diario ufficiale escursioni

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Resoconto Generale Escursioni Ottobre 6, 2001 - sabato Monte Sant’Angelo a Tre Pizzi, m. 1444 (M. Lattari). Rosario, Pierino, Paoletto. [dia] Partenza da S. Maria del Castello (ore 8.35), utilizzando l’Alta Via dei Lattari 00. Primo tratto con soli 100 metri di dislivello fino alla Caserma Forestale. Alle spalle della suddetta, a differenza di quanto riportato sulla carta, si separano già i sentieri: 00 (per la Conocchia), 02 (per Agerola) e 29 (per Positano). Comincia quindi la lunga salita che porta, usciti dal bosco di querce e cipressi, ad un balcone belvedere (leggermente fuori sentiero). Quindi si continua l’irta salita su una spalla che nasconde alla vista il vallone che apre alla Croce della Conocchia. Dopo un incrocio dubbio (i segni CAI puntavano a sinistra, il mio orientamento - risultato poi errato - consigliava a destra: trattasi dell’incrocio posto a q. 1050, ovviamente bisogna seguire i segni…) ed un acuto aggancio a gomito sulla cresta, si giunge finalmente al vallone di cui sopra e, soprattutto, al tratto più impegnativo dell’escursione. [n.b. Ho avuto l’impressione che da questo punto in poi il sentiero sia diverso da come rappresentato sulla carta: si imbocca la cresta (che più in basso prende il nome di Riva Erbatenera) e si punta decisamente ad est, non verso Croce della Conocchia, quanto piuttosto verso la cima segnata sulla carta q. 1314, per girare infine - raggiunta la vetta - verso nord e riallacciarsi allo 00 tracciato sulla carta. Mah!] Guadagnata la quota, resta la parte finale e poco difficoltosa del sentiero: incrociamo il bivio per il sentiero 50, che porta alla Chiesa di S. Michele e (ci è stato poi detto) anche ad una fonte perenne (15 min. ca.); ci affacciamo sulla testata di un valloncello che fa’ da valico tra il versante di Positano e quello di Pimonte (e viene battezzato Passo di Gustav Malher per la somiglianza di una roccia con il profilo del musicista, a detta di Pierino…); e affrontiamo infine l’ultima, breve ma erta, salita per guadagnare il Molare dopo 3.30 h dalla partenza. Incontri interessanti durante l’ascesa: gechi, cornacchie, un rapace con una macchia bianca sotto le ali, un serpente bruno di circa 70 cm. Per il ritorno impieghiamo solo 1.55 h. 1

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Page 1: Diario ufficiale escursioni

Resoconto Generale Escursioni

Ottobre 6, 2001 - sabato Monte Sant’Angelo a Tre Pizzi, m. 1444 (M. Lattari). Rosario, Pierino, Paoletto. [dia] Partenza da S. Maria del Castello (ore 8.35), utilizzando l’Alta Via dei Lattari 00. Primo

tratto con soli 100 metri di dislivello fino alla Caserma Forestale. Alle spalle della suddetta, a differenza di quanto riportato sulla carta, si separano già i sentieri: 00 (per la Conocchia), 02 (per Agerola) e 29 (per Positano).Comincia quindi la lunga salita che porta, usciti dal bosco di querce e cipressi, ad un balcone belvedere (leggermente fuori sentiero). Quindi si continua l’irta salita su una spalla che nasconde alla vista il vallone che apre alla Croce della Conocchia. Dopo un incrocio dubbio (i segni CAI puntavano a sinistra, il mio orientamento - risultato poi errato - consigliava a destra: trattasi dell’incrocio posto a q. 1050, ovviamente bisogna seguire i segni…) ed un acuto aggancio a gomito sulla cresta, si giunge finalmente al vallone di cui sopra e, soprattutto, al tratto più impegnativo dell’escursione. [n.b. Ho avuto l’impressione che da questo punto in poi il sentiero sia diverso da come rappresentato sulla carta: si imbocca la cresta (che più in basso prende il nome di Riva Erbatenera) e si punta decisamente ad est, non verso Croce della Conocchia, quanto piuttosto verso la cima segnata sulla carta q. 1314, per girare infine - raggiunta la vetta - verso nord e riallacciarsi allo 00 tracciato sulla carta. Mah!] Guadagnata la quota, resta la parte finale e poco difficoltosa del sentiero: incrociamo il bivio per il sentiero 50, che porta alla Chiesa di S. Michele e (ci è stato poi detto) anche ad una fonte perenne (15 min. ca.); ci affacciamo sulla testata di un valloncello che fa’ da valico tra il versante di Positano e quello di Pimonte (e viene battezzato Passo di Gustav Malher per la somiglianza di una roccia con il profilo del musicista, a detta di Pierino…); e affrontiamo infine l’ultima, breve ma erta, salita per guadagnare il Molare dopo 3.30 h dalla partenza.Incontri interessanti durante l’ascesa: gechi, cornacchie, un rapace con una macchia bianca sotto le ali, un serpente bruno di circa 70 cm. Per il ritorno impieghiamo solo 1.55 h.

Ottobre 8-9, 2001 – lun.-mar. Trentinara (Cilento). Prof. Barattolo, Antonio, Enrica del Vecchio. Per le note consultare il file “Tesi antoniana a Trentinara”.

Ottobre 13-14, 2001 – sab.-dom. Cappio con Cima delle Murelle, m. 2596 - Monte Acquaviva, m. 2737 – Monte

Focalone, m. 2676 (Massiccio della Majella). Rosario, Antonio & Francesca. [dia] Ottima due-giorni nel Parco Nazionale della Majella. Il sabato pomeriggio è impiegato

per lo spostamento in auto, la serata per una buona cena nel Rifugio Pomilio (q. 1892) e per osservare lo stellato cielo abruzzese, la notte – infine – per un tormentato sonno.

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Domenica: partenza dal termine della provinciale della Majelletta alle ore 8.10. Dopo un’ora di cammino facile e sempre in splendida vista sui Valloni delle Tre Grotte e, dopo, di Selvaromana (ma non passando per la Blockhaus, né per M. Cavallo, né per la Tavola dei Briganti) giungiamo al Fontanino di Grotta Celano con bell’acqua fresca ma stillicidiante e viriamo a sinistra a mezza costa. Attraversando un’intricata mugheta saliamo lentamente di quota e, mediate breve passaggio attrezzato, cambiamo versante lasciando i Pinus mugo ma guadagnando una magnifica visuale sulle Valle delle Murelle, che ci promette grand’impegno...Infatti arrivo senza fiato al sovrastante Anfiteatro delle Murelle, surreale. Continuando a salire, puntando verso est alla Cima delle Murelle, una meravigliosa sorpresa ci fa’ piombare nel mistero che fu di questi luoghi: su una roccia, piccola e piatta, ritroviamo alcune incisioni tra cui si distinuguono poche parole, che sembrano nomi (Pasqua), dei numeri e in tre croci in basso. Si tratta di un’incisione del periodo dei briganti! Ma solo una vista dall’alto, poco dopo, rivelerà la bellezza dell’Anfiteatro ad ogni livello: si legge chiaramente il circolo glaciale e gli accumuli morenici su cui si sono impiantati estesi ghiaioni, mentre alcune pietre sul fondale - che solo adesso appaiono allineate in circolo - denunciano la presenza (in età passate) di numerosi stazzi utilizzati, probabilmente, durante le transumanze. Risalendo inoltre scopriamo Rudiste di invidiabile bellezza. Agganciamo una delle creste (con direzione NO-SE) e cominciamo il tratto più impegnativo che ci porta in vetta alle 10.55 (m. 2596, Cima delle Murelle). Ottimo panorama a nord, segue disegno (vedi fig. 1). Alle undici e mezza lasciamo la nostra prima conquista perdendo quota in direzione SO e continuando a costeggiare il bell’Anfiteatro. Raggiungo, sempre con grande affanno, il valichetto tra l’Acquaviva e il Focalone, da cui viene anche avvistato il Matese, e puntiamo poi in direzione della seconda cima della Majella. Ci fanno compagnia cuscini di Sylene acaulis. Alle 12.40 siamo sul M. Acquaviva (m. 2737) per un amplissimo sguardo a 360° e per un meritatissimo panino.Dopo lunga pausa (alle 14.00) lasciamo la vetta e segniamo il passo anche sul M. Focalone (m. 2676) che, osservato dal nostro punto di provenienza, è piuttosto un altopiano. Scendiamo ancora, stavolta in direzione nord, e possiamo osservare a sinistra la parte alta del Vallone dell’Orfento, più grande ma meno orrido di quelli incontrati in mattinata, che ha piccoli nevai in testa. Non seguiamo la cresta in maniera diretta ma deviamo ad est verso il Bivacco Fusco (m. 2455 – ore 15.05) per un’ulteriore lunga sosta (oltre 50 min.) durante la quale lasciamo una firma ed assaggiamo del the preparato al momento da simpatici escursionisti di Francavilla al Mare. Alle 16.25 chiudiamo il cappio doppiando il Fontanino e alle 17.20 siamo all’auto.Degno di nota è un punto (battezzato per l’occasione Imbocco della Nummulite) in cui è possibile osservare Nummuliti con oltre 5 cm di diametro. É lungo il primo tratto del percorso dopo un valico (Est-Ovest) che ospita un tombino e immediatamente dopo un segnale in legno per i sentieri che porta tre frecce.Incontri interessanti: gracchi a volontà (probabilmente anche un gracchio corallino) ma soprattutto la bellezza nuova e particolare del Pinus mugo.Siamo arrivati a casa solo alle 23.05, tra documenti smarriti, carabinieri e il traffico a

Caserta.

Novembre 4, 2001 – dom. Passeggiata a S. Liberatore, m. 466. -/- La bellezza e la pulizia di cielo del sabato e della domenica mi spingono a fare quattro

passi, anche se brevi ed in solitaria, dopo pranzo. Dalla “Valle di San Liberatore” alla cima (35 min.) osservando rocce, arbusti e bei panorami. Attendo il tramonto affacciato

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SirenteVelino

Corno Grande

Montagne dei Fiori

SibillaCentenario

LagaFig. 1

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sulla valle metelliana, giocando con la bruna penombra e i casali. Poi vado via: ne valeva la pena!

Novembre 20, 2001 – mar. Roccadaspide Antonio, Enrica. Per le note consultare il file “Tesi antoniana a Trentinara”.

Novembre 21-22, 2001 – mer.-gio. Trentinara Antonio, Emilio. Per le note consultare il file “Tesi antoniana a Trentinara”.

Novembre 25, 2001 – dom. Passeggiata su Le Creste (anticima nord), m. 644 (Colline Salernitane) -/- In tarda mattinata ed in solitaria decido per una brevissima passeggiata. Da Varco della

Foce (Cava-Pellezzano) mi sposto sulla crestina a prevalente direzione S-E per raggiungere in 20 min. la prima anticima nord de Le Creste (644 m.) passando sotto un boschetto misto di giovani castagni e ontani. Dal toppo osservo curioso il panorama poco familiare che si apre ad ovest e riconosco (da nord a sud) M. San Michele e gli adiacenti Mai, l’imponente Monna, il vicino gruppo del Monte Stella e, in un profilo geologicamente utilissimo, il M. Tobenna.

Dicembre 2, 2001 – dom. Anello con Monte La Nuda, m. 1709 (Massiccio degli Alburni) Rosario e Francesco, Antonio & Francesca e i caini: Gianni De Fazio (capocordata), Mino,

Antonio, Harling. [video] Prima escursione effettuata in pieno inverno, con le bellezze e le difficoltà

caratteristiche della stagione.Partiamo alle ore 9.00 da Postiglione (q. 650) sotto un bosco a prevalenza di faggi giovani e querce, procedendo a zig-zag e salendo di quota. Dopo 45 minuti passiamo accanto alla Grotta di S. Elia (q. 867) e, poco dopo, ci raccordiamo alla base delle alte pareti del Colle Medoro. Lungo questa parte del tracciato incontriamo spesso stalattiti di ghiaccio e, ciò che desta più meraviglia, numerosi pinnacoli e guglie, strapiombanti su di noi. Alle ore 11.50 arriviamo al Valico dell’Arco (q. 1482) guadagnando la visuale finora nascosta e riuscendo a leggere nella cresta che continua a ovest e poi a sud la monoclinale del Massiccio. Approfittando della sosta mi reco, con Antonio, alla vicinissima cima del Guardiano della Nuda (come battezzata dal capocordata).Continuiamo per cresta con direzione prevalente est; a luoghi ci accompagnano il vento e bianchi lembi di nubi, che vediamo crearsi e disfarsi con estrema rapidità. Pochi metri sotto la vetta un valichetto accentuato, fungendo da corridoio per una corrente che batte sui nostri corpi sempre più forte, ci dona per la prima volta il magico aspetto degli alberi con la galaverna, mentre il vento strappa, a raffiche, cristalli di ghiaccio dai rami. Sono le 12.40 quando raggiungiamo la cima di Monte La Nuda (m. 1709), il termometro segna –2. Per consumare il pasto cerchiamo un riparo dall’implacabile vento gelido e dal tumulto delle candide nubi che, sempre più spesso, permettono al sole di riscaldarci.Dopo una sosta di oltre un’ora continuiamo l’anello spostandoci prima lungo la cresta principale e poi, dopo alcuni imbocchi ghiacciati - e quindi scartati - che ci hanno costretto a proseguire sulla principale più del voluto, lungo una crestina secondaria [ciò non mi è dato di sapere con precisione poiché eravamo tutti privi di carta topografica mentre il De Fazio (unico conoscitore della zona) non aveva fissato in precedenza un itinerario né illustrava il percorso, così come avrei preferito, in modo da potermi orientare]. Abbiamo, però, avuto in tal modo la possibilità di effettuare una serie di saliscendi che hanno offerto punti di vista ampi o raccolti, ma sempre estremamente

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suggestivi: panorami mozzafiato e ventosi sulle rupi verso nordest, tratti silenziosi sotto mature faggete dal suolo innevato, e doline - veri piccoli campi in quota - con una bellissima cornice di faggi ghiacciati dalla galaverna. L’ultima cima raggiunta (quindi la più orientale) prima del dietrofront ci permette di spaziare a 360° sulle restanti vette degli Alburni, sul percorso coperto, sulla costa tirrenica, sulla piana e la sottostante valle del Sele.Comincia così il lungo ritorno dapprima ancora su cresta, poi giù lungo una spalla del Monte Palermo (dalla quale abbiamo ammirato un poetico tramonto) e infine su comoda mulattiera che si inoltra lentamente nel bosco così come il meriggio si inoltrava nella sera e questa nella notte, tanto da farci accendere le torce. Abbiamo così concluso l’escursione praticamente in notturna alle ore 17.50, dopo un dislivello complessivo di circa 1250 metri.

Dicembre 16, 2001 dom. Pendici del Monte Caruso (Parco Naturale Diecimare) – vetta mancata. Rosario. [dia] Il freddo intenso e la neve di questi giorni, effimera ma continua, mi avevano convinto

nel tentare di ripetere un’escursione che fosse squisitamente invernale. Il tempo minaccioso ci ha prima trattenuti dall’andare nei Picentini, poi convinti a non sprecare, almeno, la mattinata. E siamo così andati al Parco di Diecimare.Dal Centro Visite del Parco (q. 425 ca. – da controllare) imbocchiamo il sentiero principale (ore 11.30), quindi il sentiero Natura e poi il sentiero del Falco. Dopo 20 min. di cammino usciamo dal bosco (pini e cipressi rimpiantati) e poco dopo lasciamo la mulattiera segnata dal Parco, che probabilmente porta solo al varco con l’adiacente Forcella della Cava, e giriamo a sinistra verso Monte Caruso. La neve diventa più abbondante, in aria ed a terra.La cima - ormai completamente avvolta - ci sfugge alla vista, il vento cresce ad ogni minuto, il sentiero intrapreso non ha più neppure i segni rossi del CAI, la traccia diventa labile e l’ora tarda. A malincuore decidiamo di fare ritorno (ore 12.50) consapevoli che manca poco (ma non riusciamo a capire quanto poco) dalla vetta. In discesa il tempo peggiora: le raffiche di vento scagliano i piccoli fiocchi di neve sul volto e negli occhi e a volte ci fanno fermare. Quando siamo giunti di nuovo al Centro Visite (ore 13.30) scopriamo che anche lì la neve, assente prima, aveva cominciato ad accumularsi a terra...

Dicembre 28, 2001 ven. Trentinara Antonio Per le note consultare il file “Pro-tesi a Trentinara”.

Dicembre 30, 2001 dom. Anello sui Monti del Demanio (M. Lattari) Rosario & Francesco, Antonio, Pierino & Paoletto [dia] Anello concepito per approfondire la conoscenza dei sentieri che interessano la cresta

tra Monte Finestra e l’Avvocata. È risultato molto più avventuroso del previsto!Nonostante il cielo completamente coperto, le previsioni che portavano pioggia e i dissensi familiari, ci rechiamo (ore 9.00) alla base del progettato itinerario (Corpo di Cava, q. 450 ca.): l’intenzione è quella di giungere sulla vetta sud del Finestra utilizzando il sentiero n. 6, quindi di tornare indietro con l’Alta Via e discendere con il n. 4. Imbocchiamo il sentiero n. 6 ma dopo pochi tornanti un casolare con recinti di maiali e cinghiali ci fa tornare sui nostri passi. Insicuri che la strada abbandonata fosse stata quella giusta, abbiamo seguito un chiaro sentiero con segni rossi che parte dal sottostante casone. Ben presto l’orientamento e lo sviluppo del percorso mi suggeriscono che siamo ridiscesi, in realtà, sul n. 4; e la conferma arriva poco dopo.Il sentiero è trascuratissimo: a tratti si perde tra le ginestre e gli arbusti mentre segni rossi nuovi sono pochi (più frequenti sono invece vecchi segni scoloriti); a questo si aggiunga il fatto che, essendoci ormai inoltrati nelle grigie e fitte nubi, la visibilità è

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scesa sotto i 25 metri e il tracciato è costantemente umido, quindi a rischio di pericolosi scivoloni... Le brutte condizioni di viaggio e il continuo smarrimento del sentiero spingono molti a ritenere più sicura l’Alta Via verso l’Avvocata piuttosto che verso M. Finestra; soprattutto ritenevo importante il fatto che con questa modifica al programma saremmo stati, sul tardi, su sentieri molto familiari e – soprattutto – non saremmo stati costretti a utilizzare per la discesa sentieri potenzialmente di uguale difficoltà, quali il 6 o il 4 all’inverso.Giungiamo in cresta laddove il n. 4 si aggancia sullo 00, e purtroppo siamo invece convinti di aver appena raggiunto la spalla Chianiello: quindi giriamo a destra, come da carta. Il sentiero letteralmente scompare... Controllata la bussola, mi accorgo che la direzione generale assunta è nord! Siamo in direzione M. Finestra! Bisogna tornare indietro! Il vento è più forte, i dubbi d’orientamento sono moltissimi, la bussola perde simbolicamente il vetrino di protezione ed io faccio un bel salto con scivolata in un rudere. Torniamo sui nostri passi e, fortunatamente, i “conti” tornano: ci rendiamo conto della nostra posizione, riconosciamo il sentiero 00 e decidiamo, infine, di attuare la predetta variante caldeggiata soprattutto dal sottoscritto capocordata, da Antonio e da Francesco.La tranquillità, in breve, torna nella truppa e in circa un’ora (anche con interessanti passaggi di discreta difficoltà) percorriamo la cresta per giungere all’incrocio triplo dell’Alta Via (Avvocata – Demanio – Badia). Sono le 12.10. Il pasto riscalda ancora di più il morale e così, dopo tre quarti d’ora, prendiamo la via del ritorno verso Cappella Vecchia. Alle 15.20 siamo alla Badia e dopo 35 minuti ritorniamo alle auto, un po’ lontane...

Gennaio 5, 2002 sab. Monti Mai, m.1607 (Monti Picentini) – vetta mancata. Rosario, Pierino & Paoletto [video] Escursione bella e divertente, anche se incompleta.

Da Capo Calvanico bisogna seguire le indicazioni per il Santuario di San Michele, continuando su strada asfaltata.Dopo pochi km, alla comparsa del segnale 16A, lasciamo l’auto (ore 8.55; in realtà sulla carta il sentiero coincide già con il precedente tratto asfaltato). Il forte vento ci accoglie nel vallone dell’Acqua Brecciarella. La mulattiera è comoda e ben segnata.Aggirato sulla sinistra un grosso spuntone roccioso (sulla cima del quale si apre un discreto panorama sul percorso coperto e su quello da coprire) assumiamo prevalente direzione est mantenendoci sulla destra orografica del bel Vallone del Faggeto: le chiazze di neve e le stalattiti di ghiaccio aumentano, e ben presto ci ritroviamo a camminare su oltre 1 metro di neve (!!!). A tratti incontriamo difficoltà d’orientamento solo perché la copertura nevosa cela il sentiero altrimenti evidentissimo. Ci sono tuttavia anche dei segni rossi che indicano tracciati non presenti sulla carta (uno di questi inaspettati incroci è, probabilmente, quello segnato a q. 1125 che vede a destra il 16A e a sinistra un sentiero che mena più direttamente a Tuppo dell’Uovo). Alle 10.35 ci concediamo una piccola pausa-cioccolatosa (15 min.) a quota 1260, in un zona di incrocio di sentieri (anch’essa apparentemente del tutto assente sulla carta dei Monti Picentini): ci troviamo in zona Scarfatella. Infatti poco dopo comincia l’ascesa che risulta un po’ più impegnativa, e quindi più lunga, del dovuto a causa dell’abbondante neve. In compenso il bosco innevato è bellissimo...Alle ore 11.35 raggiungiamo la cresta ed un vento, gelido ma atteso. Procediamo verso SSE, a volte spediti a volte lentamente dal momento che la cresta è spesso affilata e la neve spesso ghiacciata; la combinazione impone indiscutibilmente un’estrema cautela: uno scivolone lassù può risultare fatale. Con difficoltà sempre maggiore ci spingiamo fino a poco meno di 100 metri di dislivello dalla vetta, ma andare avanti è cosa proibitiva... Quindi (ore 12.35) decidiamo per il dietrofront e, appena trovato un luogo riparato ma con “vista”, facciamo colazione.La discesa è rapidissima: alle 13.50 siamo già alla Spalluccia del Cioccolato e alle 15.15 vicini alle auto.

Gennaio 19, 2002 sab. Monte Finestra (cima sud) – vetta mancata.

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Rosario, Pierino & Paoletto. La maledizione della “Finestra da Sud” continua! Dopo il fallito tentativo di un mese fa,

ritorniamo sulla cresta (a noi sì cara...) Avvocata-Finestra convinti che da lì sarà facile raggiungere Monte Finestra. Non avevamo fatto i conti con l’Alta Via...Partiamo alle ore 8.40 dalla Badia di Cava, utilizzando il neo-trovato sentiero 2, e continuiamo piuttosto lentamente poiché il sentiero non è d’immediata individuazione né curato. Alla fine infatti lo perdiamo (complice anche l’abbondante neve e le imprecisioni della carta – di cui dirò più tardi...) e siamo costretti a raggiungere l’ormai vicina cresta in direttissima, tra arbusti e tronchi abbattuti (!?) di giovani faggi. Sbuchiamo (11.10) nella parte alta dell’Aria del Grano, tra i montarozzi segnati 933 m. e 932 m.: il panorama è bello, ma molto più bello ed inatteso è l’incontro con sei cavalli pascolanti sulla cresta. La loro presenza rende più dolce l’ambiente e meno amara un’escursione che sarà senza cima... Per l’occasione il suddetto valico (quote 932-933) viene battezzato Località Cavalli (n.b. probabilmente corrisponde al valico tra la fronte e il naso del famoso Profilo di Dante). Ci volgiamo verso nord e in 40 minuti ritroviamo il Casotto che si erge là dove dovrebbe arrivare il sentiero n. 2 e, adiacente, il valico dell’incrocio con il 4, ovvero il Rudere della Caduta (secondo nuovo toponimo della giornata!).E qui, come in un dejavù (ma senza la nebbia...), troviamo le stesse difficoltà del 30 dicembre: i segni ci sono, ma il sentiero praticamente non esiste! Continuiamo insistenti (soprattutto Rosario) verso nord ma la fatica è inconciliabile con l’orario (sono le 13.00) e le volontà: siamo quindi costretti ad un dietrofront che ci indispone. All’una e mezza siamo di nuovo ai Cavalli, per mangiare e godersi un po’ di pace dopo le arrabbiature dello 00 vecchio, non curato e quindi impraticabile.Per la discesa ci proponiamo tre possibilità: continuare sull’Alta Via verso il bivio per l’Avvocata (facsimile del 30 dicembre...); inventarsi una strada verso la sottostante e visibile mulattiera per Cappella Vecchia; ritrovare il 2, che dovrebbe essere qui giù, a NE, da qualche parte... Scegliamo l’ultima busta e partiamo (ore 14.30). In effetti scendiamo seguendo prima le nostre impronte sulla neve e poi dei segnali rossi (ma come... il 2 sta qui?). Dopo poco capiamo tutto: il sentiero numero due non è come tracciato sulla carta, esso raggiunge la cresta molto prima mantenendosi quasi sempre parallelo alla crestina secondaria del Colonnello. Sulla carta invece il due raggiunge la cresta molto più avanti e a nordovest, presso il Casotto vicino al Rudere della Caduta. [p.s. altro errore della carta: tra la località Cavalli e il Rudere della Caduta lo 00 non procede affatto sul versante occidentale (né perde 150 metri di quota come segnato sulla carta dei sentieri!), ma si mantiene pressoché in cresta o sul lato cavese].La morale finale della giornata escursionistica – conclusasi alle 15.45 – è che il Cai riceverà ben presto una nostra visita e, soprattutto, le nostre lamentele!

Gennaio 29, 2002 mar. Trentinara Antonio Per le note consultare il file “Tesi antoniana a Trentinara”.

Febbraio 17, 2002 dom. Anello sul Monte Maggiore Rosario, Antonio & Francesca, Pierino ed ”altri”. Comunque uno in più

dell’immaginabile... [video] La più affollata escursione a cui abbia mai partecipato: di conseguenza, anche se

l’ambiente era promettente, il risultato è stato pessimo. Non è esagerato ritenere che oltre un centinaio di persone abbia cinto e conquistato, in questo stesso giorno, le pendici e la vetta del M. Maggiore! Erano presenti tre sezioni Cai (Piedimonte, Caserta e Napoli) organizzate in una miriade di gruppi e gruppini che hanno attaccato il monte da diversi fronti, su sentieri diversi e con mete varie. Una biblica folla festante e curiosa di bimbi, presso uno dei santuari incontrati sul percorso, ha rappresentato la ciliegina sulla torta...Il sentiero parte sulla destra lungo la strada che da Rocchetta porta a Pietramelara, dopo aver valicato. La spedizione comincia (in ritardo) alle 10.00, attraversa subito un pianoro e sale di quota zigzagando nel bosco e accompagnata dalle solite stazioni di una

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Via Crucis (cominciamo quindi ad intuire che la prima parte del tracciato è una sorte di Avvocata). Dopo 40 minuti incontriamo la Cappella di Frade-Janne (q. 930), un primo panorama verso i settori NE e NO ed una folla degna dell’esodo d’ebraica memoria.Alle 11.00 ripartiamo in fila e, dopo un quarto d’ora decidiamo (anche con la speranza, rimasta delusa, di far “fluire” un po’ la maggior parte dei deportati) di deviare verso il Santuario del SS. Salvatore. Quivi Rosario, novello esploratore di terre mai raggiunte dall’Uomo Bianco, s’imbatte in divertiti autoctoni dalla giovane età. Lentissimamente torniamo indietro e solo alle 11.35 siamo di nuovo sul sentiero per la vetta (mi consola che lungo tale deviazione c’imbattiamo nel livello a Cladocoropsis). La salita è a velocità bassa e costante: alle 12.25 siamo all’anticima e - dopo ancora un quarto d’ora – in vetta.Il pasto dei numerosi caini è abbondante, duraturo e, purtroppo, produce anche un inatteso inquinamento... Sono le due quando lasciamo la cima e alle 15.20 siamo al punto di partenza: la folla si disperde tra le auto e lungo le strade. Torna il silenzio.

Marzo 10, 2002 dom. Monte Cerreto, m.1316 (Monti Lattari) Rosario, Pierino & Paoletto [video] Combinando il sentiero 22 e l’Alta Via, realizziamo un’escursione di mezza giornata su

una cima non ancora scalata dei nostri Monti.Alle 8.25 partiamo utilizzando il sentiero 22, segnato sulla carta ma non in campagna, che si presenta comunque abbastanza evidente. Incontriamo tagliaboschi iperattivi e raggiungiamo in un’ora il valico del Tuoro (q. 796) e quindi il segmento di cresta. Da qui, intenzionati ad usare la comoda Alta Via, puntiamo a SSW verso il chiaro Colle Calavricito: i segni rossi sono assenti (anche se erano comparsi al valico) ma la direzione è sacrosantamente giusta, come da carta. Dopo un po’ il cammino diventa più impegnativo e, per questo, più basso l’umore generale. Poi, aggirando la Vena S. Marco, la nostra posizione diventa sempre più sicura; compaiono inoltre a destra alte e belle parete, e a sinistra bei scorci verso Tramonti e lungo il profilo Sant’Angelo-Finestra-Avvocata (S.A.F.A), in inusuale veduta riflessa.Mancano dieci minuti alle 10 quando raggiungiamo il valico e l’annessa casetta del Tuoro di Stellante (q. 880). Qui ricompaiono i segni bianco-rossi (‘u pittato, come suggerito dal tagliaboschi) e quindi puntiamo a SW ben determinati e ben indirizzati (grazie ai segni che ci accompagneranno fino alla fine) non prima di aver attraversato un delizioso tratto della cresta completamente invaso da crochi e che gli hanno reso il battesimo di Via dei Crochi. Il sentiero è sicuro, escursionisticamente interessante, paesaggisticamente gratificante e impegnativo nel finale; e alle undici in punto siamo in cima (M. Cerreto, m. 1316). La colazione è breve e il panorama è per lo più celato dalle nubi (compariranno a tratti il Vesuvio, Sant’Angelo a Tre Pizzi, l’Agro, il S.A.F.A.), così dopo mezz’ora lasciamo già la vetta.Giunti al Tuoro di Stellante riusciamo a seguire senza difficoltà i segni e comprendiamo, strada facendo, che la vera Alta Via passa costantemente a mezza costa (fianco SE dell’allineamento Vena S. Marco – Calavricito). Lo 00, quindi, utilizza non la cresta ma quel sentiero (tracciato sulla carta ma comunque mai evidenziato in rosso) che da Tuoro di Stellante mena a WNW, taglia in alto il Vallone Pietra Piana, scende fino ai 775 metri e si congiunge al Tuoro con netta direzione N-S.Tale valico ci rivede all’una meno un quarto e alle 13.25 siamo di nuovo all’auto.

Aprile 27, 2002 sab. Monte Accellica, m. 1660 (Monti Picentini) Rosario & Francesco, Piero & Paolo [dia] Giornata destinata al dimenticatoio perché caratterizzata da una fitta nebbia che ha

reso inesistente qualsiasi panorama.Si parte alle 8.45 pronti a percorrere un itinerario misto, ma già rodato, costituito dai sentieri 11b, 11 e 4. Fino a Varco Colla Finestra (ore 10.00) l’escursione è semplice e, purtroppo, già avara d’interessi. Dal varco parte l’erta salita, sotto fitti faggi e - ben presto – anche sotto una sempre più fitta nebbia. Dopo mezz’ora ci dedichiamo una breve pausa (15 min.): ci troviamo a quota 1260 (Ninni dell’Accellica) e il cammino è piuttosto impegnativo. Ripartiti, ci agganciamo subito al filo della cresta secondaria (la

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spalla d’ascesa) con netta direzione N-S, in un bosco a tratti fitto a tratti rado: il panorama è comunque assente. Alle 11.10 siamo in cresta e la domanda è:”Dobbiamo continuare?”. La via è sicura, ma il tempo è orribile; siamo immersi in una nube, quindi in un 100% d’umidità, e temiamo in un improvviso rovescio.Decidiamo di continuare e viriamo a est. Un forte vento australe, carico d’umidità, bagna e poi gela da destra: l’umidità nell’aria è così tanta che giù per i tronchi colano lavarelle d’acqua dalla portata mai vista! Nel finale della cresta due diversivi svegliano le sinapsi intorpidite dalle infiltrazioni: prima si perdono i segni rossi (ma la via è unica), poi Paoletto ci annuncia una vetta (senza alcun segnale da “vetta”...) che subito si scopre essere invece un’anticima (Anticima Paoletto, probabilmente il picco segnato con m. 1627). Il vero traguardo giunge poco dopo (M. Accellica, m. 1660); sono le 12.05. Purtroppo null’altro, se non la vetta, è possibile vedere da lassù e dopo solo 10 minuti siamo già di ritorno.Mancano 10 minuti all’una quando lasciamo la cresta e alle 13.25 siamo di nuovo al Valico Colla Finestra. La sterrata finale è lunga e noiosa come non mai, vivificata soltanto dal puzzo delle flatulenze di cinque vacche che sospingeremo per un bel po’. Alle 14.35 rientriamo - infreddoliti e umidicci - nell’auto: lì consumeremo sciapi panini...

Maggio 18, 2002 sab. Monte Polveracchio, m. 1790 (Monti Picentini) – vetta mancata. Rosario, Piero & Paolo [dia] Il progetto, rivelatosi anche più ambizioso del previsto, prevedeva l’uso dei sentieri 7-b

e 7-a per raggiungere la vetta. L’attacco del sentiero è raggiungibile da Acerno svoltando a destra nella piazza principale (provenendo da Montecorvino) e quindi subito a sinistra: la strada, che mena a Campagna, è molto dissestata e dopo circa 15 minuti, terminato l’asfalto, abbiamo convenuto di fermare l’auto per proseguire a piedi. Eravamo a circa 700 m. s.l.m.L’escursione comincia, in ritardo rispetto al previsto, alle ore 9.40 continuando la suddetta strada per Campagna, ormai divenuta sterrata. Poco dopo, in un acceso tornante a destra, troviamo uno (ed unico sarà…) segnale rosso su tronco: abbiamo incrociato il sentiero 7-b. Lasciamo la strada e scendiamo a sinistra. I segni si dimostrano appunto limitati a quell’unico visibile lungo la strada; noi continuiamo con sicurezza – bussola e carta alla mano – nella direzione riportata sulla carta dei sentieri, ma ciononostante non esistono segni rossi. Attraversiamo uno slargo-stazzo e siamo prossimi al fiumiciattolo del Vallone Puzunito, che attraversiamo poco più avanti dopo aver intravisto un animale a pelo lungo di piccola taglia scomparire nel bosco (una faina?).Raggiungiamo, tutt’insieme, una sterrata, una baracca e un mandriano; che ci indirizza verso la direzione giusta. Seguendo la sterrata troviamo i segni 7-a e, poco dopo, un’atroce zona d’incrocio di sterrate (circoletto in fig. 2) con annesso tombino: probabilmente era questo, un tempo, l’immacolato punto d’incrocio tra il 7-a e il 7-b\prosieguo Sentiero Italia (q. 907).Sono le 10.35 e, più o meno sicuri su dove ci troviamo, giriamo a est cominciando la lunga risalita del versante più occidentale del Polveracchio. L’ambiente è molto affascinante, e bellissimo è a tratti il bosco di faggi, ma il dislivello è notevole. Alla mezza siamo a quota 1460 circa, in corrispondenza di un valico di una delle spalle settentrionali della dorsale. I segni, in realtà abbastanza presenti sinora, scompaiono: ci dirigiamo comunque a sud, come da carta, e li ritroviamo infatti poco più su.Alle 12.50 siamo finalmente, abbastanza stanchi, all’attacco della cresta (che si trova a q. 1500, non 1527 come sulla carta: probabilmente il percorso effettuato non è lo stesso tracciato sulla carta) da cui parte anche il 7-c (e non dal precedente valichetto: altro errore della mappa). Un quarto d’ora di pausa, dedicato soprattutto all’Albero della

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N

Acerno

7b

7a sterrata

sentiero

Fig. 2

altri segni 7a

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Facile Arrampicata, e poi via verso est. L’ampia e luminosa cresta ovest ci dona bei panorami e stancanti saliscendi (più sali che scendi). Purtroppo giunti a q. 1620 i segni si annullano, lasciandoci in vista della vicina vetta ma non intenzionati a girare a zonzo per conquistarla: il rischio è quello di rallentamenti a causa delle numerose macchie boscose, di incappare in punti che costringano al dietrofront e, infine ma primo, di perdere troppo tempo nel tentativo di trovare la strada giusta o, altrimenti, di scegliere la migliore ad essa alternativa. L’orario (14.15) ci fa decidere e, subito, accomodare sull’accomodante prato assolato che vedrà solo per pochi minuti i nostri agognati panini.Esattamente un’ora dopo lasciamo la pseudo-meta. Alle quattro lasciamo anche la cresta e alle 17.15 rivediamo la zona-incroci-tombino (fig. 2). Invece di utilizzare la “via vecchia” (7-b verso SSE), fraintendendo le indicazioni date dal mandriano sette ore prima, proviamo la sterrata verso W con l’idea che ci porti prima all’auto. In realtà ci allontaniamo vistosamente ed inutilmente verso NW: quindi dietrofront! Il tombino ci rivede per la terza volta (manca poco alle diciotto).Proviamo a seguire i segni rossi 7-b (“In un modo o in un altro porteranno alla strada della mattina! Rivedremo quell’unico segno! O no?”), ma altre nuove sterrate ci disorientano tanto da farci fare l’ennesimo dietrofront. La parte finale (attraversamento fiumiciattolo, stazzo-vacche, sentierino NE-SW come-da-mappa-ma-senza-segnali) sarà tutta affidata alle nostre quattro menti e alle loro capacità di memoria, e sarà arricchita dalla palpabile tensione del Piero preoccupato per l’oscurità che calava. Ma questo è un film a lieto fine: l’auto ci rivedrà alle 18.55.

