e sostenibilita - appunti sostenibilita e filiera tessile...

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1 Liuc 2014-15 Comptitivitae sostenibilita- appunti SOSTENIBILITAE FILIERA TESSILE ITALIANA (Aurora Magni ) Premessa Oggetto dell’analisi è l’industria tessile italiana il cui peso nel complessivo sistema industriale nazionale ed Europeo è ancora rilevante malgrado i ridimensionamenti subiti dal comparto nell’ultimo decennio. La tesi è che la sostenibilità rappresenti non solo un argomento etico e coerente con le sollecitazioni poste da movimenti d’opinione e stakeholder al sistema della moda, ma anche e soprattutto una leva di business e di recupero di competitività. Esiste infatti uno stretto legame tra investimenti industriali “greeneffettati in risposta a imposizioni di legge, risparmio di risorse (idriche ed energetiche in particolare), prevenzione di interventi correttivi (disinquinamento di siti, penalità, compensazioni) e riduzione di costi industriali. Una lezione che le imprese italiane hanno fatto propria. Non mancano infatti gli esempi virtuosi in questa direzione 1 . Naturalmente ci teniamo a precisare che per sostenibilità non si intende il semplice rispetto dei dettami di leggi e normative. Ci interessano le strategie di miglioramento continuo assunte volontariamente da una industria, d aun’organizzazione al fine di migliorare le sue performance ambientali e le sue relazioni con le comunità con cui interagisce. Si va infatti diffondendo l’esigenza di distinguere tra greenwashing e politiche d’impresa volte a ridurre l’impronta ambientale dei processi e dei prodotti. Ci si interroga sull’efficacia delle certificazioni, sulla necessità di avvalersi di una comunicazione trasparente con linguaggi condivisi, sulla tracciabilità delle filiere. Un processo non facile che chiede alle imprese (come già avviene per la determinazione qualitativa dei prodotti e della loro sicurezza) di fissare obiettivi, acquisire dati, elaborarli, monitorarli. Anche il mondo della moda, abituato per sua natura all’uso di argomenti emozionali e simbolici, sta imparando ad orientarsi nel complesso mondo delle certificazioni e dei capitolati tecnici. Un percorso che ha un obiettivo comune: disegnare, produrre, commercializzare ed usare abiti ed accessori ecofriendly, realizzati con equità sociale e rispetto per l’ambiente. Nel rapporto si fa riferimento all’attualità del dibattito in corso nelle imprese tessili italiane ma ci si sofferma soprattutto sulle metodologie (LCA) fornendo indicazioni per l’applicabilità delle stesse alla filiera tessile. Il caso individuato riguarda la produzione di tessuti cotonieri. 1 Un quadro delle politiche sostenibili assunte nel comparto tessile italiano è ricavabile dai rapporti GreenItaly elaborati annualmente da Symbola e Unionamere. Si veda in particolare l’edizi one 2013 http://www.symbola.net/html/article/rapportogreenitaly2013

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Liuc 2014-15 Comptitivita’ e sostenibilita’ - appunti

SOSTENIBILITA’ E FILIERA TESSILE ITALIANA (Aurora Magni )

Premessa

Oggetto dell’analisi è l’industria tessile italiana il cui peso nel complessivo sistema industriale nazionale ed

Europeo è ancora rilevante malgrado i ridimensionamenti subiti dal comparto nell’ultimo decennio.

La tesi è che la sostenibilità rappresenti non solo un argomento etico e coerente con le sollecitazioni poste

da movimenti d’opinione e stakeholder al sistema della moda, ma anche e soprattutto una leva di business

e di recupero di competitività.

Esiste infatti uno stretto legame tra investimenti industriali “green” effettati in risposta a imposizioni di

legge, risparmio di risorse (idriche ed energetiche in particolare), prevenzione di interventi correttivi

(disinquinamento di siti, penalità, compensazioni) e riduzione di costi industriali.

Una lezione che le imprese italiane hanno fatto propria. Non mancano infatti gli esempi virtuosi in questa

direzione1.

Naturalmente ci teniamo a precisare che per sostenibilità non si intende il semplice rispetto dei dettami di

leggi e normative. Ci interessano le strategie di miglioramento continuo assunte volontariamente da una

industria, d aun’organizzazione al fine di migliorare le sue performance ambientali e le sue relazioni con le

comunità con cui interagisce.

Si va infatti diffondendo l’esigenza di distinguere tra greenwashing e politiche d’impresa volte a ridurre

l’impronta ambientale dei processi e dei prodotti. Ci si interroga sull’efficacia delle certificazioni, sulla

necessità di avvalersi di una comunicazione trasparente con linguaggi condivisi, sulla tracciabilità delle

filiere. Un processo non facile che chiede alle imprese (come già avviene per la determinazione qualitativa

dei prodotti e della loro sicurezza) di fissare obiettivi, acquisire dati, elaborarli, monitorarli.

Anche il mondo della moda, abituato per sua natura all’uso di argomenti emozionali e simbolici, sta

imparando ad orientarsi nel complesso mondo delle certificazioni e dei capitolati tecnici. Un percorso che

ha un obiettivo comune: disegnare, produrre, commercializzare ed usare abiti ed accessori ecofriendly,

realizzati con equità sociale e rispetto per l’ambiente.

Nel rapporto si fa riferimento all’attualità del dibattito in corso nelle imprese tessili italiane ma ci si

sofferma soprattutto sulle metodologie (LCA) fornendo indicazioni per l’applicabilità delle stesse alla filiera

tessile. Il caso individuato riguarda la produzione di tessuti cotonieri.

1 Un quadro delle politiche sostenibili assunte nel comparto tessile italiano è ricavabile dai rapporti GreenItaly

elaborati annualmente da Symbola e Unionamere. Si veda in particolare l’edizione 2013

http://www.symbola.net/html/article/rapportogreenitaly2013

2

Si tratta naturalmente di un’esemplificazione scelta per l’importanza che questa fibra ancora ricopre a

livello mondiale2 e per il suo significato nella cultura del fashion.

Una esemplificazione che certo non copre tutte le variabili del ciclo di lavorazione tessile.

La filiera tessile prevede tipologie di processo e pratiche operative che variano anche radicalmente in

funzione delle fibre processate (naturali o man made), della natura del substrato lavorato (filato, tessuto,

maglia, TNT, pizzo, ricamo), della destinazione d’uso (fashion, tessili casa, tessili tecnici) e degli obiettivi che

si vogliono ottenere (estetici, prestazionali, tattili). Descrivere ogni singolo processo nelle sue molteplici

variabili è quindi un’operazione complessa che esula l’obiettivo di questo elaborato che proponiamo come

un primo tassello per ulteriori approfondimenti.

2 Il cotone è la seconda fibra consumata al mondo dopo il poliestere e rappresenta il 31% delle materie prime diffuse a

livello globale (dati: Assofibre Cirfs, 2010)

3

1. Il tessile made in Italy. Una filiera antica e integrata

L’Italia vanta una straordinaria tradizione manifatturiera tessile che si sviluppò nel XIX secolo in particolare

con la nascita di grandi imprese specializzate nella lavorazione del cotone (Piemonte e Lombardia con

concentrazioni nell’ Alto Milanese, a Bergamo e Brescia, Campania), della seta (Como, Lecco, Veneto,

Caserta), della lana (Biella, Prato, Vicenza, Treviso, Perugia), del lino (Bergamo, Brescia). Un modello

economico basato sulla concentrazione in grandi stabilimenti di processi integrati per la lavorazione della

fibra, frutto in molti casi della lungimiranza di investitori stranieri, in particolare svizzeri e tedeschi, attratti

dai vantaggi di costo dell’Italia dell’epoca comunque ricca di una forte tradizione tessile artigiana e di corsi

d’acqua idonei a sostenere le attività manifatturiere3.

Il 900 è inoltre il secolo della sinergia tra industria chimica e tessile che diede vita a progetti avveniristici

come la produzione nel periodo autarchico dei filati artificiali a base cellulosica a Torviscosa e del Lanital,

polimero a base proteica ottenuto dalle eccedenze dell’ industria casearia.

Lo sviluppo delle manifatture tessili sollecitò la nascita di una forte industria meccanica anticipando le

collaborazioni virtuose su cui si articoleranno nei decenni successivi i distretti industriali.

Il secolo successivo vide il superamento della grande impresa verticalizzata a favore della nascita di aziende

di piccole e medie dimensioni specializzate in distinti step produttivi, fenomeno sociale ed economico

spinto da una nuova imprenditoria dinamica e flessibile e che contribuirà fortemente allo sviluppo del

made in Italy.

