borges - l'artefice

48
L'ARTEFICE Jorge Luis Borges Titolo originale El hacedor EDIZIONE CON TESTO A FRONTE a cura di Tommaso Scarano BIBLIOTECA ADELPHI 382 EDIZIONI INDICE (Per la ricerca dei titoli e Altri dati dell’opera utilizzare la funzione trova dal menu Modifica es. trova altri dati oppure trova pag.…..n) Nota su copertina del libro «Un giorno il mio amico Carlos Frías, di Emecé, mi chiese un nuovo libro per la serie della mia cosiddetta opera completa. Risposi che non avevo nulla da dargli, ma Frías insistette, dicendo: "Ogni scrittore ha un libro da qualche parte, se soltanto si dà la pena di cercarlo". Una domenica oziosa, frugando nei cassetti di casa, scovai delle poesie sparse e dei brani di prosa ... Questi frammenti, scelti e ordinati e pubblicati nel 1960, divennero L'artefice ». Così, con somma sprezzatura, Borges racconta la genesi di quello che è forse il libro più ricco e personale della sua maturità, quello in cui la sua scrittura raggiunge una misura e una classicità destinate a rimanere insuperate: Borges è l'Ulisse che, «stanco di prodigi,/pianse d'amore quando scorse Itaca/umile e verde», poiché l'arte è «questa Itaca/di verde eternità, non di prodigi». Compongono questa sorta di «raccogliticcio e disordinato» zibaldone 24 brani in prosa composti fra il 1934 e il 1959 («abbozzi e parabole» piuttosto che poemi in prosa) e 29 poesie, per lo più recenti, che documentano, a distanza di quasi un trentennio dalla pubblicazione del Quaderno San Martín e dopo la grande stagione narrativa degli anni Quaranta e Cinquanta, il secondo - e magistrale - esordio del Borges poeta. Qui il lettore troverà alcuni degli scritti che meglio realizzano quel pensativo sentir che costituì il suo ideale poetico: pochi testi come L'artefice, Parabola del palazzo, Borges e io (sul versante della prosa) e Gli specchi, Scacchi, Poesia dei doni, Arte poetica, La luna ( sul versante della poesia) esprimono altrettanto felicemente il sentimento borgesiano dell'esistenza, il suo continuo interrogarsi sul mistero dell'identità, della realtà, del tempo e, naturalmente, sull'essenza della parola e della letteratura. «Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di pesci, di case, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto ». INDICE A Leopoldo Lugones pag.11 A LEOPOLDO LUGONES EI hacedor pag.15 L'ARTEFICE Dreamtigers pag.20 DREAMTIGERS Diàlogo sobre un dialogo pag.22 DIALOGO SU DI UN DIALOGO Las uñas pag.25 LE UNGHIE Los espejos velados pag.27 GLI SPECCHI VELATI Argumentllm ornithologicum pag.31 ARGUMENTUM ORNITHOLOGICUM EI cautivo pag.33 IL PRIGIONIERO EI simulacro pag.37 IL SIMULACRO

Upload: dariussteiner

Post on 22-Nov-2015

320 views

Category:

Documents


20 download

DESCRIPTION

"Un giorno il mio amico Carlos Frias, di Emecé, mi chiese un nuovo libro per la serie della mia cosiddetta opera completa. Risposi che non avevo nulla da dargli, ma Frias insisté, dicendo: Ogni scrittore ha un libro da qualche parte, se soltanto si dà la pena di cercarlo. Una domenica oziosa, frugando nei cassetti di casa, scovai delle poesie sparse e dei brani di prosa... Questi frammenti, scelti e ordinati e pubblicati nel 1960, divennero El hacedor". Così Borges racconta la genesi di questo libro, uno zibaldone con 23 brani in prosa composti fra il '34 e il '59 e 31 poesie, per lo più recenti.

TRANSCRIPT

  • L'ARTEFICE Jorge Luis Borges Titolo originale El hacedor

    EDIZIONE CON TESTO A FRONTE a cura di Tommaso Scarano BIBLIOTECA ADELPHI 382 EDIZIONI

    INDICE (Per la ricerca dei titoli e Altri dati dellopera utilizzare la funzione trova dal menu Modifica es. trova altri dati oppure trova pag...n)

    Nota su copertina del libro Un giorno il mio amico Carlos Fras, di Emec, mi chiese un nuovo libro per la serie della

    mia cosiddetta opera completa. Risposi che non avevo nulla da dargli, ma Fras insistette, dicendo: "Ogni scrittore ha un libro da qualche parte, se soltanto si d la pena di cercarlo". Una domenica oziosa, frugando nei cassetti di casa, scovai delle poesie sparse e dei brani di

    prosa ... Questi frammenti, scelti e ordinati e pubblicati nel 1960, divennero L'artefice. Cos, con somma sprezzatura, Borges racconta la genesi di quello che forse il libro pi ricco e

    personale della sua maturit, quello in cui la sua scrittura raggiunge una misura e una classicit destinate a rimanere insuperate: Borges l'Ulisse che, stanco di prodigi,/pianse d'amore quando scorse Itaca/umile e verde, poich l'arte questa Itaca/di verde eternit,

    non di prodigi. Compongono questa sorta di raccogliticcio e disordinato zibaldone 24 brani in prosa composti fra il 1934 e il 1959 (abbozzi e parabole piuttosto che poemi in

    prosa) e 29 poesie, per lo pi recenti, che documentano, a distanza di quasi un trentennio dalla pubblicazione del Quaderno San Martn e dopo la grande stagione narrativa degli anni Quaranta e Cinquanta, il secondo - e magistrale - esordio del Borges poeta. Qui il lettore

    trover alcuni degli scritti che meglio realizzano quel pensativo sentir che costitu il suo ideale poetico: pochi testi come L'artefice, Parabola del palazzo, Borges e io (sul versante

    della prosa) e Gli specchi, Scacchi, Poesia dei doni, Arte poetica, La luna (sul versante della poesia) esprimono altrettanto felicemente il sentimento borgesiano dell'esistenza, il suo continuo interrogarsi sul mistero dell'identit, della realt, del tempo e, naturalmente,

    sull'essenza della parola e della letteratura. Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie,

    di vascelli, di isole, di pesci, di case, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto .

    INDICE A Leopoldo Lugones pag.11 A LEOPOLDO LUGONES EI hacedor pag.15 L'ARTEFICE Dreamtigers pag.20 DREAMTIGERS Dilogo sobre un dialogo pag.22 DIALOGO SU DI UN DIALOGO Las uas pag.25 LE UNGHIE

    Los espejos velados pag.27 GLI SPECCHI VELATI Argumentllm ornithologicum pag.31 ARGUMENTUM ORNITHOLOGICUM

    EI cautivo pag.33 IL PRIGIONIERO

    EI simulacro pag.37 IL SIMULACRO

  • Delia Elena San Marco pag.41 DELIA ELENA SAN MARCO Dialogo de muertos pag.45 DIALOGO DI MORTI

    La trama pag.51 LA TRAMA

    Un problema pag.53 UN PROBLEMA Una rosa amarilla

    pag.57 UNA ROSA GIALLA El testigo

    pag.61 IL TESTIMONE Martin Fiero pag.65 MARTIN FIERO

    Mutaciones pag.69 MUTAZIONI

    Parabola de Cervantes y de Quijote pag.71 PARABOLA DI CERVANTES E DON CHISCIOTTE Paradiso, XXXI, 108

    pag.73 PARADISO, XXXI, 108 Parbola del palacio

    pag.77 PARABOLA DEL PALAZZO Everything and nothing pag.81 EVERYTHING AND NOTHING

    Ragnark pag.85 RAGNARK

    Inferno, I, 32 pag.89 INFERNO, I, 32 Borges y yo

    pag.93 BORGES E IO Poema de los dones

    pag.97 POESIA DEI DONI El reloj de arena pag.101 L'OROLOGIO A SABBIA

    Ajedrez pag.105 SCACCHI

    Los espejos pag.109 GLI SPECCHI Elvira de Alvear

    pag.113 ELVIRA DE ALVEAR Susana Soca

    pag.115 SUSANA SOCA La luna pag.117 LA LUNA

    La lluvia pag.125 LA PIOGGIA

    A la efigie de un capitn de los ejrcito de Cromwell pag.127 ALL'EFFIGIE DI UN CAPITANO DEGLI ESERCITI DI CROMWELL A un viejo poeta

    pag.129 A UN VECCHIO POETA

  • El otro tigre pag.131 L'ALTRA TIGRE

    Blind Pew pag.135 BLIND PEW

    Alusin a una sombra de mil ochocientos noventa y tantos pag.137 ALLUSIONE A UN'OMBRA DEL MILLEOTTOCENTONOVANTA E ROTTI Alusin a la muerte del coronel Francisco Borges (1833-1874)

    pag.139 ALLUSIONE ALLA MORTE DEL COLONNELLO FRANCISCO BORGES (1833-1874) In memoriam A.R.

    pag.141 IN MEMORIAM A.R. Los Borges pag.147 I BORGES

    A Luis de Camoens pag.149 A LUIS DE CAMOENS

    Mil novecientos veintitantos pag.151 MILLENOVECENTOVENTI E ROTTI Oda compuesta en 1960

    pag.153 ODE COMPOSTA NEL 1960 Ariosto y los rabes

    pag.157 ARIOSTO E GLI ARABI Al iniciar el estudio de la gramtica anglosajona pag.165 INIZIANDO LO STUDIO DELLA GRAMMATICA ANGLOSASSONE

    Lucas, 23 pag.169 LUCA, 23

    Adrogu pag.173 ADROGU Arte potica

    pag.177 ARTE POETICA Museo

    pag.181 MUSEO Del rigor en la ciencia pag.181 DEL RIGORE NELLA SCIENZA

    Cuarteta pag.183 QUARTINA

    Lmites pag.185 LIMITI EI poeta declara su nombrada

    pag.187 IL POETA DICHIARA LA SUA FAMA El enemigo generoso

    pag.189 IL NEMICO GENEROSO Le regret d'Hraclite pag.191 LE REGRET D'HRACLITE

    In memonam J.F.K.. pag.193 IN MEMONAM J.F.K..

    Epilogo pag.195 EPILOGO pag.199 NOTA AL TESTO

    pag.205 ULISSE A ITACA di Tommaso Scarano

    pag.221 BIBLIOTECA ADELPHI

  • pag.11 A LEOPOLDO LUGONES Mi lascio alle spalle i rumori della piazza ed entro nella Biblioteca. Avverto, in modo quasi

    fisico, la gravitazione dei libri, l'ambito sereno di un ordine, il tempo magicamente disseccato e conservato. A sinistra e a destra, assorti nel loro lucido sogno, si stagliano i volti

    momentanei dei lettori, alla luce delle lampade studiose, come nell'ipallage di Milton. Ricordo di avere gi ricordato questa figura, in questo stesso luogo, e poi quell'altro epiteto che definisce anch'esso tramite il contorno, l' arido cammello del Lunario, e poi ancora

    quell'esametro dell'Eneide che impiega e supera il medesimo artificio: Ibant obscuri sola sub nocte per umbram.

    Queste riflessioni mi conducono alla porta del suo studio. Entro, scambiamo alcune convenzionali e cordiali parole e le do questo libro. Se non m'inganno, lei non mi disprezzava, Lugones, e le sarebbe piaciuto che un mio lavoro le piacesse. Ci non mai

    accaduto, ma adesso lei sfoglia le pagine e legge con approvazione qualche verso, forse perch vi riconosce la sua stessa voce, forse perch la pratica imperfetta le importa meno

    della sana teoria. A questo punto il mio sogno svanisce, come acqua nell'acqua. La vasta Biblioteca che mi circonda si trova in calle Mxico, non in calle Rodrguez Pea, e lei, Lugones, si suicidato

    agli inizi del '38. La mia vanit e la mia nostalgia hanno dato vita a una scena impossibile. Certo (mi dico), ma domani sar morto anch'io e i nostri tempi si confonderanno e la cronolo -

    gia si perder in un mondo di simboli e in qualche modo sar giusto affermare che io le ho portato questo libro e che lei lo ha accettato. J.L.B.

