requisiti si basano in dati oggettivi

(precedenti di obbligazioni contrattuali o operazioni di scambio:

acquisto-vendita, lavoro).

Giustizia distributiva: il soggetto passivo è l’individuo in relazione

alla comunità; il soggetto attivo è la comunità per mezzo dei suoi

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organi ufficiali. L’obiettivo di questa giustizia è ripartire

proporzionalmente i benefici e i carichi della società tra i suoi membri

(carichi ufficiali, benefici e sicurezza sociale, sussidi concessi alle

scuole, ecc.).

Giustizia legale: l’obiettivo di questa giustizia è il bene comune, al

quale deve contribuire ogni membro della società con una misura

proporzionale.

b) Note tipiche sulla giustizia

Quattro note tipiche distinguono la giustizia dalle altre virtù morali:

Il carattere esatto dell’obbligo => osserviamo che, quando si tratta

di fare una carità, si può avere esitazione (sono o no obbligato a

dare?… fino a quale punto devo dare?… a chi devo dare ?...). Al

contrario, quando si tratta di giustizia, il dovere è più definito e

oggettivo (meno soggetto alle ponderazione soggettive). Devo

restituire quella determinata quantità che ho rubato; devo ripristinare

la buona reputazione del prossimo che ho leso; devo ritirare la

calunnia che ho seminato.

I beni di cui tratta la giustizia => sono tutti i beni dell’uomo, incluso

l’onore, la verità, la fedeltà. Ma sono, nel maggiore dei casi, beni

materiali.

L’osservanza della giustizia può essere imposta con la forza=>

l’autorità competente può costringere coloro che non vogliono

rispettare la giustizia.

È legale ad alcuni rinunciare ai suoi giusti diritti => purché la

faccino in vista di un bene maggiore; per aiutare il prossimo, per

esempio, posso perdonare un debito (se, mediante il perdono, non

sto pregiudicando i miei familiari); posso anche rinunciare ai miei

diritti per imitare il Cristo, che si è spogliato di tutto (cf. Fl 2, 5-11).

San Paolo è il grande araldo della rinuncia ai diritti in vista del bene del

prossimo: così, per esempio, egli proclamava, la sua volontà di non mangiare più

carne, anche se questo andrebbe a scandalizzare i suoi fratelli di coscienza poco

chiara (cf. 1Cor 8,13).

Tuttavia, l’amore al prossimo non implica che il cristiano sia “bonaccione” o

rinunci a qualsiasi suo diritto. Ingannerebbe così coloro che hanno capito il

sermone del monte, dove Gesù dice:

Non contrastare all’uomo malvagio; anzi, se uno ti da uno schiaffo nella guancia

destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la

tunica, tu lascia anche il mantello; e se uno ti costringerà a fare un miglio tu fanne

con lui due (Mt 5, 39-41).

Con queste parole, Gesù vuole incitare i suoi discepoli ad oltrepassare la

giustizia, sempre che questo implica un amore più generoso. La giustizia e le sue

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affermazioni non dovrebbero soffocare le manifestazioni di magnanimità e le

ispirazioni dello Spirito Santo ad un comportamento distaccato, inspirato per un

maggiore amore a Dio e per il prossimo.

6.1.3- La fortezza

La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la

costanza nella ricerca del bene. La fortezza è una virtù in se stessa, ma, oltre

questo, rende possibile al cristiano l’esercizio delle altre virtù, dato che la pratica

virtuosa è in una attività ardua e faticosa, Gesù chiarisce ai suoi discepoli sulla vita

che li aspetta: “Nel mondo avrete delle tribolazioni, ma coraggio: io ho vinto il

mondo” (Jo 16,33).

Di fatto, la fortezza dà agli uomini e alle donne la forza di resistere alle

tentazioni e di superare gli ostacoli che nascono nella conquista della vita morale.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica esalta il ruolo della virtù della fortezza e

insegna che si tratta esattamente di quella virtù che rende possibile ai cristiani di

affrontare le situazioni più difficili dell’esistenza, incluso il martirio:

La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, persino della morte, e di

affrontare la prova e le persecuzioni. Da il coraggio di giungere fino alla rinuncia e

al sacrificio della propria vita, per difendere una giusta causa (CIC, 1808).

Non esiste una vita morale senza fortezza. Per questo, l’educazione morale

deve tenere presente l’importanza di questa virtù, senza la quale è impossibile una

vita eticamente cristiana.

a) La fortezza umana

La fortezza umana è una delle virtù più celebrate dall’umanità di tutti i tempi.

La poesia e le arti figurative sembra che furono inventati giustamente per celebrare

i gesti gloriosi dei forti; o, in tutti i modi, è indiscutibile che trattarono quasi sempre

delle imprese straordinarie degli uomini celebri. Quante volte diciamo, anche oggi,

sia al bambino come al soldato o all’anziano: “Animo”!

Ma, è vero che poche volte noi siamo a presenziare ad autentici atti di

valore, ancora contando con quei pochi che hanno la sincerità del personaggio che

dicono: “non si può dar valore a se stessi”.

b) La virtù della fortezza

La parola fortezza ci porta, di seguito, all’idea di qualcosa che spinge la vita

morale, e apre gli orizzonti della grandezza dell’animo e della generosità altruistica.

In senso ampio, poi, la fortezza è sinonimo della fermezza, questo è, dalla

tenacità nel compimento del bene. In senso stretto, fortezza è una particolare

fermezza dell’animo, che consiste in non lasciarsi spaventare da gravi pericoli o

mali annessi al compimento del dovere o all’esercizio, anche sia facoltativo, della

virtù, incluso se si tratta di pericolo di morte. Avrà, poi, la virtù della fortezza

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quando si è disposti a fare il bene disprezzando tutti i mali, senza paura. E’ un

mezzo termine: tra la paura e l’audacia.

La fortezza o coraggio è la virtù di affrontare le sofferenze e anche la morte,

se una causa giusta lo richiede. Verità è che una persona forte può continuare a

sperimentare disgusto di fronte alla sofferenza ed alla morte, ma questo

sentimento non la paralizza né impedisce di mettersi al servizio del bene. Essa

preferisce il dolore e la morte al peccato. La suprema espressione della fortezza è

il martirio o la morte per Cristo e per la fede.

Tante volte, la fortezza del cristiano deve rinunciare alle azioni aggressive

per assumere l’attitudine di coraggiosa pazienza. Questo può essere più difficile e

doloroso della lotta e la polemica. È frequentemente più facile esplodere con

violenza che avere la pazienza coraggiosa al fine di attendere il momento

opportuno per intervenire. La fortezza prende anche l’aspetto della perseveranza o

della capacità di andare fino in fondo per buoni scopi. Questo suppone alta scala di

auto dominio.

c) La fortezza cristiana e le altre virtù

La fortezza cristiana è intimamente relazionata con le altre virtù:

Essa deve essere ispirata dall’amore e per l’amore del bene =>

soltanto chi ama veramente è capace di sacrificare tutto, anche la

propria vita;

Deve servire alla giustizia => la fortezza staccata dalla giustizia è una

leva per il male;

Essa non deve essere imprudente => a nessuno è lecito mettere la

sua vita in pericolo se si può fare a meno;

La fortezza deve essere umile, evitando il vantarsi e l’orgoglio => il

cristiano sa che solo può praticare il bene, se sostenuto dalla grazia

di Dio. Per questo, non si offre affrettatamente al martirio e neanche

deve provocare l’ira dei suoi giudici, ma deve attendere la chiamata

di Dio per arrendersi alla morte.

La virtù della fortezza è nel primo piano dell’orizzonte cristiano, come lo

dimostra la vita dei santi, che, a volte, nell’occultamento e nel silenzio furono

testimoni di elevato coraggio e tenacità.

6.1.4- La temperanza

La temperanza è la virtù che modera e armonizza il desiderio del piacere

sessuale e, principalmente, gli istinti più forti e spontanei della natura umana.

La virtù della temperanza lotta contro il disordine scatenato in tutti gli

individui per il peccato originale. Questo peccato porta l’uomo ad amare più se

stesso che Dio, cadendo nell’egoismo e nell’egocentrismo.

L’importanza della virtù della temperanza è enorme. Infatti, la persona

intemperante si degrada facilmente, scendendo non raramente al piano della

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bestialità sessuale o della golosità o dall’ubriachezza. Essa si rende schiava delle

sue passioni. Di conseguenza, non riesce più a giudicare con obbiettività, poiché si

lascia ossessionare dai suoi istinti.

Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica :

La temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di

equilibrio nell’uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e

mantiene i desideri entro il limite dell’onestà. La persona temperante orienta al

bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il

proprio “istinto” e la propria “forza assecondando i desideri” del proprio “cuore”.

La temperanza è spesso lodata nell’Antico Testamento: “non seguire le passioni;

poni un freno ai tuoi desideri” (Eclo 18,30). Nel Nuovo Testamento, è chiamata

moderazione o sobrietà. Noi dobbiamo “vivere con sobrietà, giustizia e pietà in

questo mondo” (Tt 2,12)” (CIC, 1809).

La temperanza occupa l’ultimo luogo nell’elenco delle quattro virtù cardinali.

Essa è inferiore alla prudenza, che adatta con proporzione i mezzi al fine ultimo

perseguito, sia il bene temporale o il bene sovrannaturale, è che è la recta ratio

agibilium, la regola oggettiva del bene che si deve fare, e che, per essere

raggiunto, deve essere il giusto mezzo tra l’eccesso e la carenza.

Essa è inferiore alla giustizia, che regola le nostre relazioni con gli altri

uomini e che guarda al bene comune, in particolare o dall’unione. Essa è inferiore

alla forza, che affronta la morte per la salvezza pubblica.

a) Etimologia

La parola temperanza viene dal latino: Temperantia. La parola greca

sôphrosunê, che traduce temperantia, è composta da un aggettivo (sôs), che

significa sono, sano, salutare, e da un sostantivo (phrên), che indica l’involucro, la

membrana di alcuni organi che lo mantengono in unità e, particolarmente, l’anima,

il cuore, la sede dei sentimenti delle passione.

L’uomo temperante è quello in cui lo spirito salutare equilibra – come fa in

relazione alla salute degli organi del suo corpo – le passioni del cuore e, più

specificamente, le passioni del concupiscibile.49

La temperanza è, quindi, quella virtù per la quale le persone tornano più

sane ( salutari, equilibrate, sobrie, prudenti), più, che per tutte le altre virtù, e per le

quali superano gli impulsi illeciti.50

La temperanza ha concordanza con la giustizia, misura con questa le cose

illecite, guardandosi e difendendosi da tutto quello che è illecito. La temperanza ha

concordanza con la fortezza contro i grandi appetiti della gola, nel mangiare e nel

bere. La temperanza ha concordanza con la prudenza, che insegna le modalità ed

i metodi tramite i quali possiamo avere temperanza di fronte alla gola e le sue

circostanze.

                                                            49 Concupiscenza è il termine usato per disegnare l’avidità o l’apprezzamento per i beni materiali, così come i piacere sessuali.  50 Per avere  la  temperanza è avere  il  controllo  sulle passioni  ;  è avere sobrietà nelle  loro attitudini e nelle decisioni ; è evitare gli eccessi nei loro appetiti, nei loro desideri e voglie.  

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b) Aspetto teologico-ascetico della temperanza

La virtù della temperanza occupa un luogo speciale per la pratica

dell’ascetismo, poiché l’astinenza, il digiuno e le altre virtù sono solo virtù legate

alla temperanza.

c) Aspetto mistico della temperanza

La purezza del cuore, per cui il Signore ci ha promesso la visione di Dio,

richiede, prima di tutto, l'esperienza della virtù della temperanza: “Beati i puri di

cuore, perché vedranno Dio“ (Mt, 5,8).

L’espressione “puri di cuore” sono coloro che hanno accordato la propria

intelligenza e la propria volontà alle esigenze della santità di Dio. Ai “puri di cuore”

è promesso che vedranno Dio faccia a faccia e che saranno simili a Lui. La

purezza del cuore è la condizione preliminare per la visione. Fin d’ora essa ci

permette di vedere secondo Dio, di accogliere l’altro come un “prossimo”; ci

consente di percepire il corpo umano, il nostro e quello del prossimo, come un

tempio dello Spirito Santo, una manifestazione della bellezza divina. (Cf. CIC,

2518-2519).

d) Aspetto pratico della temperanza

La temperanza ha un senso e una finalità che pone ordine nell’interiore

dell’uomo. In questo ordine, e solamente in esso, sorgerà la tranquillità dello

spirito. Temperanza vuol dire, pertanto, realizzare l’ordine nel proprio io. Agire con

temperanza, è agire su se stesso, sul proprio interiore.

La virtù della temperanza garantisce in ogni uomo il dominio del “io

superiore” sopra l’ “io inferiore”. Tale virtù suppone l’umiliazione del nostro corpo?

O forse porta al disprezzo dello stesso? Al contrario, questo dominio dà molto

valore al corpo. La virtù della temperanza fa che il corpo ed i suoi sensi occupano

il posto esatto che sia adatto nel nostro essere umano.

Temperante è l’uomo che è dono di sé. Quello in cui le passioni non

predominano sopra la ragione, la volontà ed anche il cuore. L’uomo che sa

controllare se stesso.

Così, percepiamo facilmente il valore fondamentale e radicale della

temperanza. Essa è niente meno che indispensabile affinché l’uomo sia

pienamente uomo. Basta vedere qualcuno che si rende una “vittima” della

passione che lo trascina, che ha rinunciato all’uso della ragione (come, per

esempio, un drogato o un alcolista), per dimostrare chiaramente che “essere

uomo” vuol dire rispettare la propria dignità e, per questi e altri motivi, lasciarsi

guidare dalla virtù della temperanza.

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Questa virtù è anche chiamata della sobrietà. E, realmente è molto corretto

che lo sia! Poi, in effetti, per potere dominare la propria passione – la

concupiscenza della carne, le esplosioni della sensualità (per esempio, nella

relazione con l’altro sesso), ecc. – non dobbiamo oltrepassare il giusto limite tra noi

stessi ed il nostro “io inferiore”.

La virtù della temperanza chiede di evitare tutti i tipi di eccesso, dall’abuso

del mangiare, dall’alcool, dal fumo e dai medicinali. Quello che, in stato di

ubriachezza, o per il gusto esagerato per la velocità, pone in rischio la sicurezza

altrui e la propria, nella strada, nel mare o nell’aria, si rende gravemente

colpevole. L’uso della droga causa gravissimi danni alla salute e alla vita umana.

Salvo indicazioni strettamente terapeutiche, costituisce una grave colpa. La

produzione clandestina e il traffico della droga sono pratiche scandalose;

costituiscono una cooperazione diretta con il male, poi incitano la pratica

gravemente contraria alla legge morale.

e) Le diverse forme che assume la temperanza

Il digiuno => provocare l’esercizio della volontà sopra gli impulsi

naturali per acquisire l'auto dominio;

L’astinenza dalla carne => privarsi dalla carne significa tendere

all’armonia degli impulsi naturali;

La sobrietà => la moderazione nel mangiare e nel bere protegge la

vivacità dell’intelligenza e la libertà interiore della persona;

La castità => è il giusto uso della sessualità;

Il pudore => attitudine del rispetto o pudore (modestia degli sguardi,

dalla curiosità e...);

La verginità => concentrazione di tutte le energie della persona nel

servizio di Dio;

La tenerezza => che si oppone alla collera eccessiva e

all’indifferenza flemmatica (insensibile);

Ai buoni costumi;

Alla clemenza => che va equidistante dalla durezza del giudizio e

dalla falsa compassione.

6.1.5- Peccati contro le virtù cardinali

a) Peccati contro la prudenza

La precipitazione: è il peccato contrario al buon consiglio. Consiste

nella mancanza di deliberazione necessaria;

L'insensatezza: è l’atto contrario al giudizio pratico retto;

L’incostanza: è contraria all’impegno o al mandato. Consiste nel non

preoccuparsi di svolgere il proposito o l’impegno.

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b) Peccati contro la giustizia

Un atto contro il diritto altrui, o la lesione ingiusta del proprio diritto;

La ingiustizia può essere materiale: quando si attacca il diritto altrui

senza volerlo fare; e formale: quando esiste un intenzione di causare un

danno. Questa, per sua volta, può essere diretta o indiretta;

Affinché questo avvenga, l’ingiustizia formale esige, oltre al nesso

causale oggettivo tra azione e danno, la conoscenza e la volontà.

c) Peccato contro la fortezza

La timidezza o codardia: quando la persona scappa da quello che ,

secondo la ragione, deve fuggire, agisce bene. Per esempio, quando

scappa da un’occasione di peccato, o da un male al quale non può

resistere e la cui resistenza non toglie nessuna utilità. Il suo timore, in

questo caso, è ordinato e retto. E’ sbagliato, dall’altro lato, quando

scappa da quello che la ragione lo comanda a sopportare per non

desistere dagli altri beni che deve conseguire: in questo consiste il

timore disordinato o codardo.

Audacia o coraggio: non è coraggioso o forte quello che, per non

conoscere o valutando erroneamente la realtà, cioè per stupidità, non

ha alcuna paura. Non si deve temere la morte, in questo modo, per

paura di essa, offendiamo Dio; ma, dobbiamo temere la morte in

quanto è essa un ostacolo che impedisce agli uomini di realizzare

opere di virtù, sia per se stessi che per l’utilità di molti altri. Allo stesso

modo, non dobbiamo cedere alla paura di perdere i beni temporanei

quando ci impediscono di amare Dio. Ma, non devono essere

disprezzati in quanto noi serviamo da strumento per amarlo. Il

coraggioso resiste, ma non in qualunque modo, ma secondo la ragione

e la fede.

La temerarietà: la mancanza di paura razionale porta alla temerarietà.

Temerarietà è il nome di una passione dell’appetito irascibile. La

temerarietà come peccato consiste nel non volere moderare questa

passione secondo la ragione e la fede.

d) Peccato contro la temperanza

In relazione alla temperanza, che pone moderazione nella volontà di fronte

all’appetito senso concupiscibile, contrapposto ai vizi: gola, appetito disordinato

del desiderio e della delizia del cibo; e la lussuria, appetito disordinato del

desiderio e dei piaceri sessuali.

6.2- Le virtù teologali

Le virtù teologali si riferiscono direttamente a Dio: da qui il loro nome. Le

virtù teologali sono specifiche della morale cristiana. Il loro posto nella vita

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morale del cristiano è di eccezionale importanza, dato che la vita nuova richiede, a

loro volta, una espressione nuova.