Oggi l’industria tessile italiana emerge ridimensionata dalla pressione dei competitor internazionali e dalla

crisi finanziaria degli ultimi anni ma mantiene caratteristiche che vanno considerate in quanto in esse

risiedono la forza del modello produttivo italiano e le azioni volte a attribuire valore di sostenibilità alle

produzioni.

In particolare:

mentre si ampliano i processi di internazionalizzazione indotti dalla nuova organizzazione

globale del lavoro e dei mercati, i distretti italiani mantengono un ruolo organizzativo

importante. Consentono infatti alle imprese economie di scala e di scopo, collaborazioni

intersettoriali e apprendimenti condivisi stimolati dalla concorrenzialità interna. Il legame

territorio-impresa mantiene un significato valoriale importante anche in termini di marketing

che viene rafforzato dalla comparazione tessile-food ( slow wear come slow food) basata

sull’equivalenza “buono e bello” come intagible assest del made in Italy,

3 Oltre a produrre la forza motrice per il funzionamento delle macchine, i fiumi e torrenti presso i quali venivano costruite le

imprese tessili fornivano acqua per i processi di nobilitazione ed accoglievano i reflui delle attività produttive. La caratteristica

qualitativa dell’acqua stessa è alla base dello sviluppo di determinate tipologie d’impresa come nel caso dei lanifici biellesi che si

avvantaggiarono di acque a basso contenuto di calcare, ottime per il lavaggio delle lane di pregio.

4

la centralità del prodotto (creatività, innovazione, performances) nelle strategie d’impresa, si

traduce non solo nell’attenzione riservata all’ideazione del campionario, ma anche nella

caratterizzazione merceologica dei materiali e dei processi che ne sono alla base. Una cultura

estetica e tecnica che si avvale della prassi diffusa seppur non formalizzata della ricerca e

sviluppo (R&D).

l’imponente penetrazione commerciale in Europa di semilavorati e manufatti tessile prodotti in

Asia a seguito della chiusura dell’accordo Multifibre, ha fatto emergere il problema della

sicurezza del prodotto e della salute del consumatore. L’adozione, da parte delle imprese

italiane del regolamento Reach, il rispetto delle leggi ambientali, il ricorso alle certificazioni

ambientali volontarie, contribuiscono a definire il made in Italy non solo in funzione della sua

valenza culturale ma anche come espressione di un sistema produttivo sicuro per gli utilizzatori

e meno impattante ecologicamente.

E’ in questo scenario che si colloca l’approccio delle imprese italiane del BtoB alla sostenibilità.

Tre macro fattori ne sono alla base:

1. Necessità di contenere i costi di produzione attraverso la riduzione dei consumi energetici, idrici,

delle sostanze chimiche di processo, dei volumi di materiali processato negli impianti di

depurazione, degli scarti,

2. Ricerca di argomenti volti a differenziare il proprio prodotti inserendolo in una nuova narrazione

culturale ed emozionale, quella della sostenibilità, avvicinando così consumatori “evoluti e

sensibili”,

3. Adeguamento delle proprie collezioni alle richieste che i committenti (brand della moda e della

distribuzione) avanzano nella formalizzazione del contratto d’acquisto e che riguardano

prevalentemente l’assenza di determinate sostanze chimiche riconosciute come inquinanti e/o

pericolose per il consumatore.

Pur non mancando casi in cui la sostenibilità è utilizzata dalle aziende come argomento di marketing non

sostenuto dalla necessaria documentazione tecnica a prova di quanto dichiarato4, le imprese italiane che

approcciano la sostenibilità si avvalgono di una cultura del total quality e delle certificazioni aziendali e di

prodotto introdotta e metabolizzata nei decenni precedenti.

Da questo punto di vista la sostenibilità è una evoluzione dei processi di analisi e di miglioramento continuo

introdotti dalla cultura della qualità ed un ampliamento dell’approccio ad una dimensione extrasettoriale

4 Contro il greenwashing l’Istituto di Autodiscipliana Pubblicitaria ha recentemente varato un regolamento che non

consente uso di espressioni che richiamino valori green ed etici nella pubblicità di un prodotto senza disporre di prove

documentato a sostegno di quanto affermato (art. 12 e 12bis, febbraio 2014)

5

integrata che coinvolge l’ambiente circostante ma anche altri soggetti della filiera produttiva: i fornitori e i

clienti.

Sarebbe poco realistico descrivere le strategie di miglioramento ambientale in atto nel comparto tessile

italiano come risultato solo di una nuova e diffusa sensibilità ecologista.

Senza sottovalutare le motivazione culturali ed etiche alla base del crescente impegno delle imprese tessili

italiane sul fronte della sostenibilità, è corretto riconoscere un ruolo anche alle pressioni esterne al sistema

indotte in particolare dai movimenti ambientalisti internazionali. Le campagne attivate in particolare da

Greenpeace in questi anni ed in particolare Detox, iniziativa di pressione mediatica mediante la quale viene

richiesto ai brand della moda di eliminare 11 sostanze chimiche 5 dai processi produttivi (assumendosi così

precisi impegni nella gestione della supply chain) ha nel contempo mostrato il sistema certificatorio come

non sufficientemente garantista in merito alla non tossicità di materiali realizzati e indotto le imprese

committenti ad elaborare propri capitolati tecnici volti spesso ad integrare o a rafforzare i dettami dello

stesso regolamento REACH.

La strategia per la sostenibilità delle imprese italiane della moda va inserita in queste dinamiche e si

propone pertanto anche come azione per il recupero di competitività nel confronto dei competitor

stranieri.

Ai fattori tradizionalmente riconosciuti come caratterizzanti l’eccellenza del made in Italy (creatività,

qualità, innovazione) si va così inserendo un altro fattore valoriale, quello della sostenibilità dei propri

processi e prodotti6. Il crescente dialogo tra i cosiddette stakeholders (associazioni di consumatori, GAS.

Movimenti ambientalisti, ONG) , i brand della moda e i produttori di semilavorati più dinamici rappresenta

una importante novità nelle prassi solitamente attivate dai soggetti economici per garantire i clienti in

merito alla sicurezza dei propri prodotti (le certificazioni). Fermo restando il dovere di sottostare ai dettami

legislativi (leggi per la tutela ambientale, rispetto dei diritti dei lavoratori, REACH), l’attenzione sembra ora

posta sulle esperienze effettivamente condotte dalle imprese allo scopo di migliorare la propria convivenza

con l’ambiente inteso sia come contesto biologico naturale che come comunità sociale organizzata.

La sostenibilità si propone quindi come un obiettivo complesso ed identificabile sia nelle prassi di

responsabilità ambientale che sociale e filantropiche.

5 Le sostanze chimiche di cui Greenpeace chiede l’eliminazione dalle lavorazioni entro il 2020 sono: Alkylphenols,

Phthalates, Brominated and Chlorinated flam retardant, Azo dyes, Organotin Compounds, Perfluorinated Chemicals,

Chlorobenzenes, Chlorinated solvents, Chlorephenols, Short Chain Chlorinated Paraffins, Heavy Metal (Cadmiun, lead,

mercury,Chromium VI).

6 La letteratura manageriali moderna assegna alla sostenibilità un importante ruolo nella determinazione della catena

del valore come evidenziato da Michael E. Porter e Mark R.Kramer in “Creating Shared Value”.

6

Partendo dal presupposto che il semplice adeguamento dei comportamenti agli obblighi di legge non sia

classificabile come impegno per la sostenibilità, le strategie adottate dalle aziende italiane sul fronte

ambientale sono orientate prevalentemente:

all’utilizzo di materie prime caratterizzate da contenuti di ecologici (fibre biologiche, Pet ricilato…),

alla scelta di tecnologie (ma talvolta auto-sperimentazione di soluzioni tecniche) in grado di

effettuare determinate lavorazione con ridotti consumi ed emissioni rispetto a quelle standard7,

all’attivazione di interventi strutturali sulla sede produttiva (autogenerazione energetica,

allestimento di propri impianti di depurazione, ecoedilizia).

Senza sottovalutare il valore di simili interventi si rende sempre più necessario un approccio integrato che

consenta alle imprese di analizzare con modalità oggettive i carichi ambientali imputabili ai propri processi

ed ai materiali utilizzato per individuare modalità migliorative.

2. Approccio metodologico e parametri

Obiettivo della studio è quello di indicare, sulla base delle caratteristiche produttive e tecnologiche

dell’industria tessile italiana, le linee per azioni di riduzione dei costi ambientali delle produzioni

relativamente a: consumi energetici, consumi idrici, emissioni, utilizzo di sostanze chimiche, produzione di

scarti.

