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Ciò di cui non si può parlare…Ciò di cui non si può parlare…

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Lo Stato OccultoLo Stato Occulto

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L’indissolubile intreccio tra servizi segreti italiani e americani, Vaticano, P2, mafia e mondo finanziario, ha creato tra gli anni ’50 fino ai giorni nostri uno “stato” nello Stato Italiano.Un’oligarchia potente e intoccabile che dietro paraventi politico-militari, continua a mantenersi ai vertici della nazione.Un potere che si perpetua attraverso la strategia della tensione, agitando quando gli conviene il fantasma del terrorismo e delle brigate rosse. Un potere contro lo Stato, ma dentro lo Stato.

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I servizi segreti dell’Italia democratica nascono ufficialmente il 1 settembre 1949, sulle ceneri - ma mantenendo in pieno uomini e strutture - del vecchio SIM, il servizio d’informazione militare, nato durante il regime fascista: il suo nome è SIFAR (Servizio Informazioni Forze Arma- te).Già nella costituzione del SIFAR c’è qualcosa di anomalo: nessun dibattito parlamentare, ma solo una circolare interna, firmata dall’allora ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, repubblicano. Dalla nascita della Repubblica, l’Italia ha atteso più di tre anni, quindi, per dar vita all’organismo che dovrebbe tutelarne la sicurezza, il tempo necessario a "scaricare" le sinistre dal governo e ad aderire al Patto Atlantico. Il primo direttore del SIFAR è il generale di brigata Giovanni Carlo Del Re che opera sotto l’esplicita supervisione dall’emissario della CIA in Italia, Carmel Offie. In carica per tre anni, Del Re viene sostituito nel 1951 dal gen. Umberto Broccoli – l’uomo che – almeno sulla carta - darà l’avvio a Gladio, sostituito, neppure un anno e mezzo dopo, dal gen. Ettore Musco.

Anche Musco, che nel 1947 aveva formato l’AIL (Armata Italiana per la Libertà) - una formazione diretta da militari, sostenuta economicamente e militarmente dai servizi segreti americani, incaricata di vigilare su un’eventuale insurrezione comunista – fu uomo di stretta osservanza CIA e proprio sotto il controllo americano portò a termine l’acquisto dei terreni di Capo Marrargiu, in Sardegna, dove sarebbe sorta la base di Gladio.

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BREVE STORIA DEI SERVIZI SEGRETI ITALIANINon esistono i servizi segreti deviati, ma le deviazioni dei servizi segreti I servizi segreti dell’Italia democratica nascono ufficialmente il 1 settembre 1949, sulle ceneri - ma mantenendo in pieno uomini e strutture - del vecchio SIM, il servizio d’informazione militare, nato durante il regime fascista: il suo nome è SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate).Già nella costituzione del SIFAR c’è qualcosa di anomalo: nessun dibattito parlamentare, ma solo una circolare interna, firmata dall’allora ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, repubblicano.Dalla nascita della Repubblica, l’Italia ha atteso più di tre anni, quindi, per dar vita all’organismo che dovrebbe tutelarne la sicurezza, il tempo necessario a “scaricare” le sinistre dal governo e ad aderire al Patto Atlantico.Il primo direttore del SIFAR è il generale di brigata Giovanni Carlo Del Re che opera sotto l’esplicita supervisione dall’emissario della CIA in Italia, Carmel Offie. In carica per tre anni, Del Re viene sostituito nel 1951 dal gen. Umberto Broccoli – l’uomo che – almeno sulla carta - darà l’avvio a Gladio, sostituito, neppure un anno e mezzo dopo, dal gen. Ettore Musco.Anche Musco, che nel 1947 aveva formato l’AIL (Armata Italiana per la Libertà) - una formazione diretta da militari, sostenuta economicamente e militarmente dai servizi segreti americani, incaricata di vigilare su un’eventuale insurrezione comunista – fu uomo di stretta osservanza CIA e proprio sotto il controllo americano portò a termine l’acquisto dei terreni di Capo Marrargiu, in Sardegna, dove sarebbe sorta la base di Gladio. LA RIFORMA DEI SERVIZI SEGRETI 

La prima riforma organica dei servizi segreti – ma anche fino ad oggi l’ultima – risale al 1977. Sempre più vicino all’area di governo, impegnato in una politica improntata al consociativismo, il PCI partecipa direttamente ed in prima persona, attraverso la figura del sen. Ugo Pecchioli, alla riforma.Per la prima volta viene introdotta una figura di responsabile dell’attività dei servizi segreti di fronte al Parlamento: è il Presidente del Consiglio che si avvale della collaborazione di un consiglio interministeriale, il CESIS che ha anche un compito di coordinamento. Inoltre i servizi devono rispondere di quello che fanno ad un Comitato parlamentare. Ma un importante novità introdotta dalla riforma dei servizi segreti riguarda lo sdoppiamento dei servizi stessi: al SISMI (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Militare) il compito di occuparsi della sicurezza nei confronti dell’esterno, al SISDE (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Democratica) quello di vigilare all’interno. Con in più un’altra differenza: se il SISMI resta completamente affidato a personale militare, il SISDE diventa una struttura civile, affidata alla polizia che è diventato un corpo smilitarizzato.

 

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Una riforma, quindi, buona nelle intenzioni, ma che negli anni a seguire produrrà soltanto risultati disastrosi, anche perché gli uomini che andranno a far parte del SISMI e del SISDE saranno gli stessi che hanno giàfarte del SIFAR e del SID e, per quanto riguarda il servizio civile, del disciolto – e famigerato – Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno.

Retto dal 1974 al 1978 dall’amm. Mario Casardi, il SISMI vedrà l’ascesa, nello stesso anno, del gen. Giuseppe Santovito, già stretto collaboratore di De Lorenzo.

Il SISDE, la cui direzione sarebbe dovuta spettare ad Emilio Santillo, già capo dell’Ispettorato per l’antiterrosimo, pur essendo una stuttura non militare finirà proprio ad un militare, generale dei carabinieri Giulio Grassini.

Il primo scandalo in cui incappano i servizi riformati è quello della Loggia P2. I nomi di tutti i vertici dei servizi segreti (SISMI, SISDE ed anche del CESIS, l’organo di coordinamento) sono compresi nella famosa lista del maestro venerabile Licio Gelli, scoperta il 17 marzo 1981 dai magistrati milanesi che indagano su Sindona.

 

IL RUOLO DEI SERVIZI SEGRETI NEI MISTERI DEGLI ANNI OTTANTA

E’ questa forse una pagina che non è stata ancora scritta del tutto. Di certo oggi sappiamo che entrambi i servizi segreti sono dentro fino al collo nel caso Moro, i 55 giorni che trascorsero fra il sequestro del presidente della DC da parte di un commando delle Brigate rosse e l’uccisione dell’uomo politico.

Omissioni, inefficienze, tacite connivenze, depistaggi, forse anche qualcosa di più.

Molto, ma molto di più invece nella strage di Bologna dove per depistaggio, con sentenza passato in giudicato, sono stati condannati, assieme a Gelli, alcuni uomini del SISMI, come il gen. Pietro Musumeci e il col. Giuseppe Belmonte. E con loro anche il faccendiere Francesco Pazienza, in seguito imputati anche per aver creato una superstruttura occulta (il c.d. SUPERSISMI) all’interno del servizio segreto militare, sospettato di aver operato in collegamento con elementi della criminalità organizzata.

C’è da aggiungere che uomini del SISMI sono rimasti implicati anche nell’inchiesta sulla strage di Ustica. Nel 1984 arriva al vertice del SISMI colui che passa per un rinnovatore: è l’amm. Fulvio Martini. Resterà in carica fino al febbraio del 1991 quando, assieme al suo capo di stato maggiore, il gen. Paolo Inzerilli, finirà travolto dalla vicenda di Gladio.

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Parallelamente al Sisde si succederanno i prefetti Vincenzo Parisi (1984-1987), che diventerà subito dopo capo della polizia e Riccardo Malpica (1987-1991), che verrà poi condannato per lo scandalo dei fondi neri del SISDE.

 

Il resto è storia recente. Gli uomini che siederanno ai vertici di SISMI e SISDE nell’ultimo decennio sono, per fortuna del Paese, tutte o quasi figure di scarso rilievo, ma, almeno all’apparenza, tutte dotate di saldo spirito democratico.

I servizi segreti italiani sembrano aver scelto la linea del basso profilo: forse servono a poco o a nulla. Ma almeno non fanno danni.

Anche se – bisogna aggiungere - trattandosi di apparati di sicurezza (sicurezza di chi?) bisogna sempre stare attenti a non pronunciare mai una parola definitiva.

GLI ANNI DI DE LORENZO

Ma è con l’avvento ai vertici del Sifar del gen. Giovanni De Lorenzo che i servizi segreti italiani si trasformano e cominciano a giocare un ruolo preponderante sulla scena politica italiana. La nomina di De Lorenzo non è casuale: a caldeggiarla, con insistenza, è l’ambasciatrice degli USA Claire Booth Luce, ma il generale è uomo molto gradito anche alle sinistre che per anni equivocheranno sui suoi meriti resistenziali.

De Lorenzo assume le redini del SIFAR nel gennaio del 1956. Resterà in carica fino all'ottobre del 1962: quasi sette anni filati, fatto mai accaduto, neppure in seguito, nella storia dei servizi segreti italiani. E’ sotto la gestione De Lorenzo che l’Italia sottoscriverà il piano, redatto dalla CIA, denominato “Demagnetize” il cui assunto è:

 

<<La limitazione del potere dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo prioritario: esso deve essere raggiunto con qualsiasi mezzo>>.

Gli anni di De Lorenzo al SIFAR sono gli anni delle schedature di massa degli italiani: verranno raccolti oltre 157 mila fascicoli, molti dei quali abusivi e falsi, in gran parte del tutto superflui per la sicurezza, ma utili strumenti di pressione e di ricatto.

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Nominato sul finire del 1962 comandante generale dell’Arma dei carabinieri e quindi costretto a lasciare la guida del servizio segreto, De Lorenzo riuscì comunque a mantenere il controllo del SIFAR, facendo in modo che al suo posto venisse nominato un suo fedelissimo, Egidio Viggiani e che i posti chiave del servizio stesso fossero occupati da suoi uomini di fiducia: Giovanni Allavena - responsabile, contemporaneamente, dell’ufficio D (informazioni) e del CCS (controspionaggio) ed in seguito egli stesso ai vertici del SIFAR– e Luigi Tagliamonte che assumerà il doppio (e incompatibile) incarico di responsabile dell’amministrazione del SIFAR e capo dell’ufficio programmazione e bilancio dell’Arma.

E’ con De Lorenzo ai vertici dei carabinieri che si acuisce la tensione in Alto Adige, una regione attraversata all’epoca da una forte vena irredentista filo-austriaca e, nel luglio del 1964, si ode il famoso “rumor di sciabole” di cui parlò l’allora segretario socialista Pietro Nenni, allorché la formazione del secondo governo di centro-sinistra, guidato da Aldo Moro, si realizzò sotto la minaccia, più o meno velata, di un colpo di stato: il Piano Solo.

 

NASCE IL SID

Anche se lo scandalo delle schedature del Sifar e del Piano Solo verranno alla luce solo tre anni dopo, nel 1967, grazie ad una campagna di stampa del settimanale L’Espresso, condotta dai giornalisti Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari, già nel 1965 il SIFAR viene sciolto.

E’ uno scioglimento solo di facciata, l’ennesimo: con un decreto del Presidente della Repubblica, il 18 novembre 1965, nasce il SID (Servizio Informazioni Difesa) che del vecchio servizio continuerà a mantenere uomini e strutture.

Il comando del SID viene affidato all’amm. Eugenio Henke, genovese, molto vicino al ministro dell’Interno dell’epoca Paolo Emilio Taviani, democristiano.

Sotto la gestione Henke – che resterà in carica fino al 1970 – prenderà l’avvio la strategia della tensione che avrà come primo, tragico, risultato la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969).

Henke lascia il SID il 18 ottobre 1970 per essere sostituito dal gen. Vito Miceli che già dal 1969 guidava il SIOS (il servizio informazioni) dell’Esercito. Non trascorrono neppure due mesi dal nuovo cambio della guardia ai vertici dei servizi segreti italiani, che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 un gruppo di neofascisti, capeggiati dal “principe nero” Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS, mette in atto un ancor oggi misterioso tentativo di colpo di stato, nome in codice “Tora, Tora”, passato alla cronaca come il Golpe Borghese.

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E’ noto che il tentativo di colpo di stato fallì, o meglio aveva al suo interno forze che ne avevano preventivato il fallimento. Di quel golpe che sapeva molto era proprio il neo capo del SID, il gen. Vito Miceli che nel sottile gioco delle alleanze politiche era legatissimo ad Aldo Moro e nemico giurato di una altro potente democristiano: Giulio Andreotti.

Miceli di quel tentativo di golpe tacque: in primis con la magistratura. Quando nel 1975 l’inchiesta giudiziaria sul Golpe Borghese arriverà alla sua stretta finale, Miceli avrà già lasciato il servizio, travolto da una serie di incriminazioni che porteranno al suo arresto per altri fatti ancora oggi non del tutto chiariti, come la creazione della Rosa dei Venti, un’altra struttura militare para-golpista e lo scontro durissimo che lo opporrà al capo dell’ufficio D, un fedelissimo di Andreotti, il gen. Gianadelio Maletti. Gli anni della gestione Miceli sono gli anni dello stragismo in Italia: da Peteano, alla strage alla Questura di Milano, da Brescia all’Italicus.

Come era già accaduto a De Lorenzo, anche Miceli finirà in parlamento: eletto, anche lui, nelle file del MSI-DN di Giorgio Almirante, così come anni dopo succederà ad un altro capo dei servizi segreti, il gen. Antonio Ramponi, nelle file di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini. (fonte principale: G. De Lutiis – Storia dei servizi segreti in Italia, Editori riuniti, varie edizioni)

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GladioGladioChe l’Italia decidesse, negli anni della guerra fredda, di dotarsi di una propria struttura a tutela dei confini orientali, i più esposti all’eventualità di un’invasione sovietica, ha in sé una logica incontestabile. Che questa struttura però sia stata creata sulla base di accordi segreti tra i nostri servizi di sicurezza e quelli americani, che gran parte dei responsabili del Governo ne siano stati tenuti all’oscuro e soprattutto che l’organizzazione sia sopravvissuta al profondo mutamento subito dagli equilibri internazionali sono fatti molto più inquietanti. L’esistenza di una struttura segreta armata, formata da civili e militari, che disponeva di una propria base (segreta anch’essa) in Sardegna è stata scoperta nel 1990 da un magistrato veneziano, Felice Casson, il quale, indagando sui depistaggi operata dai carabinieri e dai servizi segreti nell’inchiesta sulla strage di Peteano, era incappato in alcuni depositi di armi, munizioni ed esplosivi, segretamente gestiti dagli uomini del SISMI. A svelare il segreto di Gladio è però il Presidente del Consiglio dell’epoca, Giulio Andreotti, che con le sue rivelazioni innesca uno scontro violentissimo tra poteri dello Stato che fa tremare le istituzioni. Ma che cos’è Gladio? Formalmente costituita nel 1956 con il nome di Stay Behind ("Stare indietro"), in realtà l’organizzazione armata esiste fin dall’ottobre 1951 e la sua formazione è avvenuta sulla base di accordi tra servizi segreti, fuori da qualsiasi regola democratica e solo nel 1959 verrà formalizzata la sua costituzione in ambito NATO.

Se sulla   carta   Gladio   doveva avere soltanto compiti di difesa, in realtà tra i suoi compiti vi era anche quello di applicare il piano Demagnetize (Smagnetizzare), elaborato dalla CIA, che consisteva nella messa in atto di una serie di "operazioni politiche, paramilitari e psicologiche, atte a ridurre la presenza del partito comunista in Italia e in Francia". Gladio, quindi, non era soltanto uno strumento difensivo, ma una struttura armata di controllo interno, in funzione anticomunista e a confermarlo arriveranno, con il passare degli anni, altri documenti. Ma quanti uomini hanno fatto parte di Gladio? Con quali criteri sono stati arruolati? Perché tra i suoi adepti e presunti tali compaiono tanti nomi di persone poi implicate nella strategia della tensione? A 50 anni dalla sua costituzione, gli angoli bui di Gladio sono ancora molti. Troppi.

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GLADIO: IL SUO CONTESTO STORICO-POLITICONell’analisi della Commissione Stragi (relazione Pellegrino)

Qual è il contesto in cui nasce Gladio? Quali sono le esigenze a cui deve rispondere una struttura armata e segreta, composta da civili e militari? La struttura Gladio ha avuto dei progenitori o è sorta dal nulla? Quali erano le logiche politico-militari alle quali doveva rispondere una simile struttura? A queste e ad altre domande cerca di rispondere questo lungo brano della relazione scrittta dal presidente della commissione stragi Giovanni Pellegrino. -------------------------------------------- AVVERTENZA: La relazione Pellegrino non va letta come una sorta di maxi-sentenza definitiva, ma soltanto come <<la formulazione di un giudizio storico-politico globale>>. Come ogni analisi storico-politico essa è, comunque, soggetta a integrazioni e mutamenti.  

Le direttive internazionali nei documenti del National Security Council  Il quadro internazionale più volte richiamato, che si determinò già nella fase finale del secondo conflitto mondiale e venne a consolidarsi nei decenni successivi, è così noto da non meritare forse troppa ampia esplicitazione. Sicché è solo compiutezza espositiva che induce a rammentare, sia pure in termini di dovuta sommarietà, come il 12 marzo 1947 il Presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, di fronte al forte espansionismo sovietico nell'Europa orientale, pronunciò dinanzi al Congresso il celebre discorso che sarebbe stato ricordato come l'enunciazione della dottrina che porterà il suo nome. In base ad essa gli Stati Uniti si facevano carico di proteggere militarmente qualsiasi zona del mondo fosse stata minacciata da eserciti di paesi comunisti e da forme di guerriglia comunque appoggiate da paesi di area comunista. Una enunciazione programmatica, che informò di sé tutta la politica statunitense del successivo quarantennio. Sui riflessi che tale politica ebbe nella situazione interna italiana la Commissione ha già ampiamente riferito al Parlamento nella prerelazione relativa all'organizzazione Gladio.

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Sono dati su cui appare ora opportuno ritornare nella prospettiva di un'indagine volta a ricostruire una realtà storica complessiva, di cui l'attivazione della struttura Gladio costituisce soltanto un momento.

In tale direzione indagativa la Commissione ha già sottolineato l'importanza che rivestono i documenti del National Security Council, a partire dal documento n. 1/2 del 10 febbraio 1948.

In previsione di una possibile invasione dell'Italia da parte di forze militari provenienti dall'Europa Orientale, o nell'ipotesi che una parte dell'Italia cadesse sotto dominazione comunista a causa di una insurrezione armata o di altre iniziative illegali, il governo degli Stati Uniti predispose un piano articolato in sette punti, il cui ultimo paragrafo prevedeva di:

"Dispiegare forze in Sicilia o in Sardegna, o in entrambe, con il consenso del governo italiano legale e dopo consultazione con gli Inglesi, in forze sufficienti ad occupare queste isole contro l'opposizione comunista indigena non appena la posizione dei comunisti in Italia indichi che un governo illegale dominato dai comunisti controlla tutta la penisola italiana"[1].

Ancor più interessante è il documento successivo: NSC 1/3 dell'8 marzo 1948, dal titolo: "Posizione degli Stati Uniti nei confronti dell'Italia alla luce della possibilità di una partecipazione comunista al governo attraverso sistemi legali”[2].

Fin dalle prime righe del documento, il problema politico viene posto con grande chiarezza. Si legge infatti:

 "Gli interessi degli Stati Uniti nell'area del Mediterraneo, relativi ai problemi di sicurezza, risultano seriamente minacciati dalla possibilità che il Fronte Popolare, dominato dai comunisti, ottenga una partecipazione al Governo attraverso le elezioni nazionali che si terranno in aprile e che, come conseguenza di ciò, i comunisti, seguendo uno schema ormai consueto nell'Europa dell'Est, potrebbero riuscire ad ottenere il completo controllo del Governo e a trasformare l'Italia in uno stato totalitario subordinato a Mosca. Un'eventualità del genere produrrebbe un effetto demoralizzante in tutta l'Europa occidentale, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente"[3].

 Nella parte conclusiva del documento sono elencati i provvedimenti che gli Stati Uniti dovrebbero prendere

 

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"nel caso in cui i comunisti italiani dovessero riuscire ad ottenere la guida del governo attraverso sistemi legali"[4].

Tra essi figurano, al punto a):

"Prendere delle misure immediate, compreso ciascun tipo di misura coercitiva, per realizzare una mobilitazione limitata",

e al punto d):

"Fornire assistenza militare e finanziaria alla base anti-comunista italiana"[5].

I documenti della serie NSC1 vennero sostituiti, a partire dall'aprile 1950, con quelli della serie NSC67; l'ultima versione, l'NSC67/3, redatta dal National Security Council il 5 gennaio 1951, venne infine approvata dal Presidente degli Stati Uniti l'11 dello stesso mese.

Si trattava di una sintesi delle ipotesi previste dall'NSC1/2 e NSC1/3 con una leggera limitazione in quanto l'attacco esterno all'Italia ricadeva ora nella responsabilità della Nato.

Il documento trattava quindi delle misure preventive e, eventualmente, punitive da adottarsi in caso di insurrezione interna appoggiata dall'esterno o di partecipazione del partito comunista al governo con mezzi legali.

Fra le misure preventive è da notare il suggerimento, messo in pratica alcuni mesi più tardi (Dichiarazioni anglo-franco-americana del 26 settembre 1951), di avviare le procedure per una revisione informale del Trattato di pace, specialmente di quelle parti che imponevano dei limiti sulla qualità e la quantità delle Forze armate nazionali.

Le misure punitive in caso di insurrezione interna erano volutamente lasciate nel vago; gli stessi JCS (Joint Chiefs of Staff) avevano insistito su questo punto; si auspicava infatti di

"utilizzare le forze militari statunitensi in modo da essere in grado di impedire, quando necessario, che l'Italia cada sotto il dominio comunista"[6].

 

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Una ulteriore clausola specifica che ciò sarebbe stato attuato in ogni caso con il consenso del governo italiano e secondo le direttive elaborate nell'occasione dai JCS.

Ancora più vaghe apparivano le misure legali:

"Gli Stati Uniti dovrebbero dare corso alle iniziative (censura) mirate ad impedire la presa del potere da parte dei comunisti e a rafforzare la determinazione italiana di opporsi al comunismo"[7].

Queste direttive rimasero immutate durante il primo anno della nuova amministrazione Eisenhower. Nell'aprile 1954, l'NSC67/3 venne sostituita dall'NSC5411/2: il documento si differenziava da quelli dell'amministrazione precedente per l'insistenza sull'importanza strategica della penisola nell'ambito della Nato, definita a "una posizione geografica cardine"[8].

Il documento analizzava i successi del sostegno americano alla rinascita economica italiana e il parallelo fallimento della politica anticomunista. Il miglioramento della situazione economica non aveva funzionato come antidoto all'affermazione dei socialcomunisti (come dimostravano i risultati elettorali del 1953); l'anticomunismo dei governi succedutisi dopo le elezioni politiche del 1953 avevano dato prova di grande instabilità. L'NSC

auspicava per l'Italia un governo costituzionale democratico, sorretto da una florida situazione economica.

L'ipotesi di un governo autoritario di destra, anche se definita preferibile a quella di un governo comunista, non veniva prospettata come uno scenario desiderabile (ed è questo un profilo importante perché individua nella stabilizzazione del quadro politico italiano, il principale obiettivo strategico comunque perseguito).

Venendo alle tradizionali ipotesi previste in merito ad una presa di potere comunista (attacco esterno, insurrezione interna sorretta da un appoggio sovietico, mezzi legali), la versione disponibile del documento è pesantemente censurata; in essa non appare dunque alcun riferimento alle ultime due ipotesi e, nel caso della prima, il riferimento va, come già nell'NSC67/3, alla garanzia fornita dal Trattato Nord Atlantico. Non è dato sapere quindi cosa sarebbe successo nelle altre due ipotesi.

Si arriva così all'NSC6014 del 16 agosto 1960 in cui la parte analitica era approfondita ulteriormente secondo le linee già tracciate dall'NSC5411/2. Il documento rilevava ancora una volta come, a partire dalle elezioni del 1953, l'instabilità politica di governo fosse stata accentuata dalle spaccature interne al partito di maggioranza, dall'incapacità di formare coalizioni di governo durature e dalla differenza di opinioni esistenti nelle varie forze democratiche sulla credibilità di una partecipazione socialista al governo.

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Per questo si auspicava l'appoggio all'evoluzione del PSI verso posizioni autonome rispetto al PCI e filo-occidentali. Finché tale cambiamento non fosse stato palese, l'influenza del PSI sulla politica estera e sulla politica di difesa nazionale doveva essere contrastata.

Il maggiore pericolo, stando così la situazione, era

"che le forze politiche ed economiche conservatrici e quelle clericali costituissero con le forze neofasciste un Fronte nazionale contrapposto a un Fronte popolare, guidato dai comunisti, comprendente le classi lavoratrici e gli elementi democratici della sinistra moderata"[9].

In sostanza, pur riconoscendo, come era stato dichiarato nel NSC 5411/2, che un regime autoritario sarebbe stato meno pericoloso nel breve periodo per gli interessi della politica estera americana, si affermava che nel lungo periodo avrebbe avuto un effetto deleterio, aggravando le frizioni interne e rafforzando in ultima analisi lo stesso partito comunista.

Per quanto riguarda la parte punitiva, la censura impedisce anche in questo caso di valutare appieno il significato del documento. Non è chiaro infatti se le misure prese in considerazione per contrastare l'avvento con mezzi legali o illegali del PCI al governo fossero solo di tipo non militare (come appare dal testo) o non comprendessero invece altri tipi di interventi (eventualmente censurati).

Va comunque sottolineato che una versione aggiornata dello stesso documento (NSC6014/1 del 19 gennaio 1961) escludeva l'ipotesi di azioni militari in questa circostanza almeno che non fossero attuate di concerto con altri alleati europei.

La lettura dei documenti attinenti l'Italia negli anni '50 sembra dunque screditare l'ipotesi di un intervento militare diretto americano automatico in caso di avvento del PCI al governo con mezzi legali o illegali.

Rimanevano in piedi le tattiche elaborate fin dal 1948 dello stesso NSC per fronteggiare il pericolo comunista a livello mondiale.

Si trattava di quelle che vennero definite covert operations nella direttiva NSC 10/2 del 18 giugno 1948: erano misure che avrebbero affiancato le attività all'estero di carattere ufficiale e per le quali, a differenza di queste, non doveva essere possibile risalire alla responsabilità del governo americano.

Si trattava, cioè, di operazioni legali e illegali di cui il Governo avrebbe avuto la paternità, ma non avrebbe assunto la responsabilità.

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La tipologia di queste operazioni era assai vasta. Si trattava di

"propaganda, guerra economica; azione preventiva diretta, comprendente il sabotaggio, l'antisabotaggio, misure di demolizione ed evacuazione; sovversione contro Stati ostili, comprendente assistenza a movimenti clandestini di resistenza, a gruppi di guerriglia e di liberazione di rifugiati, nonché appoggio ad elementi indigeni anticomunisti nei paesi del mondo libero minacciati"

 

"Tali opinioni (...) non dovranno includere conflitti armati condotti da forze militari riconosciute, spionaggio, controspionaggio, copertura e occultamento di azioni militari"[10].

 

Responsabile di questo tipo di operazioni era la nuova branca della CIA, l'Office of Special Projects; solo in caso di guerra, o quando il Presidente degli Stati Uniti lo avesse richiesto, i piani per le covert operations (operazioni coperte) sarebbero stati coordinati con i Joint Chiefs of Staff.

Ciò significa che la CIA godeva, in questo campo e in tempo di pace, della massima discrezionalità.

Questa direttiva, modificata secondo termini che rimangono sconosciuti (NSC10/5, non rinvenuta), rimase in vigore fino al marzo 1954, quando venne approvato un nuovo documento riguardante le covert operations che, nel frattempo, erano diventate un cavallo di battaglia della nuova amministrazione Eisenhower. Le attività delle aree dominate o minacciate dal comunismo internazionale venivano in questo documento specificate con chiarezza (e senza censure).

Si trattava di

"sviluppare una resistenza clandestina, favorire operazioni coperte e di guerriglia ed assicurare la disponibilità di tali forze nel caso di conflitto bellico, compreso sia l'approntamento, ovunque praticabile, di una base a partire dalla quale l'esercito posa espandere, in tempo di guerra, il suddetto tipo di forze nell'ambito di teatri attivi delle operazioni, sia l'approntamento di strutture stay behind e strumenti per l'evasione e la fuga"[11].

La novità del documento non consisteva solo nel prevedere la creazione di "Stay-behind assets" ("strutture stay behind", cio’ “stare indietro”) poggiati su basi costituite nei vari paesi fin dal tempo di pace per attivarle in tempo di guerra, ma anche nel

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preconizzare la collaborazione fra CIA e militari non solo in caso di conflitto (come risultava dal documento precedente).

Questo aspetto venne ulteriormente chiarito in una revisione del NSC 5412, ovvero l'NSC 5412/2 del 28 dicembre 1955, in cui si prospetta la necessità per la CIA di avvisare il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Difesa, nonché un rappresentante dello stesso Presidente riguardo alle attività intraprese sotto il titolo di covert operations.

La discrezionalità della CIA era cioè fortemente ridotta e la corresponsabilità degli organi consultanti parallelamente accresciuta. Il punto chiave della collaborazione tra CIA e militari era la disponibilità delle basi di appoggio per le attività clandestine da attuarsi in territori comunisti o minacciati dal comunismo.

L'Italia ricadeva in quest'ultima categoria.

 

La situazione politica italiana nell'immediato dopoguerra

Un quadro d'insieme emerge quindi con sufficiente chiarezza, malgrado il persistere di marginali zone grigie, la cui ricostruzione storica non è allo stato ancora possibile. William Colby, che fu capo della CIA dal 1973 al 1976, riferendosi al 1948 scrive:

 

"La possibilità di una presa del potere comunista in Italia come risultato elettorale aveva preoccupato molto gli ambienti politici di Washington prima delle elezioni italiane del 1948. Anzi, era stata soprattutto questa paura a portare alla creazione dell'Office of Policy Coordination, che dava alla CIA la possibilità di intraprendere operazioni politiche, propagandistiche e paramilitari segrete"[12].

 

Che tanto sia poi avvenuto non può dirsi con certezza, anche se alcune organizzazioni, sorte in quegli anni, sembrano riconducibili ad un intervento diretto o indiretto degli Stati Uniti o comunque di organizzazioni para governative occidentali.

Documentazione ufficiale è disponibile, come meglio si vedrà in seguito, soltanto su "Pace e Libertà". Per altre associazioni è legittimo il sospetto che possa esservi stato un finanziamento occulto da parte degli Stati Uniti.

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Peraltro, nel delineare lo scacchiere internazionale in cui l'Italia veniva ad inserirsi - per coglierne i riflessi e le influenze non solo sulla storia ufficiale del paese (e cioè nel succedersi degli eventi che furono democraticamente conoscibili all'atto del loro verificarsi), ma anche su eventi che restarono occulti perché parte di una storia sotteranea, che oggi appare possibile ricostruire sia pure per grandi linee, ma comunque su base almeno documentale - non appare neppure revocabile il dubbio che politica analoga a quella statunitense (di cui è stato più e più volte sottolineato il carattere imperiale) sia stata perseguita dall'Unione Sovietica, non solo - e in maniera esplicita, dato il carattere non democratico, ma dispotico, dei relativi ordinamenti - nei paesi aderenti al Patto di Varsavia, ma anche - e in maniera occulta - all'interno del blocco occidentale e in particolare in luoghi (come l'Italia) di frontiera, sotto forma di aiuti anche finanziari ai partiti comunisti nazionali o a gruppi a questi interni.

Nella X legislatura, all'interno del dibattito in Commissione che condusse all'approvazione della prerelazione sull'inchiesta in ordine alle vicende connesse all'operazione Gladio, fu acutamente sottolineata la difficoltà di comprendere le vicende più recenti relative alla strategia della tensione e delle stragi nel nostro paese, senza fare fino in fondo i conti con il quadro uscito dalla seconda guerra mondiale, e cioè non soltanto con la divisione del mondo in due sfere di influenza, ma anche con il processo ulteriore che

condusse in brevissimo tempo:

-alla sistematica soppressione della sovranità dei paesi collocati nella sfera di influenza sovietica, con la formazione di regimi autoritari prima, totalitari poi;

-alla progressiva e rapida instaurazione nei paesi del blocco occidentale di una situazione sostanziale di sovranità limitata.

E' pur vero che in questi ultimi ci fu uno Stato di diritto, una democrazia pluralista e uno scontro sociale e politico. Ma se ciò appartenne alla storia palese dei singoli paesi, vi era però negli stessi un limite invalicabile e ufficialmente non scritto (ancorché risultante anche indirettamente da documenti destinati a lungo a restare segreti, e ancora oggi in parte non noti): l'impossibilità di mutare gli assetti politici realizzati nei paesi della sfera di influenza.

Su tali basi e con specifico riferimento alla situazione italiana (fortemente segnata dalla presenza da un lato dello Stato Vaticano, dall'altro del maggior partito comunista occidentale) non appare enfatizzato affermare, con riferimento all'immediato dopoguerra, l'instaurarsi di una situazione che fu per alcuni anni al limite di una guerra civile, sia pur latente e potenziale; e ciò almeno come situazione vissuta dalle forze politiche che ne sono state protagoniste con l'inizio della guerra fredda e con l'uscita delle forze di sinistra dal governo De Gasperi.

Vuol cioè riferirsi ad una situazione di simmetrica diffidenza degli opposti schieramenti politici rispetto alla volontà

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reciprocamente dichiarata di mantenimento della democrazia, fase che si prolunga sicuramente fino alla metà degli anni cinquanta anche se le datazioni sono probabilmente diverse per le varie forze politiche.

Ciò perché soprattutto nella vigilia delle elezioni politiche del 1948 nessuna delle due parti era sicura che la forza vittoriosa avrebbe rispettato e garantito sino in fondo il sistema democratico: da una parte mettendo fuori legge il partito comunista, come invece non è stato; dall'altra, temendo che, se avesse prevalso il Fronte popolare, sarebbe accaduto qualcosa di analogo a quanto si era verificato a Praga.

E' una realtà documentata e documentabile anche attraverso testimonianze dirette, non smentite, nel riconoscere che, in seno a tutte o quasi le forze politiche, dopo la fine della seconda guerra mondiale, gruppi o nuclei di aderenti continuarono per alcuni anni a comporre strutture clandestine parallele armate.

Tale realtà[13] è stata peraltro rimossa nei decenni successivi, perché ritenuta inconfessabile a fronte degli ideali democratici che medio tempore avevano avuto - con il decisivo concorso delle forze e di maggioranza e di opposizione - realizzazione quasi piena in istituzioni che andavano mano a mano consolidandosi; rimozione che ha indubbiamente pesato - e in parte ancora pesa - nel ritardo con cui si è proceduto alla lettura di tragici eventi successivi, che pure da quella realtà rimossa furono indubbiamente influenzati.

Le strutture paramilitari nell'immediato dopoguerra E' quindi coerente con la situazione internazionale ed interna sin ora delineata la costituzione in territorio italiano e prevalentemente nelle zone adiacenti al confine orientale, di formazioni paramilitari segrete.

Per vero l'unica organizzazione sulla quale sia stato possibile reperire ampia documentazione è la "Osoppo", sulla quale la Commissione ha già riferito al Parlamento nelle relazioni sul caso Gladio e sulla quale, anche per compiutezza espositiva si tornerà più diffusamente nelle pagine successive (Vedi caso Gladio).

Vi sono, comunque, tracce dell'esistenza di altre strutture segrete, sulle quali la Commissione non è riuscita a raccogliere se non scarne informazioni.

Un’organizzazione era denominata "Fratelli d'Italia" e sembra sorta a seguito dello scorporo di cinque battaglioni dell'ex "Osoppo Friuli", come si evince da un documento a firma dell'allora Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, indirizzato alle massime autorità dello Stato[14].

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Non sono stati trovati altri riscontri, tranne che in un passo di un volume storiografico nel quale sono rievocate le vicende del confine orientale nell'immediato dopoguerra. In esso è riportato un rapporto del questore di Udine al capo della polizia, Luigi Ferrari, nel quale si afferma:

 

"Le autorità a cui si fa carico di distribuire armi agli Osovani si identificano negli esponenti delle disciolte formazioni partigiane della Divisione Osoppo-Friuli, i quali, con l'acquiescenza dei comandi alleati avevano provveduto [...] alla organizzazione dell'associazione 'Fratelli d'Italia' [...] nonché alla creazione, in seno ad essa, di squadre armate con il compito precipuo di impedire o perlomeno di ostacolare le continue infiltrazioni in questa provincia di emissari e di armati slavi"[15].

 

Un'altra organizzazione segreta dovrebbe essersi denominata "Duca", di cui è traccia, nella documentazione a suo tempo sequestrata dalla Procura di Roma presso gli archivi della VII Divisione del Sismi.

E' logicamente ipotizzabile che il riferimento ad "accordi preesistenti" contenuto nel noto protocollo di intesa del 28 novembre 1956 tra il servizio italiano e quello statunitense possa riferirsi anche a queste strutture, come confermerebbe anche il documento inviato dal Presidente del Consiglio Andreotti a questa Commissione il 17 ottobre 1990, laddove si afferma che, con l'intesa del 1956,

 

"furono confermati tutti i precedenti impegni intervenuti tra l'Italia e gli Stati Uniti".

 

Su ben più ampia base documentale può invece essere ricostruita - nella sua indubbia significatività - la storia della principale organizzazione paramilitare del periodo e cioè la "Osoppo" che sorge nel gennaio 1946, per iniziativa dei dirigenti della preesistente formazione partigiana "Osoppo-Friuli", nell'atmosfera di tensione che continuò a regnare al confine jugoslavo anche dopo la conclusione della guerra.

Secondo una relazione stilata dal capo dell'organizzazione stessa, col. Luigi Olivieri, nel gennaio 1946, i capi della disciolta formazione partigiana[16], dinanzi alla situazione di tensione che si era creata nella zona di confine, si riunirono sotto la guida dello stesso Olivieri

 

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"dandogli l'incarico di riarmare in segreto i più fedeli osovani e simpatizzanti, di ordinarli in reparti per la difesa delle popolazioni di frontiera e nello stesso tempo ne informarono l'allora Capo di Stato meggiore dell'Esercito signor Generale di Corpo d'Armata Raffaele Cadorna, già comandante del Corpo volontari della Libertà"[17].

 

Il col. Olivieri provvide a riarmare gli uomini

 

"con armi provenienti dai recuperi e con quelle che non furono versate nel 1945"[18].

 

Dopo due mesi la struttura era già di 2.150 uomini[19].

D'altro canto, la struttura nasceva con intenti non solo difensivi, se tra i compiti fissati nell'aprile 1946 risulta anche quello di

 

"far affluire un certo quantitativo di armi e munizioni a Pola, Trieste e Gorizia"[20].

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L’alleanza tra Gladio e Loggia P2L’alleanza tra Gladio e Loggia P2

L’esistenza di una loggia massonica coperta, denominata "Propaganda 2", emerge nel marzo del 1981 quando, indagando sul caso Sindona, i magistrati di Milano, Turone e Colombo, sequestrano molti documenti nella villa e negli uffici aretini di Licio Gelli, grande maestro della massoneria, un personaggio dal passato quanto mai ambiguo.Tra quei documenti una lista di 953 nomi, per lo più di esponenti politici, alti ufficiali, personaggi del mondo economico e uomini dei servizi segreti, tutti raccolti in una loggia segreta, potente strumento di intervento nella vita del Paese. Licio Gelli ed alcuni suoi consulenti avevano anche stilato un "piano di Rinascita Democratica" che, attraverso il controllo dei mass media, mirava alla normalizzazione dei sindacati, al controllo della magistratura e al rafforzamento in senso autoritario del potere istituzionale.La Loggia P2 si delinea così come un potere parallelo forse addirittura in grado di promuovere e gestire la strategia della tensione, mirata  a minare la struttura democratica del Paese. Il dubbio che a tutt’oggi rimane è che in realtà quella che è stata scoperta è soltanto una parte, la meno influente, della loggia e che il potere cospirativo ed occulto della massoneria riservata sia continuato negli anni.

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Cosa è la P2?Cosa è la P2?

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Siamo nel 1978. Il Gran Maestro Lino Salvini, travolto dalle notizie della stampa, rassegna le dimissioni in anticipo sulla scadenza naturale del mandato. Alla decisione non è estranea la volontà della potente massoneria statunitense. La campagna stampa che imperversa in Italia contro la gestione del gruppo massonico e le forti denunzie di diversi fratelli (tra i quali Siniscalchi) allarmano gli alleati muratori d'oltreoceano che decidono di istituire una " commissione d'inchiesta " per verificare la fondatezza delle accuse lanciate contro il Grande Oriente d'Italia ed il suo Gran Maestro. La presidenza della commissione viene affidata a Charles Frossel, ex Gran Maestro della Gran Loggia di New York e giudice ormai in pensione.

Anche Salvini viene convocato a New York per essere sentito, ma ogni sua difesa risulterà vana. La commissione subordinerà il mantenimento del riconoscimento della massoneria americana al gruppo italiano soltanto se questo sostituirà il Gran Maestro. Lino Salvini, perciò, è costretto a dimettersi. Ed al momento del suo congedo rivolge parole sprezzanti contro i fratelli americani «che hanno interferito sulla nostra massoneria». Esorta ad «interrompere i rapporti con gli Stati Uniti perché queste Grandi Logge non hanno veste per entrare nei nostri forti». Ma la polemica del fiorentino Salvini è inutile.

Si riapre la corsa alla gran maestranza. Le agitazioni dei fratelli sono visibili. Le aspettative anche. Giordano Gamberini presenta la sua candidatura convinto della propria nuova elezione. L'incontro per le votazioni è piuttosto movimentato. Viene eletto a sorpresa Ennio Battelli, ex generale dell'aeronautica. Gamberini, però, nonostante la sconfitta elettorale, continua a mantenere un certo prestigio tra tutti i fratelli.