Di fatto, le virtù teologali , oltre a modellare ed elevare le quattro virtù morali,

sono una novità radicale nella vita del battezzato. Non sono frutto dell’impegno

umano, ma sono virtù infuse, ossia , è Dio stesso chi le infonde nei battezzati.

Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano.

Esse informano e vivificano tutte le virtù morali. Sono infuse da Dio nell’anima dei

fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna. Sono il

pegno della presenza e dell’azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell’essere

umano. (CIC, 1813).

A partire dell’insegnamento di San Paolo, il quale elenca “la fede, la

speranza e la carità” (1Cor 13,13) come disposizioni fondamentali dei cristiani, la

tradizione ha conservato questa triplice ripartizione.

Il fondamento delle virtù teologali è che noi torniamo “partecipi della natura

divina” (2Pd 1,4), il che ci obbliga alla perfezione. Questa natura è l’essere, la vita

stessa di Dio. La partecipazione dell’uomo nella natura divina è l’evento storico-

salvifico determinante e decisivo: rivelatore della volontà creatrice e redentrice di

Dio, e della dignità vocazionale dell’uomo.

In questa partecipazione nella vita di Dio, dalla quale Dio condivide con

l’uomo la sua natura, l’essere umano fa un’esperienza rivelatrice del

sovrannaturale, quale dimensione-evento realmente a misura dell’uomo; per

essere vero l’umano nell’integralità della sua persona, sociale, cosmica, storica,

trascendente.

Questa partecipazione nella natura divina, a sua volta, è un evento

diabolico51 e altamente personalizzante. L’uomo non rimane passivamente

ricettivo. Certamente beneficia gratuitamente: questa costituisce un evento di

grazia. Ma è un evento che, mentre costituisce l’uomo ontologicamente, lo chiama

eticamente.

Per la teologia, la partecipazione nella natura divina è “luogo”, ermeneutico

nodale e decisivo per raccogliere e non perdere l’essenziale: “luogo”, tuttavia,

dell’esperienza partecipativa personale-ecclesiale e dell’intelligenza riflessiva della

fede.

La Teologia Morale, in particolare, raccoglie la specifica etica cristiana e

rincontra la sua natura teologica e allo stesso tempo personalistica, offuscata e

persa dall'essenzialissimo razionalista e dal giusnaturalismo casistico che la

dominava e la condizionava da molto tempo.

La fede parla di un modo nuovo di “conoscere”; la speranza allude ad un

fondamento nuovo fiduciosamente atteso; e la carità presuppone un modo

radicalmente nuovo di amare.

                                                            51 Dove c’è una forma di dialogo.  

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6.2.1- La fede

La libera risposta dell’uomo a Dio, che gli parla nel piano naturale, è la fede

teologale. Nel centro di questo dialogo tra Dio e l’umanità c’è Gesù Cristo. La fede

è cristiana nell’Antico Testamento ricevuto e professato da Gesù il Signore: “Fede

nel Signore Gesù” (Ef 1,15).

Il cristiano professa la fede in Dio nella fede di Gesù Cristo: unitariamente e

indivisibilmente (cf. Jo 12,44-45). E’ in Gesù Cristo che la verità della fede, verità di

Dio, viene offerta all’uomo. Lui è il volto visibile del Dio invisibile (cf. Jo 1,18): in Lui

Dio absconditus ritorna Dio revelatus.

La chiesa è il corpo di Cristo prolungato. La fede, nel senso pieno della

parola, implica l’adesione a Dio Padre per Cristo nella Chiesa. La fede inaugura in

ogni cristiano una vita ecclesiale.

L’obiettivo della fede non è per se evidente. È sempre chiaro-scuro (Dio Uno

e Trino; Gesù Dio e uomo). L’atto di fede è l’atto dell’intelligenza mossa dalla

volontà. Questa, a sua volta, si accetta solo di credere se è libera delle passioni

disordinate, o se la vita affettiva del soggetto non è ossessionata da preconcetti

che si oppongono alla verità della fede.

Abbracciare la fede è connesso alla vita morale della persona. Chi non

vive come pensa, finisce a pensare come vive.

Se la fede è un atto della volontà mossa dall’intelligenza, si comprende che,

quando sinceramente vuoi credere, stai già credendo. La fede è un dono di Dio

offerto a tutti gli uomini, ma non tutti hanno le disposizioni o la volontà interiore per

accettarla. Sono evidenti verità per Dio, ma chiaro-scure per noi, che abbiamo un

intelligenza limitata. Per questo, è necessario che l’individuo voglia credere. E’

dono di Dio, ma è anche atto della volontà dell’uomo.

La verità è che non vediamo quello in cui crediamo, ma vediamo che è

necessario credere in quello che non vediamo. Da questo ne segue che la fede

non è un atto cieco, sentimentale, emotivo, ma è all’altezza dell’intelligenza

umana.

a) Doveri in relazioni alla fede

Tutto l’essere umano ha l’obbligo di studiare il problema di Dio =>

nessuno deve vivere senza un parere formato , con sincerità e

lucidità, al rispetto di Dio. Chi, senza preconcetti, cerca Dio, lo

incontra.

Cercare di conoscere meglio la verità della tua fede => la buona

formazione dottrinale è, per tutti elemento di grande importanza,

perché favorisce la vita della preghiera e l’unione con Dio. La Chiesa

introduce i fedeli nella verità della fede. I genitori, però, devono

istruire i figli nella fede fin dai primi anni.

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Fare atti – impliciti o espliciti – della fede => è necessario esercitare

la fede affinché essa non si atrofizzi e muoia. La preghiera è il

migliore e più ricco esercizio della fede.

Trasmettere la verità della fede => tutti i cristiani hanno una

vocazione per l’apostolato. E’ necessario esercitare un lavoro

evangelizzatore e catechistico, senza confondere, pertanto, catechesi

e proselitismo. Deve anche, propagarla a quelli che non sentono

parlare del messaggio cristiano o ignorano alcuni dei suoi contenuti.

Confessare la fede => non sarà mai lecito rinnegare la fede o

vergognarsi della fede. Pecca anche quello che si pone il pericolo di

perdere la fede. Piuttosto, si deve crescere nella fede, lasciandosi

alimentare dalla preghiera e dai sacramenti.

Proteggere la fede => la fede ai giorni nostri soffre di molte

aggressioni, per esempio, da parte dei mezzi di comunicazione

sociale (film, giornali, riviste). Il cristiano ha l’obbligo di combattere gli

errori che si possono divulgare contro la fede.

La fedeltà al Magistero della Chiesa => Dio non ci parla per canali

particolari o segreti, ma per la Chiesa che Egli fondò e la quale

assiste affinché trasmetta integralmente la verità della fede.

b) Alcuni peccati contro la fede

L’incredulità => esiste l’incredulità non colpevole (assenza di fede

esplicita), incredulità per negligenza (assenza della fede in qualcuno che

è stato negligente volontariamente nell’informarsi in relazione della

religione, o se ha cercato, non ha cercato quando doveva), e l’incredulità

propriamente detta (rifiuto formale di credere; opposizione cosciente alla

fede).

Eresia e apostasia => cade in eresia propriamente detta il cristiano che

nega una o più verità della fede proposta dalla Chiesa come articoli di

fede cattolica. Quando il cristiano rifiuta tutte le verità della fede, incorre

in apostasia.

L’indifferenza religiosa => può essere pratica o teorica. Il primo è il

disinteresse per la verità della fede, per la salvazione degli uomini, ecc..

La seconda consiste nell’affermazione che tutte le religioni sono

ugualmente verità e salvazione.

Dubbio => il dubbio contro la fede è peccato solo quando inspirato da

disprezzo o da cattiva volontà. Equivale praticamente all’incredulità o

alla eresia.

6.2.2- La speranza

La fede è strettamente legata alla speranza. Se il cristiano vive della fede, è

proprio la fede a garantire della sua speranza e della sua fiducia illimitata in Dio. E’

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il senso della frase di San Paolo che unisce fede e speranza: “Io so a chi ho

depositato la mia fede” (2Tm 1,12).

La speranza teologica è, poi, la virtù secondo la quale teniamo la fiducia di

arrivare alla visione di Dio faccia-a-faccia, sostenuti nella bontà e nella fedeltà di

Dio. E’ la virtù che garantisce al cristiano la certezza della salvezza eterna e

gli concede la forza di continuare a mantenersi sicuro nell’alleanza anche in mezzo

alle difficoltà.

La virtù della speranza dice rispetto ai due vasti campi: l’aspirazione alla

salvezza eterna e alla fiducia durante il percorso che conduce ad essa. La

speranza risponde all’innato desiderio che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo di

aspirare all’autentica felicità eterna.

l cristiano aspira alla salvezza in cielo e confida nel conquistarla, non

appoggiandosi alla propria forza, ma confidando nell’aiuto di Dio, che certamente

non gli mancherà. La Lettera agli Ebrei rafforza questa convinzione: “Manteniamo

senza vacillare, la professione della nostra speranza, perché è degno di fede Colui

che ha promesso” (Hb 10,23).

E, al di là della promessa divina, la ragione della fiducia è l’immenso potere

di Dio e il suo amore illimitato per l’uomo. Questa doppia realtà viene dalla

Rivelazione, perché i tanti testimoni della Scrittura garantirono che Dio sta sempre

disposto ad aiutarlo.

Nella Lettera a Tito, San Paolo dichiara questa profonda certezza:

Egli ci ha salvato non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua

misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello

Spirito Santo effuso da Lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù

Cristo, nostro salvatore, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi,

secondo la speranza, della vita eterna (Tt 3, 5-7).

Dio è l’oggetto della speranza, perché Egli è il Bene Supremo, il cui

possesso dà all’uomo la massima felicità. Il servitore fedele, nella parabola, sente

l’invito: “Entra nella gioia del tuo Signore” (Mt 25,23).

La speranza è l’energia fondamentale non solo della vita cristiana, ma della

vita di tutti gli uomini, in generale. Nessuno, compreso il cristiano, può condurre

un’esistenza autenticamente umana senza alimentare nessuna speranza.

La speranza cristiana è legata, da un lato, al timore e, dall’altro lato,

all’amore. Già che siamo pellegrini, possiamo avere lo spavento di non arrivare al

nostro termine definitivo. Nonostante questo, la speranza non perde la sua

fermezza, perché è ancorata in Dio. Da Dio tutti speriamo; di noi stessi tutti

possiamo temere.

Tra le virtù teologali, la migliore è la carità, come afferma San Paolo in 1Cor

13,13. Tuttavia, il maggior danno che qualcuno può soffrire, non è la perdita della

carità, ma la perdita della speranza. Chi perde la speranza non prega e, se non

prega, chiude tutte le vie d’uscita dal suo problema. Se manca la speranza, manca

l’energia fondamentale per l’uscita.

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a) Peccati contro la speranza

Sono due i peccati che possono essere commessi contro la speranza: la

disperazione (che diffida della promessa divina) e la presunzione (che abusa della

stessa).

La disperazione => per molti manca il gusto per il bene eterno.

L’individuo si lascia abbattere dallo sconforto e non ha il coraggio di

proseguire il cammino in direzione della pienezza della vita, come

anche non ha il coraggio di ritirarsi. A volte, l’abbattimento spirituale è

legato a una malattia psichica o fisica, che necessita di uno specifico

trattamento. Il suicidio, o attentato diretto contro la propria vita è,

obbiettivamente parlando, la suprema espressione della

disperazione. E’ bene non perdere di vista, però, che solamente Dio

sa cosa occorre nell’intimità di una persona che commette il suicidio.

La disperazione, inoltre, è identificata come la mancanza di fiducia

nell’infinita bontà di Dio. Questo è grave e pericoloso, perché il

cristiano manca di coraggio all’azione dello Spirito Santo, inspiratore

della conversione degli uomini a Dio.

La presunzione => è l’attitudine di coloro che sperano di possedere la

beatitudine definitiva e l’aiuto di Dio necessario in questa vita, senza

tener conto della fragilità umana e alla totale gratuità della bontà di

Dio. È il peccato di coloro che confidano eccessivamente nella loro

forza naturale o di coloro che pensano di avere già meritato la vita

eterna attraverso le opere buone una volta realizzate. Pecca anche

per presunzione la persona che rinvia la sua conversione e giudica

che Dio non permetterà che muoia senza i sacramenti. Di fronte a

questo, è necessario che il cristiano porti in se un santo timore di Dio,

timore filiale, che non teme di essere punito da Dio, ma ha paura di

offendere Dio, che è il Primo Amore e Sommo Bene.

b) La speranza come impegno morale

La speranza che abita in un cristiano è un potenziale d’azione: “Fortificati da

tale speranza, siamo pienamente fiduciosi”, ce lo insegna San Paolo (2Cor 3,12).

La speranza non ci proietta nel cielo, ma ci colloca in azioni sulla terra: la

speranza è una fonte inesauribile di azione. La morale cristiana, di fatto, è una

morale di speranza che spinge alla fiducia (parresia).

La speranza spinge alla coraggiosa franchezza dell’osare, ai confini della

verità, della fedeltà, della gratuità, in quello che hanno di arduo, offerto, sofferto. In

questo modo, “dare ragione alla speranza che è in noi” (1Pd 3,15) significa negare

i sospetti e le accuse di una speranza consolatrice, fuga dal mondo, tradimento

verso l’alto, alienazione della responsabilità nel mondo.

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Questo perché la speranza teologica non si aliena da nessun impegno

temporale e terreno, ma essa è il principio e fonte della responsabilità e della

fedeltà morale e ministeriale, sociale ed ecclesiale, personale e solidale.

La speranza si professa con l’agire che suscita. La speranza non è

un’attesa passiva, ma missionaria. A cominciare dall’esperienza personale, a

partire dall’interiorità della persona, profondamente stimolata dal dovere salvifico

della grazia. Questo chiama alla consonanza di sé con la novità della vita

anticipata nella speranza.

La speranza non accade fuori dal tempo, ma abbraccia e involge il tempo:

“nella promessa il futuro promesso si prefigura nel presente”. E questa

prefigurazione è, allo stesso tempo, un dato ed una funzione:

Un dato, legato all’evento di Dio nella storia, che ha nella Pasqua di

Cristo il suo apice e nella Pentecoste il suo centro di irradiazione

nella Chiesa e, mediante il Battesimo, nella vita cristiana.

Una funzione, legata alla libertà del cristiano, chiamato ad assumere

il dato nel presente del suo essere nel mondo, affinché il suo

presente prenda la forma del futuro di Dio, e diventa un momento

anticipato e prefigurativo.

La speranza cristiana si distingue dall’ottimismo. Anche se rivolta al bene

definitivo, non ignora i valori temporali. Per chi ha speranza, la croce non è

delusione. La speranza cristiana è inseparabile dalla preghiera, che è

l’espressione della speranza e la sua garanzia. La speranza suscita anche allegria

nel cristiano.

6.2.3- La carità

Per carità intendiamo l’amore, ovvero, l’amore cristiano. La carità è la virtù

teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Dio.

La carità trasforma l’amore cristiano in un amore nuovo ed unico. Il Dio, che

si manifesta come amore- o meglio, che si definisce amore (1Jo 4, 8-16) –, infonde

nel battezzato questo stesso amore, che lo colloca in cima a ogni amore umano.

La carità è un amore nuovo, espresso come “agape”.

Il cuore umano non è capace di produrre questo amore, che è un puro dono

gratuito di Dio. Ecco perché l’uomo non può amare Dio sopra ogni cosa ed il

prossimo per Dio se non in virtù di quell’amore nuovo che Dio gli infonde come

virtù teologale.

L’amore di Dio e l’amore al prossimo hanno la stessa fonte, ma tra loro

hanno una gerarchia. Il primo è l’amore per Dio, il quale è, allo stesso tempo, fonte

e radice dell’amore per il prossimo. L’amore per il prossimo è, a sua volta, segno

che l’amore di Dio è autentico e non falso. E’ quello che ci dice San Giovanni con

tanta chiarezza:

Carissimi, amiamoci gli uni con gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è

stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché

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Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel

mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In

questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma lui che ha amato noi e ha

mandato il suo figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1Jo 4, 7-10)

a) Livelli d’amore

I greci avevano tre parole per designare l’amore: Eros (amore avaro, egoista

ed egocentrico); Philia (designava l’amicizia); e Agape (l’amore della benevolenza,

che è il dono di sé gratuito).

Il cristiano, nel battesimo, riceve la capacità di amare con amore agape, che

è la partecipazione dell’amore di Dio versato nel cuore dell’uomo. Quindi, i criteri di

simpatia e affinità non sono decisivi per il cristiano, una volta che deve amare amici

e nemici.

A questo proposito, conviene distinguere tra amore affettivo ed amore

effettivo. Il primo muove i sentimenti naturali ed è diretto, generalmente, alle

creature visibili ed attraenti. L’amore effettivo, però, può rendere freddi i sentimenti

della persona, ma, tuttavia, fa il bene che interessa il prossimo. Quest’ultimo ha

sede nella volontà, e non nei sentimenti dell’uomo.

La pratica intensiva del bene fa si che l’amore si fortifichi e consolidi sempre

più nell’intimità di ogni cristiano. Questo significa: che è per l’esercizio che le

nostre facoltà si sviluppano.

b) Peccati contro l’amore

Esistono alcuni peccati contro l’amore di Dio. È necessario prima, però,

affermare che non si può mai peccare , per eccesso, contro l’amore di Dio, poiché

Dio, essendo di infinita bontà, è infinitamente degno di essere amato. Tuttavia, è

possibile peccare per amore di Dio in forma sbagliata:

Sentimento religioso => cercare Dio per soddisfare i propri

sentimenti religiosi;

Fanatismo religioso => è l’adesione ossessionata da false

credenze o zelo irrefrenabile per la difesa o propagazione della

fede contraria alla volontà di Dio.

Esistono anche peccati di mancanza di amore a Dio:

Indifferenza volontaria => genera un eccessivo attaccamento ai

beni creati;

Odio a Dio => totale alterazione dell’ordine morale.

c) Doveri della carità fraterna

Dall’Antico Testamento (Lv 19,18.33s), la Sacra Scrittura ci dice della

necessità di amare il prossimo. L’amore al prossimo è molto legato alla giustizia;

implica all’osservanza della giustizia. La giustizia deve essere illuminata dalla

comprensione delle esigenze intime del prossimo, che solo l’amore sincero

percepisce.