Maggio 26, 2002 dom. Cappio con Monte Tartaro, m. 2192 - Monte Meta, m. 2242 (Parco Nazionale

D’Abruzzo – Lazio - Molise) Antonio & Francesca, Bruno Perillo, Mimmo, Paolo Lipu e due coppie [dia] Escursione di indubbia ricchezza che a causa del tempo inclemente (nonostante le

previsioni fossero state positive) è infine risultata meno interessante di quanto potesse essere.La giornata comincia alle 5.15, sveglia necessaria per essere a Prato di Mezzo (q. 1420 - Picinisco) e partire alle 9.30. Purtroppo fin dall’inizio (e in effetti già si intuiva dalla strada) siamo immersi nelle nubi tanto che il paesaggio circostante è del tutto assente. S’intuisce che il bosco viene subito lasciato, ma gli ampi panorami di cui dovremmo di conseguenza godere ci sono proibiti!Alle 10.45, dopo aver lasciato alle spalle un bell’esemplare di Ellipsactinia, siamo al bivio N1-N3 e alle porte di un grazioso pianoro (finalmente si vede qualcosa…) ricco di Genzianelle. I segni qui si perdono un po’: seguiamo la direzione N – NW e alcuni ometti, superiamo strettamente a destra la Torretta Paradiso e giungiamo in vista (per lo più assente) della Val Canneto. L’escursione continua a mezza costa e registra interessantissimi incontri con i camosci e un’impennata di quota solo in corrispondenza di uno Stazzo delle Bombole, presso il quale bisogna tenersi molto più a destra di quanto suggerisca un evidente sentiero che (testimonianza di Antonio) non mena al valico di nostro interesse.Raggiungiamo tale valico, e quindi la cresta, all’una: finalmente riusciamo a vedere gli ampi e promessi panorami, che ci accompagneranno a singhiozzi, ma sempre e solo sul lato sinistro della cresta, ovvero internamente al Parco: riusciremo a leggere la tipica forma delle valle glaciali, accumuli morenici, lo Jamiccio, il lago di Barrea in lontananza, lingue di neve invernale sotto di noi, ecc…Dopo solo 25 minuti siamo sulla prima vetta (M. Tartaro, m. 2191) su cui riposiamo e mangiamo. Alle 13.55 continuiamo la traversata per cresta con altri camosci e incontrando anche la Primula Orecchia d’Orso, pianta dall’areale piuttosto ristretto. Il tempo peggiora e pioggia e vento ci accompagnano in cima al M. Meta (q. 2242, ore 15.00) che ci trattiene per un’altra ora circa. Per il rientro, quindi, puntiamo a Passo Monaci, in corrispondenza del quale pioggia e grandine ci inzuppano per benino. Orami sono pronto a tutto!Chiudiamo rapidamente il cappio e alle 18.10 siamo alle auto, tutto sommato soddisfatti, ma con la sensazione di non aver fatto tutto, lungo il sentiero…

Giugno 2, 2002 dom.

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Cappio con Serra del Campitello, m. 2026 – Monte della Corte, m. 2182 (Parco Nazionale D’Abruzzo – Lazio - Molise)

Rosario, Antonio & Francesca, Aldo Colleoni, Mino sbarbato, due giovani di Piedimonte, alcuni caini di Cassino [dia]

La trasferta comincia la sera prima, ospitati in Casa Giordano.Il percorso ha impiegato diversi sentieri del Parco (tutti A e Y), con partenza dalla Valle di Prato Rosso, vicinissima a Pescasseroli. Alle 8.40 lasciamo alle spalle le auto, poco dopo la fontana e il cartello del Parco, a quota 1300 circa. Dopo quaranta minuti di bosco e radurette, passiamo per il nodo del cappio (lo Stazzo, incrocio A6-A1) e proseguiamo diritti (A1) per giungere all’incrocio del Rifugio (chiuso) di Prato Rosso: delle tre strade che si parano avanti (A2, A4, A5) prendiamo quella centrale e continuiamo sotto un bosco sempre fitto e maturo.Alle 10 sbuchiamo sull’alta valle di Prato Rosso che, poco più avanti, si mostrerà chiaramente con la sua origine glaciale. Il sentiero ci porta sul lato sinistro della valle, guadagniamo quota e ci agganciamo alla crestina (in effetti già Serra del Campitello) che continueremo in direzione sud.È passato solo un quarto d’ora quando siamo sulla nostra prima cima (Serra del Campitello, m. 2026); ma continuiamo senza sosta, mantenendo la direzione. Superiamo la testata della valle, che lasciamo a destra, e si apre ai nostri occhi una seconda valletta (sì cara all’Antonio, tanto da determinare il battesimo Conca Giordano) ampia e serena, dal colore verde piacevolmente passante - più in alto - al bianco calcareo; al centro della stessa un casolare in pietra aiuta nell’intuire le proporzioni. Alle 11.50 ci concediamo una pausa-colazione, sempre in vista della suddetta Conca e, purtroppo, anche di numerosi figuri che raccolgono illegalmente (siamo in un Parco!) gli orapi.Ripreso il cammino, seguiamo sempre l’allineamento di cime e cimette della nostra cresta, la quale congiunge il Campitello con La Corte e borda a est e a sud la Conca Giordano, per arrivare infine sulla seconda vetta (Monte della Corte, m. 2182 – ore 12.55) dopo una intensa erta finale che da una parte invita (il sottoscritto, tra gli altri…)a risparmiar fiato e dall’altra incita all’impresa personale! (Rosario).Il tempo che minaccia inclemenza ci suggerisce una pausa pranzo piuttosto breve, solo trenta minuti, dopo i quali lasciamo la vetta scendendo per un diverso versante (più ad ovest) con cui, in pratica, circuiamo la neonata Conca. Tale versante inoltre ci dona la vista di bei prati ricchissimamente colorati del blu elettrico delle Genzianelle, del viola e del giallo delle Viole, del rosa intenso della Silene acaulis, che a cuscinetti sbuca sul verde brillante dell’erbette, e – infine – del prezioso giallo dalla Primula Orecchia d’Orso.Rientriamo nel bosco della Val di Corte e comincia un lungo e stancante tratto sul greto del fiume, su cui è impiantato il sentiero (A 6). Ben presto osserviamo sulla destra la rialzata Fonte Schiappito e, solo molto più tardi (alle 15.15), chiudiamo il cappio in località Stazzo.Alle quattro in punto siamo alle auto, con una leggera pioggerellina che a tratti aveva cominciato ad accompagnarci. La pioggia, forte e abbondante, arriverà solo più tardi, quand’ormai si era già al sicuro. Fortunatamente!

Giugno 23, 2002 dom. Vallone Pinzarrino (Monti Picentini) Rosario, Antonio, Alessandro. Brevissima passeggiata in occasione del genetliaco dell’Alessandro.

Il punto di partenza si raggiunge da Acerno seguendo le indicazioni per Piana del Gaudo e guadagnando subito il greto del fiume all’altezza del tornante che piega a destra (sentiero 14A). Seguiamo l’alveo asciutto, meravigliati per l’abbondante mondezza inattesa, che culmina con una carcassa d’auto nel bel mezzo del corso fluviale (ancora asciutto). Il rottame ha, almeno, segnato la fine dell’area soggetta all’inquinamento umano. Infatti a monte il greto è pulito e piacevole.Ci attenderebbe una svolta a sinistra, seguendo un rio tributario, che purtroppo non si paleserà mai ai nostri occhi. Continuiamo così il ramo principale che porta alla Fiumara Tànnera: le pareti della valle si accostano e diventano ripide, l’acqua compare prima in pozze poi fluente e abbondante, la fauna (a testimonianza della purezza delle acque) brulica di insettini protetti da un involucro, uova di anfibi, vermi probabilmente nematodi e infine (e all’apice della piramide alimentare, eccetto l’uomo) di numerose ed

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enormi trote fario. Quest’ultime sinuose s’adagiano in una pozza profonda e buia, serrata tra lisciate e scivolose pareti, posta sotto una cascatella. Il bagno completo rappresenterebbe l’unica possibilità di prosecuzione.Ma non siamo d’accordo. E così si impone il dietrofront, tra l’altro suggerito anche dall’orario, che ci porta (fatta eccezione per un blando tentativo di scovare il sentiero CAI) univocamente all’auto.Un tortino festeggerà il festeggiato, poi: ciao-ciao.

Agosto 1-8, 2002 – gio./gio. Gruppo dei Monti Sibillini (Appennino umbro-marchigiano). Antonio & Francesca, Alex, Pietro e altri caini delle sezioni di Piedimonte Matese, Napoli,

Caserta [poche fotografie] Bella e remunerativa settimana trascorsa nel cuore dei Monti della Sibilla, rifugiati nel

comodo Centro Escursionistico Giovanile di Castelluccio di Norcia (q. 1452), ottimamente gestito da Enzo Cori, presidente della sezione Cai di Spoleto.Il Pian Grande di Castelluccio, circondato da vette e valli, è stato il suggestivo contesto che ci ha ospitati. Giovedì 1° agosto . Arrivo e notturna .

Siamo in sei: io, Antonio & Francesca, Alex, Pietro Delle Piane e Sergio il Vomerese. All’arrivo in Castelluccio il primo parere è stato di un paese per metà vecchio e per metà nuovo, diroccato e restaurato, turistico eppure destinato a sparire. La settimana che qui trascorreremo in effetti mi darà ragione…In serata mangiamo la pizza di patate e le melanzane della mamma e ospitiamo Ilaria, girl-scout agesci, che gira per l’Umbria chiedendo ospitalità e offrendo aiuto in casa (è la sua missione). L’indomani mattina scopriremo che è iscritta a Scienze Naturali a Napoli e che è una delle prossime erasmine in terra rumena. Morale: ci siamo già incontrati nello studio del Prof! Quando si dice che il mondo è piccolo…Breve escursione in notturna (eccetto il sottoscritto e il collega paleontologo, impegnati a preparasi geologicamente per il giorno successivo) verso Poggio di Croce, q. 1833.

Venerdì 2 agosto . Circuito dei Monti Bove (m. 2112 e m. 2169) e Monte Bicco (m. 2052).Partenza dall’Hotel Felicita in Pian dell’Arco (Frontignano). Utilizzando il sentiero n.15 e attraversando un bosco ricchissimo di funghi (le “vesce” e un Phallus impudicus) raggiungiamo la Val di Bove e, dopo la fonte a quota 1597, viriamo a sinistra. Per tutto l’itinerario seguiremo la classica serie umbro-marchigiana (serie U-M) con il Calare Massiccio (cima del Bicco), le Marne a Posidonia (cima del Bove Nord) e i Calcari Diasprigni, la Maiolica (cima del Bove Sud e cresta tra i due Bove). Probabilmente è anche presente la Formazione de Calcari a Saccocoma ed aptici (eteropica ai Calcari Diasprigni) dal momento che più volte sono stati ritrovati aptici interi o frammentati in sedimenti quasi totalmente calcarei (gli aptici che vedremo nei calcari marnosi rossi dell’Acquasanta appartengono al Bugarone e quindi non sono coevi). È stato anche raccolto un campione purtroppo tuttora disperso.Raggiungiamo la Croce di Monte Bove (q. 1905) e, con direzione netta est e un bel po’ di fatica, il M. Bove Nord (q. 2112) da cui si riconosce la continuità – tipica dei Sibillini – di vette in successione collegate da creste; in questo caso: M. Rotondo, Pizzo Tre Vescovi, Pizzo Berro e, più lontano, la Priora. Continuiamo il circuito che borda la chiara valle glaciale dell’attuale Val di Bove, con bellissimi panorami su Val Panìco e Val di Tenna, e raggiungiamo il top di M. Bove Sud (q. 2169) dal quale lo sguardo può seguire un altro allineamento (la Sibilla, Cima Vallelunga, M. Porche) mentre lontano s’intravede la coppia Vettore-Redentore. Pausa colazione dopo aver coperto, all’incirca, 1000 metri di dislivello. Ultima cima della giornata sarà Monte Bicco (m. 2052).Il rientro avverrà su due strade: alcuni (io, Antonio, Alex) tornano indietro e usano un canalone su cui è sorto un impianto di risalita e che porta direttamente al punto di partenza, gli altri superano il Bicco e si ricollegano alla Val di Bove.In serata ci sarà una confusa cena alla taverna-reception e l’arrivo di Bruno Cherillo e Aldo Geront-Lover.

Sabato 3 agosto . Escursione geo-paleontologica in Valle Acquasanta [altri: cresta Sibilla-Vallelunga-Porche].

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Il gruppo si divide in due: mentre la maggior parte compie un’impegnativa e lunga traversata d’andata e ritorno con cui si toccheranno le cime Sibilla, Vallelunga e M. Porche, i paleontologi Luca e Antonio, consultate le mappe, si recano a Bolognola con l’intento duplice di soddisfare il Prof Barattolo e le proprie seti d’ammoniti.Percorrendo il sentiero 35 cogliamo il primo obiettivo e, in più, riceviamo in regalo la visione di bellezze geologiche-naturalistiche quasi uniche. Il sentiero in questione attraversa la serie U-M nella porzione dei Calcari a Posidonia (di cui forse osserviamo qualche esemplare frammentato), della Maiolica (l’oggetto della nostra ricerca), delle Marne a Fucoidi (abbondanti e facilmente riconoscibili) e della Scaglia Rossa (che compare alla fine e osserviamo da lontano). Raccolti sette campioni di Maiolica ad altezze stratigrafiche diverse, e continuando a salire la serie, ci ritroviamo nelle Marne a Fucoidi piegate e fagliate: qui l’entusiasmo è unico! Mesopieghe a iosa sul nostro versante e su quello opposto confondono le nostre menti abituate ad una geologia non plastica; spesso il nucleo è eroso (forse perché ivi la roccia, per le tensioni deformative, è sbrecciata in scaglie minute) e vi si impostano piccole cavità naturali molto suggestive; altrettanto spesso le ali delle pieghe sono asimmetriche e il lato più corto è bruscamente raccordato a quello lungo successivo mediante superfici che paiono di faglia. Ben presto all’esaltazione tettonica si aggiunge quella naturalistica con l’arrivo, dall’alto, di un gran numero di rivoli, impegnati a trovare la propria strada verso il basso oppure a scavarsela. In fondo al tratto percorribile del sentiero, una cascatella cade da oltre 25 metri d’altezza mentre, poco dietro, il rio dell’Acquasanta salta giù da una chiusa che dell’ultima e più bella parte della valle fluviale lo sguardo esclude.Lì procedere costa cautela (per il pericolo di caduta rocce) e infrazioni (dal momento che un divieto d’accesso proibisce all’escursionista quel cuore della Valle). Sfacciato e armato di coraggio mi isso sulla sgangherata scalaccia di ferro arrugginito che si arrampica sulla parete verticale della chiusa. In cima gli ultimi due metri sono da percorrere sulle grate inclinate ed invase dalle alghe, su cui scorre l’acqua. Scivolare è una verità fisica, almeno per me che non accompagno l’Antonio in quell’ultima conquista.Fu così, tra l’altro, che ho capito quanto l’arrampicata non appartenga alla mia natura.Soddisfatti da quel piccolo paradiso nascosto, torniamo indietro sui nostri passi per il secondo intento: le ammoniti del Bugarone. L’affioramento si slarga intorno al chilometro 19 della strada che da Bolognola mena a Piastra. Le promesse vengono mantenute, ma non per tutti.Fu così, tra l’altro, che l’Antonio portò a casa un’elegante ammonite da esposizione mentre il sottoscritto raccolse brandelli d’aptici e frammenti vari, attualmente in corso di studio.In serata al rifugio si crea un super gruppone per l’arrivo degli ospiti Mauro e Graziella da Fabriano (si fermeranno solo fino alla sera successiva) e di una consistente fetta dei caini previsti, con Geppino, Gabriella, Cignola, Lina, Luisa, Paola Sindachessa. Cena sociale senza l’Alex, dormiente catalettico.

Domenica 4 agosto . Circuito con M. Patino (m. 1883) e M. Lieto (m. 1944) [altri: Grotte di Frasassi]Giornata mista: il terzetto Alex-Bruno-Aldo si dirige a Frasassi; la coppia Paola-Graziella va verso le medesime grotte, ma per altre strade; il gruppone infine (a cui si aggiungono per la giornata gli amici Loredana e Paolo) si incammina verso le cime a nord ovest del Piano, con partenza da Castelluccio.Coprendo il sentiero 19 A ci rifocilliamo di lamponi, fragole e more, attraversiamo Coste le Prata e poi – lasciandolo - giungiamo senza toccar cime ai piedi del Monte delle Rose, affollato di recinti per ovini. La comitiva, eccetto due defaillances, giunge a Forca di Giuda tramite il Sentiero Italia e, con il n. 21, al M. Patino (m. 1833). Ritorniamo sui nostri passi, aggiriamo il M. delle Rose e tocchiamo il valico (q. 1683) tra Valle Canàtra e Valle di Rapegna, quest’ultima risulterà molto bella per la ricca vegetazione e le aspre rocce della testa. La seconda cima viene conquistata “alla larga” usando la mulattiera a mezza costa che punta a nord e virando, poi, a sud-est da quota 1843 sul sentiero 22 A. Sulla vetta (ore 14.00 - M. Lieto, m. 1944) ci rifocilliamo. La discesa è rapida, prima continuando sul 22 A poi scendendo giù a capofitto dal valico verso il Vallone Canàtra, nel quale assisteremo alla scena piuttosto insolita di una capra che ha appena partorito, come segnalato dal cordone ombelicale ancora attaccato, col piccolo traballante sulle zampe.

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Al ritorno a Castelluccio troviamo gli ultimi arrivi del Cai di Piedimonte: Concetta, Domenico, Pino, Tonino.

Lunedì 5 agosto . Monte Redentore , m. 2448 [altri, in aggiunta: Vettore e lago di Pilato]Primi saluti: Aldo e Bruno. Quasi al completo, la compagnia si reca sul gruppo Vettore-Redentore con partenza sfalsata a causa della disponibilità dei bagni… I “giovani” partono alle 8.00 da Forca di Presta (sentiero n. 1), ma il gap tra le due spedizioni si azzera già al rifugio Zizioli che sarà quindi usato come punto di riferimento per tutta l’escursione. Da qui infatti (q. 2233) partiranno tutte le possibili combinazioni della giornata: alcuni (come il sottoscritto) scaleranno solo la bellissima cima del Redentore, altri solo quella del Vettore, altri ancora segneranno prima l’una poi l’altra.La cresta (con Punta di Prato Pulito, m. 2373, e Cima del Lago, m.2422) che dallo Zizioli porta al Redentore è probabilmente la più bella mai incontrata in tutte le mie passeggiate in montagna: si offre intera - in tutta la sua lunghezza - agli occhi, aerea e affilata, col Pian Grande aperto e solarissimo da un lato ed il Vettore col laghetto di Pilato dall’altro. Sulla cima (Cima del Redentore, m. 2448) il panorama è mozzafiato ed impone un silenzio quasi sacro, che suggerisce la solitudine prima ancora del rispetto per questi luoghi e per la Natura. Così me ne torno da solo, circondato da saettanti fringuelli (?) e nobili Stelle alpine, apprezzando a pieno gli sfuggenti orizzonti riempiti dai restanti Sibillini, dal Corno Grande e dalla Montagna dei Fiori, dalla Laga.Ritrovatici di nuovo allo Zizioli, e consumati un sempre-sorprendente-pranzo-cai, ci ridividiamo in due: il grosso scende al lago e, valicando Forca Viola, sarà poi recuperato a Fonte San Lorenzo, i restanti (io, Antonio, Alex, Concetta e Tonino) ricalcano la via dell’andata, tempestata da accese raffiche di vento stranamente assente sulle creste.In serata la cena dall’Erborista sarà un po’ deludente…

Martedì 6 agosto . Escursione cittadina a Spoleto e Cascia [altri: Pizzo Tre Vescovi e Valle Acquasanta]Mentre tutti partecipano all’escursione su Pizzo Tre Vescovi e Valle Acquasanta (soluzione di ripiego al posto di un Pizzo Berro – Priora proibitiva a causa del forte vento) una piccola spedizione (io, Antonio, Alex e Concetta) si concede una gita turistica a Spoleto, così accompagniamo Sergio alla stazione, e al santuario di Santa Rita a Cascia.La cena ci vedrà di nuovo, e per l’ultima volta, tutti insieme al tavolo del rifugio.

Mercoledì 7 agosto . [altri: Gole dell’Infernaccio] Il programma della giornata prevedeva la risalita del Vallone del Garrafo, nei Monti della Laga. Purtroppo, giunti sul luogo, uno scivolone brusco e rischioso e l’acqua alta e torbida, a causa delle piogge della notte, ci vietano di proseguire.E così, salutato il terzetto Domenico – Pino – Tonino, la comitiva si sposta all’Infernaccio (e, a sentire i racconti, si consola molto bene…) tranne i capi Luca e Antonio costretti al rientro per l’arrivo di Enzo Cori. Mi darà molta dolcezza i giochi di luce del pomeriggio e la passeggiata in solitaria nel mezzo del Pian Grande.

Giovedì 8 agosto . [altri: Argentella e Palazzo Borghese] La mezza giornata a disposizione, piuttosto che impiegarla per l’escursione in calendario, la giochiamo – io e il Sandro – con una passeggiata e un po’ di shopping a Norcia.Un saluto a tutti, arrivederci alla prossima!

Settembre 29, 2002 - dom. Trentinara Antonio. Per le note consultare il file “Tesi antoniana a Trentinara”.

Ottobre 25-28, 2002 - ven./lun. Villaggio Pino Grande (Sila Grande) Antonio, Fabio Villani e Daniela Buonocore [foto]

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Fine settimana (un po’ allargato) nella cara Sila, ospiti di Casa Giordano. L’iniziale gruppo, numerosissimo, si è ridotto a solo quattro unità. La presenza di Fabio è stata preziosa per le conoscenze sulla geologia della Calabria; a tale proposito consultare il file “Sila-Calabria e due modelli di subduzione”. Venerdì 25 ottobre .

Arrivo in serata. Chiacchiere e progetti per il giorno dopo e per i successivi, mentre si consumano cibi cotti da casa.

Sabato 26 ottobre . Sentiero numero 4. Escursione negli affascinanti boschi della Fossiata e di Gallopane: il percorso ci terrà occupati per tutta la giornata.Il primo tratto, in salita, presenta pini mediamente più piccoli, successivamente però il bosco diventa più maturo e ricchissimo di angoli mirabili. Pini larici (Pinus nigra, sottospecie laricio), faggi, abeti bianchi e pochi tassi sono le specie arboree incontrate che, grazie alla stagione, colorano il bosco e il sottobosco d’una varietà di tinte dal verde scuro, al verde intenso e al chiaro, dal bruno al marrone e al giallo. Ben presto compaiono anche i funghi, che in serata saranno cucinati e mangiati con grande soddisfazione. Si tratta soprattutto di Hydnum repandum (noto anche come steccherino), d’immediato riconoscimento grazie all’imenoforo ad aghetti, di qualche Lycoperdon sp. (conosciuto in Calabria come vescia, ma noto anche come Pirito di Lupo o Loffa) e di un unico Lactarius deliciousus, volgarmente chiamato rosito, che si differenzia dall’altrettanto commestibile Russula perché le lamelle di quest’ultimo sono bianche mentre nel rosito sono giallastre. Anche la vescia è di facile riconoscimento: il corpo (il carpoforo) è bianco, subsferico e di consistenza elastica prima (quando può essere raccolto e consumato) e diventa bruno e pulvurulento alla maturità, quando libera con uno sbuffo le spore, se viene calpestato.All’itinerario previsto sulla carta abbiamo aggiunto una breve deviazione con cui è stato raggiunto il Cozzo Pupàtolo: la deviazione si prende nel tratto più a nord del sentiero proseguendo sulla sterrata, al posto di lasciarla girando a destra in direzione Col del Lupo.L’escursione si è conclusa con un secondo, più breve, allontanamento dal tracciato (a destra, lungo un rio secondario della Valle della Fossiata, in cui è stata avvistata la trota fario) alla ricerca infruttuosa dei Giganti del Parco, e con il ritorno ad anello sulla statale 282.In serata ci aspetta un’ottima cena preparata dalla Daniela ed un dopocena a base di Lovecraft.

Domenica 27 ottobre . Longobucco. Giornata alternativa. La mattinata è dedicata al tennis, il pomeriggio invece alla geologia (con buona pazienza di Daniela).Dopo pranzo, infatti, raggiungiamo la città di Longobucco allo scopo di ritrovare ammoniti e brachiopodi. L’affioramento d’interesse è lungo la strada che da Longobucco porta a Cropalati, dopo l’incrocio (solitamente non segnato sulle carte) per l’Ortiano ma prima di quello per Puntadura, sulla sinistra. Entrambi i taxa fossili sono stati ritrovati ma, in entrambi i casi, non è stato possibile prelevare campioni. Una sintesi dei discorsi della giornata è consultabile nel file “Sila-Calabria e due modelli di subduzione”.Una breve sosta a Longobucco ha preceduto il rientro a casa, con l’ennesima ottima cena preparata da Daniela.

Lunedì 28 ottobre . Il rientro è cominciato in tarda mattinata. Durante il viaggio Fabio ha proposto, ed è stato accettato, uno stop a Rivello, piccolo centro nel Lagonegrese. Piacevole paese ed ultima, e per questo spiacevole, passeggiata della piccola comitiva. A presto!

Dicembre 8, 2002 - dom. Cappio con Monte Finestra (vetta nord - m. 1128). Francesco, Antonio & Francesca, Pierino & Paoletto. Dopo una lunga interruzione riprendiamo l’attività escursionistica nelle nostre zone. Il

Rosario, organizzatore della spedizione, sarà costretto all’ultimo minuto a mancare l’appuntamento (con cui apriamo anche la stagione invernale) a causa di una condizione generale non ottima. Il vento ed il freddo ha però reso più che giustificata la sua assenza.

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La comitiva aveva in programma la classica delle classiche: ascensione su “La Montagna” (per i cavesi) tramite il sentiero n. 8. Pochi passi dopo l’avvio però, la sempreattiva Francesca propone con successo il numero 10. Durante la risalita restano alcuni dubbi sulla fattibilità del sentiero, ma saranno alimentati per poco tempo e, ben presto, al loro posto troverà spazio la soddisfazione e insieme il dispiacere di aver violato un tabù che da anni si tramandava, da generazione in generazione. Il percorso n. 10 è infatti il cosiddetto “Sergio Rosa”.A causa della trasformazione del Casone in un agriturismo, l’attacco doppio (nn. 8 e 10) del sentiero è attualmente posto sulla destra prima degli ultimi due tornanti, molto evidente (ma ciononostante mancato in questa escursione). Dopo il bivio il sentiero si trasforma in traccia, i segni rossi sono comunque spesso numerosi ed evidenti. Il tracciato, però, non corrisponde con la carta. La spalla rocciosa, ad esempio, prima della località Cisterne non viene aggirata: il sentiero porta direttamente al punto di quota 743; più a monte il sentiero si muove sempre in vista del vallone centrale e punta alla cima senza spostarsi a destra come segnala la carta.In più punti è risultato necessario un attento uso di mani e piedi, tutti tesi a trovare il migliore appiglio e costretti a discrete contorsioni.Dopo una breve pausa-colazione sulla vetta nord (Il Telefono, m.1128), scendiamo alla finestra e subito torniamo a valle utilizzando il noto sentiero 8. Ci attende un pranzo domenicale, in compagnia di Antonio & Francesca.

Dicembre 10, 2002 – mar. Parco Diecimare Rosario Il doppio desiderio di una breve passeggiata e di far visita all’amico obiettore Agostino

ci ha spinti al Parco Decimare nel primo pomeriggio.Con la supervisione del suddetto obiettore, risaliamo nell’area protetta fino al recinto di caprioli, portando loro il cibo. L’attesa del loro arrivo resterà delusa e il freddo, che invece era diventato sempre più presente, verrà poi temperato dal tè offertoci nel centro visite. Buon lavoro, Agostino.

Dicembre 15, 2002 – dom. Anello con M. Sant’Angelo, m. 1130, e Valico Tramontane. Rosario Escursione di mezza giornata non particolarmente bella ma utile per la conoscenza dei

sentieri caini dei Monti Lattari. E’ stato effettuato un circuito con i sentieri 14 e 12, anche se l’intenzione era quella di percorrerli al contrario (prima 12 e poi 14).L’attacco doppio (12 e 14) è al Contrapone. Per raggiungerlo bisogna arrivare prima nelle vicinanze della chiesa di Passiano, senza mai raggiungerla però, e continuare poi – piuttosto - sulla strada principale (seguendo già delle frecce rosse) che conduce ad uno slargo. Il sentiero comincia (ore 8.20) come una larga strada di sterro. Ben presto, in corrispondenza di una curva a destra (che tra l’altro nasconde alla vista una barra che chiude la sterrata) i segni rossi fanno lasciare la suddetta sterrata per guadagnare un sentiero sulla destra. E’ questo il bivio 12-14, ma non è affatto chiaro dal momento che sono visibili solo i segni del 14 (quelli che abbiamo seguito), nessun numero è segnato ed il sentiero 12, che in pratica continua lungo la sterrata, non viene in alcun modo segnalato. Tutto ciò verrà scoperto strada facendo e il quadro dei sentieri verrà chiarito solo alla fine, quando sarà chiuso il cappio.Il sentiero 14 è, comunque, ampiamente segnato: solo in una parte centrale, più arbustiva che boschiva, c’è qualche dubbio sulla direzione, dubbio alimentato anche dal fatto che si pensava di essere sul sentiero n. 12. La direzione generale del tracciato, la nostra posizione e, infine, la parete rocciosa (che parte dalla quota 900 circa) sotto la quale passa il 14 ci hanno –definitivamente – chiarito dove stavamo andando. Questa parete, per la funzione svolta in tale occasione, è stata battezzata lo Scoglio dell’Orientamento. Alle 10.30 raggiungiamo Punta Nevarra (q. 1036), molto poco panoramica a causa degli alberi e puntiamo a est verso la vetta. Le nubi, sotto cui ci infiliamo, ci vietano ulteriormente la vista. Dopo mezz’ora circondiamo gli orribili edifici posti in cima a Monte Sant’Angelo (m. 1130) e subito viriamo a sud, verso il varco

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delle Tramontane, liberi da qualsiasi segno Cai ma con una strada univoca: la cresta. Alle 11.45 attraversiamo il Varco (q. 895) e lasciamo la cresta impiegando il sentiero 12.Durante la discesa notiamo alcuni punti del percorso che meritano un po’ d’attenzione per il corretto orientamento, dal momento che in passato gli stessi escursionisti sullo stesso sentiero in salita (n.12) si sono smarriti. Circa a quota 800, o meno, c’è un incrocio [A] la cui esatta direzione è segnalata da un cartello che però risulta piuttosto nascosto: per chi sale è sulla sinistra, quasi alle spalle, su un ramo alto. Più in basso (circa 700 m) c’è un altro incrocio [B] con segni nascosti, e di nuovo la direzione corretta è a sinistra, sempre per chi sale. Incroci successivi, blandamente segnati, possono essere decisi seguendo la sterrata principale. Ad un invasivo incrocio [C] a 4 tra due strade di sterro (praticamente scavate nella roccia e perpendicolari tra di loro) bisogna voltare a destra se si sta salendo (ovviamente bisogna girare a sinistra, se si sta scendendo). Nell’ultimo tratto della discesa, in corrispondenza di un acceso tornate a destra, un segno equivoco ci fa allontanare dalla sterrata (strada principale) per un sentiero, ma la deviazione è inutile dal momento che si riallaccia poco più in basso alla stessa sterrata. Si attraversa, infine, il mega tornantone a q. 468 (che sulla carta non è interessato dal sentiero) per ricongiungersi poi al cappio 12-14, posto a ridosso della barra.[L’escursione successiva, oltre che particolarissima per chi vi partecipa, chiarirà ulteriormente questo versante del gruppo Finestra-Santangelo.]

Gennaio 2, 2003 – gio. Circuito aperto con Valico delle Tramontane e Monte Finestra (vetta nord - m. 1128). Rosario, papà Gerardo e zio Alfonso, Sandro argentino e Valeriano [video] Escursione dalle sfumature internazionali e con un

assortimento di partecipanti più unico che raro. Soddisfacendo due desideri (quello vecchio dello zio Alfonso di ritornare, a distanza di molti anni, sulla Finestra e quello freschissimo del di lui nipote argentino Sandro di fare un giro sui monti dei luoghi d’origine della sua famiglia) conduciamo una lunga, impegnativa ma gratificante escursione sul Monte caro ai cavesi, aggiungendo un bel tratto di cresta. Il circuito (riguardando i sentieri 12, Alta Via e 8) è risultato altresì utile per completare e consolidare la conoscenza del tracciato 12 già percorso durante la precedente escursione, a cui converrà rimandarsi allorquando per brevità verrà indicato: vedi 15/12.Partenza da Contrapone [vedi 15/12/02] alle 8.25. Seguiamo il sentiero 12 superando la barra posta in una curva ove è collocato, senza indicazioni, l’incrocio con il 14 [vedi 15/12]. L’ascesa è tranquilla anche se il bosco è giovanissimo a causa dei tagli e privo di particolari bellezze. Non si lascia mai la sterrata principale per sentieri o altre sterrate laterali. Le maggiori sono tre, stilizzate in rosso in fig. 3, delle quali la prima è subito dopo il tornantone di quota 468 (ca. 30 min. dalla partenza e 500 m. di quota) mentre le altre sono poste in corrispondenza di tornanti (nota: il disegno non è in scala e le posizioni reciproche dei tre stralci non sono esatte). A quota 580 circa (45 min. dalla partenza) passiamo per l’invasivo incrocio di sterrate [vedi [C] in 15/12] voltando a destra e poco dopo, ad una biforcazione, prendiamo di nuovo a destra (sull’altra strada si vede una piccola edicola in legno). La sterrata perde di quota, offre sulla sinistra un inverosimile cartello M. Finestra-Xxx e giunge ad un tornante a destra.Successivamente (1 ora dalla partenza, q. 670 circa) troviamo una biforcazione [[B] in 15/12]: un segno sbiadito segna a sinistra. Dopo 10 minuti (q. 730 circa) nuovo incrocio con un cartello di faccia (non visto durante la 15/12) che segna a sinistra “Pietra’nghiana”: per giungere al Varco Tramontane bisogna continuare diritto sulla sterrata. Dopo altri 5 minuti (h 1.15 dalla partenza, q. 750 circa) troviamo, praticamente in successione: una prima deviazione a sinistra (leggera traccia in salita, presenza di due strane frecce divergenti e congiunte alla base, disegnate su una roccia all’inizio di questo sentiero) che non bisogna prendere e una seconda deviazione a sinistra che bisogna intraprendere (incrocio [A] del 15/12, presenza di cartello alle spalle di chi sale, posto su un ramo tagliato). Da questo momento comincia il sentiero in zig-zag che ci porterà, alle 10.05, sul belvedere del Varco delle Tramontane (q. 895).

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tornantone

fig. 3

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Ma da questo momento in poi tutto il percorso, spostandoci sulla cresta, sarà un belvedere. I panorami tra il versante cavese e quello tramontìno si sprecano. Dopo un’ora esatta giungiamo al valico a quota 938, presso il quale emerge anche un altro sentiero da est. Dopo tale valico (che ospita un palo, una campana rotta ed una strana edicoletta votiva) i segni rossi portano – inaspettatamente – sul lato orientale di Vena del Covello anche se a destra (oltre una casettaccia con mattoni di cemento che pare in costruzione!!!!!) è ben evidente un sentiero-mulattiera, molto invitante per la comodità [tra l’altro ricordo anche di aver effettuato tale percorso in passato con l’Antonio e mi sembra che la strada allora impiegata sia stata quella di destra…].La cresta diventa più impegnativa e alle 12.15 siamo sulla vetta nord di M. Finestra (q. 1128). La colazione è breve: il tempo fino a quel punto ottimo (a dispetto delle previsioni) cominciava a cedere alle minacce dei nuvoloni provenienti soprattutto dall’invidioso Monte Sant’Angelo. All’una siamo alla rituale finestra (con piccola celebrazione per onorare il ritorno dello zio sul Monte di Cava) e alle 13.20 ci rimettiamo in viaggio impiegando il sentiero n. 8.La discesa purtroppo risulterà lenta e sempre più lenta. Le cause? La stanchezza della comitiva; il sentiero fangoso o comunque su rocce umide, che minacciava scivoloni ad alto rischio; l’acclività dell’itinerario, che costringeva i già provati corpi degli ultra cinquantenni e settantenni a vibranti colpi a carico delle loro indolenzite gambe e braccia. Piccola variante: all’altezza dello Spuntone Belvedere invece di proseguire dritti seguendo i segni, giriamo a sinistra sotto il boschetto abbandonando la crestina. In tal modo si evita il grottino I get up I get down, ma si passa per la fonte “Pantaniello ‘e l’avese” per riunirsi ai segni poco più avanti, in corrispondenza di un incrocio un tempo segnato anche da un cartello oggi smarrito.L’auto del gentil Francesco sarà raggiunta solo alle 16.05!