    Buenos Aires, 9 agosto 1960

    pag.15 L'ARTEFICE Non aveva mai indugiato nei piaceri della memoria. le impressioni scivolavano su di lui, momentanee e vivide; il carminio di un vasaio, la volta celeste carica di stelle che erano

    anche di, la luna, dalla quale era caduto un leone, la politezza del marmo sotto i lenti polpastrelli sensibili, il sapore della carne di cinghiale, che gli piaceva addentare a morsi

    bianchi e secchi, una parola fenicia, l'ombra nera di una lancia sulla sabbia gialla, la vicinanza del mare o delle donne, il vino denso la cui asprezza mitigava il miele potevano riempirgli totalmente l'anima. Conosceva il terrore, ma anche la collera e il coraggio, e una

    volta fu il primo a scalare un muro nemico. Avido, curioso, imprevedibile, senz'altra legge che il piacere e l'indifferenza del momento, and per la diversa terra e contempl, su questa o

    quella sponda del mare, le citt degli uomini e i palazzi. Nei mercati affollati o ai piedi di una montagna dalla vetta incerta, sulla quale ben potevano abitare satiri, aveva ascoltato complicate storie. che aveva accettato come accettava la realt, senza indagare se fossero vere

    o false. A poco a poco il bell'universo lo abbandon; un'ostinata nebbia gli cancell le linee della

    mano, la notte si spopol di stelle, la terra era insicura sotto i suoi piedi. pag.17 Tutto si allontanava e confondeva. Quando si accorse che stava diventando cieco, grido; il pudore degli stoici non era stato ancora inventato ed Ettore poteva fuggire senza disonore.

    Non vedr pi (senti) n il cielo colmo di paura mitologica n questo volto che gli anni muteranno. Giorni e notti trascorsero su quella disperazione della sua carne, ma una mattina

    si sveglio), osserv (ormai senza stupore) le cose indistinte che gli stavano intorno e inspiegabilmente sent, come chi riconosce una musica o una voce, che tutto questo gli era gi successo e che lo aveva affrontato con timore, ma anche con gioia, speranza e curiosit.

    Allora discese nella sua memoria, che gli parve interminabile, e da quella vertigine riusc ad estrarre il ricordo perduto che brill come una moneta sotto la pioggia, forse perch non lo

    aveva mai osservato, tranne forse in un sogno.

  • Il ricordo era questo. Un altro ragazzo l'aveva insultato e lui era andato da suo padre e gli aveva raccontato l'accaduto. Questi lo aveva lasciato parlare come se non ascoltasse o non

    capisse e aveva staccato dalla parete un pugnale di bronzo bello e colmo di potere, che il bambino aveva bramato furtivamente. Ora L'aveva tra le mani e la sorpresa di possederlo

    aveva annullato l'ingiuria patita, ma la voce del padre gli diceva:

  • pag.25 LE UNGHIE Docili calze le accarezzano di giorno e scarpe di cuoio inchiodate le fortificano, ma le dita del

    mio piede non vogliono saperlo. A loro non importa altro che emettere unghie: lamine cornee, semitrasparenti ed elastiche, per difendersi - da chi? Stupide e diffidenti come

    nessuno, non smettono neanche un attimo di apprestare quel tenue armamento. Rifiutano universo ed estasi per elaborare senza fine vane punte, che brusche sforbiciate di Solingen scorciano e tornano a scorciare. Dopo novanta giorni crepuscolari di carcere prenatale

    diedero vita a quest'unica industria. Quando sar conservato nel cimitero della Recoleta, in una dimora color cenere adorna di fiori secchi e talismani, continueranno il loro ostinato

    lavorio, finch non le moderi la corruzione. Loro, e la barba sul mio viso.

    pag.21 GLI SPECCHI VELATI

    L'Islam afferma che il giorno inappellabile del Giudizio ogni esecutore dell'immagine di una cosa vivente resusciter con le sue opere, e gli sar ordinato di animarle, e fallir, e sar con

    esse consegnato al fuoco del castigo. Ho conosciuto da bambino questo orrore della duplicazione o moltiplicazione spettrale della realt, ma davanti ai grandi specchi. La loro infallibile e continua attivit, la loro persecuzione dei miei atti, la loro pantomima cosmica

    erano allora qualcosa di soprannaturale fin dal calare della notte. Una delle mie ricorrenti preghiere a Dio e al mio angelo custode era di non sognare specchi. So che li sorvegliavo con

    inquietudine. Ho temuto a volte che cominciassero a divergere dalla realt altre volte di scorgervi Il mio viso sfigurato da strane avversit. Ho appreso che quel timore seguita, prodigiosamente, a essere nel mondo. La storia molto semplice, e sgradevole.

    Verso il 1927 conobbi una ragazza malinconica: prima per telefono ( perch Julia fu all'inizio una voce senza nome n volto), poi all'angolo di una strada, un tardo

    pomeriggio. Aveva occhi talmente grandi che intimorivano, capelli corvini e lisci, un corpo minuto. Era nipote e pronipote di federali, come io lo sono di unitari, e quell'antica discordia del nostro pag.29

    sangue era per noi un vincolo, un pi profondo possesso della patria. Viveva con i genitori in un decrepito casone dai soffitti altissimi, nel risentimento e nella insipidezza della povert

    decorosa. Di pomeriggio - raramente la sera - uscivamo a passeggiare per il suo quartiere, Balvanera. Costeggiavamo il muro della ferrovia; percorrendo calle Sarmiento raggiungemmo una volta le spianate del Parque Centenario. Fra noi non ci fu amore n

    finzione d'amore; avvertivo in lei un'intensit del tutto estranea a quella erotica, e la temevo. comune riferire alle donne, per stabilire una certa intimit, aspetti veri o apocrifi della

    nostra infanzia; in qualche occasione dovetti raccontarle degli specchi e cos, nel 1928, descrissi un'allucinazione che sarebbe fiorita nel 1931. Ho appena saputo che impazzita e che nella sua camera gli specchi sono velati perch vi scorge il mio riflesso, che usurpa il suo,

    e trema e tace e dice che la perseguito magicamente. Funesta schiavit quella del mio volto, quella di uno dei miei volti antichi. Quest'odioso

    destino delle mie fattezze deve rendere odioso anche me, ma ormai non me ne importa. pag.31 ARGUMENTUM ORNITHOLOGICUM

    Chiudo gli occhi e vedo uno stormo di uccelli. La visione dura un secondo o forse meno; non so quanti uccelli ho visto. Era definito o indefinito il loro numero? Il problema implica quello

    dell'esistenza di Dio. Se Dio esiste, quel numero e definito, perch Dio sa quanti uccelli ho visto. Se Dio non esiste, quel numero indefinito, perch nessuno ha potuto contarli. In questo caso, ho visto meno di dieci uccelli (diciamo) e pi di uno, ma non nove, otto, sette,

    sei, cinque, quattro, tre o due uccelli. Ne ho visti un numero fra dieci e uno, un numero che non nove, n otto, n sette, n sei. n cinque, eccetera. Questo numero intero

    inconcepibile; ergo, Dio esiste.

  • pag.33 IL PRIGIONIERO

    Raccontano la storia a Junn o a Tapalqun. Un bambino scomparve dopo una scorreria; si disse che lo avevano rapito gli indios. I genitori lo cercarono invano; anni dopo, un soldato

    che veniva dall'entroterra rifer di un indio dagli occhi celesti che poteva essere proprio il loro figlio. Alla fine lo trovarono (la cronaca ha smarrito i dettagli e io non voglio inventare ci che non so) e credettero di riconoscerlo. l'uomo, segnato dal deserto e dalla vita barbara, non

    intendeva pi le parole della lingua materna, ma si lasci condurre, indifferente e docile, fino alla casa. L si ferm, forse perch anche gli altri si erano fermati. Guard la porta, come se

    non capisse cosa fosse. Di colpo abbass la testa, grid, attravers di corsa I'androne e i due ampi cortili ed entr nella cucina. Senza esitare, infil il braccio nella cappa fu liginosa del camino ed estrasse il piccolo coltello dal manico di corno che vi aveva nascos to da bambino.

    Gli occhi gli brillarono di gioia e i genitori piansero perch avevano ritrovato il figlio. Forse a questo seguirono altri ricordi, ma l'Indo non poteva vivere fra quattro mura e un

    giorno se ne and a cercare il suo deserto. Vorrei sapere cosa sent in quell'istante di vertigine in cui passato e presente pag.33 si confusero; vorrei sapere se il figlio perduto rinacque e mor in quellestasi o se riusc a

    riconoscere, fossanche come un bambino o come un cane, i genitori e la casa.

    pag.37 IL SIMULACRO Un giorno di luglio del 1952, l'uomo in lutto comparve in quel paesino del Chaco. Era alto, magro, coi lineamenti da indio, e un volto inespressivo da idiota o da maschera; la gente lo

    trattava con deferenza, non per lui, ma per quello che rappresentava o gi era. Scelse una capanna nei pressi del fiume; con l'aiuto di alcune vicine sistem un tavolato su due cavalletti

    e vi mise sopra una scatola di cartone con dentro una bambola dai capelli biondi. Poi accesero quattro candele su alti candelieri e tutt'intorno disposero fiori. La gente non tard ad accorrere. Vecchie sconsolate, ragazzi attoniti contadini che si toglievano con rispetto il

    copricapo di sughero sfilavano davanti alla scatola ripetendo: le mie pi sincere condoglianze, generale . Questi, molto compunto, li riceveva all'estremit del tavolo, con le

    mani incrociate sul ventre, come una donna incinta. Allungava la destra per stringere la mano che gli porgevano e rispondeva con dignit e rassegnazione: Era destino. stato fatto quanto era umanamente possibile . Una cassetta di latta riceveva l'offerta di due pesos e a

    molti non bast venire una volta soltanto. Che genere di uomo (mi domando) ide e mise in atto quella funebre farsa? Un fanatico uno

    sventurato, un visionario o un cinico impostore? Credeva forse pag.33 di essere Pern nel suo dolente ruolo di macabro vedovo? La storia, per quanto incredibile, accadde davvero e forse non una ma numerose volte, con atto ri diversi e con varianti locali.

    Essa cifra perfetta di un'epoca irreale ed come il riflesso di un sogno o come quel dramma nel dramma cui si assiste nell'Amleto. L'uomo in lutto non era Pern e la bambola bionda non

    era sua moglie Eva Duarte, ma nemmeno Pern era Pern n Eva era Eva bens sconosciuti o anonimi (di cui ignoriamo il nome segreto e il vero volto) che inscenarono, per il credulo amore dei sobborghi, una volgare mitologia.

    pag.41 DELIA ELENA SAN MARCO

    Ci separammo, Delia, a uno degli angoli di plaza Once. Dal marciapiede di fronte tornai a guardare; lei si era voltata e mi stava salutando con la mano.

    Un fiume di veicoli e di gente scorreva tra di noi; erano le cinque di un pomeriggio qualsiasi; come potevo sapere che quel fiume era il triste Acheronte, I' invalicabile?

    Non ci vedemmo pi e un anno dopo lei era morta.

  • E ora cerco quel ricordo e lo osservo e penso che era falso e che dietro quel saluto banale c' era l' infinita separazione.

    Ieri sera non sono uscito dopo cena e ho riletto, per comprendere queste cose, l'ultimo insegnamento che Platone mette in bocca al suo maestro. Ho letto che l'anima pu fuggire

    quando la carne muore. E ora non so se la verit stia nell'infausta interpretazione successiva o nell' innocente saluto.

    Perch se le anime non muoiono, giusto che non vi sia enfasi nel loro separarsi. Salutarsi negare la separazione, come dire:

  • Per la prima volta, Quiroga sorrise. So bene disse con lentezza - che lei ha compiuto pi di una prodezza a cavallo, stando

    alle imparziali testimonianze dei suoi capoccia e dei suoi contadini; pag.49 ma in que i giorni, in America e sempre a cava llo s i compivano a ltre prodezze che s i

    chiamano Chacabuco e Junn e Palma Redonda e Caseros Rosas lo asco lt senza scompors i e rep lic : Io non ho avuto b isogno d i essere coraggioso.