Durante gli otto anni della gran maestranza di Salvini aveva continuato a tenere i rapporti con gran parte delle massonerie estere. Sempre lui aveva proseguito nella direzione della "Rivista massonica". Ancora lui aveva provveduto a gran parte delle iniziative editoriali del Grande Oriente d'Italia. Battelli decide di confermare le posizioni dell'ex Gran Maestro. Gamberini mantiene così la direzione della "Rivista massonica" e gli viene affidato l'incarico di curare e dirigere le nuove pubblicazioni massoniche del gruppo. Ma, fattore importante per le sorti internazionali della comunione, sarà ancora Gamberini ad essere presente nei delicati rapporti con le massonerie estere e, prima tra tutte, con la Gran Loggia Unita d'Inghilterra.

Così come per i precedenti Gran Maestri, anche a Battelli, nella sua nuova qualità, devono essere trasmessi "all'orecchio" i nomi dei "fratelli coperti". Salvini, allora, gli rappresenta la situazione della loggia Propaganda 2. Gli illustra la posizione di Gelli. Lo informa dei suoi compiti e funzioni. Specifica, inoltre, che Gelli svolge il suo operato

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per delega del Gran Maestro. E Battelli conferma questa delega, legittimando Licio Gelli a continuare a trattare direttamente con i fratelli coperti e, su suggerimento dello stesso Gamberini, avalla la sua presenza durante le nuove iniziazioni. Di fatto viene confermata la situazione precedente, quella che si era determinata sotto Salvini. Quella voluta da Gelli. Il vortice delle iniziazioni riprende. Nuovi fratelli affluiscono nella ormai numerosissima loggia P2. Coprono quasi tutti i settori della vita politica, economica e sociale italiana. Ma sono sempre di più. E la gestione degli stessi appare più difficile. Gelli sviluppa una nuova soluzione. Un decentramento degli affiliati in circoscrizioni territoriali: tutti i fratelli saranno ripartiti in gruppi regionali. Con un riferimento unico: il nuovo "Centro studi e documentazione per la cooperazione europea" da lui costituito, con sede a Roma. Gelli lo propone a Battelli. E lui accetta. Il "Centro" si insedia nei locali di via S. Giovanni Battista Vico 20.

Gli affiliati sono sempre più numerosi. Molti si rivolgono a lui per ottenere favori e segnalazioni. C'è chi chiede anche di essere assunto come il giornalista Roberto Gervaso, definito come «una delle figure più servili tra quelle affiliate» (Flamigni S.), che invoca l'intervento di Gelli per entrare nel Corriere della Sera: «Caro Licio... bisogna premiare gli amici. Ti abbraccio. Tuo Roberto» (in Commissione parlamentare d'inchiesta P2 , vol. 3, tomo 5, parte III, pag. 12). Poi lo ringrazia attestandogli solidarietà: «Ho letto i calunniosi attacchi che la stampa cosiddetta progressista ti ha fatto. Mi dispiace e ti sono vicino» (in Commissione parlamentare d'inchiesta P2, vol. 1, tomo 3, pagg. 158-159).

Secondo i giudici bolognesi Libero Mancuso e Attilio Dandini, Gelli nel luglio 1978 dispone di un ufficio annesso al Ministero della Difesa, di cui diffonde il recapito telefonico (4759347), e da cui gestisce i rapporti tra massoneria e servizi segreti, col nome in codice "Filippo". Da anni riceve i suoi ospiti anche nel lussuoso appartamento 127 dell'Hotel Excelsior, che si trova in via Veneto a fianco dell'ambasciata statunitense. E' poi consigliere economico dell'ambasciata Argentina a Roma. Nei giorni del rapimento del Presidente della DC Aldo Moro, Emilio Santillo, direttore dell'Ispettorato anti-terrorismo, organizza un'operazione nell'aretino, richiedendo al questore di Arezzo informazioni su Gelli. Nei mesi seguenti la struttura di sicurezza di Santillo viene sciolta.Le schiere dei fratelli diventano intanto sempre più serrate e rappresentano un preciso spaccato della realtà del nostro paese. Ai politici si affiancano gli imprenditori. Agli industriali i giornalisti. Agli artisti gli uomini di cultura. Gelli parla con loro. Ascolta le loro richieste. Avverte le tante esigenze. Ne diventa il confessore, il consigliere, l'amico. Assurge ad arbitro e giudice dei malumori del paese. Vuole per questo qualcosa di più. Si convince di essere il novello paladino dell'ordine democratico, ultimo baluardo all'avanzata comunista.

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Elabora anche uno "schema di massima per un risanamento generale del Paese" che chiama "Schema R". Lo presenta pure al Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, che riceve Gelli al Quirínale accompagnato da Salvini. Poi sviluppa un "Memorandum sulla situazione politica in Italia" ed infine il "Piano di rinascita democratica". Inneggia ad una repubblica presidenziale. Propone una riduzione del numero dei parlamentari, la abolizione della loro immunità. Suggerisce la sostituzione del servizio militare di leva con quello volontario. Prevede anche una riforma del sistema burocratico e della stessa Carta costituzionale. Precisa poi che il suo "Piano" deve essere inteso quale unico modo per rendere efficiente la nazione e salvaguardarla dai temuti comunisti.Gelli non rimane isolato nelle sue proposizioni. Molti dei suoi affiliati ne condividono l'impostazione. Il vuoto delle istituzioni si avverte sempre più. Gli organi preposti a governare e rappresentare il paese non riescono a soddisfare le aspettative dei cittadini. È sicuro di sé. Al termine del 1980, il 5 ottobre, presenta il suo progetto sulle pagine del "Corriere della Sera" (gruppo Rizzoli) in occasione di un'intervista a tutta pagina rilasciata a Maurizio Costanzo, giornalista affiliato alla stessa loggia P2 che, come testimonierà Angelo Rizzoli, «entrò nel gruppo Rízzoli su precisa raccomandazione e segnalazione di Licio Gelli» e che poi è nominato direttore della "Domenica del Corriere" e del quotidiano "L'Occhio", il cui logo ricordava la simbologia massonica.

Il pezzo, apparso in terza pagina, è intitolato: "Parla per la prima volta il signor P2" - occhiello: "Il fascino discreto del potere nascosto" - con la foto di Gelli tra le immagini di Garibaldi e Cagliostro. Nell'intervista Gelli definisce la sua loggia un «centro che accoglie e riunisce solo elementi dotati di intelligenza, di un alto grado di cultura e di saggezza per rendere migliore l'umanità». Poi rende per la prima volta pubblica la sua ricetta per il paese, quella del "Piano di riuscita democratica". Alla domanda "Cosa vuol fare da grande?" il Maestro venerabile risponde: "Il burattinaio".

I riscontri all'intervista non sono del tutto negativi. Ma il suo nome circola già da troppo tempo in molti ambienti. Lo ritrovano tra le loro carte anche Giuliano Turone e Gherardo Colombo, giudici del tribunale di Milano, che stanno indagando (con l'aiuto del palermitano Giovanni Falcone) su alcuni aspetti del falso rapimento di Michele Sindona avvenuto nel '79. Sono alla caccia della "lista dei 500": i famosi correntisti («personaggi in vista della finanza e della politica») per i quali il banchiere siciliano avrebbe trasferito ingenti somme su banche estere sottraendoli così al crac della sua Banca Privata Finanziaria. Alle ore 9 del 17 marzo del 1981, su mandato dei magistrati, ufficiali della Guardia di Finanza di Milano si presentano presso gli uffici dello stabilimento Giole di Castiglion Fibocchi dove, in assenza di Licio Gelli, consegnano alla sua segretaria, Carla Venturi, l'ordine di perquisizione firmato dal giudice

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Turone. Contemporaneamente iniziano altre perquisizioni negli uffici ed abitazioni di Arezzo, Frosinone e Roma.Nella villa di Arezzo (villa Wanda) il custode ritarda l'inizio delle operazioni perché dichiara di non avere le chiavi. Stessa storia negli uffici di Castiglion Fibocchi, dove la segretaria di Gelli afferma di non essere in possesso delle chiavi della scrivania di Gelli e di una grossa valigia presente nella stanza. Ma è tutto inutile. I finanzieri riescono a rintracciare la figlia di Gelli, Maria Grazia, che apre il portone di villa Wanda, mentre alcune chiavi mancanti presso gli uffici della Giole vengono rintracciate in un mobile portatelefono. I documenti che emergono appaiono scottanti. I militari rinvengono un indirizzario in cui sono inseriti i recapiti di Giulio Andreotti (ex e futuro Presidente del consiglio DC), dell'ex primo ministro democristiano Emilio Colombo e del futuro presidente della Repubblica Francesco Cossiga (DC) e un indice dell'archivio personale contenente ben 426 dossier. I fascicoli sono in gran parte intestati: «Calvi Roberto - vertenza con Banca d'Italia», «Accordo riservato Calvi - Pesenti stipulato a Zurigo», «Accordo finanziario Flaminio Piccoli - Rizzoli», «Contratto Eni - Petromin», «Accordo gruppo Rizzoli - Caracciolo - Scalfari», «Copia cambiale firmata da Rizzoli a favore di Calvi in garanzia cessione azioni Sorrisi e Canzoni». Vengono rinvenute anche grandi buste chiuse con sovraimpressa la scritta «Segreto».

Durante la perquisizione giunge una telefonata di Gelli che riesce a parlare segretamente con la sua segretaria. Ma la telefonata è registrata. Gelli è preoccupato. Vuole conoscere il contenuto del mandato, quali stanze dell'ufficio sono state perquisite. Quali documenti sono stati raccolti.

Nel frattempo i finanzieri riescono a farsi consegnare la chiave della cassaforte e la aprono. C'è una busta intitolata «Documentazione per la definizione del gruppo Rizzoli», un fascicolo con la scritta «Generale Alexander Haig» ed un elenco di 962 presunti iscritti alla loggia P2. I nominativi che appaiono sono troppo importanti.Dopo una settimana i magistrati milanesi inviano al presidente del Consiglio Arnaldo Forlani l'elenco dei 962 nominativi perché decida in merito.

Forlani è preoccupato. Nell'elenco appaiono anche i nomi di tre dei suoi ministri: Adolfo Sarti (Grazia e Giustizia), Enrico Manca (Commercio Estero) e Franco Faschi (Lavoro). Ed anche il capo di gabinetto dello stesso Forlani, Mario Semprini. Ci sono poi tre sottosegretari e 38 parlamentari: quattordici della DC, sei del PSI (tra cui il Capogruppo alla Camera, Silvano Labriola), tre del PSDI (tra cui il segretario Pietro Longo), tre del PLI, due del PRI e quattro del MSI. Si consulta, chiede pareri, appare indeciso. Infine, a distanza di circa due mesi, il 20 maggio decide di rompere il riserbo. Scoppia lo scandalo. La lista degli iscritti alla Loggia, trasmessa alla Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Sindona, viene resa pubblica con enorme scalpore. Tutti i citati nell'elenco

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smentiscono la propria appartenenza alla P2, eccetto il deputato del PSI Fabrizio Cicchitto e il giornalista Maurizio Costanzo, ex direttore del fallimentare quotidiano L'Occhio e dell'effimero TG Contatto. Sono nell'elenco uomini dei Ministeri del Commercio estero, del Tesoro, della Difesa, degli Esteri, dell'Industria e dell'Interno, della Corte di Cassazione e del Consiglio superiore della Magistratura, di ENI, Finsider, e Selenia, del Mattino di Napoli e della RAI, di BNL, Banco di Napoli, Banco di Roma, Credito Agrario, Monte dei Paschi di Siena e ICCREA. In totale, solo nelle strutture pubbliche, tre prefetti, quattro questori, 16 magistrati e 153 funzionari ministeriali. Nella lista ci sono ben otto ammiragli, 41 colonnelli e 43 generali, ripartiti come segue: sei ufficiali della Polizia, nove dell'Aeronautica, 29 della Marina, 37 della Guardia di Finanza, 50 dell'esercito e 56 alti gradi dei Carabinieri, tra cui il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia a Palermo nell'80. Durante le indagini milanesi i generali Picchiotti e Columbro confessano ai magistrati che il generale dei Carabinieri Enrico Mino (scomparso nel novembre '77 in un incidente aereo in Calabria), prima di consegnare il proprio rapporto sull'evasione del nazista Herbert Kappler alla magistratura, lo fece leggere a Gelli, che "lo aveva convocato". Ma e probabile che gli iscritti siano di piu dei 962 accertati. Analizzando il conto "primavera" della Banca popolare dell'Etruria, su cui Gelli depositava le quote, si possono calcolare 2700 affiliati divisi in 17 gruppi autonomi.

Il 27 maggio il governo presieduto da Arnaldo Forlani (ministro della Difesa il socialista Lelio Lagorio, ministro dell'Interno il democristiano Virginio Rognoni) decide la sospensione di tutti i militari iscritti. Ma non basta. A causa del ritardo nella pubblicazione della lista il Governo è costretto a dimettersi. Il 28 maggio la polizia uruguayana sequestra nell'abitazione di Gelli a Montevideo, un archivio di 1.343 fascicoli, tra cui almeno 100 dossier redatti dal disciolto servizio segreto militare del generale Giovanni De Lorenzo. Nell'archivio di Gelli ci sono documenti sulle operazioni di export illecito di capitali della Centrale, la finanziaria del Banco Ambrosiano diretto da Roberto Calvi, che viene arrestato. L'Avanti, quotidiano socialista, pubblica un editoriale in cui si afferma che dietro il "Belfagor" Gelli dev'esserci un "Belzebu" rimasto nell'ombra. A fine mese sul Corriere della Sera esce un invito ai giornalisti coinvolti nello scandalo a farsi da parte. Lo firma Enzo Biagi, che poco dopo lascerà il giornale. Si dimettono dal loro incarico il direttore dello stesso Corriere, Franco Di Bella, e il direttore del GR2, Gustavo Selva.

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Negli elenchi pubblicati i nomi che si leggono sono tanti. Ed illustri. Ministri ed ex ministri, sottosegretari e parlamentari, segretari di Partito ed alti magistrati, gli stessi vertici dei servizi segreti. Accanto a quelli di banchieri, industriali, editori ed imprenditori appaiono anche i nomi di alti ufficiali di tutte le forze armate. Troppi. La protesta insorge nel Paese. In molti si pongono la domanda: cos'è la P2?

Lo stesso presidente del Consiglio Forlaní si chiede se la loggia "Propaganda 2" sia una società segreta e dà incarico a tre illustri giuristi di formulare un parere. Aldo Sandulli (già presidente della Corte Costituzionale), Vezio Crisafulli (già giudice della Corte Costituzionale) e Lionello Levi Sandri (già presidente del Consiglio di Stato) si mettono al lavoro.Lo scandalo però assume proporzioni gigantesche che travolgono lo stesso governo che, come abbiamo visto, è costretto a dimettersi. Il senatore repubblicano, Giovanni Spadolini riceve l'incarico di formare il nuovo governo. Nel frattempo i tre saggi si incontrano e litigano. Non sono d'accordo tra di loro. Non riescono a formulare un parere unanime. Infine rassegnano al nuovo presidente del Consiglio le loro conclusioni con il dissenso di Vezio Crisafulli: la loggia P2 deve essere considerata una associazione segreta. È il 13 giugno 1981. Esplodono le contese. Sulla conclusione, seppur non unanime dei costituzionalisti, intervengono polemici altri noti studiosi. Ma dopo circa un mese il governo Spadolini sottopone alle Camere lo scioglimento della loggia P2. La proposta diventa legge dello Stato.L'«emergenza morale» della quale parla Spadolini e sulla quale poggia il suo programma di governo si abbatte sull'intero Parlamento. Alle crescenti polemiche Spadolini risponde con forza esclamando che la P2 ha «rivelato un profondo decadimento morale e gravi alterazioni e distorsioni nei meccanismi istituzionali».Nel frattempo vengono pubblicati i nominativi degli affiliati, additati al pubblico disprezzo. Il Grande Oriente d'Italia non prende posizione preferendo il silenzio. Gelli protesta. Accusa il Grande Oriente di volerlo abbandonare in un momento di estrema difficoltà. Paventa le gravi ripercussioni che potrebbero abbattersi sull'intera famiglia massonica. Ribadisce la regolarità della loggia sancita dal consenso di diversi Gran Maestri: Gamberini, Salvini e Battelli. Sostiene la legittimità della P2. Si appella ad i dettati normativi. Accusa la "Giunta" del Grande Oriente ed anche il Gran Maestro. Poi si dimette. È l'ottobre del 1981. All'interno della famiglia massonica è già stata decisa la condanna del fratello Licio Gelli, colpevole di avere trascinato l'istituzione in una ormai insostenibile situazione da cui filtra il disprezzo e gli antichi rancori dei quali si legge in tutti i giornali nazionali. Si celebra il processo massonico, e la "Corte Centrale" del Grande Oriente d'Italia decreta l'espulsione di Licio Gelli. Ma le accuse incalzano. La campagna giornalistica antimassonica è sempre più violenta. Non si operano differenze.

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Tutta la massoneria italiana è posta alla medesima stregua della loggia P2. Gli strali dell'opinione pubblica si abbattono su tutto il gruppo. Lo stesso Gran Maestro Battelli dichiara la sospensione dei lavori in loggia. Ne informa il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, lamentando il mancato rispetto delle più elementari regole costituzionali. Ricorda anche le persecuzioni subite dalla massoneria durante il periodo fascista.Ma neanche il Gran Maestro è immune dal ciclone che ha investito la famiglia. Vengono infatti formulate "tavole d'accusa" (le richieste di processo massonico) anche nei suoi confronti e del suo predecessore Lino Salvini.Nel settembre dello stesso anno viene anche nominata una "Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2". La presidenza viene assunta dall'on. Tina Anselmi. Ma mentre i lavori della "Commissione" sono ancora in corso, l'opinione pubblica ha già condannato la potente loggia e l'associazione massonica in genere. Gli stessi partiti politici devono adeguarsi. Alcuni di questi dichiarano lo stato di incompatibilità tra gli affiliati alla massoneria ed i propri iscritti. La situazione si aggrava sempre più. La massoneria è definitivamente condannata. Lo stesso Grande Oriente non riesce ad assumere una posizione convincente.

In quel frangente tutti i fratelli d'Italia vengono richiamati alle urne per l'elezione del nuovo Gran Maestro perché il mandato di Battelli è scaduto.

Ennio Battelli si ricandida. Tuttavia viene eletto Armando Corona, medico, repubblicano, nato a Cagliari.Corona era stato presidente della "Corte centrale" (tribunale massonico) ed aveva firmato il provvedimento (di primo grado) di espulsione di Gelli dal Grande Oriente. Nel frattempo il processo massonico contro Gelli giunge anche nella sua fase di appello dove viene confermata la decisione precedente: Licio Gelli è definitivamente espulso dal Grande Oriente d'Italia. Ma l'allontanamento di Gelli non basta a normalizzare la situazione. Corona modifica il regolamento dell’Ordine per accreditarsi una nuova credibilità, ma le prerogative e i fini ultimi della Loggia rimangono gli stessi.

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IIL PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA DELLA P2L PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA DELLA P2

Quanto di questo programma è stato fino ad oggi realizzato?

 I

l Piano di rinascita democratica fu sequestrato all’aeroporto di Fiumicino nel sottofondo malamente camuffato di una valigia di Maria Grazia Gelli, figlia di Licio, che stava tornando in Italia da Nizza.

Il documento è databile attorno al 1976.

Dopo averli fatti rinvenire, Gelli ha avuto cura di introdurre nuovi elementi di confusione precisando, nel giugno del 1984, che il Piano di rinascita non è mai esistito. Esso era solo un insieme di appunti che dovevano servire da scaletta per una serie di articoli e relazioni.

“Non era altro – dirà lo stesso Gelli - che un'esposizione sullo stato della nazione, lecita per qualsiasi cittadino che voglia esprimere il suo punto di vista sull'andamento generale del paese".

 S

ta di fatto che – a ben vedere – alcuni obiettivi contenuti in quel Piano di Rinascita risultano oggi applicati. L

asciamo al lettore il giusto e la curiosità di scoprire quali. -

------------------------------------------- Q

uesto documento viene pubblicato mantenendo la stessa forma grafica dell’originale (spazi, sottolineature, titolazione, ecc.)  P

IANO DI RINASCITA DEMOCRATICA  P

REMESSA 1

)    L'aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema

2)    Il piano tende invece a rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori.

3)    Il piano si articola in una sommaria indicazione di obiettivi, nella elaborazione di procedimenti - anche alternativi - di attuazione ed infine nell'elencazione di programmi a breve, medio e lungo termine.

4) Va anche rilevato, per chiarezza, che i programmi a medio e

lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione -

successivi al restauro delle istituzioni fondamentali.

  

Page 38: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

OBIETTIVI

 

1) Nell'ordine vanno indicati:

a)    i partiti politici democratici, dal PSI al PRI, dal PSDI alla DC al PLI (con riserva di verificare la Destra Nazionale)

b)    la stampa, escludendo ogni operazione editoriale, che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto del Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV va dimenticata;

c)    i sindacati, sia confederali CISL e UIL, sia autonomi, nella ricerca di un punto di leva per ricondurli alla loro naturale funzione anche al prezzo di una scissione e successiva costituzione di una libera associazione dei lavoratori;

d)    il Governo, che va ristrutturato nella organizzazione ministeriale e nella qualità degli uomini da preporre ai singoli dicasteri;

e)    la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggi;

f)      il Parlamento, la cui efficienza è subordinata al successo dell'operazione

sui partiti politici, la stampa e i sindacati.

 

2) Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni

possibili sul piano della manovra di tipo economico-finanziario.

La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo.

 

 

 

Page 39: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

Governo, Magistratura e Parlamento rappresentano invece obiettivi successivi, accedibili soltanto dopo il buon esito della prima operazione, anche se le due fasi sono necessariamente destinate a subire intersezioni e interferenze reciproche, come si vedrà in dettaglio in sede di elaborazione dei procedimenti

3) Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell'operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l'eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unità.

Gli uomini che ne fanno parte debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale, tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale.

 

PROCEDIMENTI

1)    Nei confronti del mondo politico occorre:

a)   selezionare gli uomini - anzitutto - ai quali può essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva parte politica (Per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli);

b)   in secondo luogo valutare se le attuali formazioni politiche sono in grado di avere ancora la necessaria credibilità esterna per ridiventare validi strumenti di azione politica;

c)   in caso di risposta affermativa, affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti - con i dovuti controlli - a permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti;

d)   in caso di risposta negativa usare gli strumenti finanziari stessi per l'immediata nascita di due movimenti: l'uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l'altro sulla destra (a cavallo fra DC

Page 40: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

conservatori, liberali, e democratici della Destra Nazionale). Tali movimenti dovrebbero essere fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile in proporzione reciproca da 1 a 3 ove i primi rappresentino l'anello di congiunzione con le attuali parti ed i secondi quello di collegamento con il mondo reale. Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un'azione politica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche. Altrimenti il rigetto da parte della pubblica opinione è da ritenere inevitabile.

2)    Nei confronti della stampa (o, meglio, dei giornalisti)

l'impiego degli strumenti finanziari non può, in questa fase, essere previsto nominatim. Occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi, per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell'altro. L'azione dovrà essere condotta a macchia d'olio, o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi che conoscono l'ambiente.

Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di “simpatizzare” per gli esponenti politici come sopra prescelti in entrambe le ipotesi alternative 1c e 1d.

In un secondo tempo occorrerà:

 

a)   acquisire alcuni settimanali di battaglia;

b)   coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata;

c)   coordinare molte TV via cavo con l'agenzia per la stampa locale;

d)   dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna ex art.21 Costit.

 

3) Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria è fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioè le linee già esistenti dei gruppi minoritari della CISL e maggioritari dell'UIL, per poi agevolare la fusione con gli autonomi, acquisire con strumenti finanziari di pari entità i più disponibili fra gli attuali confederati allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all'interno dell'attuale trimurti.

 

 

Page 41: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

Gli scopi reali da ottenere sono:

 

a)    restaurazione della libertà individuale nelle

fabbriche e aziende in genere per consentire l'elezione dei consigli di fabbrica con effettive garanzie di segretezza del voto;

b) ripristinare per tale via il ruolo effettivo del sindacato di collaboratore del fenomeno produttivo in luogo di quello illegittimamente assente di interlocutore in vista di decisioni politiche aziendali e governative.

 

Sotto tale profilo, la via della scissione e della successiva integrazione con gli autonomi sembra preferibile anche ai fini dell'incidenza positiva sulla pubblica opinione di un fenomeno clamoroso come la costituzione di un vero sindacato che agiti la bandiera della libertà di lavoro e della tutela economica dei lavoratori. Anche in termini di costo è da prevedere un impiego di strumenti finanziari di entità inferiori all'altra ipotesi.

 4) Governo, Magistratura e Parlamento

E' evidente che si tratta di obiettivi nei confronti dei quali i procedimenti divengono alternativi in varia misura a seconda delle circostanze.

E' comunque intuitivo che, ove non si verifichi la favorevole circostanza di cui in prosieguo, i tempi brevi sono - salvo che per la Magistratura - da escludere essendo i procedimenti subordinati allo sviluppo di quelli relativi ai partiti, alla stampa ed ai sindacati, con la riserva di una più rapida azione nei confronti del Parlamento ai cui componenti è facile estendere lo stesso modus operandi già previsto per i partiti politici.

Per la Magistratura è da rilevare che esiste già una forza interna (la corrente di magistratura indipendente della Ass.Naz.Mag.) che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani su posizioni moderate.

E' sufficiente stabilire un raccordo sul piano morale e programmatico ed elaborare una intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter contare su un prezioso strumento, già operativo nell'interno del corpo anche ai fini di taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elemento di equilibrio della società e non già di evasione.

Page 42: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

Qualora invece le circostanze permettessero di contare sull'ascesa al Governo di un uomo politico (o di una èquipe) già in sintonia con lo spirito del club e con le sue idee di "ripresa democratica" è chiaro che i tempi dei procedimenti riceverebbero una forte accelerazione anche per la possibilità di attuare subito il programma di emergenza e quello a breve termine in modo contestuale all'attuazione dei procedimenti sopra descritti.

In termini di tempo ciò significherebbe la possibilità di ridurre a 6 mesi ed anche meno il tempo di intervento, qualora sussista il presupposto della disponibilità dei mezzi finanziari.

 

 PROGRAMMI Per programmi s'intende la scelta, in scala di priorità, delle numerose operazioni da compiere in forma di:

 

a)    azioni di comportamento politico ed economico;

b)    atti amministrativi (di Governo);

c)    atti legislativi; necessari a ribaltare –

concomitanza con quelli descritti in materia di procedimenti - l'attuale tendenza al disfacimento delle istituzioni e, con essa, alla disottemperanza della Costituzione i cui organi non funzionano più secondo gli schemi originali. Si tratta, in sostanza, di "registrare" - come nella stampa in tricromia - le funzioni di ciascuna istituzione e di ogni organo relativo in modo che i rispettivi confini siano esattamente delimitati e scompaiano le attuali aree di sovrapposizione da cui derivano confusione e indebolimento dello Stato.

A titolo di esempio, si considerino due fenomeni:

1)   lo spostamento dei centri di potere reale dal Parlamento ai sindacati e dal Governo ai padronati multinazionali con i correlativi strumenti di azione finanziaria. Sarebbero sufficienti una buona legge sulla programmazione che rivitalizzi il CNEL ed una nuova struttura dei Ministeri accompagnate da norme amministrative moderne per restituire ai naturali detentori il potere oggi perduto;

2)   l'involuzione subita dalla scuola negli ultimi lo anni quale

risultante di una giusta politica di ampliamento dell'area di

Page 43: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

istruzione pubblica, non accompagnata però dalla

predisposizione di corpi docenti adeguati e preparati nonché

dalla programmazione dei abbisogni in tema d'occupazione.

 

Ne è conseguenza una forte e pericolosa disoccupazione intellettuale - con gravi deficienze invece nei settori tecnici - nonché la tendenza ad individuare nel titolo di studio il diritto al posto di lavoro. Discende ancora da tale stato di fatto la spinta all'equalitarismo assoluto (contro la Costituzione che vuole tutelare il diritto allo studio superiore per i più meritevoli) e, con la delusione del non inserimento, il rifugio nella apatia della droga oppure nell'ideologia dell'eversione anche armata. Il rimedio consiste: nel chiudere il rubinetto del preteso automatismo: titolo di studio - posto di lavoro; nel predisporre strutture docenti valide; nel programmare, insieme al fenomeno economico, anche il relativo fabbisogno umano; ed infine nel restaurare il principio meritocratico imposto dalla Costituzione.

 

Sotto molti profili, la definizione dei programmi intersecherà temi e notazioni già contenuti nel recente Messaggio del Presidente della Repubblica - indubbiamente notevole - quale diagnosi della situazione del Paese, tendendo, però, ad indicare terapie più che a formulare nuove analisi.

Detti programmi possono essere resi esecutivi - occorrendo - con normativa d'urgenza (decreti legge).

 

a)    Emergenza a breve termine. Il programma urgente comprende, al pari degli altri, provvedimenti istituzionali (rivolti cioè a "registrare" le istituzioni) e provvedimenti di indole economico-sociale.

a1) Ordinamento giudiziario: le modifiche più urgenti

investono:

-         la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati;

-         il divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari;

-         la normativa per l'accesso in carriera (esami psico- attitudinali preliminari);

Page 44: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

-         la modifica delle norme in tema di facoltà di libertà

provvisoria in presenza dei reati di eversione – anche

tentata - nei confronti dello Stato e della Costituzione,

nonché di violazione delle norme sull'ordine pubblico,

di rapina a mano armata, di sequestro di persona e di

violenza in generale.

 

a2) Ordinamento del Governo

 

1-    legge sulla Presidenza del Consiglio e sui Ministeri

(Cost.art.95) per determinare competenze e numero

(ridotto, con eliminazione o quasi dei Sottosegretari);

2-    legge sulla programmazione globale (Costit.art.41)

incentrata su un Ministero dell'economia che ingloba

le attuali strutture di incentivazione (Cassa Mezz. –

PP.SS - Medicredito - Industria - Agricoltura), sul

CNEL rivitalizzato quale punto d'incontro delle forze

sociali sindacali, imprenditoriali e culturali e su

procedure d'incontro con il Parlamento e le Regioni;

3-    riforma dell'amministrazione.(Costit.articoli 28-97 e

98) fondata sulla teoria dell'atto pubblico non

Page 45: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

amministrativo, sulla netta separazione della

responsabilità politica da quella amministrativa che

diviene personale (istituzione dei Segretari Generali di

Ministero) e sulla sostituzione del principio del

silenzio-rifiuto con quello del silenzio-consenso;

4-    definizione della riserva di legge nei limiti voluti e

richiesti espressamente dalla Costituzqione e

individuazioni delle aree di normativa secondaria

(regolamentare) in ispecie di quelle regionali che

debbono essere obbligatoriamente limitate nell'ambito

delle leggi cornice.

 

 a3) Ordinamento del Parlamento:

1)    ripartizione di fatto, di competenze fra le due Camere

(funzione politica alla CD e funzione economica al

SR);

2)    modifica (già in corso) dei rispettivi Regolamenti per

ridare forza al principio del rapporto (Cost.art.64) fra

maggioranza-Governo, da un lato, e opposizione,

dall'altro, in luogo della attuale tendenza

assemblearistica.

3) adozione del principio delle sessioni temporali in

Page 46: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

funzione di esecuzione del programma governativo.

 

b)    Provvedimenti economico-sociali;

b1) abolizione della validità legale dei titoli di studio (per

sfollare le università e dare il tempo di elaborare una

seria riforma della scuola che attui i precetti della

Costituzione);

b2) adozione di un orario unico nazionale di 7 ore e 30'

effettive (dalle 8,30 alle 17) salvi i turni necessari per

gli impianti a ritmo di 24 ore, obbligatorio per tutte le

attività pubbliche e private;

b3) eliminazione delle festività infrasettimanali e dei

relativi ponti (salvo 2 giugno - Natale - Capodanno e

Ferragosto) da riconcedere in un forfait di 7 giorni

aggiuntivi alle ferie annuali di diritto;

b4) obbligo di attuare in ogni azienda ed organo di Stato

i turni di festività - anche per sorteggio - in tutti i

periodi dell'anno, sia per annualizzare l'attività

dell'industria turistica, sia per evitare la "sindrome

estiva" che blocca le attività produttive;

  b5) revisione della riforma tributaria nelle seguenti direzioni:

 

Page 47: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

1-    revisione delle aliquote per i lavoratori. dipendenti aggiornandole al tasso di svalutazione 1973-76;

2-    nettizzazione all'origine di tutti gli stipendi e i salari della P. A. (onde evitare gli enormi costi delle relative partite di giro);

3-    inasprimento delle aliquote sui redditi professionali e sulle rendite;

4-    abbattimento delle aliquote per donazioni e contributi a fondazioni scientifiche e culturali riconosciute, allo scopo di sollecitare indirettamente la ricerca pura ed il relativo impiego di intellettualità;

5-    alleggerimento delle aliquote sui fondi aziendali destinati a riserve, ammortamenti, investimenti e garanzie, per sollecitare l'autofinanziamento premiando il reinvestimento del profitto;

6-    reciprocità fra Stato e dichiarante nell'obbligo di mutuo acquisto ai valori dichiarati ed accertati;

 

b6) abolizione della nominatività dei titoli azionari per

ridare fiato al mercato azionario e sollecitare

meglio l'autofinanziamento delle aziende

produttive;

b7) eliminazione delle partite di giro fra aziende di

Stato ed istituti finanziari di mano pubblica in

sede di giro conti reciproci che si risolvono – nel

gioco degli interessi - in passività inutili dello

stesso Stato;

b8) concessione di forti sgravi fiscali ai capitali

stranieri per agevolare il ritorno dei capitali

dall'estero;

Page 48: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

b9) costituzione di un fondo nazionale per i servizi

sociali (case-ospedali-scuole-trasporti) da

alimentare con:

 

1 - sovraimposta IVA sui consumi voluttuari

(automobili- generi di lusso);

2 - proventi dagli inasprimenti fiscali ex b5)4;

3 - finanziamenti e prestiti esteri su programmi di

spesa;

4 - stanziamenti appositi di bilancio per investimenti;

5 - diminuzione della spesa corrente per parziale

pagamento di stipendi statali superiori a

L.7.000.000 annui con speciali buoni del Tesoro al

9% non commerciabili per due anni.

 

Tale fondo va destinato a finanziare un programma biennale di spesa per almeno 10.000 miliardi. Le riforme di struttura relative vanno rinviate a dopo che sia stata assicurata la disponibilità dei fabbricati, essendo ridicolo riformare le gestioni in assenza di validi strumenti (si ricordino i guasti della riforma sanitaria di alcuni anni or sono che si risolvette nella creazione di 36.000 nuovi posti di consigliere di amministrazione e nella correlativa lottizzazione partitica in luogo di creare altri posti letto).

Per quanto concerne la realizzabilità del piano edilizio in presenza della caotica legislazione esistente, sarà necessaria una legge che imponga alle Regioni programmi urgenti straordinari con termini brevissimi surrogabili dall'intervento diretto dello Stato; per quanto si riferisce in particolare all'edilizia abitativa, il ricorso al sistema dei comprensori obbligatori sul modello svedese ed al sistema francese dei mutui individuali agevolati sembra il

Page 49: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

metodo migliore per rilanciare questo settore che è da considerare il volano della ripresa economica;

b10) aumentare la redditività del risparmio postale

elevando il tasso al 7%

b11) concedere incentivi prioritari ai settori:

I - turistico;

Il - trasporti marittimi

III - agricolo-specializzato (primizie-zootecnica);

IV - energetico convenzionale e futuribile

Nucleare-geometrico-solare);

V - industria chimica fine e metalmeccanica

specializzata di trasformazione; in modo da sollecitare investimenti in settori ad alto tasso di mano d'opera ed apportatori di valuta;

b12) sospendere tutte le licenze ed i relativi incentivi per impianti di raffinazione primaria del petrolio e di produzione siderurgica pesante.

 

c) Pregiudiziale è che oggi ogni attività secondo quanto sub a) e b) trovi protagonista e gestore un Governo deciso ad essere non già autoritario bensì soltanto autorevole e deciso a fare rispettare le leggi esistenti.

Così è evidente che le forze dell'ordine possono essere mobilitate per ripulire il Paese dai teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative centrali direttive soltanto alla condizione che la Magistratura li processi e condanni rapidamente inviandoli in carceri ove scontino la pena senza fomentare nuove rivolte o condurre una vita comoda.

 Sotto tale profilo, sembra necessario che alle forze di P.S. sia restituita la facoltà di interrogatorio d'urgenza degli arrestati in presenza dei reati di eversione e tentata eversione dell'ordinamento, nonché di violenza e resistenza alle forze dell'ordine, di violazione della legge sull'ordine pubblico, di sequestro di persona, di rapina a mano annata e di violenza in generale.

 

Page 50: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

d) Altro punto chiave è l'immediata costituzione di una agenzia per il coordinamento della stampa locale (da acquisire con operazioni successive nel tempo) e della TV via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese.

 

E' inoltre opportuno acquisire uno o due periodici da contrapporre a Panorama, Espresso, Europeo sulla formula viva "Settimanale".

 

 MEDIO E LUNGO TERMINE

 

Nel presupposto dell'attuazione di un programma di emergenza a breve termine come sopra definito, rimane da tratteggiare per sommi capi un programma a medio e lungo termine con l'avvertenza che mentre per quanto riguarda i problemi istituzionali è possibile fin d'ora formulare ipotesi concrete, in materia di interventi economico-sociali, salvo per quel che attiene pochissimi grandi temi, è necessario rinviare nel tempo l'elencazione di problemi e relativi rimedi.

a)    Provvedimenti istituzionali

a1) Ordinamento giudiziario

 

I unità del Pubblico Ministero (a norma della

Costituzione - articoli 107 e 112 ove il P.M. è

distinto dai Giudici),

Il responsabilità del Guardasigilli verso il

Parlamento sull'operato del P.M. (modifica

costituzionale);

Page 51: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

III istruzione pubblica dei processi nella dialettica

fra pubblica accusa e difesa di fronte ai giudici

giudicanti, con abolizione di ogni segreto

istruttorio con i relativi e connessi pericoli ed

eliminando le attuali due fasi d'istruzione;

IV riforma del Consiglio Superiore della

Magistratura che deve essere responsabile

verso il Parlamento (modifica costituzionale);

V riforma dell'ordinamento giudiziario per

ristabilire criteri di selezione per merito delle

promozioni dei magistrati, imporre limiti di età

per le funzioni di accusa, separare le carriere

requirente e giudicante, ridurre a giudicante la

funzione pretorile

VI esperimento di elezione di magistrati (Costit.

art. 106) fra avvocati con 25 anni di funzioni in

possesso di particolari requisiti morali;

 

 a2) Ordinamento del Governo

 

I modifica della Costituzione per stabilire che il

Page 52: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

Presidente del Consiglio è eletto daIla Camera

all'inizio di ogni legislatura e può essere

rovesciato soltanto attraverso le elezioni del

successore;

Il modifica della Costituzione per stabilire che i

Ministri perdono la qualità di parlamentari

III revisioni della legge sulla contabilità dello Stato

e di quella sul bilancio dello Stato (per

modificarne la natura da competenza in cassa);

IV revisione della legge sulla finanza locale per

stabilire - previo consolidamento del debito

attuale degli enti locali da riassorbire in 50

anni - che Regioni e Comuni possono

spendere al di là delle sovvenzioni statali

soltanto i proventi di emissioni di

obbligazioni di scopo (esenti da imposte e

detraibili) e cioè relative ad opere pubbliche

da finanziare secondo il modello USA.

Altrimenti il concetto di autonomia diviene di

sola libertà di spesa basata sui debiti;

V riforma della legge comunale e provinciale

Page 53: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

per sopprimere le provincie e ridefinire i

compiti dei Comuni dettando nuove norme

sui controlli finanziari

 

 

a3) Ordinamento del Parlamento

 

I nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proprozionale secondo il modello tedesco) riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali, diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei senatori a vita di nomina presidenziale, con aumento delle categorie relative (ex parlamentari - ex magistrati - ex funzionari e imprenditori pubblici - ex militari ecc.);

 

Il modifica della Costituzione per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) ed al Senato preponderanza economica (esame del bilancio);

 

III Stabilire norme per effettuare in uno stesso giorno ogni 4 anni le elezioni nazionali, regionali e comunali (modifica costituzionale);

 

IV Stabilire che i decreti-legge sono inemendabili:

 

a4) Ordinamento di altri organi istituzionali

 

Page 54: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

1) Corte Costituzionale: sancire l'incompatibilità successiva dei giudici a cariche elettive ed in enti pubblici; sancire il divieto di sentenze cosiddette attive (che trasformano la Corte in organo legislativo di fatto);

 

2) Presidente della Repubblica: ridurre a 5 anni il mandato, sancire l'ineleggibilità ed eliminare il semestre bianco (modifica costituzionale);

 

3) Regioni: modifica della Costituzione per ridurre il numero e determinarne i confini secondo criteri geoeconomici più che storici.