Gennaio 19, 2003 – dom. Doppio cappio sul Monte Circeo (m. 541). Rosario, Antonio, Conte Puccescu, il rumeno Florìn, i caini Domenico, Aldo Colleone,

Luisa ‘a ribelle, Gigliola e Geppino, Antonio Romano ed altri soci delle sezioni di Piedimonte e Caserta per un totale di oltre 20 partecipanti. [foto digitali]

Ritorniamo a cinque anni di distanza e con piacere sul promontorio del Circeo. La comitiva è affollata e attardante – come al solito – ma può fregiarsi di una coppia di partecipanti d’eccezione: il Conte Puccescu e il rumeno Flopo! La partenza (dopo che la sveglia era suonata alle 5.30, per noi più meridionali…) si è avuta alle 10.05 da Torre Paola, in uno slargo che praticamente giace sul curvone della statale che da San Felice Circeo porta al Lido di Sabaudia.Per tutto il percorso i segni bianco-rossi del Cai saranno presenti e chiari, anche se in cresta ben poche sono le possibilità d’errore. La sterrata iniziale viene quasi subito abbandonata per un sentiero sulla destra, che si muove sotto il fitto bosco. La risalita è acclive e anche scivolosa (quel versante della montagna è, almeno in inverno, sempre all’ombra) ma in poco tempo, 40 minuti, usciamo allo scoperto agganciando la cresta e guadagnando i primi panorami sui laghi costieri del Pontino. La cresta è affilata, a tratti così erta da richiedere necessariamente l’uso delle mani. Una prima anticima, ancora molto distante dalla vetta, offre panorami sempre più interessanti, soprattutto verso la costa rocciosa sottostante. E’ presente un solo incrocio, ben segnalato, poco prima della meta, che mena a sinistra ridiscendendo sulla sterrata. Nel complesso la risalita è piuttosto lenta e alle 12.15 siamo sulla cima (Monte Circeo, q. 541) per una lunga pausa pranzo, in perfetto stile cai-piedimontese…Solo alle 14.00 lasciamo l’ampio panorama a 360°, un po’ velato dalla foschia, e discendiamo utilizzando il percorso della risalita. A quell’unico incrocio il gruppo però si divide in due: alcuni utilizzeranno lo stesso sentiero dell’andata, altri (la maggior parte, anche se spezzettata in molti microgruppi) girano invece a destra, buttandosi a capofitto, subito nel bosco. In questo modo, e in meno di 50 minuti, si torna alla sterrata laddove termina, ovvero soltanto un po’ più avanti rispetto al punto in cui la si aveva lasciata all’andata. L’ultimo quarto d’ora è impiegato per percorrere tale sterrata e rivedere le auto.L’attesa che tutti i partecipanti facessero ritorno fu piacevolissimamente consumata sulla sabbia del lido, passeggiando tra la risacca e invitati dal vento a raccogliere conchiglie.

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Gennaio 26, 2003 – dom. Circuito aperto con cappio terminale nella Valle delle Ferriere (Monti Lattari) Rosario, Antonio & Francesca, Barbara, Fabio Villani, Maria [foto] Le abbondanti piogge durante la settimana avevano consigliato all’Antonio di bissare

questa spedizione (che aveva compiuto già 15 giorni prima) portando quindi anche noialtri, per la prima volta, in questa eccezionale valle dei cari Lattari.Si parte alle 9.00 dalla piazzetta belvedere di Pogerola, terra sacra ai Paolillo, utilizzando il sentiero numero 59. In realtà è possibile anche partire a piedi da Amalfi, salendo per le vecchie scale nella roccia che, fino a qualche tempo fa, rappresentavano l’unico collegamento tra il casale paolilliano e la bella città marinara. Il percorso, segnato con bolli rossi, si insinua tra le casine di Pogerola ma già in vista del bel Vallone delle Ferriere. Dopo le abitazioni, si prosegue su mulattiera e in 45 minuti ci si immette sul sentiero 01, che scende da sinistra.Si passa quindi alla base di una prima cascatella, visibile già in lontananza, di discreta altezza (il panorama dal versante opposto che osserveremo al ritorno, mostrerà che in effetti quella cascatella, così come molte altre, scende da quote molto più alte e giunge fino sul fondo della valle dopo una serie di salti e di tratti in cui assume carattere di rapida) e subito dopo si passa per un bivio: bisogna prendere a sinistra, leggermente in salita. Su entrambi i sentieri sono presenti dei segni rossi (anche se quelli di sinistra non sono visibili dall’incrocio perché posti solo dopo un po’ di strada), ma il sentiero di destra porta a valle. Da questo momento la vegetazione è più fitta e i segni più radi.Si giunge ad una seconda cascata, che per essere attraversata richiede maggiore perizia, e infine si scende a T su di una netta mulattiera (ore 10.50) allineata alla valle. La carta è imprecisa: probabilmente sono presenti molti più sentieri di quanti essa ne riporta e, di sicuro, molti sono segnati in rosso sul terreno ma non sulla carta. Alle 11.00 arriviamo al tornantino che segna il punto più interno ufficialmente raggiungibile nella Riserva Valle delle Ferriere: l’acqua, già abbondante e bella, diviene la protagonista indiscussa. Il torrente copioso ne riceve da sinistra e da destra, scendendo tumultuoso tra salti e rapide, mentre scava marmitte o rallenta negli angusti slarghi. A dispetto del cartello di divieto, varchiamo il tornante e troviamo due bellissimi salti del torrente, dei quali il secondo viene visitato alla base, sotto la polvere d’acqua nebulizzata e una strana brezza alimentata dalla stessa caduta d’acqua. Poco più su attraversiamo un blando incrocio: a sinistra (straccetti sugli alberi) il sentiero dovrebbe far aggirare la testata della valle molto più a monte, curvare e portare infine a Monte Rotondo; a destra, che intraprendiamo, il sentiero continua a costeggiare il torrente e giungiamo (ore 12.15) all’angolo più profondo della valle: continuare non sarebbe possibile dal momento che ci sono solo alte pareti a chiudere lo sguardo, dalle quali continua a scendere acqua. La maggiore di queste cascate ha una portata minore di quelle al tornantino ma compie un salto molto più alto.Mezz’ora di pausa per un panino e poi facciamo dietrofront. Ripassiamo al tornatino con cartelli-divieto, chiudendo il cappio, e proseguiamo sul nuovo versante della valle. Si rivelerà molto più panoramico del primo, arricchito a sinistra dalle pareti strapiombanti sulle nostre teste, a destra dalle ampie vedute sulle pareti opposte (ricche d’acqua e di alberi), sotto di noi dalla valle e dai suoi dirupati opifici e - dinanzi - da Amalfi, stretta tra i piani di Pogerola e Pontone, tra il mare e la valle coltivata ad agrumi.Alle 14.00 vediamo l’incrocio con il n.57 e, dopo venti minuti, svoltiamo a destra (poco prima del grosso silos giallo posto sulla cresta). Alle 15.00 chiudiamo il circuito ritrovando l’auto lasciata di mattina a Pontone e, mentre tutti gli altri vanno a riprendere le restanti auto, il sottoscritto e la Francesca scendono a piedi per le gradinate che da Pontone portano ad Amalfi, tra limoni, cani rabbiosi e gatti socievoli.

Febbraio 2, 2003 – dom. Doppio cappio con Monte Caruso, (m. 761) e Forcella della Cava – vetta mancata -

(Parco Diecimare). Antonio. Escursione inaspettatamente bella. La neve intorno Cava ci spinge nel vicino Parco di

Diecimare, in compagnia di Antonio, alla fine unico compagno dell’escursione dal momento che il Rosario e l’obiettore Agostino resteranno nei pressi dell’area del

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capriolo. La neve è stata sicuramente la caratteristica chiave che ha giocato la differenza per questa escursione, altrimenti banale, compiuta nell’arco della sola mattinata.Dal Centro Visite, percorrendo prima il sentiero natura e poi quello del falco, puntiamo dritti su Monte Caruso. Il sentiero, pur se all’inizio segnato con abbondante attenzione, giunto in prossimità di una palizzata con filo spinato si dissolve, lasciando la tonda e brulla cima quale unica ma inequivocabile indicazione. La neve è già abbondante, come abbondanti saranno su di lei numerose impronte.La vetta innevata (Monte Caruso, m. 761) circondata da un panorama innevato (che abbraccia i Picentini, i Lattari ed il Vesuvio) è piacevolissima. Subito scendiamo a sud, attraversiamo il valico della Pannèra e continuiamo per la crestina. Ci troviamo adesso sul sentiero dei due golfi, in un paesaggio inusualmente ricco del candore nivale. Si passa per il casolare con pozzo e quindi, ancora a sud, verso Forcella della Cava. La neve accumulata a terra risulta sempre di più, tanto che per accelerare la risalita lasciamo il sentiero principale (o ciò che ci sembrava tale, attraverso il manto della neve che tutto nasconde…) per arrampicarci di traverso verso l’alto. La divagazione purtroppo ci costerà la vetta, che resta immacolata mentre noi, per cautela, preferiamo non rischiare scivoloni e così torniamo indietro.Alla Pannèra (nodo del cappio superiore) continuiamo a percorrere il sentiero dei due golfi che, stranamente o per nostra disattenzione, ci conduce di nuovo sul sentiero del falco, alla base del Caruso (e così chiudiamo il nodo del cappio inferiore). Al Centro Visite del Parco ci aspettano dopo una mattinata spesa con i caprioli ma per niente proficua…

Febbraio 8, 2003 – sab. Piano Laceno (Picentini) Rosario & Francesco, Piero e Paolo [foto] Era intenzione dei partecipanti raggiungere il Monte Cervialto. Per tale scopo siamo stati

in grado di trovarci al Piano Laceno, angolo Ristorante La Lucciola, alle 8.45.Il cielo azzurro che garantiva una chilometrica visibilità, la candida neve presente ovunque sugli alberi e abbondantissima a terra (oltre 1 metro) ed infine una temperatura record mai osservata da noi poveri abitanti vicino-costieri (all’arrivo sul piano: -13.5°!!!!) sembravano le premesse di una escursione memorabile. Di sicuro resterà unica solo la bellezza della giornata. Eccezionale!Purtroppo il sentiero prescelto (n. 13) non verrà imboccato, fin dall’inizio. Questo sarà la causa dapprima di una risalita tra valloncelli al seguito di segni rossi equivocamente interpretati come d’origine caina, e - successivamente - di un tentativo di risalita libera (quando tali segni sono spariti) su acclivi e innevatissime spalle. Le difficoltà e la mancanza di volontà da parte di alcuni nel procedere saranno la causa di un infamante dietrofront, durante il quale riusciamo comunque a spiegare l’errore della partenza e a riconoscere, poi, il vero attacco del 13.Dopo aver almeno goduto di divertenti scivoli scavati nella neve e di ovattati agguati alle retrovie, seguiranno una mortificante colazione in “stile pic-nic sul Terminio” ed un prematuro rientro a casa. Prematuro, ma mai quanto l’incondiviso vaglio di recedere.

Febbraio 16, 2003 – dom. Piano Laceno (Picentini) Rosario & Francesco, Gerardo & Elena. Con il preciso scopo di fare quattro passi sulla neve e prendere un conveniente caffè al

Piano Laceno, ci rechiamo sugli stessi passi delle settimana scorsa.La mattinata sarà trascorsa piacevolmente a “sciuliare” sulla neve, in divertente assetto da famiglia.

Febbraio 23, 2003 – dom. Anello con Monte Falerio, m. 684, e Monte dell’Avvocata, m. 1014 (Lattari) Rosario & Francesco, Antonio [video]

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Lungo ed interessante anello che, pur toccando luoghi per noi sì noti e frequentati, ci ha permesso di utilizzare sentieri ancora inesplorati donando nuove prospettive su familiari cime. L’impegno, discreto, ha completato il quadro, rendendo l’escursione pienamente gratificante.L’anello, segnato sulla nuova carta dei Lattari ma assente sulla precedente edizione (a cui facciamo riferimento), ha per punto di partenza ed arrivo Cetara. L’attacco è –esattamente- in via Carcarella, traversina destra della strada principale della città; si passa a destra del cimitero (raggiungibile anche in auto) e si comincia a risalire la cresta che, con direzione SSW-NNE, punta al Falerio. Vi sono, qua e là, vecchi segni rossi, ma Il sentiero non è unico. All’arrivo presso un casone giallo, lo si supera sulla destra seguendo una freccia rossa.Alle 9.15, dopo quaranta minuti dalla partenza, in prossimità di una piccola casetta dirupata incontriamo il bivio (non segnato a terra, ma probabilmente corrisponde sulla carta a quello quotato a 365 m.) che distingue il sentiero per la cresta e per la vetta (a destra, che impieghiamo) da quello che aggira il Falerio alla base delle pareti, per buona parte evidentissimo da tutto il resto dell’Alta Via. Lungo la cresta ci saranno pochi segni rossi all’inizio, ma poi sarà possibile seguire facilmente e liberamente il filo per arrivare in cima: ore 10.00, Monte Falerio (m. 684).Dopo una pausa di dieci minuti discendiamo verso nord (si imbocca il sentierino spostandosi verso destra) e per le 10.35 siamo già alla familiarissima Cappella Vecchia. Dopo una breve socializzazione con i caini della sezione di Cava, lì scovati, ci mettiamo in cammino sull’Alta Via, nella sua parte più nota e più cara a noi cavesi. Dopo circa un’ora siamo alla fonte Scetate ca è juorn’ (chiusa, ma abbiamo scoperto che sulla destra, poco più su, ce n’è un’altra che in quel momento menava) e alle 12.15, dopo aver lasciato lo 00 per salire -in 15 minuti- la cresta che dal valico delle Vene di San Pietro porta al Montagnone, siamo in cima alla Montagna dell’Avvocata (m. 1014), in cui brighiamo una breve pausa.Infatti subito caliamo, liberamente fuori sentiero, verso SE raggiungendo il mitico Bell’vede’ e poi attraversiamo l’ancor più mitico (perché pericolosissimo per i numerosissimi escursionisti-fedeli) sentiero che lo collega al Santuario, a cui arriviamo alle 12.50. Nuvole che velano il sole, presente invece per tutta la mattinata, ci spingono ad una sosta piuttosto breve e così, dopo una visita alla sottostante grottina, all’una e mezza siamo sulla via del ritorno. Il sentiero che ci porterà a Cetara è il numero 5, che dovrà essere percorso in parte. Lo si può prendere dalle mura del Santuario, all’altezza della fontana, laddove termina la staccionata di legno.La discesa è facile. Numerosi sono gli incroci che si incrociano. Nei due più marcati si è sempre andati a sinistra (la destra dovrebbe portare a Maiori), inoltre poco dopo il secondo compare sulla roccia una frecciona con scritto “Cetara”: probabilmente il prima dei due è l’incrocio 5-7 della carta (ed il secondo è il successivo, vicino). Ad un’ora circa di cammino, dopo un tratto dissestato, si perviene ad un altro incrocio: destra Erchie, sinistra Cetara. Infatti proseguendo a sinistra si attraversa un rigagnolo, in corrispondenza di un tornatino, dopo il quale compare la scritta “Cetara”. L’incrocio in questione, ed il susseguente tornantino con attraversamento, sono posti a circa 400 m., dunque quasi sicuramente il disegno del tracciato n.5 sulla carta è sbagliato: tale incrocio e tale tornante possono verosimilmente essere individuati (sulla carta) poco oltre i 400 metri di quota, su una linea che è più a valle del 5, nella zona opposta a Piano di Viesco ma sempre nella parte alta del vallone di Erchie. Dopo un ulteriore quarto d’ora (14.45) raggiungiamo un grosso edificio posto sullo stesso Piano di Viesco, che qui appare suggestivo e in bellissima posizione per un ampio panorama sulle retrostanti cime. (Sulla carta tale costruzione potrebbe corrispondere al pozzo segnato q. 439, tra il Piano ed il Feliceto). Dopo appena 10 minuti ci si imbatte nell’ultimo incrocio: si volta a destra e cominciano i gradini che accompagneranno fino alla fine. A sinistra è segnato come numero di sentiero il n. 2. Trattasi sicuramente di una vecchia numerazione. D’altra parte però, lo stesso tratto su gradini che ci attende riporterà più volte il segno 1 + 2, stando quindi ad indicare un tratto comune ai due percorsi, che si sarebbero poi separati a monte: 1 a sinistra (salendo), verso Piano di Viesco e l’Avvocata, e 2 a destra (sempre per chi sale) verso… non si sa!L’arrivo a Cetara si ha per direttissima usando la crestina di una spalla (quella con una Madonna del Popolo, tra l’altro non trovata) che punta dritta al centro del corso. Vi sbucheremo, alle 15.35, uscendo da via Turillo, praticamente coincidente con la via Carcarella dell’andata, dopo quasi 1100 metri di dislivello.

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Marzo 22, 2003 – sab. Anello con Monte Caruso, m. 761, e Forcella della Cava, m. 852 (Parco Diecimare) Rosario, Piero & Paolo con Remì [foto] Piacevole escursione di mezza giornata nei dintorni di Cava, alla scoperta di luoghi e

panorami tanto vicini quanto ignoti. Per tutti i partecipanti si tratta, inoltre, della prima ascensione sulla maggiore delle cime orientali di Cava, la rocciosa Forcella.Alle 8.30, dopo aver lasciato il civile Agostino al suo dovere presso il Centro Visite, percorriamo il comodo sentiero n. 2 del Parco che, allontanandosi da esso guadagna poca quota e aggira il tondo Caruso alla base. Successivamente il sentiero risale a zig-zag e torna indietro verso la direzione di partenza, assestandosi ad una quota maggiore. Dopo l’incrocio 2 – 4 (che permetterebbe, continuando sul due, di chiudere subito un anello breve) ci immettiamo sul sentiero n. 4 (del falco) che risale il brullo cucuzzolo. Il tracciato di questi sentieri non ci era stato mai chiarissimo: abbiamo sempre pensato che questa traccia portasse fin sulla cima, in realtà porta al valico Santa Lucia (n.b. per l’ascesa al Caruso la stessa guardia, incontrata alla fine nel Centro, ci ha indicato la cresta che dal succitato valico va verso nord). Allorquando ci è stato chiaro che stavamo puntando al valico (in località nota anche come la Pannera), abbiamo abbandonato il sentiero e liberamente siamo risaliti a sinistra lungo il precisissimo profilo di Caruso, giungendo in vetta (m. 761, ore 9.45) sotto il tagliente sguardo di rapaci gironzolanti.Dopo una pausa di soli dieci minuti, scendiamo dalla bella cima andando verso sud, puntando al Valico di Santa Lucia (m. 642), che superiamo, e pervenendo poi alla Casermetta (ore 10.25). Lungo il filo della crestina il sentiero è facile e panoramico, abbellito da muscari e ancora da qualche crocus. La cima della Forcella della Cava (m. 852) (che, per chi viene da nord, viene prima superata e poi riagganciata da sud) sarà raggiunta alle undici, guadagnando un belvedere su Cava, sui monti Picentini e sul sottostante castagneto di Decimare.Per il ritorno, piuttosto che ripercorrere i medesimi sentieri, decidiamo di continuare verso sud lungo la cresta, che saremo comunque costretti a lasciare –prima o poi – per virare a destra e puntare, a occhio, verso il Centro.Infatti ci agganceremo sul sentiero del bosco, poco prima dell’area dei bombi, concludendo l’anello alle 12.30, in perfetto orario per una doccia e per il pranzo domenicale. Da notare che l’iperattivo Remì ha compiuto un percorso perlomeno triplo rispetto a noialtri partecipanti.

Marzo 29, 2003 – sab. Alta Valle del Sabato (Monti Picentini) Barbara. Spedizione preliminare di mezza giornata finalizzata alla conoscenza dell’eventuale area

di lavoro della tesi di Barbara. Oggetto di studio sono stati gli alberi della valle, ma la mancanza di foglie e infiorescenze ha impedito il riconoscimento di molte specie.

Marzo 30, 2003 – dom. Circuito aperto con Valico delle Tramontane e Monte Finestra (vetta nord, m. 1128, e

vetta sud, m.1145). Rosario, Antonio & Francesca, Fabio Villani, Gabriella Riselli, Pietro Rotunno, Mauro e

Graziella di Fabriano e moltissimi altri caini tra cui: Domenico, Mino, Aldo Colleoni, signor Antonio, Paola Sindaco, Pompeo. Bonus track: prof.ssa Coppa-De Castro. [foto]

Escursione inserita nel programma del Cai di Piedimonte Matese, con la guida di Antonio & Francesca ai quali si è dovuto aggiungere il nostro prezioso contributo quali conoscitori della parte iniziale del percorso. Il sentiero è il medesimo coperto il 2 gennaio c. a., a cui si rimanda [vedi 02/01] per le indicazioni logistiche, che è stato in questo modo ulteriormente sviscerato. Si rimanda altresì all’escursione del 15 dicembre 2002 [vedi 15/12]Partenza alle dieci. Alle 10.25 siamo al tornantone e dopo altri venti minuti all’incrocio invasivo [vedi [C] in 15/12]. Alle 10.55 siamo all’incrocio [B] [vedi 15/12] con segno sbiadito su roccia (nota: le strade che si parano dinanzi sono entrambi mulattiere ben tracciate: bisogna prendere, a sinistra, quella in salita).

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Ad un’ora e quaranta dalla partenza siamo al Valico Tramontane, presso il quale notiamo l’arrivo, da Chiunzi, di un gruppone numeroso quanto il nostro. Ciò impone una partenza immediata (praticamente non c’è sosta) che fa sfilacciare ulteriormente la già dilatata compagine. Sulla vetta nord (M. Finestra – il Telegrafo, m.1128, ore 13.40) i due gruppi si ritroveranno uniti per un pranzo sociale durante il quale verrà degnamente festeggiato l’Antonio neo-Dott. Giordano, laureatosi con il massimo dei voti in Scienze Naturali. Spumante e pizze di grano, oltre ai consueti vino, formaggio, ecc… ecc…, saranno evangelicamente distribuiti a tutti i partecipanti e a tutti gli ospiti per tutta la cima del Finestra. Nel gruppo chiunziano, proveniente da Napoli, ritroviamo anche la Prof.ssa Coppa-De Castro, la quale ha subito ricevuto l’investitura a rappresentante della Federico II su Monte Finestra, per i festeggiamenti del laureato.Alle tre lasciamo la prima cima per giungere, dopo venti minuti, alla vetta sud (m. 1145). La discesa avviene tramite il classico n. 8 (la direttissima, come dicono i caini) che ci porta, alle 17.05, allo spuntone belvedere ed, alle 17.50, a Santa Maria. Il circuito si chiude alle 18.30, con buona soddisfazione dei numerosi partecipanti.

Aprile 6, 2003 – dom. Oasi WWF di Bosco Croce (Monti Lattari) Rosario, Elena & Francesco, papà Gerardo, l’obiettore Agostino, Alex e Vittorio Matonti. La Festa delle Oasi del WWF, insieme con l’impegno che il nostro Agostino aveva nei

riguardi dell’Oasi di Bosco Croce, hanno rappresentato il movente per questa breve passeggiata di mezza giornata presso tale piccolissima e neonata oasi posta in località Albori.L’oasi non è delimitata, né si conosce bene il suo perimetro, ma la si attraversa impiegando il sentiero cai n.3, del quale non v’è una precisa indicazione all’attacco. Compaiono, comunque, segni rossi. La macchia mediterranea viveva nella sua massima fragranza di odori e colori: rosmarino, salvia, erica, corbezzoli, lentisco, Quercus, ontani e càrpini, ginestre ed euforbie. E ancora: capelvenere, ciclamino, viola mammola, muscari, primula e pervinca…

Aprile 19, 2003 – sab. Anello con Monti Mai, m. 1607, e Pizzo San Michele, m. 1567 (Monti Picentini) Rosario, Antonio, Piero & Paolo, Fabio Villani [foto digitali] Lungo e poderoso anello che ha interessato le due cime più occidentali del gruppo dei

Picentini. La presente descrizione va’ a correggere ed integrare quella fornita con l’escursione del 5 gennaio 2002. L’anello ha utilizzato i sentieri 16A, 16 e 15. L’attacco del 16A (non facilmente visibile per chi transita con le auto) è lungo la strada asfaltata che da Capo Calvanico porta al Casone de Fazio e al Santuario di San Michele. Si intraprende tale strada dirigendosi a sinistra, subito dietro la prima Chiesa di Calvanico.Dopo la partenza (ore 9.10) la mulattiera, comoda e ben segnata, lambisce una sorta di area pic-nic, un fiumiciattolo, un masso con indicazioni sui sentieri (A = monti Mai, U = Tuppo dell’Uovo), un tratto con ampia frana rocciosa a destra e raggiunge la prima erta che porta allo spuntone roccioso già citato [vedi 5/1/02]. Successivamente si incontrano: un primo tornantino fascista, una tri-freccia segnata sulla roccia ed un secondo tornantino fascista. Ad un’ora dalla partenza, a quota 1100, si passa per un primo incrocio: a destra ci sono solo segni rossi, a sinistra (traccia da seguire) segni bianco e rossi. Bisogna notare che in campo compaiono molti più incroci e sentieri di quanti ne siano tracciati sulla carta e, per di più, tutti portano segni rossi. Dopo solo 10 minuti (a quota 1175) su un grosso masso è disegnata una tri-freccia “radiale”: la direzione da seguire è a sinistra, verso l’alto, direzione segnata anche con A e U. Poco dopo compaiono ancora i segni bianco-rossi. Dopo ulteriori 10 minuti si perviene ad un incrocio: a sinistra, su un leggero dosso, sono presenti (su un albero e poi a terra) segni bianco-rossi, la scritta 16A e “Uovo”; a destra (da seguire per arrivare direttamente in cima ai Mai) sono invece presenti segni rossi e la scritta “Mai” su di un albero. Dopo una breve discussione, riconosciamo che il suddetto dosso è in realtà la Spalluccia del Cioccolato, e ricostruiamo ciò che è accaduto il 5 gennaio 2002: siamo pervenuti alla Spalluccia dall’altra parte del dosso (avendo, evidentemente, smarrito prima il sentiero principale) ed abbiamo quindi proseguito il cammino usando i segni rossi-bianchi ben evidenti sul dosso, segni che ci avevano accompagnato al valico di Tuppo dell’Uovo

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[raggiungimento della cresta, in 5/1/02]. Dal dosso infatti non è visibile la scritta “Mai” ed i segni solo rossi che invece menano direttamente alla cima in questione.Dopo tali chiarimenti comincia un tratto più impegnativo, prevalentemente a zig-zag, molto erto e spesso su scivolosa neve ghiacciata, che ci ha condotti alle 11.20 al Varco Faiostello (q. 1504) presso il quale ci concediamo breve pausa prima delle ultime rampe che ci faranno guadagnare prima i primi panorami e poi, a mezzogiorno, la vetta dei Monti Mai (m. 1607). La sosta in vetta è breve e così comincia subito la traversata su cresta (sentiero n. 16), che si mostrerà lunghissima e faticosa e che ci porta, dopo 50 minuti, al Varco di Tuppo dell’Uovo.Poco più avanti un punto della cresta strapiombante obbliga ad utilizzare un percorso, comunque ripido e che quindi richiede molta attenzione, che si svolge a sinistra. In ogni caso i segni sono sempre presenti anche se, a volte, indicano il filo della cresta quando poi è più comodo muoversi leggermente al di sotto di essa, ora a destra ora a sinistra. La pausa pranza (dall’una e mezza alle 13.55) interrompe la lunga traversata che ci vedrà, alle 14.20, all’ultimo valichetto (Serra del Torrione, q. 1360 ca.) e finalmente (e con grande impegno da parte di tutti) alla seconda agognata cima: Pizzo San Michele (m. 1567, ore 15.30).Dopo una pausa di mezz’ora prendiamo la via del ritorno (sentiero n. 15). In 50 minuti siamo al Casone De Fazio. L’anello si chiuderà dopo un’ulteriore oretta su asfalto, tra rocce e fiori. Purtroppo nell’auto il sottoscritto avrà la spiacevole sorpresa di scoprirsi, addosso, una zecca…

Maggio 1-4, 2003 – gio./dom. Villaggio Pino Grande (Sila Grande) Rosario, Barbara, Antonio, Fabio Nigro, Daniela & Enzo Fiscone [foto e foto digitali] Approfittando del ponte del 1° Maggio, trascorriamo una quattro-giorni silana, tra

escursioni ricchissime e cene che avrebbero fatto intimidire qualsiasi Trimalchione. Giovedì 1° maggio . Riserva de “ I Giganti di Fallistro” .

Dopo aver raggiunto la beneamata Sila, decidiamo di non prendere subito possesso di Casa Giordano e visitiamo la piccola e preziosa riserva biogenetica “I giganti di Fallistro”, per portare una devota visita ai pini più antichi e grandi dell’intero bosco silano. Al fascino sistematico, frutto del loro essere sottospecie (Pinus nigra laricio) geografica del Pino nero, si aggiunge la loro maestosità: oltre quaranta metri d’altezza che l’occhio umano, misero!, non riesce ad apprezzare…

Venerdì 2 maggio . Anello con Colle Napoletano , Serra Ripollata (m. 1682), Cozzo del Principe (m. 1629). Escursione lunghissima e utile per migliorare la conoscenza del cuore del Parco Nazionale della Calabria. Sono stati utilizzati diversi sentieri e molti e lunghi tratti fuori dalla segnaletica ufficiale, il tutto ha concorso a creare un’escursione ricca di ambienti, stancante ma allo stesso tempo completamente appagante.Partenza dal Centro Visite del Parco alle 10.00 seguendo il sentiero 7 (ovvero 6 inverso), passando accanto ai recinti faunistici che ci hanno lasciato scorgere lupi, cervi, caprioli, mufloni, ecc… Ad un primo incrocio ci siamo diretti verso destra, ovvero località Zarella, (a sinistra i cartelli segnano per la Carbonaia). Continuando sotto il bosco si passa per il già noto Albero-Fionda e si giunge (ore 11.15) all’incrocio delle Quattro Vie: a destra si va per la Zarella, dritto continua il sentiero 7, a sinistra il cartello segna Colle Napoletano: è questa la nostra strada, ovvero si prosegue lungo il 6-inverso.Comincia così il tratto un po’ ripido del lungo anello studiato a tavolino la sera prima e, in 40 minuti, siamo all’incrocio del suddetto Colle (q. 1438), con annessa casupola, che lasciamo immantinente così come lasciamo il 6-inverso (che prosegue a sinistra) per dirigerci a destra all’inseguimento dei segni biancoverdi dell’ippovia, la quale a sua volta abbandona le facili sterrate e mulattiera per strisciare silenziosa tra gli slanciati pini neri.Alle 13.20 giungiamo sui larghi pianori della Cima Ripollata (m. 1682), da cui si gode un panorama ampio (cosa rara in Sila) e discendiamo subito verso sinistra (nord), liberamente, al sottostante laghetto di sbarrameto (solo 20 minuti) presso il quale mangeremo. La baracca lì presente suggerisce che il luogo, sulla carta, corrisponde alla casupola quotata con m. 1560 posta sulle corna del simbolo “daino”.

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Siamo realmente giunti all’ombelico del Parco e fuori dal mondo. Sulle ultime spalle del piccolo bacino, sorgenti che affiorano fiottanti dal suolo invitano a dissetarsi e, insieme, a far ritorno alla natura. Sull’erbose sponde l’atmosfera è sospesa e serena: il lago brulica di vita e di rane (almeno tre specie diverse) cosa che gli conferisce immediatamente il battesimo con il nome di Laghetto dei Ranocchi. L’Antonio, pervaso da santo furore, denuda i piedi ed entra nelle acque chete. La Divina Natura lo accoglie a sé, e - nell’estasi - qualcuno giura di averlo visto camminarvici sopra…Oltre un’ora e mezza di pausa è pure poca cosa per la bellezza del luogo, eppure alle 15.00 siamo costretti a lasciarlo e ci dirigiamo verso nord alla volta di Cozzo del Principe che sfioriamo ma non conquistiamo (la vetta è completamente ricoperta da pini) in modo tale da intersecare, alle 16, già il sentiero n. 2. Lo seguiamo per brevissimo tratto (a sinistra, direzione Centro Visite) e subito lo abbandoniamo continuando a scendere liberamente verso nord seguendo un piccolo affluente del fiume Cecìta.Quando arriviamo sul Cecìta siamo all’altezza dell’incrocio tra i sentieri 3 e 6: è nostra intenzione continuare lungo il greto ma, dopo un primo divertentissimo attraversamento che ha costretto tutti a liberarsi di scarponcini e calze, l’abbondanza di acqua ha fatto decidere di lasciar stare il fiume e risaliamo subito, a destra per raggiungere - con un’erta – la sovrastante statale. L’anello si chiude così, passando al tramonto sul panoramico ponte sul Cecìta.

Sabato 3 maggio . Sentiero del Parco n. 10 . L’anello del sentiero 10, già coperto in passato, rappresenta un’escursione sempre gratificante pur se priva di vette.Una comodissima partenza (ore 13.40!) ci porta subito sulla ripidissima spalla della partenza, probabilmente il tratto più impegnativo di tutti i sentieri silani, e dopo un’ora al pratone sommatale, pacifico e rilassante, ove consumiamo i panini, ma senza molto appetito. Lì accanto sorge il rudere della Colonia Don Bosco: il sentiero continua placido (ore 15.45) in un bosco misto di quercia, faggio e pino nero, cosa eccezionale per la media della Sila. Alle 16.30 lasciamo la cresta e ci immergiamo nel fitto bosco, a destra. La direzione principale della cresta conduce invece a Cima Ripollata. Nel bosco attenzione ai segni: ben presto bisogna piegare a destra.Da questo punto in poi seguiranno una lunga serie di attraversamenti, ora divertenti ora un po’ più preoccupanti, lungo un primo fiumiciattolo e poi, dopo la confluenza con il Vallone Macchia, lungo il corso di quello che sarà il Neto. Alla confluenza ci si ritrova sopra una crestina netta e caratteristica, che è segnata dall’Albero-Nicchia, già visto e ricordato negli anni passati. Su una di queste sponde apparirà improvvisa, e perciò spaventando molti, una biscia d’acqua che pareva aver perso il controllo di sé.Il sentiero finisce per allinearsi alla statale, che compare alla vista più di una volta, ma che raggiungiamo solo dopo un bel po’ di tempo, verso le 18.00, quando si chiuderà l’anello.

Domenica 4 maggio . Ritorno in mattinata, per evitare il traffico del maxi-ponte.

Maggio 31, 2003 – sab. Anello con M. Cervialto, m. 1809 (Monti Picentini) Rosario [foto] Escursione “elettrizzante” condotta in una giornata che tendeva al cupo, ed insieme, al

drammatico. Buon esito, comunque, attenderà gli incoscienti partecipanti. Dopo il fallimento dell’8 febbraio, è stata finalmente portata a compimento la risalita sulla cima più alta dei Picentini, che ha funto anche da allenamento per una vicinissima escursione con tenda prevista sul massiccio del Pollino.Il sentiero (n. 13 carta dei Picentini, stavolta imboccato esattamente) si è dimostrato ben segnato e, anche se a volte sparisce sotto il bosco, non presenta alcuna difficoltà d’orientamento, soprattutto se si consultano le “Note illustrative” della carta, alle quali si rimanda per qualsiasi informazione. Completamente inutile, e quindi sconsigliata, risulta invece la carta stessa dal momento che il tracciato non corrisponde affatto al percorso reale.Partiti alle 9.50, dopo un tratto in salita sotto il bosco, abbiamo incontrato una prima sterrata in piano alle 10.25 (q. 1350 ca.): la si segue a sinistra per poco, fin quando non

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termina e si riprende a risalire, sulla destra (segni bianco-rossi. Attenzione: i segni da seguire sono sempre bianco-rossi, mentre frequentissimi e fuorvianti sono i tratti ed i numeri solo rossi presenti sui tronchi degli alberi). Dopo venti minuti un primo cupo tuono ci accoglie al Valico Giamberardino: da sinistra proviene l’ampia sterrata dell’omonimo vallone, a destra prosegue una mulattiera con i soliti ingannevoli segni rossi, mentre il nostro percorso continua dritto e leggermente a destra, su una mulattiera invitante e pianeggiante.Dopo un tratto praticamente ritagliato tra la fitta e arbustiva vegetazione, si giunge ad un secondo valico a partire dal quale si procederà (a destra) seguendo una blanda cresta. Come previsto dalle efficienti “Note alla Carta”, la traccia è netta all’inizio ma scompare del tutto più a monte. Solo lì abbiamo smarrito anche i segni bianco-rossi e siamo stati costretti a proseguire liberamente verso l’alto puntando all’uscita dal bosco. In questa fase è stata più volte suggerita la proposta di un dietro front, giustissimamente motivato dai continui rimbombi dei tuoni che, più o meno lontani, ci accompagnavano insieme con migliaia di affollatissimi sciami di moscerini e afidi, risvegliati dalle piogge e dalla primavera. Proprio all’uscita dal bosco sono stati riscoperti i segni e scovati – nello stesso tempo – un nevaio e la vista dell’anticima.Alle 12.05 siamo in cima al Monte Cervialto (m. 1809) e, dopo aver attraversato la dolina di vetta, alla seconda vetta (m. 1808) in compagnia di un parafulmine. Ed è stata proprio una saetta a spaventare i provetti escursionisti. Consapevoli dei rischi che derivano dalla micidiale combinazione di un fulmine e di una cresta (o di una cima), c’era l’intenzione di concedersi solo una brevissima pausa. Tuttavia la Cattiva Sorte ha provveduto ad accelerare, anch’essa, i tempi e proprio quando il Rosario si preparava a scattare una foto al sottoscritto, ecco che si materializza sotto forma di un fulmine, che cade nelle vicinanze: il parafulmine del Cervialto non riceve la scarica ma viene ugualmente coinvolto nell’elettricità dell’aria, prima aumentando il temibile ronzio e poi inondando i malaugurati presenti con una stranissima e spaventevole onda elettrica che, investiti i corpi, li ha fatti prima rabbrividire e poi surriscaldare. La corsa, matta e disperata, fu l’unica, naturale, meccanica risposta che i due hanno dato, mentre inutilmente cercavano di spiegarsi a vicenda quello che le loro membra avevano provato. Dopo pochi secondi, il solito cupo rumore d’un tuono cominciò a far quadrare i conti nelle menti dei poveri indifesi. Acquattati al margine del boschetto e al di sotto della linea di cresta, consumiamo rapidissimamente i panini e alla mezza siamo già di partenza.Il cielo nel frattempo si era un po’ rasserenato e ciò ci ha convinti a proseguire l’anello, che continua lungo la cresta SSW e quindi un po’ più esposti, piuttosto che tornare indietro. Il percorso è semplicissimo: terminata la cresta, si aggancia una sterrata (sulla carta: incrocio tra gli itinerari sci-escursionistici n. 8 e n. 9) all’altezza di un tornantone. A questo ne seguiranno altri due, continuando a scendere di quota lentissimamente, dopo i quali si giunge (ore 13.35) al Valico di Filicecchio: si tratta di un mega-incrocio a cinque vie, si prosegue diritto (ma i segni sono sempre presenti). Dopo altri due incroci (il primo a sinistra, il secondo a destra) e con l’arrivo della pioggia (che - dopo tanto rumore - finalmente si decise a bagnarci, ma solo un po’…), si giunge al Colle Leone (14.30) presso il quale termina l’escursione.Per completare l’anello resta soltanto di riallacciarsi all’auto, ore 15.15, contenti sì per la conquista della vetta, ma soprattutto per la riconquista - tutti sani e salvi - del Piano Laceno.