    Una de lle mie prodezze, come dice le i, fu d i ottene re che uomini p i coraggios i d i me combattessero e morissero per me. Santos Prez ad esempio, che la ucc ise. I l

    coraggio quest ione di res is tenza; a lcuni res is tono d i p i ed altr i meno ma pr ima o poi cedono tutt i . Sar, d isse Quiroga ma Io ho vissuto e sono morto e ancora oggi non so che

    cosa sia la paura. E adesso aspetto) che mi cance llino, che mi d iano un a ltro vo lto e un a ltro destino, perch la stor ia s i s tanca de i vio lenti. Non so chi sar l'a ltro,

    cosa faranno d i me ma so che non avr paura . A me basta essere que llo che sono d isse Rosas e non voglio essere un a ltro . Anche le p ietre vogliono essere pietre per sempre d isse Quiroga e per secoli

    lo sono, finch s i r iducono in polvere. Quando sono entra to ne lla morte la pensavo come le i, ma qui ho imparato mo lte cose. Ci facc ia caso, stiamo gi camb iando

    tut t i e due. Ma Rosas non gli prest attenzione e d isse, come pensando ad a lta voce : Sar che non mi sono ancona ab ituato a esser morto, ma quest i luoghi e questa

    discussione mi sembrano un sogno, e non un sogno sognato da me ma da un a ltro, che ancora deve nascere .

    Non parlarono pi, perch in que l momento Qualcuno li chiam.

    pag.51 LA TRAMA

    Perch il suo orrore sia perfetto, Cesare, incalzato ai piedi di una statua dagl'impazienti pugnali dei suoi amici, scopre fra i volti e le lame quello di Marco Giunio Bruto, il suo

    protetto, forse suo figlio, e non si difende pi ed esclama: Anche tu, figlio mio! . Shakespeare e Q uevedo raccolgono il patetico grido. Al destino piacciono le ripetizioni, le varianti, le simmetrie; diciannove secoli dopo, nel sud

    della provincia di Buenos Aires, un gaucho aggredito da altri gauchos e, cadendo, riconosce un suo figlioccio e gli dice con tenero rimprovero e lenta sorpresa (queste parole vanno

    sentite, e non lette): Ma come, tu! . Lo uccidono e non sa di morire perch si ripeta una scena.

    pag.53 UN PROBLEMA Immaginiamo che a Toledo si scopra un testo arabo e che i paleografi lo dichiarino autografo

    di quel Cide Hamete Benengeli da cui Cervantes trasse il Don Chisciotte. Nel testo leggiamo che l'eroe (che percorreva, come fama, le strade di Spagna armato di spada e di lancia e sfidava chiunque per qualsiasi motivo) scopre, al termine di uno dei suoi numerosi

    combattimenti, di avere ucciso un uomo. A questo punto il frammento si interrompe; il problema indovinare, o congetturare, come reagisce don Chisciotte.

    A quanto mi risulta, tre sono le possibili risposte. La prima di carattere negativo; non succede niente di particolare, perch nel mondo visionario di don Chisciotte la morte non meno comune della magia e avere ucciso un uomo non pu turbare chi si batte, o crede di

    battersi, contro draghi o incantatori. La seconda patetica. Don Chisciotte non mai riuscito a dimenticare di essere una proiezione di Alonso Quijano, lettore di storie fantastiche; vedere

    la morte, rendersi conto che un sogno l'ha spinto alla colpa di Caino lo ridesta, forse per

  • sempre, dalla sua consentita follia. La terza forse la pi verosimile. Ucciso l'uomo don Chisciotte non pu ammettere che quell'atto orrende sia opera di un delirio; la realt

    dell'effetto pag.55 gli fa supporre una equivalente realt della causa e don Chisciotte non uscira mai pi dalla

    sua follia. Resta un'ulteriore congettura, estranea al mondo spagnolo come a quello occidentale e che richiede un ambito pi antico, pi complesso e travagliato. Don Chisciotte - che ormai non

    pi don Chisciotte ma un re dei cicli dell'Indostan - davanti al cadavere del nemico intuisce che uccidere e generare sono atti divini o magici che notoriamente trascendono la con-

    dizione umana. Sa che il morto illusorio come lo sono la spada insanguinata che gli pesa nella mano e lui stesso e tutta la sua vita passata e i vasti di e l'universo.

    pag.57 UNA ROSA GIALLA N quella sera n la successiva mor l'illustre Giambattista Marino, che le bocche unanimi

    della Fama (per usare un'immagine che gli fu cara) proclamarono il nuovo Omero e il nuovo Dante, ma il fatto immobile e silenzioso che accadde allora fu realmente l'ultimo della sua vita. Carico di anni e di gloria, l'uomo moriva in un vasto letto spagnolo dalle colonne tornite.

    Non difficile immaginare a qualche passo di distanza un sereno balcone che guarda a ponente e, pi in basso, marmi e allori e un giardino che duplica le sue scalinate in un'acqua

    rettangolare. Una donna ha messo in un vaso una rosa gialla; l'uomo mormora i versi inevitabili che ormai, per dirla con sincerit, un po' annoiano anche lui: Porpora de giardin, pompa de prati gemma di primavera, occhio d'aprile...

    Fu allora che accadde la rivelazione. Marino vide la rosa, come pot vederla Adamo in Paradiso, e sent che essa stava nella sua eternit e non nelle sue parole e che possiamo

    menzionare o alludere ma non esprimere e che gli alti e superbi volumi che in un angolo della sala creavano una penombra d'oro non erano (come la sua vanit aveva sognato) uno

    specchio pag.59 del mondo, ma una cosa in pi, che si aggiunge al mondo. Marino ebbe questa illuminazione alla vigilia della morte, e forse lebbero anche Omero e

    Dante.

    pag.61 IL TESTIMONE In una stalla, quasi all'ombra della nuova chiesa di pietra, un uomo dagli occhi grigi, e dalla barba grigia, sdraiato tra il fetore delle bestie, umilmente cerca la morte come chi cerca il

    sonno. Il giorno, fedele a vaste leggi segrete, sposta e confonde le ombre nel povero recinto; fuori, le terre arate e una gora piena di foglie morte e qualche orma di lupo nella fanghiglia

    nera ai margini del bosco. L'uomo dorme e sogna, dimentico. II rintocco dell'Avemaria lo sveglia. Nei regni d'Inghilterra il suono delle campane ormai costume della sera, ma l'uomo, da bambino, ha visto il volto di Woden, l'orrore divino, e il giubilo, il rozzo idolo di legno

    carico di monete romane e di pesanti vesti, il sacrificio di cavalli, cani e prigionieri. Prima dell'alba morir e moriranno insieme a lui, e non torneranno, le ultime immagini dirette dei

    riti pagani; il mondo sar un po pi povero quando questo sssone sar morto. Fatti che popolano lo spazio e che scompaiono allorch qualcuno muore possono meravigliarci, ma una cosa, o un numero infinito di cose, muore in ogni agonia, a meno che

    non esista una memoria dell'universo, come hanno ipotizzato i teosofi. Nel tempo c stato un giorno che spense gli ultimi occhi che videro Cristo; pag.63

    la battaglia di Junn e l'amore di Elena morirono con la morte di un uomo. Cosa morir con me quando morir, quale forma patetica o fuggevole perder il mondo? La voce di

  • Macedonio Fernndez, l'immagine di un cavallo sauro nei campi incolti di Serrano e Charcas, una barretta di zolfo nel cassetto d'uno scrittoio di mogano?

    pag.65 MARTN FIERRO

    Da questa citt partirono eserciti che sembravano grandi e che poi lo furono, esaltati dalla gloria. Molti anni dopo qualcuno dei soldati ritorn e, con accento forestiero, rifer storie che gli erano accadute in luoghi chiamati Ituzaing o Ayacucho. Queste cose, ora, come se non

    fossero state. Abbiamo avute due tirannie. Durante la prima, alcuni uomini, dalla cassetta di un carro che

    veniva dal mercato del Plata, annunciavano la vendita di pesche bianche e gialle; un ragazzo sollev un lembo del telo che le copriva e vide teste di unitari con la barba insanguinata. La seconda signific per molti prigione e morte; per tutti un malessere, un sapore di obbrobrio

    in ogni atto quotidiano, un'incessante umiliazione. Queste cose, ora, come se non fossero mai state.

    Un uomo che conosceva tutte le parole osserv con minuzioso amore le piante e gli uccelli di questa terra e li defin, forse per sempre, e scrisse con metafore di metalli la vasta cronaca dei tumultuosi tramonti e delle forme della luna. Queste cose, ora, come se non fos sero mai

    state. Anche da noi le generazioni hanno conosciuto quelle vicissitudini ordinarie e in qualche

    modo eterne che costituiscono la materia dellarte. Queste cose, pag.67 ora, come se non fossero mai state, ma in una camera d'albergo, intorno al 1860, un uomo sogn una rissa. Un gaucho solleva un negro con il coltello, lo scaraventa come un sacco

    d'ossa, lo vede agonizzare e morire, si china per pulire la lama, scioglie il suo cavallo e vi monta con calma, perch non si pensi che sta fuggendo. Ci che accaduto una volta torna ad

    accadere, allinfinito; i visibili eserciti sono svaniti e resta un povero scontro al coltello; il sogno di uno parte della memoria di tutti.

    pag.69 MUTAZIONI In un corridoio vidi una freccia che indicava una direzione e pensai che quel simbolo

    inoffensivo era stato un tempo un oggetto di ferro, un proiettile inevitabile e mortale, che si era conficcato nella carne degli uomini e dei leoni e aveva oscurato il sole alle Termopili e dato a Harald Sigurdarson, per sempre, sei piedi di terra inglese.

    Giorni dopo, qualcuno mi mostr la fotografia di un cavaliere magiaro; un laccio avvolgeva pi volte il petto della sua cavalcatura. Capii che il laccio, che in passato era volato nell'aria e

    aveva soggiogato i tori della prateria, altro non era che un fregio insolente della bardatura domenicale. Nel cimitero dell' Ovest vidi una croce runica, scolpita nel marmo rosso; i bracci erano

    ricurvi e si allargavano e li cingeva un cerchio. Quella croce costretta e limitata raffigurava l'altra dai bracci liberi, che a sua volta raffigura il patibolo sul quale un dio soffr la

    macchina vile oltraggiata da Luciano di Samosata. Croce, laccio e freccia, antichi utensili dell'uomo, oggi ridotti o elevati a simboli; non so perch mi meravigliano, quando non c' su questa terra una sola cosa che l' oblio non

    cancelli o che la memoria non trasformi e quando nessuno sa in quali immagini lo muter il futuro.

    pag.71 PARABOLA DI CERVANTES E DON CHISCIOTTE Stanco della sua terra di Spagna, un vecchio soldato del re cerc sollievo nelle vaste

    geografie di Ariosto, in quella valle della luna dove si trova il tempo che i sogni sperperano e nell'idolo dorato di Maometto che Montalbn rub.

  • Burlandosi pacatamente di se stesso, ide un uomo credulo che, turbato dalla lettura di cose meravigliose, si mette alla ricerca di prodezze e incantamenti in luoghi prosaici che si

    chiamano El Toboso o Montiel. Vinto dalla realt, dalla Spagna, don Chiscotte mori nel suo villaggio natale verso il 1614.

    Miguel de Cervantes gli sopravvisse di poco. Per entrambi, il sognatore ed il sognato, quell intera trama rappresent la contrapposizione di due mondi: il mondo irreale dei libri di cavalleria, il mondo quotidiano e ordinario del XVII

    secolo. Non sospettarono che gli anni avrebbero finito per smussare la discordia, non sospettarono

    che la Mancha e Montiel e la smilza figura del cavaliere sarebbero stati, in futuro, non meno poetici dei viaggi di Sinbad o delle vaste geografie di Ariosto. Perch al principio della letteratura c il mito, e anche alla fine.