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Esaminiamo adesso alcuni doveri della carità fraterna:

Elemosina e opere di misericordia => sebbene non si vede ai

nostri giorni, l’elemosina continua ad essere indispensabile in

molti casi, specialmente nei casi di necessità estrema. La Sacra

Scrittura la raccomanda enfaticamente (cf. Pr 19,17; Lc 6,38;

12,33). L’autentica elemosina deve essere: realmente caritatevole,

disposta, discreta e di animo buono e generoso. L’elemosina da

beneficio non solo a chi riceve, ma anche a chi dà. Favorisce

distacco e libertà interiore.

La misericordia è una forma speciale di amore al prossimo. Consiste nel

compatirsi delle miserie altrui.

Le opere della misericordia spirituale sono sette: insegnare agli

ignoranti; consigliare i dubbiosi; ammonire i peccatori; perdonare le offese;

consolare gli afflitti; sopportare pazientemente le persone moleste; pregare Dio per

i vivi e per i morti.

Le opere della misericordia corporale anche sette: visitare gli infermi;

dare da mangiare agli affamati; dare da bere agli assetati; dare alloggio ai

pellegrini; vestire gli ignudi; visitare i carcerati; seppellire i morti.

Correzione fraterna => implica ogni intervento diretto verso il

prossimo per deviarlo dal male e portarlo sul cammino del bene.

L’oggetto della correzione fraterna sono i peccati gravi del

prossimo o il pericolo di incidenza su di loro. Affinché ci sia

occasione di correzione fraterna deve: aver peccato o pericolo

reale di peccato; deve avere, anche, speranza di successo;

il prossimo deve avere, realmente bisogno della correzione.

C’è una cosa che è estremamente nociva e ferisce l’amore a Dio ed al

prossimo: l’odio. L’odio è l’atto di volontà che non solo rifiuta al prossimo l’amore

dovuto, ma rifiuta il fratello come un male. Porta frequentemente a desiderare la

rovina del prossimo, inclusa la morte, e al praticare ostilità allo stesso. A proposito,

è importante notare quanto segue:

Una cosa è sentire l’odio; un’altra è consentirlo.

È necessario odiare sì, il peccato. Però, è necessario che amiamo il

peccatore.

È lecita la collera giusta (indignazione di fronte al peccato).

L’invidia è, spesso, la ragione di causa dell’odio.

d) Relazione tra giustizia e carità

Queste due virtù si integrano reciprocamente l’una nell’altra. Sono

strettamente connesse; però, rimanendo specificamente distinte. In questo modo,

l’integrazione completa della giustizia e della carità o dell’amore è una distinzione

essenziale della morale cristiana individuale e sociale.

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Questo ci porta alla seguente realtà: non esiste una vera carità senza

giustizia; ma anche non esiste giustizia vera senza carità; affinché l’amore è il

motore di tutta la giustizia, ossia, l’anima delle strutture esistenti e di tutte le

espressioni giuridiche che regolano le relazioni umane. Quindi, possiamo dire che

la vera carità vuole prima di tutto la giustizia, la base necessaria della vita sociale.

La carità è veramente un bene quando è un testimone dell’amore, ma è un

male quando vuole esonerarci dalla giustizia. La vera carità non deve essere solo

affettiva (di affetto, di sentimento), ma anche deve essere effettiva ed efficace (di

effetti, di opere).

Differentemente dal concetto che molte persone hanno della carità, questo

è, il concetto limitato a quello di dare l’elemosina, o donare ciò che è superfluo, o

anche di fare qualunque tipo di assistenza sociale, dobbiamo apprendere che la

carità non deve essere fatta guardando il povero dall’alto verso il basso, ne deve

essere considerata occasione di aumentare i propri meriti di fronte a Dio e, peggio

ancora, davanti agli uomini.

Non c’è dubbio che la “carità palliativa” ha una funzione provvisoria

nell’attesa di una più piena realizzazione della giustizia sociale. La vera carità

cristiana non è solo semplice elemosina, ma, e, soprattutto, significa aiutare gli altri

ad aiutarsi, sviluppando le loro personalità e utilizzando le infinite risorse della

terra. Cioè, la carità “è il maggiore comandamento sociale”.

La carità riguarda gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e solo

la giustizia rende le persone capaci di praticare la carità. La carità ispira una vita

che si fa dono di sé.52

La giustizia, a sua volta, è subordinata alla carità, ma non è assorbita da

essa, e non può esistere vera carità dove il diritto è calpestato. Il diritto, quindi, ha

bisogno della carità, che facilita la relazione delle proprie finalità giuridiche,

favorendo la redenzione con la fiducia e l’amore. Mentre la giustizia garantisce un

dato ordine (dà ad ognuno ciò che è suo), la carità la supera, per suscitare

qualcosa di meglio (aggiunge il proprio).

L’amore fa di più: chi ama dà ciò che ha, dà quello che è, dà se stesso. La

carità, di fatto, viene dopo la giustizia, ma non è al di sotto di essa; la carità

comincia dove la giustizia finisce.

Di fronte ad un povero, non possiamo accontentarci di dargli il cibo, ma

dobbiamo cercare le cause della sua povertà e, una volta trovate insieme a lui,

vincerle per farlo tornare ad essere una persona vera. Senza la giustizia, la carità

perde il substrato umano e diventa solo apparenza della virtù, così che non si può

dimenticare che l’unica carità valida è quella fondata sulla giustizia.

Questo ci ricorda il vescovo brasiliano Dom Helder Câmara, che, anche se

morto, rimane molto amato. Egli disse una volta: “Quando dò da mangiare ai

                                                            52 Catechismo della Chiesa Cattolica, nº 1889. 

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poveri mi chiamano santo. Quando, però, chiedo perché i poveri non hanno cibo,

mi chiamano comunista”53.

Il papa Francesco ricorda che l’opzione preferenziale per i poveri, viene

dalla parola di Gesù. "L’attenzione per i poveri è nel vangelo e nella tradizione della

Chiesa; non è un invenzione del comunismo e non dobbiamo farne un’ideologia"; è

documentata già dai primi secoli del cristianesimo: basta citare i primi Padri della

Chiesa, del secondo o del terzo secolo. Le sue omelie non possono essere

considerate "marxiste", spiega Papa Francesco, perché quando "la Chiesa invita a

vincere la ‘globalizzazione dell’indifferenza’ resta lontana da qualsiasi interesse

politico e da qualsiasi ideologia". essa è "mossa solo dalla parola di Gesù" e

"vuole dare il suo contributo nella costruzione di un mondo dove si protegge e ci si

aiuta l’uno con l’altro”.54

In effetti, una carità solo apparente, che maschera le violenze più gravi dalla

più elementare giustizia, che deve essere per prima perseguita, la rende una

caricatura, la peggiore delle mistificazioni per camuffare una ingiustizia, le cui

vittime denunciano violentemente l’ipocrisia. Ossia, non è sufficiente trattare il

prossimo come “oggetto” del nostro amore, ma è necessario considerarlo come

“soggetto” del nostro amore.

Pertanto, non si può perdere di vista che i concetti di carità e giustizia

camminano di pari passo e non possono essere separati dalla dimensione politica.

L’amore al prossimo non è efficace se non si hanno le intenzioni di modificare le

cause della situazione in cui si trova, sia se sono situazioni della vita sociale,

culturale, economica e politica.

Perché abbiamo avuto e cercato un Dio senza giustizia, oggi abbiamo una

giustizia senza Dio. Questo ci spinge a cambiare questa situazione e ad

apprendere che l’elemosina deve essere data con spirito sovrannaturale, come

atto di un fratello che aiuta un altro fratello.

Qui è messa in evidenza la necessità di promuovere sempre più una

cultura della carità. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica incontriamo la

seguente dichiarazione:

Solo attraverso l’amore si può riconoscere ogni persona come il prossimo, un

fratello.55

La carità, allora, deve essere attiva e fattibile. La perfezione di questa carità

consiste nel dare la propria vita per il proprio fratello; l’inizio avviene nel dare

l’elemosina, aiutando così il bisognoso. Se l’individuo non vuole dare il

superfluo al fratello, come potrà dargli la propria vita? Da lì comincia la carità.

                                                            53 Dom Helder Câmara è stato uno dei fondatori della CNBB (Conferenza Nazionale dei Vescovi Brasiliani) e un grande difensore dei diritti umani durante il regime militare brasiliano. Ha predicato contro la violenza e anche per una Chiesa semplice con particolare attenzione ai poveri. Con il suo modo di pensare e recitare ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali. Fu l’unico brasiliano candidato quattro volte al Premio  Nobel  per  la  Pace;  tuttavia,  è  stato  accusato  dai  suoi  avversari  di  collusione  con  il  marxismo. Considerato il “Don della Pace”, nel maggio di 2015 è stato aperto il processo della sua beatificazione.  54 Vedi Radio Vaticano, 11/01/2015. 55 Catechismo della Chiesa Cattolica, 1931. 

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Un’altra cosa molto importante è che la carità non si identifica con la

filantropia. Sono due cose differenti. La filantropia strumentalizza la carità, in modo

che, come “amore dell’uomo”, non può essere sinonimo della carità cristiana. Deve

essere rifiutata una carità “d’interesse”, semplicemente diplomatica, che

falsamente si maschera dell’amore per disobbligarsi dai precisi obblighi della

giustizia.

La carità, così come la giustizia, deve essere umana, cioè, deve avere come

norma diretta solo la generosità di chi deve dare. Perché se la giustizia deve

essere caritatevole, è necessario anche che la carità sia giusta.

Benedetto XVI insegna che la giustizia non è alternativa né parallela alla

carità; è inseparabile dalla carità ed intrinseca ad essa. Vuol dire, la carità, intesa

una volta esclusivamente come sostegno alla persona bisognosa, ha in realtà due

rami: con una mano promuove la giustizia dentro la struttura della società, e con

l’altra aiuta le vittime della ingiustizia. La carità parte dalla giustizia e va oltre.

Questo afferma che carità e giustizia sono inseparabili, in quanto costituiscono due

lati della stessa moneta: la carità vivifica la giustizia e la giustizia obbliga a

superare una concezione intima e socialmente irrilevante della carità.56

Pertanto, giustizia e carità sono “i due aspetti inseparabili dell’unico impegno

sociale dl cristiano”.57 In questo modo, se la carità potesse esistere senza giustizia,

sarebbe carità ingiusta; e carità ingiusta non è carità.

Per riflettere:

1) Spiega questa affermazione: “la vita cristiana è il seguire e l’imitazione

della vita di Gesù Cristo”?

2) Perché l’azione dello Spirito Santo è necessaria affinché il cristiano si

possa identificare con Gesù Cristo?

3) Che cosa significa dire che la vita morale del cristiano è sostenuta dal

dono dello Spirito Santo?

4) Sei oggi in condizioni di affermare come San Paolo: “non sono più io

che vivo, ma è Cristo che vive in me”? Che cosa manca per arrivare a

questa identificazione con Gesù Cristo?

5) Che cosa significa la parola “virtù”? Quali sono le ragioni che

giustificano la pratica delle virtù cristiane?

6) Qual’ è la definizione delle virtù cardinali? E quali sono le virtù

cardinali?

7) Che cosa significa la prudenza? Perché è importante per la vita morale

del cristiano?

8) Che cosa significa la giustizia? Perché è importante per la vita morale

del cristiano?

                                                            56 Cf. BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate nº 6.  57  BENEDETTO  XVI.  Il  Cristiano,  chiamato  alla  Giustizia  e  all’Amore.  Discorso  ai  soci  UCID  ‐  Unione  Cristiana Imprenditori Dirigenti (4 marzo 2006), in L’Osservatore Romano, 05  marzo del 2006. 

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9) Che cosa significa la fortezza? Perché è importante per la vita morale

del cristiano?

10) Che cosa significa la temperanza? Perché è importante per la vita

morale del cristiano?

11) Quale è la definizione delle virtù teologali? E quali sono le virtù

teologali?

12) Che cosa significa la fede? Perché è importante per la vita morale del

cristiano?

13) Che cosa significa la speranza? Perché è importante per la vita morale

del cristiano?

14) Che cosa significa la carità? Perché è importante per la vita morale del

cristiano?

15) Conosci le opere di misericordia spirituali? Vedi il significato di ciascuna

di esse.

16) Conosci le opere di misericordia corporali? Vedi il significato di

ciascuna di esse.

17) Stabilisci alcune relazioni tra la giustizia e la carità.

18) Perché la giustizia e la carità sono essenziali distinzioni della morale

cristiana individuale e sociale? Che significa questo?

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In questa TAVOLA vedremo che la Bioetica è un’etica applicata, chiamata

anche “etica pratica”, che mira a “rendere conto” dei conflitti e delle controversie

morali coinvolte nelle pratiche nell’ambito delle Scienze della Vita e della Salute dal

punto di vista di un certo sistema di valori (chiamato anche “etica”).

In questo contesto, la Bioetica si basa su un insieme di ricerche, discorsi e

pratiche, di solito multidisciplinari, la cui finalità è chiarire e risolvere interrogativi

di etica sollevati dal progresso e dall’applicazione della medicina e della biologia.

La bioetica, quindi, ha un forte legame con la Filosofia e la Morale (in quanto

tratta di questioni etiche) e considera la responsabilità morale degli scienziati nelle

loro ricerche e nelle loro pratiche. Tra gli argomenti trattati si evidenziano l’ aborto,

l’eutanasia, i transgenici, la fertilizzazione in vitro, la clonazione e i test sugli

animali.

In questa TAVOLA, intendiamo la Bioetica come lo studio riguardante il

valore della vita in tutte le sue dimensioni. La sua propria etimologia (bios= vita e

ethos= etica) ci porta alla comprensione che si tratta di una profonda e

fondamentale riflessione, tenendo conto delle norme basiche, essenziali e

indispensabili per la valorizzazione e conservazione della vita, in particolare per

quanto riguarda la vita umana.

Questa riflessione, necessariamente, tieni conto di tutte le fasi di una

esistenza nel suo carattere biologico, dalla sua origine. Tuttavia, non è solo una

riflessione sull’ambito biologico, ma ha anche la funzione di esaminare le relazioni

esistenti tra gli esseri viventi, le cure necessarie per il benessere, puntando,

sempre più, la promozione della vita umana, nella sua dignità e il diritto di esistere.

Per ciò, possiamo affermare senza paura l’importanza che ha anche nella

riflessione teologica il procedere insieme alla riflessione bioetica. La teologia e la

Bioetica non sono due realtà antonimie, ma, al contrario, sono riflessione che si

completano, che si aiutano, che non si annullano a vicenda.

Il proprio oggetto di riflessione di entrambe le “scienze” è lo stesso da

conoscere: la vita. La Teologia – essendo “lo studio di Dio e delle cose create nella

sua relazione con Dio” –, nonostante abbia anche una dimensione soprannaturale,

non nega, e addirittura afferma e riflette sulla dimensione naturale delle cose

create. Alla fine, il Dio della riflessione teologica, più precisamente della teologia

TAVOLA 7 

BIOETICA 

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cristiana, è il Dio della vita, che ha relazione nell’intimità con gli esseri umani e che

li ha creati per relazionarsi armoniosamente tra loro.

È chiaro che se vogliamo riassumere tutta la riflessione bioetica nel suo

carattere biologico, chiuderemo (almeno esplicitamente) il cammino verso la

riflessione teologica. Inoltre, non solo per la riflessione teologica, ma anche per

quella politica, sociale, culturale, ecc.

Osservando la Sacra Scrittura, vediamo che la vita – tutta – è composta da

un insieme di relazioni umane, nella lotta alla sopravvivenza, per il benessere,

nella ricerca della dignità e nella repressione della oppressione. In essa troviamo

una serie di norme e indicazioni per vivere bene e per prendersi cura di tutto quello

che favorisce la vita.

La Bibbia ci offre un´infinità di insegnamenti che si propongono di

supportare in forma libera e spontanea il nostro fare e agire in vista della

promozione della vita. Tutta la predicazione di Gesù di Nazareth ha privilegiato la

promozione della vita umana, e della Chiesa, come fedele seguace e discepolo del

suo Maestro, non ha smesso di riflettere sui valori della vita e sulle forme più

idonee per la sua conservazione, poiché questa è l´opera della creazione di Dio e,

quindi, dobbiamo avere zelo per questo.

Insomma, possiamo ribadire e sottolineare che esiste e deve sempre

esistere una “partnership” tra Teologia e Bioetica, poiché entrambe le riflessioni

hanno come punto centrale la vita, le sue relazioni e la sua conservazione. Dio è l’

autore della vita e, per questo, il primo a volere la sua promozione; e così continua

ad ispirare uomini e donne in tutti i tempi affinché lottino per difenderla. In questo

modo, la Teologia ha, senza dubbio, un grande contribuito da offrire alla riflessione

Bioetica.

7.1- Una prima riflessione: casi che interpellano la Bioetica

Di seguito, affronteremo quattro casi particolari che rappresentano alcuni tra

i diversi casi che interpellano la Bioetica. I punti a seguire sono estratti dalla

“Iniziazione alla Bioetica” di Valter Augusto Della-Rosa:58

a) Una clinica per la fertilità ha ottenuto, per una coppia, cinque

embrioni. Dopo la diagnosi genetica, è stato possibile identificarne

due con anomalia cromosomica (sindrome di Down) e tre normali. La

legislazione brasiliana ha permesso lo scarto; gli embrioni potranno

essere utilizzati esclusivamente per l’impianto o per la ricerca (Legge

nº 11.105). La coppia non desidera impiantare questi due embrioni

con anomalie.

b) Una donna, donatrice genetica, non può generare figli, ma produce

ovuli e suo marito produce spermatozoi normalmente. Ella chiede a

sua cognata di generare il bambino, dopo aver ottenuto la

                                                            58  V.  A.  DELLA‐ROSA,  “Iniziazione  alla  Bioetica”,  in  FALCO,  J.R.P.  (Org.),  Biologia  degli  Organismi.  Eduem, Maringá, 2011. 