A questo scopo si rende necessario anticipare alcune considerazioni metodologiche.

Come insegna il green design, non bisogna guardare solo il frutto, ma l’albero e il giardino nel suo insieme.

Molti fattori concorrono a determinare la maturazione di una mela sana e gustosa: lo stato di salute della

pianta, la qualità della terra in cui sviluppa le radici, l’esposizione al sole, i processi di impollinazione, la

presenza o meno di insetti nocivi e piante infestanti e altro ancora. La cultura industriale tende invece a

frammentare il flusso di trasformazione della materia prima in singoli processi e tecnologie8. Un approccio

efficace se si vuole ottenere standardizzazione e resa produttiva come ha insegnato il modello fordista, ma

poco utile per analizzare e gestire l’interazione tra quel ciclo e l’ambiente in senso lato, la sua dimensione

7 Un contributo importante è offerto in questo senso dal progetto Sustainable Technologies lanciato da Acimit,

l’associazione delle imprese meccano tessili italiane che con una green label posta a bordo macchina informa i clienti

in merito alle performances ambientali della tecnologia in una logica di informazione trasparente e di miglioramento

continuo volto a consentire l’individuazione delle BAT, Best Available Techniques (www.acimit.it).

8 Valutare il processo produttivo come frazionato in sotto moduli autonomi presenta dei rischi. Come scrivono

G.L.Baldo, M.Marino e S.Rossi in Analisi del ciclo di vita LCA (Edizioni Ambiente 2009) “Una singola operazione

industriale si può rendere più efficiente o più pulita a spese di altre, semplicemente trasferendo l’inquinamento nello

spazio o nel tempo, trascurando il fatto che i benefici ottenuti localmente possono essere controbilanciati dai

problemi che di conseguenza si generano altrove (o più avanti nel tempo) con il risultato finale di non ottenere nessun

reale miglioramento o addirittura di peggiorare il bilancio complessivo”. (pag. 27)

7

locale o a maggior ragione quella globale. La storia stessa dell’industria tessile italiana è storia di

connessione con l’industria chimica e quella meccano tessile, oltre che con il mondo della ricerca e del

terziario. L’intervento legislativo sui processi produttivi (penalizzazione e prevenzione dei fenomeni

inquinanti, depurazione delle acque, gestione dei reflui e dei rifiuti, sicurezza negli ambienti di lavoro,

sicurezza del prodotto immesso sul mercato) ha portato le imprese a dialogare e a collaborare con altri

soggetti istituzionali (stakeholders) e produttivi come l’industria energetica e le società di smaltimento

scarichi e sfridi industriali.

Nello studio della sostenibilità della fabbrica tessile e dei suoi prodotti è quindi necessario partire dalla

definizione delle connessioni extrasettoriali, sia relativamente agli input (materie prime e risorse di

processo in entrata) che agli out-put (emissioni e scarti di produzione).

Fig. 1: interazioni intersettoriali dal punto di vista degli input

8

Fig.2: Output del processo tessile Lo schema relativo agli input richiama tre ordini di fattori in ingresso nei processi produttivi tessili:

la materia prima, portatrice di carichi ambientali di diversa natura ed entità in funzione della sua

caratterizzazione e che rimanda a contesti extrasettoriali: il comparto agroalimentare per le fibre

naturali, l’industria chimica per le man made, due mondi apparentemente distanti ma che si

fondono con risultati interessanti nella produzione di bio-polimeri e nei processi di riciclo delle

naturali,

l’energia indispensabile all’attivazione delle macchine, al riscaldamento dell’acqua di processo, ai

processi di aspirazione, climatizzazione e depurazione, alla movimentazione di attrezzature e

materiali, al riscaldamento e all’illuminazione dei siti produttivi e gestionali,

le risorse idriche necessarie ai processi produttivi e alla manutenzione/pulizia di impianti ed

attrezzature,

le tecnologie di processo (macchine, strumentazioni, software) prodotti dall’industria meccanica ed

elettronica,

le sostanze e preparati chimici necessari ad attribuire valore estetico, “mano” e performances al

materiale ma anche a consentirne le lavorazioni e il corretto funzionamento delle macchine.

L’esternalizzazione delle lavorazioni – o di fasi di esse – richiede inoltre imballaggi e contenitori (packaging)

e utilizza carburante per i trasporti.

Nel contempo sul fronte degli output si registrano:

emissioni di inquinanti (polveri, gas, fumi, acque reflue),

9

fanghi prodotti dai processi di depurazione delle acque di processo,

inquinamento acustico,

scarti di produzione,

imballaggi e contenitori.

Nella gestione degli output l’azienda relaziona innanzitutto con la governance dei territorio in cui opera

(amministrazioni locali, uffici sanitari e ambientali /ASL/ARPA, consorzi per la depurazione dei reflui, gestori

discariche). La necessità di ridurre output che rappresentano oltre ad un costo ambientale un costo

economico, richiede piani di ricerca applicata in grado di modificare con le modalità produttive coinvolte, la

qualità e le quantità delle emissioni ma si traduce anche nell’adozione di strategie di green procurement

(acquisti verdi) volti a privilegiare materiali second life, biodegradabili e/o riciclabili.

All’analisi degli input e degli output di processo è necessario analizzare anche altri due fattori:

i costi ambientali prodotti dalle attività di manutenzione del manufatto (lavaggio in acqua, energia,

prodotti detergenti, sbiancanti e smacchianti, stiratura),

tempo di vita del prodotto,

la gestione post vita dell’articolo stesso (riciclabilità, biodegradabilità, termovalorizzazione…).

Uso e post-vita del prodotto sono fattori non secondari e che assumono un ruolo importante nel comparto

del fashion caratterizzato da un ciclo di vita fortemente accelerato (un capo di moda oggi è destinato ad

essere out già domani). Tematiche che trovano interessanti sviluppi ad esempio nella comparazione, dal

punto di vista del grado di ecosostenibilità, di prodotti mono uso e prodotti lavabili.9

L’individuazione di tutti questi fattori e del ruolo che ricoprono nel definire il grado di sostenibilità di

un’impresa, è resa possibile dall’adozione di metodologie quali il Life Cycle Assessment (LCA).

2.1 Life Cycle Assessment

La valutazione del ciclo di vita (dall’inglese Life Cycle Assessment, LCA) è una pratica che permette di

valutare i carichi ambientali associati ad un prodotto, processo o attività10, identificando e quantificando i

consumi di materiali ed energia e le emissioni nell’ambiente. Secondo questa metodologia un articolo

9 E’ il caso, ad esempio dei pannolini per bambini usa e getta confrontati con quelli in fibra naturale e lavabili, o di

tovaglie in TNT confrontate con quelle in cotone rilavabili. Si tratta di prodotti che presentano performances diverse:

basso costo ambientale di produzione i primi ma bassa o nulla biodegradabilità e breve ciclo di vita, alto costo di

produzione i secondi ma alta biodegradabilità e durata.

10 Un approccio ispirato al LCA può essere applicato non solo alla realizzazione di un capo di abbigliamento ma a tutte

le attività immateriali che partecipano alla sua catena del valore (promozione, eventi, sfilate, pubblicazioni di materiali

pubblicitari, siti web…).

10

tessile può essere analizzato in ogni fase della sua vita partendo dalla materia prima (a seconda della

tipologia di fibra si analizzeranno la coltivazione, l’allevamento o i processi di estrusione), indagando poi le

fasi di lavorazione dai semi lavorati e del loro confezionamento, l’impatto ambientale delle azioni di

trasporti senza dimenticare quelle imputabile alla manutenzione del prodotto (lavaggio, stiro), fino al suo

riciclo o smaltimento. Naturalmente più il capo risulterà complesso e strutturato, maggiori saranno le

analisi da compiere poiché l’indagine dovrà riguardare tutte le componenti: tessuto/i, filati cucirini, bottoni,

cerniere, etichette, elementi decorativi, imbottiture, pizzi, nastri.

Attraverso uno studio LCA è possibile individuare le fasi in cui si concentrano maggiormente le criticità

ambientali di un processo produttivo raccogliendo le informazioni necessarie alla pianificazione ed

adozione degli interventi di miglioramento.