    Clinica Devoto, gennaio 1955

    pag.73 PARADISO , XXXI, 108 Diodoro Siculo riferisce la storia di un dio fatto a pezzi e disperso. Chi, camminando nel crepuscolo o precisando una data del suo passato, non ha sentito a volte che era andata persa

    una cosa infinita? Gli uomini hanno perso un volto, un volto irrecuperabile, e tutti vorrebbero essere quel

    pellegrino (sognato nell' empireo, sotto la Rosa) che vede a Roma il sudario della Veronica e sussurra con fede: Ges Cristo, Dio mio, Dio vero, cos era, era dunque questo il tuo volto? .

    C' in una strada un volto di pietra e un' iscrizione che dice: La vera Immagine del Santo Volto del Dio di Jan ; se sapessimo realmente come fu, avremmo la chiave delle parabole e

    sapremmo se il figlio del falegname fu anche il Figlio di Dio. Paolo lo vide come una luce che lo annient; Giovanni come il sole che risplende in tutto il

    suo fulgore; Teresa di Ges, pi volte, immerso in una luce quieta, e non pot mai precisare il colore dei suoi occhi. Abbiamo perso quei tratti come si pu perdere un numero magico, formato da cifre abituali;

    come si perde per sempre un' immagine nel caleidoscopio. Possiamo vederli e ignorarli. Il profilo di un giudeo nella metropolitana forse quello di Cristo; le mani pag.75

    che ci danno qualche moneta a uno sportello ripetono forse quelle che dei soldati, un giorno, inchiodarono alla croce. Forse un tratto del volto crocifisso scruta in ogni specchio; forse il volto morto, si

    cancellato, perch Dio sia tutti noi. Chiss se questa notte lo vedremo nei labirinti del sogno, senza saperlo domattina.

    pag.77 PARABOLA DEL PALAZZO Quel giorno, l'Imperatore Giallo mostr il suo palazzo al poeta. Si lasciarono alle spalle, in

    lunga successione, le prime terrazze occidentali che, simili a gradinate di un anfiteatro immenso, declinavano verso un paradiso o giardino i cui specchi di metallo e le cui intricate

    siepi di ginepro gi prefiguravano il labirinto. Allegramente vi si smarrirono, dapprima come se acconsentissero a un giuoco e poi non senza inquietudine, perch i suoi diritti viali soffrivano di una curvatura lievissima ma continua ed erano segretamente circolari. Verso

    mezzanotte, l'osservazione dei pianeti e l'opportuno sacrificio d'una tartaruga permisero loro di liberarsi da quella regione che sembrava stregata, ma non dalla sensazione di essersi

    smarriti, che li accompagn sino alla fine. Anticamere e cortili e biblioteche percorsero in seguito e una sala esagonale con una clessidra, e una mattina scorsero da una torre un uomo di pietra, che poi smarrirono per sempre. Molti fiumi risplendenti attraversarono in canoe di

    sandalo, o molte volte un solo fiume. Sfilava il seguito imperiale e la gente si prosternava, ma

  • un giorno giunsero in un'isola e un uomo non lo fece, perch non aveva mai visto il Figlio del Cielo, e il carnefice dovette decapitarlo. Nere capigliature e nere pag.79

    danze e complicate maschere d'oro videro con indifferenza i loro occhi; la realt si confondeva con il sogno, o piuttosto, la realt era una delle configurazioni del sogno.

    Sembrava impossibile che la terra fosse altro che giardini, acque, architetture e forme di splendore. Ogni cento passi una torre fendeva il cielo; per gli occhi il loro colore era identico, ma la prima era gialla e l'ultima scarlatta, tanto delicate erano le gradazioni e lunga la

    sequela. Fu ai piedi della penultima torre che il poeta (che restava come estraneo agli spettacoli che

    erano per tutti motivo di meraviglia) recit la breve composizione che oggi vincoliamo indissolubilmente al suo nome e che, come ripetono gli storici pi raffinati, gli diede insieme l'immortalit e la morte. Il testo andato perduto; c' chi ritiene che fosse formato da un

    verso; altri da una sola parola. Quel che certo, e incredibile, che nel poema era contenuto intero e minuzioso limmenso palazzo, con ciascuna delle sue famose porcellane e ciascun

    disegno di ciascuna porcellana e le penombre e le luci dei crepuscoli e ciascun istante sventurato o felice delle gloriose dinastie di mortali, di di e di draghi che vi avevano abitato dall' interminabile passato. Tutti tacquero, ma l'Imperatore esclam: Mi hai rubato il

    palazzo! e la spada di ferro del carnefice falci la vita del poeta. Altri riferiscono la storia in altro modo. Nel mondo non possono esserci due cose uguali;

    bast (dicono) che il poeta pronunciasse il poema perch il palazzo scomparisse, come abolito e fulminato dall'ultima sillaba. Simili leggende non sono, naturalmente, che finzioni letterarie. Il poeta era schiavo dell' Imperatore e mor come tale; la sua composizione cadde

    nell' oblio perch meritava l' oblio e i suoi discendenti cercano ancora, e non troveranno mai, la parola dell'universo.

    pag.81 EVERYTHING AND NOTHING In lui non cera nessuno; dietro il suo volto (che anche nelle infelici pitture dell' epoca non

    assomiglia ad altri) e dietro le sue parole, che erano abbondanti, fantastiche e agitate, non c'era che un po' di freddo, un sogno che nessuno sogna. Allinizio credette che tutte le

    persone fossero come lui, ma lo stupore di un compagno col quale aveva cominciato a discutere di quella vacuit gli rivel il suo errore e gli fece capire, per sempre, che un individuo non deve differire dalla specie. Una volta pens che nei libri avrebbe trovato ri-

    medio al suo male e cos apprese quel poco latino e quel pochissimo greco di cui avrebbe parlato un contemporaneo; poi consider che nell'esercizio di un rito elementare dell' umanit

    si trovava forse quel che andava cercando, e si lasci iniziare, nel corso di un lungo pome -riggio di giugno, da Anne Hathaway. Poco pi che ventenne and a Londra. Istintivamente si era gi addestrato a simulare di essere qualcuno, perch non si scoprisse la sua condizione di

    nessuno; a Londra trov la professione alla quale era predestinato, quella dell'attore che su un palcoscenico gioca ad essere un altro, davanti a una folla di persone che giocano a prenderlo

    per quell'altro. Lattivit di istrione gli fece conoscere una felicit singolare, forse la prima che prov; ma, acclamato l'ultimo verso e tolto dalla scena l'ultimo morto, pag.83 lo assaliva di nuovo l'odiato sapore della realt. Smetteva di essere Ferrex o Tamerlano e

    tornava a essere nessuno. Incalzato, incominci a immaginare altri eroi e altre storie tragiche. Cos, mentre il corpo compiva il suo destino di corpo, in lupanari e taverne di Londra, l'anima

    che lo abitava era Cesare, che non si cura dellavvertimento dell'augure, e Giulietta, che odia l'allodola, e Macbeth, che conversa nella landa con le streghe che sono anche le parche. Nes-suno fu tanti uomini come quell'uomo, che simile all'egizio Proteo pot esaurire tutte le

    apparenze dell'essere. A volte lasci in qualche angolo dell opera una confessione, sicuro che non lavrebbero decifrata; Riccardo afferma che nell unicit della sua persona gioca il

  • ruolo di molti, e Iago dice con curiose parole: Non sono ci che sono . L'identit fondamentale di esistere, sognare e rappresentare gli ispir passi famosi.

    Seguit vent' anni in questa allucinazione controllata, ma una mattina lo assalirono il fastidio e l'orrore di essere tanti re che muoiono di spada e tanti sventurati amanti che si incontrano, si

    allontanano e melodiosamente agonizzano. Quello stesso giorno decise di vendere il suo teatro. In meno di una settimana era di ritorno al suo villaggio natale, dove ritrov gli alberi e il fiume della fanciullezza e non li colleg a quegli altri che la sua musa aveva celebrato,

    illustri di allusione mitologica e di parole latine. Bisognava che fosse qualcuno; fu un impresario in pensione che ha fatto fortuna e al quale interessano i prestiti, i litigi e la piccola

    usura. Come tale, dett l'arido testamento che conosciamo, dal quale escluse deliberatamente ogni tratto patetico o letterario. Solevano visitare il suo ritiro amici di Londra, ed egli riassumeva per loro il ruolo di poeta.

    La storia aggiunge che, prima o dopo la sua morte, seppe di essere di fronte a Dio e gli disse: Io, che tanti uomini sono stato invano, voglio essere uno e io . La voce di Dio gli rispose

    da un turbine: Nemmeno io sono; ho sognato il mondo come tu hai sognato la tua ope ra, mio Shakespeare, e tra le forme del mio sogno ceri tu, che come me sei molti e nessuno .

    pag.85 RAGNARK Nei sogni (scrive Coleridge) le immagini rappresentano le impressioni che riteniamo

    provochino; non sentiamo orrore perch ci opprime una sfinge, sogniamo una sfinge per spiegare l'orrore che sentiamo. Se cos, come potrebbe la semplice cronaca delle sue forme trasmettere lo stupore, l'esaltazione, le paure, la minaccia e la gioia che hanno intessuto il

    sogno di quella notte? Tenter comunque tale cronaca; forse il fatto che quel sogno consiste di una sola scena potr annullare o mitigare l intrinseca difficolt.

    Il luogo era la Facolt di Lettere e Filosofia; l' ora, il pomeriggio. Tutto (come sempre accade nei sogni) era un po diverso; una leggera amplificazione alterava le cose. Stavamo eleggendo autorit; io parlavo con Pedro Henrquez Urea, che nella realt della veglia morto da molti

    anni. Di colpo ci stord un clamore di manifestazione o di orchestrina di ambulanti. Grida di uomini e di bestie arrivavano dai bassifondi del porto. Una voce grid: Eccoli ! , e subito

    dopo: Gli Di! Gli Di! . Quattro o cinque individui uscirono dalla turba e occuparono la pedana dell'Aula Magna. Tutti applaudimmo, piangendo; erano gli Di che tornavano dopo un esilio di secoli. Ingigantiti dalla pedana, la testa indietro e il petto in fuori, ricevettero

    pag.87 con superbia il nostro omaggio. Uno teneva un ramo, che certo si confaceva alla semplice botanica dei sogni; un altro, con ampio gesto, allungava una mano che era un

    artiglio; una delle facce di Giano guardava con diffidenza il curvo becco di Thoth. Forse eccitato dai nostri applausi, uno, non so pi quale, proruppe in un chiocciare vittorioso, incredibilmente aspro, un misto di gargarismo e di fischio. Le cose da quel momento,

    cambiarono. Tutto cominci per il sospetto (forse esagerato) che gli Di non sapessero parlare. Secoli di

    vita randagia e ferina avevano atrofizzato quanto avevano di umano; la luna dell' Islam e la croce di Roma erano stati implacabili con quei profughi. Fronti molto basse, dentature gialle, baffi radi da mulatto o da cinese e musi bestiali manifestavano la degenerazione della stirpe

    olimpica. I loro abiti non si addicevano a una povert onesta e dignitosa ma al lusso abietto delle bische e dei lupanari del porto. A un occhiello sanguinava un garofano; sotto una giacca

    attillata si indovinava il rigonfiamento di un pugnale. Di colpo capimmo che giocavano la loro ultima carta, che erano astuti, ignoranti e crudeli come vecchi animali da preda e che, se ci fossimo lasciati prendere dalla paura o dalla piet, ci avrebbero distrutti.

    Estraemmo le pesanti rivoltelle (improvvisamente ci furono rivoltelle nel sogno) e allegramente uccidemmo gli Di.