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fecondazione mediante tecnica di riproduzione assistita in

laboratorio, con cellule della coppia. La cognata accetta l’impianto nel

suo utero. Alla fine della gravidanza, la cognata non desidera

consegnare il bambino alla coppia.

c) Immagina di essere giovane e brillante e in fase conclusiva degli

studi. Di vivere in un determinato paese che non consente l’utilizzo

delle cellule tronco embrionarie, con finalità terapeutica. A sua volta,

di praticare una religione che proibisce questa tecnica. Scoprire che

si ha un disturbo degenerativo muscolare che fatalmente porterà alla

morte. Nel paese vicino, con poche ore di volo e con prezzo di

biglietto accessibile al budget, si scopre che sono già in una fase

avanzata con le ricerche di questo disturbo e cercano pazienti per

provare un trattamento gratuito.

d) Lei è insegnante in una classe della Scuola Primaria. Riceve dal suo

preside l’ordine di assistere una ricercatrice di una università che

desidera conoscere i genotipi dei suoi studenti per un gene

relazionato alla sordità. Pertanto, questa dice che necessità della

raccolta di sangue degli studenti, argomentando che non sia

necessario presentare un modulo di consenso, tanto meno passare

per un comitato etico istituzionale.

Questi e tanti altri casi sono materie di riflessione della Bioetica. “La scienza

e la tecnica avanzano; qui ci sono i progressi della medicina, della biologia e della

genetica. Tutta questa scienza può servire all’essere umano, ma può anche

minacciarlo. Per questo la bioetica è importante; questa cerca di conservare la vita

delle persone e estende il suo raggio di azione a favore di tutta la natura”.59

7.2- Il valore della vita umana e le esigenze etiche60

Prima di affrontare alcune questioni concrete, è necessario avere una

visione globale dei problemi morali relazionati con la vita umana; quei problemi che

si riferiscono alla privazione totale della vita (morte), quelli relazionati con i pericoli

di perdere la vita e quelli che si concretizzano in opzioni che la persona umana

deve affrontare per superare le malattie e vivere in salute.

7.2.1- La privazione della vita (la morte imposta)

Le esigenze della morale veterotestamentaria61 sono: “Non ucciderai”; “La

vita è un diritto di Dio”; ecc.

Suicidio> Sono multiple le forme in cui una persona può arrivare a disporre

della propria vita. Tanto il suicidio per “disperazione” come il suicidio “contestatorio”

                                                            59 Nilo AGOSTINI. Moral  cristã:  Temas para o dia a dia. Nesta hora da graça de Deus.  Petrópolis: Vozes, 2004, p. 95. 60 I testi che seguono in questa voce sono sintetizzati a partire da  Marciano Vidal. Moral de Actitudes. Vol. II – Moral de la persona, Perpetuo Socorro, Madrid, 1977, p. 215‐222. 61 Veterotestamentario: relativo ai libri della Bibbia che corrispondono all’Antico Testamento. 

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suppongono una perdita della ragione. La fede in Dio vivo è che libererà la

persona umana dalla tentazione del suicidio.

Omicidio> Togliere la vita di un essere umano è irrompere violentemente

nel santuario più sacro della dignità umana. Ammazzare un uomo è, in qualche

modo, come ammazzare Cristo. L’omicidio ha la sua origine nei meandri del male

del cuore umano: nasce dall’odio, dalla vendetta, dalla ambizione, da una vita di

marginalizzazione sociale, dalle giustificazioni magico - religiose.

Morte legalizzata (pena di morte, guerra)=> Noi cristiani siamo contrari

alla pena di morte; in primo luogo, perché non ci sembra possibile raggiungere

l’effetto di allontanare i possibili delinquenti dal commettere nuovi omicidi o crimini

atroci. Oltre a ciò, una persona morta non può compensare in nulla la società, non

può contribuire in alcun modo a rimediare; non si può togliere dalla persona che ha

commesso un reato la speranza della rigenerazione.

7.2.2- La vita in pericolo

Una esigenza morale importante di fronte alla vita corporea è quella di

liberarla dai rischi cui può essere soggetta.

Incidenti e malattie di lavoro => I datori di lavoro sono tenuti a creare

condizioni di lavoro in cui, oltre ad altri aspetti di base della giustizia e della

sicurezza, sia garantita la salute fisica e mentale dei lavoratori.

Traffico stradale => La responsabilità morale dei guidatori e delle autorità

di transito è di grande importanza nella prevenzione dei fattori potenziali generatori

di incidenti che disabilitano e mutilano vite.

Sport pericolosi => La morale considera come situazione di pericolo per la

vita umana alcuni sport.

Tortura, mutilazione => Considerata come una forma brutale di andar

contro l’integrità fisica e finanche alla propria vita dell’essere umano.

Sciopero della fame => Segnale di protesta (pone in pericolo la propria

vita).

7.2.3- Scelte etiche nella salute e nella malattia

La persona umana ha diritto a lottare contro tutte le forme di malattia, al fine

di vivere nel benessere che la salute dona. È certo che non sarà sempre in grado

di eliminare tutte le forme di malessere e di debolezza, poiché tali situazioni sono

inevitabilmente inerenti alla condizione umana. Ma, anche in tali circostanze entra

in gioco un atteggiamento etico d’impronta positiva.

Ethos umano-cristiano della salute e della malattia => La salute, la

malattia, il dolore; tre parole che denotano una profonda ricchezza della realtà

umano-cristiana. Ma, esiste un ethos peculiare per affrontare in modo coerente

queste situazioni.

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Cura con la salute: esigenza etica => Obbligazione generale: distinzione

tra mezzi ordinari e straordinari di trattamento; prospettiva sociale: l’etica dei

servizi di sanità nella società.

Farmaci e terapia medicinale => Problemi che vanno dalla produzione –

vendita - consumo di farmaci fino alla terapia medicinale, passando dall’etica

professionale del farmacista e del medico.

Interventi chirurgici => La morale si è occupata nel fare un discernimento

su liceità e illiceità delle chirurgie. I giudizi morali sono stati guidati da questi

criteri: il pericolo negli interventi (operazioni pericolose); la correzione di difetti fisici

(chirurgia plastica); l’ intervento diretto nella psiche umana (psicochirurgia).

7.3- L’ aborto dal punto di vista morale62

L’aborto è un antico problema nella storia dell’umanità. Gli uomini

appartenenti ad altre epoche storiche e di altre culture hanno dovuto affrontare

questo problema nella peculiarità della propria situazione. Tanto a livello teorico

come a livello pratico, l’aborto è una interrogazione alla scienza umana di tutti i

tempi.

Tuttavia, nel momento attuale, percepiamo una radicalizzazione del

problema. L’aborto acquista un ampiezza e una profondità di rappresentazione fino

ad ora inimmaginabili. Non si realizza unicamente come procedura facile per

liberarsi di una fecondità non desiderata (per ragione di controlli di natalità, del

costume sociale). Nemmeno si giustifica come “raccomandazione” medica per

salvare la vita e la salute della madre.

L’aborto si trova inserito all’interno di un contesto più ampio: quello della

rivoluzione sessuale (ammettendo una dissociazione tra il diritto all’esercizio del

sesso e l’esigenza di procreazione); quello della possibilità di scoperta di difetti

ereditari nella vita intrauterina (con la conseguente possibilità e sua eliminazione

mediante l’ aborto); quello del passaggio dalla clandestinità alla pubblicità dei suoi

praticanti; quello dell’accettazione di una società “liberal-progressista”, nella quale

è sempre più maggiore il grado di accettazione delle pratiche abortive (con la

conseguente liberalizzazione giuridica).

Questi e altri fattori ci indicano che la questione dell’aborto è stata oggetto di

un cambiamento radicale nel concetto attuale.

L’aborto è una realtà sociale. Non possiamo non riconoscere l’esistenza di

questo dato sociale il cui numero e la cui importanza tendono ad aumentare.

Per aborto si intende l’interruzione di una gravidanza quando il feto non è

ancora viabile, ossia, prima del termine del suo sviluppo e accrescimento in

condizioni extraeuterine.

La nozione giuridico - positiva ha un accezione più ristretta. Per il medico,

abortire è espellere il feto non viabile. Per il giurista e il giureconsulto è solo la

                                                            62  I  testi  che  seguono  in  questa  voce  sull’aborto  sono  sintetizzati  a  partire  da Marciano  VIDAL. Moral  de Actitudes. Vol. II – Moral de la persona, Perpetuo Socorro, Madrid, 1977, p. 222‐237. 

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azione volontaria e maliziosa di provocare quella espulsione, utilizzando per

questo i mezzi appropriati che lo consentono. L’ aborto morale è basato sulla realtà

dell’aborto medico, ma aggiunge la peculiarità dell’ambito etico (il peso della

valorizzazione intesa sia del punto di vista oggettivo che soggettivo). È

tradizionalmente accettato che il feto è viabile dopo 28 settimane.

Due classi di aborto sono distinte dal punto di vista Medico: lo spontaneo e

quello procurato.

L’aborto spontaneo è quello che avviene per cause naturali,

senza l’intervento speciale dell’essere umano.

L’aborto procurato è quello che avviene per intervento speciale

dell’essere umano.

Le cause che sono all’origine dell’aborto procurato sono spesso chiamate di

“indicazioni”:

Indicazione eugenetica: Se l’aborto è provocato per liberarsi di un

feto con difetti;

Indicazione medica o terapeutica: Se la causa è salvaguardare la

vita o la salute della madre;

Indicazione sociale: Se s’interrompe la gravidanza per non

supportare l’onere sociale o economico che comporta;

Indicazione etica (aborto falsamente-etico): Se con l’ interruzione

della gravidanza si considera un palliativo all’errore morale o

eliminare un disonore sociale.

L’aborto procurato è ciò è che è considerato dalla morale e dal diritto. Dal

punto di vista giuridico, può essere “legale” (se tollerato dalla legge) o “illegale” (se

non consentito dalla legge).

Dal punto di vista morale, l’aborto provocato è considerato nella prospettiva

della responsabilità e del valore obiettivo. Si parla di “aborto morale” riferendosi ad

un comportamento abortivo negativo: quando interviene la responsabilità in un

azione che apporta un controvalore in tale ambito di gestazione. La morale

cattolica ha introdotto una classificazione nella realtà dell’aborto, distinguendo tra

aborto “diretto” e aborto “indiretto”.

La dottrina ufficiale della Chiesa Cattolica, sulla moralità dell’aborto, e

questa ci interessa in modo particolare, è assoluta, chiara e tassativa. La Chiesa,

appoggiandosi alle affermazioni contenute nella Bibbia, nella tradizione cristiana e

negli interventi del Magistero e nella ragione, formula la sua dottrina dell’aborto nei

seguenti termini:

Tutto l’essere umano, incluso il bambino ancora nel seno materno,

possiede il diritto alla vita immediatamente da Dio, non dai genitori

né da qualsiasi autorità umana.

L’essere umano deve essere rispettato e trattato come una persona

sin dal suo concepimento e perciò, sin da questo momento gli

devono essere riconosciuti i diritti della persona, tra i quali e primo

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fra tutti, il diritto inviolabile di ciascun essere umano innocente alla

vita. Pertanto, non esiste alcun uomo, alcuna autorità umana,

nessun tipo di “indicazione”” (medica, eugenetica, sociale, morale)

che possa esibire un titolo valido per una diretta disposizione

deliberata sulla vita umana innocente.

L’aborto è un crimine gravissimo. Il Concilio Vaticano II° lo definisce

come “crimine abominevole”, ne discende che la vita deve essere

salvaguardata con estrema sollecitudine sin dal primo momento

dalla concezione.

L’aborto diretto, richiesto come fine o come mezzo rappresenta

sempre un disordine morale grave.

La gravità dell’aborto è tale che il Codice di Diritto Canonico

prevede la scomunica Latae Sententiae, ossia, per il fatto stesso di

commettere il crimine, per tutti quelli che “promuovono l’aborto,

ottenendo l’effetto (cf. can. 1398).

Nessuna circostanza, nessun fine, nessuna legge nel mondo potrà

mai far diventare lecito un atto che è intrinsecamente illecito perché

contrario alla Legge di Dio scritta nel cuore di ciascun uomo,

riconoscibile dalla propria ragione e proclamata dalla Chiesa.

Si giustifica solamente il cosi denominato “aborto indiretto”. 63

Häring esprime così il nucleo fondamentale della morale dell’aborto:

Nell’aborto sono in gioco i seguenti valori fondamentali: a) il riconoscimento del

diritto di tutto il genere umano alle più elementari condizioni di vita e alla propria vita

b) la protezione di questo diritto a vivere, soprattutto per coloro che collaborano con

l’amore creatore di Dio; c) la difesa di una idea giusta di maternità; d) il principio

etico del medico come colui che protegge e cura la vita umana e mai giunge ad

essere suo distruttore.

La forza dell’argomentazione si deduce dalla nostra fede nella dignità di tutta la

persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, e dalla nostra fede nella

vocazione dell’uomo alla fraternità universale per un amore, rispetto alla giustizia

reciproca. Tutti questi valori giungono ad un punto centrale e ad una priorità

speciale nella famiglia, nella relazione tra la madre e il figlio e tra il padre e il figlio.

L’ umanizzazione di tutto il genere umano e la totalità delle relazioni umane non

possono essere separate da questa relazione fondamentale e che da la vita tra la

madre e il figlio non nato.

Tutti gli sforzi di spiegazione arbitraria per giustificare l’aborto hanno condotto ad

altre forme di razionalizzazione delle relazioni interpersonali e ad esplosioni

superiori di violenza.64

Infine, diciamo che la gravità morale dell’aborto provocato rimane evidente

quando si riconosce che si tratta di un omicidio, poiché, la persona eliminata è un

essere umano innocente.                                                             63 Il chiamato aborto indiretto succede quando si pratica un atto con una finalità differente dalla morte del feto  (generalmente  trattamento medico  della madre), ma  che  tale  atto  comporta  secondariamente  e  per incidente la morte fetale. 64 B. HÄRING. Moral y medicina. Perpetuo Socorro, Madrid, 1972, p. 89‐99. 

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7.4- Eutanasia e Distanasia

Eutanasia = “Morte buona”. E’ la morte “soave” o la morte provocata in

qualcuno che è gravemente malato senza la speranza di guarigione. Distinguiamo

due modalità di eutanasia: eutanasia diretta ed eutanasia indiretta (per

sospensione di risorse ordinarie; per sospensione di risorse straordinarie).

L’eutanasia diretta è l’atto di infliggere la morte al paziente con la

somministrazione di risorse mortali (iniezioni o qualcosa di similare). In sintesi:

questo procedimento è sempre illecito perché l’uomo non ha il diritto di disporre né

della sua vita né della vita di altro simile. Nessuna situazione dolorosa giustifica l’

eutanasia diretta.

Ossia, dietro la compassione per l’infermo possono esserci motivi egoistici

e d’ interesse che conducono gli accompagnatori a provocare la morte del

paziente: stanchezza, spese consistenti, prospettive di eredità, tra tanti altri.

L’eutanasia consiste nel sottrarre al paziente le risorse senza le quali gli è

impossibile conservare la vita. Tali risorse possono essere ordinarie o

straordinarie.

Le risorse ordinarie sono quelle di routine, che di consuetudine sono

applicate a qualsiasi infermo: flebo, alimentazione leggera, iniezioni

convenzionali, trasfusione di sangue. Non è lecito sospendergliele,

dato che sono comprese all’interno le possibilità del paziente dei

suoi familiari. Negarle all’ammalato sarebbe provocargli la morte.

Le risorse straordinarie (o meglio, sproporzionate) sono quelle di cui

necessita l’ apparato umano, materiale o finanziario altamente difficile

o penoso, senza che si possa prevedere un risultato medico

compensatore; le probabilità di guarigione o di miglioramento del

paziente sono quasi nulle o sono sproporzionate rispetto alle risorse

rare e difficile che le si applichino.

L’uso degli analgesici (attenuanti del dolore) è lecito al cristiano, poiché la

sofferenza può intontire l’infermo. È rilevante, tuttavia che gli analgesici non

impediscano all’ammalato di disporre delle sue facoltà mentali.

Di conseguenza, l’essere umano deve poter affrontare la consumazione

della sua vita terrestre in modo lucido e cosciente; tale momento è decisivo per

chiedere perdono e perdonare, rimediare ad alcuni errori commessi, formulare le

ultime raccomandazioni e soprattutto ricevere i sacramenti degli infermi. E poi, per

desiderare che anche utilizzando analgesici, il paziente abbia i propri momenti di

lucidità per prendere tali provvedimenti.

Si parla anche di Distanasia. Si tratta di un prolungamento di un trattamento

in modo sproporzionato con procedure tecniche e costi esagerati ed eccessivi per

situazioni irreali nelle quali la morte è certa e si avvicina, o già è sopraggiunta.

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7.5- Trasmissione della vita umana ed esigenze etiche65

Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza: “l’uomo e la donna egli

ha creato” (Gn 1,27), affidandogli la missione di “dominare la terra” (Gn 1,28).

Sia la ricerca scientifica di base come la ricerca applicata rappresentano

una significativa espressione di tale autorità dell’uomo sul creato. La scienza e la

tecnica, preziose risorse dell’uomo quando sono messe al suo servizio, e

promuovono il suo sviluppo integrale in beneficio di tutti, non possono indicare da

soli il senso dell’esistenza e del progresso umano. Essendo ordinate all’uomo, dal

quale ricevono origine e sviluppo, è nella persona e nei suoi valori morali che

ricercano l’ indicazione della loro finalità e la coscienza dei loro limiti.

I valori fondamentali legati alle tecniche di procreazione artificiale sono due:

la vita dell’essere umano e l’ originalità della sua trasmissione nel matrimonio.

Sulla vita fisica sono fondati e sviluppati tutti gli altri valori della persona.

L’inviolabilità del diritto dell’essere umano innocente alla vita è un segno ed un

esigenza di inviolabilità della stessa persona.

La trasmissione della vita umana ha una originalità derivante dall’originalità

propria della persona umana.

I criteri morali applicati nell’ambito biomedico si basano su una corretta

concezione della natura della persona umana nella sua dimensione corporea.

Questa è una “totalità unificata”, simultaneamente corporale e spirituale; il corpo

umano non può essere considerato solo come un insieme di tessuti, organi e

funzioni, né può essere valutato con gli stessi criteri del corpo degli animali.

Nessun biologo o medico può pretendere di decidere sull’origine e il destino

dell’uomo, in maniera particolare nell’ambito della sessualità e della procreazione,

in cui l’uomo e la donna vivono e praticano i valori fondamentali dell’amore e della

vita. Gli interventi medici non devono essere rifiutati per il fatto di essere artificiali,

finché rispettano la dignità della persona umana.

Grazie al progresso delle scienze biologiche e mediche, l’uomo può disporre

delle risorse terapeutiche sempre più efficaci ma può anche acquisire nuovi

poteri sulla vita umana nel suo proprio inizio e nelle sue prime fasi, con

conseguenze imprevedibili.