Giugno 6-7, 2003 – ven./sab. Massiccio del Pollino Rosario & Francesco, Paoletto [video & foto] Dopo una gran parlare, viene finalmente messa in atto la tanto agognata spedizione di

due giorni, con pernottamento in tenda, sulle cime del gruppo del Pollino. Le presenti note sono state tracciate a notevole distanza dagli eventi. Venerdì 6 giugno . Serra del Prete (m. 2180), dal Belvedere di Malvento.

Dopo aver coperto la distanza tra Cava ed il bel massiccio, giungiamo carichi di speranze ed aspettative sul Piano Ruggio e ci dedichiamo subito alla scelta del posto più adatto per montare, in serata, la tenda. Ci dirigiamo sul Piano di Visitone e, dopo breve sopralluogo, lo riconosciamo come nostra dimora per una notte.

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Alle 11.30 lasciamo l’auto sul Piano Ruggio ed imbocchiamo il chiaro sentiero A4 che ci porta al Belvedere del Malvento. Qui facciamo conoscenza con tre cani che, amor a prima vista, decideranno di seguirci per un bel po’ e dei quali uno, in particolare, merita una speciale menzione dal momento che senza alcuna pretesa, ma anzi tenendosi sempre a distanza, ha percorso con noi tutta l’escursione, fino al ritorno!Dal Belvedere l’attacco della cresta non è chiaro (infatti non lo abbiamo agganciato esattamente). Però al ritorno abbiamo potuto constatare che è possibile riconoscere una traccia piuttosto evidente proprio alle spalle del faggione mega-radicante posto dietro l’ultimo dei cartelli del parco. In ogni caso questo primo percorso sotto la faggeta è molto breve. Seguendo, senza possibilità d’errori, la cresta, si ritorna sotto un secondo tratto boscoso, da cui siamo sbucati alle 12.35. La risalita è lunga ma, fortunatamente, il sole non picchia duro dal momento che ci sono larghi strascichi di nuvole. Un interessante fuori programma è offerto dallo scatto, pesante ma pieno di decisione, del “capo” della banda canina alla vista di una saltellante lepre. Entrambi sono sfuggiti dalla vista, nascosti dietro la curvatura senza fine della cresta.Ed infatti senza fine, come già annunciato dai miei ricordi, risulta la Serra che, in quanto tale, è ricca di anticime e solo alle 13.50 raggiungiamo la vetta (Serra del Prete, m. 2180) dopo aver incontrato grigi nevai sulle doline terminali. Dopo quaranta minuti lasciamo la cima, senza aver goduto di grandi panorami a causa delle nubi, e si intraprende la lunga discesa che è univoca. L’escursione si chiude alle 16.25 ma ci attendono ancora: l’allestimento della tenda (gira e rigira alla fine ci piazziamo praticamente in vista del rifugio del Piano di Visitone), la preparazione del fuoco e quindi della cena, ed infine una notte rumorosa, fredda e umida.

Sabato 7 giugno . Doppio cappio stretto con Serra Dolcedorme (m. 2266), dal Colle dell’Impiso.La partenza dal Colle è alle 8.45, con un Paoletto in condizioni non buone tanto da spingerlo perfino a proporre un’attesa accanto all’auto, piuttosto che l’escursione. Alla fine si decise per un tratto (fino ai Piani) in comune.L’andata del percorso risulta molto suggestiva grazie ad uno splendido sole che dona colori accesi alla vegetazione: il verde chiaro del faggio, contro il bruno ed il rosso delle rocce per finire con l’intense chiome dei Loricati. Al primo Piano di Vacquarro c’è l’unico incrocio (si va a sinistra). Il secondo Piano, che comincia con un micro-guado, ci offre l’eccezionale pascolo di cavalli e puledrini, alcuni tanto alteri quanto avvicinabili. Dopo questo Piano seguiranno subito due tornanti, che fanno guadagnare quota, e – da questo punto in poi – comincerà il tratto più lungo che ci fa sbucare (dopo un finale sassoso) alle 11 sui beneamati Piani del Pollino (q. 1770 ca.).Dopo una mezz’oretta passata a guardarci intorno (Luca), a riconoscere profili studiati sulle carte (Rosario), a tentare di essere ingoiati dalle sabbie mobili (Francesco) ed a scegliere il posto adatto per fermarsi mentre gli altri proseguiranno (Paolo), i Paolillo Brothers partono alla volta della maggiore delle cime del Massiccio, attraversando i Piani e puntando verso la Sella Dolcedorme (sentiero B6). La Sella viene raggiunta in un’ora (alle 12.30) dopo un tratto, sotto un bosco ancora privo di Loricati, piuttosto impegnativo che si è concluso con la scoperta di un nevaio (a volte presente fino a luglio, dai racconti dell’Antonio) che ci ha costretti a operazioni delicate tra il contorsionismo e l’arrampicata. Parte quindi l’entusiasmante cresta, larga e panoramicissima, ricca di spunti sportivi e artistici, seguita senza molte difficoltà e con la sola accortezza di tenersi sulla sinistra per evitare l’inutile e difficoltosa Timpa di Valle Piana.L’ultima rampa è, come al solito e come nei migliori film mediocri americani, impegnativa e spezzafiato, almeno per il sottoscritto che riceve per l’ennesima volta molto “cuttone” da parte del fratello minore: alle 13.30 siamo i più alti dell’Italia continentale, dall’Abruzzo in giù (cima di Serra Dolcedorme, m. 2266). Purtroppo il tempo atmosferico, minaccioso già da prima grazie a remoti tuoni, ci consiglia di non sostare a lunga in vetta. E così discendiamo rapidi, consumiamo i panini al Passo di Vallepiana e poi continuiamo utilizzando all’inverso il sentiero B7 che si impianta sulla cresta nord della Serra e punta verso il Passo delle Ciavole. Qui troviamo il popolamento più ricco e maturo dei Pini Loricati che abbiamo incontrato in tutta la due-giorni. Ma qui, seguendo l’apripista Francesco (con pista sbagliata, però…), troveremo anche l’unico momento di smarrimento, voltando a sinistra un po’ prima di giungere al vero Passo.

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Comunque alle 15.30 ci ricongiungiamo all’arcistufo Paoletto, che temeva anche per l’imminente pioggia, e subito ripartiamo. Il ritorno sarà piuttosto lento e solo alle 17.20 entreremo nelle comodità e nelle grazie di un’automobile.

Agosto 21-26, 2003 – gio./mar. Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Antonio, Enzo Fiscone, Mauro da Fabriano [poche foto] Lungo soggiorno a Villa Scontrone (Aq), ospiti del dottor Giordano che ivi risiede

prestando servizio volontario presso l’ufficio forestale di Castel di Sangro. Giovedì 21 agosto .

Arrivo e sistemazione presso l’ariosa Domus Jordanea, in compagnia del già presente Mauro, vero ispiratore delle future serate enologiche.

Venerdì 22 agosto . Doppio cappio con Monte Marcolano (m. 1940) e Rocca Genovese (m. 1940 ca.) [con Mauro]. Utilizzando i sentieri T1, T4, T3 e T6 è stato coperto un lungo ma non faticoso percorso nella zona nord-occidentale del Parco. Partendo alle 8.50 dal Rifugio del Diavolo (km 34, Statale Marsicana - N. 33) si percorre la sterrata, tra l’altro ancora carrozzabile, fino alla barra con i cartelli di accesso agli itinerari (segno T1) e, poco dopo, un primo bivio che separa il sentiero T3 (a sinistra) dai sentieri T1+T4 (a destra). Tutti i percorsi, così come gli incroci, sono puntualmente segnati di rosso, a dispetto della bassa qualità delle informazioni fornite invece dalla carta turistica del Parco. Continuando verso destra siamo arrivati, alle 9.20, al successivo incrocio: a destra T1 (che porta alla Cicerana) e a sinistra T4, che abbiamo intrapreso arrivando, dopo un po’, ad uscire dal boschetto di faggio piuttosto giovane. L’uscita è segnata da belle Rudiste, abbondanti anche per tutto il resto del percorso e, in genere, un po’ ovunque lungo i sentieri del Parco. Continuando in falsopiano o in leggera salita si arriva (un’ora dalla partenza) al terzo incrocio che separa, a sinistra, il sentiero T6 e, a destra, il T4 che utilizziamo e che ci porta, alle 10.30, a Camposecco.Qui è possibile riconoscere la cima del Marcolano e, durante una breve pausa di 5 minuti, sono stati ritrovati indubbi escrementi di lupo. Alle 10.55 siamo sulla sella e puntiamo verso ovest (a destra) seguendo la cresta e giungiamo così in vetta (M. Marcolano, m. 1940, ore 11.15).A proposito della cima è da notare che sulla carta il punto trigonometrico è posto sulla vetta posta più a meridione, ma in realtà risulta sicuramente più alta la cima nord (quella che è stata raggiunta). La posizione del toponimo sulla carta non lascia purtroppo ben intendere quale delle due vette sia, ufficialmente, il Monte Marcolano.Lasciamo il monte alle 11.40 e a mezzogiorno ripassiamo per la sella, chiudendo il cappio superiore, e proseguendo verso est giungiamo su Rocca Genovese (m. 1940 ca., ore 12.25) su cui consumiamo i panini. All’una partiamo dalla cima continuando la cresta a est, ma lasciandola per scendere a destra – liberamente senza sentiero – verso la sella di Sorgente Puzza (e non troviamo né l’una né l’altra…) che attraversiamo all’una e mezza. Subito si incrocia un sentiero: a destra T3, che imbocchiamo, e a sinistra la fine del B2 (che è segnalata da un cartello). Più in basso, spostandosi sempre sotto bosco, arriviamo all’incrocio T6 (a sinistra, prescelto per chiudere il circuito) con lo T3 (a destra). Il cappio inferiore (bivio T4 – T6) viene chiuso alle 14.40, alle tre si ripassa per il T1/T4 e alle 15.15 per il T3/T1+T4. Concludiamo la prima giornata escursionistica alle 15.30, ritornando all’auto.

Sabato 23 agosto . Circuito aperto con Monte Meta (m. 2242). [con Antonio, Enzo e Mauro]La risalita al Meta è stata effettuata utilizzando il sentiero L1, per la discesa l’M1. Partenza da Rifugio Campitelli (un’altra auto è stata lasciata nell’adiacente Valle di Piano delle Forme) alle 8.35. Subito dopo la partenza, ad un incrocio, dirigersi a sinistra, in salita. Il sentiero è una carrareccia sassosa e scomoda che abbiamo condiviso con vacche che la discendevano. Dopo un’ora esatta siamo usciti dal bosco: comincia una parte più impegnativa e, per la splendida giornata, sotto un cocente sole. Alle 10.45 siamo a Passo Monaci e ci concediamo cinque minuti di pausa, dopo la quale si intraprendono gli ultimi 300 metri di dislivello per giungere alla meta Meta.

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Con gran fatica, ma senza lasciarsi vincere dall’affanno, conquistiamo la vetta (Monte Meta, m. 2242) alle 11.30. Dopo la meritata pausa per la colazione, lasciamo la cima (ore 12.20) e lo splendido panorama anche per un incipiente maltempo. Infatti da Passo Monaci (ore 12.50) in giù (prendiamo il sentiero M1 che punta alla Val Pagana) rombi lontani ci faranno compagnia fino alla fine. All’una e mezza entriamo nell’ottimo bosco della Valle, maturo e ricco, e perdiamo rapidamente quota.L’arrivo è anticipato dalla comparsa di un recinto e dai segni rossi un po’ più difficili da seguire ma, comunque, sempre presenti. Sbucati nel picchenicchettaro prato di Piano delle Forme alle 14.20, l’escursione non risulta conclusa dal momento che il Mauro ha dimenticato le chiavi della sua auto, lì presente, nell’auto dell’Antonio. Morale: il circuito aperto si trasforma in anello e, sotto rade e sottili goccioline di pioggia, ci ricolleghiamo – su asfalti e tagli di tornanti – al punto di partenza. Sono le 15.15 e, personalmente, sono molto stanco.La serata sarà la migliore anestesia per tale giornata grazie al Nero d’Avola, al Genepì, alla Grappa ai frutti di bosco, eccetera, eccetera, eccetera…

Domenica 24 agosto . Dopo aver salutato il Mauro i tre citazionisti si concedono un giro turistico che li vede a Pescocostanzo, Campo di Giove, Bosco di Sant’Antonio. Vengono osservate e apprezzate le lunghe dorsali del Monte Pizzalto e, soprattutto, della cresta che dal Monte Porrara porta al Monte Amaro della Majella.

Lunedì 25 agosto . Monte di Valle Caprara (m. 1998). [con Enzo] Ultima escursione, aggiunta all’ultim’ora, del soggiorno presso la Domus Jordanea, di nuovo nel settore nord-occidentale del Parco, utilizzando il sentiero B2.L’attacco (ore 8.40) è nei pressi delle sciovie di Pescasseroli, esattamente alle spalle di un parcheggio per camper. Parte a destra della cresta che separa il Vallone Cavuto (che verrà percorso) dal Vallone Schiena Cavallo: la cresta sembra proprio nascere dal pianoro ed il primo segno è un po’ infossato, in un gretino. Si incontra subito una fonte e una serie di muretti di riempimento che ci accompagneranno per la prima parte del Vallone. Il bosco è molto bello, a tratti maturo e naturale, ricco di aceri e maggiociondoli. Nel seconda e terza parte il sottobosco è particolarmente abbondante di fragole (ma purtroppo neppure di uno dei loro falsi frutti…). La terza parte è caratterizzata da un’impennata del sentiero, che procede più erto e, a volte, a zigzag, e dal fatto che si sposta sul versante sinistro del Vallone (finora si era rimasti a destra, salendo, oppure sul fondo). La presenza di “finti” bivi che si riallacciano non mette dubbi sul percorso che, come sempre, è ben segnato.Alle 12.20 siamo alla Sella di Lampazzo (superandola si scenderebbe alla Sorgente Puzza dell’escursione del 22 c.m.), presso la quale ci concediamo ben venti minuti di pausa, impiegati – tra l’altro – ad osservare i numerosi lepidotteri presenti sulla radura della sella, grazie ai quali le è stato conferito anche il nome di Prato delle Farfalle.Ci spostiamo liberamente a destra ma ben presto troviamo che anche su questo tratto (ufficialmente non è un sentiero, ed infatti non è segnato in tal modo sulla carta) vi sono i segni rossi che menano alla cima. Usciamo definitivamente dal bosco e agganciamo la blanda cresta. La cima risulterà essere una sorta di serra: la prima cima che incontriamo (ore 11.25) è in effetti la più bassa di un ravvicinato gruppo di tre, delle quali l’ultima è la vera vetta di Monte Valle Caprara (m. 1998) , che viene raggiunta alle 11.50.Una splendida vista ci addolcisce i panini. Soprattutto verso nord, dove – a partire da sinistra – distinguiamo: lo Schienacavallo che confluisce alle due anticime del Valle Caprara, uniti dal Prato delle Farfalle, appena nascosto; sotto di noi possiamo vedere i circhi glaciali del versante nord del nostro Monte, più avanti i familiari Marcolano e Rocca Genovese e, più in fondo, il Velino che è separato – prospetticamente – dal Sirente per la presenza del caro Monte Turchio; ancora più in fondo e a destra si riconosce, inconfondibile, la mole del Corno Grande.Alle 12.30 lasciamo la vetta, con il tempo che – come d’abitudine in montagna – già mostra segni di cambiamento. Ed infatti al Prato delle Farfalle (ore 13) incontriamo un po’ di pioggia. Il ritorno nel Vallone è rapido e alle 14.10 siamo all’auto.

Martedì 26 agosto . Riposati ben bene, gli allegri compagni del gentile Antonio ringraziano e salutano il loro caro forestale partendo in mattinata da una grigia Castel di Sangro.

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Settembre 3, 2003 – mer. Oasi WWF di Persano. Rosario & Elena Desiderosi di fare una passeggiata e di osservare e riconoscere gli uccelli che vivono

sulle sponde del fiume Sele, siamo stati – anche se solo per mezza giornata – nella nota Oasi del WWF che sorge a Persano muniti di binocolo e guida agli uccelli.La passeggiata è stata brevissima e finalizzata soltanto al raggiungimento dei capanni per il birdwatching, e si è snodata sul sentiero che borda la riva sinistra del Sele (ove sorge anche il Centro Visite), su una divertente stuoia di legnami.Nel complesso l’utilissimo, pur se breve, appostamento ci ha permesso di riconoscere: due Aironi cenerini (grigi, collo lungo e ciuffo nere sulla testa, becco lungo, remiganti primarie nere - nascoste quando l’ala è ripiegata a riposo), una Garzetta (becco più corto e sottile, completamente bianca, fuorché il becco e l’occhio che sono scuri come le zampe, che però portano anche inequivocabili “calzini” gialli), numerose femmine di Germano reale (coda bianca breve e sottile, banda viola bordata di bianco sulle ali), ancor più numerose Folaghe (completamente nere oppure più grigie inferiormente, becco e fronte caratteristicamente bianchi; se spaventate correvano sull’acqua anche se poi non spiccavano il volo), numerose ed indeterminate anatre di superficie e tuffatrici, un Martin pescatore (blu elettrico sul dorso, arancio inferiormente), una piccola civetta (che era nascosta a riposare nel gabbiotto numero sette…), una femmina di Falco di palude (che si è adagiata a pochi metri da noi – sempre nel punto d’osservazione n.7 – ed ha mostrato un abito completamente bruno, molto scuro, eccetto la gola e il vertice del capo: avana chiaro leggermente screziato). A tutto ciò vanno doverosamente aggiunti la biscia (?), la talpa morta e le più che abbondanti lucertole osservate lungo il percorso o sulla riva del fiume.Bisognerà di sicuro farvi ritorno quando il Sele avrà più acqua!

Settembre 5-6, 2003 – ven./sab. Anello con Corno Grande, m. 2912 (Gran Sasso d’Italia) Rosario, papà Gerardo & Francesco, Antonio & Francesca, Fabio Villani ed Enzo Fiscone

[foto e video] Storica ascensione al Tetto d’Italia da parte di un ottetto d’escursionisti fra cui si

annoverano i Paolillo Bros. con il loro genitore paterno. La partenza da Cava è avvenuta nel primo pomeriggio di venerdì, c’è stato poi un pernottamento in tenda che ha permesso all’alba del sabato di intraprendere la rispettabile escursione.Arrivati ad Assergi, i Paolillo si sono accomodati presso il campeggio Gran Sasso, Fabio-Enzo hanno atteso la coppia Antonio & Francesca (insieme alla quale si sono poi sistemati liberamente con le tende in un angolino di Campo Imperatore) ed infine – tutti insieme – siamo stati ai tavoli dell’ostello di Campo Imperatore per una buona cena. Gli ampi spazi di questo pianoro e l’imponente mole del Corno Grande, che sbuca all’improvviso e improvvisamente si nasconde, fin da questa prima mezza giornata hanno meravigliati i partecipanti, colpiti dall’aspetto alpino, più che appenninico, di quella regione.Sabato mattina la partenza verso la massima cima dell’Appennino è avvenuta alle 7.45, con il sentiero in salita ed evidentissimo che accarezza l’osservatorio astronomico. Dopo un tratto pressoché in piano si deve guadagnare quota, tramite un breve zigzag, per sbucare (dopo 45 minuti) alla sella Monte Aquila da cui si ha una bellissima visuale sul sottostante Campo Pericoli e sui monti, finora nascosti, che lo circondano (Portella, Intermesoli). Il tempo, inizialmente nuvolo, cominciava a promettere bene.Pochi metri dopo la sella il gruppo si è diviso: i Paolillo Bros. a sinistra (verso la Normale e la Cresta Ovest) i restanti quattro a destra (verso la famigerata Direttissima). Per noi il percorso continua in piano bordando il bel Campo ricchissimo di piccole doline (sul fondo delle quali c’era anche qualche piccolo nevaio!) e di numerosi fiori, tra cui le campanule. Segue un primo ghiaione, dopo il quale c’è l’incrocio (ore 9.25) tra la vetta (destra) e la ferrata Brizio (sinistra). Il sentiero continua a prendere quota e finalmente, ore 9.40, giungiamo in vista del finale e della cresta (Sella del Brecciaio ?) dove si distinguono i due itinerari: a sinistra si va’ per la Normale, a destra per la Cresta Ovest.Cresta che, come da programma, viene scelta. Ma si rivelerà molto più aerea del previsto, costringendo i Bros. & Father ad una cautela massima oltre che a necessarie

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soste per riprendersi dallo stress mentale (prima che fisico) dell’essere in posizioni precarissime. Più volte, lungo il percorso, è stato ribadito che l’alternativa Normale era da preferire. Anche il tempo, ritornato nuvoloso, minaccioso ed infine piovigginoso, ha contribuito ad aumentare la tensione della conquista. Eventuali fasi di tranquillità sono risultate purtroppo momentanee, spesso interrotte subito da punti esposti o da passi attrezzati con ferrate.Infine, a tre ore e mezza dalla partenza e sotto una pioggerellina, raggiungiamo la vetta ancora un po’ scossi, tanto da non apprezzare a pieno il nostro primato (Corno Grande, m. 2912) e - purtroppo – senza neppure poter apprezzare il panorama, in parte nascosto dalle nuvole. Lo stesso Calderone sarà visto di sfuggita mentre discendevamo: minimo. La sosta in cima è ugualmente minima, dieci minuti: i compagni d’escursione erano presenti già da un po’ ed il tempo non prometteva bello.Alle 11.25 siamo dunque già di ritorno. Partiamo insieme ma lungo il sentiero il gruppone si sfilaccerà di nuovo come all’andata (4 + 4). Viene utilizzata, su nostro desiderio, la Normale (che si unisce alla Cresta Ovest poco sotto la vetta): un lungo e lento ghiaione (rallegrato dai bellissimi squarci che ogni tanto s’aprivano intorno e dalla scoperta di alcuni arrampicatori sulle pareti del vicino Corno Piccolo) che ci porta a chiudere il cappio alle 12.50. Dopo un quarto d’ora siamo all’incrocio per Brizio e dopo un’ulteriore ora (14.05) all’incrocio della separazione mattutina (Direttissima vs. Normale-Ovest). L’attraversamento del Campo Pericoli è piacevolmente rallentato da numerosi Gracchi corallini, intenti ad infilzare i loro aranciati becchi nell’erba, e da ancor più folti stormi di Fringuelli alpini (riconoscibili dal capo grigio e dalla coda che appare bianca ma, aperta in volo, mostra una striscia nera nella parte centrale), presenti e già visti fino in cima!L’escursione si conclude alle 14.50 con il rientro nell’ostello di Campo Imperatore: qui qualcuno si riscalderà con cioccolata o latte e qualcuno mangerà il panino (che altri hanno consumato durante la breve sosta in vetta o durante la discesa). Ma la giornata non è conclusa: mentre c’è chi si vuole fermare lungo il Campo Imperatore, i Paolillo di concedono una breve visita alla città de L’Aquila.

Settembre 13, 2003 – sab. M. Finestra (cima sud), m. 1145. Rosario & Francesco [video e poche foto] Spedizione sulla Montagna di Cava che aveva lo scopo di valutare da vicino l’entità dei

danni causati dall’immane incendio che nei giorni 17, 18 e 19 agosto c.a. ha imperversato in lungo e largo a ridosso del versante sud-occidentale del Finestra, soprattutto tra le località chiamate S. Maria e Fra Francisco sulla carta dei Lattari.Partendo alle 7.30 e utilizzando il sentiero n. 8, siamo arrivati all’incrocio con il Sergio Rosa dopo venti minuti e dopo ulteriori dieci minuti al rifugetto di Santa Maria. Continuando sul sentiero che comincia a diventare più erto, cominciamo a trovare macchie sempre più ampie di macchia mediterranea bruciata. Alcuni punti sono già del tutto privi di vegetazione viva, come ad esempio subito dopo la Portella della Foto con Carta (n.b. toponimo – come i prossimi - già in uso per la nostra Montagna Sacra), ma è soprattutto a monte dello Spuntone Belvedere (ore 8.45) che troveremo i tratti più devastati dall’incendio. Colà ben poco dell’originale bassa e intricata vegetazione resta, al suo posto solo arbusti carbonizzati e rinsecchiti e foglie cotte o bruciate e rocce nere e puzza di cenere bagnata. Non sono tardate a comparire nemmeno le classiche e pericolosissime conseguenze degli incendi: sono stati ritrovati alberi bruciati che avevano già perso la presa sul suolo e giacevano inclinati o anche già del tutto divelti dal terreno. In particolare tra I get up I get down e lo Spuntone Belvedere numerosi alberi, probabilmente con la complicità del vento, si sono riversati sul sentiero rendendo difficoltoso il procedere. A questi timori si aggiunga anche che un paio di tratti in piano, che si spiegano su stretti sentieri non rocciosi, sono ugualmente a rischio dal momento che manca la vegetazione, e quindi la funzione di rinforzo delle radici: già solo con il semplice calpestio tali tratti su terreno saranno col tempo soggetti a franare ad a ridursi, poiché cederanno verso valle.Solo dopo il Passo Pietro Galdi ci lasciamo alle spalle le bruttezze di un incendio, poiché si passa alla “metà” destra della Montagna dove il fuoco non è giunto. Alle 9.25 siamo alla Finestra, che ci trattiene solo per cinque minuti perché subito puntiamo alla vetta sud, raggiunta rapidamente alle 9.40 (Monte Finestra – vetta sud, m. 1145).

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Lassù ci consoliamo dalla desolazione della brulla e grigia risalita perché grazie ad un fortissimo vento la visibilità è ottima: tutta la costa del Golfo di Salerno fino ad Agropoli, sospinta dagli Alburni e dai Picentini, la Costa d’Amalfi ed il resto dei Lattari (Tre Pizzi, Cerreto…), Napoli ed un brandello del suo Golfo, sotto gli occhi di un pigro Vesuvio, il brulicante agro. Ad arricchire il panorama giunge anche la Natura, che pare invocare simbolicamente una forte rivalsa contro la stupidità piromane dell’uomo, sotto forma di un nobile quanto indeterminato grosso e bruno rapace e di una coppia di Cornacchie nere, che gracchiano la loro protesta. Profeta di tale rito, nella mattinata un altro rapace che spiritosanteggiava (e quindi probabilmente un gheppio) aveva già fatto la sua comparsa.Lasciamo la vetta quando mancano cinque minuti alle dieci, consumiamo la piccola colazione presso la Finestra e alle 10.30 ci ributtiamo nel Canalone. Discendendo useremo la variante che passa vicino alla fonte di “Pantaniello ‘e l’avese”, piuttosto che ripassare per lo Spuntone Belvedere e per la zona con gli alberi abbattuti. L’incrocio per Pantaniello è doppiato alle 11.15 e, dopo mezz’ora, siamo a S. Maria. La perlustrazione termina alle 12.05 dopo essere sbucati al tornante più alto della strada che porta al Casone.Sulle nostre vesti e nei nostri cuori graffi neri di fuliggine. Lo stesso nero che ricopriva tutte le poche lucertoline e i pochi grilli visti sulle spoglie rupi.

Ottobre 10-12, 2003 – ven./dom. Isole di Ponza e Zannone (Arcipelago Pontino e Parco Nazionale del Circeo) Natalia & Benigno [foto] Con lo scopo di aiutare la tesista Natalia al suo primo utilizzo di strumenti biostratigrafici

quali la geobussola e l’asta di Jacobs, viene effettuata questa escursione sull’isolotto di Zannone. Per quanto effettivamente breve, l’escursione non risulta rapida ma anzi necessita di tre giorni a causa dei radi collegamenti marittimi che ci hanno imposto di raggiungere in serata (10 ott.) il campo base di Ponza per poter poi avere un’intera giornata (11 ott., della quale solo si dirà) a disposizione per arrivare a Zannone e tentare il campionamento. La mattina del 12 è stata usata per un ritorno con partenza antelucana. Il giorno dell’escursione sul campo (11 ottobre) è trascorso molto velocemente.

Utilizzando una barca privata siamo stati lasciati, molto in ritardo rispetto alla previsione, sull’unico approdo che l’isolotto di Zannone offre, il Varo, che trovasi esattamente al punto opposto rispetto alla scogliera da campionare (zona della Ghiaia). Siamo stati quindi costretti ad attraversare l’isola (non è possibile giungervi spostandosi lungo la costa…) risalendo ai ruderi del convento (presso il quale, al ritorno, incrociamo l’unico altro essere umano), evitando la cima Pellegrino ma passandovi poco sotto ed entrando nel valloncello di lecci che punta a S-E. Solo qui perdiamo i segni (finora presenti anche con indicazioni scritte) ma la direzione generale ci porta ben presto sul sentiero che ci serve: giungiamo così al punto che, sulla carta, sembrava (ed in effetti è così) l’unico che permette di calarsi sulla sottostante spiaggia sassosa, tra Punta Lauro e Cala dell’Acqua.Comincia l’analisi delle rocce e dopo i diffusi tufi, qui segnati come lipariti, giunge in bella mostra e in compagnia di una faglia il sospirato triassico. Cerchiamo le benedette dasycladali ma i calcari dolomitizzati e spesso fittamente fagliati non ne offriranno molte. Per di più l’aspetto intensamente tettonizzato della serie non permette l’uso dell’asta (condicio pro qua veni) né la bussola viene utilizzata dal momento che si decide di cercare senza sosta (come da disposizioni superiori) nel detrito che sta alla base della falesia campioni sciolti contenenti alghe. Ciò in definitiva non ci fa’ eseguire la serie.Carichi di pochi ma comunque pesanti campioni torniamo indietro. Faticosa risulterà la risalita al sentiero, ed estenuante il restante percorso. Le braccia si riposeranno solo a sera, dopo aver portato gli zaini fino a Ponza e - precisamente - a Le Forna, dove soggiorniamo. Di Zannone ci resterà il fascino dell’isola deserta, l’odore intenso e a tratti pungente della flora mediterranea, i rumori nella lecceta e la vista – da lontano – di mufloni sfuggenti abbarbicati sulle verticali rocce della costa nord-orientale.

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Ottobre 24-27, 2003 – ven./lun. Villaggio Pino Grande (Sila Grande) Antonio, Fabio Villani, Enzo Fiscone, Miriam [foto] Fine settimana “allungato” nella silana casa del Giordano, ospite magnanimo e micofilo.

Oltre agli intenti escursionistici, molto forte – in tutti i partecipanti – era anche il desiderio di vedere, riconoscere, raccogliere, preparare, cucinare e infine mangiare tutte le possibili specie di funghi mangerecci. Venerdì 24 ottobre .

Con partenza nel pomeriggio ed arrivo in serata il trio Luca-Fabio-Miriam raggiunge il resto della spedizione che, con poco anticipo, si era già recata in terra calabra.

Sabato 25 ottobre . La giornata era destinata alla immane raccolta fungina, sì come promessa dal tenutario Giordano dott. Antonio. A tal uopo ci rechiamo in una chiazza di faggi, nascosti alla vista dai pini, che si trova a valle della strada nella zona del contatto extraterrestre. Purtroppo pochissimi sono i ritrovamenti…Dopo aver consumato la colazione lungo la strada, decidiamo di riscattare la giornata grazie alle sempre presenti castagne e così ci rechiamo a monte dell’abitato di Savelli, tra i ricchi castagni che si trovano lungo la strada: ottima raccolta!

Domenica 26 ottobre . Circuito aperto con Colle Napoletano , Serra Ripollata (m.1682) e Cozzo del Principe (m.1629). Il percorso coperto per questa escursione è identico a quello effettuato il 2 maggio c.a., a cui si rimanda per confrontare e completare. Solo la parte finale è leggermente diversa.Partenza dal Centro Visite del Parco (sentieri 1 e 7), solito passaggio per i recinti faunistici e si prosegue fino all’incrocio delle quattro vie. Svolta a sinistra per il n. 6 (all’incontrario) per arrivare alla casupola e alla sterrata di Colle Napoletano. La si segue a destra ma subito la si lascia imboccando i segni bianco-verdi dell’ippovia (sulla destra) che a volte fa anche ritorno sulla sterrata. L’ippovia porta su una nuova sterrata con cartelli che segnano per la Zarella (a destra) e per Macchialonga (a sinistra). Si sceglie quest’ultima per giungere fuori dal bosco e, subito dopo, in cima alla Serra Ripollata (m. 1682).Subito scendiamo liberamente verso nord e nord-nord-est, diretti al Laghetto dei Ranocchi, presso il quale consumiamo la colazione. Proseguiamo ancora liberamente verso nord, superando recinti di filo spinato, agganciamo una sterrata che subito viene abbandonata per proseguire, con debole traccia, verso sinistra – già quasi in vista di Cozzo del Principe che non viene però conquistato.Da questo momento in poi si continua con grande libertà di direzione. Nei pressi di una piacevole conchetta si tende verso destra perché si vuole giungere subito sul sentiero n. 2: probabilmente imbocchiamo il vallone del Vivaio che ci conduce sul n. 2 quando questo è ancora molto a valle [nell’escursione del 2/5 c.a. a questo punto ci siamo mantenuti più verso la sinistra con l’effetto di agganciare il sentiero quando è più in quota e più vicino alla cima, allorquando passa a mezza costa sul versante settentrionale del Cozzo del Principe]. Una volta piombati sul l’itinerario n.2, voltiamo a destra, accarezziamo i recinti del vivaio e giungiamo all’auto parcheggiata lungo la strada in mattinata.Numerosissimi sono stati i funghi ritrovati: mazze di tamburo, vesce, rositi, ecc… Tutti cucinati e mangiati per la cena.

Lunedì 27 ottobre . La giornata è stata impiegata per il ritorno alle rispettive abitazioni.

Novembre 15, 2003 – sab. Sentiero n.16c, (Monti Picentini) Barbara [poche foto] Brevissima escursione lungo il sentiero che porta

ai Monti Licinici, con l’intento di conoscere e riconoscere specie vegetali arboree.

Novembre 31, 2003 – dom.

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b

c

Caruso Pannera

b: area bombic: caprioli

n. 3n. 2

vecchi segni

n. 4

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Parco Naturale Diecimare Rosario. Con lo scopo di osservare e riconoscere molti uccelli in natura, ci siamo recati muniti di

binocolo presso il nostro vicino Parco WWF di Diecimare.Partiti alle 10.00 dal centro visite del Parco, decidiamo di seguire il sentiero 3 che parte a destra dell’area dei bombi (b): questo sentiero borda a monte il primo tratto del sentiero natura del quale è visibile il primo tornante) e, attraversato un vallone e risalendo al versante opposto, passa adiacente al recinto di caprioli (c). Si sale quindi di quota molto decisivamente per arrivare al valico di Santa Lucia (m. 642): ci immettiamo, di conseguenza, sul sentiero n. 4 e, (ore 10.55) andando a destra verso sud giungiamo al roccione della Pannèra (ore 10.55), su cui due responsabili del Parco tengono d’occhio una battuta di caccia al cinghiale vigilando che non entri nei confini del Parco.Già qui riusciamo a vedere una coppia di corvi imperiali e, invitati anche dagli addetti, facciamo dietrofront per puntare sulle più proficue (per il birdwatching) spalle del Monte Caruso. Ripassati per il Valico, continuiamo sul 4 (direzione nord) che si mantiene più o meno a quota costante alla base del brullo Caruso. Dopo poco però il sentiero segnato viene smarrito, ecco il perché…: in corrispondenza di un incrocio si ritrovano segni più recenti che puntano in basso verso sinistra e segni più vecchi che proseguono diritto, a destra. Abbiamo proseguito diritto (non avendo visto gli altri, che saranno riconosciuti solo al ritorno…), ma si tratta si vecchi segni abbandonati che – dopo un po’ – si disperdono completamente. Nel frattempo altri rapaci, di dimensioni maggiori, sono stati osservati, ma sempre in numero ristrettissimo e senza poterli riconoscere. Decidiamo di far ritorno (solo mezza giornata è destinata all’escursione) e ripercorrendo i nostri passi abbastanza liberamente riusciamo a ritrovare i segni e, visto il suddetto incrocio, a ricostruire le vicende.Il quattro continua perdendo subito quota tramite corti o cortissimi zig-zag, fino ad allacciarsi – molto più a valle – al n. 2 che, prima con tornati e poi in tranquillo piano, giunge all’aula nel bosco ed al Centro Visite.

Dicembre 13-14, 2003 – sab./dom. Anello composto nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Antonio, Fabio Villani ed Enzo Fiscone. Fine settimana nella fredda Villa Scontrone, ospiti della coppia comproprietaria

Giordano-Fiscone. Il sabato è stato utilizzato soltanto per il viaggio pomeridiano e per la cena, che - non ottima – è stata impreziosita dall’ottima compagnia.L’escursione di domenica 14 (partita con ampia comodità alle 11.30) si è svolta a quote basse (anche in virtù della grave mancanza dell’Antonio che non aveva con sé gli scarponcini) nella zona compresa tra Villetta Barrea e la Camosciara, sui sentieri H3, G2, G1, G4 e I2. Il ritmo è stato blandissimo dal momento che era intenzione di tutti godersi le circostanti roccaforti innevate e gli squarci ora bui ora luminosissimi dell’ambiente invernale, ma anche perché tutto il percorso si è dimostrato fangoso fino alla noia. Partiti sul sentiero H3, che si stacca ben presto sulla destra della strada che collega Villetta Barrea a Civitella Alfedena, abbiamo attraversato (dopo mezz’ora di cammino) il confine H3/G2 dal quale, per la prima volta, è visibile il bell’anfiteatro della Camosciara. E’ quindi seguita una serie di piccoli e medi ripiani, in leggero declivio, aperti e prativi, spesso letteralmente devastati dallo scavo di cinghiali. I segni rossi del parco (per il resto sempre visibili) sono sembrati un po’ carenti solo nel primo di questi pratoni, presso il quale conviene curvare a destra, leggermente in discesa.Dopo un’ora e tre quarti dalla partenza siamo (ancora…) all’incrocio G3/G2: proseguiamo sul G2 (destra) e, dieci minuti più avanti, passiamo sul ponticello di legno (ma con struttura in ferro) che supera il torrente Scerlo, il rio della Camosciara. L’ambiente piacevolissimo e l’ora ci hanno spinti alla colazione a sacco che ci ha tenuto occupati fino alle 14.10. Continuiamo sull’asfalto della strada che mena al piazzale della Camosciara (in pratica è il sentiero G1) mentre l’improvviso calare del sole dietro i torrioni fa crollare la temperatura a circa 4°. Prendiamo subito a sinistra il sentiero G4 che guadagna un po’ di quota a tornanti: speravamo di uscire fuori dall’argillaccia fangogena, ma scopriamo che il terreno era ovunque ricco d’acqua. Alle 16.00 siamo a Colle Jajacque (trivio G3-G4-I2), uno slargo insolitamente aereo, quasi desolato, segnato da una fonte per gli animali e da un enorme blocco triangolare che sporge dal suolo: su

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di esso si sofferma il Villani, il quale ci annuncia che è un cuneo di breccia bordato da più piani di faglia, mentre le sue paretine vedono il Giordano che s’arrampica con abbondante diletto. Terminiamo l’anello proseguendo sul sentiero I2, che ci porta alle case della graziosa Civitella Alfedena, graziosa e gentile perché ci offre anche la visione – in un’atmosfera sempre più notturna – di un bell’esemplare di cervo femmina che, a dimostrazione della bontà e tranquillità dei luoghi, camminava serenamente tra gli alberi e gli arbusti a valle del piccolo abitato, molto vicino alle case ed alle poche automobili di passaggio.Chiudiamo l’anello alle 17.05, pronti al ritorno dopo un breve ma ottimo fine-settimana.