L’adozione di simili strumenti di analisi consente in primo luogo di individuare le criticità ambientali delle

attività di trasformazione di un materiale tenendo sotto controllo le emissioni, i consumi di risorse e gli

effetti prodotti, indicando all’impresa la via per il miglioramento continuo della propria attività. Nel

contempo consente di confrontare prodotti aventi la stessa funzione allo scopo di scegliere quelli

maggiormente ecocompatibili pianificando così i propri investimenti (tecnologie, materiali, sistemi

energetici..) in una logica virtuosa.

La centralità data dalla metodologia al prodotto e alla sua storia produttiva consente di approcciare in

modo organico il processo di ideazione identificato come la fase più funzionale a pianificare le attività in

base a standard di sostenibilità.

La struttura della LCA così come standardizzata a livello internazionale dalle norme ISO 14040 è

sintetizzabile in fasi:

a. Definizione degli scopi, degli obiettivi e dei limiti dello studio (Goal and Scope Definition),

rappresenta una sorta di linea guida delle attività che saranno svolte successivamente delineando

nel contempo il perimetro della ricerca,

b. Analisi di Inventario (Life Cycle Inventary Analysis), consente di disegnare il ciclo di vita del

processo attraverso il fluire dell’energia e dei materiali e la produzione di output, cioè la

valutazione degli impatti. In questo step vengono contabilizzati i flussi delle materie prime, delle

emissioni e delle loro componenti. Vengono quindi identificati e quantificati i consumi di risorse

(materie prime, acqua, prodotti riciclati), di energia (termica ed elettrica) e le emissioni in aria,

acqua e suolo, arrivando così al termine a strutturare un vero e proprio bilancio ambientale,

c. Valutazione degli impatti ambientali. In questa fase vengono valutati gli effetti sulla salute e

sull’ambiente provocati dalle lavorazioni descritte nell’inventario. Ogni impatto viene classificato in

base ai problemi ambientali a cui contribuisce ma poiché ogni fattore contribuisce in modo diverso

allo stesso problema (come nel caso delle sostanze chimiche di processo utilizzate nella fase di

11

nobilitazione tessile) alla valutazione quantitativa occorre dare una valutazione qualitativa

(esempio: malattie indotte nel lungo periodo, effetto sulle biodiversità di un corso d’acqua etc).

Per poter valutare oggettivamente gli effetti negativi si dovrà inoltre stabilire ‘valori normalizzati’

che indicano la distanza tra lo stato rilevato e l’obiettivo indicato.

d. Analisi dei miglioramenti possibili. Sulla base dei dati raccolti sarà possibile progettare il prodotto e

il processo che lo realizza apportandovi i cambiamenti necessari ad abbassarne l’impatto

ambientale monitorandone i risultati ottenuti.

Naturalmente perchè siano fruibili ed utilizzabili al meglio i risultati ottenuti dall’inventario devono essere individuate delle aree di interesse ambientale e per ognuna di esse occorre selezionare opportuni indicatori. Indicatori energetici Per quanto riguarda il consumo/risparmio di risorse energetiche si possono considerare i seguenti indicatori:

GER: Gross Energy Requirement definito come somma di tutti gli contributi energetici di ciclo vita

(diretti, indiretti, capital energy e feedstock). In una filatura, ad esempio GER (Gross Energy

Requirement) indica l’energia necessaria a produrre un chilogrammo di filato.

Sottofamiglie del GER sono:

Energy non renewable: quota del GER proveniente da fonti non rinnovabili;

Energy renewable: quota del GER proveniente da fonti rinnovabili. Indicatori relativi ai cambiamenti climatici Per quanto riguarda l’emissione di gas serra, gli indicatori utilizzati sono riassunti nel:

Global Warming Potential (GWP) che fornisce un risultato in termini di impatti ambientali causati

dall’emissione in atmosfera di gas climalteranti, valutati con orizzonte temporale di 100 anni. E’

dato dalla somma pesata delle quantità dei gas serra emessi dal sistema;

Altri indicatori ambientali comunemente utilizzati in ambito LCA sono:

Assottigliamento della fascia d’ozono (ODP);

Acidificazione (AP), indicatore legato alle emissioni in aria di particolari sostanze acidificanti, quali

ossidi di azoto e ossidi di zolfo.

Eutrofizzazione (EP): valuta l'effetto di eutrofizzazione, vale a dire l'aumento della concentrazione

delle sostanze nutritive in ambienti acquatici. Le sostanze che concorrono al fenomeno

dell'eutrofizzazione sono i composti a base di fosforo e di azoto.

Formazione di smog foto-chimico (POCP): raggruppa tutte quelle sostanze organiche volatili che

portano alla formazione fotochimica (in presenza di radiazione solare) di ozono troposferico.

12

Un’attenzione particolare devo inoltre essere dedicata alla produzione di rifiuti durante il processo di

produzione puntando ad un significativo abbassamento dei volumi prodotti.

Sulla base dei risultati ottenuti dalla LCA un’azienda può accedere alla certificazione volontaria

Environmental Product Declaration (EPD), uno schema nato in Svezia ma che ha ormai acquisito una

valenza internazionale e rappresenta il documento che accompagna prodotti e servizi permettendo di

comunicare informazioni dettagliate, credibili e verificabili relative alla prestazione ambientale del loro ciclo

di vita.

La letteratura scientifica sviluppata negli ultimi due decenni a sostegno della diffusione della cultura della

sostenibilità nell’impresa manifatturiera ha inoltre sviluppato metodologie funzionali ad evidenziare le

interrelazioni tra impatto ed azioni connesse alle problematiche ambientali e sforzo economico finanziario

che l’impresa sostiene per la protezione dell’ambiente. Si parla in questo caso di Bilancio ambientale per la

presenza di molteplici dati fisici e monetari. E’ interessante osservare come l’Environment Cost Accounting

non si limiti alla valutazione dei costi diretti (es: impianto di depurazione) ma consideri anche i costi che

l’azienda si trova a sostenere a causa delle sue inefficienze in campo ambientale, quelli legati alla R&D di

tecnologie e pratiche green o quelle classificabili sotto la voce immagine che sintetizzano voci quali la

comunicazione e quantificano gli eventuali danni “reputazionali”11.

In questo contesto assume una grande rilevanza la comunicazione che l’azienda sviluppa verso i propri

clienti e fornitori ma più complessivamente verso gli stakeholders evidenziando la consapevolezza della

propria presenza nell’ambienta, le modalità con cui la stessa è rilevata e monitorata, gli interventi

effettuati, i risultati ottenuti e le azioni compensatorie. Rientrano in questa logica strumenti quali il

Rapporto ambientale, l’attivazione di certificazioni di prodotto volontario, la registrazione EMAS, il Bilancio

di Sostenibilità, modalità mediante le quali l’impresa rende trasparenti i verificabili le proprie azioni in

ambito ambientale.

11

Secondo lo schema IFAC (International Federation of Accountants) 2004 devono essere conteggiati i costi relativi ai

non prodotti (energia, acqua di processo, rifiuti, emissioni) che non fanno parte dell’articolo ma vengono trasformati

in scarto, i costi intangibili (immagine impresa, rapporti con gli stakeholders) e i costi degli insuccessi o costi del non-

ambiente (uso inefficiente di risorse, uso di sostanze inquinanti, stoccaggio rifiuti, danni ambientali)

13

3. Caratteristiche tecnologiche del sistema produttivo tessile italiano

La filiera tessile e della moda si presenta come un sistema articolato e complesso i cui confini sfumano

nei settori produttivi da cui traggono origine le materie prime (agro-alimentare e chimica) e nella

distribuzione. Una filiera che si avvale del costante confronto con l’industria meccanica ed elettronica e

con la chimica, fornitrice di coloranti, ausiliari, agenti di processo.

Fig. 3 Filiera del tessile moda

Come noto una materia prima viene trasformata in filato con modalità variabili in funzione della

sua stessa natura (filatura di tipo cotoniero, liniero, laniero, serico per le fibre naturali, processi di

estrusione e testurizzazione per le man made), e può, in alcuni casi, essere tinta prima in massa o

fiocco. Dopo i processi di filatura il filato o filo12 può essere nobilitato o usato greggio per realizzare

12

Con la definizione filo si intendono filamenti continui quali seta e man made mentre il termine filato indica un

prodotto in cui le fibre discontinue sono state parallelizzate, stirate e ritorte)

14

tessuti e maglie che saranno oggetto di tintura e finissaggio in fasi successive. I tessuti finiti saranno

inviati alla confezione per il taglio e l’assemblaggio per essere quindi inviati alla distribuzione salvo

subire, nel caso del tinto in capo, processi di nobilitazione post confezionamento. Partecipano a

queste dinamiche complesse anche prodotti speciali quali TNT (tessuti non tessuti), pizzi e ricami.