Oggi, diverse tecniche permettono un intervento non solo per assistere, ma

anche per dominare i processi di procreazione. Tali tecniche possono consentire

all’uomo di “prendere nelle mani il proprio destino”, ma lo espone anche “alla

tentazione di superare i limiti di un dominio ragionevole sulla natura”.

Per quanto possano costituire un progresso al servizio dell’uomo, presentano

anche gravi rischi. In questo modo, si esprime un appello urgente da parte di

molti, così che, negli interventi sulla procreazione, siano salvaguardati i valori e i

diritti della persona umana. Le richieste di chiarimento e orientamento

provengono non solo dai fedeli, ma anche da parte di tutti quelli che, in un

qualche modo, riconoscono che la Chiesa, “perita nell’umanità”, ha una

missione a servizio della “civilizzazione dell’amore” e della vita.

                                                            65  I  testi  che  seguono  con  relazione  alla  trasmissione  della  vita  umana  ed  esigenze  etiche  sono  estratti: CONGREGAZIONE SACRA PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione sul rispetto della nascita della vita umana e della dignità della procreazione (22 febbraio 1987), in http://www.vatican.va/roman_curia/congregations. 

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Qual è la posizione della Chiesa Cattolica in relazione alla trasmissione

della vita umana?

Per “procreazione artificiale” o “fecondazione artificiale” s’intendono qui le

diverse procedure tecniche finalizzate ad ottenere un concepimento umano in

modo diverso dall’unione sessuale dell’uomo e della donna.

L’Istruzione sul rispetto alla vita umana nascente e la dignità della

procreazione proviene dalla fecondazione di un ovulo in provetta (fecondazione in

vitro) e dall’inseminazione artificiale mediante il trasferimento, nelle vie genitali

della donna, dello sperma precedentemente raccolto.

Un punto preliminare per il giudizio morale su tali tecniche è costituito dalla

considerazione delle circostanze e delle conseguenze che comportano in relazione

al rispetto dovuto all’embrione umano. Il consolidamento della pratica di

fecondazione in vitro ha richiesto numerose fecondazioni e distruzioni di embrioni

umani.

Ancora oggi, presuppone abitualmente un iperovulazione della donna:

vengono estratti diversi ovuli, fecondati e, di seguito, coltivati in vitro per alcuni

giorni. Normalmente, non tutti sono inoculati nei genitali della donna; alcuni

embrioni, generalmente chiamati “eccedenti”, sono distrutti o congelati.

Tra gli embrioni impiantati, a volte alcuni sono sacrificati per diverse ragioni

eugenetiche, economiche o psicologiche. Tale distruzione volontaria di esseri

umani o la sua utilizzazione per finalità diverse, a danno della loro integrità e della

loro vita, è contraria alla dottrina già ricordata, a proposito di aborto provocato.

Frequentemente si verifica una relazione tra fecondazione in vitro e

eliminazione volontaria di embrioni umani. Questo è rilevante: con questo modo di

procedere, con finalità apparentemente opposte, la vita e la morte finiscono per

soggette alle decisioni dell’uomo che, in questo modo, diventa un donatore

arbitrario di vita o di morte. Questa dinamica di violenza e di dominio può rimanere

inosservata da coloro che, volendo utilizzarla, si sottopongono ad essa.

Un giudizio morale in relazione alla FIVET (fecondazione in vitro e

trasferimento dell’embrione) deve prendere in considerazione i dati di fatto qui

ricordati e la fredda logica che li lega: la mentalità abortista che lo ha reso

possibile, conduce così, inevitabilmente, al dominio da parte dell’uomo sulla vita e

la morte dei suoi simili, che può portare ad una eugenetica radicale.

Tuttavia, abusi di questo tipo non esentano da un approfondimento e da un

ulteriore riflessione etica sulle tecniche di procreazione artificiale considerate in sé,

astrazione fatta, per quanto possibile, della distruzione degli embrioni prodotti in

vitro.

7.5.1- Fecondazione artificiale eterologa

a) Perché la procreazione umana deve avvenire nel matrimonio?

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Ogni essere umano deve esser accolto come un dono e una benedizione di

Dio. Tuttavia, del punto di vista morale, una procreazione veramente responsabile

in relazione al nascituro deve essere frutto del matrimonio.

Infatti, la procreazione umana possiede caratteristiche specifiche, in forza

della dignità personale dei genitori e dei figli: la procreazione di una nuova

persona, mediante la quale l’uomo e la donna collaborano con la potenza del

Creatore, dovrà essere frutto e segno di reciproca donazione personale dei

coniugi, del loro amore e della loro fedeltà. La fedeltà dei coniugi nell’unità del

matrimonio, comporta il rispetto reciproco del loro diritto a diventare padre e madre

solo attraverso l’uno dell’altro.

Il figlio ha diritto ad essere concepito, portato al seno, messo al mondo e

educato nel matrimonio: è attraverso riferimenti sicuri e riconosciuti ai propri

genitori che egli può scoprire la propria identità e maturare la propria formazione

umana.

I genitori trovano nel figlio una conferma e un complemento della loro

donazione reciproca: lui è l’ immagine viva del loro amore, il segno permanente

della loro unione coniugale, la sintesi vivente e indissolubile della loro dimensione

paterna e materna.

In virtù della vocazione e delle responsabilità sociali della persona, il bene

dei figli e dei genitori contribuisce per il bene della società civile; la vitalità e l’

equilibrio della società esigono che i figli vengano al mondo nel seno di una

famiglia e che questa sia stabilmente fondata nel matrimonio.

La tradizione della Chiesa e la riflessione antropologica riconoscono nel

matrimonio e nella sua unità indissolubile l’ unico luogo degno di una procreazione

veramente responsabile.

b) La fecondazione artificiale eterologa è conforme alla dignità dei

coniugi e alla verità del matrimonio?

Attraverso la FIVET (fecondazione in vitro e trasferimento dell’embrione) e

dell’inseminazione artificiale eterologa, il concepimento umano è ottenuto mediante

l’ incontro dei gameti di almeno un donatore diverso dai coniugi che sono uniti nel

matrimonio. La fecondazione artificiale eterologa è contraria all’unità del

matrimonio, alla dignità dei coniugi, alla propria vocazione dei genitori e al diritto

del figlio ad essere concepito e messo al mondo nel matrimonio e attraverso il

matrimonio.

Il rispetto all’unità del matrimonio e alla fedeltà coniugale richiede che il figlio

sia concepito nel matrimonio; il legame esistente tra i coniugi attribuisce alla

coppia, in modo oggettivo e inalienabile, il diritto esclusivo a diventare padre e

madre solo attraverso l’uno dell’altro. L’uso di gameti di una terza persona, per

avere a disposizione lo sperma o l’ovulo, costituisce una violazione dell’impegno

reciproco dei coniugi e una mancanza grave con quella proprietà essenziale del

matrimonio, che è la sua unità.

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La fecondazione artificiale eterologa danneggia i diritti del figlio, privandolo

della relazione filiale con le sue origini parentali e può ostacolare la maturità della

sua identità personale. Inoltre, essa costituisce un’ offesa alla vocazione comune

dei coniugi che sono chiamati alla paternità e alla maternità: priva obiettivamente la

fecondità coniugale della sua unità e della sua integrità; realizza e manifesta una

rottura tra funzione parentale genetica, funzione parentale di gestione e

responsabilità educativa. Tale alterazione delle relazioni personali dentro la

famiglia si ripercuote nella società civile: quello che minaccia l’ unità e la stabilità

della famiglia è fonte di dissidio, di disordine e di ingiustizia in tutta la vita sociale.

Queste ragioni portano ad un giudizio morale negativo sulla fecondazione

artificiale eterologa: è, pertanto, moralmente illecita la fecondazione di una moglie

con lo sperma di un donatore che non sia il suo marito e la fecondazione con lo

sperma del marito di un ovulo che non provenga da sua moglie. Oltre a ciò, la

fecondazione artificiale di una donna non sposata, nubile o vedova, chiunque sia il

donatore, non può essere giustificata in modo morale.

Il desiderio di avere un figlio e l’amore tra i coniugi che desiderano risolvere

una sterilità non superabile in altra forma, costituiscono motivi che meritano

comprensione; ma le intenzioni soggettivamente buone non rendono la

fecondazione artificiale eterologa né coerente con le proprietà oggettive e

inalienabili del matrimonio né rispettoso dei diritti del figlio e dei coniugi.

c) La maternità “sostitutiva” è moralmente lecita?

No, per le stesse ragioni che portano a rifiutare la fecondazione artificiale

eterologa: infatti, è contraria all’unità del matrimonio e alla dignità della

procreazione della persona umana.

La maternità sostitutiva rappresenta una mancanza oggettiva contro le

obbligazioni dell’amore materno, della fedeltà coniugale e della maternità

responsabile; offende la dignità e il diritto del figlio ad essere concepito, portato al

seno, messo al mondo e educato dai propri genitori; a scapito della famiglia,

instaura una divisione tra gli elementi fisici, psichici e morali che la costituiscono.

7.5.2- Fecondazione artificiale omologa

Dichiarata inaccettabile la fecondazione artificiale eterologa, si chiede come

valutare moralmente le procedure della fecondazione artificiale omologa? (FIVET e

inseminazione artificiale tra coniugi). Occorre preliminarmente chiarire una

questione di principio.

a) Dal punto di vista morale, che legame è richiesto tra procreazione e

atto coniugale?

L’insegnamento della Chiesa circa il matrimonio e la procreazione umana

afferma “la connessione indivisibile, che Dio ha voluto e l’uomo non può rompere,

tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e quello procreatore.

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Infatti, l’ atto coniugale, per sua struttura intima, mentre unisce i coniugi con un

legame profondo, li rende adatti per la generazione di nuove vite, secondo leggi

inscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna”. Questo principio, fondato

nella natura del matrimonio e nell’intima connessione dei suoi beni, comporta

conseguenze ben conosciute sul piano della paternità e della maternità

responsabili. “Salvaguardando entrambi gli aspetti essenziali, unitivo e procreatore,

l’atto coniugale conserva integralmente il senso del vero amor reciproco e il suo

ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo per la paternità”.

La stessa dottrina relativa al legame esistente tra i significati dell’atto

coniugale e tra i beni del matrimonio chiarisce il problema morale della

fecondazione artificiale omologa, una volta che “non è mai permesso separare

questi aspetti diversi, al punto di escludere positivamente o la intenzione

procreatrice o il rapporto coniugale”.

La contraccezione priva intenzionalmente l’atto coniugale della sua apertura

alla procreazione e, così, realizza una dissociazione volontaria delle finalità del

matrimonio. La fecondazione artificiale omologa, cercando una procreazione che

non è frutto di un specifico atto di unione coniugale, realizza oggettivamente una

separazione analoga tra i beni e i significati del matrimonio.

Pertanto, la fecondazione è voluta lecitamente quando è il termine di un “atto

coniugale di per si adatto per la generazione della prole, al quale a sua volta per

natura, si ordina al matrimonio, e con il quale i coniugi diventano una sola carne”.

Però, dal punto di vista morale, la procreazione è privata della sua perfezione

propria quando non è voluta come il frutto dell’atto coniugale, ossia, del gesto

specifico dell’unione dei coniugi.

Il valore morale dell’intimo legame esistente tra i beni del matrimonio e tra i

significati dell’atto coniugale si fonda nell’unità dell’essere umano, unità risultante

dal corpo e dall’anima spirituale. I coniugi esprimono reciprocamente il loro amore

personale nel “linguaggio del corpo”, che comporta chiaramente e, allo stesso

tempo, “significati coniugali” e parentali.

L’atto coniugale, con il quale i coniugi manifestano reciprocamente il dono di

se, esprime simultaneamente l’apertura al dono della vita: è un atto

indissolubilmente corporeo e spirituale. È nel loro corpo e per mezzo di esso che i

coniugi consumano il matrimonio e possono diventare padre e madre.

Per rispettare il linguaggio dei corpi e la sua naturale generosità, l’unione

coniugale deve avvenire nel rispetto dell’apertura alla procreazione, e la

procreazione di una persona deve essere il frutto e il simbolo dell’amore coniugale.

In tale modo l’origine dell’essere umano è il risultato di una procreazione

“legata all’unione non solo biologica, ma anche spirituale dei genitori legati dal

vincolo del matrimonio”.

Una fecondazione ottenuta fuori dal corpo dei coniugi rimane privata, ecco

perché, dei significati e dei valori che si esprimono nel linguaggio del corpo e

nell’unione delle persone umane.

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Solo il rispetto dal legame esistente tra i significati dell’atto coniugale e

dell’unità dell’essere umano consente una procreazione conforme alla dignità della

persona.

Nella sua origine unica e irripetibile, il figlio dovrà essere rispettato e

conosciuto come uguale in dignità personale di coloro che gli danno la vita. La

persona umana deve essere accolta in un gesto di unione e di amore dai suoi

genitori; la generazione di un figlio, per questo motivo, dovrà essere il frutto di

donazione reciproca, che sono realizzate nell’atto coniugale, nel quale i coniugi

cooperano con l’opera dell’Amore Creatore, come servitori e non come signori.

L’ origine di una persona umana, nella realtà, è il risultato di una donazione.

Il concepito dovrà essere il frutto dell’amore dei suoi genitori. Non può essere

voluto e concepito come il prodotto di un intervento di tecniche mediche e

biologiche: questo sarebbe uguale a ridurlo a diventare oggetto di una tecnologia

scientifica. Nessuno può sottomettere il venire al mondo di un bambino alle

condizioni di efficienza tecnica da valutare secondo parametri di controllo e di

dominio.

La rilevanza morale del legame esistente tra i significati dell’atto coniugale e

tra i beni del matrimonio, l’unità dell’essere umano e la dignità della sua origine

esigono che la procreazione di una persona umana debba essere ricercata come il

frutto dell’atto coniugale dell’amore tra coniugi.

Il nesso esistente tra procreazione e atto coniugale, a tal fine, si rivela di

grande importanza sul piano antropologico e morale, e chiarisce le posizioni del

Magistero riguardo la fecondazione artificiale omologa.

b) La fecondazione omologa “in vitro” è moralmente lecita?

La risposta a tale quesito dipende strettamente dai principi che abbiamo

appena citato.

Non è possibile ignorare, certamente le legittime aspirazioni dei coniugi

sterili; per alcuni il ricorso alla FIVET omologa sembra essere l’unico strumento per

avere un figlio, desiderato sinceramente: ci si chiede se in tali situazioni la globalità

della vita coniugale non sia sufficiente per assicurare l’adeguata dignità della

procreazione umana.

Si riconosce che la FIVET certamente non può supplire l’assenza delle

relazioni coniugali e non può essere preferita agli atti specifici dell’unione

coniugale, considerati i rischi che si possano verificare per il figlio e le difficoltà

della procedura. Ma ci si chiede, nell’impossibilità di rimediare in altro modo alla

sterilità, che è causa di sofferenza, se la fecondazione omologa in vitro non possa

costituire un ausilio quando non vi è una terapia, ragione per la quale si possa

ammettere la sua liceità morale.

Il desiderio di un figlio - o, per lo meno la disponibilità di trasmettere la vita -

è un requisito necessario, dal punto di vista morale, per una procreazione umana

responsabile. Ma, questa buona intenzione non è sufficiente per dare un giudizio

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morale positivo circa la fecondazione in vitro della coppia. La procedura della

FIVET deve essere giudicata in quanto tale e non può prendere in prestito la sua

qualificazione morale definitiva né dell’unione della vita coniugale nella quale essa

si inserisce, né degli atti coniugali che la possano precedere o seguire.

Già è stato ricordato come nelle circostanze nelle quali è abitualmente

praticata, la FIVET implica la distruzione di esseri umani, fatto contrario alla già

citata dottrina dell’illiceità dell’aborto. Ma, anche nel caso in cui si prendessero

tutte le cautele per evitare la morte degli embrioni umani, la FIVET omologa

effettua la dissociazione dei gesti che, tramite l’atto coniugale, sono destinati alla

fecondazione umana. La natura stessa della FIVET omologa, pertanto, dovrà

anche essere considerata, estraendo il legame con l’aborto provocato.

La FIVET omologa si realizza al di fuori dei corpi dei coniugi mediante atti di

terzi, la cui competenza e attività tecnica determinano il successo dell’intervento,

essa consegna la vita e l’identità dell’embrione al potere di medici e biologi, e

instaura un predominio della tecnica sull’origine e il destino della persona umana.

Una simile relazione di dominio è in se, contraria alla dignità e all’eguaglianza che

deve essere comune a genitori e figli.

Il concepimento in vitro è il risultato dell’azione tecnica che presiede alla

fecondazione; essa non è ottenuta né di fatto né pretesa positivamente come

l’espressione e il frutto di un atto specifico della unione coniugale. Per tale ragione,

nella FIVET omologa, sebbene considerata nel contesto delle relazioni coniugali di

fatto esistenti, la generazione della persona umana è oggettivamente privata della

sua propria perfezione: questo deve rappresenta il contenuto e il frutto di un atto

coniugale nel quale i coniugi possono farsi ”cooperatori” di Dio per il dono della

vita a una nuova persona”.

Tali ragioni consentono di comprendere perché l’atto di amore coniugale è

considerato nell’insegnamento della Chiesa come l’unico luogo degno della

procreazione umana. Per le stesse ragioni il così chiamato “caso semplice” è, una

procedura della FIVET omologa che sia libera di qualsiasi relazione con la pratica

abortiva della distruzione degli embrioni e con la masturbazione, rimane una

tecnica moralmente illecita perché priva la procreazione umana della dignità che gli

è propria e connaturale.

E’ certo che la FIVET omologa non è aggravata di tutta quella negatività

etica che si incontra nella procreazione extraconiugale; la famiglia e il matrimonio

continuano a rappresentare l’ambito della nascita e dell’educazione dei figli.

Tuttavia, in conformità alla dottrina tradizionale relativa ai beni del matrimonio e

alla dignità della persona, la Chiesa rimane contraria, dal punto di vista morale alla

fecondazione in vitro; quest’ultima è, in se stessa, illecita e contraria alla dignità

della procreazione e dell’unione coniugale, anche quando si prendono tutte le

precauzioni per evitare la morte dell’embrione umano.

Sebbene non si possa approvare la modalità con la quale è ottenuto il

concepimento umano nella FIVET, tutti i bambini che verranno al mondo dovranno,

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in qualsiasi caso, essere accolti come un dono vivo della Bontà divina e dovranno

essere educati con amore.

c) Come giudicare dal punto di vista morale l’inseminazione artificiale

omologa?