 

 Provvedimenti economico sociali,

 

b1) Nuova legislazione antiurbanesimo subordinando il diritto di residenza alla dimostrazione di possedere un posto di lavoro ed un reddito sufficiente (per evitare che saltino le finanze dei grandi Comuni);

b2) nuova legislazione urbanistica favorendo le città satelliti e trasformando la scienza urbanistica da edilizia in scienza dei trasporti veloci suburbani;

 

b3) nuova legislazione sulla stampa in senso protettivo della dignità del cittadino (sul modello inglese) e stabilendo l'obbligo di pubblicare ogni anno i bilanci nonché le retribuzioni dei giornalisti;

 

b4) unificazione di tutti gli istituti ed enti previdenziali ed assistenziali in un unico ente di sicurezza sociale da gestire con formule di tipo assicurativo allo scopo di ridurre i costi attuali;

 

b5) disciplinare e moralizzare il settore pensionistico stabilendo:

 

Page 55: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

1) Il divieto del pagamento di pensioni prima dei 60 anni salvo casi di riconosciuta inabilità;

 

2) il controllo rigido sulle pensioni di invalidità;

 

3) l'eliminazione del fenomeno del cumulo di più pensioni;

 

b6) dare attuazione agli articoli 39 e 40 della Costituzione regolando la vita dei sindacati e limitando il diritto di sciopero nel senso di:

 

1) introdurre l'obbligo di preavviso dopo avere esperito il concordato;

 

2) escludere i servizi pubblici essenziali (trasporti; dogane; ospedali e cliniche; imposte; pubbliche amministrazioni in genere) ovvero garantirne il corretto svolgimento;

 

3) limitare il diritto di sciopero alle causali economiche ed assicurare comunque la libertà di lavoro;

b7) nuova legislazione sulla partecipazione dei lavoratori alla proprietà azionaria delle imprese e sulla gestione (modello tedesco)

 

b8) nuova legislazione sull'assetto del territorio (ecologia, difesa del suolo, disciplina delle acque, rimboscamento, insediamenti umani);

 

b9) legislazione antimonopolio (modello USA);

 

Page 56: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

b10) nuova legislazione bancaria (modello francese);

 

b11) riforma della scuola (selezione meritocratica - borse di studio ai non abbienti - scuole di Stato normale e politecnica sul modello francese);

 

b12) riforma ospedaliera e sanitaria sul modello tedesco

 

 

c) Stampa - Abolire tutte le provvidenze agevolative dirette a sanare i bilanci deficitari con onere del pubblico erario ed abolire il monopolio RAI - TV.

 

 ORGANIGRAMMA

 ECONOMIA E FINANZA

 

-        Governatore Banca d'Italia

-        Direttore Generale B.ca It.

-        Presidente IRI (e finanziarie dipendenti)

-        Dir. Gen. - “

-        Presidente ENI (e finanziarie dipendenti)

-        Dir. Gen. “

-        Presidente e Dir. Gen. Enti di gestione PP.SS. (EGAM-EFIM- Cinema - Terme)

-        Presidente Cassa Mezzog

Page 57: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

-        Dir. Gen. “

-        Presidente IMI

-        Dir. Gen. “

-        Presidente Mediobanca

-        Dir. Gen. “

-        Presidente Mediocredito Centrale

-        Dir. Gen. “

-        Presidente ICIPU

-        Dir. Gen. “

-        Presidente INA

-        Dir. Gen. “

-        Presidente INPS

-        Dir. Gen. “

-        Presidente INAM

-        Dir. Gen. “

-        Presidente INADEL

-        Dir. Gen. “

 

 

Page 58: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

MAGISTRATURA

 

Primo Pres. Corte Cass.

Proc. Gener. “ “

Avv. Gerer. “ “

Pres. C.A. Roma

Proc. Gen. C.A. Milano

Pres. Trib. Torino

Proc. Repubbl. Venezia

Cons. Istrutt. Bologna

Firenze

Napoli

Bari

Catanzaro

Palermo

 

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

-        Presidente Consiglio di Stato

-        Presidente Corte dei Conti

-        Procuratore Generale Corte dei Conti

Page 59: Ciò di cui non si può parlare…. Lo Stato Occulto

-        Ragioniere generale dello Stato

-        Segretario Generale Ministero Affari Esteri

-        Segretario Generale Programmazione

-        Capo della Polizia

-        Direttore Generale FF.SS

-        Direttore Generale PP.TT

-        Direttore Generale ANAS

-        Direttore Generale Tesoro

-        Direttore Generale II.DD.

-        Direttore Generale II. Indiri.

-        Direttore Generale UTE

-        Direttore Generale fonti d'energia

-        Direttore Generale produzione industriale

-        Direttore Generale produzione industriale

-        Direttore Generale valute

-        Direttori Generali istruzione elementare

secondaria 1° grado

superiore

tecnica

professionale

universitaria

 

 

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CORPI MILITARI

 

-        Capo S.M. Difesa

-        Capo S.M. Esercito

-        Capo S.M. Marina

-        Capo S.M. Aeronautica

-        Com.te Arma CC.

-        Capo S.M. Guardia Fin.

-        Com ti Regioni Territoriali Eserc

-        Com.ti Zone Aeree

-        Com.ti Dipartim. Mil. Maritt.

-        Com.te Guardie PS

-        Com.te Guardie Forestali

-        Com.te Guardie Carcerarie

-        Com.te Sid.

 

 

 

 

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Il Venerabile Capo della P2 Licio Gelli insieme ai suoi più stretti collaboratori aveva minuziosamente preparato un colpo di stato, e provveduto persino all’elencazione dei più particolari accorgimenti per poter instaurare in seguito al golpe un regime autoritario di tipo militare.

Chi erano gli iscritti alla P2?Chi erano gli iscritti alla P2?

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GLI ISCRITTI ALLA LOGGIA P2 DIVISI PER CATEGORIE LAVORATIVE

Su 972 iscritti alla loggia P2 di Licio Gelli ben 177 sono militari, tutti ufficiali. Ad essi vanno aggiunti 6 ufficiali del corpo delle guardie di PS, 5 prefetti e vice prefetti, 11 questori e 5 funzionari di polizia. Per un totale di 204 persone che, prima del giuramento massonico, avevano giurato fedeltà allo Stato. Come dire che più del 20% della Loggia massonica segreta era composta da servitori dello stato. Ecco, comunque, un elenco per categorie lavorative degli aderenti alla massoneria del venerabile maestro Licio Gelli: MILITARI E FORZE DELL’ORDINE: 208 Esercito 50 Marina 29 Aeronautica 9 Carabinieri 52 Guardia di Finanza 37 Prefetti e Vice 5 Questori e Vice 11 Funzionari PS 5 Ufficiali PS 6 MAGISTRATI: 18 UOMINI POLITICI: 67 Ministri 3 Deputati 38 Senatori 4 Presidenti e Vice di regione 2 Pres. Provincia 1 Sindaci 3 Partiti politici 16 

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SEGRETARI PARTICOLARI (politici) 11

 

FUNZIONARI REGIONALI: 7

 

DIRIGENTI COMUNALI: 8

 

INDUSTRIALI: 47

 

DIRIGENTI INDUSTRIALI: 23

 

IMPRENDITORI: 18

Edili 9

Altri 9

 

SOCIETA’ PRIVATE (Presidenti): 12

 

SOCIETA’ PUBBLICHE (Presidenti): 8

 

SOCIETA’ PUBBLICHE (Dirigenti): 12

 

DIRIGENTI MINISTERIALI: 52

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Lavori Pubblici 5

Pubblica Istruzione 7

Trasporti 1

Finanze 10

Agricoltura 2

Giustizia 1

Sanità 2

Industria 2

Esteri 1

Commercio estero 2

Tesoro 10

Difesa 7

Partecipazioni statali 2

 

SINDACALISTI: 2

 

DIPLOMATICI: 9

 

DOCENTI UNIVERSITARI: 36

 

PROVVEDITORI AGLI STUDI: 2

 

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BANCHE: 49

Presidenti: 10

Direttori generali: 10

Funzionari e Direttori: 26

Membri Cons. d’amm.: 3

 

COMMERCIANTI: 1

 

COMMERCIALISTI: 28

 

CONSULENTI FINANZIARI: 4

 

COMPAGNIE AEREE: 8

 

EDITORI: 4

 

DIRIGENTI EDITORIALI: 6

 

GIORNALISTI: 27

Direttori 5

Altri 22

 

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SCRITTORI 3

 

DIRIGENTI RAI-TV: 10

 

 

COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE: 6

 

MEDICI: 38

Primari ospedalieri 22

Medici 16

 

ENTI ASSISTENZIALI E OSPEDALIERI: 10

(dirigenti e funzionari)

 

ARCHITETTI: 7

 

AVVOCATI: 27

 

NOTAI: 4

 

LIBERI PROFESSIONISTI: 17

 

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ANTIQUARI: 6

 

ALBERGHI (Direttori): 4

 

ASSOCIAZIONI VARIE: 10

 

ATTIVITA’ VARIE: 12

 

LIONS CLUB: 4

 

ROTARY CLUB 7

 

NB: il totale supera la cifra di 972 perché alcuni sono stati inseriti in più di una categoria.

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Le Stragi di Stato ordite da Gladio, P2 e servizi segreti americaniAncora oggi una delle strutture più occulte e più difficilmente decifrabili, che con ogni probabilità ebbero un ruolo nello sviluppo della strategia della tensione, sono i NUCLEI PER LA DIFESA DELLO STATO. Si tratta di una formazione clandestina sorta nella seconda metà degli anni Sessanta, di ampie dimensioni, ben radicata sull'intero territorio nazionale, formata da civili e militari le cui finalità appaiono più ampie ed articolate di un'altra struttura clandestina, solo all'apparenza simile: l'organizzazione Stay Behind, meglio nota come Gladio.Sarebbero - allo stato delle conoscenze - diversi i referenti di comando delle due strutture, diversi i sistemi di reclutamento, ma soprattutto diverse le finalità operative. Dei misteriosi NUCLEI PER LA DIFESA DELLO STATO, al momento, si hanno soltanto due vaghe certezze: l'anno di scioglimento, che è il 1973 e il suo probabile periodo di incubazione, il 1966. Sarebbe, infatti, proprio sul finire di questo anno che - sempre stando ad accertamenti giudiziari peraltro ancora in corso - Franco Freda e Giovanni Ventura avrebbero inviato una lettera anonima, con precisi riferimenti a questa struttura, a diversi ufficiali dell'esercito italiano.

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Come nasce la Strategia della tensione?

La saggistica, ma anche diversi documenti prodotti in sedi istituzionali, hanno fin qui stabilito che la nascita della strategia della tensione sia avvenuta in un elegante albergo romano in un giorno compreso tra il 3 e il 5 maggio 1965. Durante, cioè, lo svolgimento di un convegno organizzato da un istituto di studi militari, con ogni probabilità finanziato dai servizi segreti. Al convegno, com’è spiegato nella relazione Pellegrino, presidente della commissione stragi – ma come è ormai ripetuto da anni in decine di libri – partecipò uno schieramento multiforme di soggetti: militari di professione, studiosi di cose militari, esponenti di partiti di governo anche della sinistra moderata, collaboratori dei servizi segreti, magistrati, alcuni neofascisti in rappresentanza della destra radicale (ma l’ex leader di Avanguardia nazionale Stefano Delle Chiaie querela chiunque lo coinvolga).

Ben più della partecipazione conta ciò che in quel convegno venne discusso. La relazione Pellegrino offre uno spaccato interessante dei contenuti di quel convegno, interamente dedicato al tema della "Guerra rivoluzionaria", in parole povere al modo di opporsi alla minaccia comunista.

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Milano 12 Dicembre 1969. Piazza Fontana

Milano, ore 16.37: un ordigno, composto da sette chili di tritolo, esplode nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana, a Milano. Il bilancio è atroce: 17 morti e 88 feriti.Roma, ore 16.45: una bomba esplode in un corridoio sotterraneo della sede centrale della Banca Nazionale del Lavoro, tra via Veneto e via San Basilio: 13 impiegati dell’istituto rimangono feriti, uno in maniera grave.Roma, ore 17.16: scoppia un ordigno sulla seconda terrazza dell’Altare della Patria, sul lato che si affaccia sui Fori Imperiali: nessuna vittima.Roma, ore 17.24: un’altra esplosio- ne, sempre sulla seconda terrazza dell’Altare della Patria, ma questa volta dalla parte della scalinata dell’Ara Coeli: nessuna vittima. Milano, ora imprecisata: un impiegato della Banca Commerciale Italiana di piazza della Scala trova una borsa nera e la consegna alla direzione. La borsa contiene un’altra bomba che non esploderà per un difetto di funzionamento del timer del congegno d’innesco. Misteriosamente, alle 21.30, l’ordigno viene fatto esplodere dagli artificieri della polizia. E’ una decisione a tutt’oggi inspiegabile: distruggendo quella bomba sono stati persi per sempre indizi preziosissimi. Meno di cinque anni dopo, a Brescia, il copione dei reperti distrutti si ripeterà dopo un’altra strage: la strage di piazza della Loggia.

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Milano 17 Maggio 1973. Strage in Questura

E’ trascorso un anno dall’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, assassinato da un killer davanti alla sua abitazione. Nel cortile della questura di Milano, in via Fatebene- fratelli, si è da poco conclusa una cerimonia in ricordo del funzionario, alla quale ha partecipato il ministro dell’Interno Mariano Rumor.L’auto del ministro sta uscendo dal portone centrale, quando un ordigno, scagliato da qualcuno nascosto tra la folla che si è assiepata davanti all’edificio, semina il terrore: 4 morti e 52 feriti. Lo spettacolo è allucinante. L’attentatore viene subito individuato, sottratto ad un tentativo di linciaggio ed arrestato. E’ Gianfranco Bertoli, sedicente anarchico individualista, seguace delle teorie di Steiner, ma stranamente in stretto contatto con alcuni neofascisti veneti e – lo si scoprirà dopo – in rapporti con il SID, il servizio segreto militare dell’epoca. Bertoli, appena giunto in Italia, dopo un lungo soggiorno in Israele, sarà condannato all’ergastolo con sentenza definitiva. Ma la vicenda della strage di via Fatebenfratelli avrà un imprevisto sviluppo processuale nella seconda metà degli anni Novanta, quando verranno processati e condannati alcuni neofascisti veneti, assieme ad un ufficiale con passioni golpiste, già implicato nella trama della Rosa dei Venti e ad un alto responsabile dei servizi segreti militari.

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Brescia 28 Marzo 1974. Piazza della LoggiaPiazza della Loggia

Sono le 10 di una piovosa mattina di maggio quando, con un boato, la tragedia dilania una piazza di Brescia, la centralissima piazza della Loggia, dove è in corso una manifestazione sindacale. Nascosto in un cestino dei rifiuti, un ordigno confezionato con circa un chilo di tritolo, uccide 8 persone, ferendone altre 103. Una strage tremenda, un massacro insensato che colpisce a freddo una città già da tempo, però, alle prese con l’emergere di un estremismo di destra violento ed irrazionale. Dopo la strage di piazza Fontana e quella davanti alla questura di Milano, l’eccidio di Brescia è il terzo attacco cruento alla convivenza civile. L'inchiesta appare subito viziata da uno stranissimo episodio, mai del tutto chiarito: su ordine del vice questore (responsabile dell'ordine pubblico nella piazza) Aniello Diamare, il luogo dell’attentato viene immediatamente fatto pulire dalle autopompe dei Vigili del Fuoco. Questo assurdo lavaggio di piazza della Loggia, messo in atto prima ancora che un magistrato arrivi sul posto, oltre a provocare la perdita di qualsiasi reperto utile alle indagini, assomiglia molto, troppo, all’inopinata decisione di far brillare l’ordigno trovato il 12 dicembre 1969, subito dopo la strage di piazza Fontana, nella Banca Commerciale Italiana di piazza della Scala, a Milano. Un’inchiesta, quella per la strage di Brescia, che parte subito con il piede sbagliato, ma che è destinata a continuare anche peggio. A tutt’oggi la strage di Brescia è una strage impunita. Una delle tante.

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San Benedetto 4 Agosto 1974. L’ITALICUS

Sulla linea ferroviaria Firenze -Bologna, in prossimità dell’uscita dalla lunga galleria appenninica, in località San Benedetto Val di Sambro, un ordigno ad alto poten- ziale, a base di "termite", esplode in un vagone del treno Italicus, affollato di gente che si sposta per le vacanze estive.I soccorsi, difficilissimi nel buio del tunnel, estraggono dalle lamiere del treno 12 morti e 44 feriti. Si scoprirà, durante la lunga inchiesta giudiziaria che, ancora una volta, non è riuscita finora a trovare alcun colpevole, che la bomba sarebbe dovuta esplodere al centro della galleria, con un impatto di morte ancora maggiore.

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Bologna 2 agosto 1980. Strage alla StazioneStrage alla Stazione

Le lancette dell’orologio della sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna si fermano sulle 10.25: è quello l’esatto momento in cui esplode un ordigno ad altissimo potenziale. La presenza di un treno fermo sul primo binario crea un onda d’urto che provoca il crollo dell’intera ala sinistra dell’edificio. Una strage di dimensioni allucinanti: 85 morti e 200 feriti. E’ la strage più grave che si sia mai verificata in Italia, ma anche una strage anomala perché si verifica in un momento politico diverso e ormai lontano da quello in cui si collocano le altre stragi, quelle degli anni Settanta. Dopo una serie interminabile di processi – tutti molto indiziari ed ideologici, conclusisi con esiti alterni - per la strage alla stazione di Bologna sono stati condannati con sentenza definitiva, in quanto esecutori materiali, due esponenti dello spontaneismo armato neofascista: Valerio Fioravanti e Francesca Mambro che da sempre protestano la loro innocenza. Condannati,  ma  solo per depistaggio, anche i gran maestro della Loggia P2 Licio Gelli e due militari dei servizi segreti. Anche se sotto il profilo giudiziario – a meno di un doveroso processo di revisione - la strage di Bologna non può essere annoverata tra le stragi insolute, a parere di chi scrive è proprio questo orrendo episodio uno dei più grandi punti interrogativi nella storia dei misteri d’Italia.

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150 morti. 652 feriti. 11 stragi.Un numero ancora indefinito di tentativi di massacro.Per 15 anni, dal 1969 al 1984, l’Italia è stato un paese insanguinato dalla logica del terrore.Una logica stragista al servizio di finalità politiche per nulla oscure: il condizionamento della vita demo- cratica di una nazione, il mantenimento del potere nelle mani degli apparati più reazionari, la lotta politica concepita come scontro senza quartiere ed improntata al ricatto del terrore.Anni passati? Anni che non torneranno mai più? Chi si aspetta risposte consolatorie, prima di tutto deve chiedersi perché, ormai nel 2000, non sappiamo ancora chi sono gli stragisti italiani. Perché non conosciamo ancora, se non molto parzialmente i loro volti? Perché la sensazione più condivisa è che le loro mani sporche di sangue innocente spuntavano sempre dalle maniche di una giacca militare?Qual era l’esatto disegno di chi metteva le bombe sui treni, nelle banche, nelle piazze, alle stazioni?C’è  chi dice, in ambienti peraltro assai qualificati, che ormai la trama del terrore che ha avvolto l’Italia è stata disvelata. Che ormai conosciamo la verità, anche se non avremo mai tutta la verità giudiziaria. E’ davvero così? Dovremo accontentarci di archiviare lo stragismo come se fosse solo un mero terreno di analisi politico -sociologiche?Ma loro, i colpevoli, dove sono?E perché nel 1993 lo stragismo è tornato ad insanguinare l’Italia? Davvero solo e soltanto mafia?

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Le stragi di Stato. Depistaggio e ParlamentoLe stragi di Stato. Depistaggio e ParlamentoLa commissione d’inchiesta parlamentare sulle stragi si è occupata a lungo e con molta cura del fenomeno stragistico, con particolare attenzione ai depistaggi messi in atto dai corpi dello stato. Depistaggi, cioè azioni di sviamento delle indagini giudiziarie, tesi non solo a coprire i veri responsabili degli attentati, ma molto spesso ad indirizzare le indagini su piste destinate a fallire tanto clamorosamente da inficiare e rendere vana l’inchiesta stessa.Un’azione scientifica, quella del depistaggio, messa in atto dai servizi segreti – soprattutto militari (il SID prima, il SISMI poi) – che è presente in tutte le stragi, da piazza Fontana a Peteano, da Brescia all’Italicus, fino al massacro alla stazione di Bologna. Con il resoconto stenografico delle audizioni della commissione stragi è possibile avere un quadro di riferimento più pertinente di quanto di gravissimo è stato messo in atto nel nostro paese da coloro che sarebbero dovuti essere fedeli servitori dello Stato.

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Note interessanti dell’Inchiesta Parlamentare sulle Stragi183) Al sequestro aveva proceduto il G.I. di Roma nell'ambito dell'istruttoria sulla P2. Il documento è altresì allegato alla sentenza-ordinanza Salvini, citata. 184) E' probabile che la nota riunione del 18 aprile 1969 si sia svolta nella sua abitazione, latitante dal 1973, non è più rientrato in Italia, e la sua presenza è stata segnalata in Spagna, Angola, Sud Africa. 185) In tale senso, e non in termini di incompatibilità logica, va letta l'assoluzione con la formula dubitativa che accomuna Pietro Valpreda ai componenti il gruppo padovano nell'esito finale della vicenda giudiziaria; e ciò anche se le recenti indagini tenderebbero ad asseverare l'estraneità di Valpreda almeno nella strage milanese. 186) Il momento chiave era stato così ricostruito dai due protagonisti in Assise. Angelino Papa: "Il capitano Delfino mi chiamò in disparte e mi disse 'noi sappiamo che Buzzi c'entra con la faccenda della strage; se tu ci dai notizie, se collabori, per te c'è un regalo di dieci milioni. Per chi dà notizie c'è questo regalo. Ti assicuriamo che ti terremo in disparte, non preoccuparti, tu esci. Io dicevo che non sapevo niente di questo fatto. Il capitano Delfino mi disse che dovevo confermare quello che mi dicevano i magistrati se volevo salvarmi". Il capitano Delfino: "Ad un certo punto mi venni a trovare in una stanza col detenuto, mentre i due magistrati stavano camminando nel corridoio. [É] Angelino Papa era tutto rosso in faccia e continuava a bestemmiare ed imprecare. Gli dissi: 'Cosa bestemmi a fare? Se anche ti promettessi di farti scappare, se anche ti promettessi dieci milioni, cose del tutto impossibili, tu non risolveresti il tuo problema. Tu devi toglierti il rospo che hai sullo stomacò. A questo punto Papa Angelo, avvinghiandosi al mio braccio, mi disse: "La bomba l'ho messa io, me l'ha data Buzzi". Interruppi il colloquio, aprii la porta della stanza, e chiamai i magistrati. Penso che costoro abbiano visto il mio aspetto. Ero anch'io impallidito per l'emozione (dalle registrazioni risulta "cadaverico") che la notizia mi aveva dato. Il mio colloquio con il Papa durò dieci-quindici minuti (Rotella, 148). Che un minus habens come Papa (ancora in quinta elementare a quattordici anni) fosse in grado di cogliere un'argomentazione complessa, ricca di subordinate e periodi ipotetici, come quella di Delfino, sembra altamente improbabile. 187) Silvio Ferrari, giovane neofascista che pochi giorni prima della strage morì per l'esplosione di un ordigno che stava trasportando su una Vespa. 188) Si veda la sentenza della Corte di Assise di Brescia in data 2 luglio 1979, in: Archivio Commissione stragi, XII legislatura, Doc. piazza della Loggia 1/2. 189) A proposito di queste sentenze, e soprattutto dell'ultima, il giudice istruttore Zorzi, così commentava:

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"Un'ulteriore e non del tutto secondaria ragione della verità 'negatà risiede, a mio avviso, negli effetti prodotti in giurisprudenza da certo stucchevole ipergarantismo post-moderno, quello pervicacemente incline alla vivisezione infinetesimale degli elementi di prova (sì da smarrirne fatalmente, alla fine, la valenza complessiva) e alla confusione concettuale tra riscontro e autonomo elemento di prova. Per non parlare poi di talune prassi disinvolte e sbrigative che hanno portato la Suprema Corte (prima sezione ovviamente), a liquidare - ad esempio - la 'praticà con una pronuncia di inammissibilità del ricorso del Procuratore generale di Brescia per manifesta infondatezza attribuendo - si badi - alla sentenza gravata di assoluzione piena una patente di 'aderenza alle risultanze processuali e a tutti gli elementi emersì che quelli dell'istruttoria) rimasero in realtà in cancelleria a Brescia e non vennero dunque degnati nemmeno di uno sguardo dal Supremo Consesso. 192) Il treno indicato da Sgrò all'onorevole Almirante avrebbe dovuto partire dalla stazione Tiburtina di Roma alle 5,30 e fu preventivamente individuato nel Palatino. In realtà la strage si verifica sull'Italicus in partenza, come il Palatino, dalla stazione Termini e non dalla Tiburtina, e alle 17,30 (e cioè alle 5,30 pomeridiane). La coincidenza lascia ragionevolmente supporre che Sgrò, che pure in sede giudiziaria è stato ritenuto un comune bugiardo, fosse in qualche modo a conoscenza dei preparativi dell'attentato. 193) In particolare: - si approfondiva ulteriormente la pista dei gruppi toscani, caratterizzata dagli emergenti collegamenti con la loggia massonica P2 e con gli ambienti di apparati di sicurezza operanti in Firenze in un ruolo di controllo, di copertura e di chiaro sostegno alle attività del Gelli, - si prospettavano responsabilità a carico del grupo dirigenti di Avanguardia Nazionale, con particolare riferimento alle figure di Stefano Delle Chiaie e di Adriano Tilgher, - si sviluppavano nuove ipotesi, delineate dalle dichiarazioni di Valerio Viccei, nella prospettiva dell'esistenza di un complesso disegno terroristico riconducibile al gruppo milanese diretto da Giancarlo Rognoni ed attuato da derivazioni locali operanti nell'Italia centrale e in particolare nell'ascolano. 194) L'ordinanza-sentenza del dottor Grassi - che costituisce una delle acquisizioni più importanti per questa Commissione ai fini di una ricostruzione attendibile dei contesti eversivi in cui maturarono e furono compiuti gli attentati stragisti nell'ambito temporale limitato alla prima metà degli anni Settanta - giunge alla seguenti principali conclusioni, così definendo: - le imputazioni di concorso in strage per attentare alla sicurezza dello Stato, omicidio plurimo, lesioni, detenzione di esplosivi, disastro ferroviario, in relazione all'attentato al treno Italicus, nei confronti di Stefano Delle Chiaie e Adriano Tilgher, con proscioglimento per non aver commesso il fatto;

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- l'imputazione di concorso in associazione sovversiva, in riferimento alla costituzione e organizzazione del "Fronte Nazionale Rivoluzionario" in Toscana, fino al 3 agosto 1974, nei confronti degli stessi Delle Chiaie e Tilgher, con proscioglimento per non aver commesso il fatto; - le imputazioni di associazione sovversiva e banda armata operanti in Milano, Ascoli e altre zone dell'Italia centrale sino all'agosto del 1974, nei confronti di Piergiorgio Marini e Giuseppe Ortensi, dichiarandone l'improcedibilità per l'esistenza di precedente giudicato sui medesimi fatti; - l'imputazione di favoreggiamento aggravato, a vantaggio di Luciano Franchi e Pietro Malentacchi e nell'mabito delle indagini sulla strage dell'Italicus e commesso quindi nell'agosto-settembre 1974, nei confronti del comandante del Gruppo dei carabinieri di Arezzo, colonnello Domenico Tuminello, dichiarando l'estensione del reato per intervenuta prescrizione; - l'imputazione di calunnia continuata, aggravata dalla finalità di eversione, in relazione alle false accuse in danno di Valerio Viccei e Angelo Izzo, per aver reso dichiarazioni calunnatorie, per aver predisposto un'evasione dal carcere di Paliano unitamente a Raffaella Furiozzi e a Sergio Calore e per aver detenuto stupefacenti unitamente alla sola Furiozzi, nei confronti di Bongiovanni Ivano, dichiarando l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione; - l'imputazione di calunnia aggravata dalla finalità di eversione, in relazione alle false accuse di omicidi tra i quali quelli di Silvani Fedi e Manrico Bucceschi, nonché di più stragi, in danno di Licio Gelli, nei confronti di Federigo Mannucci Benincasa e Umberto Nobili, ordinandone il rinvio a giudizio innanzi alla Corte di Assise di Bologna; - le impostazioni di favoreggiamento e abuso continuati e aggravati dalle finalità di eversione, minacce a pubblico ufficiale, tentata sottrazione di documenti sottoposti a sequestro, in relazione alle attività illecite dispiegate nella qualità di direttore del centro Sismi di Firenze per ostacolare le indagini sulle attività eversive di Augusto Cauchi, nonché per ostacolare gli sviluppi istruttori sulla propria posizione, nei confronti di Federigo Mannucci Benincasa, ordinandone il rinvio a giudizio innanzi alla Corte di Assise di Bologna. Pertanto la sentenza-ordinanza, sempre con riferimento agli ambiti temporali considerati, trasmette agli atti: - alla procura di Bologna per l'ulteriore corso delle indagini contro gli ignoti autori della strage dell'Italicus; - alla procura di Roma in ordine alle ipotesi di cospirazione politica e attentato contro la Costituzione dello Stato delineabili nell'intero arco temporale compreso tra il 1969 e il 1982 a carico di Gian Adelio Maletti, Antonio Labruna, Giancarlo D'Ovidio, Federigo Mannucci Benincasa, Umberto Nobili, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte, Licio Gelli.

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195) Per una migliore comprensione del progetto si considerino i seguenti elementi: - esistenzagià nel '71-'72 di una cellula paramilitare ascolana contigua al Fronte della gioventù di quella città; - appartenenza a tale cellula di Ortenzi Giuseppe e Marini Pergiorgio; passaggio del controllo sulla cellula ascolana dal Nardi Gianni all'Esposti Giancarlo; - colloquio con l'Esposti del marzo-aprile '74 nel corso del quale il Viccei apprende per la prima volta (dopo che già era avvenuto l'attentato di Silvi Marina): a) che i milanesi intendevano portare avanti un progetto terroristico comprensivo dell'esecuzione di quattro stragi e avevano individuato le ferrovie come obiettivo preferenziale; b) che vi era stato un dissidio di fondo tra il Nardi e il gruppo milanese in quanto il primo non si sentiva di eseguire la strategia stragista che era stata decisa; c) che l'attentato di Silvi Marina era stato preparato dal Marini e da due milanesi dei quali l'Esposti non fece il nome, i quali inoltre assistettero l'Ortenzi mentre questi installava l'ordigno sui binari; d) che l'attentato in questione avrebbe dovuto essere la prima delle stragi volute dal gruppo milanese da eseguirsi nel 1974 nel contesto di un piano di destabilizzazione e di sovvertimento delle istituzioni; e) che l'attentato era fallito a seguito di un errore tecnico dell'Ortenzi, ma che negli inten ti degli esecutori e degli ideatori avrebbe dovuto provocare una vera e propria strage; - colloquio con l'Ortenzi, nel corso del quale quest'ultimo, dopo qualche resistenza, conferma nella sostanza il racconto dell'Esposti in ordine all'attentato di Silvi Marina, ma ne addebita l'insuccesso al comportamento tenuto dai milanesi durante la collaborazione dell'ordigno sui binari; - colloquio con l'Ortenzi, nell'estate del 1975, nel corso del quale quest'ultimo riferisce al Viccei che sia la strage di Brescia che quella dell'Italicus erano opera del gruppo dei milanesi cui aveva fatto capo la cellula di Ascoli; - individuazione di alcuni dei referenti milanesi della cellula ascolana e, in particolare, indicazione del Ballan e del Rognoni come pesone collocate ai vertici del gruppo; contatti personali e telefonici tra i predetti e l'Esposti; - notizie apprese dal Marini in ordine alla latitanza di quest'ultimo e in particolare rapporti di quel periodo tra il Marini, il Rognoni e il Concutelli; - rapporti tra l'Esposti e ufficiali delle Forze Armate di stanza nel Veneto; - trasporto a villa Nardi in epoca prossima alla Pasqua del '74, di armi ed eplosivo; coinvolgimento in tale attività del Marini, dell'Ortenzi, dell'Esposti e dello stesso Viccei; - indicazione dei luoghi ove al tempo dei fatti l'Ortenzi e il Marini erano soliti occultare armi ed esplosivi;

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- colloquio con il Marini risalente al 1980 durante il quale quest'ultimo conferma la versione dell'Esposti in merito all'attentato di Silvi, addebita l'insuccesso all'irresponsabilità dell'Ortenzi ed esprime comunque soddisfazione per il fatto che non vi siano state vittime. 196) Gianpaolo Valdevit, Gli Stati Uniti e il Mediterraneo da Truman a Reagan, Milano, Franco Angeli, 1992, p. 150. 197) "Epoca", n. 1003, del 14 dicembre 1969. 198) Si veda la testimonianza del 25 aprile 1981, in: Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia massonica P2. Allegati alla relazione. Doc. XXIII, n. 2 - quater/I/IV, pag. 168-192. 199) Il terrorismo di sinistra tendenzialmente rivendica le proprie azioni per una serie di motivi, riconducibili in gran parte alla stessa tradizione marxista, che impine un corretto rapporto teoria-prassi: da cui la necessità di inserire la prassi della violenza in un quadro teorico accettabile. La mobilitazione delle masse rende inoltre necessario spiegare e giustificare gli atti di violenza, inscenando rituali paragiudiziari, pubblicando documenti incriminatori, imputando alle vittime colpe e misfatti. Tutto ciò esclude peraltro dal repertorio d'azione della sinistra marxista (diverso è il caso degli anarchici) il terrorismo indiscriminato, in quanto non congruente con l'orientamento filopopolare dei gruppi terroristici ed estraneo a qualunque intento di proselitismo. Queste considerazioni non valgono per la destra terroristica, dove la mistica della violenza, di tradizione fascista, era un dato per così dire naturale, e comunque tale da non richiedere spiegazioni e dove la cultura profondamente antiegualitaria ed elitaria dei gruppi, da un lato, non poneva problemi di proselitismo, e quindi di spiegazione della violenza a fini di mobilitazione di massa, dall'altro alimentava quel disprezzo nei confronti delle masse e non si ritraeva di fronte all'ipotesi di fare vittime innocenti. La teoria del terrorismo indiscriminato, che troviamo in molti documenti della destra radicale (ed in nessuno della sinistra), ha origine da queste premesse, rese operative grazie alla dottrina della Guerra rivoluzionaria: questa era stata diffusa negli ambienti della destra radicale grazie anche all'opera di organismi come l'Aginter Press, di Yves Gu‚rin-Serac (alias Yves Guillon). I testi da cui è agevole desumere le posizioni della destra radicale e terroristica, sono numerosi; bastino qui alcuni richiami. In uno scritto programmatico del 1963 di Clemente Graziani, esponente di Ordine Nuovo, si legge: "Il terrorismo implica ovviamente la possibilità di uccidere o far uccidere vecchi, donne e bambini. Azioni del genere sono state finora considerate alla stregua di crimini universalmente esecrati ed esecrabili e, soprattutto, inutili, esiziali ai fini dell'esito vittorioso di un conflitto. I canini della guerra rivoluzionaria sovvertono però questi principi morali ed umanitari. Queste forme di intimidazione terroristica sono oggi non solo ritenute valide ma a volte assolutamente necessarie". Guido Giannettini fu

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uno degli estensori del cosiddetto documento di Nuoro (insieme ad latri terroristi neri fra i quali Mario Tuti, Azzi, Fumagalli e Malentacchi). In tale documento si colgono affermazioni come le seguenti: "Il terrorismo indiscriminato può essere indicato per scatenare l'offensiva contro le forze del regime contando sull'impressione prodotta sia sul nemico che sulle forze almeno in parte a noi favorevoliÉ La massa della popolazione sarà portata a temerci e ad ammirarci, disprezzando nel contempo lo Stato per la sua incapacità". Lo stesso Gu‚rin-Serac aveva elaborato un mini-manuale per il perfetto terrorista, intitolato "Missions sp‚ciales" ove si leggono i seguenti brani: "Il terrorismo spezza la resistenza della popolazione, ottiene la sua sottomissione e provoca una frattura fra la popolazione e le autorità. Ci si impadronisce del potere sulla testa della masse tramite la creazione di un clima di ansia, di insicurezza, di pericolo". "Il terrorismo indiscriminato distrugge la fiducia del popolo disorganizzando le masse onde manipolarle in maniera più efficace". 200) Sia pure a singhiozzo e senza trarne tempestivamente e sino in fondo le conseguenze operative, come già osservato nell'analisi specificamente dedicata al fenomeno. 201) La qualità degli obiettivi e la simultaneità degli attentati progettayi ed attuati dovevano offrire sia la dimostrazione della scelta operata che di una elevata capacità militare (organizzativa e di fuoco), in grado di competere con le dimostrazioni che contemporaneamente giungevano dalle formazioni di sinistra. Nel gennaio del 1975 vengono compiuti attentati con esplosivo allo studio dell'avvocato Edoardo Di Giovanni (abituale difensore degli estremisti di sinistra) e all'abitazione del giornalista Willy de Luca (rispettivamente il 16 ed il 18 gennaio), mentre il 30 dello stesso mese analogo attentato veniva compiuto presso la redazione del "Borghese", indirizzato non al periodico, ma al suo direttore, Mario Tedeschi. Nel periodo immediatamente successivo si susseguono numerosi attentati in Sicilia e Calabria, ove il FULAS è operativo tramite Concutelli, Mangiameli ed altri ordinovisti, come quelli ai danni della concessionaria Fiat di Catania, dell'ufficio del Catasto di Reggio, all'ora di Palermo, alcuni dei quali eseguiti anche contemporaneamente per dare, appunto, prova di efficienza e capacità di fuoco. 202) Sempre nella linea del doppio binario si collocano le attività di addestramento all'uso di esplosivo, il procacciamento di armi ed esplosivo attraverso la loro sottrazione furtiva (come il furto presso le polveriere G. Stacchini che frutterà la dotazione di bombe a mano del gruppo) e l'attività di autofinanziamento attraverso rapine e spaccio di denaro falso nonché l'attività di schedatura degli avversari politici, attività nella quale si inseriscono ambigui rapporti e singolari "scambi di favori" con ufficiali dell'arma dei carabinieri. 203) Il programma di riorganizzazione della destra eversiva venne discusso nel corso di numerose

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riunioni svoltesi in tutta Italia. Una di esse (28 febbraio - 2 marzo 1974) cui fu presente la maggior parte dei leader di O.N. e A.N. e dei gruppi collegati si tenne all'Hotel Giada, di Cattolica, il cui titolare era un certo Mario Caterino Falsari. Questi, per sua stessa ammissione, era collaboratore del SID, della Polizia e dei Carabinieri, una circostanza nota a buona parte dei partecipanti. Ciò indusse il giudice istruttore del procedimento contro Ordine Nero e notare: "E' perlomeno insolito che i dirigenti di un movimento illegale scelgano quale luogo di riunione proprio quello in cui sanno di poter essere sorvegliati e resta la sola spiegazione che quello fosse l'unico posto 'sicurò, ove operare, fidando in opportune coperture". 204) I NAR si sono resi responsabili di numerosissimi atti violenti, sia in attuazione del disegno eversivo che li caratterizza che per procurarsi armi e mezzi finanziari. Gli omicidi di Ivo Zini (settembre 1979), di Roberto Scialabba (febbraio 1978), il tentato omicidio di Ivo Nibbi (dicembre 1978) rientrano in un disegno di annientamento degli avversari politici, gli attentati alla sezione del PSI del quatriere Testaccio, alla sezione del PCI del quartiere Esquilino, alla emittente Radio Città Futura (condotti come vere e proprie operazioni di guerriglia), alla centralina dell'ACEA, al cimena Ambra Iovinelli, ai giornali Messaggero, Corriere della Sera e Espresso, nonché altri numerosi episodi di aggressione, sono anch'essi esemplificativi delle scelte operate dal gruppo. Nel tempo Fioravanti poi sosterrà che l'idea dell'annientamento fisico dell'avversario politico individuato nell'area della sinistra fu superata e che proprio l'attentato a Radio Città Futura avrebbe segnato una specie di lancio di una proposta di dialogo con l'opposto schieramento, mano a mano che maturava anche nel suo gruppo la convinzione che il vero antagonista fossero le istituzioni e non l'estrema sinistra. 205) Il massimo della violenza omicida fu realizzato dai NAR nell'eliminazione dell'appuntato Evangelisti, in cui i NAR operano insieme a quelli di T.P., e soprattutto nell'omicidio del giudice Amato che assume uno specifico significato politico, perché il magistrato costituiva un nemico riconosciuto di tutta l'area della destra e la sua eliminazione conferiva al gruppo di appertenenza degli autori del gesto un prestigio all'interno di quell'area che travalicava il vantaggio della semplice vendetta contro un nemico dichiarato. Nell'ambito dell'attività della formazione sono poi da ricondursi una serie numerosissima di rapine consumate per procacciarsi le armi, azioni dalle quali derivava da una parte il profitto diretto che le aveva determinate, dall'altra l'affermazione, con i fatti, della propria stessa esistenza, con un meccanismo che finisce per autogenerare nuovi delitti. La rapina all'armeria Centofanti, in cui trova la morte Franco Anselmi, componente del nocciolo originario dei NAR, innesterà la c adenza celebrativa di nuovi reati in cui si colloca la rapina all'Omnia Sport, organizzata proprio per commemorare il camerata caduto oltre all'ossessivo progetto di eliminazione dell'armiere Centofanti al quale veniva addebitata la morte, mentre le cadenze anniversarie dei fatti di Acca Larenzia o della morte di Mantakas innestarono a loro volta la

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reiterazione di altri fatti delittuosi. 206) In questo senso possono essere individuate delle tappe significative: alla fine del 1975 gli arresti di via Sartorio segnano un primo momento decisivo, mettono in crisi la riunificazione in corso, radicalizzano lo scontro con le istituzioni, decapitano momentaneamente i vertici in patria di AN; nel 1977 l'arresto di Concutelli in via dei Foraggi impone un cambio di strategia radicale proprio per il venir meno del comandante militare più prestigioso (tanto che i progetti per la sua liberazione costituiscono una costante negli anni successivi), pone fine all'esperienza dei G.A.O. e concentrale le energie intorno al progetto di Costruiamo l'Azione; nel 1979 l'arresto di Calore e Signorelli, che verranno scarcerati dopo pochi mesi, e la contemporanea detenzione di Fioravanti consentirà lo stabilirsi di un forte collegamento non solo tra le persone, ma tra le aree generazionali da esse rappresentate e segnerà una svolta nella maturazione di quest'ultimo, poi, nel dicembre, gli arresti di Nistri e Dimitri, (che rimarrà detenuto fino al 1981 per poi riprendere l'attività eversiva), in via Alessandria, di Dario Pedretti nel corso di una rapina e di Calore (scarcerato da poco), Bruno Mariani, Antonio Proietti e Antonio D'Inzillo nella quasi flagranza per l'omicidio Leandri, sconvolgeranno lo scenario dell'eversione lasciando Fioravanti, Cavallini, Belsito, Vale padroni del campo e unico punto di riferimento per un'area sempre più preda di un delirio distruttivo. Nel febbraio del 1981 l'arresto di Cristiano Fioravanti segnerà l'inizio della parabola discendete dell'efficienza della galassia terrorista, costellata da una serie di azioni che proprio la consapevolezza della sconfitta renderà particolarmente spietate anche nelle modalità esecutive, dall'omicidio dei "traditori" Perucci e Pizzari all'omicidio Straullo e Di Roma, allo scontro nel quale rimase ucciso Alessandro Alibrandi e trovò la morte l'agente Ciro Capobianco, tale parabola discendente sarà segnata dall'arresto di Valerio Fioravanti, nell'aprile del 1 981, da quello di Francesca Mambro, ferita nel corso della rapina nella quale rimase ucciso il passante sedicenne Alessandro Caravillani nel marzo del 1982, dalla morte di Vale nel maggio 1982 fino all'arresto di Cavallini nel settembre 1983. 207) Come ha ricordato alla Commissione il giudice istruttore del Moro quater, dottor Rosario Priore, nell'incontro di lavoro del 9 marzo 1995, l'ex senatore Flamigni riferì di avere appreso dell'esistenza di un "quarto uomo" dal brigatista Azzolini nel corso di un colloquio in carcere. Azzolini, interrogato sul punto dai magistrati, negò quanto riferito da Flamigni e gli inquirenti si rimisero, sul punto, alla versione negativa già fornita da Morucci. L'ex senatore Flamigni nel volume "La tela del ragno" Kaos, 1993, ha avanzato l'ipotesi del “quarto uomo" ritenendola fondata, sul piano logico, anche da concrete esigenze di vigilanza. 208) Si vedano gli atti del procedimento Moro quinquies presenti nell'archivio della Commissione stragi, doc. 7/2, 7/4 e 7/7, XII legislatura.