Analizzata dal punto di vista della LCA la filiera tessile e della moda può essere così rappresentata:

Fig. n. 4. LCA della filiera tessile. Fonte: Blumine/Sustainability-lab

L’esemplificazione sopra citata13 indica le principali criticità ambientali individuabili nelle differenti

fasi produttive della filiera e le strategie che le imprese possono attivare per realizzare prodotti

sostenibili. Nello schema si evidenzia come la produzione di fibre man made registri il peso di

massicci consumi di energia elettrica e possa ridimensionare il suo impatto ambientale

compensando la CO2 prodotta, riciclando materiali post consumo (PET) e scarti di produzione e

sperimentando e producendo biopolimeri di nuova generazione.

Più complessa la situazione per le fibre naturali su cui gravano i costi ambientali riconducibili all’uso

di terreni agricoli, ai consumi di acqua, all’uso di sostanze chimiche (fertilizzanti, insetticida,

13 www.sustainability-lab.net, Catalogo dei tessuti e degli accessori sostenibili, Milano Unica Febbraio 2014

15

diserbanti). Anche in questo caso le pratiche virtuose degli utilizzatori di fibre dovranno privilegiare

i materiali da fonte rinnovabile, a coltura biologica, ottenuti nel rispetto delle biodiversità e dei

diritti degli animali e da riciclo. Una menzione particolare va alle fibre e ai filati ottenuti

valorizzando culture produttive artigianali e tradizionali se a basso impatto ambientale.14

Un contributo interessante alla determinazione del grado di eco compatibilità delle fibre è stato

recentemente proposto da Made-By Environment15, l’associazione europea che raggruppa

numerosi brand, e che ha presentato i risultati dell’analisi annuale di benchmark su 28 fibre tessili.

Le fibre sono state analizzate in base a parametri relativi all’impatto ambientale dei materiali: CO2

equivalente a un chilogrammo di fibra, livello di tossicità sull’uomo , livello di ecotossicità sviluppata

durante la produzione, consumi di acqua ed energia, aree agricole necessarie alla coltivazione. In

base a questi parametri le fibre sono state classificate in 5 fasce dalla A alla E mentre i materiali di

cui non si dispongono ancora dati sufficienti sono definiti come non classificabili. Nella classe A,

indicante le fibre più ecologiche, compaiono il poliestere e il poliammide riciclati meccanicamente,

il lino biologico, la canapa biologica, il cotone e la lana riciclati mentre la categoria E, la più critica,

presenta la viscosa bamboo, il cotone convenzionale, il rayon, la viscosa, lo spandex, la lana e il

nylon vergine. Definiti invece come non classificabili, l’alpaca, l’acetato, il chasmere, la pelle, il

mohair, il bamboo naturale, la seta e la lana biologica.

Fig. n. 5: Classifica delle principali fibre tessili in relazione al grado di sostenibilità

14

Un progetto recentemente conclusosi in Toscana nell’ambito del piano OTIR2020 ha messo a punto modalità di valorizzazione delle lane autoctone, solitamente scartate per lo scarso valore qualitativo, sviluppando tecnologie idonee alla loro valorizzazione in contesti produttivi artigianali (esempio agriturismo). Le tecnologie suggerite dal progetto per il loro basso impatto ambientale sono quelle della produzione di TNT per la fabbricazione di accessori e oggetti di design. (Fonte: Next Technology Tecnotessile)

15 http://www.made-by.org/benchmarks/environmental

16

Del processo di filatura abbiamo già detto: qualunque sia la fibra lavorata si tratta di un processo ad

alto consumo energetico con punte elevate nella filatura e nella tessitura a cui si aggiungono (nei

casi delle filiere a umido come lana e fibre liberiane) i consumi idrici. I maggiori consumi in termini

di acqua, energia, sostanze chimiche, e di conseguenza le maggiori criticità ambientali fanno capo

all’area della nobilitazione (preparazione dei materiali, tintura, stampa, finissaggi) e si

concretizzano in emissioni in acqua ed atmosfera dei residui delle lavorazioni. Meno problematica,

in termini di consumi e di emissioni, la confezione dei capi i cui processi risultano poco impattanti

se realizzati in prossimità ai mercati di sbocco mentre nel caso delle delocalizzazioni occorre

considerare anche i costi ambientali dovuti al trasferimento16 dei lotti in lavorazione da un

laboratorio all’altro. Lo schema di sustainability-lab (finalizzato a valorizzare i comportamenti

virtuose delle imprese partecipanti all’iniziativa) dedica rilievo anche alla produzione di scarti

imputabili al confezionamento e al retail e ai consumi/emissioni causati dalle fase di utilizzo del

capo (use and cure). La possibilità di riciclare materiali a fine ciclo di vita è indicata come una delle

soluzioni più interessanti in quanto in grado di reinserire materiali altrimenti destinati alla discarica

o alla termovalorizzazione. Coerentemente con la corretta interpretazione del concetto di

sostenibilità non limitabile all’impatto ambientale delle lavorazioni ma che comprende anche la

valenza sociale delle attività svolte, l’LCA elaborato indica tra le azioni virtuose le pratiche etiche e

solidali, la tracciabilità delle lavorazioni e il coinvolgimento dei subfornitori in pratiche di

responsabilità sociale, le relazioni con gli stakeholder, la beneficenza e gli acquisti sostenibili,

argomenti a cui dedicheremo qualche approfondimento più avanti.

3.1 Esemplificazione: LCA di un tessuto cotoniero

3.1.1 Dal cotone sodo al filato

Come detto il cotone rappresenta una delle materie prime a maggior criticità ambientale in quanto

la sua coltivazione sottrae terreni e acqua ad altre colture e ad altri usi e necessita di un forte uso di

sostanze chimiche nelle fasi di crescita della pianta17. Il ricorso a lavoro minorile, in particolare nelle

16

Carburante per le spedizioni e packaging sono rilevanti lungo tutta la filiera tessile se questa non viene svolta in

imprese verticalizzate o nella prossimità distrettuali.

17 Secondo il Rapporto Nazionale sulla sostenibilità agricola in particolare (2012), negli ultimi 30 anni sono migliorati i

dati relativi a uso ed erosione del suolo (rispettivamente -30% e -68%), all’utilizzo di risorse idriche (-75%) ed

energetiche (-36%). Le emissioni di gas serra sarebbero poi calate del 30%.

http://www.cottongrower.com/opinion/cottons-image-suffers-from-confusion-about-sustainability/

17

fasi di raccolta in Uzbekistan18, Asia e Africa e più in generale le condizioni di vita dei lavoratori

coinvolti, rappresentano altri elementi a sostegno della scarsa sostenibilità della fibra. A questo

quadro preoccupante si contrappongono le colture di cotone biologico, ottenute cioè senza

interventi chimici su terreni e piante in fase di crescita19 che contribuiscono però alla produzione

mondiale della fibra ancora con un valore marginale (1% circa) e iniziative quali Fair Trade20 e BCI

(Better Cotton Iniziative21). Intenso anche il dibattito relativo ai vantaggi ottenuti dalla

manipolazione genetica dei semi di cotone che consente piante più resistenti alla siccità e meno

attrattive per gli insetti.

Cotone biologico e cotone riciclato sono sicuramente argomenti funzionali a descrivere una

produzione cotoniera come ecofriendly se supportati da documentazioni attendibili. Certamente si

tratta di argomenti che molti produttori italiani –anche sollecitati da grandi brand come Nike,

H&M, Coop, Levi’s ed altri- espongono nelle proprie strategie produttive e promozionali22.

Che il processo di trasformazione della fibra in filato e quindi in tessuto sia ecologicamente

impattante, è noto.

Negli schemi seguenti cercheremo di evidenziarne le criticità e le principali linee di intervento

adottate.

Come detto il cotone sodo giunge alle filature cotoniere in balle (solitamente in juta ma anche in

materiali di polimeri sintetici, in particolare polipropilene). Trattandosi di fibra non ottenuta

18

Azioni di boicottaggio attivate da brand hanno spinto nel 2013 il governo Uzbeko a vietare il lavoro nei campi di

cotone a ragazzi sotto i 15 anni. Secondo i movimenti umanitari il fenomeno persiste tanto che la recente edizione del

“Trafficking in Persons Report”, del U.S. State Department, indicava l’Uzbekistan 3° paese nella classifica mondiale dei

trafficanti di lavoratori forzati.