L’inseminazione artificiale omologa , all’interno del matrimonio, non può

essere ammessa, ad eccezione del caso in cui il mezzo tecnico risulti non

sostitutivo dell’atto coniugale, ma si configuri come una facilitazione ed un ausilio

affinché quello raggiunga la sua finalità naturale.

L’ insegnamento del Magistero a questo proposito è già stato esplicitato:

essa non è solo l’espressione di circostanze storiche particolari, ma è basata nella

dottrina della chiesa sulla connessione tra unione coniugale e procreazione, e nella

considerazione della natura personale dell’atto coniugale e della procreazione

umana.

L’atto coniugale, nella sua struttura naturale, è una azione personale, una

cooperazione simultanea e immediata dei coniugi, la quale, per stessa natura

degli agenti e della proprietà dell’atto, è l’ espressione del dono reciproco che,

secondo la parola della Scrittura, realizza l’ unione "in una sola carne". Pertanto, la

coscienza morale “non proibisce necessariamente l’uso di alcuni mezzi artificiali

destinati unicamente o a facilitare l’atto naturale o a fare affinché l’ atto naturale,

normalmente realizzato, raggiunga il suo proprio fine”. Se il mezzo tecnico facilita

l’atto coniugale o lo aiuta a raggiungere i sui fini naturali, esso può essere

moralmente accettato. Al contrario, se l’intervento si sostituisce all’atto coniugale,

è moralmente illecito.

L’inseminazione artificiale sostitutiva dell’atto coniugale è proibita in ragione

della dissociazione volontariamente esercitata tra i due significati dell’atto

coniugale. La masturbazione mediante la quale si ottiene normalmente lo sperma

è l’altro segnale di tale dissociazione: anche quando è effettuata in vista della

procreazione, il gesto rimane privato del suo significato unitivo: è assente. la

relazione sessuale richiesta dall’ordine morale, quella che realizza “il significato

integrale della reciproca donazione e della procreazione umana” nel contesto del

vero amore.

d) Quale criterio morale deve essere proposto rispetto all’intervento

del medico nella procreazione umana?

L’azione del medico non deve essere valutata solo in relazione alla sua

dimensione tecnica ma anche e soprattutto, in relazione alla sua finalità, che è il

bene delle persone e la loro salute fisica e psichica. I criteri morali per l’intervento

medico nella procreazione sono dedotti dalla dignità tanto delle persone umane,

che dalla loro sessualità e origine.

La medicina che vorrebbe essere ordinata al bene integrale della persona

deve rispettare i valori specificamente umani della sessualità. Il medico è al

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servizio delle persone e della procreazione umana: non possiede la facoltà di

disporre delle stesse né di decidere al loro riguardo. L’intervento medico rispetta la

dignità delle persone quando è finalizzato ad aiutare l’atto coniugale, sia,

facilitandogli la realizzazione piena, sia permettendo che raggiunga il suo fine, una

volta che sia stato realizzato normalmente.

Alcune volte, al contrario, succede che l’intervento medico si sostituisce

tecnicamente all’atto coniugale, al fine di ottenere una procreazione che non è né il

risultato né il frutto di quest’ultimo. In tal caso l’azione medica non si presta, come

dovrebbe essere suo dovere, al servizio dell’unione coniugale, ma si appropria

della funzione procreatrice e contraddice così, la dignità e i diritti inalienabili dei

coniugi e del nascituro.

L’umanizzazione della medicina, oggi insistentemente richiesta da tutti,

esige il rispetto della dignità integrale della persona umana, in primo luogo nell’atto

e nel momento nel quale i coniugi trasmettono la vita a una nuova persona. E’

logico, pertanto, dirigere anche un pressante appello ai medici e ai ricercatori

cattolici affinché diano testimonianza esemplare del rispetto dovuto all’embrione

umano e alla dignità della procreazione. Il personale medico e paramedico degli

ospedali e delle cliniche cattoliche è in particolar modo invitato ad osservare gli

obblighi morali contrattuali, molte volte anche di forma statutaria. I responsabili di

tali ospedali e/o cliniche cattoliche che frequentemente sono religiose, saranno

particolarmente attenti a garantire e promuovere una esatta osservanza delle

norme morali registrate nella presente Istruzione.

e) La sofferenza della sterilità coniugale

La sofferenza dei coniugi che non possono avere figli o che temono nel

mettere al mondo un figlio diversamente abile è una sofferenza che tutti devono

comprendere e valutare adeguatamente.

Per i coniugi, il desiderio di un figlio è naturale: esprime la vocazione alla

paternità e alla maternità, inscritta nell’amore coniugale. Tale desiderio può essere

ancora più forte se la coppia è affetta da una sterilità che sembra incurabile.

Tuttavia, il matrimonio non attribuisce ai coniugi un diritto ad avere un figlio, ma

questi hanno solamente il diritto a realizzare quegli atti naturali che, di se, sono

finalizzati alla procreazione.

Un vero e proprio diritto al figlio sarebbe contrario alla sua dignità e alla sua

natura. Il figlio non è qualcosa di dovuto e non può essere considerato come

oggetto di proprietà; egli è un dono, “il maggior” e più gratuito dono del matrimonio

ed è testimone vivente della donazione reciproca dei suoi genitori. A tale titolo, il

figlio ha diritto – come si è già detto – ad essere il frutto dell’atto specifico

dell’amore coniugale dei suoi genitori e ha anche diritto ad essere rispettato come

persona sin dal momento del suo concepimento.

Tuttavia la sterilità, qualunque sia la sua causa e la sua prognosi , è

certamente una dura prova. La comunità dei fedeli è chiamata ad illuminare e

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appoggiare la sofferenza di coloro i quali non possono realizzare una legittima

aspirazione alla maternità e alla paternità.

I coniugi che condividono tale dolorosa situazione sono chiamati a scoprire

in essa l’opportunità per una particolare partecipazione nella croce del Signore,

fonte di fecondità spirituale.

Le coppie sterili non devono dimenticare che anche quando la procreazione

non è possibile, la vita non perde per questo il suo valore. In effetti la sterilità fisica

può essere occasione, per i coniugi, di esercitare altri importanti servizi alla vita

delle persone, come adozioni, varie forme di opere educative, aiuto ad altre

famiglie, bambini poveri , diversamente abili.

Molti ricercatori si impegnano nella lotta alla sterilità. Salvaguardando

pienamente la dignità della procreazione umana, alcuni sono giunti a risultati che,

in precedenza, sembravano irraggiungibili. Gli uomini di scienza, pertanto devono

essere incoraggiati a proseguire le proprie ricerche, con lo scopo di prevenire le

cause di sterilità e di poterle curare, in modo che le coppie sterili possano

procreare, nel rispetto della loro dignità personale e del nascituro.

7.6- Interventi umani per impedire la trasmissione della vita66

Al giorno d’oggi, tutti riconoscono il diritto che le coppie possiedono, per

serie ragioni, di pianificare le proprie famiglie, decidendo il numero dei figli che

avranno, il momento e le condizioni adeguate per averli.

I genitori, come trasmettitori di vita, devono esercitare la loro paternità in

modo responsabile, facendo una scelta adeguata per conseguire una gravidanza o

per rinviarla. La coppia ha il diritto e il dovere di informarsi ampiamente sulla verità

riguardo i vari metodi che esistono. Solo così ci saranno le condizioni per poter

scegliere in modo responsabile il metodo che contribuisca veramente al benessere

della propria famiglia.

Nessuno dovrà imporre, né nessuno accettare, l’uso di un metodo di

pianificazione familiare se non si informa preliminarmente sullo stesso, ossia sulle

conseguenze positive o negative che un tal modo può avere.

a) Qual è la realtà sui contraccettivi?

L’uso dei contraccettivi, soprattutto per la donna, è diventato molto comune

nel mondo contemporaneo. Nel frattempo la domanda che sorge e la cui veritiera

risposta non sempre è disponibile e conosciuta, è se contraccezione è veramente

benefica per la donna.

Tale domanda è di notevole importanza, giacché dalla sua risposta

dipendono tanto la salute femminile quanto la vita umana che tutte le donne in età

fertile hanno la capacità e il privilegio di possedere nel proprio seno.

                                                            66  Il  testo  che  segue,  sugli  interventi  umani  per  impedire  la  trasmissione  della  vita,  è  estratto dell’Associazione  Nazionale  Pro‐Vita  e  Pro‐Famiglia.  In:  http://www.providafamilia.org.br/doc.php‐doc=doc30746.  

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Oggigiorno si conoscono un ampia varietà di metodi di pianificazione

familiare, tuttavia non tutti i metodi sono contraccettivi come molti pensano

equivocatamente. Contraccettivi sono solo quei metodi che impediscono l’incontro

dello spermatozoo con l’ovulo così, quelli che veramente funzionano come

contraccettivi non sono validi. Di seguito spiegheremo alcuni dei metodi più

comuni.

II concepimento o la fecondazione se si realizza nell’istante nel quale lo

spermatozoo penetra nell’ovulo, a partire da quel momento non ci sono più dubbi

che esista una nuova vita umana.

b) Tipi di contraccettivi

Per impedire l’incontro dello spermatozoo con l’ovulo l’uomo ha inventato

diversi artifici.

I preservativi e i diaframmi pongono barriere per bloccare il cammino

degli spermatozoi, interferendo così nel processo naturale della

procreazione. Così, questi, oltre ad essere scomodi da manipolare,

possono fallire, produrre alterazioni fisiche, avere effetti sulla

sensibilità e causare infezioni, allergie al lattice lesioni locali.

La sterilizzazione: attraverso la chirurgia sono praticate diverse

tecniche operatorie per le quali si connettono, bruciano, tagliano i

condotti deferenti dell’uomo (vasectomia) o le tube della donna

(salpingectomia), che sono i canali necessari per il transito dello

spermatozoo per l’incontro con l’ovulo.

Gli spermicida: sono anche contraccettivi gli spermicida che sono

prodotti chimici con differenti forme di rappresentazione, come gel,

creme e supposte che funzionano sulla vagina e il, collo dell’utero per

impedire il passaggio dello spermatozoo e, principalmente ucciderlo.

c) I falsi contraccettivi

I dispositivi intrauterini (DIU), tali come la ASA, la T di rame e

l’Anello , sono corpi estranei di differenti materiali che sono introdotti

nell’utero per evitare la procreazione. Attivano chimica e meccanica,

impedendo che l’ovulo, già fecondato, possa annidarsi nell’utero.

Così, non sono semplici contraccettivi ma a volte degli anti impianto

e, pertanto, abortivi.

I contraccettivi orali o pillole sono compresse che contengono ormoni

che possono avere vari effetti sula donna, ossia, alterando il ciclo

mestruale femminile o impedendo l’ovulazione. Oltre a ciò,

provocano alterazioni nel muco che si produce nel collo dell’utero, in

modo che il canale si ostruisca impedendo così il passaggio degli

spermatozoi, avendo in entrambi i casi un effetto contraccettivo.

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Gli impianti, come il Norplant, e gli iniettabili come il Depo-Provera

possiedono lo stesso meccanismo di azione abortiva della pillola. Sia

uno che l’altro hanno solo progestinico. Gli impianti, come Norplant,

oltre a tutti gli effetti secondari prima citati, possiedono il rischio di

una piccola chirurgia alla quale deve sottoporsi la donna per

impiantarlo e soprattutto le complicazioni quando si estrae,

operazione che risulta sempre molto articolata. Dall’altro lato, l’uso

del Norplant manipola la donna durante un periodo molto prolungato.

Il Depo-Provera accelera lo sviluppo di cancro in ugual modo delle

pillole. Un grande numero di donne vietnamite rifugiate ad Hong

Kong, hanno sofferto notevoli effetti collaterali come risultato di tale

iniettabili.

d) Contraccettivi post-coito

I “contraccettivi post-coito” rappresentano una forma per “evitare” la

procreazione basata sulla falsa teoria che la gravidanza comincia con l’impianto e

non con la fecondazione. Basandosi sul tale idea erronea a questi è stato dato il

nome di “contraccettivi post-coito” o di “emergenza”, quando nella realtà si tratta

di un aborto. Per raggiungere tale obbiettivo utilizzano differenti metodi.

Uno di tale metodi è l’inserimento del dispositivo intrauterino (DIU), entro

cinque giorni successivi all’atto sessuale o al coito senza usare nessun metodo

contraccettivo.

Altro “contraccettivo post-coito” è l’utilizzo di 600 mg di RU 486 nelle 72 ore

successive al rapporto sessuale; o l’utilizzo di estrogeni, progestinici, androgeni o

la combinazione di estrogeni e progestinici nelle ore successive al coito. La “pillola

del giorno dopo” è tipicamente “contraccettivo post-coito”.

In tutti questi metodi ciò che si ricerca è evitare l’impianto dell’ovulo già

fecondato, per questo sono metodi abortivi.

Tutti questi sono metodi artificiali della pianificazioni familiare che agiscono

contro natura e non sono sicuri. Richiedono manipolazione o introduzione di

sostanze o corpi estranei nell’organismo e possono avere effetti dannosi e rischi

indesiderati.

L’uomo e la donna si realizzano in pienezza nella consegna generosa che

fanno di se stessi nell’unirsi nell’atto coniugale, nel quale oltre a ciò sono capaci di

trasmettere la vita. Unione e capacità riproduttiva sono poi due aspetti inseparabili

dell’atto coniugale. Non possono essere moralmente accettati come buoni i metodi

di pianificazione familiare che, come quelli artificiali, interferiscono in forme

differenti su entrambi gli aspetti e con ciò agiscono contro la natura propria dell’atto

coniugale.

Esistono altre forme di pianificazione familiare con le quali si esercita la

paternità in maniera responsabile. Negli ultimi anni lo sviluppo scientifico ha reso

possibile conoscere in profondità la natura della donna e come poterla usare per

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raggiungere o posticipare una gravidanza, quando esistono ragioni serie, al potere

di identificare i giorni fertili del proprio ciclo. Si tratta di metodi naturali della

pianificazione familiare.

Per riflettere:

1) Cos’è la Bioetica? Su cosa si basa per chiarire e risolvere questioni etiche

suscitate dal progresso e dall’ applicazione della medicina e della biologia?

2) Qual è il legame che la Bioetica possiede con la Filosofia e la Morale?

Come spieghi tale legame?

3) Qual è l’oggetto proprio della riflessione della Teologia e della Bioetica?

4) Conosci personalmente uno o vari casi pratici che interpellano la Bioetica

nella prospettiva cristiana?

5) Come definisci il valore della vita umana? Quali sono le esigenze etiche

relative alla vita umana?

6) Conosci casi di persone (di coppie) che hanno promosso l’aborto? Conosci

le circostanze o cause che hanno condotto tali persone (o coppie) a

praticare l’aborto?

7) Conosci casi di persone (o di famiglie) che hanno promosso l’eutanasia?

Conosci le circostanze o cause che hanno condotto tali persone (o famiglie)

a praticare l’ eutanasia?

8) Conosci la posizione della Chiesa Cattolica in relazione alla trasmissione

della vita umana?

9) Per la Chiesa Cattolica, la procreazione umana deve essere solamente

all’interno del Matrimonio. Conosci situazioni concrete di persone o di

coppie che si sono procurate altre forme di procreazione di una nuova

persona? Conosci le circostanze o cause che hanno condotto queste

persone o coppie a questa procreazione umana al di fori del matrimonio?

10) Dal punto di vista morale della chiesa Cattolica che legame è richiesto tra la

procreazione e l’atto coniugale? Sai spiegare?

11) Come giudicare dal punto di vista morale l’inseminazione artificiale

omologa? Perché essa non è ammessa dalla Chiesa Cattolica?

12) Conosci casi che soffrono o hanno sofferto in funzione della sterilità

coniugale? Quali soluzioni tali coppie hanno utilizzato per esprimere la

propria vocazione di maternità e paternità?

13) Cosa ne pensi sugli interventi umani per impedire la trasmissione della

vita?

14) Come oggigiorno la coppia cristiana deve esercitare la paternità in modo

responsabile? Quali metodi possono o devono essere utilizzati?

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In quest’ultima TAVOLA, andiamo a riflettere su alcune sfide etiche per

l’umanità, e che si riferiscono direttamente all’esperienza quotidiana di ognuno di

noi come persona, conducendoci ad una riflessione sui valori che adottiamo, sul

senso delle nostre azioni, sul modo come prendiamo decisioni e assumiamo

responsabilità nella nostra vita.

Queste sfide riguardano, per esempio, il rispetto che abbiamo verso la

“nostra casa comune”, la nostra Terra (l’unica che abbiamo!), come un

prolungamento dall’azione creatrice di Dio; rappresentano criteri di base della

morale nella prospettiva dei diritti umani fondamentali, dell’ecologia e

dell’ambiente, della dignità del lavoro, dell’economia, della politica come l’arte del

bene comune, dei beni culturali, dei mezzi di comunicazioni sociale, della violenza,

guerre e conflitti.

L’insegnamento Sociale della Chiesa (Dottrina Sociale della Chiesa) è la

elaborazione, in forma sistematica, della preoccupazione del Magistero per i

problemi sociali, spiegando le obbligazioni sociali dei cristiani. Ossia, il dovere

cristiano di cooperare con la costruzione di un mondo umano e giusto (GS, n.34,

43, 72; Octogesima Adveniens, n.24).

Pertanto, questa TAVOLA tratta di un insieme di questioni che interrogano

la nostra fede e il nostro modo di procedere etico e morale come cristiano nel

quotidiano delle nostre vite.

Abbiamo già visto che l’uomo è un essere sociale per natura, e la sua vita

morale non colpisce solo la sua vita personale, ma anche le sue attitudini nella

convivenza umana, ossia, nella sua vita sociale e comunitaria (e, per non dire,

anche planetaria).

È importante ricordare che lo studio di questo corso – Morale Cristiana -

tratta della riflessione sull’agire umano, tenendo in considerazione la realizzazione

dell’uomo come persona, in quanto parte del piano della Creazione e della

Redenzione. Riflette, poi, sullo stile di vita che il cristiano è chiamato a seguire in

ogni campo particolare della sua vita in questo momento storico, e nella sua

relazione con le altre persone, il Pianeta e il suo Dio.

TAVOLA 8 

SFIDE ETICHE:  

CARATTERE SOCIALE DELLA MORALE 

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In questo modo, l’Etica e la Morale sono le responsabili per costruire le basi

che guideranno la condotta della persona umana, determinando il suo carattere e

la sua forma di comportamento nella società e in questa Terra che ci ospita.