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209) Rita Algranati, latitante, nome di battaglia: "Marzia", è sposata con l'altro brigatista Casimirri. Dopo l'assoluzione definitiva l'Algranati è fuggita, riparando per un certo periodo in Nicaragua con il marito; successivamente è riuscita a far perdere le proprie tracce. Recenti indicazioni, che la vorrebbero in Libia, lascino dubbiosi gli inquirenti (sulla latitanza dell'Algranati e sul ruolo nell'aguato di via Fani, cfr. le dichiarazioni del dott. Marini nell'incontro di lavoro con la Commissione stragi del 9 marzo 1995. La partecipazione dell'Algranati all'agguato di via Fani è stata ammessa da Morucci in un'intervista rilasciata a Panorama del 17 ottobre 1993; vedi anche M. Moretti "Brigate Rosse. Una storia italiana", a cura di Carla Mosca e Rossana Rossanda, ed. Anabasi, Roma, 1994, pp. 125-126. 210) Sentenza Moro 1 e Loro-bis, 24 gennaio 1983, pag. 801. 211) Così, Atti della Commissione stragi, X legislatura, Doc. XXIII, n. 49, nota integrativa del deputato Cipriani Luigi a: "Relazione sull'inchiesta condotta sugli ultimi sviluppi del caso Moro" (Tale nota integrativa fa seguito alla memoria scritta presentata dallo stesso Cipriani il 3 maggio 1991). 212) Così il verbale di interrogatorio; i brani citati, relativi alle deposizioni del 28 ottobre e del 6 novembre 1992, sono riportati alle pp. 14, 59 e 60 del Doc. Moro 7/3, Atti Commissione stragi, XII legislatura. 213) Sereno Freato, uno fra i più stretti collaboratori di Moro e destinatario di numerose lettere a lui indirzzate durante il rapimento. 214) In Sergio Flamigni, La tela del ragno, Kaos, Milano, 1993, pag. 89. 215) Vedi infra, cap. XI, sez. III. 216) E' la tesi di Sciascia nella sua relazione di minoranza. 217) L'episodio si situa nella più ampia tessitura di noti contatti tra i vertici del PSI (Craxi, Signorile, Landolfi) e uomini dell'Autonomia (Piperno e Pace), volta a favorire l'apertura della trattaiva - Lanfranco Pace aveva militato nelle BR e ne era uscito poco prima del sequestro Moro, mantenendo i contatti. 218) E' il dato più rilevante che sembra completamente sfuggire alla valutazione della Commissione Moro, almeno per come si esprime nella relazione di maggioranza. E' pur vero, peraltro, che questa Commissione fonde il suo contrario assunto su acquisizioni successive. 219) Cfr., in tal senso, la deposizione resa al p.m. di Perugia, dottor Cardella, dall'avvocato Rocco Mangia, in Atti Commissione stragi, XII legislatura, doc. Moro, 7/13. 220) E' il colonnello Antonio Varisco che giunge in via Gradoli subito dopo la scoperta del covo, accompagnandovi il giudice Infelisi, titolare delle indagini. 221) Nelle stesse ore in cui viene rintracciato il falso comunicato del Lago della Duchessa, di cui in seguito si dirà; il covo di via Gradoli viene, come è noto, scoperto a seguito di una perdita di acqua che si infiltra nell'appartamento sottostante e sulla cui casualità sin dall'inizio sorsero forti dubbi.

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222) Don Antonello Mennini era parroco della Parrocchia di S.ta Lucia in Roma. Successivamente al sequestro e all'assassinio dell'onorevole Moro ebbe alcuni incarichi nell'ambito della diplomazia Vaticana che lo portarono a trascorrere diversi anni all'estero. Attualmente presta servizio presso la segreteria di Stato della città del Vaticano. Dopo ripetuti inviti, don Mennini ha formalizzato il rifiuto a comparire dinanzi alla Commissione con lettera del 10 luglio 1995, con la quale dichiara di non avere nulla da aggiungere a quanto da lui già riferito in sede giudiziaria ed alla prima Commissione Moro. 223) Sul punto una considerazione è dovuta: il progetto politico di cui l'onorevole Moro era portatore, si poneva in una prospettiva di antitesi assoluta al progetto politico della loggia coperta, quale evidenziato nel già analizzato Piano di rinascita nazionale. Non vi è dubbio quindi che uomini della P2, posti al vertice dei servizi di sicurezza, fossero dal vincolo di "doppia lealtà" posti in una situazione "schizofrenica" perché astretti all'adempimento di due obblighi di fedeltà tra loro non conciliabili. 224) Il giornalista Pecorelli fu, come è noto, assassinato nel 1979; del possesso di carte di Moro da parte del generale Dalla Chiesa sarebbe stato a conoscenza pure il generale Galvaligi, anch'egli assassinato nel 1980 in circostanze tuttora misteriose (cfr. per ampi richiami il Corriere della Sera del 28 novembre 1995). 225) Il generale Grassini, nella medesima riunione, osservava che "i Nar, che costituiscono la principale organizzazione della destra eversiva, appaiono capaci di effettuare un'azione del genere (dal 1977 ad oggi hanno compiuto oltre settanta attentati). Peraltro, il Sisde, da tempo impegnato a seguire gli sviluppi e l'attività del gruppo, avanza dubbi sulla matrice Nar per quanto concerne l'attentato di Bologna, in quanto questa organizzazione, a differenza di altri gruppi della destra eversiva, ha mutuato i modi di agire tipici delle Br, realizzando in genere attentati contro obiettivi selezionati: ritiene invece che l'attentato di Bologna potrebbe essere opera di qualche elemento del gruppo. Tutti, in circolazione in Toscana". Le stesse perplessità furono manifestate, in quella circostanza, dall'onorevole Morlino, ad avviso del quale "anche la matrice dell'attentato dovrebbe essere approfondita, in quanto i Nar, come indicato dal generale Grassini, sembrano agire attualmente in direzione di obiettivi qualificati e non mediante stragi indiscriminate". 226) Dubbi su tale accidentalità sono stati sollevati dalla pubblicistica dopo la morte di un fratello dell'onorevole Bisaglia, sacerdote, scomparso in circostanze che presentano più di un lato oscuro. 227) Del Giudice, "Staccando l'ombra da terra", Einaudi, 1994. 228) In tale direzione il Presidente del Consiglio diede disposizione che si attivassero i servizi di informazione e sicurezza, con l'avvertimento però che gli stessi avrebbero dovuto riferire in ordine ai risultati dell'attivazione direttamente all'autorità di governo e non alla magistratura inquirente..

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L'atteggiamento appare alla Commissione istituzionalmente corretto, non costituendo i Servizi organi di polizia giudiziaria; e tuttavia sembra trasparirvi la preoccupazione che l'attività informativa potesse portare in luce alcuni dei legami tra apparati istituzionali e destra eversiva che, come si è visto, sono stati per lungo tempo occultati, quale esito, sul piano di un'oggettività ormai innegabile, dei depistaggi che costantemente hanno accompagnato le indagini giudiziarie sugli eventi di strage che segnarono il periodo. Sta di fatto che il servizio militare di sicurezza ancora una volta si attivò e, contravvenendo alle direttive del Presidente del Consiglio, fornì all'autorità giudiziaria inquirente contributi che possono oggi in termini di certezza affermarsi depistanti. 229) Nella sentenza della Corte di assise di appello di Milano del 7-8 marzo 1978 (divenuta definitiva), per vero si legge che la matrice ideologica dell'attentato della strage di Milano del 17 maggio 1973 poteva essere nazifascista o anarchica, "l'una ipotesi non essendo meno valida n‚ iù arbitraria dell'altra". Conclude sul punto, dicendo che in definitiva il Bertoli volle ed usò brutale violenza per affermare un'idea antitetica alla Costituzione, lesiva degli interessi primari ch'essa tutela a garanzia dell'essere e del sopravvivere della società: qualunque ne sia la radice, essa non può che accentuare il disvalore del fatto in cui s'è espressa. Tuttavia, come già rammentato, le indagini in corso da parte del G.I. milanese Lombardi, parallele all'inchiesta condotta dal G.I. Salvini, ricollegano anche l'attentato di Via Fatebenefratelli al contesto eversivo unitario cui sono riferibili le tre stragi insolute della prima metà degli anni '70. Bertoli ha ribadito la sua appartenenza al milieu anarchico rivoluzionario in un suo recente scritto, "Storia di un terrorista, un mistero italiano", Emotion/Tracce, Pontedera; 1995. 230) Non può dimenticarsi che secondo Tommaso Buscetta, "Pecorelli e Dalla Chiesa sono cose che si intrecciano". 231) Il 23 dicembre 1984, pochi minuti dopo le ore 19, una violenta esplosione devastava una delle carrozze di seconda classe del convoglio ferroviario denominato "rapido 904" in servizio fra Napoli e Milano mentre questo si trovava all'interno della grande galleria dell'Appennino immediatamente prima della località San Benedetto Val di Sambro, nella direzione sud-nord. Perdevano così la vita quindici persone e ne rimanevano ferite anche gravemente altre duecentocinquanta fra i circa seicento passeggeri. 232) Per la strage di Natale del 1984 le ipotesi si erano indirizzate verso ambienti napoletani della destra radicale. 233) Intervento di Lorenzo Pinto in un pubblico incontro tenutosi a Foggia il 10/12/1994

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Gladio, braccio armato della P2?Gladio, braccio armato della P2?LA CATENA DI COMANDO DI GLADIO.

Martini. Capo ufficio R dall'ottobre 1976 al 27 settembre 1978.

Fino a quando è stata costituita la VII sezione Sismi, la Gladio era gestita nel modo seguente:

capo del servizio capo ufficio R-S capo della 5° sezione

Gladio

-------------------------

Nel periodo del Sid 1960-1966, direzione Henke, e nel periodo 1970-1974, direzione Miceli, la catena di comando era la seguente:

capo del servizio capo sezione R capo uff.R

Gladio

-----------

Capi uff.R:

1969-1971 : Bernini Buri

1971-1974 : col.Fortunato

Nel periodo ottobre 1970-1971 si affiancò alla sezione R la V sezione detta Sad comandata dal col.Fagiolo e dal col.Serravalle.

In definitiva, dal 1970 al 1974, la struttura Gladio aveva come capi:

Henke-Miceli, capi del Sid;

Bernini Buri e Fortunato capi uff.R;

Fagiolo e Serravalle capi V sezione.

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Dal 1976 venne costituito il servizio R, i cui capi furono l'amm.Toller e l'amm.Martini. Comunque, in quegli anni, la direzione operativa, il reclutamento, l'addestramento, il finanziamento era dell'uff.R.

Martini specificò: fino al 1975-76, quando io fui messo a conoscenza dell'esistenza di Gladio, la catena di comando era: capo del servizio-capo ufficio R e V sezione inglobata nell'ufficio R. Quindi tutta la gestione, il materiale, le operazioni, le esercitazioni, l'arruolamento, i finanziamenti venivano gestiti dalla catena.

MICELI ristrutturò l'ufficio R nel modo seguente:

---------------- periodo 1973-74-75-76

------------------ rep.D interno

capo del servizio -------------------- --------- -----------

------------------ rep. R S estero uff.R Gladio

MARTINI. CHI FU INFORMATO DI GLADIO. Comunicazione scritta a: Craxi, Spadolini, Goria, Zanone, De Mita, Martinazzoli, Andreotti.

Sono stati informati con riunione apposita: Andreotti, Cossiga, Gui, Forlani, Lattanzio, Ruffini, Lagorio.

Hanno visitato capo Marrangiu: Taviani, Gui, Andreotti, Cossiga, Lagorio, Sanza, Zanone e Rubbi.

Non sono stati informati: Rumor, Fanfani, Moro, Leone, Segni, Restivo, Tremelloni, Gaspari, Tanassi.

 

DEPOSITI D'ARMI (Andreotti Operazione Gladio). A seguito degli accordi Italia-Usa, nel corso del 1959 la Cia provvide ad inviare presso il Cag i materiali di carattere operativo destinati alla Gladio da interrare nelle zone d'operazione. A partire dal 1963 ebbe inizio la posa dei contenitori. Fra i materiali in questione erano comprese armi portatili, munizioni, esplosivi, bombe a mano, coltelli, mortai da 60 mm., cannoncini da 57 mm, fucili di precisione, radiotrasmittenti eccetera.

AURISINA. A seguito del ritrovamento di uno dei contenitori da parte dei carabinieri della zona di Aurisina, per realizzare migliori condizioni di sicurezza, venne iniziato, a partire dall'aprile 1972 il recupero di tutto il materiale che fu accantonato in stazioni dei carabinieri vicino ai luoghi di interramento. Gli esplosivi recuperati vennero accentrati presso il Cag e presso il deposito di munizioni di Campomela.

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Le operazioni di recupero ebbero termine nel corso del 1973 e permisero di ritrovare 127 Nasco su 139. Dei contenitori mancanti risulta che: 2 con armi leggere quasi certamente furono asportati da ignoti, probabilmente all'epoca delle operazioni di interramento; 8 con armi leggere furono lasciati nei luoghi di interramento in quanto raggiungibili solo con demolizioni; 2 con armi leggere e 1 con esplosivi non più rinvenibili in quanto dislocati presso cimiteri che avevano nel tempo subito ampliamenti.

IL CENTROSINISTRA DI MORO. Nel 1963 la Cia intervenne ancora contro la formazione del centrosinistra che fu formato da Aldo Moro. Vernon Walters, vicedirettore Cia, incaricò il col.Renzo Rocca che era in contatto con grandi gruppi industriali (Fiat ecc.) di inviare informative allarmanti sul malcontento dei settori economici nei confronti del centrosinistra.

Il 26 giugno 1964 cade il governo di centrosinistra presieduto da Moro e De Lorenzo convoca a Roma i generali dei carabinieri coinvolti nel piano Solo. Il presidente Segni affida l'incarico a Moro di formare un nuovo governo. Dopo forte tensione, Moro e altri dc incontrano De Lorenzo a casa del Morlino. IL 16 luglio 1964 Moro forma il nuovo centrosinistra morbido ed il 7 agosto Segni è colpito da paralisi al Quirinale, dopo un'accesa lite con Saragat.

 

PIANO SOLO

1.Criteri generali da porre a base di ciascun piano.

a) Assicurare il saldo possesso delle aree vitali esistenti nel territorio di giurisdizione (aree vitali sono quelle la cui caduta possa avere conseguenze di rilievo ai fini del mantenimento dell'ordine costituito nel territorio dello Stato. Si distinguono in aree vitali di 1° grado e aree vitali di 2° grado);

b) Predisporre:

-nelle aree vitali, provvedimenti di carattere:

difensivo, nei confronti della nostra organizzazione;

offensivo, nei confronti del probabile avversario (occupazione Rai-tv, centrali telefoniche, sedi di partiti e/o fermo di esponenti in vista ecc.);

impedendo la costituzione di comandi e centri logistici;

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-nel rimanente territorio di giurisdizione, provvedimenti di carattere:

difensivo, nei confronti della nostra organizzazione;

intesi a costituire blocchi di riserve autocarrate da concentrare in secondo tempo nelle aree definite vitali;

c) Prevedere la costituzione di:

-riserve settoriali in ciascuna area vitale;

-una riserva divisionale in posizione centrale, orientata ad intervenire a favore delle aree vitali.

2.Forze a disposizione

a) Di 1° tempo:

-reparti territoriali dipendenti dalla divisione;

-reparti allievi sottufficiali e allievi carabinieri dislocati nel territorio di giurisdizione;

-nuclei autocarrati, che dovranno costituire l'ossatura di robuste compagnie di formazione da impiegare quale riserva.

b) Di 2° tempo:

-unità di previsto richiamo in caso di mobilitazione. E' da escludere in ogni caso l'abbandono delle stazioni distaccate.

3.Modalità esecutive

a) Costituzione di apposito comando delle forze operanti in ciascuna area vitale collegato con il comando della divisione;

b) Approntamento di:

-un progetto generale per le esigenze di tutto il territorio della divisione;

-progetti particolari per le esigenze delle singole aree vitali.

c) Orientamento verbale, a cura dei comandanti di divisione, fino a livello comandante di corpo.

4.Organizzazione logistica-servizi

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Comprende accurate predisposizioni per quanto riguarda accasermamento (specie delle unità di formazione costituenti riserva) e dislocazione di posti rifornimento munizioni, artifizi lacrimogeni, carbolubrificanti.

(Subito per te.col.Dino, oggi 29 marzo 1968)

I COMPILATORI DEL PIANO SOLO E SIGMA.

Con nota del 12 maggio 1969, il ministro della Difesa chiariva che i documenti indicati come Piano Solo, risultavano composti da quattro minute di impiego per l'ordine pubblico, riguardante solo i carabinieri.

1°.La prima venne redatta dal comando della divisione Pastrengo di Milano, con giurisdizione su tutta l'Italia del nord. La minuta fu scritta dall'allora colonnello Mingarelli che era capo di S.M. della divisione. La minuta era firmata dal generale Markert e intestata 'pianificazione riservatissima, progetto generale'.

2°.La seconda minuta, costituita da 19 fotocopie, era redatta dal comando della divisione Podgora di Roma, con giurisdizione su tutta l'Italia centrale e la Sardegna. La nota era redatta dal gen.Bittoni, all'epoca capo di S.M. della divisione ed era intestata 'Piano Solo del comando di divisione carabinieri Podgora'.

3°.La terza minuta, composta da 28 fogli sciolti, conteneva la pianificazione per Roma, anch'essa redatta dal gen.Bittoni.

4°.La quarta, costituita da 32 fogli dattiloscritti, redatta dal comando carabinieri divisione Ogaden di Napoli, con giurisdizione sul sud, titolata 'Piano per il mantenimento dell'ordine costituito nel territorio dello Stato. Il comandante della Ogaden, Celi, dopo aver convocato il col.Romolo Dalla Chiesa, gli chiese di elaborare "uno studio inteso a vedere cosa l'Arma, nella nostra giurisdizione, avrebbe potuto fare contro i sovvertimenti".

Sulla consistenza delle forze da impiegare e sui piani operativi venne posto, dal governo Moro-Cossiga, il segreto di Stato. Veniva anche respinta la richiesta di ottenere le liste predisposte dal Sifar, contenenti 731 nominativi di 'enucleandi' appartenenti al Pci, distribuite nella primavera del 1964 ai comandi dell'Arma. Picchiotti affermò che, successivamente alla riunione del 25 marzo 1964 dei comandanti di divisione, a seguito della quale verranno predisposti gli appunti rinvenuti, egli convocò i tre capi di S.M. delle divisioni, presenti ufficiali del Sifar, per aggiornare, su ordine del gen.De Lorenzo, i piani di tutela dell'ordine pubblico. Su proposta del gen.Mingarelli, si decise di usare i piani di emergenza speciale preparati dai prefetti, dall'esercito, dai carabinieri, dalla Ps del 15 novembre 1961 (Vicari) adattandoli agli scopi della pianificazione per il piano Solo. Lo schema, predisposto dal col.Tuccari, costituì l'ossatura del Piano Solo che prevedeva l'occupazione delle caserme, della Rai-tv, delle centrali telefoniche, delle sedi di partiti e giornali, con il fermo degli esponenti più in vista, il loro concentramento e trasporto in appositi campi. Era anche prevista l'occupazione del Quirinale e di palazzo Chigi.

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Venne inoltre previsto un piano integrativo SIGMA, che prevedeva l'impiego di contingenti di carabinieri in congedo da richiamare, predisposto dal gen.Iavarone su indicazione del gen.De Lorenzo.

OPERAZIONE DELFINO.

Uff.R. sez.Sad n.n.30124.032.280. Attività addestrativa. Operazione Delfino 15-24 aprile 1966. Trieste-Monfalcone-Muggia. Operazione diretta da Roma.

Gruppo I- Operazione Delfino.

Esposizione della situazione locale (Trieste)

3.1. Proteste a mezzo stampa per la mancata iniziativa del governo e della regione contro il decadimento economico della città.

4.1. Mancate assicurazioni ai lavoratori da parte del commissario di governo.

5.1. Proclamazione di uno sciopero generale di 24 ore con picchetti duri, gli operai in corteo manifestano davanti alla Prefettura.

6.1. A Muggia a seguito di alcuni licenziamenti presso un cantiere locale viene indetto uno sciopero di 12 ore con comizio di un sindacalista della Cgil.

10.1. In conseguenza della ripresa dei bombardamenti Usa contro il Nord Vietnam, gli operai comunisti formano un comitato a sostegno dei vietnamiti.

15.1. Un comitato di agricoltori indice una protesta contro gli espropri di terreni per costruire autostrade.

18.1. Cortei di agricoltori protestano per le vie della città.

28.1. I lavoratori costituiscono un comitato di lotta contro le speculazioni dei padroni pubblici e privati. Seguono scioperi delle varie categorie contro il governo e le autorità locali che non sanno risolvere i problemi economici di Trieste e Monfalcone. Anche i portuali scendono in lotta. Vengono organizzati comizi e cortei di operai.

Esposizione della situazione politica nazionale italiana.

Il progressivo indebolimento della Nato determina una situazione di incertezza nel Paese.

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I partiti di sinistra (Psi-Pci) ne approfittano per fomentare il disordine nel mondo del lavoro dando un'apparenza di rivendicazioni economiche alla lotta politica.

Si punta alla presa del potere attraverso la consultazione elettorale e si cerca di influenzare gli incerti.

Cominciano le intimidazioni nei grandi complessi industriali.

Le regioni sorte dopo tanti contrasti sono un elemento fondamentale nel gioco dei comunisti i quali ormai dominano dal Po alle porte di Roma.

Il Pci fomenta le lotte e acquisisce il controllo di importanti settori dell'economia e dei servizi.

Il centrosinistra cade e gli succede temporaneamente un governo d'affari con compiti puramente amministrativi.

Si fa strada un governo di unità nazionale che unisce il centro e tutti i partiti di destra senza distinzione politica che possa risolvere la difficile situazione.

E' però evidente che il Pci userà tutte le sue forze per impedire tale soluzione e sono da prevedere azioni violente.

Operazione Delfino- Gruppo C-1

Descrizione operativa.

Come già noto, nel periodo 15-24 aprile 1966 si effettuerà una esercitazione nella zona di Trieste con la partecipazione del nucleo P/4 e un nucleo di evasione-esfiltrazione E/4 e la unità di pronto impiego Stella marina.

L'esercitazione si svilupperà su basi sperimentate con temi concernenti le operazioni della guerra non convenzionale in situazioni di insorgenza.

Lineamenti dell'esercitazione.

-Direzione Roma

-Direzione manovra Trieste.

-Zona operativa: territorio della Venezia Giulia; Aquileia-Monfalcone-Sistrana-Trieste.

-Base logistica: aeroporti di Rivolto e Ronchi dei legionari.

-Scopo: organizzazione e attivazione dei comandi per operazioni di insorgenza operanti di fatto nel corso della esercitazione.

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Situazione generale. Allegato n.1

1° FASE.

In talune zone dell'Italia settentrionale gruppi di estremisti, guidati e sostenuti dalla Jugoslavia, stanno promuovendo una situazione che all'attenzione degli elementi più sensibili appare contenere tutti i germi di una possibile più vasta situazione di insorgenza. Questa azione è condotta secondo i dettami della tecnica del camuffamento, sotto diverse forme, rivendicazioni sociali, economiche, sindacali, sfruttando le situazioni contingenti (miseria, ingiustizie sociali) ricorrendo a tutte le forme della deformazione delle informazioni, con l'obiettivo di minare le difese fondamentali del Paese e distruggere la fiducia nelle autorità costituite.

2° FASE.

Le autorità civili e militari si propongono di evitare uno stato di conflitto vero e proprio tenendo aperte le trattative dilazionatorie; assicurano il mantenimento dell'ordine pubblico nei centri principali e la funzionalità dei servizi generali, conducendo sulla restante parte del territorio azioni dimostrative di forza basate sulla mobilità dei reparti impiegati. In questa fase gli elementi delle unità precostituite sviluppano e intensificano i loro programmi di controinsorgenza.

3° FASE.

L'aggravarsi della situazione costringe le autorità civili e militari ad una scelta.

-Impiego delle forze con conseguente rischio di aprire un conflitto militare.

-Ricorso al compromesso politico, accettando di fatto per la zona particolare un temporaneo ordinamento.

Nella convinzione che la prima soluzione debba risultare troppo gravosa per le popolazioni e per l'economia della regione, le autorità optano per il compromesso.

Nasce una situazione che non si vuole peraltro debba cristallizzarsi a tale fine per suscitare fermenti di rivolta e confermare l'italianità della zona; si attivano le formazioni di guerriglia precostituite.

Schema operativo 3° Fase.

-Attivazione delle formazioni precostituite.

-Organizzazione di nuovi gruppi di resistenza.

-Azione di controintimidazione.

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-Richiesta via radio di intervento a supporto di un distaccamento operativo delle "Special Forces Usa"

Situazione locale.

1°FASE

-Il governo, pur dimostrando di interessarsi della situazione locale, il effetti non concorre in alcun modo al suo risanamento e si astiene da ogni intervento.

-L'insorgenza continua in ogni modo ad infiltrare nuovi elementi, a finanziare ed assorbire attività commerciali e ad accentrare il patrimonio immobiliare a nome di elementi slavi. In molti casi le attività restano mascherate da ragioni sociali italiane.

-Assecondata dai partiti Psi e Pci, notoriamente filo slavi, l'insorgenza preme sulla massa dei lavoratori provocando, sotto l'apparenza di rivendicazioni economiche, una agitazione progressiva con il fine ultimo di richiamare la fratellanza italo-slava.

-La controinsorgenza (Gladio) ha accertato che la popolazione locale è divisa in due correnti nelle seguenti percentuali: insorgenza 40%, agnostici 20%.

Con le intimidazioni fatte risulta chiara la prevalenza della insorgenza, occorre organizzare la controinsorgenza a partire dai seguenti centri:

-postelegrafonici

-Ff.Ss.

-Municipio

-Società di navigazione

-Lavori pubblici

-Tribunale

-Ospedali

-Banche

-Compagnie di assicurazione

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-Scuole

-Lega nazionale

-Cai

-Prefettura

Compiti specifici

Informativi

-Localizzare i centri di ritrovo dei rivoltosi.

-Individuazione degli elementi di spicco.

-Tempestive informazioni circa raduni-comizi-manifestazioni.

-Azioni di disturbo nelle manifestazioni al fine di creare piccoli incidenti atti a stimolare la reazione.

Programma d'azione

-Serie di articoli sui giornali rievocando la 2° guerra mondiale, risvegliando l'odio antislavo.

-Altri articoli che mettano in evidenza il benessere italiano contro la miseria jugoslava.

-Acquisizione di notizie particolari, personali su elementi di spicco dei ribelli da rendere pubblici.

-Disturbo di comizi e manifestazioni.

-Organizzazione di contromanifestazioni.

-Azioni di intimidazione contro chi lotta.

Azioni di contrasto

-Autostrada: dire che i lavori sono in pieno svolgimento.

-Cantieri: l'ammodernamento non è stato fatto, ma sono previsti investimenti.

-Porto: le richieste fatte a Trieste saranno esaudite.

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-Ferrovie: è stata data la priorità alle autostrade, ma in futuro verranno potenziate.

-Porto: accusare i portuali filocomunisti di avere fatto scioperi per favorire i porti jugoslavi.

2° FASE

Azioni di contrasto

-Nelle zone dove sono sorti focolai di insorgenza e dove i rossi hanno ottenuto il controllo, sarà intensificata l'azione di propaganda con manifesti, volantini, esposizione del tricolore.

-In previsione del solito comizio del 1° maggio e usuale tentativo di formazione del corteo per raggiungere piazza dell'unità d'Italia, verranno predisposte azioni di gruppi di attivisti per disturbare ed impedire il raggiungimento. Tale azione verrà predisposta ogni volta che vi sarà sentore di manifestazioni e cortei.

3° FASE

La insorgenza è in atto e gli insorti dominano la situazione in quanto occupano tutti i passi dell'altopiano come i rioni periferici di Trieste. La polizia si limita a presidiare le principali installazioni e non interviene nelle dimostrazioni per non creare incidenti.

Compiti operativi

a) Intensificazione delle azioni intimidatorie (lancio manifesti, cancellatura scritte ecc.) lancio di petardi, azioni di sabotaggio mascherato.

b) Individuazione dei centri di rifornimento di armi dei rivoltosi.

c) Presa di contatto con la centrale per la richiesta di ulteriori materiali per aumentare gli aderenti contro l'insorgenza.

d) Intensificazione delle ricerche per case sicure.

e) Controllare e mantenere le condizioni per lanci e sbarchi.

f) Eventuali atti di terrorismo da addebitare agli insorti.

g) Predisposizione di luoghi di concentrazione e addestramento per l'attacco finale agli insorti.

 

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ELENCHI P2-SIFAR

-gen.GIOVANNI ALLAVENA, già capo dell'ufficio D del Sifar e tramite della consegna dei fascicoli a Gelli. Tessera n.1615, codice E18.77, gruppo centrale 0505.

-gen.LUIGI BITTONI, capo S.M. divisione carabinieri Podgora di Roma, con giurisdizione su tutta l'Italia centrale. Fascicolo 0116.

-col.ROMOLO DALLA CHIESA, addetto al comando della divisione Ogaden di Napoli, con giurisdizione su tutta l'Italia meridionale. Tessera 1611, codice E18.77, gruppo 04, fascicolo 0500.

-gen.FRANCO PICCHIOTTI, capo di S.M. comando generale Arma carabinieri. Tessera 1745, codice E18.77, data 1 settembre 1977, gruppo centrale. Referente e capo gruppo di A.Sinagra, G.V.Placco, A.Maroni, Silvio Lauriti, Duilio Poggiolini, Gioacchino Albanese (Psi), Antonio Moretti e presentatore di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Picchiotti era incaricato di compilare le liste di proscrizione per conto di De Lorenzo.

-gen.De Santis, Roma, generale dell'esercito, collaboratore di De Lorenzo durante il piano Solo. Tessera P2 1753, codice E18.77 gennaio 1977, gruppo centrale, fascicolo 0359, grado 3°. Nel fascicolo risulta una fitta corrispondenza con Gelli. E' fondatore nel 1975 con il Gran maestro della nuova P2.

-gen.GIAN BATTISTA PALUMBO. Comandante della legione carabinieri di Genova. Tessera 1672, codice E18.77, gruppo 04, fasc.0135. Successivamente diventerà comandante della divisione Pastrengo di Milano.

-gen.DINO MINGARELLI, generale dei carabinieri, imputato per il depistaggio di Peteano, indicato assieme a Palumbo per essere uno degli organizzatori del piano Solo di De Lorenzo. Sotto la dicitura 'Pianificazione riservatissima progetto generale', Mingarelli precisava gli obiettivi del piano.

 

FASCISTI IN LOGGIA 1970

La massoneria nel 1970 festeggia il centenario del 20 settembre, breccia di Porta Pia, al palazzo dei congressi dell'Eur ed i massoni democratici si resero conto che sotto la gestione Salvini le logge si erano riempite di fascisti e democristiani di destra del gruppo Europa civiltà, sorto nel 1968 da fascisti esoterici, cattolici integralisti legati alla destra Dc di Roma che fa capo all'ex deputato Agostino Greggio ed al cardinale Alfredo Ottaviani, amico di Andreotti.

ELVIO SCIUBBA. Massone e direttore del periodico L'incontro delle genti, organo del Macem, il cui animatore era l'ex

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generale fascista Giuseppe Pieche. Funzionario del Tesoro, distaccato presso l'Ocse e reintegrato in massoneria da Salvini dopo essere stato espulso perché fascista perché dalle colonne del suo periodico aveva lanciato un appello ai giovani di Europa civiltà perché si riunissero con la massoneria nera e l'integralismo cattolico contro la sinistra.

Sciubba, dignitario del rito scozzese (con Giovanni Alliata di Monreale) tenta una operazione entrista nei servizi segreti, utilizzando come tramite il generale Pieche.

GEN.GIUSEPPE PIECHE. Stretto collaboratore del capo della polizia fascista Arturo Bocchini e dell'Ovra, il carabiniere Pieche si ritrovò nel 1937 a collaborare col generale Mario Roatta, capo del Sim (servizio militare) nella campagna di Spagna, e quindi passò direttamente alle dipendenze di Mussolini come controllore dei vari reparti dello spionaggio. Il 19 novembre 1943, dopo la caduta del fascismo, diviene comandante dell'Arma dei carabinieri fino al luglio del 1944, quando venne epurato.

Subito dopo la formazione del governo De Gasperi, il generale Pieche viene ripescato e incaricato di dirigere il centro antincendio della polizia. In realtà ha la funzione di riaggregare i gruppi di fascisti e di infiltrarli nei gruppi di sinistra.

Successivamente Scelba lo incaricherà di ordinare il casellario politico centrale presso il Viminale. Sempre per incarico di Scelba, il gen.Pieche collaborò con Edgardo Sogno al progetto Servizio Difesa civile, il quale altro non era che una sigla di copertura di una struttura di civili armati in funzione anticomunista interna.

LORIS FACCHINETTI. Ex missino passato a Ordine nuovo, massone del gruppo dell'ex generale fascista Ghinazzi, facente parte della redazione del periodico L'incontro delle genti con Elvio Sciubba. Facchinetti, con tutto il gruppo di Europa civiltà composto da Serpieri, Tacchi, Orlandini, Borghese sin dal 1969 aveva stretti rapporti con Miceli. Facchinetti era inoltre in contatto con la P2 perché vi era transitato ed era in contatto con elementi della Magliana, Egidio Giuliani e Paolo Aleandri.

ITALO GENTILE. Massone del gruppo di Ghinazzi, ufficiale della X Mas di Borghese, anche lui componente della redazione di L'incontro delle genti.

SERGIO PACE. Proveniente da Ordine nuovo, facente parte del gruppo di militari golpisti Spiazzi, Miceli ecc., espulso dalla massoneria di piazza del Gesù.

LELIO MONTANARI. Fascista massone del gruppo di Ghinazzi.

GIOVANNI GHINAZZI. Ex generale della polizia fascista, massone, assieme a Alliata di Monreale indiziato per il golpe Borghese. Ghinazzi, durante il periodo Salvini, viene nominato gran maestro onorario a vita e tredici logge del gruppo fascista entrarono a far parte del Grande oriente di palazzo Giustiniani.

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CARLO STIEVANO. Massone del Supremo consiglio di rito scozzese, già appartenente alle brigate nere di Salò, facente parte del gruppo di Alliata di Monreale.

AUGUSTO PICARDI. Ex generale fascista, massone, membro del Supremo consiglio del siciliano Alliata di Monreale che emanò il capitolo segreto (la P2 del rito scozzese). Picardi si unirà con Ceccherini nella Gran loggia di piazza del Gesù, della quale faceva parte la Giustizia e libertà, loggia coperta della quale facevano parte generali golpisti come De Lorenzo, Miceli, e Giuseppe Aloya, Sandro Saccucci, Giulio Caradonna, Michele Sindona, il procuratore generale di Roma Carmelo Spagnuolo, il finanziere Raffaele Ursini.

VALENTINO TACCHI. Componente di Europa civiltà, evoliano, tentò di entrare nella loggia Lira e spada del maestro venerabile Selvaggi, in contatto con la P2 tramite Agostino Greggi. Il Tacchi faceva parte della redazione di L'incontro delle genti di Elvio Sciubba. Nell'aprile 1979 un bollettino comunica che Valentino Tacchi è entrato a fare parte della loggia Lira e spada. Tacchi, con Facchinetti, faceva parte di Ordine nuovo ed era informatore del Sid di Miceli.

LORIS CIVITELLI. Fascista inquisito per il golpe Borghese, fu inserito da Luigi Savona (della loggia Giustizia e libertà coperta) nella loggia torinese la Fiaccola nel 1975 perché proveniente dalla prima P2 che venne sciolta in quell'anno.

STEFANO GULLI. Nel 1974-1975 chiese di entrare in massoneria alla loggia di Roma ma risultò essere tra i fondatori di Ordine nuovo e negli anni sessanta fu tra i fondatori di Avanguardia nazionale con Delle Chiaie. Nel 1963 insieme a Saccucci, Vito Pace e Stefano Serpieri fondarono il gruppo integralista da cui nacque Europa civiltà e successivamente Terza posizione che organizzava campi di addestramento antiguerriglia.

SANDRO SACCUCCI. Fascista della loggia Giustizia e libertà, facente parte della Gran loggia di piazza del Gesù fondata dal fascista agente dell'Ovra Raoul Palermi, il Saccucci era tra i massimi dirigenti del Fronte nazionale di Borghese e tra i fondatori di Ordine nuovo.

Saccucci fu l'organizzatore della 'notte della madonna' che precedeva il concentramento di gruppi di armati in una palestra per marciare sul Quirinale durante il golpe Borghese. Saccucci era vicesegretario della associazione paracadutisti e scrisse nei propri diari che al golpe avrebbe dovuto partecipare anche la forestale. Nel 1970 Saccucci, sotto la copertura dell'organizzazione della Difesa civile, organizza campi paramilitari nell'imminenza del golpe Borghese col finanziamento dello Stato maggiore Difesa, ed una ventina di ufficiali si erano già resi disponibili come istruttori.

Non è nuovo nel nostro paese il tentativo di mascherare gruppi di civili armati antiguerriglia e antisommossa sotto la direzione di militari, camuffati da difesa civile e protezione civile. Un altro tentativo fu fatto da Scelba con Edgardo Sogno e il generale Pieche.

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Saccucci passerà alla P2.

GIOVANNI FANELLI. Massone P2, vicecapo dell'ufficio Affari riservati del Mininterno il cui capo era Umberto Federico D'Amato, tessera 1692 codice E 1977, gruppo centrale, fascicolo 0219, grado 3° maestro barrato giallo. Fanelli dichiarò al p.m. di Roma il 24 giugno 1981: "Non avevo motivo di dubitare che Gelli avesse rapporti con Andreotti e con Cossiga: ciò so con certezza perché accompagnai personalmente il Gelli agli appuntamenti attendendolo in macchina per tre quarti d'ora".

REMO ORLANDINI. Uno dei maggiori dirigenti del Fronte di Borghese, si occupava di tenere contatti con i finanziatori, nel giugno 1974 confesserà al capitano Labruna del Sid e della P2 a Lugano quanto segue: "Noi eravamo collegati anche in campo internazionale. Da Roma doveva partire una certa telefonata, passare attraverso Napoli e Malta dove c'era il comando Nato ed arrivare a Nixon in persona. Tanto è vero che la flotta Nato mise in moto le eliche ed era pronta per partire ed avvicinarsi, se non fosse stata avvertita di fermarsi. Ecco perché vi dico che non avete la minima idea della grandezza e della serietà dell'operazione 'Tora-Tora'. Nostro tramite con Nixon era l'ing.Fenwich che lavora sotto la copertura della Selenia. Fenwich ci è stato presentato da Adriano Monti, è uno del Fronte nazionale che lavora per la Cia. Sono sicuro perché Fenwich, che è del partito repubblicano, ha parlato con Nixon telefonicamente in presenza mia".

PAOLO ALEANDRI. Allievo di Fabio De Felice durante il processo per il golpe Borghese ebbe l'incarico di tenere i contatti tra Gelli e l'avv.De Jorio a quei tempi latitante a Montecarlo; ed in tale veste l'Aleandri ebbe numerosi contatti con il capo della P2 che era preoccupato di alleggerire la posizione di alcuni imputati. Fu Aleandri, riferendo un racconto di De Felice ad indicare che Gelli era venuto in possesso dell'archivio del Sifar di De Lorenzo che avrebbe dovuto essere distrutto. Tramite dell'operazione fu il generale Allavena della P2, già capocentro CS di Roma, creatura di De Lorenzo e compilatore delle liste di proscrizione del piano Solo.