19 Nei paesi anglosassoni è prevalente l’ Organic Exchange (OE), lo schema certifica i prodotti fatti con 100% di cotone

biologico (o con mischie dove il cotone sia almeno al 70% ) ma non intende coprire altri aspetti (sociali, qualitativi o altri). In Europa è diffuso il Global Organic Textile Standard (GOTS) che copre anche i processi a valle della coltivazione delle fibre organiche, occupandosi di alcuni aspetti ambientali, di sicurezza nonchè di criteri di qualità. In Italia ente accreditato per la certificazione Gots è Icea (http://www.icea.info/it/perche-bio/bio-tessile/standard-gots)

20 The Fairtrade Cotton Program unlocks exciting new opportunities for cotton farmers to improve their lives through

Fairtrade. It connects farmers with the growing number of businesses seeking to make sustainable cotton a core part

of their business. Fairtrade works with some 66,000 cotton farmers, mainly in West Africa and India, in some of the

poorest regions in the world. But up to now, very few have been able to sell most or all of their cotton on Fairtrade

terms. Meanwhile, globally there are between 35 and 50 million small-scale cotton farmers – all in need of a fairer

deal for their cotton (http://www.fairtrade.net/fsp-cotton-mark.html)

21 The Better Cotton Initiative (BCI) is a not-for-profit organization stewarding the global standards for Better Cotton,

and bringing together cotton’s complex supply chain, from the farmers to the retailers (http://bettercotton.org/)

22 Le aziende italiane che producono tessili in cotone biologico certificate Icea sono reperibili presso il sito dell’ente di

certificazione: http://apps.icea.info/webbio06/main/ita/pub_menu.asp

18

dall’agricoltura italiana per motivi climatici23, ai costi ambientali imputabili alla coltivazione delle

piante occorre aggiungere i costi di trasporto da aree talvolta molto distanti 24. E’ necessario

ricordare che il peso delle emissioni dovute alla logistica dei materiali è andato aumentando

assumendo dimensioni preoccupanti. E’ quanto sostiene il recente rapporto IPCC

(Intergovenmental Panel on Climate Change) pubblicato il 13 aprile 2014 dall’ONU: nei prossimi

decenni si registrerà un’impennata del 71% dei valori di Gas serra rispetto al 2010 (già 7 miliardi di

tonnellate di CO2) e tale aumento è imputabile principalmente ai trasporti, specie nelle economie

asiatiche in fase di crescita accelerata.

Se da un lato la retorica del Km0 rappresenta più un sogno difficilmente realizzabile se non per

produzioni di nicchia, dall’altro la movimentazione intercontinentale di merci e prodotti finiti

influenza moltissimo l’impronta ambientale dei beni di consumo e i prodotti tessili sono

sicuramente tra quelli più critici da questo punto di vista.

Per quanto riguarda il ciclo tecnologico il processo di lavorazione del cotone può essere così

sintetizzato:

23

In passato si avviarono tentativi di coltivazione del cotone nel sud Italia ma carenza di risorse idriche e

inadeguatezza dei terreni (unitamente a scelte di politica industriale diverse) scoraggiarono queste sperimentazioni.

24 Nel libro “Confessioni di un ecopeccatore” Fred Pearce (ed. Ambiente, 2009, pag 134) ricostruisce il viaggio di un

lotto di cotone che dal Camerun giunge a Khalbujurg dove viene filato quindi inviato a Mumbai da cui viene spedito in

Turchia. Qui i filati saranno tinti e trasformati in calzini e spediti nei centri europei di smistamento della grande

distribuzione. Complessivamente si tratta di un viaggio di 12.000 km.

19

Fig. n. 6: Processo di filatura cotoniera pettinata

Magazzino

Apritoi/ battitoi

Teletta

Ener

gia

elet

tric

a

Sist

em

i di a

spir

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Co

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Cardatura

Nastro

Stiratoio

Pettinatrice

Stoppino

Stiro Filatoio ad anello

Rac

colt

a Fi

bre

co

rte

, cas

cam

i

Roccatrice, binatrice e ritorcitoio

Rocca filato

Semilavorati

Tecnologie Out put

20

Come detto l’Italia ha avuto fino al secolo scorso un importante ruolo nella lavorazione dei filati a

taglio cotoniero25 ma oggi la presenza di filature appare notevolmente ridimensionata ed i filati

utilizzati da tessiture e maglifici italiani sono prevalentemente d’importazione.

Il cotone è prelevato e introdotto all’impianto di apertura e battitura dove la fibra viene

movimentata energeticamente per liberarla dalle impurità e quindi mischiata con materia prima di

altri lotti allo scopo di ottenere la miscela desiderata (mischia). Poiché in questa fase si liberano

pulviscoli pericolosi in quanto facilmente infiammabili e insalubri per la respirazione, i processi di

battitura sono svolti in ambiente chiuso e dotato di sistemi di aspirazione che depolverizzano i

fiocchi convogliando la polvere verso contenitori di recupero26. Il processo è ovviamente a secco,

senza utilizzo di acqua né di sostanze chimiche. Il cascame (grovigli di fibra, residui di fogliame,

corde e teli), un tempo destinato ai campi come fertilizzante, è oggi raccolto e inviato in discarica.

Nelle fasi successive il telo di fibre viene sottoposto a passaggi di cardatura e quindi pettinatura

(fare utilizzata quest’ultima nei filati di maggior livello qualitativo) che oltre a ripulire la fibra

eliminando non solo residue impurità ma anche le fibre più corte, parallelizza le fibre preparandole

al processo di stiro in cui lo stoppino viene progressivamente assottigliato fino alla dimensione di

un filo e subisce una prima leggera torsione. Nella fase finali i filati ricevono i giri di torsione

necessari e sono binati con altri allo scopo di ottenere la titolazione e il grado di torsione voluto. I

filati possono inoltre essere sottoposti a processo di paraffinatura allo scopo di lubrificarli e di

renderli più facilmente lavorabili27 . Essendo la paraffina materiale ad alta stabilità e degrado lento

comporta un potenziale bioaccumulo e deve quindi essere valutata in sede di LCA.

Lavorazione non priva di impatto ambientale è la gasatura operazione che consiste nel far scorrere

il filato su una fiamma alimentata da un bruciatore a gas per eliminare le fibre sporgenti che

possono provocare pelosità. La procedura genera polveri e fumi da combustioni oltre che consumi

energetici.

Anche circoscritto al solo perimetro industriale (senza considerare cioè i costi ambientali della

coltivazione del cotone e dei trasferimenti della materia prima ai siti produttivi), il ciclo della

filatura presenta una serie di fattori che meritano, nell’analisi del ciclo di vita la necessaria

considerazione.

In questo processo convergono infatti:

25

Con questa dizione si intende la tipologia del processo che può essere utilizzata anche per fibre man mande purchè

corte

26 L’ambiente di lavoro ripulito da polveri ha anche un effetto nel rendere efficienti i processi di lavoratori e migliore la

qualità dei manufatti

27 La paraffinatura è solitamente eseguita su filati destinati alla maglieria

21

sul fronte degli input:

cotone sodo,

energia,

macchinari,

paraffina, olii, sostanze finalizzate alla funzionalità dei macchinari stessi,

supporti per avvolgimento filati nelle varie fasi di lavorazione in materiale vario (polimeri,

metalli, cartone) ,

acqua per la climatizzazione e l’umidificazione degli ambienti di lavorazione,

sul fronte degli output:

prodotti finiti (filati su rocche destinate alla tessitura per la produzione di tessuti greggi o

filati avvolti su rocche predisposte per l’inserimento in autoclave per la tintura),

scarti di produzione (ad esempio: conetti con residui di filato, fibre aggrovigliate),

polvere,

rifiuti di varia natura aspirati dagli impianti di aspirazione (vegetazione, corde, cellophan..),

imballaggi.

Scarti di produzione (di filatura ma anche di tessitura) possono essere sottoposti a processi di riciclo

allo scopo di rigenerare la fibra in nuovi filati rientrando così in circolo. Il processo prevede più fasi:

sfilacciatura, battitura dei cascami, miscelazione con materiali di rinforzo, cardatura per

parallelizzare le fibre, accoppiamento di nastri e stiro, filatura. Si tratta di una pratica marginale in

termini di volumi ma solitamente adottata e che ha l’obiettivo di ridurre gli scarti nobilitando

materia prima altrimenti sprecata. In tempi recenti la pratica del riciclo28 che solitamente riguarda

soprattutto i prodotti lanieri, viene estesa anche a scarti post consumo cotonieri sebbene non si

siano ancora raggiunti volumi interessanti.