Gennaio 24, 2004 – sab. Circuito aperto con M. Sant’Angelo a Tre Pizzi, m. 1440, e Sentiero degli Dei

(Lattari) Antonio & Francesca, Fabio Villani & Enzo Fiscone, Mauro da Fabriano, Pompeo [una jpg

+ una foto] Amplissimo e ricco circuito che ha interessato la vetta più alta ed il più famoso sentiero

dei nostri beneamati Lattari, in compagnia di una felicissima compagnia di escursionisti affiatati e d’avanzata esperienza. Il percorso ha seguito numerosi sentieri: il raccordo n. 67, l’Alta Via, il sentiero n. 50 (pro parte), di nuovo lo 00, il n. 29 p.p. e, dopo un tratto su asfalto, il sentiero 27 (altrimenti detto degli Dei).La partenza è alle 9.15 da Agerola (q. 710 ca.) utilizzando il raccordo 67 che in mezz’ora ci porta alla cresta e ad incrociare l’Alta Via che si seguirà a sinistra, verso ovest. Poco dopo (9.55) si incontra una casupola da cui si gode un ottimo panorama verso nord e, poco più avanti, uno slarghetto presso il quale i segni rossi menano a destra verso il prospiciente Colle Sughero.Una volta raggiunto tale Colle (m. 1062, un’ora e dieci dalla partenza) si comincia a perdere un po’ in quota ma si guadagna un bellissimo sguardo su tutto il fronte settentrionale dei Tre Pizzi (e tra l’altro si delinea la strada che ci attende a venire, la quale supera a destra il dirimpettaio Colle Garofano e l’ancor più evidente cresta che da esso parte e che punta verso la Montagna di Mezzo dei Pizzi: sembra quest’ultima la via che ci attende, in virtù della chiarezza del suo percorso, ma in realtà il sentiero continuerà – come vedremo e come già detto – alla sua destra a quote costanti costeggiando tutto il versante settentrionale del Monte Sant’Angelo, per risalire in vetta da ovest).Alle 10.50 finisce la perdita di quota e, come previsto, ci si sposta verso destra proseguendo su roccette ed entrando nella zona in ombra (versante nord) del massiccio. Il termometro del Dott. Giordano crolla subito a -4.8°C. Poco dopo, in mezzo al giovane boschetto, in corrispondenza di un blando incrocio, il gruppetto Luca-Antonio-Fabio-Enzo intraprendono la strada sbagliata: bisogna andare a destra, in leggera discesa. I segni sono, comunque, presenti anche se solo più avanti. Il lungo traverso (direzione prevalente: ovest) continua fino (ore 12) ad uno spuntone belvedere roccioso dopo il quale comincia un’erta salita che in dieci minuti ci porta all’incrocio con il n. 50. E’ questo un tornante molto pronunciato che ci fa ruotare di 180 gradi (direzione prevalente: est) e che passa poco lontano dalla strada asfaltata che conduce al crestone del Faito.Segue quindi una ringhiera che ci fa affacciare sulle sottostanti valli che abbiamo appena percorso, quindi un grazioso grottino con fonte gelata ma funzionante e quindi, infine, si accentua un’erta piuttosto lunga, lungo la quale ritroviamo la neve più abbondante e la minima più minima della giornata: -5.5°C.Si sbuca così al secondo incrocio - laddove il n. 50 lascia l’Alta Via - che segna a sinistra per il Molare e a destra per la Conocchia, incrocio già attraversato il 6 ott. 2001 (e lì descritto come… “bivio per il sentiero 50”). Continuiamo a sinistra passando subito attraverso il Passo di Gustav Malher e risalendo l’ultima erta, tra neve e mare.Raggiungiamo la vetta (M. San Michele di M. Sant’Angelo a Tre Pizzi, m. 1444) alle 13.10, godendo di un meraviglioso panorama impreziosito dal freddo e dalla neve. Dopo mezz’ora discendiamo per consumare alla base del Molare la colazione, la quale ci trattiene fino alla 14.35. In pochi minuti ripassiamo per il Passo di Gustav Malher, quindi per l’incrocio-50, quindi accanto al mini-arco, quindi per la zona dei ripetitori e, a venti minuti, per la Conocchia (viene raggiunta anche la croce). Da qui comincia la lunga cresta che termina, alle 15.30, al punto definito “…un acuto aggancio a gomito”

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nel resoconto del 6/10/01. Alle 15.50 siamo al balcone belvedere e, dopo venticinque minuti, alla casermetta presso la quale voltiamo a sinistra seguendo il sentiero n. 29. Comincia quindi una lunga serie di scalette che passano accanto ad un interessantissimo fenomeno carsico (inghiottitoio aperto?). Più a valle (ore 16.45) lasciamo i segni rossi (che ci avrebbero portati al Monte Pertuso) e proseguiamo su tracciati non segnati che ci portano, in dieci minuti, ad incrociare la strada asfaltata che da Positano porta a Nocelle.All’interno dell’abitato di Nocelle (raggiunto proseguendo non sulla carrozzabile ma piuttosto su un percorso pedonale parallelo ad essa e posto poco più a valle) intraprendiamo il Sentiero degli Dei (17.20) quando la notte è già quasi compiuta e lo concludiamo, senza alcuna possibilità di fruizione (… è buio pesto!), alle 18.50 raggiungendo - grazie ad una coppia di torce - l’auto lasciata di mattina alle porte della Grotta Biscotto. Le stelle ci hanno indicato la strada e ci hanno lasciato anche vedere, poco prima della conclusione, la “S” del livello a Selliporella donzellii. Stanchi ma soddisfatti.

Aprile 30 – Maggio 3, 2004 – ven./lun. Villaggio Pino Grande (Sila Grande) Antonio, Enzo Fiscone, Fabio Villani [foto & foto digitali] Appuntamento quasi classico con la primavera silana, in compagnia degli ottimi (in

escursione ed a tavola, come sempre…) Antonio, Enzo & Fabio. La temperatura e la situazione meteorologia generale dei giorni precedenti non avevano ancora reso, però, primaverile i comunque bei paesaggi che abbiamo attraversato. Le giornate di sabato e di domenica sono state dedicate all’escursionismo. Sabato 1° maggio . Sila Grande: sentiero n. 8.

Poche notizie possono essere riportate per questa escursione del tipo andata-ritorno. Per buona parte della prima metà si costeggia il grande recinto dell’area faunistica, la stessa che si costeggia percorrendo la statale che dal Cecita porta alla Fossiata. La speranza di osservare qualche capriolo è rimasta, purtroppo, delusa. Raggiunta una certa quota, si comincia a discendere mentre a sinistra, saltuariamente, si aprono brevi scorci sul lago di Cecita.La parte finale si addentra in una parte di bosco che, pochi anni fa, è stata colpita da un incendio. Il sentiero termina in località Cava di Melis.

Domenica 2 maggio . Sila Piccola: doppio anello con Cugno di Porrazzo (m. 1648) e Gariglione (m. 1765) Come già accaduto altre volte in passato soggiornando a Pino Grande, la partenza per questa escursione avviene con notevole ritardo, complice la precedente serata – nottata ed il lungo tragitto che separa la dimora dei Giordano dalle zone della Sila Piccola.Alle 12.20 iniziamo il sentiero n. 6 nei pressi della caserma forestale. Il bosco, ricco di abeti e pini, ci lascia senza parole per la bellezza. Dopo un percorso di 1 ora e 50 minuti, ci ritroviamo sulla cima di Cugno di Porrazzo (m. 1648) su cui ci tratteniamo per un’ora. Alle quattro in punto concludiamo l’anello ma, là per là, decidiamo di non concludere la giornata escursionistica e ci spostiamo sull’adiacente partenza del sentiero n. 8, sentiero che raggira il boscoso Gariglione. Dopo 45 minuti (ore 16.45) giungiamo ad un incrocio bisegnato, presso il quale il comandante della spedizione ha un attimo di smarrimento. Impieghiamo, comunque, subito la traccia che va’, in salita, a sinistra e che ci porta alla vetta: monte del Gariglione (m. 1765), ore 17.05, su cui sostiamo per venti minuti. L’altra traccia (quella che portava a destra) è la strada del circuito e viene impiegata per il ritorno con chiusura dell’anello, e della giornata escursionistica, alle 18.45.

Maggio 30, 2004 – dom. Circuito aperto con Monte Marsicano (m. 2243) e Monte Forcone (m. 2253), Parco

Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Antonio, Fabio & Enzo, Pompeo [digitali]. Il presente resoconto è stato redatto, causa tesi, a due mesi di distanza dall’escursione:

le note risultano quindi necessariamente non ben dettagliate.

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La risalita al Marsicano avviene da Opi (sentiero E6) con partenza alle 9.20. Dopo trenta minuti di cammino passiamo accanto ad un abbeveratoio, da cui si va’ verso destra (come indica la freccia): i segni, in questa prima parte del tracciato sono radi ed inoltre sono stati dipinti sul flysch! Si guadagna quota rapidamente tagliando una lunga serie di tornanti, ma questo comporta (ad un’ora dalla partenza) lo smarrimento dei segni con una perdita di tempo di oltre 15 minuti: ci rendiamo conto d’esserci spostati verso sinistra (nord) quando poi era necessario continuare dritto, leggermente a destra (E circa).Alle 10.50 siamo allo Stazzo di Monte Marsicano, ove ci concediamo una pausa di 5 minuti. Si continua sotto il bosco ancora per poco e, successivamente, si esce allo scoperto e lo si costeggia a sinistra. A quota 1850 ca. si attraversa da destra a sinistra un canalino, ancora innevato, e si punta definitivamente alla cima, nascosta, conquistata alle 12.25 (Monte Marsicano, m. 2243). Dopo venti minuti lasciamo la vetta per dirigerci in direzione ENE e raggiungiamo (ore 13.05) la cima di M. Forcone (m. 2253) sotto la quale consumiamo la colazione.Alle 13.55 ripartiamo puntando verticalmente verso sud, con e senza l’ausilio di sentieri (trattasi dell’F10), e giungiamo ad un primo casolare (ore 15.20, Stazzo di Monte Forcone) e ad un secondo stazzo (15.45) posto sul cosiddetto Pianoro del Marsicano. Su tale pianoro i segni non sono evidenti e perdiamo un po’ di tempo a scovare l’esatto punto di discesa (visto dalla statale sottostante, il pianoro è delimitato a sud da un netto gradino di quota che, adesso, dobbiamo discendere). Scopriremo che il sentiero segnato è a destra, ma molto più al largo. Alle 16.40 il circuito si chiude e, grazie all’auto di Pompeo, recuperiamo la nostra vettura parcheggiata ad Opi.

Luglio 25, 2004 – dom. Anello con M. Cervialto, m. 1809 (Monti Picentini). Antonio, Fabio & Enzo, Bruno Bonocore. Escursione importante e spartiacque dal momento che può vantare due invidiabili

record: è la prima che ha goduto della presenza del navigatore portatile GPS, gentile omaggio dei cari amici di vita & di studi, ed è la prima in cui il sottoscritto può fregiarsi del titolo di Dottore in Scienze Naturali, così come proclamato in nome della legge dal Magnifico Rettore dell’Università di Napoli, Alvino Trombetti, addì 15 luglio 2004. Per tali motivi, da questo momento in poi tutto ciò che verrà descritto o spiegato in questi resoconti non potrà che corrispondere alla verità assoluta e sarà, ovviamente, insindacabile.Il percorso (sentiero n. 13) corrisponde a quello svolto il 31 maggio 2003, a cui si rimanda per le informazioni pratiche, alle quali va’ ribadito che l’inizio del sentiero diparte subito dopo l’abbeveratoio posto lungo la strada (q. 1090), ma non procedendo a destra in piano verso sud, piuttosto a sinistra in leggera salita verso NE. I segni sono presenti; poco dopo l’inizio (a quota 1157) l’abbandono della sterrata iniziale per guadagnare un sentiero pressoché inesistente, a sinistra, è un po’ nascosto e necessita di attenzione. Alle 11.20 siamo già giunti, dopo lo zig-zag sotto il bosco, alla sterrata in piano (q. 1390); proseguiamo a sinistra, riprendiamo quota e tra una fitta vegetazione giungiamo al Valico di Giamberardino (ore 11.50, m. 1516); si procede dritti in gentile piano e si giunge al secondo valichetto (ore 12.05) dopo il quale si sale, anche con buona pendenza, su una spalla che mena direttamente alla cima. Qui sarebbe risultato utile un machete.La vetta del Monte Cervialto (CERVIA, m. 1809, ore 12.45) è quella che ospita uno spoglio traliccetto: è preceduta da una prima cima (m. 1804; è la prima a comparire alla vista sbucando dal bosco e viene naturalmente lasciata a sinistra) ed è seguita da una seconda cima (m. 1808; che ospita il famigerato parafulmine ed è posta al di là della graziosa dolina sommitale). Ritengo umiliante, ma deontologicamente necessario, riportare che il GPS segnava - in vetta - 1790 metri (!) e segnalava, così, la necessità di essere tarato.Alle due lasciamo le sommità e proseguiamo verso SSW lungo la cresta che in mezz’ora ci porta all’altezza del tornantone-incrocio-sciescursionistico 8-9. Qui, rafforzati anche dalla presenza del navigatore satellitare, decidiamo di tentare una nuova via proseguendo verso nord lungo la sterrata in leggera salita, piuttosto che seguirla verso il basso. Purtroppo ben presto tale strada termina e la fitta boscaglia ci impedisce di

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procedere, se non lentamente, nonostante il GPS segni esattamente alcuni punti di riferimento marcati all’andata, come ad esempio Giamberardino.Fatto dietrofront ci attende una noiosa e blandissima discesa che ci ha portati (ore 15.30) all’incrocio di Filicecchio, poi al colle del Leone (ore 16.35, ove finisce il sentiero) ed infine in perfetto scouting way of life, ovvero tramite asfalto, all’abbeveratoio della partenza (ore 17.15).Ecco alcuni dati tecnici, che ci auguriamo sempre più numerosi e precisi nelle prossime escursioni:

percorso totale: 14.5 km velocità media di percorso: 4.5 km/h velocità media di ascesa: 8 m/min

Agosto 9-16, 2004 – lun./lun. Monte Bulgheria(Cilento). Enrica. Per le note consultare il file “Giurassico Monte Bulgheria”.

Agosto 19, 2004 – gio. Monti Picentini. Eugenia e Francesco Prisco [poche foto]. Piccola spedizione dalla natura mista: picnicchettara ed escursionistica. L’escursione

sarà, in realtà, una breve passeggiata lungo il sentiero n. 8 dei Picentini, o meglio seguendo i tornanti dell’itinerario sci-escursionistico n. 11. La brace con vinello sarà allestita presso la Caserma del Gaudo ed il pomeriggio, infine, sarà dedicato alla visita della città di Acerno, che vide Eugenia piccola e che Eugenia ha visto, oggi, con un po’ di delusione: meglio i ricordi!

Agosto 24-30, 2004 – mar./lun. Villaggio Pino Grande (Sila Grande). Famiglia Giordano [foto]. Come già nell’estate di qualche anno addietro, la gentile e premurosa famiglia Giordano

mi apre le porte della casa silana. Tra Olimpiadi e lavoretti in casa vengono svolte due uscite di cui la prima non avrà carattere escursionistico. Giovedì 26 agosto . Cozzo di Mastro Pasquale.

Spedizione pomeridiana mirata alla raccolta di ammoniti nella successione giurassica condensata della zona di Cropalati – torrente Colognati. In particolare, in compagnia del referente Antonio e della guida-amico Francesco Lamanna, ci siamo recati sui fianchi di Cozzo Mastro Pasquale (CMP), colle che si eleva alle porte di Caloveto a sinistra della strada che da Campana porta a Caloveto, e nei Calcari Marnosi Rossi d’età toarciana – aaleniana sono state ritrovate numerose ammoniti (Lithoceras e Harpoceras, secondo Lamanna) e rostri di belemniti.

Sabato 28 agosto . Anello con Colle Napoletano e Serra Ripollata (m. 1682). Gli escursionisti (Antonio ed il sottoscritto) si muovono sui passi di un rodato itinerario che è stato “inaugurato” il 2/5/03 e poi confermato con l’escursione del 26/10/03: a queste date si rimanda per avere maggiore completezza. Solo il tratto finale è distinto perché proseguirà lungo il torrente Cecìta fino al suo arrivo all’omonimo lago.Partenza alle 9.10 dal Centro Visite del Parco e, dopo 15 minuti, passaggio nei pressi dei recenti faunistici. Subito a monte dei recinti Cervi – Caprioli, si distinguono il sentiero 7 (che si segue, a destra) e il n. 1. Dopo un tratto boscoso (e spesso, in passato ma non adesso, fungino) caratterizzato anche dalla presenza dell’Albero-Fionda, attraversiamo (verso le 10.00) l’incrocio Quattro Vie (4VIE, m. 1307) da cui si punta a sinistra (direzione Colle Napoletano, ovvero 6-inverso). Comincia quindi una buona erta che si addolcisce solo verso la quota 1380. La presenza di un Pino Nero di notevole mole annuncia l’arrivo alla casupola di Colle Napoletano (COLNAP, m. 1420, un’ora ed un quarto dalla partenza) su cui passa una sterrata: il sentiero 6-

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inverso continua a sinistra, ma noi proseguiamo a destra seguendo i segni bianco-verdi dell’ippovia.Questa seconda metà del nostro tracciato si snoda in parte lungo la sterrata (che in realtà non coincide con nessun sentiero ufficiale del Parco della Sila) ed in parte lungo sentieri che si muovono sul sottobosco, tagliando i tornanti della sterrata. Il primo di questi tagli è subito dopo la casupola (si lascia la sterrata e si va’ a destra) ed è il più breve. Il secondo taglio (sempre a destra rispetto alla sterrata) è il più lungo, mentre il terzo è un po’ più nascosto degli altri: stavolta si lascia la sterrata per andare a sinistra, tra erbe ed arbusti più alti e fitti. I segni bianco-verdi sono sempre presenti, ma per maggiore sicurezza sono stati marcati i punti SILA-1 e SILA-2 che indicano, rispettivamente, il fondo del valloncello (ovvero il passaggio da una spalla alla successiva del versante) e la fuoriuscita dal bosco con ritorno (definitivo) sulla sterrata, la quale proviene da destra e va’ seguita verso sinistra, in leggera salita.La sterrata continua e guadagna lentamente quota fino ad arrivare alle porte della vetta, segnate dall’incrocio per Arnocampo (a destra, proseguendovi si giunge al sentiero 10 ed alla Colonia Don Bosco) e da una rete spinata, chiusa per le mandrie di vacche che ivi pascolano. Una volta superata la rete, si arriva - con panorami vieppiù ampi e belli - in cima alla Serra Ripollata (SRRIPO, m. 1682, ore 11.45). Ma subito, come di consueto (e ormai lo si può ben dire…), discendiamo liberamente verso N e NE per arrivare, ore 12.20, al Laghetto dei Ranocchi (LMACCH, metri 1552, noto anche come Lago di Tiberiade oltre che di Macchialonga), straripante di piante acquatiche e di ranocchie.Qui consumiamo la colazione mentre una poiana, invidiosa del nostro pasto o distratta, ci passa vicinissima, alle spalle, per ricomparire poi dall’altra parte del laghetto, intenta a rovistare sul limo della sponda. Alle 13.40 lasciamo il laghetto proseguendo verso nord, apriamo un primo cancello, ci immettiamo per brevissimo tratto sul sentiero n. 9 e, poco più avanti, lo lasciamo in corrispondenza di un incrocio (e di un secondo cancello spinato): andiamo a sinistra laddove la sterrata prosegue dritta a destra. Ci immettiamo quindi su una carrareccia (probabilmente quella che ha direzione NW sulla carta dei sentieri e si muove, grossolanamente, tra il sentiero 9 e la destra del Cozzo del Principe) e dopo un terzo cancello spinato ci ritroviamo sotto la cima del Cozzo (che, boscosa, viene nuovamente evitata). Poco più avanti passiamo per quella che, nell’escursione del 26 ottobre 2003, fu definita piacevole conchetta (Conchetta di Cozzo del Principe), marcata come CNCZPR perché utile punto di riferimento per la discesa verso il Cecìta. Dalla conchetta continuiamo a muoverci verso N e NW (ovvero a sinistra) e, poco dopo, ci buttiamo giù in un valloncello con prevalente direzione N – NE. Durante questa discesa più volte era evidente, e quindi l’abbiamo seguita, una traccia che perdeva quota zigzagando: verosimilmente è ancora il sentiero indicato poco sopra come carrareccia. Alle 14.30 sbuchiamo sul n. 2 nel suo punto di quota massima (1502), alle spalle di una casetta nota come rifugio di Cozzo del Principe.Continuiamo verso sinistra sul 2, ma per poco. Dopo l’incrocio con il punto panoramico (segnato anche sulla carta) ci ributtiamo liberamente a destra verso NW: in questo modo raggiungiamo il sottostante e parallelo numero 3 alla quota di 1296 metri circa. Seguiamo quest’ultimo sentiero, arriviamo all’incrocio con il n. 6 (che continua a sinistra, noi invece puntiamo a destra) e poco più avanti discendiamo sul torrente Cecìta che seguiremo per tutta la sua lunghezza fino alla fine del sentiero 3, in pratica sul lago. L’anello si chiude alle 16.55, sulle sedie, dal gusto po’ retrò, del bar del Centro Visite.

Ottobre - Novembre, 2004. Massiccio del Matese. Barbara [digitali e poche foto]. Durante questo mese, ed all’inizio del successivo, sono state condotte alcune escursioni

nella zona matesina con lo scopo di registrare la presenza di un’orchidea (la Spiranthes spiralis) utile per il lavoro di tesi svolto da Barbara. Sono state effettuate 6 uscite di cui si riporta brevemente: Domenica 3 ottobre . In compagnia anche di Antonio, vengono compiute due

escursioni: la risalita del Monte Cila (ove i coniugi Pastore segnalavano la suddetta orchidea) ed il Vallone dell’Inferno.

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Giovedì 14 ottobre . Il giro automobilistico porta nella zona nord-occidentale del parco e viene percorso un breve tratto del sentiero 8C. Il tempo nuvolo fa’ terminare in anticipo la giornata.

Mercoledì 20 ottobre . La ricerca si concentra intorno al Castello di Gioia Sannitica. Ancora nessun ritrovamento!

Domenica 24 ottobre . Nei pressi di Valle Agricola, lungo il sentiero 9B, vengono finalmente scovati tre individui di S. spiralis nel pieno della loro fioritura e, come da manuale, sotto una non fitta pineta.

Venerdì 29 ottobre . Viene setacciata la pineta tra Raviscanina e Sant’Angelo d’Alife, viene raggiunta (in auto) la località Selvapiana e, nel pomeriggio, gironzoliamo intorno al Castello di Sant’Angelo.

Lunedì 1 novembre . Dei vari percorsi tentati uno fortunatamente ci donerà mele, castagne, una rana dalmatina e una vera popolazione di Spiranthes: ci troviamo lungo il sentiero 19C. L’arrivo del nuovo mese ci farà interrompere le uscite.

Dicembre 29 – Gennaio 2, 2004/5 – mer./dom. Villaggio Pino Grande (Sila Grande). Antonio, Enzo Fiscone, Fabio & Oreste Villani, Fabio Nigro & Simona, Tatiana [digitali e

poche foto]. Piacevole spedizione di Capodanno nei luoghi silani sì cari. Il forte desiderio di neve è

stato a tal punto accontentato che non era consigliabile (vista quanta ne è caduta, e quanta acqua) effettuare alcuna escursione; solo un giretto per il Villaggio con puntatina alla famigerata, decadente e dal gusto retrò, Winnie Pooh. Axis & Allies & Auguri!

Gennaio 9, 2005 – dom. Monte Cerreto, m.1316 (Monti Lattari) Rosario, Antonio & Enzo [digitali e poche foto] Tranquilla risalita al monte Cerreto, utilizzando il percorso già rodato al 10 marzo 2002.

La partenza dal valico di Chiunzi non è possibile perché il sentiero si stacca dall’interno di un area privata appartenente ad un ristorante. L’attacco del sentiero 22 non è ben segnato ma vi sono dei gradini ed una staccionata in legno che lo distinguono, mentre l’auto può essere lasciata in uno slarghetto in corrispondenza del tornante (l’ultimo risalendo verso Chiunzi) immediatamente precedente.Partiti alle 9.10 si giunge, dopo aver accostato un traliccio dell’alta tensione e dopo un’ora circa di cammino, al valico del Tuoro (TUORO), da cui si procede correttamente seguendo l’Alta Via che, come già riferito il 10/3/02, non segue la cresta – sì come indicato in carta – ma la aggira abbondantemente a sinistra. Alle 10.40 giungiamo al secondo valichetto (Tuoro di Stellante, m. 880), presso cui godiamo già di un buon riposo. La risalita procede con difficoltà vieppiù crescenti dovute alla pendenza, che aumenta in fase con l’abbondanza di ghiaccio. Alcuni passaggi risultano quindi con un elevato rischio di scivoloni e cadute, mentre la vetta appare come arroccata dietro questo vitreo manto di neve ghiacciata.La cima viene nondimeno conquistata (Monte Cerreto, CERRET, m. 1316, h. ?:?) e permette di apprezzare uno spettacolo mozzafiato: l’aria è tersa, ma le fitte nubi sulla terraferma e la densa foschia adagiata sul mare tagliano in due il panorama, nascondendo piane e colline e lasciando le cime più alte dei monti circostanti uscire, quali isole, dalle nubi e spiccare contro il blu di un cielo cristallino. Di tutto ciò il vento era condimento. Alle 14.15 lasciamo la vetta, e con essa anche un numeroso e chiassoso gruppo di fanatici del Cerreto, e cominciamo la lunga discesa. Solo l’abbandono del torrione di vetta finale, costellato da ghiaccio, imporrà un ritmo più lento e passi meno decisi.In serata, giunti a Nocera, ci incontriamo con i Villani Bros prima di salutarci.

Marzo 13, 2005 – dom. Doppio cappio sul Sentiero degli Dei (Monti Lattari) Antonio, Fabio Villani, Tatiana, Luisa Saiello [foto] Le piogge (dei giorni precedenti) ed il cielo nuvoloso (del presente dì) non ci hanno

trattenuti dall’effettuare una piacevole passeggiata, sempre più rare per il sottoscritto!,

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sul più famoso percorso del Lattari, a tratti baciato anche da un caldo sole. Il sentiero utilizzato è il n. 27, già coperto in notturna alla fine dell’escursione condotta il 24 gennaio 2004, ed è unanimemente noto come Sentiero degli Dei sebbene l’ultima Carta dei Lattari chiami con tale epiteto un sentiero, il numero 02, che si snoda parallelamente ed un po’ più in quota… E’ interessante notare che invece nella vecchia “Carta dei sentieri” proprio il suddetto 27 sia designato quale Sentiero degli Dei.La partenza avviene comodamente alle 10.20 dalla Grotta Biscotto (DEIBIS), presso Agerola (vi si giunge dal centro di Bomerano proseguendo lungo il senso unico cittadino e svoltando a destra, presso un parcheggio, e di nuovo a destra in corrispondenza di un campo sportivo). Dopo mezz’ora troviamo un incrocio (Fie) da cui continuiamo verso destra e, dopo ancora trenta minuti, un secondo bivio poco marcato al quale conviene tenersi sulla sinistra, al di sotto di un grosso muro di contenimento. Questo primo tratto del sentiero è arricchito da casette & casoni abitati, da casette diroccate e dalle solite e meravigliosamente abbarbicate coltivazioni a terrazzo.Numerosi sono i punti dai quali si può godere di un ottimo panorama; uno in particolare (DEIPAN) è posto sulla soglia di una alta parete che pare permettere un salto fino al mare, inoltre 200 metri sotto sorge qualche casa (località Campo) e vi passa un sentiero (non segnato sulla carta) che utilizzeremo per il ritorno. Più avanti troviamo un secondo incrocio fie al quale bisogna proseguire diritto (destra). L’andata si conclude alle 13.00 presso le prime case di Nocelle (DEINOC) seduti su un poggio erboso con qualche panino tra le nostre mani e qualche nuvola sulle nostre teste.Dopo oltre un’ora e mezza di pausa prendiamo la via del ritorno e dopo ancora un’ora (15.30) ripassiamo per il secondo fie. Qui invece di salire a sinistra continuiamo diritti a destra: ci muoviamo a quote più basse dell’andata. Alle 16.20 troviamo un quadrivio con cartello (indica Nocelle - Positano) che superiamo tirando dritto a sinistra e dopo solo dieci minuti, e giunti ormai tra le case, un secondo cartello presso il quale voltiamo a sinistra, in salita: così facendo chiudiamo il doppio cappio ritrovando il primo fie dell’andata. Alle 17.00 siamo alle auto, ma ci attendono ancora i dolcini della pasticceria di San Lazzaro e la processione patronale di San Gregorio Magno.Dati tecnici:

percorso totale: 7.06 km. durata viaggio (escluse pause): 3h 56m. velocità massima: 15.1 km/h. velocità media: 1.8 km/h. range altitudinale: 133 / 634 metri. velocità media di ascesa: 9 m/min.

Marzo 26, 2005 – sab. Pseudocappio con Monta Monna, m. 1195 (Monti Picentini) Antonio, Enzo Fiscone, Fabio & Oreste Villani [digitali] Alla vigilia di Pasqua e con un tempo più brutto del previsto, viene effettuata una breve

escursione su una delle cime minori, e prossime, del gruppo dei Picentini. Raggiunta Castiglione del Genovesi e andando in direzione di Calvanico, si giunge ad una casetta rosa (come spiegato nelle note illustrative alla carta dei sentieri) da cui si può continuare ancora con l’auto, in salita a destra, su una strada asfaltata che rappresenta già il sentiero (n. 24). Questa strada conduce ad uno slargo (PICE24), ove è possibile parcheggiare, dalla cui destra parte un ampio sterro che è stato anche cementato.Abbiamo intrapreso l’escursione alle 9.40 e pochissimi metri più sopra vi è un primo incrocio: giriamo a sinistra seguendo la sterrata meno marcata, a destra invece una sbarra impedisce l’accesso automobilistico ad una strada ancora cementata. Ancora più su, in corrispondenza di una curva a destra, incontriamo un secondo incrocio tra sterrate: ci manteniamo a destra. Non troviamo segni rossi caini (né li troveremo fino al completamento dell’escursione) anche se bisogna ammettere che nella risalita non abbiamo utilizzato il sentiero 24; molto probabilmente questo è stato abbandonato al primo incrocio: il sentiero ufficiale (anche se non marcato sul terreno) prosegue al di là della sbarra su una spalla occidentale dello stellato Monna. Noi, di fatto, ci spostiamo sempre più a nord.Strada facendo compaiono piccoli residui nivali, un ciottolone con ?Cladocoropsis, rocce con gasteropodi e lingue di neve allungate nei canaloni. Alle 10.35 passiamo per un tornante molto accentuato (da cui, tra l’altro, si può godere del panorama verso nord

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che punta ai Mai ed a Pizzo San Michele) a quota 1025 circa. Ci troviamo oramai sulla cresta nord, che viene subito agganciata (lasciamo dunque la sterrata) e liberamente ci dirigiamo a SSE indirizzati dalla cima, già a vista, su cui campeggia una croce. A poco meno di un’ora e mezza dalla partenza, siamo giunti in vetta al Monte Monna (MONNA, m. 1195, ore 11.05).Lassù la sosta sarà lunga, dapprima intenti a decidere se fare altri due passi verso la cima est (ed il tempo nuvolo ci tratterrà dal farli: solo Oreste, giocando d’anticipo e in solitaria, vi poserà il piede) e successivamente impegnati a consumare panini standard accompagnati da portate tipicamente pasquali. All’una lasciamo la cima dirigendoci verso ovest, ovvero usando la cresta su cui dovrebbe esser impiantato il sentiero n. 24; dei suoi segni rossi, come spesso accade, purtroppo non vi sarà traccia alcuna e quindi discenderemo liberamente e allegramente fino a sfiorare i margini di un rado boschetto d’arbusti. Qui è visibile una traccia che subito diviene sentiero e che, subito, viene da noi impiegata per la prosecuzione.Poco più in basso ci imbattiamo in una zona che vorrebbe aspirare (o altri aspirano per essa) ad essere area pic-nic. Da questo punto in poi discendiamo seguendo tornanti asfaltati e ben serrati che conducono ad un tratto con fondo cementato che è, in fine, suggellato dalla sbarra incontrata al mattino. In tal modo chiudiamo una sorta di cappio (ma l’estrema brevità del tratto comune iniziale suggerisce di introdurre il nuovo termine di pseudocappio, che viene subito accettato, il quale sta ad indicare un sentiero a cappio sì fatto da poter essere approssimato ad un sentiero ad anello). Alle 14.00 siamo quindi vicini all’auto.Dati tecnici:

percorso totale: 4 km. durata viaggio (escluse pause): 2h 30m. velocità massima: 13.8 km/h. velocità media: 1.6 km/h. dislivello: 400 metri.

Aprile 3, 2005 – dom. Anello con Monte Falerio, m. 684, e Monte dell’Avvocata, m. 1014 (Monti Lattari). Antonio, Fabio Villani, Enzo Fiscone & Bruno Bonocore, Gabriella di Piedimonte, Mauro

da Fabriano, Pompeo, Paola sindachessa & Luisa, Geppino, etc… [foto] Ad enorme distanza dagli eventi, viene redatta la relazione di questa escursione che si è

mossa sugli stessi passi dell’anello del 23 febbraio 2003, le cui informazioni vanno integrate con le seguenti (purtroppo lacunose).Partenza alle 9.10 dal cimiterino di Cetara. Si sale a destra del muro e, più su, di nuovo a destra lungo una crestina. Segue un segmento di lievi tracce intrecciate: conviene prendere a destra in una sorta di falsopiano protetto dagli alberi. A circa mezz’ora dalla partenza siamo al casone di quota 273 e, dopo 10 minuti, alla casa dirupata (q. 351?). Poco prima delle 10, verso quota 425, montiamo un cocuzzolo e discendiamo per brevissimo tratto in un valichetto ove ci concediamo una piccola pausa. Da lì il sentiero per il Falerio è univoco e vi giungiamo, già un po’ sfilacciati, alle 10.50 (Monte Falerio, m. 651, FALER).Dopo aver bighellonato e cincischiato, Cappella Vecchia (CAPVEC) ci vede arrivare alle 11.30. Qui avviene anche l’incontro tra i caini piedimontesi e gli scissionisti del Matese (tra cui Domenico ed il signor Antonio) ed un naturale, ma breve, stop. Sfiliamo, sempre più sfilacciati, lungo la familiare mulattiera, mentre marco col Gps alcuni punti che sono sempre stati essenziali per il cavese doc: alle 12.25 Scetate ca è juorn’ (SCETAT); alle 12.45 incrocio con l’Alta Via (AV-00). All’una siamo al bivio tra la discesa al Santuario e la risalita al Montagnone. Ovviamente risaliamo e, dopo un quarto d’ora, siamo in cima: Monte dell’Avvocata, m. 1014 (M-AVVO).Quivi la pausa sarà molto lunga, condita da un incontro sicsino, e solo alle 14.40 (dopo aver attraversato il vieppiù mitico Bell’vede’) varchiamo l’ingresso del Santuario per giungere sul sagrato (S-AVVO). Un’ora di tempo sarà necessaria per visitare il visitabile, disperdersi prima e ricompattarsi poi.La discesa per Cetara è ricca di punti di domanda: il (forse) primo incrocio è stato marcato (AV-5-7), dopo si aggira la base dell’Avvocata e si conquista un punto panoramico dal quale è possibile rivedere il Falerio; subito dopo segue una zona di frane, di sabbioni e di profonde trincee d’erosione; ci si imbatte allora in una mulattiera

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che viene seguita a destra e porta ad un netto tornante, in una zona di nuovo devastata. Dopo il tornante si riprende la direzione N-E, si attraversa ancora una striscia di gran sfasciume (dovrebbe trovarsi qui il terzo incrocio di questa discesa del 23/2/2003) da cui, andando a sinistra, è possibile guadare l’atteso rigagnolo (AV5RIO).Al di là del rio, dopo breve salita, segue un comodo pianoro. Alle 16.50 ritroviamo la Casa dei sogni d’Antonio (VIESCO), immersa in un’atmosfera sempre affascinante e sempre ventosa. Dopo dieci minuti cominciamo a discendere per scalette: c’è un primo bivio (bisogna continuare per gradini, in discesa) ed un incrocio a T (la sinistra dovrebbe portare a Falerio, a destra – sempre per gradini – c’è la nostra strada). Dopo dieci minuti ancora, ritroviamo la casa diroccata con il segno 1 + 2. Il sentiero sarà concluso alle 17.45; ci attendono ancora pochi passi per tornare sulla strada maestra di Cetara dove abbiamo lasciato un’auto.Dati tecnici:

percorso totale: 12.2 km. durata viaggio (escluse pause): 7h 05m. velocità media (e massima): 1.7 km/h (15.3 km/h) dislivello totale in salita: 1073 metri. dislivello totale in discesa: 1230 metri. velocità d’ascesa media (e massima): 9 m/min (28 m/min). velocità di discesa media (e massima): 11 m/min (47 m/min).