  • pag.89 INFERNO , I, 32

    Dal crepuscolo del giorno al crepuscolo della notte, un leopardo, negli ultimi anni del XII secolo, vedeva delle tavole di legno, delle sbarre verticali di ferro, uomini e donne sempre

    diversi, un muro e forse un canaletto di pietra con foglie secche. Non sapeva, non poteva sapere, che agognava amore e crudelt e il caldo piacere di sbranare e il vento che sa di selvaggina, ma qualcosa in lui soffocava e si ribellava e Dio gli parl in un sogno: Vivi e

    morirai in questa prigione, affinch un uomo, che so io ti guardi un certo numero di vo lte e non ti scordi e metta la tua immagine e il tuo simbolo in un poema che occupa un posto

    preciso nella trama dell'universo. Patisci prigionia, ma avrai dato una parola al poema . Dio, nel sogno, illumin l' ottusit dell'animale e questi comprese le ragioni e accett quel destino, ma quando si svegli in lui non c era che un' oscura rassegnazione, una coraggiosa

    ignoranza, perch la macchina del mondo troppo complessa per la semplicit di una fiera. Anni dopo, Dante moriva a Ravenna, ingiustificato e solo come ogni altro uomo. In un sogno,

    Dio gli rivel il segreto scopo della sua vita e della sua fatica; Dante, meravigliato, seppe finalmente chi era e cosa era e benedisse le sue amarezze. La tradizione narra pag.91 che al risveglio sent di avere ricevuto e perduto una cosa infinita, qualcosa che non avrebbe

    potuto recuperare, e nemmeno intravedere, perch la macchina del mondo troppo complessa per la semplicit degli uomini.

    pag.93 BORGES E IO allaltro, a Borges, che accadono le cose. Io cammino per Buenos Aires e mi soffermo,

    forse ormai meccanicamente, a osservare l'arco d' un androne e il cancello di un cortile; di Borges ho notizie dalla posta e vedo il suo nome in una terna di professori o in un dizio nario

    biografico. Mi piacciono gli orologi a sabbia, le carte geografiche, la tipografia del XVIII secolo, le etimologie, il sapore del caff e la prosa di Stevenson; laltro condivide queste preferenze, ma in un modo vanitoso che le trasforma in attributi d' attore. Sarebbe esagerato

    affermare che fra noi c ostilit; io vivo, io mi lascio vivere, perch Borges possa tramare la sua letteratura, e quella letteratura mi giustifica. Non mi costa nulla confessare che

    riuscito a ottenere alcune pagine valide, ma quelle pagine non possono salvarmi, forse perch ci che hanno di buono ormai non di nessuno, neppure dell' altro, ma della lingua o della tradizione. Del resto, io sono destinato a perdermi definitivamente, e solo qualche istante di

    me potr sopravvivere nell' altro. A poco a poco gli sto cedendo tutto, anche se conosco bene la sua perversa abitudine di falsare e ingigantire. Spinoza cap che tutte le cose vogliono

    perseverare nel loro essere; la pietra eternamente vuol essere pietra e la tigre una tigre. Io pag.95 rester in Borges, non in me (ammesso che io sia qualcuno), ma mi riconosco meno nei suoi libri che in molti altri o nel laborioso arpeggio di una chitarra. Qualche anno fa ho

    cercato di liberarmi di lui passando dalle mitologie dei sobborghi ai giochi col tempo e con linfinito, ma quei giochi ora sono di Borges e io dovr ideare altre cose. Cos la mia vita

    una fuga e io perdo tutto e tutto dell' oblio, o dell'altro. Non so chi di noi due scrive questa pagina.

    pag.97 POESIA DEI DONI A Mara Esther Vzquez Nessuno a lacrime riduca o accuse

    questo attestato dell alta maestria di Dio, che con magnifica ironia mi ha destinato insieme libri e notte.

    Questa citt di libri ha dato in regno ad occhi senza luce, atti soltanto

  • A decifrare nelle biblioteche dei sogni quei paragrafi insensati

    che l'alba accorda al desiderio. Invano

    il giorno prodigo dei suoi infiniti libri, ardui come gli ardui manoscritti che furono distrutti ad Alessandria.

    Muore di fame e sete (narra il mito)

    un re tra fonti ed alberi; io affatico senza una meta i limiti di questa alta e profonda biblioteca cieca.

    L Oriente e l Occidente, dinastie,

    secoli, atlanti ed enciclopedie, simboli, cosmi e cosmogonie offrono i muri, e tutto inutilmente. pag.99

    Lento nella mia ombra, l ombra vuota

    vado esplorando col bastone incerto, io, che mi figuravo il Paradiso sotto la specie d'una biblioteca.

    Qualcosa che di certo non si pu

    chiamare caso, ordisce questi eventi; gi un altro ricevette in altre sere stinte cos i moti libri e lombra.

    Errando per le lenti gallerie

    io sento con un vago orrore sacro che sono l'altro, il morto, che avr dato gli stessi passi negli stessi giorni.

    Chi scrive di noi due questa poesia

    di un io plurale e di una sola ombra? Che importa la parola che il mio nome se l'anatema uno e indiviso?

    Groussac o Borges guardo questo amato

    mondo che si deforma e che si spegne in una vaga cenere e sbiadita che sassomiglia al sonno ed all'oblio.

    pag.101 L'OROLOGIO A SABBIA

    E giusto misurare con la dura ombra che una colonna al sole getta o con l'acqua incessante di quel fiume

    che a Eraclito svel la nostra insania

    il tempo, giacch al tempo e al destino

  • assomigliano entrambi: la diurna imponderabile ombra e il corso d'acqua

    che seguita fatale il suo cammino.

    giusto, per il tempo nei deserti trov un altra sostanza, delicata e grave, che pu dirsi immaginata

    per misurare il tempo della morte.

    Nasce cos il simbolico strumento delle incisioni dei vocabolari, quelloggetto che i pallidi antiquari

    relegheranno al mondo cinerino

    dell'alfiere spaiato, della spada inerme, del confuso telescopio, del sandalo che l'oppio ha rosicchiato,

    del caso, della polvere e del niente. pag.103

    Chi non si soffermato innanzi al tetro e severo strumento che accompagna nella destra del dio lorrenda falce

    e le cui linee Drer ripet?

    Dal suo vertice aperto il cono inverso lascia andare la cauta sabbia, oro che a grado a grado si distacca e colma

    il vetro concavo del suo universo.

    Affascina la sabbia misteriosa che ininterrotta scorre e si consuma e, in punto di cadere, vorticosa

    rotea con una fretta tutta umana.

    La sabbia d'ogni ciclo sempre quella e infinita la storia della sabbia; cos, sotto le gioie o le tue pene,

    s abissa il tempo eterno, invulnerabile.

    Non ha una pausa mai la sua caduta. Son io che mi dissanguo, non il vetro. Il rito del travaso non ha fine

    e con la sabbia se ne va la vita.

    Avverto nei minuti della sabbia il tempo cosmico, l intera storia che chiude nei suoi specchi la memoria

    o che il magico Lete ha ormai dissolto.

    La colonna di fumo e quella ardente,

  • Roma e Cartagine e la dura guerra, Simone mago e i sette pi di terra

    che il re sssone offerse al norvegese,

    tutto travolge e perde il tenue filo dinstancabile sabbia numerosa. N avr salvezza io, fortuita cosa

    di tempo, che fuggevole materia.

    pag.105 SCACCHI I NelI angolo severo i giocatori

    muovono i lenti pezzi. La scacchiera li avvince fino allalba al duro campo

    dove si stanno odiando due colori. Su di esso irradiano rigori magici

    le forme: torre omerica, regina armata, estremo re, cavallo lieve,

    pedoni battaglieri, obliquo alfiere. Quando si lasceranno i due rivali,

    quando il tempo ormai li avr finiti, il rito certo non sar concluso.

    In Oriente si accese questa guerra che adesso ha il mondo intero per teatro.

    Come l'altro, infinito questo giuoco. pag.107 II

    Debole re, pedone scaltro, indomita regina, sghembo alfiere, torre eretta, sul bianco e nero del tracciato cercano

    e sferrano la loro lotta armata.

    Non sanno che il fortuito giocatore che li muove ne domina la sorte, non sanno che un rigore adamantino

    ne soggioga l arbitrio e la fortuna.

    Ma il giocatore anch esso prigioniero (Omar lo dice) d una sua scacchiera fatta di nere notti e di bianchi giorni.

    Dio muove il giocatore, e questi il pezzo.

    Che dio dietro di Dio la trama inizia di tempo e sogno e polvere e agonie?

    pag.109 GLI SPECCHI Io che provai l'orrore degli specchi

    non solo innanzi al vetro impenetrabile

  • dove ha principio e fine, inabitabile, un irreale spazio dei riflessi

    ma nell'acqua speculare che raddoppia

    quell'altro azzurro nel suo fondo cielo che solca a volte un' illusorio volo d' uccello inverso o che un tremore increspa

    e innanzi alla silente superficie

    dell ebano sottile il cui nitore ripete come un sogno la bianchezza d'un vago marmo o d'una vaga rosa,

    oggi, trascorsi gi tanti e perplessi

    anni sotto la varia luna errando, mi chiedo quale caso della sorte fece che mi impaurissero gli specchi.

    Specchi di metallo, mascherato specchio

    di mogano che sfuma nella bruma del suo rosso crepuscolo quel volto che guarda il volto che lo sta guardando, pag.111

    infiniti li vedo, elementari

    esecutori d'un antico patto, moltiplicare il mondo come l'atto generativo, vigili e fatali.

    Il nostro vano mondo incerto estendono

    in una ragnatela da vertigine; a volte accade, a sera, che li appanni di un uomo non ancora morto lalito.

    II cristallo ci spia. Se tra le quattro

    pareti della stanza c' uno specchio, non sono pi solo. C' il riflesso, l altro: che appresta all'alba un tacito teatro.

    Tutto succede e nulla si ricorda

    in quei racchiusi spazi cristallini dove, come fantastici rabbini, leggiamo dalla destra alla sinistra.

    Claudio, re di una sera, re sognato,

    non seppe d' esser sogno fino a quando non ne mim un attore il tradimento con arte silenziosa, sullassito.

    Strano che esistano gli specchi, i sogni,

    che il consueto e logoro inventario

  • d' ogni giorno comprenda l' illusorio orbe profondo ordito dai riflessi.

    Dio (ho pensato) assegna certo un fine

    a questa architettura inafferrabile che edifica la luce col nitore del cristallo e la tenebra col sogno.

    Dio ha creato le notti popolate

    di sogni e le parvenze dello specchio affinch l'uomo senta che riflesso e vanit. Per questo ci spaventano.

    pag.113 ELVIRA DE ALVEAR

    Ebbe ogni cosa e lentamente tutte l abbandonarono. La conoscemmo armata di bellezza. La mattina

    e il chiaro mezzogiorno le mostrarono dall alta vetta i regni affascinanti

    della terra. La sera and oscurandoli. Gli astri ( la rete ubiqua ed infinita delle cause) le avevano concesso

    la fortuna, che simile al tappeto dellarabo cancella le distanze

    e confonde possesso e desiderio, e la virt del verso, che trasforma le pene in musica, rumore e simbolo,

    e l ardore, e nel sangue la battaglia d' Ituzaing e il peso degli allori,

    e il gusto di smarrirsi nell'errante fiume del tempo (fiume e labirinto) e nei colori lenti delle sere.

    Tutto l abbandon salvo una cosa. Sino alla fine della sua giornata,

    al di l del delirio e dell' eclisse, l accompagn, in modo quasi angelico, la generosa cortesia. La prima

    e pi remota immagine di Elvira fu il suo sorriso, stata anche l' estrema.

    pag.115 SUSANNA SOCA Con lento amore contemplava i toni

    diffusi della sera. Le piaceva abbandonarsi alla curiosa vita

    dei versi o alla complessa melodia. I grigi, non il rosso elementare, tramarono il suo fragile destino

    fatto a discriminare, esercitato alle incertezza ed alle sfumature. Senza addentrarsi in questo nostro incerto

  • labirinto, scrutava dal di fuori le forme e l' agitarsi tumultuoso,

    come quell'altra dama dello specchio. Di che dimorano oltre la preghiera

    l'abbandonarono a una tigre, il Fuoco.

    pag.117 LA LUNA

    Narra la storia che in quel tempo antico nel quale sono occorse tante cose,

    reali, immaginarie e a volte incerte, un uomo concep lo smisurato

    intento di cifrare l'universo in un libro e con impeto infinito

    eresse l'alto ed arduo manoscritto e lim e declam l'ultimo verso.

