gaspare - the original skipper

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Gaspare - The Original Skipper

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tevo, era un regalo di compleanno di mia

mamma. Niente camicia, niente maglietta.

Dopo poco mi ha preso per mano e mi

ha portato a casa sua, un container posi-

zionato in mezzo alla scarsa vegetazione,

appositamente allestito per il personale,

con aria condizionata e bagno, diviso in

stanzette. Mi ha condotto nella sua came-

retta, condivisa con un altro cameriere che

dormiva già alla grande, e in un baleno si

è tolta la maglietta mostrandomi il suo

seno giovane e prepotente. Potevo solo

guardarlo, così mi sono tolto la camicia e

abbiamo fatto cambio.

Mi ha invitato a rimanere, aveva voglia di

parlare e di raccontarmi la sua vita. Mentre

parlava ha messo una mano sotto il ma-

terasso e ha tirato fuori un sacchetto con

dell’erba che mi fece fumare. Tra l’alcol e il

fumo ero stordito.

All’alba ha svegliato il suo amico che, mal

volentieri, mi ha accompagnato alla barca

lasciandomi cadere davanti alla passerella

come un sacco di patate, con la mia ma-

glietta “Isola di Cavallo”.

Tutto questo accadeva il 15 agosto. Quasi

quattro mesi dopo, vicino a Natale, i Cor-

si hanno fatto saltare in aria quasi tutto il

villaggio con cariche di dinamite. Tutto è

tornato come prima.

Senso di libertà e un tocco di adrenalina.

All’inizio degli anni Novanta l’isola di Ca-

vallo, più che per la sua bellezza, era fa-

mosa per i suoi abitanti. Infatti il nostro re

Vittorio Emanuele vi passava gran parte

dell’anno in una bellissima villa, circonda-

to da persone famose e prepotenti come

lui, che ogni tanto si divertivano a sparare

a qualche malcapitato, visto che l’isola al-

lora era privata. Non era esattamente così.

La prima volta che vi sono sbarcato, infatti,

mi sono venute incontro due guardie giu-

rate per allontanarmi senza tanti scrupoli.

Con il passare degli anni si poteva sbar-

care sempre più liberamente, poi hanno

costruito il porto ed un complesso di vil-

lette. Mi ricordo che siamo capitati là nei

paraggi proprio il giorno dell’inaugura-

zione: c’è stata una grande festa, forse la

più grande e ricca che io abbia mai visto.

Siamo stati invitati anche noi che stavamo

sulle barche e, lì nella piazzetta del nuovo

villaggio, quella notte eravamo più di set-

tecento. Musiche, canti, cibo, vino e cham-

pagne come non avevo mai visto. Chiede-

vi un bicchiere e i camerieri, vestiti tutti in

giacca, ti portavano la bottiglia intera. Su

quel tavolo lungo più di trenta metri, fatto

a ferro di cavallo, c’era qualsiasi cosa e si

poteva mangiare a volontà. Abbiamo ad-

dirittura nascosto le bottiglie di liquori e di

vino in mezzo ai cespugli, così l’indomani

saremmo potuti andarle a riprendere.

Fra gli ospiti, a parte il re e tutta la sua fa-

miglia, c’erano l’avvocato Previti, Flavio

Briatore, la famiglia Viale (Bistefani) e tanti

altri che non conoscevo. Noi eravamo in

sette, mentre l’equipaggio di Riccardo Ro-

vida contava cinque persone.

Verso le tre di notte, ormai sul finire della

festa, ho fatto amicizia con Maria, una ra-

gazza portoghese che faceva la cameriera

e indossava una maglietta con la scritta

“Isola di Cavallo”. Le ho chiesto se poteva

regalarmi una maglietta come la sua, ma

aveva solo quella.

Se avessi aspettato a fine della serata me

l’avrebbe regalata, però in cambio avrebbe

voluto la camicia che indossavo. Non po-

Isola di Cavallo

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Verso sera, dopo aver ormeggiato il Camal in uno dei pontili del porto con’aiuto del solito

Mario e aver fatto una doccia per toglierci il sale e il calore, abbiamo deciso di andare a

mangiare una pizza nella vicina pizzeria che faceva anche da ristorante. La scelta era cadu-

ta su quel locale perché Terry, la ragazza del nostro gruppo formato inoltre anche da me,

Bruno, Armando e Fabrizio, essendo celiaca non poteva mangiare farinacei. Per questo ci

aveva condizionato per tutta la settimana e non vedevamo l’ora di sbarcarla.

In pizzeria, dopo aver aspettato un po’, ci siamo finalmente seduti.

Abbiamo dato inizio alle ordinazioni: io una pizza Napoli, mio figlio Bruno una margherita,

dando già disposizione al cameriere di farne fare subito un’altra ( a volte ne mangiava

anche tre), Terry un’ insalatina mista e mezzo litro di naturale accompagnati da una spe-

cie di pane che si portava sempre dietro, mentre Armando e Fabrizio, dopo una lunga e

non attenta lettura del menù, hanno ordinato due porzioni di spaghetti all’aragosta che si

sono rivelati buoni e abbondanti. Vino bianco, birra, qualcuno ha preso il dolce, il caffè e il

mirto rosso offerto dalla casa.