Aprile 23-25, 2005 – sab./lun. Villaggio Pino Grande (Sila Grande) Antonio, Fabio Villani & Enzo Fiscone, Gianluca & Tatiana, Fabio Nigro & Simona [foto] A grande distanza dagli eventi, viene redatta la sintesi di questo fine settimana calabro,

appuntamento primaverile ormai consueto con la sempre bella Sila. L’idea che l’Antonio possa, per le prossime primavere, essere troppo lontano dalla sua terra (a svolgere la sua funzione di Professorone) per rispettare questa consuetudine, ha gettato un po’ di mestizia nei preparativi. Sabato 23 aprile .

Il sottoscritto e il Villani raggiungono la restante comitiva presente a Pino Grande già da un giorno. Durante il viaggio viene dato un passaggio all’amico Agostino e viene svolta una piacevole visita al centro storico di Morano Calabro.

Domenica 24 aprile . Circuito aperto con Serra Ripollata (m. 1682). L’escursione voleva giungere al classico cuore della Sila, Macchialonga, utilizzando un sentiero parzialmente nuovo. Muniti di ghette siamo partiti (ore 11.45) dall’attacco del sentiero n. 9 posto xxx. Il sentiero è piuttosto lungo: dapprima si snoda sotto un bosco ancora coperto da neve e poi sfocia nella bellissima lunga valle di Macchialonga, dove ci accolgono popolazioni festanti di Crocus. Il grosso della truppa raggiunge Serra Ripollata (SRRIPO, m 1682, ore 14.10) e si riunisce alla coppia Nigro – Simona presso il Laghetto dei Ranocchi (LMACCH), dopo aver effettuato una rapidissima discesa verso nord tramite scivolate libere su neve.Sulle sponde del laghetto consumiamo la colazione ed una lunga pausa. Proseguiamo per il sentiero n. 9 andando anche oltre il punto di distacco che solitamente si è adottato (ovvero quello che permette di girare intorno al Cozzo del Principe e scendere al n. 2), ma poco più avanti (ore 17.00) il 9 viene comunque lasciato, andando a sinistra, a favore del tratto finale del 2. L’escursione infatti terminerà alla caserma forestale.

Maggio 15, 2005 – dom. Punta di Tormine, m. 1129 (Monti Picentini) Antonio, Enzo Fiscone, Fabio e Oreste Villani [digitali] A molta distanza dagli eventi, viene redatta la relazione di questa escursione mancata!

Infatti era nostra intenzione raggiungere i Licinici…Dopo una tranquilla partenza (alle 10.20) ed un chiaro sentiero, percorso con calma, giungiamo ad uno slarghetto prativo presso cui i segni restano introvabili. Puntiamo, alla fine, verso sinistra seguendo un filino di cresta. Ben presto i dubbi si traducono in dubbi fondati quando giungiamo ad un primo toppo, ed in certezza quando giungiamo ad un secondo toppo che è anche un bel balconcino sulla valle del torrente Infrattata.

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Consultata la mappa ci rendiamo conto che abbiamo preso la direzione di Punta di Tormine (m. 1129, il primo toppo) e della successiva e anonima cima (TORMI2, m. 1154, ore 12.50), su cui stavamo ragionando. Quel che è fatto è fatto e, quindi, consumiamo qui la colazione accompagnati da numerose e varie orchidee.Alle 14.10 lasciamo la cimetta e, tornando indietro, marco il punto dell’errore (PROLIC): in salita, giunti allo slarghetto bisogna andare in fondo e poi a destra, il segno è su di un albero. Anche la Porta di Monte Diavolo verrà marcata (PORDIA), con il medesimo intento. Alle auto (15.50) ci attendono due lucertole in acceso e persistente combattimento.Dati tecnici:

percorso totale: 8.48 km. durata viaggio (escluse pause): 4h 26m. velocità media (e massima): 1.9 km/h (15.4 km/h) dislivello totale in salita: 664 metri. velocità d’ascesa media (e massima): 8 m/min (23 m/min). velocità di discesa media (e massima): 10 m/min (40 m/min).

Giugno 11-12, 2005 – sab./dom. Massiccio del Pollino Antonio, Fabio Villani & Enzo Fiscone, Fabio Nigro, Tatiana, Luisa Saiello [foto] Eccezionale fine settimana nel cuore del Pollino, arricchito dalla risalita di due dei

cinque splendidi duemila del Massiccio e da un vivace pernottamento in tenda sui Piani. Sabato 11 giugno . Piani del Pollino e Serra delle Ciavole (m. 2130).

L’allegra comitiva – dopo aver raccolto un po’ di viveri per la strada - giunge al familiare Colle dell’Impiso (IMPISO) per dare inizio (ore 11.40) al lungo trek di due giorni. Proprio sul Colle faremo il primo incontro (primo di una lunga serie) con un gruppo di baresi.Nonostante il carico gravoso di tende, sacchiletto & affini, procediamo spediti tanto che a mezzogiorno siamo all’incrocio del primo piano di Vacquarro, all’una attraversiamo la Radura di Rummo, ed alle 13.15 sbuchiamo soddisfatti sul Piano di Toscano (marcato TOSCAN, utile per imboccare il sentiero al ritorno). Il campo base viene subito allestito e così, rifocillati e liberati dai pesi, partiamo (ore 15.00) verso est. Passiamo nei pressi della sorgente dei Tre Faggi (3FAGGI), anche con lo scopo di verificarla, e poi puntiamo alle Ciavole incrociando i primi pini loricati, maestosi, che il filtro di una tenue nebbia rende ancora più suggestivi. A gruppetti sbuchiamo sull’ampio pianoro sommitale che separa le due vette: l’atmosfera è piacevolissima e dolce; poi ci dirigiamo verso quella più panoramica: Serra delle Ciavole, vetta sud (CIAV-S, m. 2127, ore 16.40).Dopo una pausa di mezz’ora cominciamo a spostarci lungo la cresta e ad ammirare il panorama orientale con le imponenti pareti della Falconara e di Timpa San Lorenzo. Un passaggio piuttosto difficoltoso, che richiede l’uso delle mani, prelude all’arrivo alla vetta nord (CIAV-N, m. 2130, ore 17.45); da questo punto in poi la cresta è una spettacolare successione di rocce e di loricati aggrappati alle rocce e dal vento plasmati; alberi piccoli, grandi o già morti ma ancora issati con candida imponenza. Il Tirreno comparirà inatteso, come triangolo incandescente rubato agli orizzonti nascosti dalle montagne. La Costa dei Pini non delude mai l’escursionista che l’attraversa, ancor di meno di sera quando la luce sempre più bassa regala colori sempre più caldi.Senza giungere alla Grande Porta del Pollino, giriamo verso ovest e, liberamente attraverso la Costa, riguadagniamo le dolci ondulazioni della Piana di Pollino. Alle 19.00 siamo di nuovo alla fonte dei Tre Faggi per far scorta d’acqua. Con la sera arriverà il fuoco del bivacco ed una cena fatta di formaggio, vino e salsicce; con la notte arriveranno le stelle, e con esse il freddo e l’umidità che, insieme, faranno fiorire sulle tende gocce ghiacciate. Con la notte, infine, arriverà anche il soccorso alpino, alla ricerca di un barese…

Domenica 12 giugno . Serra Dolcedorme (m. 2266). Nonostante qualche dubbio destabilizzante, la truppa si mette in marcia dal campo base alle 8.20 e dopo un’ora può osservare la matura faggeta che anticipa il raccolto e bel Piano di Acquafredda. Seguendo il chiaro tracciato verso sud-est, si guadagna quota attraversando le pendici boscose della Dolcedorme. Quando si giunge allo

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scoperto il panorama comincia a diventare spettacolare: verso est si apre lo Jonio, tra il golfo di Sibari e quello di Taranto, più a nord si può leggere chiaramente la piatta morfologia delle Puglie e, oltre, l’Adriatico (Pollino, terra dei tre mari!). Dopo un ulteriore (ed ultimo) tratto boscoso, si esce definitivamente allo scoperto per compiere un eccezionale traverso a mezza costa quasi in piano, diretti alla cresta. Il sentiero si sfilaccia in numerose tracce e quindi la cresta viene agganciata, liberamente, alle 10.30. La risalita è molto impegnativa; dopo la conquista di un enorme bastione, dobbiamo essere ingannati da un’anticima prima di poter raggiungere la vetta: Serra Dolcedorme (DOLCED, m. 2266, ore 11.30). Il panorama è fuori dall’ordinario e accontenta tutti i gusti: sotto di noi i Piani circondati dagli altri duemila del Pollino, la Sila è un piatto e regolare panettone, in lontananza spiccano – tra le altre mirabilia – il Bulgheria ed il Cristo di Maratea. Un nobile grifone, infine, fa la sua comparsa improvvisa a sud della Dolcedorme: sorvola tutto il versante meridionale del Massiccio, si insinua tra la Serra del Prete e il Pollino, attraversa – alto – i Piani, finge di fermarsi sui dirupi rocciosi della Serra delle Ciavole ma la risale per nascondersi, alla fine, dietro di essa. In circa venti secondi ha ridicolizzato ciò che noi abbiamo fatto in due sudati giorni.Dopo la colazione cominciamo a discendere verso ovest (ore 12.45). In realtà non seguiamo il sentiero ma, per risparmiare tempo, puntiamo direttamente all’evidente imbocco del sentiero B7 (che non utilizzeremo). Infatti raggiuntolo proseguiamo sul largo pianoro di cresta, aggiriamo la Timpa di Valle Piana e caliamo per il successivo dirupo che ci porta ad un secondo pianoro di cresta (il più ampio dei tre che si succedono). Un ultimo brusco dislivello, percorso inoltre fuori sentiero tra giovani faggi da record (siamo ancora intorno ai 2000 metri di quota!), ci porta alla Sella Dolcedorme dalla quale possiamo (13.30) imboccare il Canale di Malvento, che ospita il solito nevaio. In venti minuti sbuchiamo sui Piani; il sentiero è piuttosto chiaro ma, per facilitare chi vuole risalire lungo il Malvento, è stato marcato il punto d’attacco sui Piani (MALVEN, segnato da due segni rossi poco evidenti) che non coincide con l’asse centrale della valle ma è spostato più a destra. È utile inoltre far notare che – procedendo dai Piani al valico, e quindi risalendo – l’esatta direzione iniziale è WSW. Successivamente seguiranno: due piccoli piani da tagliare trasversalmente, un’insegna, un ometto di sassi, un freccione rosso.Alle 14.25 siamo al campo base e ci prepariamo per l’ultimo spostamento, riprendendo i bagagli già pronti. Salutiamo i Piani di Pollino alle 14.45 e ci incamminiamo rapidi lungo il vallone del Frido; infatti alle 15.30 siamo già al secondo Piano di Vacquarro (la discesa è finita), ed in appena mezz’ora siamo vicini alle auto. Sicuramente molto stanchi, ma altrettanto sicuramente entusiasti della bella spedizione. I baresi ci rivedranno all’Impiso, al fontanile di Piano Ruggio e sull’autogrill!

Agosto 2-14, 2005. Pindo Settentrionale e Penisola del Pilio (Grecia continentale). Antonio & Francesca, Enzo Fiscone, Tatiana, Fabio & Oreste Villani [foto e digitali]. La vacanza estiva, condotta in compagnia di un’allegra e più che variegata combriccola,

si è svolta tra i nobili scenari della grande Grecia. Raggiunta con un tonificante passaggio-ponte, la Patria della Democrazia è stata visitata soprattutto da un punto di vista escursionistico, di cui solamente si dirà. Due sono le escursioni effettuate (alle quali bisogna aggiungere la mitica vetta Mitikas del Massiccio dell’Olimpo, scalata in solitaria dall’oramai mitologica Francesca): entrambe sono state condotte in due giorni, con pernottamento in rifugio o in comoda pensione, come più avanti specificato. Giovedì 4 agosto . Rifugio Astràka, lago Drakòlimni (m. 2010).

Il sentiero che porta alla vetta dell’Astràka parte da un delizioso paesetto: Mikrò Pàpingo. Alle 9.45 cominciamo la risalita, che risulta lunga e – per me – faticosa, mentre aggira le imponenti pareti di questo massiccio. Quando finalmente ci siamo portati al di sopra (e ormai anche lontano) dalle pareti, siamo allora giunti anche al rifugio Astràka (ASTRIF, m. 1955) che ci ospiterà.Dopo aver consumato i panini, Francesca punta in solitaria alla vetta del Gàmila mentre tutti gli altri decidono per una molto più tranquilla passeggiata. Così discendiamo ed attraversiamo il suggestivo Xeròlimni, lago secco di nome e di fatto, per salire sulle dolci ondulazioni opposte, lenti e vegliati dall’alto della cima

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dell’Astràka che, imponente e simile a Monte Sacro, proietta la sua sagoma su di noi. Il sorprendente laghetto del Drakòlimni (DRAKOL, m. 2010) appare all’improvviso, il pelo dell’acqua si allarga in quattro passi sotto i nostri occhi. Ma scoprire che i draghi del lago sono gli straordinari tritoni (piccoli omini che vivono sott’acqua) non è l’unica meraviglia di questi luoghi: il lago è chiuso da tre cime ed un orrido baratro cui avvicinarsi vuol dire mettersi alla prova. Risaliamo su di un pizzo che si trova di fronte e dal quale si gode uno scenario unico, fatto di pareti scoscese e boschi fittissimi che conducono in Albania.A sera siamo al rifugio, dopo 1400 metri circa di dislivello e pronti a mangiare soup e greek salad.

Venerdì 5 agosto . Monte Astràka (m. 2433). È la giornata della risalita all’Astràka. Lasciamo alle 8.30 il rifugio retto da Ghiorgos e da suo nipotino. Discendiamo di nuovo nello Xeròlimni e raggiriamo il bastione attraversando una zona di fonte piena di ranocchie. Pian piano il paesaggio diventa lunare; guadagnando quota passiamo tra colli d’argilla e arenaria (sulla sinistra) e i contrafforti calcarei del Monte Sacro (sulla destra), che appaiono sempre più vicini.Agganciata la cresta orientale non ci resta che puntare a W. Alle 11.00 siamo sulla prima vetta: la cima è poco più avanti (Monte Astràka, ASTRAK, m. 2433) sotto un pallido sole che viene e che va’, così come il buonumore. Infatti dopo una prima pausa pranzo, discendiamo dalla cima ma i segni non sono chiari: perdiamo più volte la strada, cala la foschia e con essa anche il definitivo malumore nella truppa, peggiorato da scarponcini rotti, dolori e decisioni irrevocabili. Dopo un secondo stop mangereccio, chiudiamo il cappio presso la prima delle fonti incontrate durante il precedente giorno. Copriamo la lunghissima discesa sfilacciati, e arriviamo alle auto (ore 16.30) sotto un terribile cielo grigio e con le prime gocce di una incombente pioggia.

Domenica 7 agosto . Rifugio dello Smòlikas (m. 1750). La risalita allo Smòlikas è stata programmata in due giornate d’escursione, con pernottamento presso un rifugio. La scoperta della sua chiusura ci farà cambiare i programmi.Soggiornando in Paliosèlli e non riuscendo a trovare l’attacco desiderato (sentiero n. 3), utilizziamo una sterrata – comunque nota – che si stacca un po’ prima della bellissima ed accogliente cittadina. Partiamo alle 11.00 sotto un sole che picchia, a tratti lasciamo la sterrata tagliandone i tornanti; questo ci permette di passare sotto un bosco di conifere misto. C’è il pino nero ed un altro con corteccia da “abete” e pigne molto scure: solo più avanti capiremo che si tratta dell’atteso Pinus leucodermis (pino loricato) che qui cresce a quote più basse rispetto al Pollino e sembra avere un aspetto meno contorto e maestoso. In uno di questi tagli dei tornanti ci imbattiamo in un angolo molto suggestivo ricchissimo di orchidee, cosa che gli fa’ meritare l’appellativo di Giardino delle Orchidee. Viene inoltre avvistato un serpente di 40 cm circa dal bel colore rosso mattone – bruno.All’una e un quarto siamo al rifugio (m. 1750) e scopriamo che è chiuso! Non c’è tempo di proseguire su per la cima e, insieme, di tornare a Paliosèlli. Così siamo necessariamente costretti a tornare alle auto. Intanto mangiamo e discutiamo… e la discussione continua anche durante la discesa. Alla fine decideremo, anche dietro consiglio di un ragazzo di Ioànnina, di ritornare il giorno dopo con l’auto fin quasi al rifugio (la sterrata lo permette facilmente): questo ci dovrebbe permettere di salire sullo Smòlikas, comunque. So let it be written, so let it be done…

Lunedì 8 agosto . Monte Smòlikas (m. 2623). Infatti così è andata. La giornata parte un po’ nuvola e andrà anche peggiorando. Partiamo dal rifugio alle 9.00 (raggiunto praticamente con le auto) forti in animo e forti del krlìngh che l’anziano ma vispo Alèxi ha prestato al nostro Antonio (suo pari). La risalita è lunga ma il tempo grigio, piuttosto che sconfortare, dona ai paesaggi una bella atmosfera impreziosita dalla nebbia. Giungiamo (11.00) ad un laghetto: un omonimo Drakòlimni, però più piccolo e meno ricco di tritoni. La risalita finale alla vetta sarà tempestata da nebbia vieppiù fitta, vento saturo di umidità, cani greci e difficoltà crescenti.Nonostante qualche tentativo di abbandono tutta la truppa, fiera, giunge in vetta al Monte Smòlikas (SMOLIK, m. 2623, ore 12.15). La visibilità minima, la temperatura di 8°C e il timore di rovesci ci fa subito abbandonare la cima. Infatti all’una siamo al laghetto, presso cui consumiamo i nostri panini fai-da-te. Il seguito sarà ancor più

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piacevole e dolce. Arriveremo alle auto alle 15, protetti dagli Dei (e dal vastùni di Alèxi) efficaci contro tutti i rischi. Grande Grecia!

Settembre 11-12, 2005 – dom./lun. Monte Velino (m. 2486). Papà Gerardo, Rosario e Francesco [digitali e video] Ottima due giorni nel maestoso Massiccio del Velino. Il tempo previsto recitava di

cattive condizioni e instabilità: la realtà dei fatti ha invece apportato sole e cieli velati, lasciandoci apprezzare appieno la bellezza di questi luoghi ed il piacere di un pernottamento in rifugio. Per la conquista della cima è stato scelto un itinerario lungo ma molto equilibrato, noto come Via degli Aquilani. Domenica 11 settembre . Rifugio Sebastiani (m. 2102) e Cimata di Puzzillo (m.

2140).Dopo un viaggio in auto di circa quattro ore, giungiamo a Piano di Campo Felice e da lì, ancora in auto, voltiamo a destra passando vicino ad un albergo e seguendo – comunque – i piccoli ma preziosi cartelli di legno che indicano “Rifugio Sebastiani”. La strada diventa sterrata. All’attacco del sentiero (1C), posto in corrispondenza di un vecchio capannone in lamiera usato per la lavorazione della bauxite (MINBAU), giungiamo baldanzosi (ore 11.15) e pronti a continuare la sterrata che, lentamente, guadagna quota. Il bosco, mai molto fitto, viene lasciato definitivamente dopo quasi mezz’ora; al suo posto trova spazio un ampio pianoro, ondulato e in pendenza; una pendenza che risulterà sempre più accentuata col progredire del sentiero. Ma prima ci attendono vacche e (pochi) cavalli.Intanto il panorama è diventato già incantevole: in fondo il cosiddetto Costone ci sbarra lo sguardo, a destra ed a sinistra altre due paretoni (Monte Puzzillo e, rispettivamente, la Cimata di Pezza) sembrano veicolarci senza possibilità di scampo lungo un’unica direzione. Siamo sul fondo di Valle del Puzzillo. Ad un’ora dalla partenza siamo all’incrocio con l’1D: sul fontanile ci sono numerosissime indicazioni, anche discordanti (il rifugio è indicato sia da una parte che dall’altra), ci buttiamo a sinistra dopo aver consultato la mappa. In realtà abbiamo imboccato il sentiero che, sulla carta, è indicato come sci-escursionistico mentre a terra, scopriremo, è indicato come 1C-bis.La risalita tra le balze prative costa qualche primo rallentamento e chiede qualche breve pausa. All’una e un quarto siamo finalmente al Rifugio Sebastiani (RIFSEB, m. 2102), che resta nascosto fino all’ultimo strappo, segnalato solo dalle sventolanti bandiere issate sul tetto. Facciamo la prima conoscenza del rifugista Francesco, incrociamo altri escursionisti (ma non ospiti notturni del rifugio, saremo gli unici!) e consumiamo i nostri panini.Dopo la colazione decidiamo (14.50) di gironzolare e perlustrare le zone circostanti. Pur volendo raggiungere il pizzo anonimo (m. 2271) che incombe sul rifugio, non riusciamo ad agganciare il sentiero che vi mena e ci ritroviamo, invece, sull’1G che farà vedere in anteprima (avremmo voluto riservarli per l’indomani) la bella testata della Valle Cerchiata, che insiste su di un circolo glaciale, e l’ancor più bel panorama sul versante nord del Velino, che sbuca all’improvviso superando il filo di cresta al Colle dell’Orso. Proprio qui, o nelle vicinanze, ci tratteniamo un po’ ad ammirare gli enormi ghiaioni che calano dal Velino ed a ragionare sulle ampie e indefinite distanze che vigono in montagna. Due grifoni, osservati e confermati senza dubbio dal Francesco, giungono ad impreziosire lo scenario.Il cielo plumbeo ci consiglia di non intraprendere la cresta verso l’anonimo pizzo, ma piuttosto di tornare indietro, di ripassare per il rifugio (ove ci viene chiarito che il sentiero ricercato per il pizzo anonimo è poco raccomandato perché poco sicuro) e di puntare infine alla vicinissima Cimata di Puzzillo (CIMPUZ, m. 2140, ore 17.10), in divertente e rapida ascensione che ci permette di ripercorrere all’incontrario con lo sguardo tutto il percorso della giornata fino a Campo Felice, di cui si vedranno le pareti nord-orientali ma non il fondo.Tornati definitivamente al rifugio, alle 18 assaporiamo un nobile the contemplando il lontano Piano di Pezza mentre alle 19.30 ceniamo: piccanti penne all’amatriciana, arista di maiale e patate, bruschette con formaggio, crostata. Scopriremo così che il rifugiata è, prima di tutto, un ottimo cuoco! Buonanotte…

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Lunedì 12 settembre . Monte Velino (m. 2486), Monte Cafornia (m. 2409) e Monte il Bicchero (m. 2161). La giornata, inserita nella scia di quella anteriore, rappresenta un’ottima prestazione escursionistica - sportiva. Dopo una ricca e buona colazione, lasciamo il rifugio alle 7.10 e ripercorriamo gli stessi passi della precedente perlustrazione. In mezz’ora siamo al Colle dell’Orso (in realtà sbuchiamo un po’ prima, ovvero nel punto più basso della cresta, quota 2153) e continuando verso SE passiamo nei pressi di Cima Trento. Qui i segni rossi – per il resto e per il futuro sempre ben presenti – vengono smarriti; ma la fisiografia del luogo ci è già molto chiara e quindi puntiamo liberamente verso Colle del Bicchero, il valico che separa il Vallone di Teve da quello del Bicchero, affascinante e boscoso il primo, nascosto allo sguardo il secondo.Alle 8.30 siamo a questo Colle (quota 2075), che ospita due paletti con cartelli, e lo lasceremo puntando verso sud-est su evidente tracciato in salita, dissodato e un po’ intrecciato dai cavalli. Il sentiero non passa per la cima del Bicchero (che infatti sarà marcata al ritorno), ma la aggira a destra. Comincia quindi la lunga risalita che, tramite impennate e tratti in piano, guadagna sempre più quota, si avvicina sempre più al massiccio (tanto da nasconderlo alla fine), e regala scorci sempre più ricchi e suggestivi, tra cui campeggia la sagoma inequivocabile - lontana ma imponente - del Corno Grande. Il passo regolare seppur basso (ci siamo fermati solo per dieci minuti) ci porta all’ultima erta sassosa (anche le zolle prative scompaiono!) che ci fa inserire nella Forchetta della Cafornia (CAFORC, m. 2336, ore 9.55; tale punto di quota è segnato sulla carta in maniera approssimata: esso coincide, invece, esattamente con il punto d’inserzione del sentiero 7 su quello numero 1). Cominciamo così a scorgere il panorama meridionale, che si paleserà del tutto dopo appena un quarto d’ora, ovvero quando saremo giunti alla cosiddetta Selletta della Cafornia su cui spendiamo un pensiero al reverendo Frenguelli, che qui fu da tormenta sorpreso fino a perirne. Anche la Cafornia, come il Bicchero, sarà marcata al ritorno.Da tale Selletta si ha, inoltre, anche un quadro definitivo del percorso a venire: per la nostra meta manca una cresta spoglia e lunga, cui segue l’ultima impegnativa rampa. Il primo passaggio è piacevole, con nubi che vanno e vengono ma non sembreranno mai foriere di pioggia; il secondo invece costerà qualche sacrificio in più e ci porterà con nostra grande soddisfazione sulla terza cima appenninica: Monte Velino (VELINO, m. 2486, ore 10.50).Oramai il panorama, quando non è rubato dalle nubi, è diventato amplissimo: si va’ dal Gran Sasso – Centenario alla Majella e a molti altri gruppi montuosi che restano innominati, mentre il Fùcino appare lontanissimo sotto di noi. Il tempo a disposizione non è molto e quindi in un’ora mangiamo, svolgiamo i rituali (firme e foto) e cominciamo la discesa che si muoverà sugli stessi passi dell’andata. Rapidamente torniamo alla Selletta del Frenguelli ed in tre (il genitore evita questa seconda risalita) poniamo i piedi sulla vetta del Monte Cafornia (CAFORN, m. 2409, ore 12.30); dopo venti minuti siamo alla Forchetta, da cui comincia il lungo tratto in prevalente discesa.Durante questa fase saranno accusati anche i primi risentimenti muscolari che, più che giustificatamene, rifaranno capolino a tratti fino all’arrivo. Alle 13.40 marco in solitaria il mimetizzantesi Monte il Bicchero (BICCHE, m. 2161) e dopo dieci minuti siamo all’omonimo Colle: comincia l’ultima importante risalita della due-giorni. La spalla da usare è, inoltre, piena di scalpitanti cavalli e noi ci muoveremo a zigzag tra di loro e, di nuovo come all’andata, senza seguire i segni rossi (o gialli). Raggiungiamo comunque Punta Trento e di lì verso Colle dell’Orso (sono le due e mezza) da cui lanciamo l’ultimo saluto all’imponente Massiccio. Il rifugio ci rivede alle 15.10 e dopo quindici minuti lo lasciamo tutti: Francesco il rifugista viene via con noi.La discesa attraverso le oramai care balze prative sarà molto lenta (infatti Francesco ed il suo cane, Gina, ci saluteranno a metà strada) e ci porterà a doppiare verso le 16.20 l’incrocio con l’1D e poco più avanti a ripassare per gli stazzi, stavolta pieni di cavalli e mucche. Il bosco passerà velocemente e, poco dopo le cinque, saremo in vista dell’auto, fortificati nello spirito e nel corpo. Forse è solo nascosto da altri monti, ma si dice che il Velino sia così lontano che non è possibile vederlo da quaggiù…Alcuni (notevoli) dati tecnici:

percorso totale: 26.6 km. durata viaggio (escluse pause): 12h 15m.

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dislivello totale: 1560 metri circa.

Settembre 25, 2005 – dom. Anello con M. Meta, m. 2242 (Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise) Enzo Fiscone, Fabio Villani, Tatiana, Bruno Bonocore [poche foto] L’escursione si è mossa sugli stessi passi, anche se inversi, di quella svolta il 23 agosto

2003: sentiero M1, Passo Monaci, vetta, sentiero L1. La domenica era stata annunciata essere di cattivo tempo; ciò nonostante siamo partiti desiderosi di cogliere i cervi settembrini del parco. La giustizia divina ha punito la nostra hybris con un terribile contrappasso: ascoltavamo sonori e numerosi bramiti, senza veder cervo alcuno, sotto una pioggia persistente…Per me la giornata ha inizio alle cinque, di modo ché sia possibile (alle 9.40!) partire dall’attacco di Val Pagana (Le Forme). Ben presto si incontrano un recinto e dei muretti, che devono essere aggirati sulla sinistra. In seguito il percorso segue grossolanamente il fondovalle, coadiuvato anche dai segni rossi.A meno di un’ora dalla partenza siamo fuori dal bosco (il tempo non è poi così cattivo) ed alla vista dell’imponente Monte Meta; da questo punto fino a Passo Monaci il sentiero non è difficoltoso, né lungo. Alle 11.40 lo raggiungiamo mentre l’ultimo azzurro ritaglia rilucenti sagome di nuvole grigie. Dopo una breve pausa di dieci minuti affrontiamo l’erto fianco finale della vetta, infilandoci sotto le nuvole.Ed infatti giungiamo in cima al Monte Meta (META, m.2242, ore 12.30) senza poter vedere alcuno scorcio panoramico, pur cominciando già a udire i primi bramiti. Consumiamo comunque i panini e, dopo 40 minuti, lasciamo la cima. La discesa è rapidissima. A Passo Monaci decidiamo di intraprendere l’L1 per il ritorno a valle. Saremo, con questa scelta, premiati perché nascosti alla vista ed arroccati sugli speroni rocciosi immediatamente a monte di tale sentiero, scopriamo ed a lungo osserviamo gruppi sparsi di camosci (una trentina in tutto). Saranno un oggetto fotografico gradito e ben studiato.Intanto comincia anche la pioggerellina che, quando lasciamo i camosci, è oramai già diventata bella e ricca pioggia. Questa ci accompagnerà per tutto il resto del sentiero, arricchita dai cupi bramiti (sempre più numerosi e sonori, soprattutto poco prima d’imboccare il bosco) e solo un po’ riducendosi (o divino sberleffo!) sotto il bosco. Nel finale il desiderio di chiudere il percorso sarà forte. Comunque arriveremo alle 16.00 a Campitelli: manca ancora il tratto misto su asfalto per riagganciarci all’auto, una breve sosta-bar a Castel San Vincenzo e il viaggio di ritorno.Per me la giornata si chiude alle 23.00…

Ottobre 1°, 2005 – sab. Alessia di Cava de’ Tirreni. Fabio Villani [poche foto] Invitato dal sempre gentile Fenzio, ci rechiamo – nel tardo meriggio - per nostro diletto e

per scambiare memorie della nostra permanenza greca, fino alla cosiddetta Valle di San Liberatore e lungo la sterrata verso Salerno. Quattro piacevoli passi sotto il cielo che arrossa e sopra il cupo Tirreno renderanno più graziosa la ricerca del dettaglio sfuggito…

Ottobre 29-31, 2005 – sab./lun. Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise – Parco Nazionale della Majella. Antonio & Francesca, Enzo Fiscone, Fabio Villani, Tatiana, Bruno & Teresa [foto]. In occasione di un fine settimana leggermente allargato (per alcuni), ci procuriamo un

desideratissimo rendez-vous con il Professorone Antonio, che cala dal nord, e svolgiamo una piacevolissima escursione nel massiccio della Majella. Il Parco d’Abruzzo rappresenterà la nostra nuova Teano, ove soggiorneremo presso tale Giuseppe, in ampia e nobile casa. Il sottoscritto, per impellenti motivi sicsini, abbandona il campo con un giorno d’anticipo, in compagnia del Villani, collezionando una sola escursione durante la centrale giornata domenicale; le altre due sono servite poco più che per gli spostamenti.

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Domenica 30 ottobre. Traversata con Monte Porrara (m. 2137) - Parco Nazionale della Majella.Con la sola assenza della coppia Bruno & Teresa (intenta a muoversi su passi diversi) ci colleghiamo ad un numeroso gruppo semi-piedimontino che comprende Gabriella Riselli, Pompeo, Mario, Geppino, Pietro Delle Piane, Gigliola e tal Roberto, Paola la Sindachessa, la coppia Daniele e Maria Antonietta, ed infine un dispensatore di formaggi, grappa e coglioni di mulo.Il ritrovo avviene presso la stazione di Palena, dove saranno lasciate alcune auto (altre saranno poste all’arrivo, altre ancora al punto d’attacco che è poco più avanti rispetto alla stazione). Infatti a piedi raggiungiamo l’anonima partenza del sentiero (ore 9.20) da cui comincia subito una risalita piuttosto erta sotto faggi giovani, che non saranno mai molto fitti. Ben presto (dieci minuti appena) agganciamo la cresta del Porrara, elegante e lunga. Dopo circa un’ora dalla partenza ci concediamo una pausa su un balconcino roccioso – prativo sgombro dagli alberi, dal quale si può iniziare ad apprezzare i bei panorami che ci attendono, soprattutto verso nord. Da questo punto in poi i faggi si diradano sempre più. La risalita risulta piuttosto comoda, mai motivo d’affanno. Alla quota di 1600 metri circa, giungiamo ai piedi dell’anticima, che viene conquistata alle 11.15.Ormai la vista può già spaziare, appagata tra il Velino - Sirente ed il Gran Sasso – Centenario; ma manca ancora un’ultima rampa, più impegnativa della lunga traversata condotta sinora. Alle 11.50 siamo finalmente in vetta: Monte Porrara (PORRAR, m. 2137); la presenza di molti caini dal Matese trasforma, com’è solito, quella che dovrebbe essere una colazione in un abbondante e variegato bivacco trimalchionico. Proporzionalmente anche i tempi assumono sfumature classicheggianti: lasceremo la bella cima alle due meno un quarto. Proseguiamo verso nord, su di un tratto della cresta che risulta particolarmente bello, e anche più aereo del precedente. Il gruppo si sfilaccia un po’, ma questo permette di condurre una passeggiata piacevole e quieta. Piombiamo a Guado di Coccia verso le 15.30, muovendoci liberamente lungo la spalla rocciosa e sbrecciata, avendo – involontariamente – lasciato il sentiero che serpeggia alla nostra destra, più tranquillo e più in basso.Poco più avanti (ore 16.00), dopo una breve risalita, passiamo per il valico gemello (forse più basso) infestato dagli impianti di risalita. Quivi voltiamo a sinistra intenti a prendere la via della valle, verso ovest. Però viene proposta e subito accettata un’alternativa: proseguire verso nord-ovest, diretti a Campo di Giove per passare vicini alla Chiesa dirupata della Madonna di Coccia (che non verrà incocciata).L’alternativa piace ma porterà una spiacevole nota di rammarico: durante la discesa, quando mancavano ancora oltre 400 metri di dislivello, la piccola Tatiana si sloga una caviglia! Ciò rende la calata sofferente e molto lenta. Non i mille e uno colori della sera, non il fuoco dei faggi illuminati dall’ultimo sole, né le rupi rossastre, e neppure Venere vespertina – occhio di ghiaccio contro un cielo elettrico – allevieranno i crescenti dolori.Il buio della sera sempre più inoltrata ci accompagnerà fino alla sterrata (ore 17.30) che conduce a Campo di Giove, sconsolati e in attesa di un’auto che ci recuperi. Stanchi (per qualcuno, anche lacrimucce) ma soddisfatti del lungo percorso.Alcuni dati tecnici:

percorso totale: 14.4 km. durata viaggio (escluse pause): 6h 38m.

Novembre 1°, 2005 – mar. Passeggiata su Le Creste (Colline Salernitane). Rosario & Francesco Con il precipuo intento di raccogliere muschi e arbusti (riproducenti alberi) da collocare

sul nascituro presepe genesiano, operiamo una breve passeggiata pomeridiana esplorativa lungo la crestina che da Varco della Foce (Cava – Pellezzano) sale verso sud-est. La scelta non sarà felice: pochissimo muschio (ma ciò era atteso…) e pochi e piccoli alberelli (e ciò ha disatteso le aspettative…). Gli strazzapanni dovranno esser scovati altrove!

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Aprile 12, 2006 – mer. Traversata con M. Avvocata (m. 1014). Alberto De Bonis, prof.ssa Romano, prof. Francesco (Ed. Fisica), IV e V ginnasiali “G. B.