    Stava per render grazie alla fortuna, quando levando gli occhi vide un disco

    luminoso e comprese, sbalordito, di essersi scordato della luna.

    La storia che ho narrato non vera, ma illustra molto bene il maleficio

    che pesa su chi esercita il mestiere di rendere in parole questa vita.

    Si perde sempre l'essenziale. legge d' ogni parola detta sopra il nume.

    Non le potr sfuggire il resoconto del mio lungo commercio con la luna. pag.119

    Non so dove la vidi inizialmente, se in quel cielo anteriore di cui parla

    il greco, o nella sera che declina sul patio con il pozzo e con il fico.

    Come si sa, questa incostante vita Pu essere tra l altro molto bella;

    cos vi furon sere in cui con lei ti contemplammo, o luna condivisa.

    Ma pi che delle notti io ricordo Le lune dei poeti: la stregata

    dragon moon che d orrore alla ballata, e la luna di sangue di Quevedo.

    Di un'altra luna di scarlatto e sangue ha parlato Giovanni nel suo libro di feroci prodigi e atroci giubili;

  • pi chiare lune sono poi, d'argento.

    Pitagora con sangue (si tramanda) scriveva sul cristallo di uno specchio

    e gli uomini leggevano il riflesso sopra quellaltro specchio che la luna.

    Di ferro c una selva ove dimora l enorme lupo la cui strana sorte

    abbattere la luna e darle morte quando l'ultima aurora il mar arrossi.

    (Il profetico Nord questo lo sa e sa che un certo giorno gli spaziosi

    mari del mondo infester la nave che si forma con le unghie dei defunti).

    Quando, a Ginevra o a Zurigo, mi diede destino di poeta la fortuna,

    anch io mi imposi l obbligo segreto di dire con immagini la luna. pag.121

    Con una sorta di studiosa pena esaurivo modeste variazioni,

    con il vivo timore che Lugones avesse usato gi l'ambra o la sabbia.

    Di fumo, di lontano avorio o fredda neve furon le lune che brillarono

    in versi che a ragione non ottennero il difficile onore della stampa.

    Pensavo che il poeta fosse l'uomo che, come il rosso Adamo in Paradiso,

    impone a ogni cosa il suo preciso e vero e ancora sconosciuto nome.

    Ariosto m'insegn che la dubbiosa luna racchiude i sogni, l'imprendibile,

    il tempo che si perde, l'impossibile o il possibile, ch' la stessa cosa.

    Della Diana triforme Apollodoro mi fece intravedere l'ombra magica;

    Hugo mi diede la sua falce d'oro, l Irlandese una nera luna tragica.

    E mentre io esploravo la miniera immensa delle lune mitologiche,

    stava l sul cantone della strada,

  • la luna celestiale d'ogni giorno.

    So che fra tutte le parole, una ce n' per ricordarla o figurarla.

    Il segreto, per me, sta nell'usarla con umilt. la parola luna.

    Non oso pi macchiare la sua pura apparizione con figure vane;

    la vedo quotidiana e indecifrabile al di l della mia letteratura. pag.123

    So che la luna o la parola luna lettera che forma la complessa

    crittografia di questa singolare cosa che siamo, numerosa e una.

    uno di quei simboli che all'uomo il fato o il caso dona perch un giorno

    di estasi gloriosa o di agonia alfine ne pronunci il vero nome.

    pag.125 LA PIOGGIA Bruscamente la sera s' schiarita

    perch cade la pioggia minuziosa. Cade o cadde. La pioggia senza dubbio qualcosa che succede nel passato.

    Chi la sente cadere riconquista

    quel tempo in cui la sorte fortunata gli svel un fiore che si chiama rosa e il curioso colore del carminio.

    Questa pioggia che rende ciechi i vetri

    rallegrer in sobborghi ormai perduti i neri grappoli di un certo patio

    che non esiste pi. La sera rorida mi porta la diletta, attesa voce

    di mio padre che torna e non morto. pag.127 ALL'EFFIGIE DI UN CAPITANO DEGLI ESERCITI DI CROMWELL

    Non vinceran di Marte le muraglie questi, che salmi del Signore ispirano;

    da un'altra luce (e da altro tempo) guardano quegli occhi che guardarono battaglie. La mano stringe l elsa della spada.

    Per la verde regione va la guerra; oltre l oscurit sta l' Inghilterra,

    e il cavallo e la gloria e la tua sorte.

  • Gli affanni, o capitano, sono inganni, vano l'arnese e vano l ostinarsi

    dell'uomo, che ha il suo termine in un giorno. Tutto concluso ormai da molti anni.

    Il ferro che ti uccide arrugginito; tu sei (come noi tutti) condannato.

    pag.129 A UN VECCHIO POETA Vaghi per la campagna di Castiglia

    e quasi non la vedi. Assorto pensi a un intricato passo di Giovanni e appena hai fatto caso al sole giallo

    che tramonta. La vaga luce ormai

    delira e sull'Oriente si dilata quella luna di scherno e di scarlatto che forse specchio e replica dell'Ira.

    Alzi gli occhi e la guardi. Inizia e subito

    si spegne una memoria di qualcosa che un tempo stato tuo. Chini la testa

    pallida e triste seguiti il cammino, e non ricordi il verso che scrivesti:

    Y su epitafio la sangrienta luna . pag.131 L'ALTRA TIGRE

    And the craft that createth a semblance Morris, Sigurd the Volsung (1876)

    Penso a una tigre. La penombra esalta la vasta Biblioteca laboriosa

    e sembra che allontani gli scaffali. Forte, innocente, insanguinata e nuova,

    andr per la sua selva e il suo mattino e lorma stamper sulla melmosa sponda di un fiume di cui ignora il nome

    (Non ha il suo mondo nomi n passato n avvenire, ma il solo istante certo).

    coprir le barbare distanze ed entro l intricato labirinto degli odori l'odore fiuter

    dell'alba e quello, grato, della preda; distinguo le sue strisce tra le strisce

    del bamb e indovino l'ossatura sotto la pelle splendida che freme. Invano ci separano i convessi

    oceani ed i deserti del pianeta; da questa casa di un remoto porto

    della mia America del Sud, ti seguo

  • e sogno, o tigre che costeggi il Gange. Mi colma l'anima la sera e penso

    che l invocata tigre dei miei versi pag.133 una tigre di simboli e di ombre,

    una serie di tropi letterari e di ricordi d'enciclopedia, non la fatale tigre, la funesta

    gemma che sotto il sole o la diversa luna, compie in Sumatra o nel Bengala

    il suo rito d'amore, d'ozio e morte. Alla tigre dei simboli la vera ho contrapposto, quella dall ardente

    sangue, che decima trib di bufali e oggi, 3 agosto del '59,

    getta sul prato la sua ombra lenta, ma il solo averne pronunciato il nome e immaginato ci che le sta intorno

    la fa finzione d'arte e non creatura che sia viva e cammini sulla terra.

    Cercheremo una terza tigre. Come le altre questa sar solo una forma del mio sogno, un sistema di parole

    umane e non la tigre vertebrata che vecchia pi delle mitologie

    calca la terra. Lo so, ma qualcosa m'impone questa impresa indefinita, antica ed insensata, ed io mi ostino

    a cercare nel tempo della sera quell'altra tigre, che non nel verso.

    pag.135 BLIND PEW Lungi dal mare e dalla bella guerra,

    cos l amore esalta ci che ha perso, il bucaniere cieco affaticava

    i terrosi sentieri d'Inghilterra. Incalzato dai cani dei poderi,

    schernito dai ragazzi del villaggio, dormiva un sonno malaticcio e rotto

    entro la nera polvere dei fossi. Sapeva che in remote spiagge d'oro

    era suo un recondito tesoro, e questo gli alleviava la sventura;

    te pure attende, in altre spiagge d'oro il tuo incorruttibile tesoro:

    la vasta e vaga e necessaria morte.

    pag.137 ALLUSIONE A UN' OMBRA DEL MILLEOTTOCENTONOVANTA E ROTTI

  • Niente. Solo il coltello di Muraa. Solo al crepuscolo la storia tronca.

    Non so perch la sera mi accompagna questassassino che non ho mai visto.

    Palermo allora era pi in bassa. Il giallo muraglione del carcere si ergeva sul borgo e sui pantani. Per questaspra

    regione andava il sordido coltello. Il coltello. Il suo volto cancellato

    e di quel mercenario il cui mestiere austero era il coraggio resta solo un'ombra e il fulgore dell' acciaio.

    Il tempo, che annerisce il marmo, salvi questo tenace nome: Juan Muraa.

    pag.139 ALLUSIONE ALLA MORTE DEL COLONNELLO FRANCISCO BORGES (1833-74)

    Lo lascio sul cavallo, in quella grigia

    ora crepuscolare in cui cerc la morte; che di tutte le sue ore

    questa perduri, amara e vittoriosa. Per la campagna avanza la bianchezza del cavallo e del poncho. Nei fucili

    la morte scruta e aspetta. Tristemente Francisco Borges va per la pianura.

    Ci che lo assedia adesso, la mitraglia, ci che vede, la pampa smisurata, quanto vide e ud tutta la vita.

    la realt di sempre, la battaglia. Alto lo lascio e quasi estraneo al verso,

    nel suo lontano, epico universo. pag.141 IN MEMORIAM A. R.

    Il vago caso o le precise leggi Da cui governato questo sogno,

    l'universo, mi diedero compagno, per un radioso tratto Alfonso Reyes.

    Fu padrone di unarte che n Sindbad n Ulisse seppero del tutto, l arte

    di andare da una terra ad altre terre e vivere in ciascuna integralmente.

    Se a volte la memoria lo trafisse con le sue frecce, dal metallo ostile

    di quell'arma forgi la strofa afflitta e il numeroso e lento alessandrino.

    Nella fatica l'umana speranza lo sostenne e fu luce alla sua vita

    trovare il verso degno di ricordo

  • e arricchire la prosa castigliana.

    Al di l del Mio Cid dal passo tardo e del branco che ambisce essere oscuro,

    segu fino ai sobborghi del lunfardo linafferrabile letteratura. pag.143

    Sost nei cinque splendidi giardini del Marino, ma dentro lui qualcosa

    di eterno e di essenziale preferiva il duro studio e lobbligo divino.

    Per meglio dire, prefer i giardini della meditazione, ove Porfirio

    eresse in contro le ombre ed il delirio l'Albero del Principio e delle Fini.

    Reyes, la misteriosa Provvidenza che ministra del prodigo e del parco

    a noi diede il settore o l'arco, a te diede completa la circonferenza.

    Tu cercavi la gioia o la tristezza che occultano le glorie e i frontespizi;

    volesti, come il Dio di Scoto Erigena, per esser ogni uomo essere nessuno.

    Splendori vasti e delicati ottenne La tua scrittura, immacolata rosa,

    e alle guerre di Dio torn esultante il sangue militare dei tuoi avi.

    Dove sar, mi chiedo, il messicano? Contempler, con quell'orrore che ebbe

    Edipo dellarcana Sfinge, il fisso Archetipo del Volto e della Mano?

    O vagher, come voleva Swedenborg, per un orbe pi vivido e complesso

    di questo mondo, pallido riflesso di quel celeste libro incomprensibile?

    Se la memoria crea (come gl'imperi della lacca e dell'ebano sostengono)

    il proprio Paradiso, un altro Messico nella gloria, e un'altra Cuernavaca. pag.145

    Dio sa quali colori offre la sorte all'uomo, terminata la giornata.

    Io cammino per queste strade. ancora

  • poco quello che intendo della morte.