Aleandri riferisce il 27 ottobre 1982 al giudice Imposimato informazioni che confermano quanto dichiarato da Orlandini sul ruolo dell'ing.Fenwich: Attraverso De Felice ebbi modo di conoscere la signora Francini di Forano Sabino. La signora Francini vantava, nel corso di incontri conviviali con me e i De Felice, rapporti speciali con i servizi segreti israeliani e la Cia e col Vaticano. Chiesi a De Felice il motivo della sua considerazione per una persona che ai miei occhi appariva inaffidabile. Il De Felice mi spiegò che a Forano Sabino aveva una villa tale ing.Fenwich, americano, agente Cia che lavorava per la Selenia. Il Fenwich aveva avuto dei contatti con De Felice all'epoca del golpe Borghese ed il tramite era stato la signora Francini. Rapporto dei carabinieri al g.i. Imposimato 7 dicembre 1982: Ha risieduto in Forano Sabina dal 2 luglio 1970 proveniente dagli Usa fino al 19 dicembre 1971, data in cui emigrava per il sud. Vi faceva ritorno il 29 settembre 1972 ma subito dopo, l'11 novembre 1972, data in cui fu inquisito per il golpe Borghese, lasciava il paese. L'ing.Fenwich era in contatto con: Monti Adriano, arrestato il 7 novembre 1974 per il golpe Borghese; Francini Vincenzo e la moglie; De Felice Fabio; Semerari Aldo.

 

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RAPPORTO PIKE. Nel rapporto si affermava che nel 1972 l'ambasciatore Usa, d'accordo con Kissinger, elargì 300.000 dollari ad un alto funzionario del Sid legato alla destra italiana. Tale personaggio venne coinvolto in un complotto di estrema destra per rovesciare il governo. Egli è stato incriminato per una cospirazione politica che avrebbe dovuto culminare in un colpo di stato. L'allusione a Miceli era chiarissima, comunque i magistrati non poterono conoscere mai il testo di quel rapporto del funzionario Usa Pike.

 

IL GOLPE BIANCO DI EDGARDO SOGNO. Nel gennaio 1974 le voci di movimenti golpisti all'interno delle Forze armate divennero insistenti. A partire dal 23 gennaio l'allarme venne dato nelle seguenti caserme. Tutte le caserme di Trieste e del Friuli (151° fanteria Sassari; 14° regg.artiglieria di montagna, 8° artiglieria semovente; 2° Piemonte cavalleria; 82° regg. fanteria Folgore), tutti i reparti della divisione Mantova ed Ariete dell'Orobica tridentina, delle basi Nato del centro-nord, delle caserme di Milano, Pavia, Brescia, Monza (dove si misero in moto i reparti corazzati) del 22° bersaglieri di Torino, del reggimento Acqui che spostò le sue forze a Cesena, della brigata Trieste, del 40° fanteria di Bologna, dei parà di Pisa e di altri reparti di fanteria e di alpini nel centro-sud Italia. In alcune città i carabinieri eseguirono prove per l'aggiornamento dei piani di ordine pubblico, si cronometrarono i tempi di rastrellamento dei quartieri e si finsero occupazioni di centrali telefoniche di giornali e case.

 

MICELI FECE UN VIAGGIO SEGRETO NEGLI USA. Dopo essere stato incriminato e assolto per avere coperto il golpe Borghese, accusato dal rapporto Pike di avere avuto 500 milioni per eseguire operazioni segrete in Italia, nell'aprile 1978 (dopo il rapimento Moro) fece un viaggio segreto negli Usa e si incontrò con politici americani. Negli incontri egli chiese di mettere in atto dispositivi della Nato per evitare che l'Italia finisse nell'orbita di Mosca la quale avrebbe ordito un piano per la presa del potere con l'appoggio di una parte del Pci e delle Br.

Miceli potè lanciare il proprio proclama negli ambienti del congresso Usa introdotto da una lobby denominata 'Americans for democratic Italy' capeggiata da due italoamericani, Philip Guarino e Marcello Nisi che forniva appoggi economici al partito repubblicano di reagan e Bush. Philip Guarino presentò Miceli agli esponenti repubblicani riuniti il 7 aprile 1978 in una sala del Capital hill club di Washington, il club dei deputati repubblicani nei pressi del congresso. Coi trenta deputati repubblicani Miceli fu molto esplicito, affermando: "Perché la Nato non interviene per bloccare il processo di destabilizzazione comunista? Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio atto di aggressione da parte del patto di Varsavia".

In Usa Miceli incontrò uomini della Cia come l'ex direttore William Colby e Ray Cline ex direttore del servizio informazioni

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del Dipartimento di stato, poi alto funzionario della Cia e nel 1978 direttore dell'Institute for international and strategic studies, che compie ricerche per il Pentagono e i servizi di spionaggio Usa di cui fa parte Henry Kissinger. Questo istituto è stato promotore di una campagna di pressione su Kennedy perché impedisse che in Italia vi fosse un'apertura nei confronti del Pci. L'esperto di cose italiane dell'istituto è Michel Leaden.

Durante la visita di Miceli negli Usa, un gruppo di intellettuali democratici, tra cui Noam Comsky e Paul Sweezy resero pubblico un documento contro le ingerenze Usa in Italia ed i pronunciamenti contrari all'ingresso del Pci nel governo.

 

DICHIARAZIONI SPIAZZI. Al processo contro Miceli. "Confermo che in Italia esistevano agli ordini di Miceli oltre 500 cellule attivabili sparse per la penisola, generali e colonnelli che frequentavano terroristi e bombardieri; e non si può negare che Miceli avesse creato il Supersid di tutto rispetto".

Spiazzi intervista del 5 giugno 1984 a Repubblica: "Nel 1972-73 aderivo ad un gruppo che non era d'accordo con quel piano segreto che faceva e forse fa tuttora parte dei protocolli stipulati in Italia e Usa al di fuori della Nato. Un piano chiamato di Sopravvivenza che riguardava la sicurezza in Italia e che consisteva in poche parole nell'abbandono del territorio in caso di invasione e successiva riconquista da parte di un esercito amico".

 

LOGGIA P2. Il piano Gelli.Nel 1975 Gelli si presenta al Presidente della Repubblica con un piano di intervento che avrebbe dovuto essere realizzato con un atto autoritario da parte del Presidente. Gelli premetteva: "Si ravvisa l'immediata necessità di un'azione decisa e tempestiva del Presidente della repubblica con l'emanazione di apposite misure, intese ad evitare un più pesante aggravamento della gravissima situazione", e minacciosamente aggiungeva: "Il presente schema non prelude ad un colpo di Stato ma ha un valore indicativo in merito all'adozione di alcuni provvedimenti che si ritengono essere l'unica soluzione.. Si ha certezza che gli usa, con questo piano, interverrebbero in nostro favore anche presso altri Stati, affinché ci siano concessi finanziamenti".

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Il piano Gelli si articolava nei seguenti punti:

a) Revisione della Costituzione del 1948 per trasformare l'Italia da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale.

b) Proclamazione dello stato di armistizio sociale per un periodo non inferiore ai due anni.

c) Nomina ed insediamento di un Comitato di coordinamento composto da undici membri, scelti tra tecnici di provata esperienza, per proporre modifiche all'attuale Costituzione.

d) Restrizione dei poteri della Corte costituzionale.

e) Ripristino in pieno assetto ed efficienza della XI° Brigata motorizzata dei carabinieri.

f) Predisposizione di un piano per il richiamo in servizio dei carabinieri ausiliari.

g) Predisposizione di un piano di raggruppamento per l'Arma dei carabinieri, con raggruppamento in centri di raccolta scelti in base a criteri operativi per fronteggiare esigenze di ordine pubblico. Analogo provvedimento deve essere emanato per polizia e Guardia di finanza.

h) Ripristinare il fermo di polizia.

i) Istituzione del servizio militare di professione volontario.

l) Impiego delle FF.AA. in ordine pubblico.

m) Ripristino della pena di morte.

n) Abolizione del diritto di sciopero per gli studenti.

o) Divieto assoluto di indire, tenere manifestazioni e congressi di carattere politico.

p) Abolizione dello sciopero politico

q) Regolamentazione dello sciopero economico.

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r) Attribuzione agli Ispettorati del lavoro, in collaborazione con i sindacati, delle disamine di ogni vertenza di carattere sindacale.

s) Divieto ai sindacati di prendere iniziative unilaterali alla soluzione di vertenze o alla proclamazione di scioperi, senza avere ottenuto la preventiva autorizzazione da parte degli Ispettorati del lavoro i quali, comunque, saranno dotati del diritto di veto.

t) Divieto per i Consigli di fabbrica di tenere sui luoghi di lavoro assemblee e riunioni.

u) Divieto assoluto di sciopero per tutto il personale sanitario

 

Dichiarazioni di Francesco Siniscalchi, espulso.

Comandata da Licio Gelli, fascista e repubblichino, il più giovane combattente fascista italiano in Spagna e legato ai governanti argentini (Peron e Lopez Vega). La loggia P2, nel passato, era stata riservata a personaggi di spicco, i quali non desideravano venisse pubblicizzata la loro appartenenza alla massoneria. Il Gelli ne ha approfittato per trasformarla in una loggia segreta al resto della stessa massoneria, riempiendola di fascisti. Capo del personale della Permaflex, passò alla Lebole, giovane di Fanfani. Nel 1965 gli venne affidato il potenziamento della P2, nonostante fosse emerso il suo passato fascista sotto Gamberini.

Salvini disse (1972) che si stava organizzando un golpe, diretto dalla P2 e da Licio Gelli e bisognava liberarsi del Gelli. Gelli inserì alti gradi dell'esercito e dei servizi segreti nella P2, Miceli nel 1972. Francesco Siniscalchi denunciò alla magistratura il golpe, mentre il Gran maestro non lo fece. Siniscalchi venne espulso. Il Gran maestro Salvini tenne nei cassetti la denuncia fatta da E.Benedetti contro il Gelli. Nel 1973, Salvini venne rieletto, mentre venne espulso l'accusatore Benedetti.

1972-74. La P2 controlla Miceli, Spagnuolo, Picella al Quirinale. Lettera di Gelli nel 1972: è preferibile un governo di militari a che vada al governo il Pci.

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Martino Giuffrida, uomo di Gelli, fece una denuncia contro Salvini perché prese soldi dalla Confindustria e dalla Fiat e lo ricattò per ricompattare Gelli e Salvini.

Nel 1976 la P2 si riempie di fascisti (es.avvocato Gianantonio Minghelli), mentre vennero espulsi molti democratici.

Nel 1978 intervengono le logge straniere: inglese, scozzese, irlandese, Usa. Venne fatta una commissione d'inchiesta, Salvini è sostituito da Battelli, ex generale di aviazione. Salvini esce di scena, Gelli rimane, ricattando il Battelli.

La P2 sarebbe ora composta di 1720 persone, mentre una loggia normale dovrebbe contarne 40. Della loggia facevano parte Sindona, Carmelo Spagnuolo, Miceli, Flavio Orlandi, gen.Malizia.

Sul caso Sindona, vi fu anche l'intervento della massoneria Usa. La Banca d'Italia, governatore Guido Calvi, e il Banco di Roma, autorizzarono il rimborso dei capitali ai cinquecento, che li avevano affidati a Sindona per le sue speculazioni. Gelli e Sindona trafficavano e sono compresi nella lista dei cinquecento e Gelli sarebbe implicato nel falso rapimento di Sindona. Gelli entra in tutti gli aspetti della ascesa di Sindona, con lo Ior e la Banca d'Italia.

In casa di Gelli la polizia ha trovato l'elenco dei 1720 appartenenti alla P2. Il giudice Vigna chiese l'elenco per Italicus e Occorsio, e a Tamburrino per la Rosa dei venti e golpe Sogno (anche lui della P2). Un ex appartenente al Sid fece il codice per scrivere i nomi della P2, che probabilmente è stato usato anche da Sindona per i cinquecento.

Nel 1981 il Gran maestro Accornero, all'Hilton, ha proposto di sciogliere la P2 ma è stato battuto. La loggia non è stata sciolta, Gelli rimane e attualmente si trova in Argentina .

 Intervista di Siniscalchi a Iannuzzi per Radio radicale, 8 giugno 1981.

Non si sono capiti bene gli intrecci tra la P2 e i vertici della massoneria 'normale'. Ho dubbi sulla funzione dei corpi separati, visto che sono implicati i servizi. Il dato che non è ancora emerso bene è che Gelli non

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puntava solo sui vertici dei corpi, ma anche sui subordinati.

Ho dubbi sulla volontà politica di andare fino in fondo. L'intreccio fra P2 e Dc è molto esteso. Forlani mi ha querelato perché ho detto che Gelli aveva avuto contatti con lui ed il suo capo di gabinetto, prefetto Semprini. Forlani da giovane, ad Ascoli Piceno, era entrato in una loggia massonica normale e ne è uscito dopo un anno. Con questo quadro politico, non si potrà risolvere il problema P2.

C'è il rischio che la competizione fra le procure porti la questione a Roma, ora si sta inserendo anche quella di Firenze.

L'accusa di spionaggio è un preavviso a Gelli, garantendogli di non essere perseguito dall'Interpol. Gelli è passato dalla Svizzera e da Montecarlo. Documenti sequestrati, scelti dalla valigia di Gelli, trovati non in casa ma in ditta: è un fatto che una parte importante di documenti manca. I magistrati hanno nelle loro mani molti documenti.

In questi anni sulla stampa era uscito praticamente tutto. Nell'intervista di Gelli sul Corriere, fatta da Costanzo, c'era tutto. Quindi tutti sapevano, come mai solo ora è scoppiato lo scandalo? I servizi sono collegati tra loro, può essere arrivato il momento in cui, a livello internazionale, sono state tolte le coperture (Cia-Nato). Adesso, quando non si riesce più a condizionare un gruppo politico al potere (Piccoli? Craxi?). Gelli agente doppio, legato anche all'est, invece, non è probabile.

 Falco Accame. Intervista a Radio radicale, 8 giugno 1981.

I militari hanno l'obbligo del giuramento, inoltre hanno accesso ai segreti di Stato. Quindi /gli iscritti alla P2/ se ne devono andare. Anche Dalla Chiesa deve andarsene: la sua domanda non era solo finalizzata ad infiltrarsi.

Forlani poteva agire prima. Anche il Consiglio supremo di difesa presieduto da Pertini potrebbe prendere provvedimenti.

Questi generali della P2 hanno attuato un golpe morbido. Attraverso il traffico delle armi, si costituivano contemporaneamente un grosso potere economico, con collegamenti politici e statali.

 

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il primo comandamento di Gladio, CIA e Loggia P2 era lo stesso:

““..impedire con ogni mezzo l’ingresso ..impedire con ogni mezzo l’ingresso dei comunisti negli istituti di Governo.”dei comunisti negli istituti di Governo.”

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16 marzo 1978 : Alle 9,15 un commando di brigatisti tendono un agguato in via Mario Fani ad Aldo Moro, presidente della Dc. L’uomo politico sta recandosi a Montecitorio per il dibattito sulla fiducia al quarto governo Andreotti, il primo con l’aperto sostegno del Pci. L’agguato è fulmineo. In pochi istanti i brigatisti uccidono i due carabinieri che sono a bordo dell’auto di Moro (Domenico Ricci e Oreste Leonardi) e i tre poliziotti dell'auto di scorta (Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi). L'on. Moro viene caricato a forza su una Fiat 132 blu.

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Il Caso MoroIl Caso MoroSono stati - e sono destinati a restare - i 55 giorni più misteriosi dell’intera storia dell’Italia repubblicana. Ancora oggi, a distanza di più di vent’anni, soltanto rievocare il caso Moro vuol dire preparasi ad entrare in un ramificato tunnel di segreti e interro- gativi, di domande senza risposta e di inconfessabili trame. Il tempo che corre non solo ci allontana dalla completa verità sulla strage di via Fani, la lunga detenzione di un uomo politico di primo piano e la sua orrenda fine, ma rende tutto più complesso. Il trascorrere degli anni che sempre più ci fa apparire lontano quel tragico evento, anziché semplifi- care il quadro di insieme della vicenda, tende ad aggiungere nuovi tasselli ad un mosaico che appare ormai infinito. Aldo Moro, presidente della DC, per almeno vent’anni personaggio centrale della politica italiana, viene sequestrato da un commando delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, alla vigilia del voto parlamentare che – per la prima volta dal 1947 - sancisce l’ingresso del partito comunista nella maggioranza di governo. Per rapirlo la sua scorta, composta da cinque uomini, viene sterminata. Il gruppo armato che s’impadronisce di Moro afferma di volerlo processare, per processare  tutta  la Democrazia Cristiana, forse addirittura non rendendosi conto di aver gettato sulla scena politica nazionale una bomba ad alto potenziale. I 55 giorni in cui Moro sarà detenuto in un "carcere del popolo" apriranno infatti una serie di enormi contraddizioni in seno all’intera classe politica italiana, mentre i brigatisti finiranno col dimostrarsi – con i loro documenti miopi e vetusti - completamente avulsi dalla realtà storica del paese. La fine di Moro è nota: il 9 maggio 1978 Mario Moretti, capo dell’organizzazione armata, lo ucciderà, "eseguendo la sentenza", così come scritto nell’ultimo comunicato delle BR. Quel colpo di pistola, con tanto di silenziatore, risulta assordante ancora oggi.

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Gli interrogativi del caso Moro

Un contributo di Roberto Bartali

Il culmine delle "stranezze" inerenti le Brigate rosse lo ritroviamo nel rapimento dell'On. Moro.

I 55 drammatici giorni del sequestro dello statista DC furono segnati fin dall'inizio da una serie incredibile di "coincidenze".

Gli accadimenti del 16 marzo 1978Iniziamo col dire che quella mattina del 16 Marzo 1978, subito dopo l’attacco del commando e la strage, il trasbordo del presidente DC - secondo la testimonianza diretta di un'involontaria spettatrice dell'accaduto - avvenne piuttosto lentamente, una calma quasi surreale visto ciò che era appena accaduto. Intanto al numero 109 di Via Fani, un altro fortuito spettatore - Gherardo Nucci - scatta dal balcone di casa una dozzina di foto della scena della strage a pochi secondi dalla fuga del commando; dopo i primi scatti il Nucci sente il rumore delle sirene e vede arrivare sul posto un auto della polizia seguita poi da altre . Di quelle foto, consegnate quasi subito alla magistratura inquirente dalla moglie, una giornalista dell’agenzia ASCA, non si saprà più nulla; qualche "manina" le ha fatte sparire. A tale proposito c’è da sottolineare come quelle foto, che evidentemente avevano immortalato qualcosa (o meglio qualcuno) di importante, furono al centro di strani interessamenti da parte di un certo tipo di malavita, la 'ndrangheta calabrese, di cui avremo modo di parlare in seguito e che ad una prima analisi sembrerebbe un'intrusione completamente fuori luogo, trattandosi di terrorismo di sinistra, dunque politico. Ecco, ad esempio, uno stralcio delle intercettazioni telefoniche effettuate sull'apparecchio di Sereno Freato, nel caso specifico egli stava parlando con l'On. Benito Cazora, incaricato dalla DC di tenere i rapporti con la malavita calabrese per cercare di avere notizie sulla prigione di Moro:

 

Cazora: Un'altra questione, non so se posso dirtelo.

Freato: Si, si, capiamo.

Cazora: Mi servono le foto del 16, del 16 Marzo.

Freato: Quelle del posto, lì?

Cazora: Si, perchè loro... [nastro parzialmente cancellato]...perché uno stia proprio lì, mi è stato comunicato da giù.

Freato: E' che non ci sono... ah, le foto di quelli, dei nove

Cazora: No, no! Dalla Calabria mi hanno telefonato per avvertire che in una foto preso sul posto quella mattina lì, si individua un personaggio... noto a loro.

Freato: Capito. E' un po’ un problema adesso.

Cazora: Per questo ieri sera ti avevo telefonato. Come si può fare?

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Freato: Bisogna richiedere un momento, sentire.

Cazora: Dire al ministro.

Freato: Saran tante!

 Traspare la preoccupazione di certi ambienti malavitosi calabresi, le foto scattate dalla terrazza di casa Nucci avrebbero potuto portare gli inquirenti su di un sentiero piuttosto pericoloso sia per la persona loro cara, sia per la precisa ricomposizione dello scenario di quella tragica mattina.

Compiuta la strage e sequestrato Moro i terroristi riuscirono a dileguarsi grazie ad una sorprendente coincidenza: una volante della polizia stazionava come ogni mattina in Via Bitossi nei pressi del giudice Walter Celentano, luogo dove stavano per sopraggiungere le auto dei brigatisti in fuga; proprio qualche istante prima dell'arrivo dei brigatisti, un ordine-allarme del COT (centro operativo telecomunicazioni) fece muovere la pattuglia. In via Bitossi era parcheggiato il furgone con la cassa di legno sulla quale sarebbe stato fatto salire Moro. Un tempismo perfetto. I brigatisti avevano la certezza che quella volante si sarebbe spostata?

L'unica certezza cui possiamo fare appello per questa circostanza è che tra i reperti sequestrati a Morucci dopo il suo arresto verrà trovato un appunto recante il numero di telefono del commissario capo Antonio Esposito (affiliato alla P2), in servizio guarda caso proprio la mattina del rapimento. Secondo il racconto degli esecutori, il commando brigatista, una volta effettuato un cambio di auto nella già citata Via Bitossi, con il sequestrato chiuso in una cassa contenuta in un furgone guidato da Moretti e seguito da una Dyane al cui volante era Morucci, fa perdere le proprie tracce. Per portare a termine il sequestro del più importante uomo politico italiano, e fronteggiare eventuali posti di blocco, le Br fecero uso solamente di due auto, veramente strano se si considera che per rapire Valeriano Gancia le stesse Br ne avevano usate tre.

Sul numero dei brigatisti presenti sono illuminanti le deduzioni di Alberto Franceschini:

 “...per il sequestro Sossi, che era abbastanza facile da compiere, nel senso che era una persona che si muoveva senza scorta, il rapimento fu effettuato di sera in una viuzza. Semmai, si presentavano problemi per la via di fuga, ma non tanto per la presa del soggetto. Comunque, per compiere questa operazione, noi eravamo diciotto persone, stando anche a ciò che dice Bonavita nella sua ricostruzione. Quindi, mi sembra assolutamente improponibile che un'operazione militare complessa come quella di via Fani sia stata compiuta da solo da dodici persone”.

 

I dubbi si fanno insistenti se si pensa che, sempre secondo il racconto fatto dai terroristi, il trasbordo dell'On. Moro sul furgone che dovevaportarlo nel covo-prigione di Via Montalcini avvenne in piazza Madonna del cenacolo, una delle più trafficate e per giunta piena zeppa di esercizi commerciali a quell'ora già aperti, mentre il furgone che doveva ospitare il rapito (e del quale, al contrario delle altre auto usate, non verrà mai ritrovata traccia) era stato lasciato privo di custodia, in modo tale che se qualcuno avesse parcheggiato in doppia fila, le Br avrebbero compromesso tutta l'operazione.

Adriana Faranda in merito a questo particolare - anche di fronte alla Commissione stragi - ha risposto che in caso di contrattempi di questo tipo Moretti avrebbe portato il prigioniero alla prigione del popolo con l'auto che aveva in quel momento, un'affermazione alla quale non mi sento di credere visto l'inutile pericolo che i brigatisti avrebbero corso e considerando anche che, come hanno invece dimostrato, essi non erano affatto degli sprovveduti.

 

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Poco dopo la strage un tempestivo black-out interruppe le comunicazioni telefoniche in tutta la zona tra via Fani e via Stresa, impedendo così le prime fondamentali chiamate di allarme e coprendo di fatto la fuga delle Br. Secondo il procuratore della Repubblica Giovanni de Matteo - ma anche per gli stessi brigatisti - l'interruzione venne provocata volontariamente, tutto il contrario di quanto sostenuto dall'allora SIP, che attribuì il blocco delle linee al "sovraccarico nelle comunicazioni". Su questo punto i brigatisti hanno affermato che il merito di tale interruzione era da attribuirsi a dei "compagni" che lavoravano all'interno della compagnia telefonica. Però coincidenza volle che il giorno prima (il 15 Marzo alle 16:45) la struttura della SIP che era collegata al servizio segreto militare (SISMI), fosse stata posta in stato di allarme, proprio come doveva accadere in situazioni di emergenza quali crisi nazionali internazionali, eventi bellici e...atti di terrorismo. Una strana premonizione visto che era giusto il giorno prima del rapimento di Moro.

Le borse del presidenteUn mistero inerente al giorno del rapimento riguarda poi la sparizione di alcune delle borse di Moro. Secondo la testimonianza di Eleonora Moro, moglie del defunto presidente, il marito usciva abitualmente di casa portando con se cinque borse: una contenente documenti riservati, una di medicinali ed oggetti personali; nelle altre tre vi erano ritagli di giornale e tesi di laurea dei suoi studenti. Subito dopo l'agguato sull'auto di Moro vennero però rinvenute solamente tre borse. La signora Moro in proposito ha delle precise convinzioni:

 "I terroristi dovevano sapere come e dove cercare, perché in macchina c'era una bella costellazione di borse".

 Nonostante l'enorme quantità di materiale brigatista sequestrato negli anni successivi all'interno delle numerose basi scoperte, delle due borse di Moro non è mai stata rinvenuta traccia, un fatto di rilievo se si considera soprattutto il contenuto dei documenti che il presidente portava con se.

Corrado Guerzoni, braccio destro dell'onorevole Moro, ha affermato che con ogni probabilità quelle borse contenevano anche la prova che il coinvolgimento del presidente DC nello scandalo Lockheed era stato frutto di una "imboccata" fatta dal segretario di stato americano, Kissinger.

Questo delle borse scomparse (e dei documenti da esse contenute) è un punto sul quale l'alone di mistero tarda a scomparire, tant'è che nell'ultima relazione del presidente della Commissione stragi, il senatore Pellegrino continua ad indicarlo come di cruciale importanza.

 Oscure presenze in via FaniChi era veramente presente quella mattina in via Fani? Le Commissioni parlamentari hanno ormai confermato, tanto per riportare alcuni nomi alquanto "particolari", che quella mattina alle nove, in via Stresa, a duecento metri da via Fani, c'era un colonnello del SISMI, il colonnello Guglielmi, il quale faceva parte della VII divisione (cioè di quella divisione del Sismi che controllava Gladio…). Guglielmi, che dipendeva direttamente dal generale Musumeci - esponente della P2 implicato in vari i depistaggi e condannato nel processo sulla strage di Bologna - ha confermato che quella mattina era in via Stresa, a duecento metri dall'incrocio con via Fani, perché, com'egli stesso ha detto: "dovevo andare a pranzo da un amico". Dunque, benché si possa definire quantomeno singolare presentarsi a casa di un amico alle nove di mattina per pranzare, sembra addirittura incredibile che nonostante a duecento metri di distanza dal colonnello ci fosse un finimondo di proiettili degno di un film western, egli non sentì nulla di ciò che era avvenuto ne tantomeno poté intervenire magari solo per guardare cosa stesse accadendo . A dire il vero l'incredibile presenza a pochi metri dal luogo della strage di Guglielmi è stata rivelata solo molti anni dopo l'accaduto, nel 1991, da un ex agente del SISMI - Pierluigi Ravasio - all'On. Cipriani, al quale lo stesso confidò anche che il servizio di sicurezza disponeva in quel periodo di

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un infiltrato nelle Br: uno studente di giurisprudenza dell'università di Roma il cui nome di copertura era "Franco" ed il quale avvertì con mezz'ora di anticipo che Moro sarebbe stato rapito . Ad ogni modo resta il dato di fatto, perché ormai appurato, che la mattina del rapimento di Aldo Moro un colonnello dei Servizi segreti italiani si trovava nei pressi di via Fani mentre veniva uccisa la scorta e rapito il presidente della DC e in più lo stesso ha taciuto questo importante fatto per più di dieci anni.

 Il commandoCome ormai accertato che in sede parlamentare, un tiratore scelto addestratissimo armato di mitra a canna corta, risolse gli aspetti più difficili e delicati della difficile operazione: con una prima raffica, sparata a distanza ravvicinata, colpì i carabinieri Leonardi e Ricci seduti nei pressi di Moro, lasciando però illeso l'onorevole DC. Fu un attacco militare di estrema precisione: la maggioranza dei colpi (49 su di un totale di 93 proiettili ritrovati dalle forze dell'ordine) sparata da una sola arma, un vero e proprio "Tex Willer" descritto dai testimoni (tra i quali un esperto di armi, il Lalli) come freddo e di altissima professionalità. Gli esperti hanno sempre concordato sul fatto che non poteva essere un autodidatta delle Br; nessuno dei membri del commando aveva una capacità tecnica di sparare come quello che alcuni testimoni hanno definito appunto "Tex Willer" ed invece, secondo le perizie, praticamente tutti i colpi letali furono sparati da uno solo dei membri del commando. A ciò si somma il fatto che, secondo una perizia depositata in tribunale, in Via Fani non si sparò solamente da un lato della strada (quello cioè dove si trovavano i quattro brigatisti i cui nomi sono ormai noti), mentre tale ricostruzione è sempre stata negata dai diretti interessati. L'azione, definita degli esperti come "un gioiello di perfezione, attuabile solo da due categorie di persone: militari addestrati in modo perfetto oppure da civili che si siano sottoposti ad un lungo e meticoloso addestramento in basi militari specializzate in azioni di commando", risulta veramente straordinaria se si pensa che, come ha testimoniato Adriana Faranda (anch'ella in azione quel giorno): "gli addestramenti all'uso delle armi da parte dei brigatisti erano estremamente rari perché era considerato pericoloso spostarsi fuori Roma" . La stessa Faranda ha però recentemente aggiunto che: "…era convinzione delle Brigate rosse che la capacità di usare un'arma non era tanto un presupposto tecnico ma piuttosto di volontà soggettiva, di determinazione, di convinzione che si metteva nel proprio operato" . Insomma, una - poco credibile - apologia del "fai da te" a dispetto dell'estrema difficoltà dell'azione.

Nata quasi venti anni fa dal lavoro di Zupo e Recchia autori del libro Operazione Moro, la figura del superkiller è stata ripresa, acriticamente in tutte le successive inchieste. Zupo e Recchia affermano:

 "Il lavoro da manuale è stato compiuto essenzialmente da due persone una delle quali spara 49 colpi l'altra 22 su un totale di 91 [...] il superkiller quello dei 49 colpi, quasi tutti a segno, quello che ha fatto quasi tutto lui, viene descritto con autentica ammirazione dal teste Lalli anche lui esperto di armi".

 La perizia balistica identifica sul luogo dell'agguato 91 bossoli sparati da 4 armi diverse. Ed effettivamente 49 bossoli si riferiscono ad un'arma e 22 ad un'altra. Occorre però notare che più volte la perizia mette in evidenza la parzialità delle risultanze data la vastità del campo d'azione e la ressa creatasi subito dopo il fatto:

 "Non è da scartarsi nella confusione del momento, che curiosi abbiano raccolto od asportato bossoli, o che essi calpestati o catapultati da colpi di scarpa od altro siano rotolati in luoghi ove poi non sono stati più trovati (ad esempio un tombino) ed infine che i bossoli proprio non siano caduti a terra perché trattenuti dentro eventuali borse, ove era trattenuta l'arma che sparava".

 

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Bisogna quindi precisare che 91 non sono i colpi sparati, ma soltanto i bossoli ritrovati sul terreno. Tenendo presente che i colpi sparati potrebbero essere molti di più dei 91 bossoli ritrovati, il fatto che 49 colpi sono stati sparati da un'unica arma acquista un valore del tutto relativo. Se dai bossoli, poi, si passa all'analisi dei proiettili, il dato diventa ancor più aleatorio.

La perizia, infatti, afferma:

"I proiettili ed i frammenti di proiettili repertati sono relativamente molto pochi, un quarto circa dei proiettili che si sarebbero dovuti trovare in relazione al numero dei bossoli. Non tutti i proiettili, e forse la maggior parte, nello stato come sono, abrasi, dilaniati, deformati e scomposti sono utili per definire le caratteristiche della presumibile arma".

Quanto poi all'affermazione dei 49 colpi quasi tutti a segno le risultanze balistiche dicono:

"Nei cadaveri in particolare a fronte di almeno 36 ferite da armi fuoco sono stati repertati soltanto 13 proiettili calibro 9 mm 8 di cui sparati da un'arma e 5 da un'altra".

Come si può notare quindi è cosa certa, ed emerge dalla perizia, la presenza in Via Fani di un terrorista che esplode un numero veramente rilevante di colpi. L'altro elemento che è servito per creare la figura del superkiller è l'ormai famosa testimonianza del benzinaio Lalli che afferma:

"Ho notato un giovane che all'incrocio con Via Fani sparava una raffica di circa 15 colpi poi faceva un passo indietro per allargare il tiro e sparava in direzione di un'Alfetta [...] L'uomo che ha sparato con il mitra, dal modo con cui l'ha fatto mi è sembrato un conoscitore dell'arma in quanto con la destra la impugnava e con la sinistra posta sopra la canna faceva in modo che questa non s'impennasse inoltre ha sparato con freddezza e i suoi colpi sono stati secchi e precisi".

Lalli parla quindi di una persona esperta nel maneggiare le armi, nulla può chiaramente dire sulla precisione del killer. Ma è veramente indecifrabile questo personaggio che maneggia così bene le armi? Nella sua dichiarazione, Lalli assegna all'esperto sparatore un posto ben preciso:

"egli è situato all'incrocio con Via Stresa".

 Secondo le ricostruzioni quella posizione è occupata da Valerio Morucci. Perché allora ci sono dubbi sull'identità del brigatista? Evidentemente Morucci potrebbe anche possedere le qualità "tecniche" indicate dal Lalli. Per sincerarcene diamo uno sguardo alla sua "carriera".

Morucci entra in Potere Operaio all'inizio degli anni settanta, come responsabile del servizio d'ordine ed è tra i primi a sollecitare una militarizzazione del movimento. Nel febbraio del 1974 è arrestato dalla polizia svizzera perché in possesso di un fucile mitragliatore e cartucce di vario calibro. Alla fine del 1976, al momento dell'entrata nelle Br, devolve all'organizzazione diverse pistole, munizioni, e la famosa mitraglietta skorpion, già usata nel ferimento Theodoli, ed in seguito utilizzata per uccidere Moro. Come componente della colonna romana delle Br partecipa a quasi tutti gli attentati che insanguinano Roma nel 1977. Infine, quando insieme con la Faranda esce dalle Br, pur essendo ormai un isolato senza prospettive militari, decide di riprendersi le proprie armi. Un vero arsenale formato da pistole, mitra e munizioni rinvenuto in casa di Giuliana Conforto [il cui padre è risultato poi essere nella rete informativa del KGB. NDR] al momento del suo arresto, il 29 Maggio 1979 (singolare poi il fatto che tra le cose trovate addosso a Morucci ci fosse anche il numero di telefono privato di Monsignor Marcinkus).

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A conferma del rapporto quasi maniacale che Morucci ha con le armi ci sono moltissime testimonianze di compagni brigatisti. Carlo Brogi, un militante della colonna romana nel processo Moro afferma:

"Morucci aveva con le armi un rapporto incredibile, anche perché, come lui stesso mi ha detto, molte delle armi che aveva portato via le aveva portate lui nell'organizzazione provenendo dai FAC e che queste armi erano il risultato d'anni di ricerche per modificarle, per trovare i pezzi di ricambio, insomma erano sue creature. Pertanto per lui separarsene era un insulto a tutto il suo lavoro".

Credo che, viste le caratteristiche di Morucci, affermare che fosse in grado di maneggiare correttamente un fucile sia davvero il minimo. Però Morucci, anche durante l'ultima audizione in Commissione stragi, ha affermato che il suo mitra si inceppò dopo 2 o 3 colpi. Dunque egli non può essere il super killer e probabilmente è anche sbagliata la ricostruzione fatta circa la posizione dei vari brigatisti in Via Fani; a ciò si aggiunge il fatto che nessuno degli altri membri del commando aveva una preparazione da "commando", anzi, la loro compassata freddezza da commando era tale che prima dell'azione Bonisoli pensò bene di farsi un bel grappino per sciogliere la paura. Ma allora chi era il "Tex Willer" ? Cercheremo di rispondere tra breve.

I "misteri" sull'azione militare non sono infatti finiti. In via Fani, dei 93 colpi sparati contro la scorta dell'onorevole Moro, furono raccolti trentanove bossoli sui quali il perito Ugolini, nominato dal giudice Santiapichi nel primo processo Moro, disse quanto segue:

"Furono rinvenuti colpi ricoperti da una vernice protettiva che veniva impiegata per assicurare una lunga conservazione al materiale. Inoltre questi bossoli non recano l'indicazione della data di fabbricazione".

In effetti vi era scritto "GFL", Giulio Fiocchi di Lecco, ma il calibro non veniva indicato - come normalmente fanno invece le ditte costruttrici - e nemmeno la data di fabbricazione di quei bossoli. Il perito affermò che

"questa procedura di ricopertura di una vernice protettiva veniva usata per garantire la lunga conservazione del materiale. Il fatto che non sia indicata la data di fabbricazione è un tipico modo di operare delle ditte che fabbricano questi prodotti per la fornitura a forze statali militari non convenzionali".

In ogni caso, sarebbe interessante sapere come mai questo tipo di proiettili finirono nelle mani delle Brigate rosse e di quel commando che assassinò la scorta di Aldo Moro.

Un altro ragionamento poi avvalora la tesi di un killer estraneo alle Brigate rosse. Per quale ragione i terroristi del gruppo di fuoco indossavano delle divise dell'ALITALIA ? Quello fu effettivamente un accorgimento abbastanza singolare, talmente strano da richiamare l'attenzione dei passanti anziché distoglierla. La spiegazione che viene da trovare risiede nel fatto che forse non tutti i brigatisti del commando si conoscevano fra loro, così la divisa serviva appunto al reciproco riconoscimento, in pratica per non spararsi a vicenda. Una conferma dunque della teoria del Killer "esterno".

Ma chi poteva essere questo killer professionista ? Due persone piuttosto ben informate, Renato Curcio e Mino Pecorelli, in merito a tale questione hanno parlato di "occasionali alleati" delle Br; gruppi legati alla delinquenza comune che avrebbero per l'occasione "prestato" alcuni uomini per portare a termine quella strage? E quale luogo migliore delle carceri italiane avrebbe potuto fungere da punto di incontro da due realtà tanto diverse?

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E' infatti al loro interno che si parlò molto del sequestro (o comunque di un attentato) di un'alta personalità politica, tanto che il SISMI ne era stato debitamente informato in tempo utile [un detenuto comune, Salvatore Senese, informò il 16 febbraio 1978 appunto il SISMI che le Brigate rosse stavano progettando un simile sequestro. NDR]. Il riferimento che Mino Pecorelli fa sul suo giornale OP a Renato Curcio non appare quindi casuale, perché proprio lui potrebbe aver rappresentato il tramite ideale fra i suoi compagni liberi e gli ambienti malavitosi ai quali chiedere temporaneo soccorso. Come abbiamo già notato, certi indizi puntano direttamente in Calabria. Di questo parere sembra essere oggi anche Francesco Biscione quando afferma:

 "probabilmente allorché Moretti costituì la colonna romana delle Brigate rosse (fine 1975) aveva già rapporti (viaggi in Sicilia e in Calabria) o con settori criminali o con compagni dell'area del partito armato in grado di metterlo in contatto con segmenti del crimine organizzato " .

E ricorda tre episodi che potrebbero costituire un serio indizio in tal senso: "La presenza del Moretti è accertata - scrive - a Catania il 12 dicembre 1975 (insieme con Giovanna Currò, probabile copertura di Barbara Balzerani) presso l'hotel Costa e il 15 dicembre presso il Jolly hotel. Il 6 febbraio 1976 Moretti ricomparve nel Mezzogiorno con la sedicente Currò, a Reggio Calabria presso l'hotel Excelsior. Oltre al fatto che non sono mai state chiarite le finalità dei viaggi - prosegue Biscione - questa circostanza sembra possedere un altro motivo di curiosità: i viaggi, o almeno il secondo di essi avvennero all'insaputa del resto dell'organizzazione tant'è che quando l'informazione venne prodotta in sede processuale suscitò lo stupore di altri imputati".

Il terzo è stato rivelato da Gustavo Selva: dopo la conclusione del sequestro di Aldo Moro "nel luglio 1978 venne arrestato il pregiudicato calabrese, Aurelio Aquino, e trovato in possesso di molte banconote segnate dalla polizia perché parte del riscatto del sequestro Costa operato dalle Br" . E' ovvio che con quei soldi le Br potrebbero aver pagato alla 'ndrangheta qualche partita di armi, però anche il "prestito" di un killer professionista.

Il forte sospetto rimane dunque intatto.

Da valutare, infine, con la dovuta cautela, l'appunto di Mino Pecorelli ritrovato dopo la sua morte fra le sue carte, per altro abbondantemente saccheggiate da altre “manine”:

“Come avviene il contatto Mafia-Br-Cia-Kgb-Mafia. I capi Br risiedono in Calabria. Il capo che ha ordito il rapimento, che ha scritto i primi proclami B.R., è il prof. Franco Piperno, prof. fis. univ. Cosenza”.  Anche volendo considerare tutto questo una mera illazione, si può comunque, in questo caso, concordare con Francesco Biscione che considera come l'appunto si riferisce ad un'ipotesi ricostruttiva che connette gli indizi riguardanti l'esistenza in Calabria di un terminale decisivo, sebbene di incerta definizione, dell'intera operazione del sequestro Moro. In questo modo trova una logica spiegazione la probabile presenza in via Fani di un killer di "alta professionalità", un professionista che il pentito calabrese Saverio Morabito ha indicato in Antonio Nirta, detto "due nasi" per la sua capacità di usare la lupara, anche se alcune testimonianze più recenti puntano invece il dito contro Agostino De Vuono, anch'egli calabrese ed esperto tiratore. Le teorie e le supposizioni sul nome del Killer lasciano però il tempo che trovano di fronte ai fatti: quella mattina del 16 Marzo 1978 le Brigate rosse vennero aiutate, e da più parti, a compiere un'azione forse troppo più grande delle loro capacità. Ed anche Alberto Franceschini non ha troppi dubbi in merito. Ultima particolarità da annotare riguardo alla tragica giornata del 16 Marzo 1978 è una deposizione di Nara Lazzarini, segretaria di Licio Gelli, fatta nel 1985 al processo Pazienza-Musumeci; la Lazzarini ha ricordato infatti che la mattina della strage di Via Fani il Gran Maestro della P2 ricevette la visita di due persone all'Hotel Excelsior di Roma, e durante il colloquio a Gelli sfuggirono le seguenti parole: "Il più è fatto". La cosa di per se può non voler dire nulla, è però una testimonianza attendibile e come tale la riporto.