Vico”. Prima escursione dopo una lunga pausa (causata dalla Sicsi) e prima escursione

retribuita! Contattato dai solerti Antonio & Francesca, li sostituisco – in compagnia inedita con il geologo Alberto – per svolgere la funzione di guida escursionistica ad un gruppo di ginnasiali provenienti dal Liceo Classico di Nocera Inferiore. Il sentiero mi è, almeno per metà, più che familiare: dalla Badia di Cava al santuario dell’Avvocata. La discesa, invece, punterà dall’Avvocata a Maiori e questo tratto è per me del tutto sconosciuto! Lo stesso Alberto l’ha fatto molti anni addietro ed ora ha solo ricevuto informazioni (che si rileveranno precise e preziose) dalla Francesca. Ciononostante, ci forniamo di autorevolezza e faccia tosta, e partiamo!L’escursione risulterà piuttosto lunga, rallentata necessariamente dal ritmo dei partecipanti, la quasi totalità dei quali era alla propria prima esperienza di montagna. Comunque la buona volontà e il buonumore, alimentati da innata gentilezza e pazienza, non mancheranno mai. Lasciata l’Abbazia di Cava alle dieci, raggiungiamo Capodacqua alle 11.10, per una prima importante sosta. Cappella Vecchia (CAPVEC) verrà conquistata dopo 35 minuti, con grande gioia dei ragazzi, intenti a mangiare qualcosa, vedere il bel panorama, ascoltare brevi spiegazioni e spulciarsi a vicenda.Alle 12.15 lasciamo la Cappella per riprendere il cammino, leggermente più sfilacciati, punteggiandolo con piccoli altri interventi didattici. Dopo un’ora riposiamo e beviamo a Scetate ca è juorn’ (SCETAT) e dopo un’altra ora siamo sulla cima della Montagna dell’Avvocata (M-AVVO, m. 1014, ore 14.15). Non tutta la classe è voluta salire sulla cima: le difficoltà d’attacco iniziali (sotto il boschetto della cima) hanno trattenuto due studenti, rimasti con la Romano sulla selletta. Anche la discesa dalla vetta spaventava molti, ma poi tutto è stato svolto con attenzione e tranquillità. In cima i ragazzi hanno provato, per la prima volta (credo) l’ebbrezza di vedere nient’altro intorno a sé, d’ostacolo allo sguardo, se non cielo e panorami ampi e mare. In cui molti esprimevano il desiderio di tuffarsi, mentre altri con la complicità del vento rievocavano Titanic.Riunitici, alle 14.50 eravamo al Santuario (S-AVVO): qui la pausa pranzo–riposo–necessità ci trattiene fino alle quattro. La strada per Maiori ha un attacco evidente nella curva che prelude ai gradini della grotta sotto il Santuario.Purtroppo la preoccupazione del sentiero ignoto, del buon governo del gruppo, dell’efficace presenza esplicativa a favore dei singoli, dell’assistenza tecnica, non mi hanno permesso di marcare i punti chiave di questa discesa. Pur tuttavia non si commette una grave approssimazione se si riporta che per tutti gli incroci è buona norme voltare a destra. Così è stato presso uno slargo con panchine in legno; così è stato presso un casone (dalle guide prontamente battezzato il Casone della Speranza, ovvero Hope House, per la funzione tranquillizzante che avrebbe svolto la sua comparsa alla nostra vista), un casone che bisogna aggirare strettamente a destra; così è stato presso una fonte multipla con panchina; così è stato infine allorquando si aggancia una sterratina più marcata che proviene da sinistra, dove una freccia gialla a doppia punta sembrerebbe dire “sinistra”: ancora una volta bisogna proseguire a destra, con direzione Maiori (sempre di fronte a chi discende, sebbene ben presto nascosta). [Tutto questo sentiero, consultata la mappa, appare non coincidere con quello segnato come n.7 (il quale parte in coincidenza col 5 e quindi lascia il Santuario all’altezza della fontana, non della grotta); piuttosto il sentiero coperto, in questa occasione, sembra essere quello che aggira strettamente la rocca, su cui sorge il Santuario, prendendo una netta direzione nord per poi (a quota segnata su carta 781) virare a ovest e ricongiungersi al n.7 dopo il toponimo Colle Misericordia].La discesa è di fatto lunga (terminiamo dopo infiniti gradini alle 19.00) e stanchi sono tutti i poveri studenti. Ma questo non può far altro che aggiungere complimenti ai partecipanti di questa escursione scolastica dagli invidiabili dati tecnici:

percorso totale: 11.5 km. durata viaggio (escluse pause): 6h 50m. dislivello in ascesa: 735m (valore dubbio). dislivello in discesa: 880m (valore dubbio). velocità media: 1.7 km/h.

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Aprile 15, 2006 – sab. Torri di Petina, la Seconda Torre (m. 1304) e il Figliolo (m. 1337) - Monti Alburni. Antonio, Enzo & Bruno, Fabio Villani, Fabio Nigro & Simona, Luisa Saiello [digitali] Il Sabato Santo della Pasqua 2006 ci ha offerto una bella e tranquilla passeggiata nei

vicini, eppur poco conosciuti, Alburni. I pratoni pieni di fiori, anche se non ancora nel loro culmine, il sentiero che si snoda tra boschi e rupi, i passaggi arditi tra le rocce delle Torri, gli strapiombi e i panorami sono stati gli ingredienti artefici di tale bontà.L’escursione prende l’avvio dal Casone dell’Aresta (ARESTA), su cui da poco (a detta del bell’Antonio) sorge una cupola astronomica; il Casone è raggiungibile da Petina percorrendo la stretta e dissestata strada che lascia il paese, passa dinanzi al cimitero e conduce (ma non ci sono segnalazioni) a Sant’Angelo a Fasanella. Partiamo alle 10.10, diretti verso nord-ovest già puntando al Figliolo, visibile in fondo. Si perde un po’ di quota e nel punto più basso, in corrispondenza di un abbeveratoio e di un pozzo-cisterna per la raccolta d’acqua piovana, si incrocia il “Sentiero dell’Alleanza” che è segnalato dalla presenza di cartelli in legno. [Tale “Sentiero dell’Alleanza” dovrebbe partire da Petina, raggiungere gli altopiani degli Alburni e concludersi presso le grotte di Pertosa. Nda: informazioni fornite da Antonio]. I nostri passi, comunque, si muovono nella direzione opposta a quella indicata da tali cartelli in legno (ovvero nel verso opposto). Altri segni rossi sono presenti sull’abbeveratoio ed, in effetti, da questo punto in poi segni bianco-rossi caini saranno sempre presenti, con maggior o minor evidenza.Svolgiamo la lieve salita che si para dinanzi a noi e, là dove il pendio si spezza spianandosi e rendendo visibile il percorso che ci attende, voltiamo a sinistra puntando alla base di basse pareti rocciose. Lasciamo il sentiero maestro perché vogliamo raggiungere l’ingresso della Grava d’Inverno (GRINVE, ore 11.00, a soli 5 minuti dal sentiero principale). Ed infatti vi facciamo ingresso e la visita, interessante ma umida, breve ma freschissima, si limita al primo ambiente (stretto e in leggera pendenza) dal momento che proseguire costa un po’ di preparazione. Il Nigro, che è già stato in questa grotta, illustra un po’ il seguito mentre notiamo a terra ossa che sembrano esser appartenute ad un piccolo cavallo.Ritorniamo sul sentiero principale ripercorrendo gli stessi passi (sarebbe stato possibile anche agganciarlo più avanti) e continuiamo in lieve salita sotto un bosco che a tratti offre esemplari di faggio di notevoli dimensioni, numerosissimi sono i fiori di Digitalis e di Anemone. Alle 11.50 siamo a La Pila, uno slargo che ospita un casone e ciò che resta di una stazione tipo teleferica (LAPILA). Subito dopo il casone un tornante a destra ci fa ruotare di 180°, ci fa proseguire in zigzag e infine ci fa immettere su un’ampia sterrata, bordata da pareti umidi, che impieghiamo – in salita – verso sinistra (cartelli con “Sentiero dell’Alleanza”). Questa sterrata procede per tornanti, diviene per un tratto lastricata e sbuca, infine, sulla selletta tra la seconda e la terza Torre (da NW a SE: 1° - 2° - 3° Torre).Decidiamo di risalire la Seconda Torre (2ATORR, m. 1304, ore 12.20) da cui il panorama è eccezionale. In senso orario e partendo da NW (ovvero dal Figliolo) abbiamo riconosciuto: Figliolo e Monte Alburno (quasi in allineamento), Polveracchio (N), Cervialto (NE), Marzano (E), Sirino e – lontano e candido di neve – massiccio del Pollino (SW), Monte Sacro (SSE). I quadranti occidentali sono occupati dalle ultime spalle della monoclinale degli Alburni, che ci nascondono i piani. Dopo 20 minuti lasciamo la bella cimetta e, tornati alla base della Torre, proseguiamo verso il Figliolo, lasciando però i segni (che si buttano nel bosco a destra) a favore della sterrata che gira a sinistra, un po’ più alla larga e verso ovest.Passando accanto ad un unico sparuto Taxus baccata, giungiamo così alle falde della Torre più alta, il cui approccio – come per la precedente – è segnato da una scaletta in legno che permette di superare il filo spinato pro-bestiame. La risalita alla cima è impreziosita e resa difficile da un arditissimo passaggio, molto angusto. Vi è, inoltre, un gradino di oltre un metro da superare: le mani sono d’obbligo e, per alcuni e per il sottoscritto, insufficienti; solo la reciproca collaborazione permette a tutti di insinuarsi nello stretto diaframma tra le rocce, risalire le ultime rampe erte, uscire allo scoperto (in posizione più che aerea) e conquistare alla fine la vetta, mediante gli ultimi tesissimi passi, coperti a baricentro basso! Alle 13.30 siamo sulla più bella delle Torri di Petina: il Figliolo (FIGLIO, m. 1337). Da qui rivediamo il bel panorama, mentre incombiamo sull’omonima città, ed abbiamo un’ottima colazione fino alle tre, quando lasciamo la cima.La discesa è lenta perché ognuno vuole godersi i propri passi: passiamo attraverso il boschetto (bello e ricco di suggestive vedute verso est) che separa le due Torri e

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qualcuno (Bruno) risale anche la Prima Torre. Verso le 16.20 ripassiamo per l’incrocio con i cartelli da dove ebbe inizio la sterrata e, soli 5 minuti dopo, rivediamo La Pila. Il proseguimento è dolce e piacevole, in vista dell’Osservatorio sempre più vicino, tra prati e boschetti, fino alle auto (17.20).

Maggio 13, 2006 – sab. Piano Melara & Craparizzo - Gruppo del Monte Marzano. Enzo & Bruno, Fabio & Oreste [digitali] Indetta dal Villani Fabio, la presente uscita ha avuto il doppio scopo di condurci ad una

breve e piacevole passeggiata in una zona (Monte Marzano) poco conosciuta e, contemporaneamente, di festeggiare il trentesimo genetliaco del Fenzio presso il famoso e desiderato Craparizzo.Il suddetto Craparizzo è sito nel comune di San Gregorio Magno: la strada provinciale 268 che da Bagni Contursi mena a Palomonte e poi a San Gregorio Magno va’ lasciata per una traversa (a sinistra per chi procede in direzione San Gregorio) indicata dal cartello per la località “Lavanghe”. Subito dopo una grande edicola con Madonnina bisogna girare a destra, per una strada che risulterà lunga e erta, in bella vista sulla piana di Buccino. Ancora più su, in corrispondenza di una svincolo, bisogna proseguire dritto (ovvero a sinistra), per passare poi sotto alberi e tra campi, guadagnando quota grazie a serrati tornanti. Il Craparizzo è in un piccolo pianoro a circa 1000 metri di quota: il casone del Craparizzo è, lontano dalla strada, a sinistra mentre a destra, adiacente alla strada, sorge una mini-casetta in cemento (CRAPAR).La passeggiata è stata breve (con partenza alle 11.30): si prosegue lungo la strada usata per giungere al pianoro la quale, dopo un po’, diviene sterrata; si giunge ad una selletta dopo la quale si scende di quota (bisogna proseguire a destra). A mezzogiorno siamo ad un successivo incrocio, segnato da cartelli: si scende a sinistra verso “Parco e Fontana Melara”. Tale pianoro si aprirà poco dopo, con un tripudio di viole e margherite. Il tempo passerà riposandosi, fotografando, avvicinando le vacche e, infine, parlando con un autoctono. Poi dietrofront!Il Craparizzo ci accoglie alle 14.00 servendoci antipasti abbondanti, cappelletti, ravioloni e arrosto misto. Il vino scivola giù con piacere, però poi scivoleremo noi tutti fuori dal casone per riposare sotto il salice e infine per scivolare giù, verso valle. Sazi e canterini.

Maggio 27-28, 2006 – sab./dom. Casone dell’Aresta e dintorni - Monti Alburni. Enzo, Fabio Nigro & Antonio “Vento di Natura”, i di lui genitori Melina & Domenico,

l’ellenica Elly, Fabiola, gli amici del Nigro (Marco, Franco e Oscar), Alfonso, l’astrofilo Luca & Nicoletta, Gianni D’Alterio & compagna [foto]

Prima escursione del sottoscritto dopo aver ricevuto l’abilitazione all’insegnamento delle Scienze nella Scuola Secondaria. L’uscita è consistita in una “due giorni” di campeggio libero in compagnia di un nutrito e variegato gruppo tenuto insieme dai due responsabili dell’associazione Vento di Natura, il Nigro e tal Antonio, sotto la cui organizzazione ricadono le escursioni svolte. La due giorni era infatti inserita nel loro programma ma i numerosi partecipanti vi hanno fatto parte con titoli diversi, non solo da clienti. Molta energia e molto tempo sono stati dedicati all’aspetto gastronomico. Sabato 27 maggio. Grava di Fra’ Gentile .

Il super gruppo si ritrova nel primo pomeriggio al Casone dell’Aresta (vedi due escursioni fa’): i responsabili decidono il luogo adatto per le tende (alle spalle dell’Osservatorio, nel boschetto prossimo ad una cisterna tonda e a un pozzo) e mangiamo la colazione al sacco. [Subito dietro il colle boscoso su cui abbiamo montato le tende, in una sorte di vallecola, esiste un fontanile con acqua corrente e potabile: la scoperta è avvenuta solo al mattino del secondo giorno!]. Il Piano del Casone è affascinante, vivificato da una mandria di cavalli che scorrazzano liberamente da un capo all’altro.Nel pomeriggio tutta la truppa raggiunge con le auto il tornantino del Casone Ausoneto, posto poco più avanti lungo la strada per Sant’Angelo a Fasanella (qui stanno soggiornando alcuni naturalisti di lontana conoscenza: Raffaele Conte, Erminio & Sara, Adele & Lo Squalo, Carmela Guascone, et al.). La strada viene lasciata per calarsi liberamente verso NW sotto il bosco, senza sentiero deciso ma

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con molte tracce; in seguito, tenendo come direzione prevalente ovest, si esce fuori dal bosco e si giunge (il tutto in pochi minuti) ad un piacevole fontanile al quale spetta l’epiteto di Fontanile del Tritone (TRITON). In questa vasca la vita invertebrata e vertebrata pullula come non mai: numerosi emitteri acquatici (pochi Gerri, numerosissimi emitteri tipo Veliidae, qualche Notonetta), almeno due specie di gasteropodi con guscio (uno spirale, l’altro piatto), tanti divertenti Ditischi e – infine – molti nobili tritoni! Ma la primavera fa’ smuovere, volare, guizzare, nascondere e ronzare intorno a noi mille altre specie inclassificabili.Dal fontanile si procede su un sentiero che si stacca in piano, un po’ a destra in direzione valle. Questo viottolo borda il valloncello che spunta dal fontanile e tale valloncello va’ subito attraversato (si passa così alla sinistra orografica): la Grava di Fra’ Gentile si apre tra le alte pareti, con l’imbocco raggiungibile solo dopo qualche alto gradino.Questo sistema di cavità carsiche è eccezionale! Gli ambienti che si succedono non sono mai del tutto chiusi (almeno fin dove ci siamo spinti: una cinquantina di metri in piano), perché diverse “finestre” e aperture illuminano a luoghi, dall’alto di 30 e più metri, l’interno di questa grava. Il percorso è a tratti angusto, tra pareti spesso ravvicinate: l’insieme sembra, per l’appunto, derivato da un sistema di inghiottitoi collegati tra di loro. Un corso d’acqua vi è passato sicuramente perché se ne possono leggere gli effetti erosivi. La suggestione dei luoghi è tanta e i giochi di luce sono continui, sulle pareti e contro un crescente buio, tanto che decidiamo, io e l’avvocato Fiscone, di far ritorno alla Grava anche l’indomani, con il preciso intento di effettuare un set fotografico. Alcuni più temerari si spingono là dove l’oscurità e la difficoltà d’avanzare sono diventate caratteristiche costanti!Ritornati al Casone dell’Aresta, ci raggiunge la geologa Norma e la serata sarà caratterizzata da una cena abbondante e lunga, da un’osservazione astronomica (muniti di pc portatile) e dalla visita di alcuni dei naturalisti di stanza al Casone Ausoneto.

Domenica 28 maggio. Grava di Fra’ Gentile .Mentre la totalità del gruppo va’ verso il Figliolo, il duo Paolillo-Fiscone ritorna sugli stessi passi del giorno precedente, per realizzare una session fotografica che impegna tutta la mattinata ed il primo pomeriggio. Di nuovo la bellezza dei posti conquisterà i nostri cuori: i movimenti sinuosi dei tritoni, il soffio freddo che spira dalla Grava, il pipistrello che si aggira al suo interno, il profumo intenso dell’origano.Il ritorno al campo base avviene in orario, ma il rientro del resto della comitiva costa più tempo, a cui si aggiunge quello necessario per preparare una nuova brace ed arrostire carne e pane. Alla fine lasciamo il bel piano della Cupola dell’Aresta nel tardo pomeriggio, con una luce sempre più radente che allunga le ombre degli slanciati e bianchi asfodeli in fiore.

Giugno 30 – Luglio 2, 2006 – ven./dom. Monti Sibillini. Antonio, Enzo & Bruno e Tatiana [digitali] A quattro anni di distanza dalle prime escursioni nei luoghi della Sibilla, faccio un

graditissimo ritorno tra queste svettanti montagne. Soggiorneremo presso il camping “Monte Prata”: la prima giornata trascorre tra il viaggio, l’allestimento delle tende, un riposo beato sui prati del campeggio ed una cena abbondante in compagnia di Mauro e Graziella. La vittoria italiana (Italia – Ucraina 3-0) sarà un bel contorno a tale cena. L’escursione interesserà la giornata di sabato, mentre la domenica (oltre che per il ritorno) sarà occupata dal pranzo presso casa Bianchini, famiglia dall’ospitalità e dalla simpatia eccezionali. Sabato 1° luglio . Cappio con Cima del Redentore (m. 2448), Cima del Lago (m.

2422), Punta di Prato Pulito (m. 2373) e Lago di Pilato (m. 1949) .Lunga ma praticabile ed altamente gratificante escursione che copre, come già detto in questa sede, una delle creste più belle degli Appennini. I sentieri utilizzati sono stati i nn. 2, 1 e 3. La partenza è avvenuta da un punto collocato lungo il sentiero 2, poco prima della Capanna Ghezzi. Con l’auto è possibile, infatti, imboccare la sterrata che si stacca dalla base del colle di Castelluccio e che costituisce già il sentiero: questo conduce alla Capanna Ghezzi ma l’ultimo tratto è fortemente dissestato sicché è consigliabile – come abbiamo fatto – lasciare l’auto

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prima, all’altezza della zona “Colli alti e bassi”, in presenza di uno slargo con un fontanile a più vasche (ore 8.45).Dopo quindici minuti siamo già alla suddetta Capanna (GHEZZI, m. 1570), con un ulteriore fontanile, generoso d’acqua. Continuiamo in salita, tra balze prative ed un tempo delizioso che promette una gran bella giornata escursionistica. Il sentiero (qui come per tutto il percorso, così come ovunque nei Sibillini) è ben evidente e con un comodo orientamento “a vista”. Alle 9.30 siamo all’incrocio tra i sentieri 5 e 2 (posto nei pressi di Colle Abieri, donde ABIERI), giriamo a destra e puntiamo la testa verso la lunga cresta nord del Redentore che, di lì a poco, ci vedrà da vicino. Intanto alla nostra destra, guadagnando quota, il Piano di Castelluccio diviene sempre più grazioso e raccolto: si distingue la parte coltivata, a ridosso della cittadella, e le linee delle rette vie che lo solcano. Di fronte a noi, ma sbilenca, si può inoltre vedere la sagoma arborea di un’Italia fascista, quando comprendeva anche l’Istria.Il sentiero curva a sinistra, un po’ assecondando un po’ tagliando le isoipse, e si insinua nell’angusta Forca Viola (ore 10.05, VIOLA, m. 1936). La Forca è stretta tra colli erbosi che spiccano contro un cielo dal blu intenso. Quando lasciamo il valico, diretti a sud (sentiero n. 1), abbiamo la buona sorte di imbatterci in alcuni esemplari di stella alpina. Questo passaggio, inoltre, risulterà essere uno dei tratti più erti del tragitto d’andata. Il sentiero si snoda sul fianco orientale del massiccio e si affaccia nella valle interna (a ovest) solo verso la fine. Il gruppo si sfilaccia un po’ col sottoscritto che – tanto per cambiare – chiude i ranghi: la risalita è colorata dal blu elettrico di Genziane e Genzianelle, dal rosa di dipsacacee varie e dal violetto e verde brillante dei cuscini di Silene acaulis. Giunti in vista del versante occidentale, scopriamo le belle rupi che si catapultano verso il fondovalle, e grosse e numerose mezzelune di neve che sono rimaste abbarbicate sotto la linea di cresta.Gli ultimi passi sono un po’ affaticati e vengono interrotti dall’osservazione di candidi e grandi fiori (molto probabilmente la Pulsatilla, una ranuncolacea) ma, alle 11.40, siamo tutti in vetta (Cima del Redentore, REDENT, m. 2448) per contemplare, con uno sguardo unico, un panorama mozzafiato che abbraccia i versanti scoscesi sotto di noi verso il nascosto Pilato, il regolare pendio a est che si raccorda al Piano, le numerose ed accidentate altre cime dei Sibillini lungo tutto il lato nord-orientale, e tanti altri allineamenti di catene che – tutt’intorno e di volta in volta – rinviano più lontano l’orizzonte ultimo. La cupola azzurra del cielo suggella la bellezza del luogo, ancora costellato da larghi duomi di neve.Lasciamo la vetta dopo 25 minuti, ed iniziamo a percorrere il tratto più affascinante della lunga cresta del Redentore: affilato, ricco di roccette, aereo, in pratica un balcone rialzato su Castelluccio e sul Lago di Pilato. Il quale, all’improvviso, fa’ la sua comparsa con un florido aspetto: è nella sua forma più ricca, apparendo come un paio d’occhiali. Inoltre vi si gettano dentro non solo i ghiaioni, ma anche grandi lingue di neve. Alle 12.40 siamo alla Cima del Lago (CIMLAG, m. 2422) e, dopo venti minuti, alla Punta di Prato Pulito (m. 2373). Da questo punto in poi la discesa è più acclive tanto che risultano necessari una maggiore attenzione e, quindi, un maggiore tempo. Si scende quasi liberamente, sul filo di cresta o poco sotto (verso sud-ovest, per essere più protetti), sempre in vista del rifugio Zilioli e contro la vieppiù imponente mole del Vettore. D’altro canto però, i passi lenti sono stati forse la causa che ha determinato la scoperta di una superficie di strato ricca di ammoniti: per alcune c’era poco più di un’impronta, per altre la dissoluzione non è stata troppo invasiva tanto da lasciare parte del guscio (AMMSIB).Alle 13.40 siamo al valico che ospita il Rifugio Zilioli (ZILIOL, m. 2233), ma subito lo abbandoniamo: si pranza al lago. Scendendo nel cuore della valle, le frastagliate rupi diventano adesso imponenti pareti che cadono quasi verticalmente fino ad infossarsi nelle enormi conoidi delle basi. Per raggiungere Il lago conviene tenersi sempre in fondo alla vallecola, che curva a sinistra (verso ovest), senza risalire le ondulazioni del fondo. In tal modo si imboccherà, alla fine, una traccia che mena – di traverso – al lago di Pilato. Quando si sarà giunti sul ghiaione, ci saranno delle “deviazioni” che portano in modo più diretto alla riva: non bisogna mai lasciare la traccia principale (la quale punta all’angolo nord della riva) perché il trasgressore alimenta ed accelera il naturale processo che porterà, in tempi più o meno lunghi, i ciottoli dei ghiaioni a saturare il piccolo specchio d’acqua.Il Lago di Pilato (PILAT, m. 1949, ore 14.30) appare incantevole: le lingue di neve che vi giungono dalle rive si prolungano al di sotto della superficie, increspata dal vento, creando una sorta di mini pack. La pausa per la colazione e per lo studio del

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lago dura oltre un’ora, fino alle 15.40, e ci consentirà di osservare più volte il microscopico endemismo del Lago di Pilato, il Chirocefalo del Marchesoni, nonostante gli irriguardosi e chiassosi escursionisti della domenica.La via del ritorno sarà un lungo tragitto impostato dapprima sul sentiero n. 3 (che segue grossolanamente l’asse della valle) e poi sul n. 2 (che invece rappresenta un aperto traverso che punta alla Forca Viola). Durante questo tratto due grosse placche nevose-ghiacciate ostacoleranno il sentiero e rallenteranno la già lenta marcia. Prima della Forca ci attende, inoltre, un ultimo gradino di dislivello in salita (circa 100 metri) dopo il quale il cappio risulta chiuso: sono le 17.25. L’ultima parte dell’escursione sarà allora una lenta e beata passeggiata verso Capanna Ghezzi (ore 18.20) e verso l’auto, 15 minuti dopo, in compagnia di tre cuccioli rissosi, lerci e simpatici. Ecco la scheda tecnica:

percorso totale: 19.2 km. durata viaggio (escluse pause): 8h 35m. dislivello totale: 1250m. velocità media: 2.2 km/h. velocità massima (corsa folle in discesa sulla neve): 35.7 km/h.

Agosto 3 - 13, 2006 – gio./dom. Monti Tatra e Parzo Nazionale di Białowieża, Polonia. Antonio, Enzo Fiscone, Tatiana, Fabio – Oreste – Manuela Villani, Bruno [digitali e poche

foto]. Vacanza estiva condotta in terra polacca, con poco trekking e molta più vita cittadina,

graditissima! L’anello completo comprende: Kraków, Wieliczka, Zakopane, Zwierzyniec, Zamość, Białowieża, Warszawa, Oświęcim, Kraków. In questa sede si dirà brevemente di due occasioni escursionistiche. Domenica 6 agosto . Morskie Oko (Monti Tatra).

Il sentiero appariva, sulla carta, lungo e naturalisticamente interessante. Così è stato: lungo e naturalisticamente interessante. Purtroppo accanto a noi, escursionisti italiani in trasferta, abbiamo scoperto centinaia e centinaia di polacchi intenti a raggiungere – tramite codesta facile passeggiata – il bel “Lago Occhio”; così tanti che non c’è stato neppure un unico, solo, minimo, effimero istante in cui non fosse presente (davanti, dietro, accanto, lontano o vicino a noi) un’altra persona. Un esodo biblico, senza alcun appello. La lunghezza del percorso, scoperto asfaltato fino al Morskie Oko (con nostra grande costernazione), è diventata – per siffatte cause – una lunghezza molesta, mentre la bellezza dei luoghi era costantemente ed incisivamente eclissata dalla mandria umana, dalla sua sola presenza (per quanto rispettosa… ma un esodo biblico è pur sempre un esodo biblico, e distoglie finanche l’animo più pio).La pioggia nella seconda metà della giornata, sottile e discontinua, ha ingrigito ulteriormente il mesto ritorno.

Mercoledì 9 agosto . Białowieski Park Narodowy. Nell’immediato circondario della città di Białowieża abbiamo svolto un breve circuito all’interno del Parco Nazionale Białowieski. La visita, guidata ed affrettata dai consueti tempi ristretti decisi dal ritmo di una guida, prevedeva un assaggio della cosiddetta foresta primigenia, conifere e latifoglie in associazione originaria. Anche la fauna è speciale (per quanto gli incontri siano stati minimi e limitati all’avifauna), in particolare per la presenza del mitico Bisonte europeo il quale, sebbene assente all’interno dell’area del nostro circuito, rappresenta il “re” ed il simbolo di questa foresta.

Settembre 8-9, 2006 – ven./sab. Anello con Val di Rose, Forca Resuni, Valle Iannanghera, (Parco Nazionale

d’Abruzzo, Lazio e Molise). Rosario & Francesco [digitali & Everio] Due-giorni nel Parco d’Abruzzo. Il pernottamento presso il campeggio “Le Foci” di Opi è

stato ottimo, così come buona è stata la cena colà consumata. Il sabato rappresenterà l’unica giornata dedicata all’escursionismo, di cui si dirà, mentre il venerdì è stato impiegato nella visita dei bei centri interni al Parco: Barrea, Villetta, Pescasseroli ed Opi.

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Il pranzo del primo giorno è stato, inoltre, consumato in compagnia del partente Antonio (e di Francesca) che terminavano uno dei loro consueti soggiorni presso l’ospitale casetta della villettese Concetta, donna imprevedibile e inaffondabile.L’anello prende l’avvio dalla parte più alta di Civitella, lungo una sorta di micro-tangenziale a senso unico che cinge a SW il paesetto: l’attacco dei sentieri (sia arrivo che ritorno) sono segnati sulla strada, così come sono ben evidenti – con alta frequenza e collocazione intelligente – i segni lungo i sentieri. Nel dettaglio la risalita a Forca Resuni è avvenuta utilizzando il n. I1, la discesa tramite il K6 e poi il numero I4.Siamo partiti alle 8.40, su un tratto abbastanza acclive e boscoso. Ben presto (ed in continuo aumento) attraversiamo spalle più prative che si affacciano a nord e a NE, verso il Lago artificiale di Barrea. Alle 10.20, in coincidenza con una pausa di 10 minuti presso uno slargo, diventa manifesto il tragitto prossimo: sono infatti visibili le belle e rocciose pareti che cingono a SE la Val di Rose, nel cui cuore continueremo a inoltrarci. Poco più avanti il bosco, già vieppiù rado, è completamente lasciato alle spalle. Ci avviciniamo così a Passo Cavulo, nelle vicinanze del quale spuntano a gruppetti numerosi camosci, timidi e dalla testa inclinata, sì come la perfetta iconografia vuole.Il Passo Cavulo, in questo modo e col passo lento che i camosci impongono, viene raggiunto alle 11.30 (m. 1942). Intanto il cielo, già variabilissimo, tende chiaramente a coprirsi sulle nostre teste impedendoci di gustare il meritato panorama. Continuiamo verso la prevista meta, ovvero la Forca, (l’alternativa di risalire Monte Capraro è messa da parte per cause meteorologiche) che raggiungiamo in mezz’ora (valico di Forca Resuni, ore 12.00, m. 2100) proprio mentre l’amato GPS ci abbandona senza batterie di riserve… Senza visibilità – tranne qualche sporadica apertura verso il lago – e con un vento sostenuto, consumiamo i nostri ghiotti panini e ci soffermiamo per un’oretta presso il Rifugio della Forca, da poco restaurato ma inutilizzabile per i non addetti al Parco. Ricchi spicchi di Pini mugo ci circondano.La discesa si snoda nella parallela Valle Iannanghera, su un sentiero più lungo dell’andata ma molto più bello: si alternano angoli stretti e sassosi a slarghetti dolci di bosco maturo, con faggi ponderosi e alberelli che recano le tracce dello scortecciamento dei caprioli. Il camminare non è, quindi, affatto noioso. Anzi alle 14.30 in prossimità della Fonte Iannanghera (la quale, in realtà, è rimasta nascosta ai nostri occhi: abbiamo solo avvicinato il bel rio omonimo) incontriamo una socievolissima e affamata volpe di giovane età, con alcuni caratteri distintivi di conseguenza ancora così smorzati (quali il pelo roso e la macchia bianca sulla coda) da farci dubitare della sua vera natura volpina. La forma del muso e della coda in ogni caso, come documentano le numerose foto digitali, non lasciano equivoci.Subito dopo la fonte, e ravvicinati tra di loro (a dispetto di quanto lascia intendere la solita pessima carta del Parco), troviamo i nostri due incroci: seguiamo sempre la sinistra e ci ritroviamo sul sentiero I4. La conclusione del perfetto anello avviene alle 15.15, in tempo per fare acquisti mangerecci lungo la strada (in Molise…), per far riparare uno pneumatico sostituito e per aver tempo d’onorare – da buoni cavesi – la festività della Madonna dell’Olmo.

Settembre 24, 2006 – dom. Oasi WWF di Persano. Antonio e Rosario [foto & digitali] Emidiurna passeggiata presso la bella oasi di Persano, di questi tempi povera di specie e

in leggera fatiscenza. Lo scopo era di condurre nuove ed interessanti osservazioni ornitologiche, ma resteremo piuttosto delusi. Il top della delusione si registra con un equivoco mammifero che scivola a pelo d’acqua: palpitiamo pensando alla lontra, ma il muso squadrato e non da mustelide – confermato da successivi avvistamenti – denuncia il fatto che si trattava di volgare nutria.

Aprile 15, 2007 – dom. Anello del Monte Cardamagna (Appennino umbro-marchigiano, PU). Antonio e Tatiana [poche foto] Prima escursione, per di più molto distante (nel tempo e nello spazio) dalla precedente,

con il sottoscritto professante la propria funzione di insegnante abilitato. Prestando servizio a tempo determinato nelle terre marchigiane, si era più volte ripetuto che i

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monti delle Marche ci avrebbero (il collega Antonio ed io) presto visti protagonisti di passeggiate, arrivando alfine ad aprile per farne una – insieme (il collega Antonio, io e la collega Tatiana). Il presente resoconto, lontano dai fatti, renderà ancor più essenziale questa passeggiata.La partenza è posta al km 33 della statale 257, nel tratto che da Piobbico va ad Apecchio, nei pressi dei ruderi di Sassorotto: si intraprende il sentiero n. 31 (ed ad un primo immediato bivio si sale sulla destra) il quale si insinua – alto – lungo il Fosso del Molino. Dal tracciato si gode di un’ottima vista sulla sottostante vallecola e di un’interessante vicinanza con le adiacenti pareti, generose di stratificazioni e blande pieghe. Compiamo una breve digressione verso il fondo della valletta ritenendo di essere già giunti ad una zona di “svincolo”. In realtà bisognava ancora un po’ procedere in avanti… e così facciamo, risalendo sul sentiero e puntando al bel mulino, invaso da rigogliosa vegetazione. In lontananza compare la deliziosa, perché isolata nel contesto naturale (seppur in seguito si proverà che è fintamente isolata), Chiesa di San Cristoforo di Carda.A monte del mulino attraversiamo il fiumiciattolo che – tempo addietro - lo azionava e proseguiamo intraprendendo effettivamente il circuito del monte Cardamagna, di cui non ci interesserà la vetta (m. 962). Tale circuito si muove sui sentieri nn. 31 e 32. La pausa pranzo si svolge sui prati a SE del monte: piacevole, anche in virtù di una coppia iperattiva di cavalli, ma irrimediabilmente rovinata dal ritrovamento biasimevole di una zecca sui pantaloni della Tatianina.Continuando il circuito, attraversiamo i diroccati resti di Casa Rossara e passiamo sul sentiero n. 33 che ci conduce ad una piccola cava (q. 581). Da qui, invece di ritornare sul sentiero dell’andata, decidiamo di chiudere l’anello puntando direttamente al casotto di Sassorotto trasformando in anello un’escursione nata come cappio.

Maggio 2-3, 2007 – mer./gio. Gita scolastica nelle Foreste Casentinesi. IBP (classe IB 2006/07 del Pedagogico “Mamiani”, PU) e le colleghe Michela Del Bene e

Maryse Mattioli [digitali] Anno ricco di eventi battesimali, tra cui anche questa prima uscita scolastica con il

sottoscritto coinvolto in qualità di docente accompagnatore. La gita è stata una due-giorni che il Fato, giocherellone!, ha voluto che fosse anche di tipo escursionistico, dal momento che ci siamo mossi nel “Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna”. Per coerenza narrativa in questa sede si racconterà, brevemente, solo degli aspetti riguardanti le passeggiate, tralasciando quindi il ricco contorno umano e cronacistico delle divertenti vicende annesse: le lamentele da streppi e pioggia, le migrazioni inter-stanza notturne, la colazione minimalista, ecc…Nel primo giorno le classi hanno fatto visita all’Eremo dei Camaldoli (AR), compiendo in mattinata il brevissimo periplo delle mura del monastero (posto a quota 1104 m.) e, poco dopo, una passeggiata sotto il bosco diretti all’omonimo paesello, che sorge più in basso a 816 m. Qui si è consumata la colazione al sacco, in democratica commistione anti-gerarchica. Il pomeriggio prevedeva una breve escursione nei dintorni del paese, intrapresa ma interrotta ben presto a causa del maltempo trasformantesi in pioggia (che incombeva fin dalla mattina). Un cascinale da falegname ha riparato le bagnatissime allieve, contrariate ma divertite – come appaiono di norma tutti i giovani d’età.Dopo essersi sistemati a Poppi (AR) gli inquieti accompagnatori hanno condotto il gruppo in visita presso il Castello, piccolo e raccolto.Il secondo giorno ci ha visti nei sacri luoghi francescani de La Verna. La passeggiata qui si è snodata intorno al colle (1128 m.) su cui sorge il convento, in un bosco maturo e ammantato da muschio, di una bellezza e spiritualità naturalistica, prima ancora che religiosa. La truppa femminile ha sofferto un po’ (chi in maniera oggettiva, chi in maniera proiettiva) col passare del tempo e dei chilometri percorsi. La colazione al sacco si è svolta in uno dei locali del convento, che – in linea con la Regola - garantisce ospitalità ai viandanti. Il pomeriggio è stato impiegato per la visita all’articolato complesso, culminando nella cappella delle stimmate. Dopo la mitica foto di gruppo, sotto esilissima pioggerellina, la compagnia ritorna al bus, ops… alla corriera per rientrare a Pesaro.

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Maggio 19, 2007 – sab. Traversata con M. Sasso Grande (m. 1030), Cima Filetta (m. 1120) e M. Pratiozzo

(m. 1124) - Parco Regionale del Monte Cucco (PG). Antonio e Mauro Bianchini da Fabriano [foto?] Utilizzando come base d’appoggio la casa Buonocore sita in Abbazia di Naro,

temporaneamente occupata dal Prof. Giordano, trascorriamo un fine settimana all’insegna dell’escursionismo, con una non celata finalità di preparazione alle venture Alpi. In tale contesto preparatorio vanno inserite sia la presente che la prossima escursione, dirette a mete diverse e con diverse compagnie, ma entrambe con rientro presso il domicilio marchigiano del bell’Antonio.La seguente traversata è inserita nel perimetro del Parco del Monte Cucco. Prende l’avvio dal valico di Fossato, che è raggiungibile utilizzando la statale 76 della Val d’Esino (attenzione: bisogna lasciare la statale – che passa in galleria - a favore di una stradina che effettua il valico puntando al paesello di Campodiegoli), ove alle 8.25 ci attendeva solerte e brillante il buon Mauro per intraprendere il sentiero n. 9 (Carta al 16.000 del Parco del Monte Cucco). Ben presto, in realtà, si lascia il sentiero ufficiale per evitare una difficile erta, e si piega a destra – ancora una salita, ma più blanda. Si prosegue sul fianco orientale di questa dorsalina fin quando non si raggiunge la sella a SE del Sasso Grande: da qui inizia un tratto più acclive lungo il quale il panorama si allarga e dona ottime visuali sulle piccole e boscose valli che ci circondano.Raggiungiamo la prima vetta (Monte Sasso Grande, m. 1030) e, in rapida successione, Cima Filetta (m. 1120, ore 10.10), la principale dell’allineamento montuoso. Dondoliamo oziosamente sulla larga cresta procedendo con lentezza verso la nostra vera meta: il ristorante “Dal lepre” che invitante è comparso sulla nostra direzione maestra. Alle undici siamo sul solatio Monte Pratiozzo (m. 1124), circondati da stranissime farfalle “odonatomorfe” dalle ali nere, gialle e trasparenti. Il dubbio, indissoluto, ci stimolerà fino a tavola. Proseguendo oltre, lungo la crestina, finiamo per agganciare una carrareccia che conduce (verso NW) alla strada asfaltata per il Lepre.Vi giungiamo alle 12.15, dopo 685 metri di dislivello e pronti per assaggiare, insieme con la famiglia Bianchini riunita (Graziella e Marzia), i decantati e pregustati piatti: buon appetito!