    Solo una cosa so. Che Alfonso Reyes (dovunque l'abbia trascinato il mare)

    si applicher con gioia e con fervore al nuovo enigma e alle nuove leggi.

    Rendiamo onore allimpari, al diverso con palme e con clamore di vittoria.

    E non profani il pianto questi versi che il nostro amore d alla sua memoria.

    pag.147 I BORGES Niente o ben poco ci che so dei Borges,

    i miei antenati portoghesi, vaga gente che in me prosegue, oscuramente i suoi modi, i rigori, le paure.

    Tenui come se mai fossero stati e alieni a ogni pratica dell'arte,

    indecifrabilmente fanno parte del tempo, della terra e dell'oblio. Meglio cos. Essi sono, assolto il compito,

    il Portogallo, quellillustre gente che vinse le muraglie dell'Oriente

    e and per mari e sabbie come mari. Sono quel re nel mistico deserto perso e chi giura di non esser morto.

    pag.149 A LUIS DE CAMOENS

    Senza piet n ira il tempo intacca le valorose spade. Triste e povero tornasti alla nostalgica tua patria,

    o capitano, per morire in lei e insieme a lei. Nel magico deserto

    il fiore del Portogallo si era perso ed il rude spagnolo, prima vinto, era minaccia al suo costato aperto.

    Voglio sapere se di qua dallultima frontiera tu umilmente comprendesti

    che quanto era perduto, l'Occidente e l'Oriente, l'acciaio e la bandiera, continuerebbe (estraneo ad ogni umano

    cambio) nella tua Eneide lusitana.

    pag.151 MILLENOVECENTOVENTI E ROTTI Non infinito il volgere degli astri e una delle forme che ritornano la tigre,

    ma noi, lungi dal caso e dall'avventura, ci pensavamo esuli in un tempo esausto,

    quel tempo in cui non pu accadere nulla.

  • L'universo, il tragico universo, non era qui e forza era cercarlo nel passato;

    io tramavo un'umile mitologia di muri e di coltelli, mentre Riccardo pensava ai suoi mandriani.

    Non sapevamo che il futuro nascondeva in s la folgore, non presentimmo l'obbrobrio, l'incendio e la tremenda notte dell' Alleanza; niente ci disse che la storia argentina sarebbe scesa in strada,

    la storia, l'indignazione, l'amore, le folle come il mare, il nome di Crdoba,

    il sapore del reale e dell'incredibile, l'orrore e la gloria. pag.153 ODE COMPOSTA NEL 1960

    Il chiaro caso o le segrete leggi che reggono questo sogno, il mio destino,

    vogliono, o necessaria e dolce patria che non senza vergogna e gloria annoveri centocinquanta laboriosi anni,

    che io, la goccia, parli con te, il fiume, che io, l'istante, parli con te, il tempo,

    e che l'intimo dialogo ricorra, com' dovuto, ai rituali e all'ombra grati agli di e al pudore del verso.

    Patria, io tho sentita nei tramonti precipitosi dei sobborghi immensi,

    in quel fiore del cardo che nellatrio il vento spinge, nella pioggia quieta, nel ricorrere lento delle stelle,

    nella mano che accorda una chitarra, nella gravitazione della pampa

    che il nostro sangue avverte da lontano come il britanno il mare, nei pietosi simboli e nelle brocche di una cripta,

    nell'argento di un quadro, nell amore pieno dei gelsomini, nel contatto

    col silenzioso mogano soave, pag.155 nel gusto della carne e della frutta, nella bandiera quasi azzurra e bianca

    di una caserma, nei racconti stanchi di strada e di coltello, nelle sere

    uguali che si spengono e ci lasciano, nella vaga memoria compiaciuta di schiavi che riempivano i cortili

    e portavano il nome dei padroni, in quei povere libri per i ciechi

    che furono distrutti dall'incendio, e nelle epiche piogge di settembre che non si scordano, ma queste cose

    non sono che i tuoi modi ed i tuoi simboli. Tu sei pi del tuo vasto territorio

    e pi dei giorni del tuo vasto tempo,

  • tu sei pi della somma inconcepibile delle generazioni. Non sappiamo

    come nel seno vivo degli eterni archetipi ti vede Dio, eppure

    noi viviamo e moriamo e aneliamo, per quel volto che abbiamo scorto appena, o Patria misteriosa e inseparabile.

    pag.157 ARIOSTO E GLI ARABI

    A nessun uomo dato di comporre un libro. Perch un libro sia davvero, occorrono tramonti e aurore, secoli,

    armi, e il mare che unisce e che separa.

    Questo pensava Ariosto, che in oziosi sentieri di fulgenti marmi e oscuri pini si dedic al piacere lento

    di tornare a sognare il gi sognato.

    L'aria della sua Italia era ricolma dei sogni che memoria e oblio ordirono con tutte le figure della guerra

    che in duri secoli strem la terra.

    Si perse una legione tra le valli dell' Aquitania e cadde in un agguato; nacque cos quel sogno di una spada

    e del corno che suona a Roncisvalle.

    I suoi idoli sparse e le sue truppe Per le campagne d'Inghilterra il rude sassone in una guerra lenta e dura

    e di quei fatti rest un sogno: Art. pag.159

    Da terre boreali dove un cieco sole scolora il mare, giunse il sogno di una dormiente vergine che attende,

    oltre un cerchio di fuoco, il suo signore.

    Chiss se dalla Persia o dal Parnaso venne quel sogno del destriero alato che il mago in armi sprona per i cieli

    e che si perde nel deserto occaso.

    Quasi montasse quel destriero alato, Ariosto vide i regni della terra solcata dai tripudi della guerra

    e del giovane amore avventuroso.

    E come fra una tenue bruma d'oro

  • vide quaggi un giardino che i confini espande in pi reconditi giardini

    per l'amore di Angelica e Medoro.

    Pari a quegli ingannevoli splendori che all'indo lascia intravedere l'oppio, per il Furioso passano gli amori

    in un tumulto di caleidoscopio.

    N l'amore ignor n l'ironia, sogn cos, nel suo garbato modo, quello strano castello in cui ogni cosa

    (come in questa vita) una menzogna.

    Come ad ogni poeta, la fortuna o il fato gli accord una strana sorte: andava per le strade di Ferrara

    e al tempo stesso andava per la luna.

    Scoria dei sogni, indefinito limo che dal Nilo dei sogni abbandonato, fu la materia che tess il groviglio

    di questo risplendente labirinto, pag.161

    questo diamante immenso dove un uomo pu avere la fortuna di smarrirsi per mbiti di musica indolente,

    oltre il suo nome ed oltre la sua carne.

    LEuropa intera si smarr. Per opera di quell'ingenua e maliziosa arte, Milton di Brandimarte pot piangere

    la morte e di Dalinda l' apprensione.

    LEuropa si smarr, ma il vasto sogno offr altri doni alla famosa gente che abita i deserti dell'Oriente

    e le sue notti colme di leoni.

    Di un re che allalba affida allimpietosa scimitarra colei che fu regina d'una notte ci narra il dilettoso

    libro che il nostro tempo ancora incanta.

    Ali che son la brusca notte, atroci artigli da cui pende un elefante, magnetiche montagne che frantumano

    i vascelli nel loro amante abbraccio,

    la terra che sorregge in groppa un toro

  • da un pesce sostenuto, talismani, abracadabra e mistiche parole

    che nella roccia schiudono antri d'oro;

    questo sogn la gente saracena che segue le bandiere di Agramante; questo, che vaghi volti con turbante

    sognarono, sedusse l'Occidente.

    E oggi l'Orlando una regione amena le cui disabitate, aperte miglia di oziose e indolenti meraviglie

    sono un sogno che pi nessuno sogna. pag.163

    Dalle arti islamiche ridotto a pura erudizione, a mero documento, sta l a sognarsi, solo. (Altro non la gloria

    che una forma dell'oblio.)

    Per il vetro gi pallido l'incerta luce di un'altra sera sfiora il libro e ancora avvampa e ancora si consuma

    l'oro che ne insuperbisce la brossura.

    Nella deserta sala il silenzioso libro viaggia nel tempo. E lascia indietro le ore notturne e le albe e la mia vita,

    questaltro sogno che sogniamo in fretta.

    pag.165 INIZIANDO LO STUDIO DELLA GRAMMATICA ANGLOSASSONE Trascorse ormai cinquanta generazioni (di tali abissi ci fa dono il tempo)

    faccio ritorno alla lontana riva di un grande fiume che i draghi del vichingo non raggiunsero,

    alle parole laboriose e aspre che usai, con una bocca che ora polvere, nei giorni di Mercia e di Nortumbria,

    quando non ero ancora Haslam o Borges. Ho letto sabato che Giulio il Cesare

    fu il primo a muovere da Romeburg per debellare la Bretagna; non torneranno i grappoli alle viti che avr ascoltato il canto dell'usignolo dell'enigma

    e l'elegia dei dodici guerrieri che stanno intorno al tumulo del loro re.

    Simboli di altri simboli, variazioni dellinglese e del tedesco che verranno mi sembrano queste parole che un tempo sono state immagini

    e che un uomo us per celebrare il mare o una spada; domani torneranno a vivere,

    domani fyr non sar fire, ma quella specie pag.167

  • di dio mutevole e addomesticato che nessuno pu guardare senza provare uno stupore antico.

    Lodato sia quell'infinito

    intrico degli effetti e delle cause che prima di mostrarmi lo specchio nel quale non vedr nessuno o vedr un altro

    mi concede questa contemplazione pura di un linguaggio dell'alba.

    pag.169 LUCA , 23 Gentile o ebreo oppure solo un uomo

    il cui volto nel tempo si perduto; non ne riscatteremo dall'oblio

    le silenziose lettere del nome. Seppe della clemenza ci che pu

    sapere un malfattore che Giudea inchioda ad una croce. inaccessibile

    ormai ci che fu prima. Nell ultima fatica di morire crocifisso,

    apprese dal dileggio della gente che luomo che moriva accanto a lui

    era dio e gli disse ciecamente: Ricordati di me quando sarai

    nel tuo regno , e la voce inconcepibile che sar giudice di tutti gli esseri

    dalla tremenda croce gli promise il Paradiso. Niente pi si dissero

    finch arriv la fine, ma la storia non lascer che muoia la memoria

    della remota sera in cui morirono. pag.171 Amici, quella candida innocenza

    di questo amico di Ges, che fece che chiedesse e ottenesse il Paradiso

    dall'ignominia del castigo, era la stessa che lo spinse tante volte

    al male e all'avventura insanguinata.

    pag.173 ADROGU Nessuno nella notte indecifrabile tema ch'io possa perdermi tra i neri

    fiori di questo parco, dove intessono un sistema propizio ai mesti amori

  • o all'ozio delle sere il misterioso uccello che lo stesso canto affina,

    il chiosco ombroso e l'acqua circolare, la vaga statua e la rovina incerta.

    Vuota nell'ombra vuota, la rimessa segna (lo so) i tremuli confini

    di un mondo di polvere e gelsomini, grato a Verlaine e grato a Julio Herrera.

    Cedono gli eucalipti il loro odore medicinale all'ombra, quell' antico

    odore che oltre il tempo e la parola ambigua evoca il tempo delle ville.

    Cerca il mio passo e trova la sperata soglia. Il suo scuro margine disegna

    la terrazza e nel patio fatto a scacchi il rubinetto gocciola monotono. pag.175

    Dall'altro lato delle porte dormono coloro che per opera dei sogni

    nell'ombra visionaria son padroni del vasto ieri e delle cose morte.

    Non c un oggetto in questo vecchio stabile chio non conosca: le scaglie di mica

    su quella pietra grigia che si duplica continuamente nel confuso specchio,

    La testa di leone che il pesante anello addenta e i vetri colorati

    che svelano al bambino le bellezze di un mondo tutto rosso o tutto verde.

    Essi perdurano al di l del caso e della morte, e ognuno ha la sua storia,

    ma tutto questo avviene in una specie di quarta dimensione, la memoria.

    l e soltanto l che stanno adesso i patios e i giardini. Ed il passato

    li conserva in quellmbito vietato che insieme abbraccia il vespero e laurora.