Sul fronte delle soluzioni finalizzate ad abbassare l’impatto ambientale della filatura occorre

ricordare come la ricerca innovativa sviluppata dai produttori di macchine per filatura abbia

riguardato in particolare la riduzione degli scarti e il risparmio energetico. Occorre sottolineare che

nelle filature italiane il costo per l’uso di energia di processo incide dal 25 al 40% sul costo totale e

che rappresenta quindi un fattore di criticità fortissimo limitando la competitività dei produttori

sulle dinamiche di prezzo. Gli sforzi che i produttori di tecnologie per l’industria tessile stanno

compiendo in questi anni è tesa proprio ad abbassare questo valore mediante ottimizzazione dei

28

E’ utile chiarire, specie quando si parla di prodotti finiti, la distinzione tra riuso e riciclo. Nel primo caso il capo viene

adottato o destrutturato allo scopo di ricavare tessuti ed accessori utili a nuovi progetti, nel secondo caso il tessuto

viene sottoposto a trattamenti di sfilacciatura e ricondotto a materia prima per essere quindi trasformato in filo o in

TNT (tessuto non tessuto).

22

processi e dei tempi di lavorazione ed interventi sulla costruzione stessa delle macchine (materiali

costitutivi più leggeri, riduzione degli fattori di attrito etc.).

Le aziende meccano tessili italiane associate ad Acimit hanno dal 2011 uno strumento per

dichiarare e certificare le performances ambientali delle tecnologie prodotte e immesse sul

mercato. Si tratta della green label realizzata nell’ambito del progetto Sustainable Technologies,

un’etichetta che posizionata a bordo macchina fornisce dati sui principali valori ambientali della

tecnologia (consumi energetici, produzione di CO2, consumi idrici). Una comunicazione trasparante

che oltre a consentire agli acquirenti di valutare le macchine in relazioni all’impatto ambientale del

loro utilizzo, stimola un processo di comparazione e di miglioramento continuo. Le aziende sono

certificate da un ente di certificazione internazionale, Rina.

3.1.2 Dal filato al tessuto

Una volta lasciato il reparto di filatura, le rocche possono intraprendere due strade diverse:

possono essere avviate al processo di tintura per essere utilizzate successivamente per la

produzioni di tessuti “tinti in filo” o essere destinate a tessuti greggi che subiranno i processi di

nobilitazione in un secondo tempo.

Cic

lo d

el c

oto

ne

FILATO

GasaturaMercerizzo

PurgaCandeggio

Tintura filato

Bozzima

TESSUTO

Bruciapelo

Sbozzima

Mercerizzo

PurgaCandeggio

Tintura e/o Stampa

Vaporizzo

Lavaggio

FissaggioControlli

FissaggioControlli

CONFEZIONAMENTO CAPO

Fig. n. 7:ciclo produttivo dal filato all’ingresso del tessuto in confezione

23

Della Gasatura abbiamo già detto, occorre ora definire le fasi di preparazione e di tintura di un

filato.

Il Mercerizzo è un processo finalizzato a dare al filato di cotone maggior brillantezza, resistenza e

idrofilia e che si effettua mediante impiego di soda caustica (in rari casi ammoniaca liquida) in

acqua tiepida e tenendo il filato sotto tensione per evitare restringimenti. La soda è una sostanza

corrosiva, pertanto devono essere adottate durante il suo utilizzo misure di gestione del rischio per

la salute umana (utilizzo in ambienti chiusi e adozione di specifici DPI). Per le emissioni di Soda in

ambiente idrico, è importante assicurarsi che l’effluente sia neutralizzato entro un ambito di pH

idoneo alle condizioni locali prima dello scarico finale.

La Purga ha la funzione di eliminare dal filato le sostanze grasse e pectiche rendendo il materiale

più adatto a recepire i trattamenti tintoriali successivi. E’ effettuata in acqua con ausiliari tessili

quali detergenti, imbibenti, soda caustica o soda solvay ad alta temperatura o utilizzando in

alternativa purghe enzimatiche (bioscouring). Queste ultime in quanto effettuate utilizzando

molecole proteiche ad alta biocompatibilità consentono un processo ovviamente più ecologico.

Il Candeggio consente di eliminare impurità, ottenere bianchi puri, eliminare tonalità indesiderate.

Si effettua mediante bagno in ipoclorito di sodio e perossido di idrogeno con aggiunta di idrossido

di sodio che alcalinizza il bagno a cui seguirà un trattamento anticloro con acqua ossigenata

eliminando così residui che potrebbero danneggiare la fibra.

In queste processi le criticità ambientali riguardano la tipologia delle sostanze chimiche utilizzate,

le emissioni in acqua ed atmosfera delle stesse, i consumi idrici e energetici necessari al

riscaldamento dell’acqua e alla movimentazione delle componenti dell’impianto.

La Tintura del filato avviene inserendo le rocche o i subbi di ordito in un bagno di colorante

disperso in acqua in autoclave mentre le matasse sono processate in impianti definiti armadi. Nelle

tintorie europee la tipologia dei coloranti e degli ausiliari adottati nei processi e le modalità d’uso,

sono ovviamente idonei alle prescrizioni del Regolamento Reach.

Ma per rendere ecosostenibile la fase di tintura è necessario incidere sulle criticità (già indicate e

comuni a tutte le fasi della nobilitazione tessile):

- rapporto sostanze chimiche/acqua, volumi di acqua necessari,

- temperatura della stessa, residui chimici nei reflui,

- grado di biodegradabilità/depurazione degli stessi.

Il rapporto di bagno (cioè il quantitativo di colorante per litri di acqua) nelle autoclavi utilizzate

nella tintura delle rocche di cotone è solitamente 1:8, modificando il rapporto bagno anche solo di

un punto si può ottenere un significativo risparmio di acqua29.

29

L’azienda Noseda, ad esempio, valuta che una tintoria che tinge 10.000 kg/gg di rocche di cotone, potrebbe a risparmiare, in un anno fino a 24.200 m3 di acqua (www.noseda1893.it)

24

Per quanto riguarda le sostanze e i preparati chimici è opportuno ricordare che le imprese italiane

sono sottoposte al rispetto del già citato Regolamento REACH che vieta la produzione, la

commercializzazione e l’uso in Europa di sostanze e prodotti ritenuti pericolosi ed inquinanti e

valuta il grado di sicurezza di prodotti di nuova emissione sul mercato. A ciò si aggiunga che, anche

grazie alle pressioni dei movimenti ambientalisti, le imprese più sensibili sono orientate a

privilegiare le sostanze a maggior grado di eco compatibilità condividendo con centri di ricerca ed

università sperimentazioni in questo senso.30

In altre parole la sostenibilità dei processi produttivi nell’ambito del BtoB tessile nascono da una

stretta collaborazione tra imprese chimiche, tessili e meccaniche. L’abbattimento dell’uso di risorse

idriche infatti comporta una reingegnerizzazione dei processi che non penalizzi la qualità del

prodotto finale o la resa delle macchine. Le soluzioni apportate sono molteplici, altre sono in via di

sperimentazione.

Interventi innovativi sono ad esempio volti a ridurre l’impatto ambientale delle macchine di

pretrattamento e tintura intervenendo sulla temperatura stessa dell’acqua e dei vapori

convogliandoli, a fine step di produzione, ad alimentare le fasi di altri impianti abbassando così

consumi idrici ed energetici.

La fase di Imbozzimatura dei filati d’ordito rappresenta uno step irrinunciabile per il successivo

processo di tessitura in quanto, in assenza di un trattamento di irrobustimento dei filati d’ordito la

loro movimentazione e l’inserimento della trama ne provocherebbero frequenti rotture mettendo

a rischio la qualità del prodotto finito e la produttività stessa dell’impianto per le continue

interruzioni. La scelta del grado di biodegradabilità della bozzima è, a parità di effetto, un criterio

importante dal punto di vista ambientale consentendo di ottenere in fase di sbozzimatura acque

reflue con meno inquinanti e più gestibili nei processi di depurazione. Una bozzima realizzata con

polisaccaridi naturali modificati chimicamente per l'industria tessile, presenta il vantaggio di essere

solubile a basse temperature (riducendo così i consumi energetici necessari al riscaldamento

dell’acqua di bagno) ed è facilmente eliminabili dal tessuto riducendo l’impiego delle sostanze

chimiche utilizzate nel processo di sbozzimatura del tessuto una volta scaricato dal telaio allo scopo

di liberare le fibre da sostanze indurenti che ne impedirebbero i successivi trattamenti di

nobilitazione.