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Il covo di via GradoliMa se il 18 Aprile '78 fu la data dalla quale cambiò materialmente la gestione del rapimento, il momento in cui venne presa - e da più parti - la decisione di intervenirvi direttamente fu con ogni probabilità immediatamente successiva, e precisamente quando venne resa nota la prima lettera di Moro a Cossiga, in cui sollecitava la trattativa con le Br invocando la ragion di stato e non motivi umanitari.

Quella lettera doveva restare segreta e nelle intenzioni di Moro doveva servire ad aprire un canale diretto per la trattativa. Invece Mario Moretti la allegò al comunicato numero 3 delle Br, in cui si annunciava che il processo a Moro stava continuando "con la piena collaborazione del prigioniero", e la fece recapitare ai giornali. A quel punto probabilmente si attivarono molti servizi segreti: quelli occidentali per proteggere gli eventuali segreti rivelati da Moro, quelli orientali per carpirli.

Una conferma che la base Br di Via Gradoli 96 - "centrale operativa" del sequestro Moro - fosse nota a molti si ebbe pochi giorni dopo il rapimento di Moro, quando cinque agenti del commissariato "Flaminio Nuovo", guidati dal maresciallo Domenico Merola perquisirono appunto gli appartamenti di via Gradoli 96. Durante il primo processo, Merola racconta che l'ordine era venuto, la sera prima dell'operazione, dal commissario Guido Costa:

 

"Non mi fu dato l'ordine di perquisire le case - dice il maresciallo ai giudici - era solo un'operazione di controllo durante la quale furono identificati numerosi inquilini, mentre molti appartamenti furono trovati al momento senza abitanti e quindi, non avendo l'autorizzazione di forzare le porte, li lasciammo stare, limitandoci a chiedere informazioni ai vicini. L'interno 11 fu uno degli appartamenti in cui non trovammo alcuno. Una signora che abitava sullo stesso piano ci disse che lì viveva una persona distinta, forse un rappresentante, che usciva la mattina e tornava la sera tardi".

 

"Fui io a disporre i controlli dei mini appartamenti della zona - conferma il vice questore Guido Costa - in seguito ad un ordine impartito dal questore, che allora era Emanuele De Francesco. L'esito dell'operazione fu negativo".

 

La data della mancata perquisizione del covo è il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento, almeno secondo la relazione informativa scritta da Merola e consegnata da De Francesco ai giudici solo nel 1982, perché fino a quel momento non era stato possibile trovarla.

Nell'estate del 1978, il giornalista Sandro Acciari scrisse sul Corriere della sera che tra il 16 e il 17 marzo, alla segreteria del ministero dell'Interno era arrivata una segnalazione anonima dell'esistenza di un covo delle Br in via Gradoli e che il ministro Cossiga aveva incaricato il capo della polizia Parlato di disporre perquisizioni nella zona. Parlato, interrogato dal giudice Achille Gallucci aveva smentito questo fatto.

Nel 1982, al processo, Acciari disse di aver appreso la notizia, a livello di indiscrezione, negli ambienti del palazzo di giustizia, e di avere avuto conferma da Luigi Zanda, all'epoca addetto stampa del ministro dell'Interno Cossiga. Acciari ha precisato però di aver saputo in seguito dallo stesso Zanda che nella loro conversazione telefonica ci fu un equivoco, perché Zanda credeva che Acciari si riferisse alla vicenda della seduta spiritica in cui emerse il nome "Gradoli".

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Anche il giornalista Mino Pecorelli, ucciso un anno dopo in circostanze ancora oscure, e anche lui presente nelle liste della P2, scrisse sul numero del 25 aprile 1978 del suo settimanale OP:

 "Nei primi dieci giorni dopo il sequestro di Moro, in seguito ad una soffiata preziosa, via Gradoli e in modo speciale lo stabile numero 96 erano stati visitati ben due volte da squadre di polizia. Ma davanti alle porte degli appartamenti trovati disabitati, i poliziotti avevano desistito. Avevano bussato doverosamente anche alla porte dell'appartamentino-covo e non ricevendo l'invito ad entrare se n'erano andati".

Segreti, segreti, segreti…Alla luce del memoriale ritrovato nel 1990 a Milano, nel covo di Via Montenevoso, e dello studio compiuto da Biscione [posto anche agli atti processuali], sappiamo che non era certamente così. Esaminando in dettaglio le dichiarazioni contraddittorie rese dai brigatisti su questo specifico punto si giunge alla conclusione che, con molta furbizia, alcuni di loro possono aver mantenuto segreti il memoriale ed il suo contenuto per poi usarlo come merce di scambio quando se ne fosse presentata la necessità nell'ambito di una futura trattativa in campo giudiziario.

Ed il trattamento carcerario riservato ad alcuni di loro dal 1987 in poi (ad esempio a Mario Moretti e Barbara Balzerani) avvalorava questa ipotesi: per quanto non sia poco il tempo che hanno passato in prigione, si deve convenire che è molto poco rispetto a quanto avrebbero dovuto effettivamente trascorrere. Salta agli occhi per esempio la differenza tra un Moretti che si è fatto "solamente" 20 anni di carcere essendo condannato all'ergastolo per vari reati di sangue, ed un Franceschini che si è fatto poco meno pur non avendo mai sparato un solo colpo di pistola. Forse la differenza l'hanno fatta proprio quei segreti sul caso Moro che Moretti, tacendo, ha posto a suo favore sul piatto della "bilancia giudiziaria" ?

La presenza insistente e sovrastante della malavita, impegnata a gestire il sequestro di Aldo Moro rivestendo il duplice ruolo di fiancheggiatore dello "Stato sotterraneo" (che lo voleva morto) e dei brigatisti rossi che non sapevano più cosa fare, può essere provata dal comunicato n°7 del 20 aprile 1978 che "appare allo stesso tempo - scrive Biscione - l'ultimo della prima serie ed il primo della seconda... - perché - [...] iniziava da parte delle Brigate rosse l'offensiva sulla trattativa: il rilascio del prigioniero Aldo Moro può essere preso in considerazione solo in relazione alla liberazione dei prigionieri comunisti. La DC dia risposta chiara e definitiva se intende percorrere questa strada; deve essere chiaro che non ce ne sono altre disponibili; seguiva l'ultimatum: 24 ore di tempo per una risposta a partire dalle ore 15 del 20 aprile". Erano passati solo due giorni dal comunicato del lago della Duchessa, redatto da Toni Chichiarelli ed ispirato, scrivono gli stessi brigatisti su indicazione di Aldo Moro "da Andreotti ed i suoi complici", ed i carcerieri del presidente della Democrazia cristiana abbandonano l'alta politica e passano al concreto:

 "Il comunicato n°7 è anche il primo - rileva Biscione - che non porta in chiusura lo slogan consueto "portare l'attacco allo Stato imperialista", ma "libertà per tutti i comunisti imprigionati"". Un segnale preciso a quanti in carcere attendevano che si realizzasse lo scopo primario dell'operazione Moro: la liberazione dei detenuti. Una risposta al messaggio di morte del 18 aprile che - come abbiamo in precedenza rilevato - non era rivolto al solo Aldo Moro ma anche ai suoi carcerieri. La minaccia venne probabilmente recepita da Moretti e compagni, i quali rivolsero anch'essi un messaggio rassicurante ai detenuti, non solo comunisti ma anche malavitosi. Avevano - ed in questo ha probabilmente ragione Biscione - indubbiamente compreso, insieme al resto, l'ordine di uccidere Aldo Moro, ma sottolineavano l'inutilità del gesto se questo fosse stato eseguito senza avere ottenuto almeno la scarcerazione dei detenuti, divenuta l'obiettivo primario di un sequestro che aveva invece prodotto, sul

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piano politico, frutti eccezionali come la confessione del presidente della Democrazia cristiana su fatti e misfatti del sistema di potere italiano. Considerato però che di questa confessione i brigatisti non avrebbero mai potuto fare uso, ed avendo pubblicamente annunciato questa loro rinuncia, la scarcerazione di un numero ragionevole di detenuti avrebbe permesso loro di salvare le apparenze e di riportare un simulacro di vittoria restituendo vivo Aldo Moro. Da qui la cancellazione, in tutta fretta, dello slogan "portare l'attacco al cuore dello Stato imperialista" con l'unico che potesse avere un significato per coloro che stavano in galera, "libertà per tutti i comunisti imprigionati".

Così nel comunicato n°8 le Br chiesero la liberazione di 13 detenuti, in questo modo venne segnata, definitivamente, la sorte di Aldo Moro, e per motivi opposti a quelli che gli storici ufficiali ritengono. Questi ultimi, difatti, sono convinti che " l'insostenibile richiesta dello scambio tredici contro uno, rendeva ancor più fioca la voce già flebile e minoritaria dei sostenitori della trattativa. Che il significato del comunicato n°8 fosse l'attestazione di una posizione nuova che, contrariamente a varie ragionevoli aspettative, manifestava che si stava andando verso l'esecuzione dell'ostaggio fu dunque - conclude Biscione - una considerazione abbastanza diffusa".

Secondo i calcoli dei brigatisti, fissando in tredici il numero dei liberandi, davano prova di quella ragionevolezza che li avrebbe condotti a condurre, finalmente, una trattativa riservata e diretta con la Democrazia cristiana per poi stabilire con Piazza del Gesù un accordo di cui solo una parte avrebbe avuto pubblicità; l'altra parte avrebbe dovuto rimanere segreta, uno di quegli scambi "all'italiana" destinati ad essere taciuti per sempre da entrambe le parti.

Qualcuno potrebbe essere indotto a pensare che quella compiuta da Mario Moretti e dai suoi compagni (la richiesta di uno scambio 13 ad 1) sia stata una mossa per chiudere ogni possibilità ad ogni altra probabile trattativa e, quindi, poter procedere all'esecuzione di Aldo Moro scaricandone ogni responsabilità sulla Democrazia cristiana. Così probabilmente non fu, e per convincersene è sufficiente riascoltare la telefonata che, con totale e stupefacente imprudenza, un Mario Moretti al colmo dell'agitazione nervosa, fece a casa della famiglia Moro il 30 Aprile 1978:

 "Solo un intervento diretto, immediato, chiarificatore e preciso di Zaccagnini può modificare la situazione - dice Mario Moretti - sa, una condanna a morte non è una cosa sulla quale si possa prendere alla leggera [...] Non possiamo fare altrimenti...".

Egli si rivolse alla famiglia forse perché credeva che Eleonora Moro potesse contare qualcosa, dimostrò di essere informato sui movimenti che i congiunti del presidente avevano fatto, a riprova che riteneva la "carta umanitaria" essenziale, perché era l'ultima cosa che gli è rimasta in mano essendo stato costretto a rinunciare all'altra, la più importante, quella decisiva: le rivelazioni di Moro su uomini e fatti.

L'ultimo tentativo lo fece, per loro conto, Daniele Pifano che incontrò il rappresentante del Procuratore generale Pietro Pascalino, il sostituto procuratore Claudio Vitalone, e gli propose lo scambio di uno contro uno, un detenuto magari malato contro Aldo Moro e, ricevuto un rifiuto, ripiegò sul suggerimento della "soppressione delle norme restrittive dei colloqui dei carcerati con i familiari".

Ma ormai la questione Moro era irrimediabilmente arrivata al capolinea. Lo "Stato parallelo" non si era esposto in prima persona ma aveva fatto ricorso ad un altro tipo di "occasionali alleati", la spietata "banda della Magliana" cui Tony Chichiarelli apparteneva.

Ciò venne confermato anche dall'on. Benito Cazora, recentemente scomparso:

 "...recentemente - scriveva Luigi Cipriani - il senatore Cazora ha confermato al magistrato romano che sta indagando sulle trattative condotte durante il sequestro Moro, che si ebbe coscienza del fatto che il presidente della DC fosse "custodito" dalla banda della Magliana".

 

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L'ex parlamentare di Democrazia proletaria poté così legittimamente avere una ulteriore e definitiva conferma della sua tesi e di quanto aveva dichiarato il 14 settembre 1978 al quotidiano La Repubblica il senatore democristiano Giovaniello, molto vicino ad Aldo Moro ed alla sua famiglia:

 "Quando sapemmo che Moro stava per essere affidato a criminali comuni per il terribile atto conclusivo, facemmo le cose più impensabili per arrivare prima degli altri, ma senza fortuna".

Il lato oscuroNel sequestro di Aldo Moro fu dunque un livello di potere occulto, e non Mario Moretti ed i suoi compagni, a stabilire tempi e modalità della prigionia e, infine, della sua morte.

Lo stesso Stato che Aldo Moro conosceva come debole, insicuro, pronto a compromessi di ogni sorta, aveva improvvisamente risposto con una fermezza ed una decisione fino ad allora sconosciute; il destino dello statista DC era segnato, questo lui lo capì bene, come traspare evidente dalle sue ultime lettere, pesantissime quanto profetiche nei confronti di un partito - la DC - che pensava di conoscere come nessun altro .

Durante il sequestro era accaduto qualcos'altro di molto, troppo, pericoloso: Aldo Moro stava parlando di tutto e tutti: delle trattative segrete per la nascita del centro-sinistra, del tentativo di golpe di De Lorenzo, della strage di P.zza Fontana, del ruolo della DC nella strategia della tensione, della riforma dei servizi segreti, dell'affare "Lockeed", dei piani anti-guerriglia previsti per il nostro paese dalla NATO, del sistema di potere e di sostentamento economico del colosso democristiano. Il rischio che queste verità venissero alla luce in quegli anni era veramente pesante, un rischio troppo elevato per i sostenitori e gli oltranzisti dell'alleanza atlantica, gli unici effettivi artefici della politica interna italiana.

Fu così che il presidente della Democrazia cristiana si ritrovò schiacciato dalla forza delle due superpotenze, dei loro alleati e dalle loro reciproche paure, ansie dalle quali vennero liberate dalle "ignare" Brigate rosse proprio con il sequestro.

 "L'agguato di via Fani, l'eccidio della scorta ed il sequestro dell'onorevole Moro, lo scenario tragico dei luoghi della strage appena consumata, la rivendicazione e i successivi comunicati delle Br, la prigionia di Moro in un luogo sconosciuto e il processo cui questi veniva sottoposto, gli appelli sempre più pressanti e drammatici dell'ostaggio, il disconoscimento ufficiale della loro "autenticità", il rifiuto della trattativa, la sterile polemica che si aprì tra i fautori di questa e i sostenitori della fermezza, l'immane mobilitazione dell'apparato istituzionale di sicurezza, l'avvitarsi della vicenda verso il suo tragico epilogo, il macabro rinvenimento della salma di Moro in un luogo centrale della capitale dello Stato, equidistante dalle sedi dei due maggiori partiti presenti in Parlamento, le dimissioni del Ministro dell'Interno: queste furono le tessere che composero il mosaico visibile degli eventi, dove il delitto Moro, valutato come fatto storico, apparve come il momento di maggiore intensità offensiva del partito armato e, specularmente, come il momento in cui lo Stato si rivelò più impotente nel dare risposta appena adeguata all'aggressione eversiva".

Questo il parere espresso dalla Commissione Stragi durante l'ultima legislatura, un giudizio che pur non apparendo del tutto asettico, certamente non si lascia andare a nessun tipo di accusa diretta. E' esistito dunque (e, data la portata degli indizi, è proprio sotto gli occhi di tutti) un "lato oscuro", una sorta di mondo sotterraneo e parallelo a quello ufficiale che ha operato incessantemente sia lungo la vita delle Br, sia - e con maggiore visibilità ed incidenza - nei 55 giorni del rapimento di Aldo Moro.

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Anche la commissione parlamentare [della XII legislatura] sul caso Moro, pur con tutte le sue consuete e dovute cautele, è giunta ad affermare ad esempio che:

"le nuove acquisizioni consentono di ritenere certo o almeno altamente probabile (come già affermato in alcune delle relazioni di minoranza della Commissione Moro, in particolare quella dell'onorevole Sciascia) il carattere intenzionale di almeno alcune delle omissioni, di almeno alcune delle inerzie che contribuirono al tragico epilogo della vicenda Moro".

O ancora che:

"…inizialmente la criminalità organizzata si era attivata e sia stata attivata dall'esterno per favorire la liberazione di Moro: e che tale intervento si arrestò per valutazioni interne alla criminalità organizzata e per input esterni probabilmente coincidenti . Analogamente impressionante è la convergenza di indicazioni verso un intreccio fitto - e non ancora pienamente disvelato - di ambigui rapporti che legarono in ambito romano uomini di vertice delle organizzazioni mafiose e della criminalità locale al mondo di uno oscuro affarismo, ad esponenti politici, ad appartenenti alla Loggia P2, a settori istituzionali, in particolare dei servizi segreti".

Le Br che avevano progettato il sequestro di Aldo Moro con il ferreo convincimento che il mondo politico italiano avrebbe implorato pietà per la sua vita, si erano con ogni probabilità ritrovati nella condizione opposta: loro a cercare di salvare l'ostaggio ed il mondo politico - almeno una parte di esso - a livello sotterraneo, a pretendere la sua morte senza condizioni. E con ogni probabilità quelle "15 gocce di Atropina" , come citava un appunto rinvenuto in Via Gradoli e scritto da Mario Moretti, servirono alle Br per anestetizzare Moro e portarlo via dal covo prigione di Via Montalcini; forse proprio per consegnarlo alla Banda della Magliana.

Sebbene - come sempre - manchino le prove per dimostrare che anche l'assassinio di Aldo Moro sia da far rientrare tra le interferenze attuate in Italia dal c.d. "oltranzismo atlantico", è certamente un dato di fatto che nel 1978, poco dopo l'assassinio di Aldo Moro, l'auspicato intervento del capitalismo occidentale e dei suoi investimenti avvenne massiccio. Le autorità monetarie consentirono a numerose banche Usa di aprire filiali nel nostro paese (Manifactures Hannover trust, Inrving trust Company, Wells fargo) con relativi sportelli (Security pacific).

Alcune banche estere, tedesche americane e svizzere, dirottano i risparmi dei loro clienti verso la borsa di Milano. Tutti i titoli azionari - compresi quelli delle industrie decotte - subirono aumenti rilevanti: le Montedison salirono del 102%, le SNIA del 60,8%, Acqua marcia del 70,8%, Rinascente del 95,2%, le Fiat aumentarono del 40,5% superando per la prima volta le tremila lire. Un vero pompaggio di ottimismo nel capitalismo italiano, proprio nel momento in cui i governi di unità nazionale entravano in crisi e l'assassinio di Moro rimetteva in moto le forze della destra DC. Anche questa fu una semplice coincidenza ?

 

La loggia di Cristo Mino Pecorelli, già nell'ottobre del 1978, aveva scritto che il ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, sapeva tutto:

"perché non ha fatto nulla? […] Il ministro non poteva decidere nulla su due piedi, doveva sentire più in alto. E qui sorge il rebus - ironizzava Pecorelli - quanto in alto? magari sino alla loggia di Cristo in Paradiso?...".

 

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A chi si riferiva il direttore di OP? Manco a dirlo anche su questo punto le opinioni degli osservatori divergono:

 

"non paiono esservi dubbi sul fatto - si affretta a scrivere Francesco Biscione - che la "loggia di Cristo in Paradiso" alla quale il ministro si sarebbe rivolto per avere lumi sul da farsi fosse la P2".

 

C’è invece chi afferma che Mino Pecorelli si riferiva a quella che egli stesso definiva la "Loggia vaticana", una loggia massonica di cui possedeva un elenco di nomi di cardinali ed alti dignitari ecclesiastici, completo di numero di matricola e data di iniziazione (nel numero di OP del 12 settembre 1978 Pecorelli pubblicò un elenco di affiliati alla loggia vaticana fra i quali, per limitarci ad un esempio, compariva il nome del cardinale Sebastiano Baggio, indicato come "Seba, numero di matricola 85/2640 e data di iniziazione il 14 agosto 1957").

Loggia o non loggia, il riferimento alle gerarchie ecclesiastiche è trasparente; inequivocabile dunque il fatto che anche dal Sacro Soglio qualcuno impose ad un Papa, forse troppo debole, l'avallo alla condanna di Aldo Moro.

Difficile dire chi abbia ragione; a far pendere la bilancia stanno tuttavia alcune frasi scritte da Aldo Moro e presenti più di una volta tra le 93 lettere manoscritte ritrovate nel 1990 nel covo di via Monte Nevoso a Milano [mentre le Br ne fecero recapitare solo 30 durante il sequestro].

 

"La chiave è in Vaticano - scrisse infatti lo statista DC, e di nuovo: "il Papa ha fatto un po' pochino…".

 

Teorie, illazioni, supposizioni, castelli accusatori privi di fondamenta per la loro quasi totalità direbbe un giurista. Tutta la ricostruzione della storia delle Br, come ho cercato di mostrare, è costellata da precise interferenze. Emerge limpida una sola verità: non si hanno certezze.

La realtà è ancora là, tutta da dimostrare. E' vero, esiste - ed è alquanto palese - un preciso sentiero indicato dagli indizi che ho riscontrato, però le prove certe e documentabili permangono in numero troppo esiguo per poter emettere delle sentenze, per avvalorare una tesi in modo definitivo.

L'avventura brigatista, ed in questo concordo con la Commissione Gualtieri, non può e non deve considerarsi ancora materia per gli storici, ciò almeno fino a quando i dati a nostra disposizione non consentiranno di colmare i diversi vuoti di conoscenza che riguardano l'azione delle Br e quella dello Stato (ma soprattutto di chi ha agito nel nome suo…).

 

 

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“…Possibile che siate tutti d'accordo nel volere la mia morte per una presunta ragion di Stato che qualcuno lividamente vi suggerisce, quasi a soluzione di tutti i problemi del Paese?  Altro che soluzione dei problemi.  Se voi non intervenite, sarebbe scritta una pagina agghiacciante nella storia d'Italia.  Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul Paese.  Pensateci bene cari amici.  Siate indipendenti.  Non guardate al domani, ma al dopo domani.”

Lettera dalla prigionia di Moro a Zaccagnini (20 aprile 1978)

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Nel 1997 l'on. Enzo Fragalà, chiedendo l'audizione di Prodi in commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi e il terrorismo, ha detto:

"in via Gradoli vi erano quattro interni 11, due civici 96 con due scale ciascuna. Vi furono indicazioni diverse fra DIGOS e commissariato Flaminio Nuovo sulle scale da perquisire; vi sono legami di società intestatarie di alcuni interni 11 e altre società collegate con il ministero dell'Interno e con il Sisde; all'interno del covo Br fu ritrovato il numero di telefono dell'immobiliare Savellia, società di copertura del Sisde; perché non si é indagato sui mini-appartamenti di via Gradoli 96 e 75 intestati all'ex capo della polizia Parisi e sui rapporti tra Domenico Catracchia, già amministratore del palazzo, e lo stesso Parisi?".

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Intervista al Senatore Sergio FlamigniDi Lorenzo Baldo in colaborazione con Paolo Ciavarrano

25.05.1999 - ORIOLO ROMANO

D. Qual è la sua opinione sull’attentato D’Antona?R. La mia opinione è che tutto è possibile, anche perché ci sono sia elementi che portano ad ingerenze dei servizi segreti nella storia delle BR sia precedenti che risalgono alla nascita delle Brigate Rosse. Infatti Franceschini e Curcio, i “fondatori”, ci hanno riferito che proprio loro ricevettero, da parte dei Servizi Segreti Israeliani, proposte di un piano comune. Gli stessi Servizi Segreti Israeliani gli avrebbero consentito di svolgere addestramenti in campi situati nel loro paese ; avrebbero poi fornito loro denaro, armi e informazioni. Per mettere alla prova la loro buona volontà consegnarono alle BR un’informazione preziosa. Gli dissero che due persone stavano per infiltrarsi e la cosa risultò essere veritiera. Dopo aver esaminato questa proposta, i brigatisti decisero però di rifiutare, poiché avevano timore di cadere in un gioco troppo grande: un “gioco internazionale”. Gli Israeliani dicevano di avere tutto l’interesse affinché loro facessero la rivoluzione, e questo perché più la situazione politico-militare in Italia si destabilizzava, più gli americani erano costretti ad appoggiarsi su Israele, nell’area mediterranea. Avevano quindi rivelato esplicitamente la ragione di questa proposta. Stando a quanto da loro dichiarato, in seguito al rifiuto, furono arrestati sia Curcio che Franceschini. La Cagol ( moglie di Curcio, ndr.) venne uccisa. Nella seconda generazione, non si sa se hanno mantenuta ferma la loro autonomia e la loro indipendenza, non lo sappiamo. Ci sono state altre ingerenze più avanti quando è avvenuto il sequestro Dozier. Nel corso dell’inchiesta, infatti, sono emerse tracce di un collegamento tra BR e Servizi Segreti bulgari. Esiste inoltre una connessione tra BR e la RAF, l’Organizzazione Terroristica Tedesca, a sua volta collegata con l’Est. Dopo la caduta del muro di Berlino altri elementi ci hanno fatto capire che la RAF aveva ricevuto protezione da parte della STASI, i Servizi Segreti della Germania.Io possiedo un documento con cui le BR unitamente alla RAF rivendicano l’attacco a un sottosegretario tedesco alle finanze avvenuto nel marzo ‘89 in Germania.

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Ciononostante noi, all’infuori di questi indizi, non siamo mai riusciti a provare questo legame con i servizi segreti per sapere quali servizi effettivamente abbiano “inzuppato il pane” nell’attività delle Brigate Rosse; ci arriviamo indirettamente... Non è mai avvenuto che il Governo italiano o i servizi segreti italiani abbiano fornito alla commissione di inchiesta parlamentare o alla magistratura, un elemento concreto a supporto di questa teoria. Per cui, se non ci siamo riusciti prima, immaginiamoci adesso che c’è la guerra e tutto è “corazzato”... D. E per quanto riguarda una vera e propria strumentalizzazione delle Brigate Rosse?R. Tenga presente che quel documento può essere la “facciata”, la maschera per nascondere una realtà. “Loro” usano tutte le categorie di linguaggio che sono proprie delle Brigate Rosse. In una “lettera” di quel documento, si ritrovano formulazioni lessicali già usate dalle precedenti risoluzioni delle direzioni strategiche. Il linguaggio è lo stesso. Bisogna scoprire se sono le stesse persone che hanno scritto i precedenti documenti o se invece il gergo viene usato e strumentalizzato. Si tratta di una nuova realtà rispetto al passato? Questo è uno dei grandi interrogativi che ho visto riproporre continuamente nei giornali anche da parte degli analisti. Non mi risulta che ci sia stato ancora un analista che sia riuscito ad individuare dei termini concreti per dire: questo è uguale a quello. Le ipotesi sono varie. Il fatto è che la parola d’ordine in questo documento, è la stessa presente in precedenti documenti: “Guerra alla guerra”. Loro la pronunciavano già quando la guerra non c’era. Se andate a leggere la prima risoluzione della direzione strategica del Partito Comunista Combattente, cioè BR PCC (vale a dire quella del dicembre del 1981, quando c’è stata la scissione tra il Partito guerriglia di Senzari e PCC di Moretti, Balzarani, Gallinari, Seghetti e Piccioni), vedrete che il primo capitolo di quella risoluzione è proprio questo: la crisi della borghesia imperialista genera la guerra e poi c’è guerra alla guerra: c’è tutto. E’ un libro! Adesso che la guerra c’è, le dico la verità: “Io me l’aspettavo”! Mi è capitato svariate volte di arrivare a questa conclusione. Tutta la storia delle BR e del terrorismo in Italia è stata usata per impedire che la Sinistra arrivasse al governo. Adesso che è arrivata al governo è possibile che non succeda niente? I terroristi sono morti? Quando è scoppiata la guerra, ho pensato che fossero morti sul serio, altrimenti sarebbero saltati fuori... eccoli qui. Considerata poi la situazione internazionale di questo momento, devo pormi il problema anche dei servizi segreti...Bisogna essere molto prudenti, stare ai fatti. Non possiamo non prendere in considerazione anche l’ organizzazione terroristica greca, “ 27 novembre”, che il sabato o la domenica precedente al delitto D’Antona ha colpito il consolato tedesco con un bazooka: eravamo alla vigilia dell’incontro Schroeder-D’Alema.

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Questo è un attacco che si produce in un momento in cui l’Italia è impegnata a risolvere il problema del Kosovo e dei Balcani attraverso una via diplomatica. Ecco che ritorniamo alla solita strategia brigatista, perché per “loro” la guerra è un’occasione e la guerra deve durare se si vogliono tirare fuori i frutti! Questa è un’azione per “parlare durante la guerra” e non per farla smettere. Poi c’è da notare che loro si schierano con Milosevic, perché nella risoluzione è chiarissimo il riferimento alla Serbia, alla guerra folle da parte dello Stato italiano, alla Nato e via di seguito. E’ chiaro che ci sono delle potenze che hanno interesse affinché la guerra duri. All’interno degli stessi stati non c’è una politica omogenea come non c’è all’interno dei servizi segreti. Entriamo in un “mare aperto” e lo affermo alla luce dell’esperienza che ho io degli stessi servizi segreti americani. Basti pensare che c’è ancora da chiarire chi ha ammazzato Kennedy. D. Cosa pensa dell’ipotesi che Moretti possa essere stato un infliltrato dei Servizi Segreti all’interno delle Brigate Rosse?R. Io non sono di quest’opinione sul caso Moretti. Credo che sia stato il classico brigatista collegato a delle “menti”, che ha creduto magari di fare la rivoluzione mentre, invece, è stato favorito nella sua azione perché erano informati di quello che stava facendo. Però non ho nessun elemento e non è mai emerso che lui potesse essere una spia, un infiltrato. Io credo piuttosto all’intera direzione delle BR nella fase del delitto Moro. Nel mio libro “Convergenze Parallele” ho spiegato alcuni elementi a sostegno di questa convinzione; chi sapeva, anziché far arrestare, ha favorito. I nostri Servizi Segreti erano in mano a quelli della Loggia Massonica P2 la quale aveva un programma politico diametralmente opposto a quello di Moro. E’ abbastanza chiaro che quando si presta un giuramento ad una loggia, dopo si è vincolati. Questo loro lo sapevano. Li hanno incanalati, hanno lasciato loro lo spazio quando avevano già compiuto il “Caso Moro” e dando in mano a Dalla Chiesa l’anti-terrorismo, li hanno debellati.D. Moro diceva che il nostro paese era un paese libero, indipendente, nonostante grandi alleati come l’America e con questo firmò la sua condanna a morte. Quale fu la fase più importante che portò a questo delitto?R. Innanzitutto c’è un periodo relativo alla sua politica estera: il suo contrasto a livello internazionale con gli americani, con Kissinger in particolare. Kissinger poi non è stato soltanto il capo della politica estera, non è stato solo il segretario di stato, ma è stato responsabile anche della sicurezza, quindi ha avuto il controllo totale e questo, naturalmente, prima del delitto Moro. Era quindi informatissimo su tutto, anche sul fatto che Moro era un filo-palestinese; di fatto Moro strinse l’accordo con Arafat con il quale i palestinesi si impegnavano a lasciare il territorio italiano al di fuori dalla loro area di azione militare contro gli israeliani e

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questo in cambio di un “riconoscimento”. Non a caso l’Italia fu il primo paese europeo a riconoscere l’OLP.Secondo me la cosa risale a molto prima del ‘78. Tra l’altro c’era il fatto che Moro aveva aperto la sua politica ai socialisti con il primo Governo di Centro sinistra. Già all’epoca ci fu Pecorelli che scrisse un articolo sulla rivista “Mondo di oggi”, nel quale sosteneva che Moro doveva essere rapito già durante il Golpe di “De Lorenzo”. Doveva essere rapito, sequestrato e poi ucciso nel 1964.Guarda caso, Moro stava lavorando per trovare un accordo di Centro Sinistra. Kennedy si interessò al suo operato, e dopo aver chiamato i suoi consiglieri, avallò le scelte di Moro. Il presidente americano venne poi ucciso... Non sono stati ancora pubblicati documenti che possano spiegarci gli eventi di quel periodo storico, però questa è stata la prima tappa. La seconda è invece quella del Medio Oriente. Durante la “Guerra del Kipur” nell’ottobre del 1973, Moro, sotto la spinta della sinistra di Berlinguer, rifiutò l’uso delle basi agli americani nella missione in aiuto agli israeliani. Il Medio Oriente era fuori della zona di influenza europea della NATO e lo statuto della NATO non prevedeva una cosa del genere, Moro si faceva forte di quella che doveva essere la funzione originaria della NATO. Moro usò questo argomento. Quello è stato l’elemento di maggiore frizione. Non a caso Moro lo scrisse da prigioniero delle BR. Lo mise in rilievo nei suoi scritti. Nel libro “Il mio sangue ricadrà su di loro”, riporto tutti questi scritti. La crisi di Governo si aprì proprio con la richiesta del PCI di entrare al Governo. Dopo tutta una serie di trattative abilmente dirette da Moro, arrivarono all’accordo di maggioranza programmatica. Un esempio è il famoso articolo che Moro ha indirizzato sia agli americani sia ai sovietici. La contestazione infatti non fu solo americana, ma anche sovietica rispetto alla politica dell’Euro-comunismo. La figura di Moro, poi, non è stata adeguatamente considerata, così come la sua prigionia, sotto il profilo spirituale, perché si era presi dalla vicenda politica: trattativa non trattativa, scambio, prigionieri ecc. Uno studio accurato degli aspetti della sua condizione fa capire come lui abbia avuto la forza spirituale di resistere ad una vicenda del genere..D. Quanto ha influito la presenza di Cossiga come coordinatore alle indagini sul caso Moro?R. Parecchio e negativamente, perché Cossiga è un personaggio che non ha molte attitudini organizzative, mentre per dirigere un ministero, come quello degli Interni, occorre concretezza. Lui aveva la responsabilità del coordinamento e non ha coordinato niente. Certo, si è dimesso quando ha avuto la consapevolezza del suo fallimento, ma poi ha preso le difese dei suoi subordinati dirigenti dei Servizi Segreti assumendosi tutte le responsabilità. Con quel gesto non ha aiutato il procedere delle indagini, perché si poteva subito aprire

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un’inchiesta, anche di tipo amministrativo per individuare le responsabilità che ci sono state, ad esempio dei capi dei servizi segreti iscritti alla P2. Quando la commissione d’inchiesta parlamentare della quale ha fatto parte ha concluso la sua relazione, sul punto del coordinamento ha fatto una critica severa e pesante.D. La figura di Andreotti in tutto questo?R. Anche Andreotti ha avuto delle responsabilità. Due sono i maggiori responsabili della questione. Uno è Cossiga, Ministro degli interni, e l’altro è Andreotti, il Presidente del Consiglio. Fra l’altro è da notare che il Presidente del Consiglio si fece dare una specie di delega perché il Consiglio dei Ministri, l’organo collegiale istituzionale che si sarebbe dovuto occupare di questo grande caso, venne praticamente espropriato interessandosene pochissime volte. Ci siamo fatti dare i verbali delle riunioni dei ministri di quei 55 giorni, ma chi doveva, se ne è occupato assai poco e molto sommariamente. Invece la effettiva gestione dal punto di vista politico, venne diretta da un comitato interministeriale presieduto da Andreotti e del quale facevano parte Cossiga, Malfatti, allora Ministro delle Finanze, Ruffini, il Ministro della Difesa e i capi dei servizi, i generali piduisti, Grassini, Santovito. Il Ministro Morlino aveva il compito di tenere i collegamenti con la famiglia Moro ecc. Non si capisce il perché, visto che era un “comitato” che doveva prendere decisioni politiche, ne facessero parte i dirigenti dei servizi segreti. Ecco una anomalia! Comunque l’aspetto politico doveva essere diretto da questo comitato, mentre l’aspetto operativo doveva essere diretto da Cossiga. Al Ministero degli interni, dove lui costituì tutta una serie di comitati di cui poi si perderanno i verbali, non si sa cosa effettivamente abbiano fatto. Quindi dal punto di vista politico-operativo, certamente i due maggiori responsabili sono Andreotti e Cossiga.D. Mi viene da pensare a uno dei tanti misteri della morte di Moro. Alla permanenza in via Montalcini e al fatto che non sia stata l’unica sede dove lui sia stato. Visto anche che hanno trovato della sabbia nei pantaloni, sulla pelle come se fosse stato trasportato...R. Sono diversi i pareri e sono parecchi i misteri. Se dovessimo ammettere che la prigione di via Montalcini sia stata l’effettiva e unica prigione, allora è tanto più grave. E’ un episodio che capitò ad un certo momento delle ricerche, io denunciai questo fatto, lo rivelai già nella prima edizione della “Tela del Ragno” nella quale si parla delle perquisizioni. La polizia arrivò in via Montalcini, nella casa del n° 8, dove sarebbe stata la prigione di Moro e si ritirarono. Arrivano sino alla soglia e non fanno l’ispezione!?Io mi sono meravigliato leggendo un libro di Nicotri, un giornalista dell’Espresso, “La verità nel confessionale”.

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Nicotri viene a sapere da un sacerdote che un suo allievo, un poliziotto, appartenente a un reparto adibito a queste perquisizioni gli aveva riferito che gli agenti arrivarono proprio alla soglia della casa dove ci sarebbe stato Moro e ricevettero l’ordine di ritirarsi. Strana coincidenza... Come commissione Moro noi chiedemmo di aver l’elenco delle perquisizioni fatte giorno per giorno. Constatai che un certo giorno si verificò quanto segue: raggiunsero la casa nella quale Moro era tenuto prigioniero e non la perquisirono. Perché?D. Alla magistratura non fu data la possibilità di avere a disposizione il cadavere di Moro. C’è il riscontro che i fori sul suo cadavere siano stati coperti con dei fazzolettini...R. Esatto e questo perché dalle carte processuali che io ho esaminato, viene fuori il caso dei fazzolettini. C’è una perizia autoptica nella quale vengono descritte le condizioni del cadavere. Questo è importantissimo perché i brigatisti dicono le bugie. Anche Maccari durante gli interrogatori mente perché dai rilievi risulta che Moro è stato ucciso tra le 9 e le 10 del mattino. Loro, invece, dicono di averlo ucciso intorno alle 6 e mezza 7. Quindi i conti non tornano. E’ un dato matematico misurato con la temperatura dell’ambiente e la temperatura del corpo di Moro. D. Quale può essere l’interesse a coprire tutto ciò?R. Tutta una materia da indagare, da scoprire. Loro hanno nascosto qualcosa di grosso. D. Loro...?R. I brigatisti, perché hanno parlato proprio loro. Noi li conosciamo. Poi c’è un altro dato oggettivo molto importante. Loro dicono di averlo ammazzato in via Montalcini, invece, quando i periti arrivarono in via Caetani cominciarono ad esaminare la situazione e notarono la precisa corrispondenza dei fori che hanno oltrepassato la coperta, i vestiti e il corpo di Moro. Si possono fare 12 Km. (la distanza tra via Montalcini a via Caetani) senza che una vibrazione sposti qualcosa? A me fa pensare che chi l’ha ammazzato lo ha ammazzato vicino, in via Caetani.D. Qual è la verità intorno a quella famosa seduta spiritica, alla quale prese parte anche Prodi? R. E’ ancora da scoprire, non so se ci sia stata effettivamente una seduta spiritica o se è stato un modo per coprire un’informazione. In quella circostanza è emerso il nome di Gradoli. Il giorno dopo Prodi si recò alla Democrazia Cristiana e parlò con Cavina, nel biglietto, che poi viene dato al capo della polizia, si parla della casa e della cantina di Gradoli che si trova vicino al lago di Bolsena. Se il nome Gradoli si voleva trasmettere, doveva essere fatto in maniera ‘spiritica’. Quindi non lo so.... Mi ricordo che quando abbiamo interrogato i presenti, erano tutti imbarazzati. Bisogna però ricordare che erano tutti professori universitari cattolici di sinistra, quindi amici di Moro e quindi interessati a salvarlo.

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D. Può darsi che fosse un’occasione per dare un indizio...R. Probabilmente. Io fra l’altro, nella stesura de “ La tela del Ragno” l’ho scritto per cercare di capirne di più. Mi sono occupato di parapsicologia perché durante i lavori della commissione, il presidente continuava a chiedere se fra i partecipanti alla seduta spiritica ci fosse un medium, ma questo medium non veniva fuori. Allora mi sono rivolto al centro Italiano di parapsicologia di Napoli. Mi hanno spiegato che i partecipanti ad una seduta spiritica ne condizionano il risultato a livello di inconscio. Quindi quel nome era già stato sentito da qualcuno, magari negli ambienti universitari.All’università di Bologna, per esempio, si era fatta l’ipotesi di ‘autonomia bolognese’.D. Perché quando la moglie di Moro telefonò le dissero che via Grandoli non esisteva? Quando una settimana prima erano già stati in via Grandoli? Si sa chi fu a rispondere?R. La moglie di Moro ce ne parlò, anche una delle figlie ce lo disse, ma non è stato individuato colui che lo avrebbe detto. Probabilmente una delle guardie del corpo che era in servizio, a cui la Signora Moro si era rivolta, le rispose che aveva già consultato le pagine gialle. So di preciso che non si è individuata la persona che ha pronunciato quella parola. Per cui Cossiga ha avuto buon gioco a dire che questa era un’invenzione della moglie di Moro.D. Cosa può fare la gente per esigere chiarezza, per esigere qualcosa che finora non si è fatto?R. E’ difficile a dirsi perché la gente si è distaccata dalla vita politica, c’è una minore partecipazione rispetto al passato. D. Secondo lei a livello politico-militare di organizzazione sul territorio, in questo ‘nuovo terrorismo’ è possibile il contatto con i vecchi reduci e le nuove reclute?R. Sì, io penso che sia possibile, perché essendo stato un terrorismo sostenuto dall’ideologia e avendo molti dei suoi membri assunto una posizione da irriducibili, potrebbe rinascere... Non è stato fatto un ‘processo autocritico’ che li poteva portare ad una consapevolezza effettiva del ‘superamento’. Oggi uno degli irriducibili con il carisma che potrebbe esercitare sui giovani, potrebbe riproporsi. Molti di loro sono in stato di semi-libertà o hanno già scontato la pena.Bisogna stare attenti. Non va confuso il disagio sociale che esiste in certe sacche, ma non va nemmeno sottovalutata la possibilità di reclutamento.Stiamo vivendo la teorizzazione del terrorismo per il terrorismo, e questa era una caratteristica della RAF.