    Come ho potuto perdere quellordine preciso di modeste e amate cose,

    oggi interdette come quelle rose che dette al primo Adamo il Paradiso?

  • Uno stupore antico di elegia mi opprime quando penso a quella casa

    e non comprendo come il tempo passa, io che son tempo e sangue ed agonia.

    pag.177 ARTE POETICA Guardare il fiume che di tempo e acqua

    e pensare che il tempo un altro fiume, saper che ci perdiamo come il fiume

    e che passano i volti come l'acqua. Sentire che la veglia un altro sonno

    che sogna di esser veglia e che la morte che il nostro corpo teme quella morte

    dogni notte che noi chiamiamo sonno. Avvertire in un giorno o un anno il simbolo

    dei giorni dogni uomo e dei suoi anni, dell' oltraggioso scorrere degli anni

    fare una musica, un sussurro, un simbolo, vedere un oro triste nel tramonto

    e nella morte il sonno la poesia, che povera e immortale. La poesia

    torna come l' aurora e il tramonto. Talora nelle grigie sere un volto

    ci guarda dal profondo d'uno specchio; l'arte dev'esser come quello specchio

    che ci rivela il nostro stesso volto. pag.179 Ulisse, fama, stanco di prodigi,

    pianse d'amore quando scorse Itaca umile e verde. L'arte questa Itaca

    di verde eternit, non di prodigi. anche come il fiume interminabile

    che passa e resta, e replica uno stesso Eraclito incostante ch lo stesso

    e un altro, come il fiume interminabile.

    MUSEO

    pag.181 DEL RIGORE NELLA SCIENZA

    ...In quell'Impero, l'Arte della Cartografia raggiunse tale Perfezione che la mappa d'una sola

    Provincia occupava unintera Citt, e la mappa dell'Impero unintera Provincia. Col tempo, queste Mappe Smisurate non soddisfecero pi e i Collegi dei Cartografi crearono una Mappa dell'Impero che aveva la grandezza stessa l'Impero e con esso coincideva esattamente. Meno

    Dedite allo Studio della Cartografia, le Generazioni Successive capirono che quella immensa Mappa era Inutile e non senza Empiet la abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degli

  • Inverni. Nei deserti dell'Ovest restarono ancora lacere Rovine della Mappa, abitate da Ani-mali e Mendicanti; nellintero Paese non vi sono altre reliquie delle Discipline Geografiche.

    Surez Miranda, Viajes de varones prudentes, Libro Quarto, cap. XLV, Lrida, 1658.

    pag.183 QUARTINA Altri morirono, ma questo accadde nel passato,

    che la stagione (nessuno lo ignora) pi propizia alla morte. mai possibile che io, suddito di Yaqub Almansr,

    muoia come dovettero morire le rose e Aristotele? Dal Divano di ALMOTASIM EL MAGREBI ( XII secolo).

    pag.185 LIMITI C' un verso di Verlaine che non ricorder mai pi,

    c' una strada vicina ormai vietata ai miei passi, c' uno specchio che mi ha visto per l'ultima volta, c' una porta che ho chiuso sino alla fine del mondo.

    Tra i libri della mia biblioteca (li sto vedendo) ce n' qualcuno che non torner ad aprire.

    Questa estate compir cinquanta anni; la morte, incessante, mi consuma. Da Inscripciones (Montevideo) 1923, di Julio Platero Haedo.

    pag.187 IL POETA DICHIARA LA SUA FAMA

    La volta del cielo misura la mia gloria, le biblioteche dell' Oriente si disputano i miei versi, gli emiri mi cercano per riempirmi d'oro la bocca,

    gli angeli conoscono a memoria il mio ultimo zejel. I miei strumenti di lavoro sono angoscia e umiliazione;

    magari fossi nato morto. Dal Divano di ABULCASIM EL HADRAM (XII secolo).

    pag.189 IL NEMICO GENEROSO Magnus Barfod, nell'anno 1102 intraprese la conquista di

    tutti i regni dellIrlanda; si dice che il giorno precedente la sua morte abbia ricevuto questo saluto da Muirchertach, re di Dublino:

    Che nei tuoi eserciti militino l'oro e la tempesta, Magnus Barfod. Che domani, sui campi del mio regno, ti sia propizia la battaglia.

    Che le tue mani di re intessano terribili la tela della spada. Che siano alimento del cigno rosso coloro che si oppongono alla tua spada. Che i tuoi molti di ti sazino di gloria, che ti sazino di sangue.

    Che tu sia vittorioso all'alba, re che calchi la terra d'Irlanda. Che dei tuoi molti giorni nessuno splenda come il giorno di domani.

    Perch quel giorno sar l'ultimo. Te lo giuro, re Magnus. Perch prima che si offuschi la sua luce, ti vincer e ti annienter, Magnus Barfod. Da Anhang zur Heimskringla (1893) di H. GERING.

    pag.191 LE REGRET D' HRACLITE Io, che tanti uomini son stato non sono stato mai

  • luomo nel cui abbraccio illanguidiva Matilde Urbach. GASPAR CAMERARIUS,

    in Deliciae Poetarum Borussiae, VII, 16.

    pag.193 IN MEMORIAM J. F. K. Questa pallottola antica. Nel 1897 la spar contro il presidente dell'Uruguay un ragazzo di Montevideo, Arredondo,

    che aveva trascorso molto tempo senza vedere nessuno, perch si sapesse che non aveva complici. Trent'anni prima, lo stesso proiettile uccise Lincoln, per opera criminale o magica

    di un attore che le parole di Shakespeare avevano trasformato in Marco Bruto, assassino di Cesare. Alla met del XVII secolo, la vendetta se ne serv per assassinare Gustavo Adolfo di Svezia, nel mezzo della pubblica ecatombe di una battaglia.

    Prima la pallottola era stata altre cose, giacch la trasmigrazione pitagorica non esclusiva degli uomini. Fu il cordone di seta che in Oriente ricevono i visir, fu la fucileria e le baionette

    che annientarono i difensori di Alamo, fu la mannaia triangolare che tagli il collo a una regina, fu i chiodi oscuri che trafissero la carne del Redentore e il legno della Croce, fu il veleno che il capo cartaginese conservava in un anello di ferro, fu il sereno calice che un

    pomeriggio bevve Socrate. All' alba del tempo fu la pietra che Caino scagli contro Abele e sar molte altre cose che

    oggi neppure immaginiamo e che finiranno insieme agli uomini e al loro prodigioso e fragile destino.

    pag.195 EPILOGO Voglia Dio che la monotonia essenziale di questa miscellanea (che il tempo ha compilata,

    non io, e che raccoglie vecchi testi che non ho osato emendare, perch li scrissi con un altro concetto della letteratura) sia meno evidente della diversit geografica o storica dei temi. Di tutti i libri che ho dato alle stampe, nessuno, credo, personale quanto questo raccogliticcio e

    disordinato zibaldone, proprio perch abbonda di riflessi e di interpolazioni. Poche cose mi sono successe e molte ne ho lette. O meglio, poche cose mi sono successe pi degne di

    memoria del pensiero di Schopenhauer o della musica verbale dell' Inghilterra. Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con im-magini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di pesci, di case, di

    strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.

    J.L.B. Buenos Aires, 31 ottobre 1960 pag.199 NOTA AL TESTO

    L'artefice apparve nel dicembre del 1960 presso Emec come nono volume delle Obras Completas de Jorge Luis Borges.

    Borges ha ricordato in pi occasioni come la raccolta nacque dalla richiesta del direttore editoriale Carlos Fras di un libro nuovo per quella collezione. In realt, l'ultimo libro nuovo di Borges era stato Altre inquisizioni, edito da Sur nel 1952. Nel 1953 la Emec

    aveva iniziato la pubblicazione dell'intera opera borgesiana, e nell'arco di quattro anni ave-vano visto la luce, in riedizioni in qualche caso rimaneggiate o ampliate, sette titoli che

    costituivano quanto Borges aveva prodotto fino ad allora (tranne ovviamente i primi tre libri di saggi, ripudiati). L'ultimo volume, uscito nel '57, aveva riproposto L'Aleph secondo l'edizione Losada del '52. Erano dunque tre anni che la collezione delle Obras Completas

    era di fatto ferma, ma soprattutto era, per cos dire, da sempre che Borges non si preoccupava di offrire al suo prestigioso editore un titolo realmente nuovo. Di qui forse il tono,

    amichevole ma perentorio, che si avverte nelle parole di Fras, riferite da Borges nelle sue

  • Conversazioni con Richard Burgin: Il mio editore mi disse: Vogliamo che ci dia un libro nuovo, e questo libro deve avere un mercato . La produzione di Borges in quegli anni, a

    causa dei sempre pi seri problemi agli occhi, si era in effetti un po' ridotta, tuttavia egli non aveva smesso di scrivere e di collaborare, come aveva sempre fatto, a pi di una rivista. La

    replica di Fras pag.200 alla risposta negativa di Borges (Non esiste nessun libro) teneva certamente conto di questo dato: Ma certo che ce l'ha. Se guarda bene nei suoi scaffali e nei suoi cassetti trover

    brani sciolti, cose brevi, resti. Il libro pu benissimo venir fuori di l. And proprio cos: Trovai ritagli, vecchie riviste e mi resi conto che il libro stava l, pronto, ad aspettarmi.

    Parlandone nell' Abbozzo di autobiografia, Borges commenta: Questo libro, che ho messo insieme piuttosto che scritto, mi sembra stranamente il mio lavoro pi personale e, forse, a mio gusto, il migliore. La formula nuova: L'artefice la sua prima raccolta composta di

    prose e di poesie, recentissime alcune, antiche di un quindicennio altre, qualcuna forse persino dimenticata e ritrovata. (In seguito, un'analoga scelta informer altre compilazioni,

    da Elogio dell 'ombra alla Cifra ai Congiurati). I 23 brani che precedono le poesie, abbozzi e parabole pi che poemi in prosa, erano stati tutti gi editi in periodici tra il 1934 e il 1959. I pi vecchi provengono dalla Revista

    multicolor de los sbados, supplemento letterario del diffusissimo quotidiano Critica, che Borges diresse, affiancato da Ulises Petit de Murat, dall'agosto dal 1933 all'ottobre del '34.

    Nelle pagine di questa rivista Borges pubblic frmati col suo nome o con pseudonimi, o anonimi -, oltre al suo primo esperimento narrativo (Hombres de las orillas, poi intitolato Uomo all'angolo della casa rosa) e ai sei racconti che nel 1935 costituirono il nucleo centrale

    della Storia universale dell'infamia, saggi, recensioni, traduzioni e numerosi brani narrativi, generalmente brevi. Fra questi ultimi entrano a far parte del nuovo libro Dreamtigers, Gli

    specchi velati e Le unghie, apparsi nel settembre 1934 sotto il titolo di Confesiones e firmati Francisco Bustos, pseudonimo gi utilizzato per Hombres de las orillas e, in certo senso, progenitore del futuro Honorio Bustos Domecq autore dei Sei problemi per don Isidro

    Parodi (1942), scritti in collaborazione con Adolfo Bioy Casares. L'operazione non rappresenta un tardivo riscatto dall'oblio, ma al contrario documenta una particolare

    predilezione per questi testi, che gi nel '36 Borges aveva voluto ripubblicare, sotto la diversa rubrica Inscripciones, nella rivista Destiempo (diretta insieme a Bioy Casares) e, ancora una volta, aveva riproposto nella prima edizione di Altre inquisizioni. Nel corso di questo

    tragitto editoriale, pag.201 l'originario gruppo della Revista multicolor de los sbados si era arricchito di altri due

    scritti, Dialogo su di un dialogo (1936) e Argumentum Ornithologicum (1952). Fin troppo semplice riconoscere i motivi di tale predilezione nei temi trattati - la tigre, gli specchi, la morte, il problema dell'esistenza di Dio -, tutti centrali nellopera del nostro autore.

    Gli altri testi che costitu