30 E’ il caso, ad esempio, del progetto Biscol, realizzato daUniversity of Siena,Next Technology Tecnotessile,

Lanificio Luigi Ricceri srl, Wetlands Incubator SPRL, SETAS CHEMICALS, ACHIMO Srl. The objective of BISCOL is to

propose a new dyeing process as global alternative for the bioconversion of raw materials into competitive eco-viable

final products.

25

Quello della bozzima è un tema di grande attualità nel comparto tessile e da sempre focalizza

l’interesse delle imprese e degli enti di ricerca.

Una interessante novità è stata introdotta e brevettata dall’industria comasca Canepa31 grazie ad

una ricerca svolta in collaborazione con il CNR di Milano e CNR ISMAC di Biella. Si tratta in questo

caso di un bagno rinforzante a base di chitosano32 destinato non al cotone ma alla lavorazione dei

filati superfini di fibre pregiate (cashmere, cammello, lana merinos, seta, ecc.) tessuti dall’azienda.

Il chitosano è atossico, biocompatibile e completamente biodegradabile e ben si presta a sostituire

i più impattanti collanti sintetici, il suo grado di sostenibilità è inoltre dato dall’essere esso stesso

uno scarto della filiera alimentare e di consentire un provato risparmio di acqua di processo (oltre

ad un terzo secondo quanto dichiarato dall’azienda) e uno scarico dei bagni di lavaggio privi di

inquinanti e a bassa temperatura.

In altre parole una bozzima a maggior biodegradabilità consente di attivare:

risparmi energetici (riscaldamento acque di bagno)

risparmi idrici (meno acqua di bagno, meno trattamenti di sbozzimatura)

riduzione dei processi di trattamento delle acque reflue e della pericolosità ambientale

delle stesse (se la bozzima è di origine naturale e biodegradabile).

Per quanto riguarda il processo di Tessitura, non essendo previsto uso di acqua e sostanze chimiche

(a parte lubrificanti dei meccanismi delle macchine di processo) l’impatto ambientale è

sintetizzabile nelle seguenti voci:

consumi energetici

inquinamento acustico

emissioni polveri

produzioni di scarti di produzione (filacce, cimosse, filamenti..).

Anche in questo caso un ruolo importante è ricoperto dalla ricerca innovativa condotta su

macchine ed impianti, tecnologie che devono garantire massima resa, qualità e produttività ma in

una logica di salvaguardia dei parametri ambientali e di tutela della sicurezza e della salute dei

lavoratori.

31

L’azienda ha recentemente avviato uno stabilimento nel Silento per l’applicazione industriale dei processi

innovativi brevettati http://www.canepaevolution.it/ricerche-e-brevetti/kitotex/

32 un polisaccaride ottenuto dalla chitina, materiale biodegradabile di origine naturale ottenuto dagli scarti della

lavorazione dei crostacei

26

3.1.3 Simulazione di un caso aziendale

L’esemplificazione seguente ha lo scopo di individuare gli elementi costitutivi di una Life Cycle

Assessment ipotizzando il processo di lavorazione integrato di un tessuto di cotone denim,

destinato cioè alla produzione di jenseria.

In sintesi il processo può essere così rappresentato:

Fig. n.6: Filiera della lavorazione del cotone per tessuto denim, principali step e criticità

Nelle caselle in blu al centro dello schema compaiono le principali fasi di lavorazione del cotone,

dalla filatura della materia prima al finissaggio del tessuto pronto per l’invio al confezionamento.

27

Nelle caselle a sinistra sono riportati gli input, gli elementi cioè che entrano nel processo di

trasformazione (materie prime, sostanze chimiche, risorse idriche e d energetiche) mentre a destra

sono indicati gli output, scarti ed emissioni inseriti nei processi di trattamento e gestione a cui sono

destinati.

Dovendo adottare la metodologia LCA precedentemente descritta, sarà indispensabile procedere

mediante la “Definizione degli scopi, degli obiettivi e dei limiti dello studio (Goal and Scope

Definition)”, delineando, in altri termini gli obiettivi oggetto dello studio (esempio: riduzione dei

consumi idrici o delle emissioni…) ed individuando i confini dell’intervento e le aree su cui si

concentrerà l’analisi.

Una volta definito il campo di studio si procederà con la raccolta dati relativi ai fattori di maggiore

impatto ambientale e ad identificare una unita di misura omogenea (kg filato, metro tessuto).

La raccolta dei dati è fondamentale per l’individuazione di obiettivi concreti e delle azioni da

attivare per raggiungerli monitorando costantemente i risultati. Sarà importante anche disporre di

dati di riferimento standard ottenuti dal confronto con tipologie produttive comparabili.

Per quanto riguarda i consumi energetici, ad esempio, sarà utile sapere che nel caso della filatura

cotoniera si spazia dai 3,6 ai 5 MWh/t, per tingere il filato si calcolano mediamente 8,41 MWh/t

che diminuiscono a 5,54 MWh/t per la tintura del tessuto e a 5,68 MWh/t per il finissaggio dello

stesso. Più contenuti ma sempre importanti i consumi energetici della tessitura 2,80 MWh/t.

Sono dati raccolti ed elaborati nell’ambito del progetto EMS-Textile (fonte Sistema Moda Italia). In

base a questa ricerca il conto energetico per una piccola impresa di tessitura si aggirerebbe ad un

valore annuale stimabile intorno ai € 513.045 per energia elettrica e € 606.382 per gas.

L’analisi del LCA dovrà considerare non solo i consumi (ed i correttivi tecnologici e procedurali

introdotti per ridimensionarli) ma anche le strategie adottate dall’imprese nell’acquisto dell’energia

elettrica e/o nella sua autoproduzione. La diffusione negli stabilimenti tessili di sistemi di

cogenerazione e l’istallazione di impianti di fotovoltaico va in questa direzione.

Più complessa la valutazione del consumo idrico che varia in base alla diversa tipologia di materiale,

alla macchina utilizzata, al processo adottato. Secondo uno studio di Enea l’industria tessile

consuma mediamente 108 milioni di m³ all’anno di acqua.

Si arriva a ipotizzare che con modalità standard il rapporto bagno sia 1:20, cioè che per la

lavorazione di un chilogrammo di tessuto in discontinuo si arrivino a consumare 20 litri di acqua,

28

solo per la fase di tintura33. Non sorprende che molteplici fonti attribuiscano ad un paio di jeans un

consumo pari a 11.000 litri di acqua34.

Osservando lo schema riportato a pag. 26, ed i molteplici trattamenti a cui è sottoposto il filato di

cotone per acquisire la tonalità e le prestazioni necessarie ai processi successivi e all’utilizzo finale ci

si rende conto della complessità del percorso produttivo che chiama in causa energia, acqua,

chimica e produce emissioni che le imprese europee tengono sotto controllo e gestiscono negli

impianti di depurazione fino allo stoccaggio dei reflui alle discariche.

Nell’analisi del ciclo di vita di un prodotto finito, ad esempio di un paio di jeans, quanto descritto

contribuisce a definire la componente prevalente del capo ma non è del esaustiva. Occorre infatti

considerare ogni elemento che contribuisce a formare l’articolo finito:

- eventuale presenza di altre fibre e/o elastomeri

- bottoni

- cerniere

- elementi decorativi

- processi corrosivi

- packaging

- cura e manutenzione del capo.

I processi corrosivi (effetti vintage, usura, sbiancamento) rappresentano una tematica

particolarmente delicata essendo ormai ampiamente noti i danni alla salute dei lavoratori che

pratiche come la sabbiatura comportano.

Oltre a “tracciare” la supply chian allo scopo di garantire il rispetto della sicurezza dei lavoratori e la

prevenzione di malattie quali la silicosi indotte da queste lavorazioni nei contesti delocalizzati, è

bene ricordare che esistono pratiche alternative, sicure e a basso impatto ambientale quali i

trattamenti laser ed enzimatici.

Si tratta di aspetti che devono essere preventivamente valutati nel corso dell’ideazione del

prodotto finale, fase che assume, da questo punto di vista un’importanza relativa non più solo

all’estetica e alla vestibilità del capo finito ma anche del suo contenuto di sostenibilità.

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Ervet, http://www.tecnologiepulite.it

34 Levi’s in modo un po’ provocatorio, è arrivata a suggerire ai consumatori di indossare i jeans per almeno 15 giorni

prima di lavarli perché, a detta dell’azienda, i consumi di acqua necessari ai lavaggi sono, a fine ciclo di vita, più elevati

di quelli imputabili alla produzione.