Maggio 20, 2007 – dom. Anello e cappio superiore con Balza della Penna, m. xxxx, ed una deviazione

(Appennino umbro-marchigiano, PU). Antonio e Tatiana [poche foto] Leggasi l’introduzione della precedente escursione, cui la seguente è collegata.

La partenza (ore 9.20, sentiero n. 5) è posta poco fuori dal centro di Piobbico, lungo la strada per Urbania: infatti si attraversano alcune abitazioni private. L’inizio è abbastanza impegnativo poiché procede per tornanti puntando a guadagnare subito quota. Dopo 25 minuti siamo all’incrocio con il sentiero n.10 (che mena a sinistra): noi proseguiamo sul 5 verso destra. Ad un’ora dalla partenza la brusca pettata iniziale si ammorbidisce e comincia un lungo traverso verso est. Durante questo tratto incrociamo il sentiero 6 (che si innesta sul nostro risalendo posteriormente da destra) ed una madonnina e sbuchiamo, alla fine, su ottimi e piacevoli pratoni ospitanti mucche giulive e masticanti. Puntiamo alla rupe (la nostra prima diramazione, a destra verso SE) infilandoci tra arbusti e qualche ginepro, e saltando il doveroso fil di ferro per i bovidi. Alle 11.15 siamo sulla bella torre rocciosa che incombe sulla sottostante valle del Candigliano: è il costone più prominente della Balza della Penna (m. xxxx), cui si accede facendo uso anche delle mani e prestando attenzione, almeno nell’ultimo brevissimo passaggio.Torniamo indietro (e mi rallegro alla vista di un lungo, indeterminato, nobile e sfuggente serpente che si mette in moto al nostro passaggio) per tornare ai pratoni e, puntando a destra (la nostra seconda diramazione), per dirigerci al micro-centro di Villa Montiego posto ad una quota un po’ più bassa. Tra queste quattro case – distrutte da un terremoto ed oggi ricostruite e frequentate solo per pochi giorni durante l’anno – pranziamo con i panini (ore 12.00). Registro purtroppo, con sommo rammarico, la scoperta di una zecca sui pantaloni della povera Tatiana. Dopo tre quarti d’ora ripartiamo in salita per arrivare ai pratoni e – quindi – ripassare per la madonnina. Giunti

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all’incrocio con n. 6 (13.15) viene proposta ed accettata una variante: imbocchiamo tale nuovo sentiero che comincia da subito a perdere quota con tornati ancora più stretti rispetto a quelli usati in risalita. Ovviamente ci attende, comunque, un traverso (verso ovest) che avviene a quote più basse, vicini al fondovalle.L’escursione si conclude in bellezza verso le 14.30 sotto il castello di Piobbico e sulle sponde del Candigliano, impreziosito da numerosissime trote, alcune anche molto grandi. Non ci resta che raggiungere l’auto lasciata un po’ fuori dalla città.

Giugno 10, 2007 – dom. Anello con M. Cefalone (m. 2533), M. Portella (m. 2385) e Rifugio Duca d’Abruzzi

(m. 2388) - (Gran Sasso d’Italia). Antonio, Enzo, Fabio e Bruno. La bella comitiva si ritrova la sera del 9 intorno ad un tavolo imbandito, per una cena

con ricchi antipasti, nel piccolo centro di Poggio Picenze, dopo essersi ricongiunta provenendo dagli estremi della penisola: i docenti dalla provincia pesarese, i restanti dall’hinterland napoletano. Cena, pernottamento e colazione per poter poi svolgere un’escursione nel gruppo del Gran Sasso.Si parte (ore 9.00) dal Rifugio di Campo Imperatore, m. 2130, sotto un cielo azzurro ma attraversato da nuvoloni ben sviluppati, tanto che il profetico Antonio sentenzia: «La vedo brutta!». Da poco adeguatamente battezzato Saruman, il suddetto Antonio si mostrerà – in effetti – potente e magnanimo risparmiando la nostra comitiva (e le fortunate viciniore) da una pioggia prevista dai satelliti e chiaramente annunciata dalle avvisaglie, nel corso della giornata.Il percorso si isola poco prima dell’Osservatorio: si tratta di un’evidente mulattiera che piega in piano sulla sinistra, segnata a terra con macchie giallo-rosse ma – stranamente – non sulla carta: è il sentiero n. 1. I segni, per altro, saranno sempre presenti lungo il tragitto, ad aiutare ulteriormente l’orientazione già facilitata dalla completa assenza di alberi. Alle 9.25, subito dopo un incrocio indefinito (a terra e sulla carta!) presso il quale ci siamo tenuti a sinistra, arriviamo ad un atteso e noto incrocio: è presente, piantato a terra, un cartellino che reca delle informazioni – e noi proseguiamo a destra in leggera salita (l’alternativa sinistra perde quota e conduce ad una sorgente molto più a valle).Dopo solo dieci minuti giungiamo all’incrocio per Campo Pericoli (verso destra): noi proseguiamo invece a sinistra e – con un brevissimo balzo in salita – riusciamo a godere finalmente del panorama verso tale Campo, punteggiato da chiazze nevose, e verso la cornice di frastagliate cime che lo cinge. Da questo momento ci muoviamo sul sentiero 1A, il quale ci condurrà fino in vetta, dopo aver superato un incrocio (col sentiero 1V; l’1A prosegue a sinistra) e dopo esser diventato – nell’ultimo tratto – un po’ più impegnativo fornendo bei scorci e la necessità d’andar d’appigli.Alle 10.30 siamo in cima al Monte Cefalone (m. 2533) con un appagante panorama che (da W a N e ad E, vedi fig. 5) abbraccia il M. Corvo (a), la sottostante Val Venaquaro (b), l’imponente mole dell’Intermesoli (c) dura d’aspetto, le quinte sfuggenti e ridondanti di Campo Pericoli e di Val Maone (d), ed infine il gruppo Corno Piccolo & Grande (e, f), immoti a NE. Sulla vetta un nutrito drappello di escursionisti provenienti dall’area sublinguistica romana estingue il silenzio; così ci muoviamo alle 11 con il preciso intento di anticiparne la partenza.

Lasciamo Il Cefalone diretti esattamente a nord, lungo una cresta addolcita dai soliti cuscinetti di S. acaulis ma che costerà anche molta attenzione e tensione. Infatti compariranno sia brevi tratti sportivamente più impegnativi, sia brevissimi traversi su placche di ghiaccio ben maturo: colà soltanto l’incessante scalpellio degli scarponcini e le dita usate – per il bene della mente piuttosto che del corpo - come arpioni (e

59

d

e

b

afc

nord

estovestFigura 5

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destinate al gelo) permetteranno un passaggio lento ma sicuro. Tutto ciò si svolgerà solo nelle immediate vicinanze sottostanti alla vetta, perché poi la cresta proseguirà lungo un bellissimo bilico sospeso tra Campo Pericoli e Val Maone. Giungiamo alla sella (q. 2220 metri), detta dei Grilli, che separa la cima appena scalata dal vieppiù incombente Intermesoli: essa appare ai nostri occhi come un paradisiaco pratone farcito di metalliche ranuncolacee, violette bicolori, genziane e genzianelle, rade orchidacee, candidi cisti, diffuse e varie composite, qualche tardo croco, cuscini di Sempervivum e piccoli ma slanciati Nontiscordardimé. Intanto gracchi e corvidi volteggiano su di noi, bighellonanti fino alle 12.35.Il nostro anello prosegue curvando a destra verso l’asse della Val Maone, ma prima di calarvisi bisogna rigare ancora un po’ dritto, direzione N, per avere poi modo di agganciare esattamente il sentiero che ci permette di discendere al Pericoli. Tale discesa risulterà rapidissima e divertente, grazie ai grandi balzi compiuti sul ghiaione: in pochi minuti perdiamo moltissimi metri di dislivello. Giunti sul fondo (potremmo parlare tanto di “ultime propaggini del Campo Pericoli”, quanto di “alta Val Maone”), abbiamo - di contro – condotto una risalita piuttosto lenta verso il Valico della Portella: alle 13.20 ci concediamo un breve stop presso la località Le Capanne (q. 1957 metri) e decidiamo di fare la pausa pranzo solo a fine escursione (è stato il tempo minaccioso e la necessità di non tardare troppo a consigliarci questa strategia); poco più avanti un incrocio separa la direzione Rifugio Garibaldi – Sella M. Aquila (a sinistra) da quella per il Valico della Portella (a destra, che imbocchiamo); segue infine l’ultimo tratto – poco più acclive – di dislivello in salita (circa 300 metri), per giungere infine al valico (Valico della Portella, m. 2260, ore 14.20).In pratica vi avevamo transitato vicinissimi durante il tragitto della mattinata (erano le 9.35), anche se in quell’occasione non ci eravamo spinti fin sul bordo del valico. A questo punto la comitiva si divide: Bruno e Fenzio proseguono, per cause diverse, sui passi dell’andata [la loro escursione diventa di fatto un cappio]; gli altri tre decidono, ancora per cause diverse, di intraprendere la cresta. Questa risulterà gradevole, per quanto coperta sotto un cielo oramai coperto (ma giammai piovoso!), e ci condurrà al M. Portella (m. 2385, abbastanza anonimo) ed al Rifugio Duca d’Abruzzi (m. 2388, ore 14.50), da dove abbiamo osservato il nostro punto di partenza e d’arrivo. Dopo cinque minuti di riposo cominciamo l’ultimo segmento: un zigzag evidente su ampia mulattiera verso il sottostante Rifugio di Campo Imperatore, raggiunto alle 15.20.Registro, in fine, il discreto dislivello totale (stimato in 1150 metri) e la discreta forma fisica del sottoscritto. La comitiva pranza sul piazzale con ottimi insaccati avellinesi e napoletani e, ringraziando Saruman, si scinde così come si era fusa la sera precedente.

Giugno 30, 2007 – sab. Monte Finestra – vetta mancata. Elena [poche foto] Escursione semplicemente storica. Nonostante non abbia avuto un buon esito, molti

sono i primati di cui questa escursione può fregiarsi. L’assortimento dei partecipanti è minimo (siamo in due), ma è nondimeno speciale perché interessa la piccola Elena, che si incontra piuttosto raramente in questo Diario e, dunque, in montagna. Inoltre la suddetta non ha ancora mai scalato la Montagna dei Cavesi (tale tabù resterà inviolato) e, sull’onda di genuine aspirazioni personali, si decide di infrangerlo con il sentiero classico – il numero 8 – per quanto fortemente impegnativo per chi non è abituato a camminar per monti! Infine l’escursione risultava preziosa anche in virtù della lunga latitanza del sottoscritto dalla cima del Pertuso, e per il primo utilizzo del rilevatore satellitare sulla Montagna di Cava. Infatti era intenzione marcare tutti i punti doverosi. L’operazione, purtroppo, si interromperà a metà!La partenza è stata fissata con buon anticipo per evitare le calde ore della tarda mattinata: così alle 6.55 eravamo già all’ultimo tornante (TORCAS) della strada per il Casone, accompagnati dal Rosario. Il primo tratto, a ridosso del casotto non terminato o abbandonato e del già citato Casone, non costa molti affanni. Dopo un quarto d’ora, infatti, siamo già all’incrocio 8-10 (FI8-10) e – in appena cinque minuti – allo spiazzo di Santa Maria (SMARIA).La pausa qui è breve, ma affiorano le prime avvisaglie di una crescente difficoltà. Proseguiamo lungo il sentiero e l’erta in cui ci imbattiamo fa’ sentire i suoi effetti: lo sforzo fisico si traduce in un fastidiosissimo sudore (che risulta tale probabilmente

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perché complicato da una scottatura da mare); il sentiero spesso è stretto in una morsa di ricca vegetazione mediterranea che infastidisce il cammino ed particolarmente generosa di ragni e di altri piccoli amici. Ci concediamo un’ulteriore e giusta pausa (10 minuti o poco più) presso la cosiddetta Portella della Foto con Carta (POFOTO), dopo la quale prometto una temporanea rottura di pendenza. La promessa è mantenuta, ma dura troppo poco… E così l’affanno e le difficoltà crescono, come i dubbi sul proseguimento di quella che voleva essere un’impegnativa ma bella avventura! Quale ultimo sassolino sulla bilancia, giunge un piede in fallo: non è causa di distorsioni, ma aumenta tantissimo le preoccupazioni sulla lunghezza del percorso, sui tempi, sui rischi che – proporzionalmente – aumenterebbero, ecc… ecc…E così, alle 8.15 dopo breve consulto, decidiamo saggiamente di fare il dietrofront, forse un po’ dispiaciuti ma indiscutibilmente certi d’aver fatto la scelta migliore. La discesa sarà allora arricchita dalla raccolta di qualche fiorellino e da uno scivolone classico che, classicamente, si conclude con un bel colpo di natica.Poco prima delle 10 siamo di nuovo al tornante, in allineamento con papà Gerardo. La conquista è solo rimandata…

Luglio 7, 2007 – sab. Cappio con Santuario di Monte Tranquillo (m. 1660), Monte La Rocca (m. 1924) e

Rifugio di Iorio (m. 1830) - Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Antonio & Francesca, Enzo, Fabio Villani & Fabio Nigro, Bruno e Tatiana [poche foto e

digitali?]. Ottima escursione lungo una piacevole cresta nelle vicinanze di Pescasseroli. Per evitare

levatacce il gruppo si è mosso la sera prima raggiungendo la coppia che, già da giorni, era stanziata nel Parco presso una delle abitazioni del già noto “tal Giuseppe”.Il percorso utilizza i sentieri C, che partono ad ovest di Pescasseroli, in particolare il C3 – che può essere intrapreso lasciando l’auto dopo aver coperto un breve tratto di carrareccia carrozzabile e sassosa. Partiamo alle 8.45 e dopo un quarto d’ora siamo ad uno slargo con lungo fontanile fascista e, dinanzi a noi, un trivio. La carrareccia continua dritta (e sarà, purtroppo, lungamente utilizzata da enormi tir che salgono e scendono per lavori: la loro presenza ed il loro – più o meno lontano – rumore ci accompagnerà per tutta la giornata allorquando saremo nelle vicinanze della carrozzabile), ma noi curviamo a sinistra in leggera salita per agganciare la vecchia strada che portava al Santuario (e di là poi in Lazio), lastricata e delimitata da pietre tagliate.Ci stiamo muovendo lungo un sentiero sassoso, con qualche tornante e sotto un bosco a tratti rado, in cui compare anche una famiglia equina con puledrini al seguito. Risalendo affianchiamo due piccoli rifugi chiusi (il primo ci è adiacente, il secondo è un po’ lontano sulla destra). I segni, di diversa coloritura, sono presenti – anche se non sempre e chiaramente. Ad esempio presso una conchetta sotto il bosco il proseguimento ci è apparso equivoco: bisogna andare diritti seguendo l’asse principale della vallecola. A destra, intanto, il rumore dei tir continua a farci compagnia.Alle 9.30 giungiamo su di uno spiano, a quota 1364 metri, che ospita un inusuale crocefisso un po’ naif e un piccolo abbeveratoio metallico. Si para, inoltre, dinanzi a noi un bivio presso il quale bisogna proseguire a destra, in piano, come sbiaditi segni rosso e blu indicano: ci ritroviamo in pratica su una sterratina. Poco più avanti sbuchiamo fuori dal bosco e incrociamo la carrozzabile (ancora funestata dai camion) lasciata alla base (ABC3ST: ABruzzo, incrocio C3 con STerrata): noi la tagliamo procedendo dritto ed attraversando un nuovo pianoro, in leggera pendenza, caratterizzato da una croce classica [La carrozzabile appena intersecata prende lentamente quota sul versante abruzzese della catena; da questa si distacca, poco più su, una mulattiera che conduce al Santuario di M. Tranquillo; essa invece conduce al valico di Forca d’Acero e quindi, di fatto, in Lazio].Ripiombiamo così nel bosco e – salendo - incroceremo tre volte la mulattiera per il Santuario, testé citata, tagliandone la blanda risalita a tornanti. Anche il nostro cammino, su sentiero, diviene tuttavia stretto tra zigzag nella sua ultima parte; fin quando non sbucheremo fuori da bosco (definitivamente) e accanto all’atteso edificio sacro, che si presenta – improvviso – a sinistra mentre il sentiero prosegue dritto. Il Santuario di Monte Tranquillo (SANTRA, m. 1600, ore 10.15) ha una facciata con porticato che punta, verso NE, su un allineamento di monti tra cui: Terratta, Marsicano, Amaro (d’Opi) e tutte le numerose cime che aguzzano verso SE.

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Dopo 15 minuti di pausa riprendiamo il cammino e giungiamo ad un ampio circo, malmesso a causa di alcune costruzioni/bivacco, ed invece di proseguire sul sentiero (che punta al valico tra il M. Tranquillo – a sinistra – e il M. Pietroso – a destra) accorciamo di un po’ il tragitto virando a destra e, dopo breve ed impegnativo percorso libero, agganciamo direttamente la cresta in direzione della nostra prima cima: il M. Pietroso. Dell’innocuo (nomen omen) e vicino monte, non ci interessa la cima… La cresta, che permette allo sguardo di toccare finalmente la zona di Sora e di Val di Comino, ci condurrà con molto sudore al Monte Pietroso (PIETRO, m. 1876, ore 11.15): la fatica è comunque già ripagata dall’ampio panorama, di cui si dirà poco più avanti. Solo dieci minuti di pausa e ripartiamo, attraversando – durante la discesa – anche un breve tratto di boschetto cui segue la risalita per il Monte della Strega (STREGA, m. 1909, ore 11.45) e per il successivo Monte La Rocca (LAROCC, m. 1924, ore 12.00), massima elevazione della giornata. Da qui il panorama è generoso e spazia tra il Gran Sasso a nord, la Majella (defilata al di là della cresta della Terratta), i già noti Marsicano e picchi aguzzi del Parco verso E ed, infine, numerose cime campane a SE.La lunga passeggiata su cresta prosegue e, dopo mezz’ora, siamo sul Picco La Rocca (PICROC, m. 1867): manca ancora un bel tratto per il Rifugio di Iorio, e quindi per la colazione al sacco. Dunque si prosegue, sfilacciandoci un po’, ma sempre in piacevole saliscendi tra numerose e innominate cimette, sotto un sole duro ma rinfrescati dal classico vento di cresta. Alle 13.10 arriviamo finalmente al Rifugio di Iorio (RIORIO, m. 1830) e ci possiamo concedere una pausa di quasi un’ora, mangereccia e ristoratrice.Per la discesa utilizziamo una cresta/spalla che punta ad est e che lasceremo prima che cominci a riprender quota, buttandoci liberamente (tutta questa prima parte del ritorno non è su sentiero) a destra verso la boscosa zona detta Ciammaruca. Perdiamo quota con estrema rapidità perché compiamo balzi su belle balze prative, fino a imboccare il bosco. Qui l’ottima Francesca scova delle labili tracce che ben presto diventano un netto sentierino: non si tratta di un sentiero segnato sulla carta, ed è anche poco frequentato (infatti la vegetazione è cresciuta intorno fino ad obliterare del tutto il passaggio), ma appare subito appropriato per il nostro scopo.E così tra segmenti sotto boschi, a volte anche molto maturi con esemplari arborei notevoli, e segmenti su rade aperte, percorriamo il Vallone Pesco di Lordo, che ci conduce alla carrozzabile della mattina. Poco più avanti chiudiamo il cappio (sono le 15.35) rivedendo il fontanile, che – tra l’altro – non viene sfruttato perché invaso da una marea inquantificabile di omuncoli di blu vestiti, giovanissimi escursionisti provenienti da una qualche sorta di colonia e condotti per sentieri da una qualche associazione naturalistica…Gli imberbi ci avvolgono ma la simbiosi è breve perché, tempo 10 minuti e siamo alle auto, impolverate dai tir ancora in azione. Ecco alcuni dati:

percorso totale: 16.8 km. durata viaggio (escluse pause): 5h 50m. dislivello totale: circa 1000m.

Agosto 5 - 15, 2007 – dom./mer. Parco Nazionale del Gran Paradiso, Alpi occidentali. Antonio, Enzo Fiscone, Tatiana, Fabio Villani, Bruno, Fabio Nigro & Simona Fazio [digitali

e foto]. Le vacanze estive 2007 hanno avuto un’impronta nettamente escursionistica dal

momento che questa variegata compagnia ha scelto come stazione di soggiorno e base di lancio Cogne, rinomato centro aostano porta d’accesso alle vette e ai ghiacciai del più antico Parco Nazionale italiano.La Domenica 6 agosto . Morskie Oko (Monti Tatra).

S…

Maggio xx, 2007 – xxx. Dove, m. 8850 (lì o là) Chi [con cosa] Note.

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Maggio xx, 2007 – xxx. Dove, m. 8850 (lì o là) Chi [con cosa] Note.

Maggio xx, 2007 – xxx. Dove, m. 8850 (lì o là) Chi [con cosa] Note.

Maggio xx, 2007 – xxx. Dove, m. 8850 (lì o là) Chi [con cosa] Note.

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AddendaSono stati ritrovati diari cartacei precedenti al presente Diario Ufficiale Escursioni. Vengono quindi qui riportate, per completezza, le escursioni in essi contenute con brevissime informazioni riguardanti i partecipanti, eventuale documentazione ed ulteriori note aggiuntive. Le date coprono, in maniera lacunosa, il periodo che va’ dal gennaio ’96 all’estate ’98.

1996 Gennaio 14 – Monte Finestra (Rosario – foto – prima escursione con altimetro). Gennaio 21 – Monte Finestra (Rosario, Antonio & Francesca – prima escursione col

Giordano). Gennaio 28 – Pietrapiana (Rosario – foto? - ricerca fossili). Marzo 3 – Grotte di Capo d’Orso (?Rosario e Francesco – dia?). Aprile 25 – Santuario dell’Avvocata (Pinuccio, Ferruccio e Carolina). Maggio 27-28 – Massiccio del Pollino con altopiani e Serra delle Ciavole (Antonio – foto –

primo campeggio, per di più libero).

1997 Pasqua – Savelli (Antonio & Francesca – foto - prima volta a Pino Grande). Luglio – Massiccio del Pollino con Serra delle Ciavole (Antonio e Barbara – video e foto - con

tenda). Agosto – Savelli (con Antonio e famiglia Giordano). Settembre – Savelli (Antonio, Barbara, Imma e Isabella – video e foto). Dicembre – Savelli (Antonio & Francesca, Emilio & Gianluca, Barbara Manfredini, Giancarlo

Zizolfi).

1998 Gennaio 11 – Monte Accellica (Antonio & Francesca – foto – raccolta breccia a nummuliti). Febbraio 8 – Monte Licinici (Antonio & Francesca, Barbara, Imma, Fabio Villani – foto). Febbraio 21-23 – Parco Nazionale d’Abruzzo con (22 febbraio) Monte Turchio (Antonio,

Barbara & Marco e Stefania Manfredini, Gianzinzi, Eugenia & Francesco – foto – ospiti in casa Manfredini ad Alfedena).

Marzo 1 – Monte Finestra (Rosario & Francesco, Alex – video – raccolta gasteropodi fossili). Marzo 21 – Circeo (Rosario, Antonio & Francesca – foto – raccolta calcite). Aprile 6-9 – Escursione universitaria a Suio con il prof. Barattolo. Maggio 10 – Parco nazionale d’Abruzzo con Monte Jamiccio (Antonio & Francesca, Biagio –

vetta mancata).

1999 Luglio 30 – Agosto 6 – Val di Susa (F.lli Paolillo con Antonio & Francesca) – video & dia –

con Guglia Rossa (31 luglio), Pan de Sucre (1° agosto) e Monte Tabor (2 agosto).

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Page 65: Diario ufficiale escursioni

Indice dei WaypointsA partire dal 25/7/2004 i resoconti delle escursioni, oltre a riassumere i dati registrati con il GPS, riportano anche i punti che sono stati marcati con il navigatore satellitare: questi ultimi sono scritti in maiuscolo e con sottolineatura (es: CERVIA). Il seguente elenco descrive tutti i waypoints memorizzati nel GPS (compresi quelli che non sono nominati all’interno del presente diario) corredati da riferimenti geografici o, se necessario, da spiegazioni.

2ATORR Seconda Torre (Torri di Petina) – Alburni.3FAGGI Sorgente dei Tre Faggi – Massiccio del Pollino.4VIE Incrocio “Quattro Vie” – sentieri 6 e 7, Sila Grande.ABC3ST Incrocio sentiero C3 e carrozzabile per Forca d’Acero – Parco Nazionale

d’Abruzzo, Lazio e Molise.ABIERI Incrocio nn. 5 e 2 presso Colle Abieri – Sibillini.AMMSIB Ammoniti lungo cresta sud del Redentore – Sibillini.ARESTA Rifugio dell’Aresta – Alburni.ASTRAK Monte Astràka – Pindo Settentrionale, Grecia.ASTRIF Rifugio del Monte Astràka – Pindo Settentrionale, Grecia.AV-00 Incrocio tra l’Alta Via e il sentiero per l’Avvocata – Lattari.AV-5-7 Incrocio sentieri n. 5 e n. 7 dei Lattari.AV5RIOBICCHE Monte il Bicchero - Gruppo del Velino.BIALOW Ingresso della Dom Turysty, Parco Nazionale di Białowieża - Białowieża, Polonia.CAFORC Forchetta della Cafornia - Gruppo del Velino.CAFORN Monte Cafornia - Gruppo del Velino.CAPVEC Cappella Vecchia – Lattari.CASA Casa Paolillo – Cava de’ Tirreni.CERRET Monte Cerreto – Lattari.CERVIA Monte Cervialto – Picentini.CIAV-N Serra delle Ciavole, vetta nord – Massiccio del Pollino.CIAV-S Serra delle Ciavole, vetta sud – Massiccio del Pollino.CIMLAG Cima del Lago – Sibillini.CIMPUZ Cimata di Puzzillo - Gruppo del Velino.CMP Cozzo di Mastro Pasquale (affioramento ad ammoniti e belemniti) – Cropalati,

preSila nordorientale.CNCZPR Conchetta di Cozzo del Principe, a NNW della vetta, utile per raggiungere il

sentiero n. 3 muovendosi dalla zona di Macchialonga – Sila Grande.COLNAP Casupola di Colle Napoletano – Sila Grande.CRAPAR Pianoro del Craparizzo – San Gregorio Magno.DEIBIS Attacco sentieri degli Dei presso Grotta Biscotto – Lattari.DEINOC Attacco sentiero degli Dei presso Nocelle – Lattari.DEIPAN Sentiero degli Dei, punto panoramico – Lattari.DOLCED Serra Dolcedorme – Massiccio del Pollino.DRAKOL Lago Drakòlimni (Gruppo Astràka) – Pindo Settentrionale, Grecia.FALER Monte Falerio – Lattari.FI8-10 Incrocio sentieri 8 e 10 – Lattari.FIGLIO Figliolo (Torri di Petina) – Alburni.GHEZZI Capanna Ghezzi – Sibillini.GIORSI Casa Giordano – Villaggio Pino Grande, Sila.GRINVE Grava d’Inverno – Alburni.IMPISO Colle dell’Impiso – Massiccio del Pollino.LAPILA La Pila (nei pressi dell’Aresta) – Alburni.LAROCC Monte la Rocca – Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.LMACCH Lago di Macchiagrande (Laghetto dei Ranocchi) – Sila Grande.MALVEN Attacco dal Vallone di Malvento per la Sella di Dolcedorme – Massiccio del

Pollino.M-AVVO Monte Avvocata – Lattari.MATTIA Colonna della Trinità (Chiesa di Mattia) – Budapest, Ungheria.META Monte Meta – Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.MILOSP Cala di Milospòtami – costa orientale della penisola del Pilio, Grecia.MINBAU Attacco sentiero 1C (presso capannone miniera di bauxite) - Gruppo del Velino.

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MONNA Monte Monna – Picentini.PICROC Picco La Rocca – Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.PILATO Lago di Pilato (riva nord) – Sibillini.PORDIA Porta di Monte Diavolo – Picentini.PROF Studio del Prof. Barattolo – Napoli.PROLIC Slarghetto lungo il sentiero 16C per i Licinici – Picentini.PICE24 Attacco sentiero n. 24 dei Monti Picentini.PIETRO Monte Pietroso – Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.POFOTO Portella della Foto con Carta, sentiero per Monte Finestra – Lattari.PORRAR Monte Porrara – Parco Nazionale della Majella.REDENT Cima del Redentore – Sibillini.RIFSEB Rifugio Sebastiani - Gruppo del Velino.RIORIO Rifugio di Iorio – Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.SANTRA Santuario del Monte Tranquillo – Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.S-AVVO Santuario dell’Avvocata – Lattari.SCETAT Fonte Scetate ca è juorn’ – Lattari.SILA-1 Punto utile lungo l’ippovia per Serra Ripollata – Sila Grande.SILA-2 Punto utile lungo l’ippovia per Serra Ripollata – Sila Grande.SMARIA Santa Maria, sentiero per Monte Finestra – Lattari.SMOLIK Monte Smòlikas – Pindo settentrionale, Grecia.SRRIPO Serra Ripollata - Sila Grande.STREGA Monte della Strega – Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.TOSCAN Punto d’uscita dai Piani di Pollino verso il Colle dell’Impiso – Massiccio del Pollino.TORCAS Tornante del Casone, partenza sentieri 8 e 10 per Monte Finestra – Lattari.TORMI2 Cima anonima a ESE da Punta di Tormine – Picentini.TRITON Fontanile del Tritone, utile per giungere alla Grava di Fra’ Gentile – Alburni.TSGIOV Torre San Giovanni (Marina di Ugento, Lecce), spiaggia prospiciente all’Isola

delle Pazze.TUORO Valico del Tuoro – Lattari, sentiero n. 22.VARSAV Statua della Sirena, Piazza della Città Vecchia – Varsavia, PoloniaVELINO Monte Velino.VIOLA Forca Viola – Sibillini.VIESCO Casolare sul Piano di Viesco – Lattari.ZILIOL Rifugio Zilioli – Sibillini.

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Indice delle escursioniLegenda

Grassetto con quota: escursione con vetta raggiunta (e quota).Grassetto senza quota: escursione con vetta non raggiunta.Tondo: escursione senza vetta.Corsivo: passeggiata o, se escursione, con intenti non escursionistici.

6/10/2001 – M. Sant’Angelo a Tre Pizzi (m. 1444). 8-9/10/2001 – Trentinara. 14/10/2001 – Cima delle Murelle (m. 2596), M. Acquaviva (m. 2373) e M.

Focalone (m. 2676). 4/11/2001 – San Liberatore (m. 466). 20/11/2001 – Roccadaspide. 21-22/11/2001 – Trentinara. 25/11/2001 – Le Cresta (m. 644). 2/12/2001 – M. La Nuda (m. 1709). 16/12/2001 – M. Caruso. 28/12/2001 – Trentinara. 30/12/2001 – Monti del Demanio. 5/1/2002 – M. Mai. 19/1/2002 – M. Finestra. 29/1/2002 – Trentinara. 17/2/2002 – M. Maggiore (m.). 10/3/2002 – M. Cerreto (m. 1316). 27/4/2002 – M. Accellica (m. 1660). 18/5/2002 – M. Polveracchio (m. 1790). 26/5/2002 – M. Tartaro (m. 2192) e M. Meta (m. 2242). 2/6/2002 – Serra del Campitello (m.2026) e M. della Corte (m. 2182). 23/6/2002 – Vallone Pinzarrino. 2/8/2002 – M. Bove Nord (m. 2112), M. Bove Sud (m. 2169) e M. Bicco (m.

2052). 3/8/2002 – Valle Acquasanta. 4/8/2002 – M. Patino (m. 1883) e M. Lieto (m. 1944). 5/8/2002 – M. Redentore (m. 2448). 29/9/2002 – Trentinara. 26/10/2002 – Fossiata e Gallopane. 8/12/2002 – M. Finestra (m. 1128). 10/12/2002 – Parco Diecimare. 15/12/2002 – M. Sant’Angelo (m. 1130). 2/1/2003 – M. Finestra (m. 1128). 19/1/2003 – M. Circeo (m. 541). 26/1/2003 – Valle delle Ferriere. 2/2/2003 – M. Caruso (m. 761) e Forcella della Cava. 8/2/2003 – Piano Laceno. 16/2/2003 – Piano Laceno. 23/2/2003 – M. Falerio (m. 684) e M. dell’Avvocata (m. 1014). 22/3/2003 – M. Caruso (m. 761) e Forcella della Cava (m. 852). 29/3/2003 – Valle del Sabato. 30/3/2003 – M. Finestra (m. 1128). 6/4/2003 – Oasi di Bosco Croce. 19/4/2003 – M. Mai (m.1607) e Pizzo San Michele (m. 1567). 1/5/2003 – Riserva Giganti di Fallistro. 2/5/2003 – Serra Ripollata (m. 1682). 3/5/2003 – Sila n.10. 31/5/2003 – M. Cervialto (m. 1809). 6/6/2003 – Serra del Prete (m. 2180). 7/6/2003 – Serra Dolcedorme (m. 2266). 22/8/2003 – M. Marcolano (m.1940) e Rocca Genovese (m. 1940). 23/8/2003 – M. Meta (m. 2242). 25/8/2003 – M. Valle Caprara (m. 1998). 3/9/2003 – Oasi di Persano.

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6/9/2003 – Corno Grande (m. 2912). 13/9/2003 – M. Finestra (m. 1145). 11/10/2003 – Isola di Zannone. 26/10/2003 - Serra Ripollata (m. 1682). 15/11/2003 – Monti Picentini (sent. n. 16c). 31/11/2003 – Parco WWF Diecimare. 14/12/2003 – Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. 24/1/2004 - M. Sant’Angelo a Tre Pizzi (m. 1444) e Sentiero degli Dei. 1/5/2004 – Sila Grande n. 8. 2/5/2004 – Cugno di Porrazzo (m. 1648) e Gariglione (m. 1765). 30/5/2004 – M. Marsicano (m. 2243) e M. Forcone (m. 2253). 25/7/2004 – M. Cervialto (m. 1809). Agosto 2004 – M. Bulgheria. 19/8/2204 – Monti Picentini (sent. n. 8). 26/8/2004 – Cozzo di Mastro Pasquale. 28/8/2004 – Serra Ripollata (m. 1682). 3/10/2004 – M. Cila. 14/10/2004 – Matese. 20/10/2004 – Matese. 24/10/2004 – Matese. 29/10/2004 – Matese. 1/11/2004 – Matese. Dicembre 2004 – Villaggio Pino Grande. 9/1/2005 – M. Cerreto (m. 1316). 13/3/2005 – Sentiero degli Dei. 26/3/2005 – M. Monna (m. 1195). 3/4/2005 – M. Falerio (m. 684) e M. dell’Avvocata (m. 1014). 24/4/2005 – Serra Ripollata (m. 1682). 15/5/2005 – Punta di Tormine (m. 1129). 11/6/2205 – Serra delle Ciavole (m. 2130). 12/6/2205 – Serra Dolcedorme (m. 2266). 4/8/2005 – Lago Drakòlimni (m. 2010). 5/8/2005 – Monte Astràka (m. 2433). 7/8/2005 – Rifugio Smòlikas (m. 1750). 8/8/2005 – Monte Smòlikas (m. 2623). 11/9/2005 – Rifugio Sebastiani (m. 2101) e Cimata di Puzzillo (m. 2140). 12/9/2005 – M. Velino (m. 2486), M. Cafornia (m. 2409) e M. il Bìcchero (m.

2161). 25/9/2005 – M. Meta (m. 2242). 1/10/2005 – Valle di San Liberatore. 30/10/2005 – M. Porrara (m. 2137). 1/11/2005 – Le Creste. 12/4/2006 – M. dell’Avvocata (m. 1014). 15/4/2206 – Torri di Petina (Figliolo, m. 1337). 13/5/2006 – Pianoro Melara. 27/5/2006 – Grava di Fra’ Gentile. 28/5/2006 – Grava di Fra’ Gentile. 1/7/2006 – Cima del Redentore (m. 2448), Cima del Lago (m. 2422), Punta di

Prato Pulito (m. 2373) e Lago di Pilato (m. 1949). 6/8/2006 – Morskie Oko. 9/8/2006 - Białowieski Park Narodowy. 9/9/2006 – Forca Resuni. 24/9/2006 – Oasi di Persano. 15/4/2007 – Monte Cardamagna. 2-3/5/2007 – Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e

Campigna. 19/5/2007 – M. Sasso Grande (m. 1030), Cima Filetta (m. 1120) e M. Pratiozzo

(m. 1124). 20/5/2007 - Balza della Penna (m. xxxx). 10/6/2007 – M. Cefalone (m. 2533), M. Portella (m. 2385) e Rifugio Duca

d’Abruzzi (m. 2388). 30/6/2007 – M. Finestra.

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7/7/2007 - M. Pietroso (m. 1876), M. della Strega (m. 1909), M. La Rocca (m. 1924), Picco La Rocca (m. 1867) e Rifugio di Iorio (m. 1830).

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