Come ha sottolineato papa Giovanni XXIII nella Carta Enciclica Mater et

Magistra, ognuno degli esseri umani è e deve essere il fondamento, il fine e il

soggetto di tutte le istituzioni nelle quali si esprime e realizza la vita sociale. (MM,

219) Ossia, l’uomo costituisce l’origine e l’ obiettivo di ogni impegno sociale del

cristiano per mezzo delle differenti istituzioni create per “governare” i destini

dell’uomo qui nella terra e raggiungere la sua felicità, il suo benessere.

Nella Carta Enciclica Laudato Si’, sulla cura della casa comune, Papa

Francesco lancia l’appello per “proteggere la nostra casa comune” e che “include

la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo

sostenibile e integrale”. Il Papa è preoccupato con l’ “intensificazione dei ritmi di

vita e di lavoro”, ossia, con i cambiamenti che stanno avvenendo nel nostro

Pianeta, e che “non sono necessariamente orientati per il bene comune”, nella

misura in cui si osserva un “deterioramento del mondo e della qualità della vita di

gran parte della umanità”.

Laudato Si’ è una Lettera Enciclica che si inserisce nel magistero sociale

della Chiesa, e che dà attenzione all’esperienza concreta dei credenti e degli

umani che siamo; non fa un appello solo alla nostra intelligenza, ma anche alla

nostra affettività, ai nostri sentimenti e al nostro cuore, permettendo così decisioni

vere e azioni individuali e collettive in favore della conservazione e della

costruzione del futuro del nostro pianeta Terra.

La Lettera Enciclica parla della necessità di una “conversione ecologica” di

tutti noi cristiani. Sottolinea che la spiritualità cristiana propone ad ognuno di noi

“una forma alternativa per capire la qualità della vita, incoraggiando un stile di vita

profetico e contemplativo, capace di generare profonda allegria senza essere

ossessionato dal consumo”. (n.222)

Papa Francesco desidera che il Vangelo del Regno penetri effettivamente

nella nostra realtà sociale, economica e politica, in modo che tutti gli umani

possano avere un “stile di vita” conforme al Vangelo. E tutti siamo chiamati a

collaborare come strumenti di Dio, ognuno a partire dalla sua fede, cultura,

esperienza, iniziative e capacità, nel contesto di una “morale nuova” o “rinnovata”.

Questa TAVOLA sarà basata, in forma preponderante, sulla dottrina sociale

della Chiesa, con enfasi nelle riflessioni di Papa Francesco, una volta che:

La Chiesa non è indifferente a tutto ciò che nella società si sceglie, si produce e si

vive, alla qualità morale, cioè autenticamente umana e umanizzante, della vita

sociale. La società e con essa la politica, l'economia, il lavoro, il diritto, la cultura

non costituiscono un ambito meramente secolare e mondano e perciò marginale ed

estraneo al messaggio e all'economia della salvezza. La società, infatti - con tutto

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ciò che in essa si compie - riguarda l'uomo. Essa è la società degli uomini, che

sono la prima fondamentale via della Chiesa.67

Come abbiamo già visto, la Sacra Scrittura è l’anima della teologia (DV, n.

24), è la fonte di ispirazione del pensiero sociale della Chiesa. Da questa sorgono

le interpellanze per i grandi temi dell’attualità sociale: giustizia, diritti umani,

fraternità e solidarietà.

Gesù, e il suo messaggio, il Regno di Dio, è il punto di partenza e di arrivo

(Mc 1,15; Mt 5,3-12). L’ Amore (agape) è il concetto più importante (cf. 1Cor 13.) e

la regola d’oro della morale sociale della Chiesa: “Così, in tutto, fate agli altri quello

che voi volete che loro vi facciano; perché questa è la Legge dei Profeti” (Mt 7,12;

Lc 6,31).

Il Vangelo deve essere annunciato nel mondo del lavoro, dell’economia,

della politica, della cultura, della famiglia. Tutte queste realtà sono parte della vita

umana e, pertanto, esse sono raggiunte dalla salvezza portata da Cristo.

8.1- Sfide etiche dell’economia

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (CDSI) dedica tutto il

capitolo VII (numeri 323 a 376) alla vita economica, o alle relazioni tra economia e

morale. Possono essere evidenziate alcune riflessioni, per mostrare che

l’economia è solo un aspetto e una dimensione della complessa attività umana, e

che l’ economia possiede una forte connotazione morale:

I beni, legittimamente ancora posseduti, mantengono sempre una

destinazione universale: è immorale tutta la forma di accumulo indebito,

perché in contrasto aperto con la destinazione universale consegnata da

Dio Creatore a tutti i beni. (n.328)

Le ricchezze realizzano la loro funzione di servizio all’uomo quando

destinate a produrre benefici per gli altri e per la società. (n.329)

La dimensione morale dell’economia è presa come finalità indivisibile,

mai separata e alternativa, all’efficienza economica e alla promozione di

uno sviluppo solidale della umanità. (n.332)

Oggetto dell’economia è la formazione della ricchezza e il suo

progressivo incremento in termini non solo quantitativi, ma qualitativi:

tutto questo è moralmente corretto se orientato allo sviluppo globale e di

solidarietà dell’uomo e della società in cui lui vive e agisce (n.334)

L’azienda deve caratterizzarsi della capacità di servire il bene comune

della società mediante la produzione di beni e servizi utili. Cercando di

produrre beni e servizi in una logica di efficienza e di soddisfazione degli

interessi dei diversi soggetti implicati, essa crea ricchezza per tutta la

società: non solo ai proprietari, ma anche agli altri soggetti interessati

nella sua attività. Oltre a tale funzione tipicamente economica, l’azienda

svolge anche una funzione sociale, creando opportunità, d’incontro, di

                                                            67 Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 62.  

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137

collaborazione, di valorizzazione delle capacità delle persone coinvolte.

Nell’azienda, pertanto, la dimensione economica è una condizione

perché si possano raggiungere obiettivi non solo economici, ma anche

sociali e morali, da perseguire insieme. (n.338)

La dottrina sociale riconosce la giusta funzione del profitto, come primo

indicatore del buon andamento dell’azienda: quando questa da profitto,

significa che i fattori produttivi sono adeguatamente usati e le correlate

necessità umane debitamente soddisfate. Ma è indispensabile che, all’

interno dell’azienda, la ricerca legittima del profitto si armonizzi con la

irrinunciabile tutela della dignità delle persone che, a diverso titolo,

operano nella stessa azienda. (n.340)

Gli imprenditori e i dirigenti non possono prendere in considerazione

esclusivamente l’obiettivo economico dell’azienda, i criteri di efficienza

economica, le esigenze di cura del “capitale” come insieme dei mezzi di

produzione: è anche un loro dovere specifico, il concreto rispetto della

dignità umana dei lavoratori che operano nell’azienda. (n.344)

Lo Stato può incitare i cittadini e le aziende nella promozione del bene

comune, facendo attenzione a realizzare una politica economica che

favorisca la partecipazione di tutti i suoi cittadini nelle attività produttive.

(n.354)

Lo zelo per il bene comune esige che si sfruttino le nuove opportunità di

redistribuzione del potere e della ricchezza tra le diverse aree del

pianeta, nel beneficio dei più svantaggiati e finora esclusi o al margine

del progresso sociale e economico. (n.363)

8.2 - Sfide etiche del lavoro

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (CDSI) dedica tutto il

capitolo VI (numeri 255 a 322) al lavoro umano, e afferma che il lavoro appartiene

alla condizione originaria dell’uomo, non rappresentando né punizione né

maledizione. Si risalta che nella sua predica, Gesù insegna ad apprezzare il

lavoro. Insegna agli uomini a non lasciarsi schiavizzare dal lavoro. Questi devono

preoccuparsi, prima di tutto, della propria anima; guadagnare il mondo intero non è

lo scopo della loro vita (cf. Mc 8, 36). (n.260)

Il corso della storia (ricordando il valore profetico di Rerum Novarum) è

segnato da profonde trasformazioni e per conquiste esaltanti del lavoro

ma anche dallo sfruttamento di tanti lavoratori e dalle offese alla loro

dignità. La rivoluzione industriale ha lanciato alla Chiesa una grande

sfida, alla quale il Magistero sociale ha risposto con la forza della

profezia, affermando principi del valore universale e di perenne attualità,

a favore dell’uomo che lavora e dei suoi diritti. (n.267)

Il lavoro non solo proviene dalla persona, ma è essenzialmente anche

ordinato ad essa e la tiene come finalità. Indipendentemente dal suo

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138

contenuto oggettivo (delle tecniche utilizzate per produrre), il lavoro deve

esser orientato al soggetto che lo realizza, perché la finalità del lavoro,

di qualsiasi lavoro, rimane sempre l’uomo. (n.272)

Il lavoro è anche un obbligo, ossia, un dovere dell’uomo. L’uomo deve

lavorare sia perché il Creatore l’ha ordinato, sia per rispondere alle

esigenze di mantenimento e sviluppo della propria umanità. (n.274)

La relazione tra lavoro e capitale si esprime anche attraverso la

partecipazione dei lavoratori nella proprietà, nella gestione e nei suoi

frutti. (n.281)

Il lavoro è un diritto fondamentale ed è un bene per l’uomo: un bene

utile, degno di lui perché adatto a esprimere e ad accrescere la dignità

umana. La Chiesa insegna il valore del lavoro non solamente perché

questo è sempre personale, ma anche per il carattere di necessità. Il

lavoro è necessario per formare e mantenere una famiglia, per avere

diritto alla proprietà, per contribuire al bene comune dalla famiglia

umana. La considerazione delle implicazioni morali che la questione del

lavoro comporta nella vita sociale induce la Chiesa a qualificare la

disoccupazione come una vera calamità sociale, soprattutto riguardo alle

giovani generazioni. (n.288)

Il mantenimento dell’impiego dipende sempre di più dalle capacità

professionali. Il sistema di istruzione e di educazione non deve

trascurare la formazione umana, così necessaria per svolgere con

profitto le attività richieste. (n.290)

I diritti dei lavoratori, come tutti gli altri diritti, si basano nella natura della

persona umana e nella sua dignità trascendente. Il Magistero Sociale

della Chiesa ha numerato per bene alcuni di questi, auspicando il loro

riconoscimento negli ordinamenti giuridici: il diritto a una giusta

remunerazione; il diritto al riposo; il diritto a disporre di ambienti di lavoro

e di procedure di lavorazione che non causino danno alla salute fisica

dei lavoratori né danneggino la sua integrità morale; il diritto a vedere

salvaguardata la propria personalità nel luogo di lavoro, senza essere

violati in qualsiasi modo avvenga nella propria coscienza o dignità; il

diritto a favorevoli sovvenzioni indispensabili per la sussistenza dei

lavoratori disoccupati e delle loro famiglie; del diritto alla pensione di

anzianità, all’assicurazione per la vecchiaia così come per la malattia e

all’assicurazione per i casi di incidenti sul lavoro; il diritto alle disposizioni

sociali in relazione alla maternità; il diritto di riunirsi e di associarsi.

(n.301)

Tali diritti sono frequentemente trattati senza rispetto, come confermano i

tristi fenomeni del lavoro sotto remunerato, sprovvisto di tutela o non

rappresentato in modo adeguato. Si è spesso visto come le condizioni di

lavoro per uomini, donne e bambini, specialmente nei paesi in via di

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sviluppo, siano molto disumane e che offendano la loro dignità e

danneggino a loro salute. (n.301)

8.3 - Sfide etiche della povertà

Il Compendio della Dottrina Sociale dalla Chiesa (CDSI) propone che

l’attività politica ed economica e il desiderio del progresso materiale debbano

essere messi al servizio dell’uomo e della società; se ci dedichiamo a loro con la

fede, la speranza e la carità dei discepoli di Cristo, la stessa politica, l’ economia e

il progresso possono essere trasformati in luoghi di salvezza e di santificazione di

tutte le persone.

Tuttavia, stabilisce che “il zelo per il bene comune richiede che si sfruttino le

nuove occasioni di redistribuzione del potere e di ricchezza tra le diverse aree del

pianeta, in beneficio delle (persone) più bisognose e fino adesso escluse o al

margine del progresso sociale e economico”. (n.363)

Papa Francesco ha, reiteratamente, parlato della situazione della povertà

nel mondo, e afferma che “deriva dalla nostra fede in Cristo, che si è fatto povero

e sempre Si è avvicinato ai poveri e ai marginalizzati, la preoccupazione per lo

sviluppo integrale dei più abbandonati della società”. (EG, 186) La povertà è al

centro del Vangelo.

E continua il Papa nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium:68

Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio

al servizio della liberazione e promozione dei poveri, in modo che

possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone essere

cautamente attenti, per sentire il clamore del povero e soccorrerlo.

Basta percorrere le Scritture, per scoprire come il Padre buono vorrebbe

sentire il clamore dei poveri. (EG, 187)

Animati dai loro Pastori, i cristiani sono chiamati, in qualsiasi luogo e

circostanza, a sentire il clamore dei poveri, come bene si esprimono i

Vescovi del Brasile: “Desideriamo prendere, ogni giorno, le allegrie e

speranze, le angustie e tristezze del popolo brasiliano, specialmente

dalla popolazione delle periferie urbane e delle aree rurali – senza terra,

senza tetto, senza pane, senza sanità – lesi nei loro diritti. Vedendo la

loro miseria, sentendo i loro clamori e conoscendo la loro sofferenza, ci

scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la

fame si deve alla cattiva ripartizione dei beni e del reddito. Il problema si

aggrava con la pratica generalizzata dello spreco”. (EG, 191)

Per la Chiesa, l’ opzione per i poveri è più una categoria teologica che

culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio “manifesta la sua

misericordia prima di tutto” a loro. Questa preferenza divina ha                                                             68 Vedere specialmente i numeri 186 a 216 della citata Esortazione Apostolica. 

 

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conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati a possedere “gli

stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù” (Fl 2,5). Ispirata da tale

preferenza, la Chiesa ha scelto i poveri, intesa come una “forma speciale

di primato nella pratica della carità cristiana, testimoniata per tutta la

Tradizione della Chiesa”. Come insegnava Benedetto XVI, questa scelta

“è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per

noi, per arricchirci con la sua povertà”. Per questo, desidero una Chiesa

povera per i poveri. Questi hanno molto da insegnarci. Oltre a

partecipare del sensus fidei, nei loro propri dolori conoscono Cristo

sofferente. È necessario che tutti noi ci facciamo evangelizzare da loro.

La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica

delle loro vite, e a metterli nel centro del cammino della Chiesa. Siamo

chiamati a scoprire Cristo in loro: non solo a prestare a loro la nostra

voce nelle loro cause, ma anche ad essere suoi amici, ad ascoltarli, a

capirli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio ci vuole

comunicare attraverso di loro. (EG, 198)

Dato che questa Esortazione si dirige ai membri della Chiesa Cattolica,

desidero affermare, con amarezza, che la peggiore discriminazione che

fa soffrire i poveri è la mancanza di cura spirituale. L’immensa

maggioranza dei poveri possiede una apertura speciale alla fede; ha

necessità di Dio e non possiamo non offrire loro la sua amicizia, la sua

benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta

di un cammino di crescita e maturazione nella fede. L’opzione

preferenziale per i poveri deve tradursi, principalmente, in una

sollecitudine religiosa privilegiata e prioritaria. (EG, 200)

Piccoli, ma forti nell’amore di Dio, come San Francesco di Assisi, tutti

noi, cristiani, siamo chiamati a curare la fragilità del popolo e del mondo

dove viviamo. (EG, 216)

8.4- Sfide etiche della politica

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (CDSI) dedica tutto il

capitolo VIII (numeri 377 a 427) alle questioni della politica, e proclama che la

persona umana è fondamento e fine della comunità politica. Per questo, essa ha

nel riferimento al popolo la sua autentica dimensione: essa è, e deve essere nella

realtà, l’unità organica e organizzatrice di un vero popolo. (n.384 e 385) L’ autorità

politica, poi, deve lasciarsi guidare dalla legge morale: tutta la sua dignità deriva

dallo svolgersi nell’ambito dell’ordine morale, il quale ha Dio come principio e fine.

(n.396)

Considerare la persona umana come fondamento e fine della comunità

politica significa sforzarsi, prima di tutto, per il riconoscimento e per il

rispetto della sua dignità mediante la tutela e la promozione dei diritti

fondamentali e inalienabili dell’uomo: nel tempo moderno, l’attuazione

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del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri

della persona.(n.388)

Il soggetto dell’autorità politica è il popolo considerato nella sua totalità

come detentore della sovranità. (n.395)

L’autorità deve riconoscere, rispettare e promuovere i valori umani e

morali essenziali. (n.397)

L’autorità deve emanare leggi giuste, ossia, in conformità con la dignità

della persona umana e con i dettami della retta ragione. (n.398)

Il cittadino non è obbligato in coscienza a seguire le prescrizioni delle

autorità civili se sono contrarie alle esigenze dell’ordine morale, ai diritti

fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. (n.399)

È un forte dovere di coscienza non prestare collaborazione, nemmeno

formale, a quelle pratiche che, sebbene ammesse dalla legislazione

civile, contrastano con la legge di Dio. (n.399)

Una autentica democrazia non è il solo risultato di un rispetto formale

delle regole, ma è il frutto dell’accettazione convinta dei valori che

ispirano le procedure democratiche: la dignità della persona umana, il

rispetto dei diritti dell’uomo, del fatto di assumere il bene comune come

fine e criterio regolatore della vita politica. Se non si ha un consenso

generale su tali valori, il significato della democrazia è perso e si

compromette la sua stabilità. (n.407)

L’amministrazione pubblica, a qualsiasi livello— nazionale, regionale,

municipale —, come strumento dello Stato, ha come finalità servire i

cittadini: Messo al servizio dei cittadini, lo Stato è il gestore dei beni del

popolo, che deve amministrare in considerazione del bene comune. (n.

412)

L’autonomia reciproca della Chiesa e della comunità politica non

comporta una separazione tale che escluda la collaborazione tra loro:

entrambe, sebbene a titoli differenti, sono a servizio della vocazione

personale e sociale degli uomini stessi. (n.425)

8.5 - Sfide etiche della cultura

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (CDSI) dedica i numeri 554

a 562 alla presenza del fedele laico al servizio della cultura. Possono essere

evidenziate alcune riflessioni, per mostrare che la cultura deve costituire un campo

privilegiato di presenza e impegno della Chiesa e per i cristiani, impegno questo

che deve essere ispirato nel Vangelo.