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C’è sempre stata una polemica tra la RAF (da come mi hanno raccontato loro perché io ho avuto tutto un periodo in cui visitavo le carceri da parlamentare) e le BR. In quest’ultimo documento a firma BR c’è questa frase che è molto precisa che dice: “La guerriglia antimperialista, non può costruire basi rosse stabili, non può avere retroterra logistico perché lo scontro rivoluzionario nei centri imperialisti è una guerra senza fronti...”, mentre invece bisogna ricordarsi che le Brigate Rosse ci tenevano ad ‘avere la fabbrica’ come base rossa stabile. Hanno cominciato con la fabbrica, loro volevano essere i rappresentanti degli emarginati, dei proletari, facevano i sequestri del capo-fabbrica, incendiavano le macchine dei capi reparto, ecc...‘Loro’ invece non teorizzano niente di tutto questo, quindi vuol dire che vogliono essere terroristi puri. Era più facile quando si appoggiavano sul consenso, bastava colpirli nel loro punto di riferimento, oggi invece il terrorismo è fine a sé stesso, quindi è più facilmente strumentalizzabile.D. Quindi forse anche senza consenso loro andrebbero avanti lo stesso?R. Anzi, per loro il consenso è secondario. A loro basta essere terroristi. Questo è un elemento preciso di differenza con le prime BR. Questa impostazione comincia a prevalere nell’ultima fase degli anni ‘80. D. Di cosa ha timore per il futuro e in cosa spera?R. Spero che questo fenomeno non abbia a crescere. Mi vorrei augurare che si riesca a trovare una soluzione politica alla guerra in atto. Al tempo stesso i timori ci sono, la situazione è quella che è. Abbiamo la guerra e proprio perché il passato ci dimostra che c’è chi vuole “inzuppare il pane” in questa situazione per interessi ben precisi. Vorrei che la speranza fosse sempre quella a prevalere... Però a mente fredda, è un brutto fatto quello che è successo e mi suscita preoccupazione...

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MORO: LO STATISTA, L’INIZIATO, IL MARTIRE

“...il nostro è un paese libero ed indipendente, nonostante i grandi alleati americani”. Non è azzardato ritenere che proprio con queste parole, il leader politico della D.C. Aldo Moro avesse firmato la propria condanna a morte. E’ infatti in seguito a tale dichiarazione, la quale presupponeva precise scelte politiche, che le superpotenze cercarono un suo “ravvedimento” attraverso le dichiarazioni pubbliche di Henry Kissinger, il segretario di stato nordamericano. La goccia che fece traboccare il vaso fu poi l’inizio di un rapporto di collaborazione instaurato con Berlinguer in seguito alla definitiva dissociazione di quest’ultimo dalla linea politica adottata in sede di congresso del partito Comunista Sovietico, svoltosi nel 1976. Berlinguer, che non era di fede occidentalista, appoggiò inconsciamente, gli Stati Uniti d’America sul delitto Moro e per la prima volta nella storia della nostra repubblica, la sinistra ebbe accesso al governo. Tutti complici quindi: gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e anche l’Inghilterra; tutti pedine di un potere occulto, quello economico, che rende palese a tutti la sua supremazia sul mondo. Colpevole, naturalmente, anche il governo italiano che si prodigò con ogni mezzo per coprire l’eccidio della scorta e l’assassinio del politico. La responsabilità della gestione tecnico-pratica del caso venne infatti affidata a magistratura, polizia di stato, carabinieri, guardia di finanza, servizi segreti, consiglieri esterni ed esercito mentre la supervisione spettò ai servizi di “intelligence” americani. Tutti i capi di queste strutture appartenevano alla loggia massonica P2, coordinata da Licio Gelli e ancora oggi paravento dei servizi segreti americani nella gestione della politica italiana. La P2 coordinò a sua volta il potere rappresentato dalla mafia. Altro importante anello di questa interminabile catena fu Giulio Andreotti, che costituì il terminale di Gelli in Vaticano, e che, guarda caso, all’epoca dell’uccisione di Moro era presidente del consiglio nonché acerrimo nemico del politico democristiano. Infine, l’allora ministro degli interni, Francesco Cossiga, gestiva ufficialmente le indagini sul caso Moro mentre Licio Gelli, per conto degli americani, lo faceva in modo occulto. E così, una volta trovato il capro espiatorio, le Brigate Rosse, si è compiuta la tremenda esecuzione a quell’uomo che godeva di un forte ascendente nell’elettorato italiano.

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Il Caso CalviIl 18 luglio 1982 a Londra, sotto il Blackfriars bridge, viene trovato impiccato il banchiere italiano Roberto Calvi. E’ l’epilogo di una travagliata avventura finanziaria, cominciata laddove era finita quella di un altro banchiere, Michele Sindona.Ad accomunare i due, oltre all’iscrizione alla Loggia P2, le loro capacità professionali nel sistema dei mille incroci societari, la politica delle "scatole vuote" acquistate e poi rivendute. Nel 1975 Roberto Calvi diventa presidente dell’Ambrosiano. Per impadronirsene completamente, crea una rete di strutture ad hoc, formate da filiali off shore alle Bahamas, holding in Lussemburgo, società pirata in centro-america e casseforti in Svizzera. Nel corso degli anni Calvi crea così un impero – giovandosi soprattutto dei suoi legami piduisti e delle entrature che possiede in Vaticano attraverso lo IOR di monsignor Paul Marcinkus - che si sviluppa a dismisura e che diventa punto nodale non solo del riciclaggio dei soldi sporchi della criminalità organizzata, ma anche per operazioni internazionali di vario spettro: dal traffico d’armi per la guerra delle Falkland-Malvine al sostegno di Somoza, fino al finanziamento del sindacato cattolico polacco Soli- darnosc, tanto caro a papa Giovanni Paolo II. Ma il gioco delle scatole vuote di Roberto Calvi non dura a lungo. Nel 1981, travolto dal fallimento del Banco Ambrosiano, Calvi viene arrestato. Appena scarcerato, fugge all’estero nel tentativo di salvare un impero in disfacimento con il sistema del ricatto politico: un’operazione che non gli riuscirà. Qualcuno gli legherà un cappio attorno al collo. Il suo corpo verrà trovato, penzolante dal traliccio di un ponte, macabra messinscena di un suicidio che in realtà è solo un altro delitto di potere.

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Il giornalista che sapeva troppoIl giornalista che sapeva troppoL’assassinio di Mino Pecorelli

Roma, 20 marzo 1979: è appena uscito dalla redazione di OP, il periodico da lui diretto, quando Carmine Pecorelli, detto Mino, 51 anni, viene ucciso a colpi di pistola. Una vera esecuzione. Il movente di questo delitto insoluto sta tutto nella controversa personalità della vittima. Laureato in legge, Pecorelli per qualche anno esercita la professione di avvocato, specializzandosi in grandi fallimenti fraudolenti, cominciando così a penetrare nei delicati meccanismi che legano il sistema degli affari a quello della politica. Nell’ottobre del 1968, fonda OP, "Osservatorio Politico Internazionale", un periodico scandalistico secondo molti uno strumento, legato ai servizi segreti, di ricatto e condizionamento del mondo politico. Per altri invece Pecorelli è un giornalista d’assalto, anche se indubbiamente ispirato da ambienti ambigui. L’unica certezza è che il direttore di OP è realmente legato ad alcuni corpi dello stato. Lo riferisce Nicola Falde, colonnello del SID dal 1967 al 1969, lo testimoniano si suoi legami con Vito Miceli, capo del servizio segreto militare dal 1970 al 1974 e – stando ad alcune testimonianze – anche con il gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa. OP si configura come un’agenzia di stampa che, attraverso grosse rivelazioni, sembra lanciare messaggi cifrati e spesso ricattatori. Dal marzo del 1978 OP diventa un settimanale: anticipa lo scandalo dei petroli, destinato ad esplodere anni dopo e soprattutto mostra di sapere moltissimo sul caso Moro. Chi ha ucciso Pecorelli? In oltre vent’anni di indagini sono state battute le piste più disparate: l’ estremismo di destra, la massoneria deviata, fino ad Andreotti in combutta con la mafia e ancora con la destra estrema. Risultato: l’assoluzione, a Perugia, dell’ex presidente del consiglio e di tutti gli altri imputati.

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Il Caso Sindona

Una delle pagine più oscure dell'Italia dei misteri e sulla quale - nonostante le tante inchieste della magistratura siciliana - poco o nulla è stato fatto per gettarvi un po' di luce, riguarda il viaggio di Michele Sindona in Sicilia nell'estate del 1979, l'anno di svolta per Cosa nostra, l'anno in cui nasce e si ramifica una nuova forma di mafia, la stessa che, con ogni probabilità, ancora impera ai giorni nostri. Quante volte abbiamo sentito fare riferimento - soprattutto dai magistrati della procura di Palermo - al viaggio di Sindona in Sicilia? Ma chi è Michele Sindona? Originario di Patti (Messi na), diventa nel corso degli anni Sessanta uno dei più aggressivi banchieri del mondo. Secondo Giulio Andreotti, addirittura "il salvatore della Lira". La sua abilità? Legare in un nodo inestricabile di affari quattro pilastri della società italiana (non solo dell'epoca): potere politico (demo- cristiano), Vaticano, massoneria e mafia. L'impero di Sindona (arriverà a controllare un numero incalcolabile di banche e società finanziarie e a controllare la metà dei titoli quotati a Piazza Affari) comincia a scricchiolare nel 1974, con il fallimento della Franklin Bank e l'accusa di bancarot- ta mossagli dal governo americano. Fuggito in Sicilia nel 1979, dove resterà per 75 giorni, per evitare l'arresto delle autorità d'oltreoceano, accusato di essere il mandante dell'omicidio Ambrosoli, il liquidatore di uno dei suoi istituti, ricompare negli Stati Uniti, inscenando un finto sequestro e con una  ferita ad  una gamba. Condannato e poi estradato in Italia, morirà nel supercarcere di Voghera (dove è guardato a vista giorno e notte), sorseggiando un caffè al cianuro. Suicidio od omicidio? Ma chi è stato veramente Michele Sindona? In Sicilia, in quella lontana estate, cerca alleanze e protezioni oppure è solo un prigioniero in ostaggio? Come mai, indagando proprio su Sindona, la magistratura, questa volta milanese, arriverà a scoprire la loggia P2 di Licio Gelli? Che legame esiste tra i due misteriosi "suicidi" di Michele Sindona e Roberto Calvi? I segreti della mafia moderna, i misteri dei delitti politici degli anni Ottanta, gli enigmi delle stragi mafiose degli anni Novanta nascono da qui. Dal mistero Sindona.

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"Ecco chi armò la mano di alì agca" "Ecco chi armò la mano di alì agca" un libro choc in germania che non trova editori in ItaliaPaola Sorge Repubblica 18 Maggio 2001

C'è modo e modo di ricordare, a vent'anni di distanza, l'attentato al Papa: quello scelto da Valeska von Roques, berlinese, corrispondente da Roma dello Spiegel, farà molto rumore. Con il libro appena uscito (Verschworung gegen den Papst, La congiura contro il Papa, Blessing, pagg. 250) la giornalista tedesca fornisce una inquietante versione dei fatti e dei retroscena, che coincide parzialmente con la ricostruzione fornita qualche giorno fa da Oral Celik, compagno dell'attentatore Alì Agca.La von Roques smantella la tesi dei bulgari e del Kgb come mandanti, sostenendo che si tratta del frutto di una operazione di propaganda nata in realtà ad ovest: ad armare il giovane turco che il 13 maggio sparò contro Karol Wojtyla sarebbero stati, secondo l'autrice del libro, i servizi segreti occidentali, quelli americani in primo luogo, quelli francesi e il Sismi. E al complotto contro il papa polacco non fu estraneo il Vaticano stesso, o almeno una parte di esso, ostile a Wojtyla, a Paul Marcinkus, all'Opus Dei.Si tratta, secondo la giornalista, dello zoccolo duro della Curia romana, di una specie di loggia massonica che avrebbe deciso di osteggiare con ogni mezzo la politica del papa in favore della Polonia a cui egli faceva arrivare un flusso enorme di danaro attraverso lo Ior. Si entra così in tortuosi meandri, si cita un articolo di Mino Pecorelli, in cui compare una lista di 121 alti prelati membri di una loggia segreta, si prosegue con il mistero della scomparsa del papa Giovanni Paolo I, con il crac del Banco Ambrosiano e la morte di Roberto Calvi, con il sequestro di Emanuela Orlandi.La ricerca della von Roques, condotta con l'andamento da thriller, parte dall'istruttoria del giudice Rosario Priore e dalla consultazione di una montagna di documenti, tra cui il memorandum privato di un ex agente del Sismi. E ricostruisce uno scenario fosco, a tratti incredibile, in cui si muovono uomini della Cia, i cardinali che nei primi mesi del 1981 si rivolsero a Francesco Pazienza per ottenere una documentazione che incolpasse Marcinkus, lo stesso Ali Agca che dunque, secondo questa tesi, appare assieme al suo complice Oral Celik, protetto dai servizi segreti francesi, uno strumento dell'Occidente. In realtà egli ha dato 20 versioni diverse delle origini del suo gesto, ha raccontato della sua collaborazione con i bulgari facendo nomi di persone che però sono state processate e poi assolte.

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La ragione per cui Stati Uniti, Francia, Roma, Vaticano avrebbero ordito la congiura ai danni del papa, addossandone la colpa ai bulgari e al Kgb, consisterebbe nel far apparire la Russia come "il regno del male", come l'origine di tutte le azioni terroristiche. Al tempo stesso mirerebbe a destabilizzare la situazione in Polonia e a spaventare Wojtyla, che da allora, scrive la giornalista tedesca, è diventato una sorta di automa nelle mani di chi detiene realmente il potere in Vaticano. A coronamento del piano diabolico, ecco arrivare, l'anno scorso, la rivelazione del terzo segreto di Fatima; ecco "il vescovo vestito di bianco" che viene colpito: la visione, secondo il Vaticano, non è che la profezia dell'attentato subito da Wojtyla. Ma qui cominciano i misteri: come mai il complice di Agca, Oral Celik, ne parla già sei anni prima della "rivelazione" ufficiale con il giudice Priore? E come mai lo stesso Ali Agca compare in una foto scattata tre giorni prima dell'attentato in un gruppetto di persone che circondano Papa Wojtyla?Quando, l'anno scorso, Ali Agca è stato liberato, ha gridato al mondo intero che il Vaticano è «la casa del diavolo, piena di peccati mortali e di delitti contro Dio e contro l'umanità». A conclusioni non dissimili arriva l'autrice del libro che considera l'attentato al Papa il più sporco degli espedienti usati dall'occidente nella guerra propagandistica fra mondo capitalista e mondo comunista

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Che cosa è Gladio?Che cos’è l’organizzazione Gladio? La relazione del presidente della commissione parlamentare sulle stragi Giovanni Pellegrino tenta una riflessione molto articolata su una struttura i cui contorni e le cui finalità sono ancora oggi avvolte nel mistero. E’ uno sforzo notevole ed organico che introduce alcuni fondamentali elementi di chiarezza.

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L'ORGANIZZAZIONE GLADIONell’analisi della Commissione Stragi (relazione Pellegrino)

 

Che cos’è l’organizzazione Gladio? La relazione del presidente della commissione parlamentare sulle stragi Giovanni Pellegrino tenta una riflessione molto articolata su una struttura i cui contorni e le cui finalità sono ancora oggi avvolte nel mistero.

E’ uno sforzo notevole ed organico che introduce alcuni fondamentali elementi di chiarezza.

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AVVERTENZA: La relazione Pellegrino non va letta come una sorta di maxi-sentenza definitiva, ma soltanto come <<la formulazione di un giudizio storico-politico globale>>. 

Come ogni analisi storico-politico essa è, comunque soggetta, a integrazioni e mutamenti.

 Le prime indicazioni circa l'esistenza di una struttura occulta, parallela al Servizio Segreto Militare, all'epoca unico Servizio Segreto italiano, emersero in sede giudiziaria intorno alla metà degli anni settanta[1]. Devono però trascorrere altri dieci anni perché da parte di estremisti di destra (in particolare Vincenzo Vinciguerra) giungano alla Magistratura inquirente più precise indicazioni circa l'esistenza di una struttura segreta, costituita in ambito NATO, da civili e da militari a scopo di condizionamento del quadro politico[2].

Finalmente, il 2 agosto 1990, accogliendo un ordine del giorno presentato dall'on. Quercini e da altri deputati, il presidente del Consiglio Andreotti si impegnava davanti alla Camera dei deputati ed informare la Commissione Stragi in ordine all'esistenza, alle caratteristiche ed alle finalità di una struttura occulta operante all'interno del servizio segreto militare, poi definita Gladio. A meno di un anno di distanza dalla caduta del muro di Berlino il Governo prendeva atto della irreversibilità dei mutamenti nello scenario internazionale e sceglieva così di disvelare il segreto – custodito dal dopoguerra alla fine della contrapposizione Est-Ovest - intorno ad una organizzazione i cui compiti si ritenevano ormai esauriti e della cui esistenza numerose autorità giudiziarie e alcune Commissioni parlamentari di inchiesta avevano raccolto indicazioni e prove[3].

Immediatamente audito dalla Commissione Stragi, il 3 agosto il presidente Andreotti riferì in ordine alla organizzazione Stay behind e, a partire dal successivo mese di ottobre, ebbe inizio l'acquisizione - non sempre agevole, in verità - della documentazione in materia.

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Alla organizzazione Gladio, operativa per quasi un quarantennio, la Commissione ha dedicato nel corso della X legislatura un'ampia ed approfondita inchiesta, sulla base delle cui risultanze ha già riferito al Parlamento dapprima con una pre-relazione comunicata alle Presidenze il 9 luglio 1991 (con annessi gli atti del dibattito svoltosi sul documento stesso), quindi - e sia pure in maniera dichiaratamente non conclusiva - con la relazione approvata al termine della legislatura e comunicata alle Presidenze il 22 aprile 1992[4].

Nel frattempo, sempre nell'ottobre del 1990, aveva luogo il casuale ritrovamento, in via Monte Nevoso a Milano, di materiale documentale relativo al caso Moro; in alcuni documenti inediti Moro, interrogato dai suoi carcerieri, risponde in ordine a reparti addestrati alla

"guerriglia da condurre contro eventuali forze occupanti o contro-guerriglia da condurre contro forze nemiche impegnate come tali sul nostro territorio"[5].

Il memoriale di Via Monte Nevoso conteneva altresì l'opinione dello statista scomparso in merito ai fatti del 1964, il cosiddetto caso SIFAR. Ed ecco che sul volgere del 1990 il Governo assume l'autonoma decisione di rimuovere il segreto di Stato a suo tempo apposto su gran parte degli atti delle inchieste amministrative Lombardi e Beolchini.

Si trattava di materiale di indubbio rilievo che illumina a dovere le preoccupazioni e le "doppie fedeltà", di cui si dirà appresso, di parte delle gerarchie militari e della classe di governo dell'epoca.

La ricostruzione operata delle modalità con cui la struttura Gladio venne a costituirsi e quindi a modificarsi nel tempo, nonché le valutazioni e i giudizi espressi dalla Commissione (opportunamente modulati su di una periodizzazione delle varie fasi evolutive della rete clandestina) appaiono tuttora validi nella quasi totalità.

E' conclusione questa, cui la Commissione ritiene di poter giungere dopo aver nella presente legislatura proceduto ad un aggiornamento dell'inchiesta, dove peraltro non sono emersi, anche con riferimento alle indagini giudiziarie tuttora in fase di svolgimento, elementi di novità tali da determinare modificazioni, se non marginali, in un giudizio complessivo che appare pertanto meritevole di conferma.

Talché sufficiente appare in questa sede un rinvio ai contenuti dei due citati documenti già consegnati al Parlamento, accompagnato dalle considerazioni che seguono tese ad inserire la vicenda Gladio nell'ambito di una ricostruzione generale delle vicende nazionali ed internazionali oggetto della presente relazione.

L'organizzazione Gladio è infatti un tassello importante nella storia occulta del Paese che la Commissione si è accinta a ricostruire; la sua importanza non va però enfatizzata o comunque sopravvalutata, pena un possibile effetto distorsivo nella ricostruzione di accadimenti e responsabilità.

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Questo pericolo fu già avvertito, all'interno della Commissione, nel corso dell'approfondito dibattito che portò all'approvazione della pre-relazione 9 luglio 1991.

In tale sede fu, infatti, sottolineata la necessità di evitare l'errore di individuare in Gladio la chiave interpretativa di tutte le vicende della strategia della tensione e delle stragi in Italia, per non incorrere in un involontario, quanto grave autodepistaggio.

Preoccupazioni analoghe - come la Commissione ha potuto constatare in questa legislatura - sono opportunamente ora nutrite anche in sede giudiziaria, dove avvertito è il pericolo di "andare fuori pista" ove si insistesse nel pensare di apprendere da Gladio la storia stragista dell'Italia e quindi sentita la necessità di vincere la tentazione "di appendere a Gladio lo stragismo e gli stragisti"[6].

In realtà lo stragismo fu un momento di una storia più complessa; svelarne le cause ed i fini - che coincide con l'investigare sulle ragioni che hanno ostacolato l'individuazione delle relative responsabilità - può essere possibile soltanto se si riesce in maniera completa o quasi completa a ricostruire un mosaico, di cui Gladio costituisce un tassello importante, ma pur sempre un tassello.

Esiste, peraltro, un analogo e opposto rischio che va ugualmente evitato; e cioè quello di una considerazione del tassello avulsa dal contesto in cui lo stesso è destinato ad inserirsi; di una considerazione, cioè, di Gladio come una monade isolata, con effetti di volontaria o anche involontaria minimizzazione.

L'effetto distorsivo non sarebbe meno grave di quello cui condurrebbe una visione enfatizzata; perché molti degli aspetti di Gladio non sono spiegabili se non in funzione della contemporanea esistenza di altre tessere del mosaico; così come, per converso, molte vicende e numerosi accadimenti, che pur non appartengono alla storia di Gladio, non sono comprensibili se non in funzione di Gladio, nel senso che hanno avuto un determinato svolgimento o hanno assunto una determinata conformazione perché in qualche modo "Gladio c'era".  

Va quindi confermata, rafforzandola, una scelta metodologica già compiuta dalla Commissione nell'ampia inchiesta di cui ha fatto oggetto l'organizzazione Gladio nella X legislatura.

Ed infatti già nella pre-relazione 9 luglio 1991 si avvertì l'esigenza, per comprendere gli avvenimenti oggetto di inchiesta, di "considerarli inseriti nel contesto della politica di sicurezza italiana nel Dopoguerra”, caratterizzata da "due referenti esterni privilegiati: la NATO e gli USA in forte interazione tra loro", ma comunque tra loro distinguibili e distinti.

Ed infatti è solo tale riferimento esterno a rendere pienamente leggibile la scelta iniziale che caratterizzò negli anni 1951-

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1956 la nascita di Gladio e cioè da un lato l'iniziale rifiuto di associarsi al Comitato di pianificazione (Clandestine Planning Comittee) clandestina costituito da USA, Inghilterra e Francia, dall'altro l'affidare la costituenda organizzazione ad un sistematico rapporto bilaterale tra il nostro servizio e quello americano; (scelta quest'ultima - d'indubbio rilievo storico-politico - che appare davvero semplicistico attribuire invece soltanto all'ampia disponibilità di mezzi finanziari della CIA e quindi alla sua capacità di venire incontro alle esigenze del Ministero della Difesa, che avrebbe avuto scarsa possibilità di sostenere l'iniziatuva).

Come è stato esattamente osservato, è indubbio - ma è anche storicamente e politicamente significativo - che Gladio nasce da un accordo tra due servizi segreti, uno indubbiamente molto importante, quello statunitense, l'altro, quello italiano, molto meno, legati quindi tra loro da un rapporto (se non formalmente, sostanzialmente) non equiordinato.

Ma anche di tale rilievo - di tipo esterno, ma che nella sua oggettività appare difficilmente contestabile - non può cogliersi pienamente il senso se non avendo riguardo al complessivo scenario che caratterizzava la situazione interna del Paese intorno alla metà del secolo. Alcuni degli aspetti più significativi di tale situazione sono già stati evidenziati.

E' infatti nella specificità di un clima politico internazionale ed interno che non solo la scelta di costituire Gladio, ma le modalità della sua costituzione e lo stesso modulo organizzatorio adottato, assumono significato e divengono pienamente comprensibili.

Vuol sottolinearsi cioè come il problema dell'intesa SIFAR-CIA del 1956 non può essere (tanto meno nell'ambito di una inchiesta parlamentare) affrontato e risolto in termini esclusivamente giuridico-formali, e cioè investigando soltanto da un lato sulla discutibile capacità del nostro servizio militare di porsi come soggetto di diritto internazionale abilitato alla conclusione e sottoscrizione di accordi, dall'altro sulla altrettanto discutibile possibilità di individuare in tale accordo del '56 un momento di attuazione ed esecuzione del trattato NATO del 1949 già approvato con legge, al fine di giustificare la mancata sottoposizione dell'accordo del 1956 all'approvazione del Parlamento in applicazione dell'art. 80 Cost.

In contrario appare evidente come, in sede di ricostruzione storico-politica l'accordo SIFAR-CIA del 1956 non può essere valutato come avulso dal contesto degli obiettivi strategici perseguiti dalla politica estera degli USA (negli anni che immediatamente seguivano alla conclusione del secondo conflitto mondiale) e del ruolo che nel perseguimento di tali obiettivi alla CIA veniva assegnato nel medesimo periodo: gli uni e l'altro (obiettivi e ruolo) ormai quasi pienamente ricostruibili sul piano delle certezze documentali, cui si è già fatto ampio riferimento nel capitolo precedente.

La correttezza di un simile approccio metodologico non appare revocabile in dubbio, sol che si rifletta come lo stesso derivi da elementari canoni ermeneutici che rendono dovuta l'interpretazione di ogni accordo nel contesto delle vicende che portano alla sua conclusione e lo accompagnano nella sua esecuzione concreta.

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Perché è tra l'altro solo su basi di correttezza metodologica che può, senza alcuna enfasi, ma per dovuta obiettività, attribuire rilievo alla circostanza che l'accordo del 1956 appare anche formalmente strutturato come una revisione di accordi precedenti, che pur non conosciuti nella loro oggettività documentale possono nel loro contenuto essere, sia pure per grandi linee, evinti dal generale contesto.

Né vi è dubbio che ciò vale anche per vicende interne che hanno preceduto la costituzione di Gladio, ma dalle quali non può prescindersi, se il senso complessivo dell'operazione costitutiva vuol cogliersi, a tanta distanza d'anni, con chiarezza e conserena obiettività.

 Si è già ampiamente riferito, ad esempio, in ordine alla vicenda della Osoppo e cioè di una divisione partigiana che, dopo il '45, viene ricostituita per essere utilizzata clandestinamente e segretamente dallo Stato Maggiore dell'Esercito nelle regioni nordorientali; una vicenda che può a buon titolo considerarsi emblematica nella sua irriducibilità ad un parametro di legittimità formale: un reparto partigiano clandestinamente organizzato dall'Esercito, nei cui ranghi pure non è ufficialmente inserito; e che poi viene trasformato - in un momento in cui il quadro democratico uscito dal dopoguerra andava consolidandosi – addirittura in una organizzazione clandestina posta direttamente sotto il controllo del Servizio segreto militare.

Una situazione che dura fino al 1956 quando l'organizzazione viene sciolta perché Gladio è stata costituita, tanto è vero che la prima confluisce nella seconda sia pure all'interno di una vicenda che per molti profili è destinata a restare in qualche modo confusa e indeterminata, ma che nella sua essenza non può essere negata.

E si è già visto che la Osoppo non fu fenomeno isolato, perché altre organizzazioni del medesimo tipo devono essere esistite se di alcune è stato possibile alla Commissione rinvenire inequivoche ancorché labili tracce documentali. Appare quindi evidente come il contrasto tra le valutazioni cui la Commissione è giunta nel 1992 sulla complessiva illegittimità della struttura e le opposte valutazioni formulate in altre sedi istituzionali (in particolare nel parere 7 gennaio '91 reso al Presidente del Consiglio dei Ministri dall'Avvocato Generale dello Stato e nella relazione 4/3/92 del Comitato Parlamentare per i Servizi di informazione e Sicurezza e per il Segreto di Stato[7] derivi naturalmente dalla diversità dei metodi di approccio al problema che sono stati adottati.

Sicché è la convinzione sulla correttezza del metodo seguito che spinge ora la Commissione e ribadire l'esattezza delle conclusioni cui è giunta, nel meditato convincimento, tra l'altro, che un metodo diverso apparirebbe del tutto incongruo al perseguimento del fine istituzionale specifico di cui la Commissione è investita: far chiarezza, nei limiti in cui ciò oggi è divenuto possibile, sulla complessiva storia occulta del Paese in cui si determinò nel periodo 69-84 la conflagrazione dello stragismo e del terrorismo.

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Non vi è dubbio infatti che soprattutto il parere reso dall'Avvocato Generale dello Stato si limiti esclusivamente ad un'indagine di natura giuridico-formale sulla documentazione che gli era stata fornita (sulla cui incompletezza e quindi parziale inattendibilità in seguito si dirà) sulla costituzione e sullo sviluppo di Gladio; senza alcun riferimento al contesto internazionale ed interno in cui Gladio nacque e fu operativa per oltre un quarantennio.

Sostanzialmente non diversa è la scelta metodologica che ispira la relazione del Comitato per i Servizi, dove peraltro, come va opportunamente sottolineato, alla generale valutazione di legittimità della struttura un profilo resta comunque sostanzialmente estraneo: e cioè la circostanza che almeno a valle dell'approvazione della legge numero 801 del '77 l'assoluta segretezza di cui ha continuato ad essere circondata la struttura appare in nessun modo riconducibile ad un parametro di legittimità formale.

Anche in tale sede è stato infatti adeguatamente sottolineato (così riducendosi l'ampiezza e l'intensità del contrasto con le opposte conclusioni cui è giunta la Commissione): -da un lato che il Comitato stesso appariva sede indubbiamente idonea a ricevere informazioni governative (che invece sono state del tutto omesse) non solo sull'esistenza degli accordi riservati che avevano portato alla costituzione e alle successive modificazioni della struttura, ma anche sulle linee essenziali dei loro contenuti; -dall'altro l'esigenza di una più puntuale riconduzione della complessiva attività dei Servizi al potere di indirizzo e di vigilanza della autorità politica direttamente sopraordinata.

 Analogamente non appare metodicamente corretto nella ricostruzione dei compiti che furono affidati alla struttura (indubbiamente importante ai fini della formulazione di un ragionato giudizio sulla sua legittimita-illegittimità) "svalorizzare" indicazioni pur oggettivamente presenti nella documentazione acquisita (peraltro incompleta, come si è già accennato, e come meglio in seguito si chiarirà), sottolineandone l'eterogeneità rispetto al complesso delle altre indicazioni documentali.

E ciò ancora una volta nell'ambito di una considerazione "isolata" di Gladio e cioè avulsa dal contesto di contemporanee vicende internazionali ed interne, che appaiono oggi suscettibili di una ricostruzione abbastanza completa ed ancorata a solide basi documentali.

Specifico è il riferimento alla possibilità di una utilizzazione di Gladio anche in ipotesi di "sovvertimenti interni" contro i quali l'operazione sarebbe anche diretta, indicazione che inequivocamente emerge dal noto documento 1/6/59 indirizzato dal vertice del SIFAR alla Superiore Autorità Militare Italiana[8].

E' un dato oggettivo che non appare corretto svalorizzare sulla base di argomentazioni esclusivamente giuridico-formali centrate sulla inidoneità formale del documento ad incidere sugli oggetti e scopi dell'operazione quelli definiti nei documenti del 1951 e nell'accordo del '56 tra SIFAR e CIA. In realtà il riferimento a una operatività di Gladio anche nell'ipotesi di sovvertimento interno viene con sufficiente precisione ad incastrarsi nel disegno strategico occidentale, cui nel precedente

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capitolo si è fatto ampio e documentato riferimento. Ad incastrarsi, cioè, come "tessera propria" in un mosaico di cui è oggi possibile un'agevole lettura e nel quale la vicenda Gladio va inserita per ricostruirne finalità e obiettivi, per esprimere in ordine alla stessa un sereno giudizio.

Ed infatti non può sfuggire, in una prospettiva più ampia, la necessità, soprattutto in un'inchiesta parlamentare, di obbedire ad un criterio di "effettività istituzionale", dove ciò che conta è non solo il modello formale di Gladio ma anche il suo concreto atteggiarsi nella fase operativa.

Perché ciò che assume evidentemente importanza è non soltanto ciò che Gladio avrebbe dovuto essere, ma anche ciò che Gladio in concreto è stata. E se è vero che non esistono documentali certezze (salvo per ciò che attiene ai compiti informativi di cui in seguito si dirà), di una utilizzazione di Gladio ai fini interni (e cioè a prescindere dall'evenienza di un'occupazione militare del territorio nazionale, che in concreto non si è verificata), è anche vero che la larga incompletezza della documentazione rinvenuta e la certezza che consistente parte della documentazione è stata distrutta nel momento in cui la rete clandestina stava per divenire, per decisione della autorità politica, conoscibile e conosciuta, esclude la fondatezza sul punto di conclusioni se non assolutorie, almeno fortemente tranquillizzanti[9].

Vuol dirsi cioè che la certezza che Gladio non sia stata utilizzata a fini interni, malgrado le indicazioni documentali di tale sua possibile utilizzazione e la coerenza di tali indicazioni con il quadro più ampio in cui Gladio veniva ad inserirsi, potrebbe raggiungersi soltanto se della concreta attività di Gladio fosse stata offerta documentazione probante e completa.

Così invece non è, e ciò lascia adito a dubbi di una qualche consistenza, valorizzati dal fatto che molti dei responsabili delle strutture hanno ritenuto di poter affermare la correttezza della propria attività direttiva, ma non hanno affatto escluso, ed in qualche caso hanno addirittura pesantemente adombrato, possibilità di un diverso impiego operativo di Gladio in periodi anteriori e/o successivi (in alcuni casi con forti accenti di reciproca polemica[10]. Vuol dirsi cioè che dubbi su tali, pur decisivi profili, vengono dall'interno stesso della struttura e non possono non essere dalla Commissione che registrati, almeno come tali. E ciò senza indulgere, come pure è stato già avvertito, alla tentazione di voler utilizzare il persistente difetto di piena conoscenza sull'attività della struttura per ricondurre forzatamente alla storia di Gladio vicende che, allo stato delle acquisizioni, devono considerarsi alla stessa estranee, anche se alla rete clandestina comunque in qualche modo contigue e dall'esistenza di questa in qualche modo influenzate.

Valga a mero titolo di esempio il collegamento, pur ipotizzato, tra Gladio e le vicende del 1964 che sinteticamente possiamo definire come Piano Solo. E' evidente, come meglio in seguito sarà chiarito, che il Piano Solo non è riconducibile a Gladio, anche se l'esistenza della struttura clandestina era dal piano indubbiamente presupposta nel senso che il primo della seconda prevedeva una precisa utilizzazione.

 

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Ritiene inoltre la Commissione che l'opzione metodologica operata può valere almeno in parte a superare alcune delle perplessità cui ha dato luogo una considerazione "isolata" della organizzazione Gladio, per effetto di incongruenze che in tale logica possono apparire insuperabili.

E ciò con particolare riferimento ai due profili (peraltro indubbiamente connessi) della determinazione dei limiti dimensionali della struttura e della individuazione dei compiti precisi che alla struttura stessa possono ritenersi in concreto affidati. Sul primo profilo è notissimo che tanto al Parlamento quanto all'Autorità Giudiziaria sia stata fornita dal Governo l'indicazione di 622 nominativi "esterni", che nel tempo sarebbero stati chiamati a far parte della rete clandestina.

Tale numero è apparso assolutamente incongruo, sia rispetto ad una struttura che risultava comprendere ben 280 addestratori militari, sia avuto riguardo alla quantità degli armamenti di cui la struttura aveva disponibilità, dapprima nelle forme

occultate dei NASCO, poi in forme diverse.

La perplessità appare indubbiamente fondata sol che si pensi che il numero degli arruolati riguarderebbe l'intero periodo di attività della struttura; il che darebbe nei singoli periodi considerati un numero di arruolati davvero minimale e quasi risibile.

Al contempo perplessità ha suscitato la conservazione di documentazione relativa ad un numero molto superiore di soggetti (circa 1.300) che sarebbero stati contattati, ma poi non arruolati, prevalentemente per una valutazione negativa.

A ciò si aggiunga quanto successivamente emerso in sede giudiziaria: e cioè che l'indicazione delle 622 persone non ha costituito l'esternazione di un elenco preesistente, bensì il risultato cui si è giunti, in una situazione di apparente confusione, per approssimazioni successive mediante la compilazione di più liste, comprendenti dapprima il numero di 720, poi quello di 640, liste peraltro non corrispondenti tra loro, in quanto persone inserite in una lista non erano presenti nelle altre e in alcune delle liste erano presenti nominativi che alla stregua della documentazione acquisita sono risultati invece oggetto di valutazione negativa[11].

Una situazione quindi estremamente confusa che appare scarsamente compatibile con quanto affermato da uno dei responsabili della struttura e cioè con l'affermazione che degli arruolati sarebbe esistito un

"elenco completo... gelosamente custodito in un'apposita cassaforte a combinazione"[12].  

In realtà un ipotetico elenco originale non è stato fornito dal Servizio né all'autorità politica né all'autorità giudiziaria, né da quest'ultima è stato rinvenuto nelle acquisizioni documentali operate. Con la dovuta conseguenza di dover ritenere tale elenco mai esistito o addirittura volutamente distrutto. E ciò a riprova di una situazione assai meno lineare di quella descritta e che situa all'interno di una complessiva inattendibilità del materiale fornito, anche perché vi è certezza che tra la fine di luglio e gli inizi di agosto del 1990 una quantità consistente di documentazione, pur custodita sin dagli anni '50, è stata soppressa.

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Può cioè ritenersi assodato che la volontà politica di non opporre il segreto di Stato sulla esistenza e sulla natura della struttura clandestina è stata vanificata da decisioni di componenti del servizio (allo stato non ancora precisamente identificati) attraverso la distruzione o manipolazione del materiale che avrebbe dovuto essere fornito.

Ciò è stato confermato alla Commissione, con valutazione unanime, da parte di tutti i magistrati inquirenti che, in epoche diverse e appartenenti a diversi uffici giudiziari si sono occupati della vicenda.

In sede giudiziaria è stata altresì espletata una consulenza certamente esaustiva che dà conto della complessiva inattendibilità del materiale documentale acquisito[13].

E' questo un dato che indubbiamente merita di essere sottolineato nella sua indubbia valenza, non già per riempire il vuoto di conoscenza determinato dalla incompletezza e inattendibilità della documentazione con ipotesi azzardate, ma per escludere la fondatezza di valutazioni minimizzanti fondate esclusivamente sulle risultanze documentali in sé considerate, senza farsi carico neppure della circostanza che tale incompletezza è il frutto di una deliberata volontà di soppressione.

Su tali basi in ordine al problema relativo alla consistenza della struttura sembrano alla Commissione formulabili in alternativa due diverse ipotesi ricostruttive. Esse hanno peraltro una base comune: la pluralità degli obiettivi che la struttura era in grado di perseguire e in funzione della quale fu sostanzialmente costituita e strutturata, con notevoli modificazioni nel tempo che indubbiamente sarebbe errato ritenere ininfluenti sulla sua consistenza e qualità.

Vi era innanzitutto il fine principale di un'organizzazione destinata ad entrare in azione soltanto in caso di conflitto e di occupazione nemica di parte del territorio nazionale per compiere attività di sabotaggio, propaganda, resistenza e guerriglia.

Ma la struttura, per quanto si è già detto e per quanto meglio in seguito si dirà, fu pensata anche in funzione di altri compiti, alcuni - quelli informativi - sicuramente svolti (sia pure con intensità non esattamente accertabile) altri sul cui effettivo svolgimento non esistono riscontri documentali.

Sul punto peraltro non può trascurarsi che la vicenda di Gladio appare alla Commissione soprattutto la storia di una potenzialità operativa che nel complesso si è, nel quarantennio di esistenza della struttura, assai poco attualizzata; il che può valere a ridimensionare, ma non a minimizzare l'importanza del fenomeno, per l'indubbia influenza che tale potenzialità operativa ha potuto avere su molte contigue vicende che in qualche modo l'hanno presupposta.

La pluralità di compiti potenziali attribuiti alla struttura ne giustificherebbe - anche a livello di arruolati - un modulo organizzatorio per "cerchi concentrici" o addirittura per "ambiti distinti", ciascuno attivabile in ragione dell'obiettivo specifico che di volta in volta si sarebbe potuto voler perseguire. In tale prospettiva l'elenco dei 622 sembra prevalentemente composto (con le precisazioni di cui in seguito si dirà sui differenti criteri di selezione che appaiono oggettivamente seguiti

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nel tempo) da persone che furono arruolate in vista dello scopo principale (o comunque più ostensibile) per il quale la struttura fu creata e cioè l'obiettivo dello "stare indietro" nell'ipotesi di conflitto e di occupazione nemica di parte del territorio nazionale. Il che pienamente giustifica, sul piano soggettivo, la valutazione positiva della scelta operata dai "gladiatori", perché si trattava di un fine - è opportuno sottolinearlo - non solo legittimo, ma ispirato ad importanti valori.