La perfezione integrale della persona e il bene di tutta la società sono i

fini essenziali della cultura; la dimensione etica della cultura è, pertanto,

una priorità nell’azione sociale e politica dei fedeli laici (n.556)

L’impegno sociale e politico del fedele laico nel campo culturale assume

attualmente alcune direzioni precise. La prima è quella che cerca di

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garantire ad ogni uno il diritto di tutti a una cultura umana e civile in

armonia con la dignità della persona umana, senza distinzione di razza,

di sesso, di nazione, di religione o di condizione sociale. (n.557)

La seconda sfida all’impegno del fedele laico riguarda il contenuto della

cultura, ossia, la verità. La questione della verità è essenziale per la

cultura, perché rimane in ogni uomo il dovere di salvare l’ integrità della

sua personalità, nella quale vengono risaltati i valori dell’intelligenza,

della volontà, della coscienza e della fraternità. (n.558)

I cristiani devono dedicarsi con tutte le energie a dare piena

valorizzazione alla dimensione religiosa della cultura; tale attività è molto

importante e urgente per la qualità della vita umana, in ambito

individuale e sociale. (n.559)

Nella promozione di una autentica cultura, i fedele laici garantiranno

grande rilievo ai mezzi di comunicazione di massa, considerando

soprattutto i contenuti dalle numerose scelte realizzate dalle persone: tali

scelte, pure variando da gruppo a gruppo e da individuo ad individuo,

possiedono tutte un peso morale e sotto questo aspetto devono essere

valutate. Per scegliere correttamente, è necessario conoscere le norme

dell’ordine morale e applicarle fedelmente. (n.560)

I professionisti dei mezzi di comunicazione sociale non sono gli unici ad

avere doveri etici. Quelli che ne usufruiscono hanno anche obblighi. Gli

operatori che provano ad assumere responsabilità meritano un pubblico

cosciente dalle proprie responsabilità. (n.562)

8.6 - Sfide etiche dell’ambiente

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (CDSI) dedica l’intero

capitolo X (dal numero 451 al 487) alle questioni ambientali, e chiarisce che la

visione biblica ispira le attitudini dei Cristiani in relazione all’uso della terra, così

come allo sviluppo della scienza e della tecnica (n.456). Che l’uomo non deve

dimenticare che la sua capacità di trasformare e, in modo certo, creare il mondo

con il proprio lavoro si svolge sempre sulla base della donazione originaria delle

cose da Dio (n.460)

Nella Carta Encíclica Laudato Si’ (LS), Papa Francesco si rapporta a

questo insegnamento sociale della Chiesa e rende attuali le riflessioni, nel

significato di rinnovare il dialogo sulla maniera di come” stiamo costruendo il futuro

del pianeta”. (LS, 14)

Esistono forme di inquinamento che provocano effetti quotidiani alle

persone. L’esposizione agli agenti inquinanti atmosferici produce una

vasta gamma di effetti sulla salute, in particolar modo dei più poveri e

provoca milioni di morti premature. (n.20)

La terra, la nostra casa, sembra trasformarsi sempre di più in un

immenso deposito di rifiuti. (n. 21)

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Tali problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto, che

riguarda tanto gli esseri umani esclusi come le cose che si convertono

rapidamente in rifiuti. (n. 22)

Il clima è un bene comune, un bene di tutti e per tutti (…) l’umanità è

chiamata a prendere coscienza della necessità dei cambiamenti degli

stili di vita, della produzione e del consumo per combattere questo

riscaldamento o, per lo meno, le cause umane che lo producono o lo

accentuano. (n.23)

I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni

ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche e rappresentano

attualmente una delle principali sfide per l’umanità (…) È tragico

l’aumento dei migranti che fuggono dalla miseria aggravata dalla

degradazione ambientale che, non essendo riconosciuti come rifugiati

nelle convenzioni internazionali, caricano il peso della loro vita

abbandonata senza qualsiasi tutela normativa. Purtroppo, si realizza una

indifferenza generale nei riguardi di tali tragedie che stanno avvenendo

ancora oggi in differenti parti del mondo. La mancanza di reazioni

rispetto a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segnale di

perdita del senso di responsabilità verso i nostri simili, sul quale si fonda

tutta la società civile. (n.25)

L’acqua potabile e pulita rappresenta una questione di primaria

importanza perché e indispensabile per la vita umana e per sostenere gli

ecosistemi terrestri e acquatici. (n.28) Un problema particolarmente serio

è quello della qualità dell’acqua disponibile per i poveri, che

quotidianamente miete molte vittime.(n.29) Mentre la qualità dell’acqua

disponibile peggiora costantemente, in alcune località cresce la tendenza

per privatizzare questa risorsa scarsa, diventando una merce soggetta

alle leggi del mercato. Nella realtà l’accesso all’acqua potabile e sicura è

un diritto umano essenziale, fondamentale e universale perché

determina la sopravvivenza delle persone e, pertanto, è condizione per

l’esercizio degli altri diritti umani. (n.30) Una maggior scarsità di acqua

provocherà l’aumento del costo degli alimenti e dei vari prodotti che

dipendono dal suo uso. (n.31)

Annualmente spariscono migliaia di specie vegetali e animali, che già

non potremo conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per

sempre. La grande maggioranza di queste si estingue per ragioni che

sono legate con qualcuna attività umana. (n.33)

Quando si analizza l’impatto ambientale di qualsiasi iniziativa

economica, ci si abitua ad osservare i suoi effetti nel suolo, nell’acqua e

nell’aria, ma non sempre si include uno studio attento dell’impatto nella

biodiversità, come se la perdita di alcune specie di gruppi animali

vegetali fosse qualcosa di scarsa rilevanza. (n.35)

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Tenendo conto che l’essere umano è anche una creatura di questo

mondo, che ha diritto a vivere ed essere felice e, oltre a ciò, possiede

una dignità speciale, non possiamo lasciare di considerare gli effetti della

degradazione ambientale, del modello attuale di sviluppo e della cultura

dello scarto sulla vita delle persone. (n.43)

L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme; non

possiamo affrontare adeguatamente il degrado ambientale se non

prestiamo attenzione alle cause che riguardano il degrado umano e

sociale. Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e della società affliggono

in modo speciale i più fragili del pianeta. (n.48)

Desidererei segnalare che molte volte manca una coscienza chiara dei

problemi che affliggono gli esclusi. Questi sono la maggioranza del

pianeta, migliaia di milioni di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti

politici ed economici internazionali ma frequentemente sembra che i loro

problemi vengano inseriti in un appendice, come una questione che

aumenta quasi per obbligo o perifericamente, quando non sono

considerati meri danni collaterali. (n.49)

È necessario rinvigorire la coscienza che siamo una unica famiglia

umana. Non ci sono frontiere né barriere politiche o sociali che ci

consentano di isolarci e, per ciò, non c’è spazio per la globalizzazione

dell’indifferenza. (n.52)

E così Papa Francesco conclude la sua diagnosi: “così si manifesta come

sono intimamente legate al degrado ambientale e al degrado umano ed etico”.

(n.56) E propone: abbiamo bisogno di un ecologia integrale, che includa

chiaramente le dimensioni umane e sociali.(n.137)

Per riflettere:

1) Come riassumi le sfide etiche dell’economia nel momento attuale? Come

risolverle?

2) Come riassumi le sfide etiche della politica nel momento attuale? Come

risolverle?

3) Come riassumi le sfide etiche del lavoro (e/o della sua mancanza) nel

momento attuale ? Come risolverle?

4) Come riassumi le sfide etiche della cultura del momento attuale? Come

risolverle?

5) Come riassumi le sfide etiche dei mezzi di comunicazione nel momento

attuale ? Come risolverle?

6) Come riassumi le sfide etiche della povertà nel momento attuale? Come

risolverle?

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7) Come riassumi le sfide etiche dell’ambiente (o dell’ecologia integrale ) nel

momento attuale? Come risolverle?

8) Che cosa pensi di questa affermazione: la distruzione dei fondamenti della

vita sociale finisce per collocarci gli uni contro gli altri nella difesa dei propri

interessi. E ciò provoca l’emergere di nuove forme di violenza e crudeltà e

impedisce lo sviluppo di una vera cultura del rispetto dell’ambiente .

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Abbiamo visto, lungo questo corso, “la legge morale è opera della

Sapienza divina”. Essa fu definita, in senso biblico, “come un insegnamento

paterno, una pedagogia di Dio”, che “prescrive all’uomo le vie, le norme di condotta

da seguire che conducono alla beatitudine promessa e vieta le strade del male,

che allontanano da Dio e dal suo amore. Essa è ad un tempo severa nei suoi

precetti e soave nelle sue promesse”. (CIC, nº 1950)

Pertanto, questo studio della morale cristiana e della Teologia Morale

cerca, alla luce della Parola di Dio, di discernere le norme concrete che

portano la persona alla sua piena realizzazione: umana e cristiana.

Così, ciò che meglio definisce la morale cristiana è il suo legame con tutta la

fede. Ossia, la morale è una dimensione necessaria della fede cristiana (fede

intesa come relazione tra l’essere umano ed il suo Dio).

Possiamo percepire che la Teologia Morale o la morale cristiana non

descrivono solo il comportamenti umano, ma puntano ad un ideale da perseguire

e vivere, e che anche è sua forza ispiratrice: Gesù Cristo. È la norma suprema per

il comportamento morale e per il vivere del cristiano, di ognuno di noi credenti.

La morale cattolica non è un semplice sistema di precetti e proibizioni come

alcuni posso pensare, e nemmeno è un sistema che insegna al cristiano a

praticare determinate norme, con il minimo di disturbo, al fine di tranquillizzare la

sua coscienza di fronte a Dio. Questo sarebbe diminuire la morale e la grandezza

dell’uomo di fronte a Dio.

Per chi vive della fede, la morale cristiana non è una catena; ansi, è un

cammino di vita piena e di gioia. Dio non avrebbe lasciato un Codice di Morale se

CONCLUSIONE 

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questo non fosse imprescindibile per essere felici e santi. Le leggi morali possono

essere paragonati ai semafori che di transito che guidano i conducenti,

specialmente su strade pericolose, con molte curve, nebbia e dossi. Se il

conducente non li rispetta, potrà pagare con la propria vita e con la vita degli altri.

La morale cattolica ha come obiettivo portare l’uomo alla realizzazione della

sua vocazione suprema, che è la vocazione alla perfezione e alla santità. Essa ha

come obiettivo dirigere il comportamento dell’uomo verso il Fine Supremo che è

Dio, che si è rilevato all’uomo in modo speciale in Gesù Cristo e la sua Chiesa.

Nessuna persona è chiamata a vivere una vita mediocre, ma, piuttosto, una vita

piena di spiritualità ed amore a Dio ed ai fratelli.

Nessuno deve vivere la legge di Cristo per paura, ma per amore al Signore

che scese dal cielo, e che si è sacrificato per ognuno di noi. Il nostro amore a Dio

non deve essere un amore da schiavo che gli obbedisce per paura del castigo, e

nemmeno da mercenario che l’obbedisce per amore al denaro, ma piuttosto

l’amore del figlio che obbedisce al padre semplicemente perché è amato dal padre.

San Paolo diceva: “l’amore di Cristo mi costringe” (2Cor 5,14).

Nessuno sarà veramente spirituale finché non vive la legge di Dio

semplicemente per amore a Dio e non per paura dei castighi. Per l’altro lato,

dobbiamo vivere la legge di Dio perché essa è, di fatto, il cammino per la nostra

vera gioia. Essa ci ama ed è Dio; non può sbagliare e non può ingannarci; quindi,

la sua legge è il meglio per noi.

La morale cattolica è la base del comportamento del cristiano, secondo la

fede che egli professa, ricevuta da Cristo e dagli Apostoli. Nel Sermone sul Monte

Gesù stabilì la “Costituzione” del Regno di Dio, ed in tutto il Vangelo ci insegna a

vivere conformi alla volontà di Dio.

Ma, per credere in questo e vivere con gioia la Morale è necessario avere

fede; credere in Dio e nel suo amore per noi; e credere nella Chiesa Cattolica

come porta voce di Gesù Cristo.

Cristo ci parla per il Vangelo e per la Chiesa. L’ha istituita su Pietro e su gli

Apostoli per essere la nostra Madre, guida e maestra. Gesù disse agli Apostoli:

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“Chi ascolta voi, ascolta a Me; chi disprezza voi, disprezza a Me; e chi disprezza

Me, disprezza colui che mi ha mandato” (Lc 10,16).

Cristo ha concesso alla Chiesa parte della sua infallibilità in materia di

dottrina: fede e morale, perché questo è necessario per la nostra salvezza, e istituì

la Chiesa per condurci alla salvezza. Per questo motivo, Cristo non può lasciare

che la Chiesa sbagli in cose essenziali alla nostra salvezza. Il Concilio Vaticano II

disse che “la Chiesa è il sacramento universale della salvezza” (LG, 4).

È per essa che Gesù continua a salvare gli uomini di tutti i tempi e luoghi,

attraverso i Sacramenti e la Verità che insegna. San Paolo disse a San Timoteo

che “la Chiesa è la colonna e il sostegno (fondamenta) della verità” (1Tm 3,15) e

che Dio vuole che tutti si salvino e arrivino al concepimento della Verità (1Tm 2,4).

Questa “Verità” che Dio salva la ha affidata alla Chiesa per guardare

attentamente, ed essa lo fa da venti secoli. Ha affrontato molte eresie e scissioni,

molte critiche da uomini e donne senza fede, specialmente nei nostri giorni, ma la

Chiesa non tradisce Gesù Cristo.

Cristo è permanentemente nella Chiesa – “ed ecco, io sono con voi tutti i

giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) – ed essa sa che, sebbene i suoi figli

sono peccatori, essa non può sbagliare il cammino della salvezza e della verità.

Nell’ultima Cena il Signore ha promesso alla Chiesa (Cristo e gli Apostoli),

nel Cenacolo, che avrebbe conosciuto la verità piena. “Ho molte cose da dirvi, ma

non siete capaci di sentirle ancora; ma, quando verrà lo Spirito Santo, vi insegnerà

la verità” (Jo 16,12-13).

Lungo i venti secoli lo Spirito Santo ha insegnato alla Chiesa questa verità,

attraverso i Santi, i Papi e i Santi Padri...

La Chiesa non cerca la gloria degli uomini, ma soltanto la gloria di Dio; per

questo non si intimidisce e non si scoraggia di fronte alle minacce degli infedeli.

Anche se resta sola, non negherà la verità del suo Signore.

La Morale cattolica non cambia per il gusto della volontà degli uomini e

nemmeno con il passare del tempo, perché la Verità non cambia, qualunque cosa

sia. Cristo non ci ha lasciato, una morale transitoria, passeggera, provvisoria; no,

Egli ci lasciò una Verità eterna. Egli stesso è la Verità.

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I cristiani devono capire che la questione morale non dipende dalla

“opinione maggioritaria” e non cambia con i “progressi” scientifici. La morale deve

dire quali scoperte della Scienza sono valide per il progresso dell’uomo, e non il

contrario. Una legge morale non è lecita solo perché è approvata dal Governo o

dal Parlamento.

L’esperienza della Morale è necessaria per la salvezza; per questo la

Chiesa la insegna con tutta l’attenzione. Ci insegna che: “La vita morale è un culto

spirituale, e l’agire cristiano trova il suo nutrimento nella Liturgia e nella

celebrazione dei sacramenti” (CIC, nº 2047).

Il Concilio Vaticano II° proclamò che la Chiesa, “colonna e sostegno della

verità” (1Tm 3,15), “ha ricevuto dagli Apostoli il solenne mandato di Cristo di

predicare la verità della salvezza” (LG 17).

Compete alla Chiesa annunciare sempre e dovunque i principi morali, anche circa

l’ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in

quanto la esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle

anime. (Codice del Diritto Canonico, can. 747,2)

E ancora:

L'autorità del Magistero si estende anche ai precetti specifici della legge naturale,

perché la loro osservanza, chiesta dal Creatore, è necessaria alla salvezza.

Richiamando le prescrizioni della legge naturale, il Magistero della Chiesa esercita

una parte essenziale della sua funzione profetica di annunziare agli uomini ciò che

essi sono veramente e di ricordare loro ciò che devono essere davanti a Dio.

(Digntatis Humanae, 14)

La Morale cattolica è la base del comportamento del cristiano; per questo è

insegnata nella Catechesi, nei corsi di formazione, così che il cristiano,

conoscendo i dogmi della fede e celebrando nella liturgia il Sacramento della

salvezza, viva anche conforme alla legge di Dio.

Pertanto, attraverso questo Corso, che viene offerto come una forma di

catechesi di base, per cercare di rilevare con tutta chiarezza la gioia e l'esigenza

del cammino di Cristo. La catechesi della “vita nuova” (Rm 6,4) in Cristo deve

essere:

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Una catechesi dello Spirito Santo, Maestro interiore della vita

secondo Cristo, dolce ospite e amico che ispira, conduce, rettifica e

fortifica questa vita;

Una catechesi della grazia, perché è per la grazia che siamo salvi, e

per la grazia che le nostre opere possono produrre frutti per la vita

eterna;

Una catechesi delle beatitudini, perché il cammino in Cristo si

riassume nelle beatitudini, unica via per la gioia eterna, alla quale il

cuore dell’uomo aspira;

Una catechesi del peccato e del perdono, perché, senza

riconoscersi peccatore, l’uomo non può conoscere la verità su di sé,

condizione del retto agire, e senza il dono del perdono non potrà

sopportare questa verità;

Una catechesi delle virtù umane, che fa abbracciare la bellezza e

l’attrazione delle rette disposizione in vista del bene;

Una catechesi delle virtù cristiane, della fede, speranza e carità,

che ispira con prodigalità nell’esempio dei santi;

Una catechesi dal doppio comandamento della carità sviluppato

nel decalogo;

Una catechesi ecclesiale, perché è nei molteplici scambi di “beni

spirituali” nella “comunione dei santi” che la vita cristiana cresce, si

sviluppa e comunica.

Quindi, come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, la legge morale

trova in Cristo la sua pienezza e unità. Gesù Cristo è, in persona, la via della

perfezione. Egli è il termine della legge, perché Egli solo insegna e dà la giustizia

di Dio: “Il termine della legge è Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque

crede”. (Rm 10, 4) (CIC, nº 1953)

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