E' certo però (ancora una volta documentalmente) che ben altra era la personalità di molti dei soggetti che furono contattati e che pur non furono inclusi nella struttura operativa composta dai 622. Ritenerli del tutto estranei a Gladio è conclusione che solo in parte la Commissione ritiene di poter condividere, perché non giustificherebbe, tra l'altro, la circostanza che la documentazione relativa agli stessi sia stata conservata così a lungo e in stretta commistione con la documentazione relativa agli arruolati, il che appare al di fuori di ogni regola archivistica e sembra dare l'impressione che l'insieme dei nominativi costituisca in realtà, per taluni aspetti, un unicum. La Commissione sembrerebbe quindi individuare una più ampia o addirittura diversa struttura operativa che sarebbe potuta tornare utile, ove la organizzazione fosse stata attivata in ipotesi diversa da quella dell'occupazione bellica del territorio nazionale (ipotesi quest'ultima che con il passare del tempo non può non riconoscersi a differenza di altre essere divenuta sempre più intensamente improbabile).

Un'altra ipotesi ricostruttiva in ordine alla consistenza della struttura è peraltro possibile, quale esito naturale della scelta metodologica operata. La stessa muove dalla considerazione che Gladio nel quarantennio della sua esistenza non sia stata l'unica struttura clandestina operante nel Paese.

E' anche questa una verità storica che appare innegabile alla stregua di documentali certezze.

Per ciò che riguarda almeno gli anni cinquanta le certezze documentali sono quelle già evidenziate nel precedente capitolo con riferimento ad una pluralità di organizzazioni private che sorsero in Italia in funzione anticomunista e che operarono in maniera intensamente interattiva con apparati istituzionali.

Alle stesse si aggiungano, sempre sulla base di certezza documentali, le strutture paramilitari che precedettero Gladio e di cui Gladio certamente ereditò uomini, finalità ed in parte armamenti.

A tutto ciò si aggiunga infine l'emersione recente in sede di indagini giudiziarie di ulteriori strutture più ampie, quali i Nuclei per la difesa dello Stato, di cui in seguito più ampiamente si dirà.

Su tali basi diviene assolutamente logico ipotizzare che l'organizzazione Gladio abbia, durante il quarantennio della sua esistenza, costantemente presupposto una capacità di mobilitazione più ampia, attingente al parallelismo di altre strutture appena disciolte e o addirittura coesistenti.

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Senza peraltro trascurare una ben possibile compresenza, nella effettività del modulo organizzatorio della struttura, delle due ipotesi innanzi considerate. E cioè sia quella della organizzazione di Gladio per cerchi concentrici o per ambiti distinti, sia quella della capacità di Gladio di attivare una mobilitazione più ampia attingendo al parallelismo di altre strutture.

 Le considerazioni che precedono valgono altresì a sciogliere almeno in parte alcuni dei nodi che ancora sussistono in ordine ai compiti che furono affidati alla struttura e che furono da questa concretamente svolti. I due profili (compiti attribuiti/compiti svolti) non possono ritenersi pienamente coincidenti alla stregua della già operata ricostruzione della vicenda Gladio come la storia di una sostanziale potenzialità operativa. Ciò é innegabile innanzitutto con riferimento al compito principale e più ostensibile per cui la struttura fu costituita: e cioè l'attività prevista per l'ipotesi mai verificata di occupazione nemica di parte del territorio nazionale. Quanto ai compiti di contrasto di possibili sovvertimenti interni o più specificamente di contrasto a forze politiche legalmente riconosciute, si sono già esposte le ragioni che inducono la Commissione a ritenere che tali compiti rientrassero tra quelli verosimilmente attribuiti alla struttura. Anche in sede giudiziaria, e a valle delle valutazioni operate dalla Commissione nella X legislatura, si é riconosciuto, come meglio in seguito si dirà, che di una originaria finalizzazione della struttura al contrasto di forze politiche legalmente riconosciute ... vi sono ampie tracce nella documentazione relativa alla costituzione della struttura e in genere agli accordi dei servizi italiani con le autorità statunitensi negli anni '40 e '50[14]. Sul punto quindi le conclusioni assunte dalla Commissione già nel '91-'92 e che vengono ritenute meritevoli di conferma hanno quindi ricevuto un autorevole avello in diverso ambito istituzionale. Tuttavia va riconosciuto che non esistono solide basi documentali (se non labilissime) che inducano a ritenere che per tali compiti la struttura sia stata effettivamente attivata. Peraltro l’incompletezza della documentazione e la volontarietà con cui tale incompletezza é stata determinata escludono altresì la possibilità di pervenire sul punto ad un finale accertamento negativo. Per ciò che concerne invece le funzioni informative la Commissione ha già manifestato nella X legislatura il suo convincimento che trattasi di compiti assegnati alla struttura e da questa effettivamente espletati. La fondatezza di tale conclusione é stata fortemente contrastata con argomentazioni tese a contestare la significatività delle basi documentali che tale conclusione sorreggevano.

Si è osservato in merito che l'attività di informazione avrebbe fatto parte di compiti propri della struttura ove fosse stata attivata nel verificarsi dell'eventualità di una occupazione nemica di parte del territorio nazionale. Sicché i documenti su cui la Commissione ha fondato l'accertamento del concreto svolgimento di compiti informativi, atterrebbero invece a mere esercitazioni con finalità addestrative di un personale che sarebbe divenuto operativo solo al verificarsi delle previste condizioni di impiego. La distinzione appare capziosa nell'evidente impossibilità di escludere che i risultati dell'addestramento (riferibili sin troppo ovviamente a situazioni geopolitiche concrete dei momenti e dei luoghi in cui l'attività addestrativa ebbe svolgimento) apparivano comunque utilizzabili da parte del Servizio che aveva la direzione della struttura[15].

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A ciò si aggiunga che è comunque certa la mobilitazione della struttura a fini informativi almeno in tre occasioni: e cioè nel corso delle indagini relative al sequestro Moro e al sequestro Dozier per ammissione di uno dei responsabili della struttura[16], nonché nel 1990 per una decisione assunta (e documentalmente provata) con riferimento ad attività informative da utilizzarsi nel contrasto alla criminalità organizzata e al narcotraffico in esecuzione di una direttiva autonomamente emanata dal direttore del servizio[17]. Oltre a ciò vi è la vicenda del centro "Scorpione", istituito a Trapani nella seconda metà degli anni '80, che desta notevoli perplessità sia per l'ubicazione di questa struttura periferica, sia per la mancanza di chiarezza per quanto attiene ai compiti dalla stessa effettivamente svolti. Peraltro vi sono indici ulteriori che consentono di porre su base più ampia una conferma delle conclusioni su cui sul punto la Commissione è giunta e che attengono alle "qualità personali" del personale arruolato nell'ultimo periodo di operatività della struttura. Alla analisi della Commissione infatti è apparso chiaro come alla già operata periodizzazione della vicenda evolutiva di Gladio corrisponda una diversità dei criteri seguiti nell'arruolamento del personale civile.

In una prima fase, il cui termine può temporalmente collocarsi nei primi degli anni settanta, l'arruolamento ha riguardato in prevalenza cittadini residenti nel Nord d'Italia, di profilo sociale medio basso e con attitudini individuali ad una utilizzazione armata (notevole la presenza di personale che aveva già prestato il servizio militare e anche di sottufficiali ed ufficiali). Tutto ciò appare pienamente coerente con le finalità dello stay behind e cioè con la finalità di costituire una struttura destinata ad avere un consistente ruolo armato in Friuli (nell'evidente presupposto di una invasione iniziata dalla caduta della "soglia di Gorizia") ed un ruolo di collegamento ed esfiltrazione verso la Svizzera in Lombardia (e questa ipotesi è rafforzata anche dal tipo di specializzazione degli arruolati lombardi che effettivamente risultano spesso impiegati in corsi di addestramento all'esfiltrazione)[18]. Ma dopo quella che è stata definita la svolta del '72, il criterio di reclutamento si modifica in parte allargando il reclutamento anche nella regioni meridionali e insulari... A ciò si aggiunga che negli arruolati appaiono nettamente predominanti i ceti medi con una apprezzabile presenza di imprenditori, dirigenti di azienda o della pubblica amministrazione, liberi professionisti. Inoltre si innalza il numero percentuale di soggetti riformati o esentati dal servizio di leva con un più ridotto numero di ufficiali.

Sicché non appare per nulla azzardato trovare in ciò la conferma di un dato, la cui logicità appare peraltro indiscutibile: a mano che l'eventualità di un'invasione del territorio nazionale da parte di eserciti nemici diveniva sempre più remota, i compiti informativi, che è ragionevole ritenere fossero stati affidati alla rete clandestina, divennero prevalenti. E' quindi su tali basi complessive che la Commissione ritiene di poter confermare il negativo giudizio politico già formulato sulla legittimità della struttura, nell'avvertita esigenza peraltro che lo stesso necessiti, a seguito di una riflessione più meditata, di

alcune integrative esplicitazioni; anche se non di correzioni, perché, lo si ribadisce, nella sua sostanza il giudizio di illegittimità si ritiene meritevole di piena conferma.

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Piena conferma merita parimenti la scrupolosa ricostruzione storico-cronologica contenuta nella relazione precedente, così come pure le osservazioni sulla evoluzione del quadro politico nazionale che hanno accompagnato l'intera vicenda. Non potrebbe infatti attenuarsi il precedente giudizio di fronte a dati di fatto incontrovertibili e di eloquente significato.

Con la riforma dei servizi segreti, avvenuta con la legge n. 801 del 1977, erano stati costituiti il SISMI ed il SISDE, che furono posti dalla stessa legge sotto la diretta responsabilità del Presidente del Consiglio il quale la esercita avvalendosi di un Comitato ristretto consultivo e interministeriale (CIIS) nonché di un organo di coordinamento e di collegamento con l'estero (CESIS) al quale è preposto un segretario generale nominato dal Presidente del Consiglio.

Il quadro della riforma e del "riposizionamento" degli organi di sicurezza veniva poi completato con la creazione di un apposito Comitato Parlamentare di controllo sui servizi, al quale erano dovute tutte le informazioni essenziali circa la struttura e le attività dei servizi stessi.

Nel nuovo quadro operativo, delle competenze e dei controlli, così come scaturito dalla legge di riforma, non trovò collocazione Gladio, che restò estranea sia alla suddivisione dei compiti istituzionali riconosciuti ai due Servizi, sia al sistema dei controlli e delle garanzie. Il CESIS ed il neo Comitato parlamentare di controllo furono tenuti allo oscuro, "cortocircuitati" come fu efficacemente detto nella precedente relazione. Gladio continuò a vivere, o a vegetare, in un ambito suo proprio, nella clandestinità, invisibile, al di fuori delle regole, senza una chiara collocazione istituzionale, senza una precisa attribuzione ed un aggiornamento dei suoi compiti, nella indifferenza rispetto ad una realtà politica internazionale profondamente mutata rispetto agli anni '50.

Ai vertici del SISMI e del SISDE si avvicendarono diverse personalità, alcune delle quali oggetto di gravi sospetti circa la loro lealtà alle istituzioni democratiche a causa delle loro affiliazioni alla P2. Si verificò anche un aumento marcato delle attività organizzative della Gladio: ciò durante la gestione Martini ed anche a seguito della nomina del generale Inzerilli alla carica di Capo di Stato Maggiore del SISMI.

Al Comitato Parlamentare di controllo fu taciuta la stessa esistenza di Gladio.

Alle autorità di governo responsabili (Presidente del Consiglio e Ministro della Difesa) fu, a partire dal 1984, sottoposta una semplice, sintetica e poco esplicativa informazione contenuta - ai fini di una mera presa di conoscenza - in un documento nel quale si faceva menzione soltanto di alcune attività senza riferimenti alle effettive caratteristiche ed al nome della struttura.

Nel documento si parlava di una organizzazione agente nell'ambito SISMI ed avente il compito di:

"predisporre quanto necessario per la condotta di operazioni di guerra non ortodossa sul territorio nazionale eventualmente occupato da forze nemiche, a diretto supporto delle operazioni militari condotte dalle forze Nato"

 

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nonché di

"esercitazioni addestrative nazionali e Nato con l'apporto delle unità speciali delle tre Forze Armate".

L'accento veniva quindi posto sui compiti collegati ad impegni ed intese internazionali e connessi soltanto alle ipotesi di un'occupazione nemica del territorio nazionale; a giudizio di molti, Gladio era divenuta qualcosa di più e di diverso. La nota comunque, pur nella sua formulazione molto stringata e poco esplicita, non fu sempre sottoposta alla firma di tutti i destinatari, e quando lo fu ciò avvenne spesso con mesi di ritardo rispetto alla loro presa di possesso delle rispettive cariche.

 L'espressione sintetica usata dalla Commissione nella relazione del 1992 è quella di

 "illegittimità costituzionale progressiva".

 Dovuta è quindi subito l'avvertenza del carattere atecnico in cui l'espressione è stata utilizzata dalla Commissione, nell'affidare alla stessa un giudizio che è stato ed è principalmente politico, assai più che giuridico-formale; in coerenza con il proprium dei compiti di una Commissione parlamentare d'inchiesta, che voglia tenere nettamente distinto, come è dovuto, l'ambito specifico del proprio intervento da territori diversi riservati a differenti poteri dello Stato (e tra questi in primis la magistratura ordinaria e amministrativa).

La illegittimità costituzionale è, infatti, una forma di invalidità giuridica, che in un sistema a costituzione rigida può afferire soltanto alle leggi ordinarie o ad atti aventi forza di legge ordinaria; e solo in via derivata riguardare atti di rango inferiore emanati in esecuzione della fonte primaria invalida.

Gladio è invece una struttura amministrativa che risulta essere stata costituita ed essere divenuta operativa per effetto di atti non agevolmente situabili nel generale ordine gerarchico delle fonti, ma sicuramente non legislativi e che non presupponevano un atto legislativo; con l'ulteriore dovuta avvertenza che oggetto della valutazione della Commissione (che ha natura politica, giova ribadirlo, e non giurisdizionale) è costituito non tanto dagli atti in esecuzione dei quali la struttura fu costituita e poi modificata, quanto la vicenda storica del costituirsi della struttura, delle sue successive evoluzioni, della sua concreta operatività.

La formula "illegittimità costituzionale" esprime quindi un giudizio politico di contenuto negativo, essendo apparso alla Commissione pienamente affermabile che in un ordinamento democratico, quale quello delineato dalla nostra Costituzione, sussistono pur sempre limiti precisi che dovrebbero escludere la possibilità di creare strutture segrete sottratte a qualunque tipo di controllo non solo politico ma anche amministrativo interno, strutture armate, dotate di mezzi ed esplosivi ed inserite in organismi di grande potenzialità offensiva, quali sono appunto gli organi di sicurezza.

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Né sembra dubbio che tali limiti ben possano dirsi superati nella vicenda in esame, appunto in considerazione della estrema esilità del controllo politico[19] che ha riguardato una rete clandestina sorta per iniziativa dei Servizi addirittura in ambito internazionale e della cui esistenza il potere politico è stato sempre poco e male informato anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 801 del 1977, di una legge formale che aveva sancito un obbligo di informazione ben più intenso, non solo verso l'autorità di Governo, ma anche nei confronti di uno specifico organismo parlamentare. All'interno di tali coordinate esplicative è possibile quindi cogliere meglio il segno della progressività che secondo il giudizio già espresso dalla Commissione avrebbe segnato la illegittimità costituzionale di Gladio.

In realtà se la prospettiva adottata fosse stata (come invece non è stata) prevalentemente di natura giuridico-formale dovrebbe riconoscersi che la illegittimità evidenziata dalla Commissione (con una dovizia di argomentazioni esposte nella relazione del 1992, che qui possono darsi per note) come caratterizzante la fase iniziale e costitutiva della struttura (sino al 1959) si sarebbe attenuata fin quasi a scomparire nel periodo successivo (dal 1959 al 1972), quando l'operatività della struttura venne in qualche modo ricondotta in ambito Nato.

Per poi tornare semmai ad accentuarsi quando il raccordo Nato, nel dicembre 1972, viene a sfilacciarsi, quando cioè la struttura viene ad essere, per così dire, interamente digerita e introitata dal servizio militare sino a diventare il segreto del servizio dentro di sé, fino ad acquisire una marcata ed eclatante evidenza, in termini di indiscutibile illegalità, dopo la riforma del 1977 con i cui precetti imperativi quel segreto ha incontestabilmente colliso. Ma la valutazione operata dalla Commissione non è di tipo giuridico formale e questo consente di cogliere in maniera diversa l'affermato carattere progressivo della illegittimità costituzionale della struttura. Vuol dirsi cioè che le ragioni storiche che in qualche modo hanno potuto giustificare non solo la scelta di costituire Gladio, ma anche le concrete modalità in cui a quella scelta si ritenne di dare attuazione, sono andate indubbiamente nel tempo progressivamente attenuandosi, a mano che da un lato le istituzioni democratiche venivano a consolidarsi nel paese, dall'altro la situazione internazionale cambiava sempre più rendendo improbabile il verificarsi della ipotesi operativa che giustificava la scelta.

Da qui l'accentuarsi della negatività di un giudizio politico che la Commissione ha ritenuto di formulare (e oggi di confermare) con riferimento all'intera vicenda. E ciò non già perché si sono disconosciute le ragioni storiche che determinarono l'insorgere e l'originario strutturarsi della rete clandestina, ma perché si è voluto stigmatizzare la persistenza e l'evoluzione successiva di una struttura che restava segreta in ambiti temporali nei quali quelle ragioni storiche erano venute lentamente a perdere consistenza sino a divenire del tutto insussistenti.

Vuol dirsi cioè che non riesce a cogliersi nessuna ragione sul piano della opportunità e della legittimità politica che riesca a giustificare perché la rete clandestina ha continuato a sussistere, con il suo carattere di assoluta segretezza nell'ultimo

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decennio e forse nell'ultimo quindicennio della sua vita; quando cioè erano già maturate condizioni interne ed internazionali che ben avrebbero dovuto imporre moduli organizzatori diversi e sinanco di anticipare la determinazione politica di scioglimento.

Se tutto ciò si ha presente, diviene quindi chiaro come recenti provvedimenti dell'autorità giudiziaria[20] - che hanno ritenuto inidonea la struttura Gladio ad integrare la fattispecie astratta di un delitto contro la personalità dello Stato - non possono essere utilizzati per porre in discussione la validità del giudizio negativo espresso dalla Commissione.

Si è già detto della diversità di ambiti che caratterizzano da un lato l'inchiesta parlamentare di cui la Commissione è investita, dall'altro l'inchiesta giudiziaria. Ed è appena il caso di ricordare che compito dell'autorità giudiziaria non è la ricostruzione della verità di un intero periodo storico o di vicende comunque complesse, se non nei limiti in cui tale ricostruzione consente di sottoporre a processo persone individuali per fatti specifici previsti dalla legge come reato.

Orbene le conclusioni cui la magistratura ordinaria è giunta (peraltro soltanto per alcuni profili in via definitiva, perché per altri le relative indagini sono ancora in corso) hanno pure affermato che se

"la struttura di per se stessa così delimitata non integra ipotesi di reato",

in ordine alla stessa sarebbero pure evidenziabili

"responsabilità di carattere politico e disciplinare, se non furono adempiuti pienamente gli obblighi di informazione verso le autorità politiche e se non furono seguite le necessarie procedure per sottoporre al controllo politico le scelte operate dal Servizio"[21].

Si è peraltro avvertito nella medesima sede che da un lato tali

"aspetti non sono di competenza del giudice penale";

dall'altro, e come già accennato, che

"diversamente dovrebbe, argomentarsi se si raggiungesse la prova della originaria finalizzazione della struttura al contrasto di forze politiche legalmente riconosciute".

In ordine a tale ultimo profilo, si è peraltro riconosciuta l'esistenza di

"ampie tracce nella documentazione relativa alla costituzione della struttura e in genere agli accordi dei servizi italiani negli anni quaranta e cinquanta";

 

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peraltro con l'avvertenza che

"di una valutazione in sede penale di questo particolare aspetto è preclusa sotto due differenti profili: da un lato le condotte punibili sarebbero certamente prescritte; dall'altro alla completa cognizione del fatto è stata opposta la inviolabilità di una parte della documentazione Nato[22].

Come è agevole constatare si tratta di una valutazione finale espressa da altro potere dello Stato e nell'adempimento di una diversa funzione.

Essa peraltro, lungi dal delegittimare il giudizio già espresso dalla Commissione, nell'esercizio di una competenza propria, vale invece a legittimarlo ed addirittura ad osservare il carattere equilibrato e persino prudenziale.

Va quindi ribadito che la rete clandestina, in sé considerata, non può considerarsi in via di principio penalmente illecita. La Commissione non ha mai contestato che fosse pienamente legittimo - ed anzi doveroso - da un lato creare una rete di resistenza destinata a divenire operativa nell'eventualità di una occupazione nemica di parte del territorio nazionale, dall'altro circondare la rete stessa da un forte vincolo di segretezza.

Sul piano di un giudizio marcatamente di natura politico-istituzionale, la Commissione ha soltanto ed invece affermato che l'individuazione dei mezzi cui affidare il perseguimento di tali legittimi obiettivi avrebbe dovuto comportare:

-scelte parzialmente diverse nella fase costitutiva;

-scelte marcatamente diverse a mano che venivano attenuandosi le ragioni internazionali ed interne poste a base degli obiettivi individuati;

-scelte addirittura opposte a quelle concretamente seguite dopo il 1972, e segnatamente dopo l'entrata in vigore della riforma del 1977.

Se tutto ciò si ha chiaro, divengono evidenti le ragioni per cui la Commissione condivide e ritiene addirittura naturale il già richiamato esito assolutorio cui ha condotto l'autodenuncia presentata da uno dei responsabili politici, nel tempo, della struttura, e cioè il senatore Cossiga, che ha affermato di essere stato nelle sue diverse e successive qualità (Sottosegretario di Stato, Ministro, Presidente del Consiglio)

 "l'unico referente politico, nonché di essere stato perfettamente informato delle predette qualità della struttura".

 E cioè peraltro non implica che la Commissione ritenga meritevole di revisione il proprio anteriore giudizio, anche per ciò che concerne il profilo relativo alle individuate responsabilità politiche.

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Ed invero la stessa autorità giudiziaria che è pervenuta al condivisibile giudizio assolutorio non ha potuto non rimarcare come il contenuto delle informazioni alle quali l'autodenunciante aveva avuto accesso (secondo quanto dallo stesso dichiarato e secondo quanto risultante da inequivoca documentazione in atti) concerneva soltanto l'esistenza di una struttura segreta finalizzata a contrastare una minaccia esterna nell'ipotesi di un'invasione del nostro paese da parte di forze nemiche ed il fatto che si trattasse di una struttura costituita nell'ambito di accordi tra i servizi segreti. L'esistenza in tali limiti di un'informazione all'autorità governativa è stata ben tenuta presente dalla Commissione. Ciò che ha determinato il negativo giudizio della Commissione è lo scarso contenuto di tale informazione, nonché la circostanza che la stessa avveniva per iniziativa autonoma dei Servizi in forme che il lessico adottato dagli stessi ("indottrinamento") è già idoneo a definire e a qualificare.

Vuol dirsi cioè che fu sempre lasciato all'autonoma iniziativa dei Servizi decidere quando e in quali limiti l'autorità governativa doveva essere informata, là dove un corretto rapporto istituzionale avrebbe dovuto imporre da un lato una conoscenza più piena, dall'altro che l'informazione a chi assumeva responsabilità governative provenisse dai precedenti titolari delle medesime responsabilità.

Ciò che sorprende - e fonda il ribadito giudizio negativo - è l'atteggiamento sostanzialmente passivo dei titolari del potere di governo, che sembrano tutti aver recepito le informazioni per come venivano loro fornite, senza mai manifestare, nell'esercizio della responsabilità di cui erano onerati, la volontà di una più approfondita conoscenza, strumentale all'assunzione di un più elevato livello di responsabilità. E' un atteggiamento generale che ha riguardato tutti i soggetti che nel tempo hanno rivestito gli anzidetti ruoli governativi. E la cui registrazione, fondata ancora una volta su risultanze documentali inequivoche, induce la Commissione a ritenere pienamente condivisibile quanto, in ordine al generale rapporto tra vertice governativo e servizi, è stato di recente affermato dal Comitato parlamentare per i servizi di sicurezza.

Vuol cioè farsi riferimento alla dimostrazione indubbiamente rigorosa di una sostanziale delega, pressoché costante, al vertice dei Servizi (e per ciò che riguarda la vicenda Gladio al vertice del servizio militare) delle responsabilità per la sicurezza da parte dei Presidenti del consiglio dei Ministri succedutisi nel tempo.

L'effetto di tale comportamento sostanzialmente abdicativo ha indubbiamente contribuito negli anni, secondo la valutazione del Comitato che la Commissione condivide,

 

"da un lato a rendere più incerto il controllo politico sul sistema dell'informazione e della sicurezza, dall'altro a mantenere in una zona d'ombra, priva di regole certe e sottratta alla conoscenza del Parlamento, le specifiche decisioni dell'Autorità nazionale per la sicurezza"[23].

 

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Il nodo politico di Gladio è tutto qui; ed esso non può essere sciolto dalla Commissione, nell'ambito del suo specifico potere di inchiesta, se non investigando su una serie di vicende coeve alle diverse fasi evolutive della struttura.

Trattasi di vicende che, come già avvertito, non appartengono o solo parzialmente appartengono alla storia di Gladio, ma valgono tuttavia a illustrare i motivi delle concrete scelte operative dei vertici del servizio, nonché a dare senso e significato al comportamento abdicativo dell'autorità governativa, che è stato innanzi evidenziato.

D'altro canto se in sede giudiziaria un'illiceità penale della rete clandestina in sé considerata è stata motivatamente e fondatamente negata, non sono state affatto escluse possibili distorsioni dalle finalità istituzionali dichiarate della struttura, che ben possono essere andate al di là della sua già evidenziata utilizzazione a fini informativi e che afferiscono, per come ipotizzate, a vicende specifiche anch'esse pienamente rientranti nella competenza della Commissione, che quindi a buon titolo, e pur senza enfatizzarne l'importanza, ritiene che il nodo Gladio possa essere sciolto pienamente solo all'interno di una considerazione complessiva del periodo, in cui la struttura fu costituita e, nei limiti innanzi evidenziati, deve considerarsi essere stata attiva. 

 

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La prima volta che si parla di Gladio pubblicamente

Il 26 febbraio 1991 Giulio Andreotti, all’epoca presidente del Consiglio, prendendo tutti in contropiede – specie l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, nonché i vertici del SISMI - invia alla commissione Stragi una relazione su GLADIO. Un documento con molte lacune, ma il segreto della Repubblica, ormai, è stato violato.

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esiste ancora la P2?

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Da “L’odore dei Soldi” di Travaglio e Veltri :

"Dottor Berlusconi, qual è il segreto del successo?", domanda ieratico l'intervistatore; e l 'intervistato risponde ironico: "Sono d'accordo con lei, è un segreto". E "il segreto" del successo di Berlusconi, nella primavera del 1980, è in buona parte custodito dalla massonica Loggia segreta Propaganda 2 alla quale è segretamente affiliato e della quale èl'imprenditore di punta; "al segreto" del successo dell"'uomo che viene dal nulla" è custodito nei forzieri di alcune finanziarie svizzere. "Segreto" è ancora, nel 1980, il controllo piduista della Rizzoli, casa editrice del periodico "Domenica del Corriere": così come "segreta" è ancora l'affiliazione del direttore della "Domenica del Corriere" Paolo Mosca, alla Loggia di Gelli. D'altronde, la segretezza è il presupposto principe della Loggia P2, e un imperativo assoluto per i suoi affiliati - infatti, in un documento che il Venerabile maestro invia all'affiliato Berlusconi il 26 luglio 1980 e che s'intitola, appunto. "Sintesi delle norme", vi si legge: "Il silenzio è d'oro, massima che assurge a particolare valore se riferita ad un organismo [la Loggia P2, NdA] caratterizzato dalla più assoluta riservatezza... nessuno di essi [gli affiliati alla P2, NdA] dovrà accennare o far comprendere ad altri - anche se dovesse avere la più assoluta certezza della loro appartenenza all'Istituzione - di farne parte egli stesso... Può anche accadergli di sentirsi dire che corrono voci sulla sua appartenenza all'Istituzione: in questo caso dovrà replicare - con la massima disinvoltura e con tutta indifferenza - che egli stesso era a conoscenza di queste dicerie, ma che, proprio perché le apprezzava al loro giusto valore, non si era mai preso il disturbo di smentirle, non soltanto per la loro palese infondatezza, ma, soprattutto, perché erano da considerarsi puri e semplici pettegolezzi impregnati della più crassa assurdità.

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Forza Italia è molto simile al Piano di Rinascita Democratica di Gelli Forza Italia è molto simile al Piano di Rinascita Democratica di Gelli I tratti caratterizzanti del partito-Fininvest si precisano nell'autunno del 1993: "E un progetto studiato alla mia maniera", assicura Berlusconi, "un progetto imprenditoriale nel quale non è stato trascurato nulla: dal generale al particolare". La sua identità politica, sotto il vessillo populista di una modernistica Destra, cela la riproposizione, attualizzata del corruttivo "Piano di rinascita" elaborato dalla Loggia P2 a metà anni Settanta: stessi presupposti, analoghi concetti, medesimo approdo. Fantasiosamente chiamato "Forza Italia", il nuovo "prodotto atipico" targato Fininvest, vent'anni dopo il "Piano" della Loggia segreta, ripropone infatti il disegno di una restaurazione autoritario-efficientista, con l'obiettivo di mantenere il controllo del potere impedendo alla sinistra l'accesso al governo.Così come la Loggia P2, anche il partito berlusconiano non nasce in seguito a istanze socio-politiche, a fermenti sociali: entrambe le "associazioni" vengono costituite per iniziativa di uomini di potere con l'obiettivo di farne uno strumento di potere; esse, infatti, prima ancora di annoverare iscritti-affiliati, già dispongono di leader e "programma" politico, rispetto ai quali ricercano "qualificate" adesioni e alla maniera delle sette cooptano adepti. Come la Loggia P2 era nata per tutelare ingenti interessi affaristico-massonici attraverso il diretto controllo del potere politico, così "Forza Italia" nasce allo scopo di preservare il potere politico-affaristico del gruppo Fininvest e delle "entità" che lo hanno generato (potere non più tutelato dopo il crollo del regime Dc-Psi).Il "Piano di rinascita" elaborato dalla P2 nasceva all'insegna del più virulento anticomunismo, benché quello di Berlinguer fosse ormai di fatto un partito socialdemocratico e filo-occidentale, nel timore che il Pci accedesse al governo. Nei fatti, come il Venerabile maestro così Berlusconi teme che il successo elettorale dei progressisti possa contrastare gli interessi economici che la Fininvest (direttamente e indirettamente, in forma esplicita e in forma occulta) rappresenta. Il "Piano" gelliano stabiliva la necessità di "definire una strategia che punti sulla restaurazione di valori antichi come i concetti di Famiglia e Nazione, e sulla libertà di scelta economica", e il partito di Berlusconi: "Costituzione dì un polo nel quale si possa riconoscere l'Italia onesta che crede nella libera impresa... Preservare e favorire il ruolo della famiglia... Essere attenti alle esigenze del libero mercato... Un'italia unita e indivisibile".Lo stesso Venerabile maestro, del resto non manca di fornire il suo autorevole avallo pubblico al "progetto politico" concepito dal tycoon piduista: "Molti concordano sul fatto che diversi contenuti del "Piano di rinascita" sono stati attuati.. Posso citare il potenziamento delle televisioni private", gongola Gelli sibillino, e aggiunge: "Occorrono politici nuovi che abbiano dimostrato creatività, serietà, professionalità e onestà, per formare i quadri della Repubblica presidenziale, per guidare il Paese all'insegna di meritocrazia e gerarchia. Uno potrebbe essere

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Berlusconi: è quasi un classico. Lui si è fatto da sé. Il suo è un ottimo programma, un tessuto sul quale si può costruire un buon partito. Berlusconi è tra coloro che hanno sempre dimostrato di possedere capacità creative. Mi di-cono che si è già messo in movimento per aggregare altre forze intorno a sé: sono sicuro che riuscirà nel suo intento, come del resto gli è accaduto sempre..." Ma l'ambiguo "progetto politico" targato Fininvest suscita diffuse inquietudini: il pericolo di un possibile regime videocratico è reale. "Berlusconi è davvero un politico? E dove ci porterebbe la sua politica? E il segretario del Pri Giorgio La Malfa: "Berlusconi è poco credibile perché guarda soprattutto ai suoi interessi facendo credere che si debba scegliere tra Patto Atlantico e Patto di Varsavia. Ma il Patto di Varsavia non c’è più".

Il 27 dicembre 1993 la Procura di Roma in base alla legge Antimafia, dispone il sequestro di 16 miliardi in titoli dì Stato, unitamente a ingenti somme di denaro, di proprietà del Venerabile maestro Licio Gelli. "Grande alleanza mafia-massoneria", "L'ex capo della P2 torna al centro di un intreccio tra massoneria, mafia e politica" titolano i quotidiani l'indomani. Il presidente della Commissione parlamentare antimafia Luciano Violante dichiara:"La P2 è stata sciolta da una legge, ma può essere sopravvissuto il suo sistema di relazioni politiche, finanziarie e criminali [...].Quanto al dottor Berlusconi, che alla Loggia di Gelli era affiliato e che adesso sostiene di volersi impegnare direttamente di volere scendere proprio nell'agone della politica: il suo "interventismo" attuale è sintomo della reazione di una parte del vecchio regime che, avendo accumulato ricchezza e potere negli anni Ottanta, pretende di continuare a condizionare la vita politica anche negli anni Novanta"."Protetto" dai limiti posti dalla estradizione concessa dalle autorità elvetiche, Licio Gelli risulta coinvolto in numerose inchieste della magistratura: "Oltre a quelle condotte dal sostituto procuratore di Roma Elisabetta Cesqui che hanno portato al sequestro dei 16 miliardi, c'è quella sulla morte del banchiere Roberto Calvi, e c'è quella sulla bancarotta della Cgf che ha già portato nel febbraio scorso a numerosi arresti. Sia il ministro dell'Interno che il presidente dell'Antimafia Violante, assieme a giudici e investigatori che lavorano sugli attentati del "terrorismo mafioso", hanno più volte ipotizzato la presenza della P2, a fianco della mafia e dell'eversione nera. Un legame processualmente provato nella sentenza sulla strage del treno 904. L'inchiesta di Arezzo su movimenti di una decina di miliardi compiuti tra la fine del '91 e i primi mesi del '92, che ha individuato conti correnti di Gelli per 25 milioni di dollari in Svizzera e nel Liechtenstein, non risulta avere finora portato ad alcun provvedimento. Oltre a questa, Gelli è implicato in un'inchiesta a Napoli sugli intrecci tra camorra e politica, che ha portato nel marzo scorso a 116 ordini di custodia (fu perquisita allora Villa Wanda e furono accertati i legami tra l'ex Venerabile e alcuni degli

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arrestati). Gelli, inoltre, è tra i 125 rinviati a giudizio dal procuratore di Palmi, Cordova, nell'inchiesta su mafia e massoneria".Da anni, il giudice Agostino Cordova indaga sul criminoso intreccio fra massoneria-mafia-politica, una connection che, specie nel Sud d'italia, si è ormai configurata come un Superpotere a delinquere. "Secondo Leonardo Messina" scrive Cordova, ""Cosa Nostra" non è sola, ma è aiutata dalla massoneria, che sarebbe "un punto d'incontro per tutti". Molti "uomini d'onore" appartengono alla massoneria (in rappresentanza delle varie "famiglie") perché è nella massoneria che si possono avere i contatti totali con gli imprenditori, con le istituzioni, con gli uomini che amministrano il potere diverso da quello punitivo di "Cosa Nostra". Uomini politici e mafiosi in Sicilia hanno in comune due cose: gli appalti e la massoneria.

La massoneria è il punto d'incontro per tutti: anche alcuni uomini della sua "famiglia" erano massoni. Marino Mannoia riferì che. durante il finto sequestro, Sindona [affiliato alla Loggia P2, NdA] avrebbe appoggiato con convinzione la decisione di affiliare esponenti mafiosi alla massoneria. Non v'è dubbio che anche i servizi deviati rientrano nel novero delle società segrete. E sono di poco tempo fa le dichiarazioni di Leonardo Messina sui rapporti tra mafia, massoneria e servizi deviati. Per il resto i fatti recenti ed attuali parlano da soli".Benché sciolta da un'apposita legge nel 1982, la Loggia piduista guidata dal Venerabile maestro ha continuato a tessere la sua losca tela affaristica, forte degli ingentissimi "tesori" finanziari di cui essa dispone e che sono disseminati nei forzieri delle banche di mezzo mondo - Svizzera, Lussemburgo, Sud America, e nei vari "paradisi fiscali". "La P2 non è mai completamente morta", conferma il giudice Stefano Racheli: "Ora se ne parla perché sono venuti meno gli interessi di quanti hanno coperto indiscriminatamente la massoneria, non ultimo l'ex presidente Cossiga".Il 29 dicembre 1993, sotto il titolo Mafia e massonena – Gelli, caccia al "tesoro" tra i segreti delle banche, il quotidiano "la Repubblica" informa: "Un dettagliato rapporto della Guardia di Finanza, frutto di mesi di indagini, raggruppa centinaia di operazioni finanziarie, riconducibili all'ex capo della P2, Licio Gelli. Il documento fa parte della nuova inchiesta giudiziaria affidata al Pm Elisabetta Cesqui. Gli inquirenti hanno scoperto il movimento di ingenti somme di denaro ma è rimasto insoluto l'interrogativo più importante. Quale provenienza hanno quelle decine di miliardi che Gelli ha depositato nelle banche? E un interrogativo inquietante perché, allo stato attuale delle indagini, non viene escluso che si tratti di denaro sporco. C'è da ricordare che Gelli è stato accusato dalla magistratura di Palmi dì associazione a delinquere di stampo mafioso. Inoltre, alcuni pentiti delle cosche hanno fatto il suo nome. Finora Gelli, in via informale, ha detto che quelle somme provengono da "prestiti di amici", mentre il

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suo legale, Raffaello Giorgetti, parla di proventi derivanti dalla vendita di immobili posseduti all'estero".Il 17 gennaio 1994, nell'ambito del processo alla Loggia P2 in Corte d'assise a Roma, vengono interrogati Bettino Craxi e il suo ex delfino Claudio Martelli. Entrambi ammettono i loro contatti con il Venerabile maestro. Craxi dichiara: "Lo conobbi all'inizio del 1980.. Allora c'era un clima di collaborazione fra massoneria e mondo politico". Martelli dichiara: "Lo incontrai per la prima volta nella primavera del 1980... Lui mi spiegò che la P2 era la crema della massoneria, e che la massoneria è cuore, cervello e portafogli...". Intanto, il sostituto procuratore Gherardo Colombo, del pool "Mani pulite", afferma che il potere della Loggia P2 non è mai venuto meno, e si è protratto nel tempo al punto che ancora nel 1993 se ne avverte l'impalpabile presenza.

Lo Studio Pinto del commercialista massone Patrizio Pinto, è il luogo dove i certificati rubati al Banco di Santo Spirito sono approdati dopo la rapina. Alcuni degli autori della rapina, successivamente identificati e arrestati, fanno parte della Banda della Magliana (l'associazione criminale romana di cui si sono spesso avvalsi servizi segreti "deviati", Cosa Nostra e massoni piduisti). Lo Studio Pinto è "la centrale" da cui si dipana "una ragnatela finanziaria votata all'illecito", e tra i suoi assidui frequentatori vi èil piduista Eugenio Carbone, ex direttore generale del ministero dell'Industria, anche lui imputato per la vicenda dei titoli rubati. Nello studio romano di Carbone, la magistratura sequestra fra l'altro copia di due lettere da lui indirizzate "Al caro dottor Berlusconi" - una datata 29 luglio 1992, l'altra 27 novembre 1992. "Licio e Egidio si erano offerti a farle pervenire una mia lettera-proposta al fine di rendere più probabile che lei, pur col suo enorme e assorbente lavoro, la leggesse" [scrive Carbone a Silvio Berlusconi]. Il Licio e l'Egidio citati sono il capo della P2, e Egidio Carenini (ex parlamentare Dc, anch'egli affiliato alla P2)". Nella prima delle due lettere, Carbone chiede un aiuto economico al potente "fratello": "Non avrei mai immaginato di doverla disturbare per questo, ma è solo a un vero amico che è possibile farlo, pensando che egli sia l'unico che possa fronteggiare la cosa, senza ricorso a banche ma ad altri enti finanziari"; in calce alla copia della lettera, Carbone ha aggiunto l'annotazione "Inviata a Licio ed Egidio".

"Nella seconda lettera, Carbone sembra preoccupato innanzitutto di farsi riconoscere dal proprietario della Fininvest, e a questo scopo fa riferimento a Gelli e Carenini. Quindi passa a esporre un progetto [editoriale]"; dopodiché scrive: "Mi interessa poi che la Lupo Moda [un azienda tessile pugliese, NdA] possa essere esaminata per una entratura alla Standa", e dopo avere rinnovato la richiesta di un aiuto economico attraverso "una operazione bancaria tramite finanziaria", Carbone conclude: "La mia situazione, Licio forse le ha detto, dipende sempre dalla controversia non ancora chiusa, dopo 10 anni, per la... fratellanza [riferimento allo scandalo P2 della primavera 1981, NdA]": anche in calce alla copia di questa seconda lettera vi è l'indicazione "Postacelere a Licio Gelli ed Egidio Carenini".

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"Interrogato sul contenuto delle due lettere il 4 novembre 1992, Carbone ha dichiarato: "Conosco Berlusconi da circa 30 anni, e cioè fin da prima di quando lo conobbe Gelli. Mi sono interessato presso Berlusconi per un mio amico Lupo di cui non ricordo ilnome... Gelli recentemente, circa due mesi fa, si rivolse a Berlusconi per sollecitarlo a prendere in esame la mia richiesta di aiuto alla situazione finanziaria in cui mi sono venuto a trovare" [...]. Se le due lettere sono state effettivamente spedite - come risulta dalla deposizione di Carbone ai magistrati - esse lasciano intuire l'esistenza di rapporti molto recenti tra il proprietario del più potente gruppo editoriale privato italiano e il capo della P2; il quale, dal canto suo, non è mai uscito di scena, come dimostrano le inchieste in corso in varie città italiane".

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la P2 ha vintola P2 ha vinto

Silvio Berlusconi numero di tessera P2: 1816Silvio Berlusconi numero di tessera P2: 1816

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Inchiesta di

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