Al momento del conto si sa che quando si mangia in compagnia si divide alla pari, ma la

povera Terry che aveva preso solo un’insalata giustamente non era molto d’accordo, anche

perché gli spaghetti da soli costavano novantamila lire ed erano sembrati cari anche ad

Armando e Fabrizio. Abbiamo deciso di discutere il prezzo e, chiamato il cameriere, abbia-

mo fatto presente che gli spaghetti erano buoni, ma secondo noi un po’cari. Il cameriere

non ha fatto una piega e, preso il nostro conto, ha detto che avrebbe riferito al “boss”, così

ha chiamato il proprietario. Dopo un bel venti minuti il cameriere è ritornato dicendoci che

il prezzo era giusto, perché l’aragosta costava quindicimila lire all’etto ed essendo sei etti

faceva appunto novantamila lire, mentre gli spaghetti erano in omaggio. Parola del boss…

Abbiamo ringraziato e pagato adeguatamente per quello che avevamo mangiato.

Spaghetti all’aragosta

Sarà una combinazione? Chi lo sa.

Proprio lì nella chiesa dove mi sono sposa-

to, qualche anno dopo le mie prime espe-

rienze in barca, per volere del parroco Don

Ferruccio, hanno cambiato la scritta sulla

porta con “Duc in altum” (“Va’ verso l’alto”)

e, al posto del crocifisso, hanno disegnato

una barca a vela.

Di sicuro Don Ferruccio non era un velista

ma vedeva nella vela un senso di libertà,

un modo di vivere senza confini e il desi-

derio di guardare sempre avanti.

Don Ferruccio Butteri, che ora non c’è più,

era molto amato dai suoi parrocchiani

e insegnava filosofia. Quando passo da

Cantalupo non posso fare a meno di dare

un’occhiata a quella barca disegnata lì

nella facciata, mi sembra di vedere il mio

Camal e mi faccio sempre la solita doman-

da… sarà un caso o il destino?

La chiesetta di Cantalupo

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Eravamo ormeggiati dietro il Passo delle

Galere, vicino a Porto Cervo, in Sardegna.

Giornata bellissima, sole, mare calmo e

quel caldo leggermente ventilato.

Eravamo circondati da decine di barche,

tra cui un motoscafone di dodici metri con

a bordo Beppe Grillo e sei o sette ospiti. Si

divertivano ignari del loro destino.

Un paio d’ore dopo infatti ero già in tra-

versata per Ponza con il Camal 2, quando

per radio sul canale VHF16 sento un sos.

Era proprio lui, Grillo, che con i sui ospiti

era andato a finire tra gli scogli. La barca

era affondata e loro sono stati poi tratti in

salvo sia dalla guardia costiera che da altre

imbarcazioni.

L’unica cosa che aveva dato fastidio a Gril-

lo, così aveva detto, era essere andato a fi-

nire sugli scogli dei poveri… naturalmen-

te scherzava, nonostante l’accaduto.

Beppe Grillo

Anche noi del Camal 2 abbiamo avuto la

nostra piccola avventura.

Passata la notte insonne, il giorno dopo

eravamo stanchi e bisognosi di una doccia

ristoratrice. Erano giorni che non ci lavava-

mo. Siamo scesi a terra passando dalla bar-

ca del nostro amico Mazza, maestro non

solo di musica ma anche di vita, per fare

una doccia, visto che nel porto non c’era-

no i bagni e comunque neanche acqua.

Una signora di un negozio ci ha indicato

una parrucchiera che ci avrebbe fatto fare

la doccia a casa sua, naturalmente a paga-

mento. La donna ci ha accolto con un bel

sorriso e, dopo averci fatto pagare due o

tremila lire a testa, ci presenta una doccia

dietro una tenda in fondo ad un corridoio.

Ci ha consigliato di far presto, magari di in-

saponarci e metterci lo shampoo mentre

il primo si lavava, perché l’acqua poteva

finire presto. L’acqua infatti è finita prestis-

simo lasciandoci in costume in fila in quel

corridoio, pieni di shampoo, sapone e sale.

La signora ci ha invitati a tornare più tardi,

quando sarebbe arrivata l’acqua. Natural-

mente non ci ha restituito i soldi.

Noi tutti insaponati, mezzo nudi, siamo

usciti in costume, abbiamo acquistato

quattro pacchi di acqua minerale naturale

e ci siamo sciacquati lì sulla passeggiata

fra lo stupore della gente.

Una piccola avventura a Ponza l’abbiamo

avuta anche noi.

Ponza, the day after

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Siete giunti più o meno a metà libro e sono sicuro che vi state

chiedendo dove sono le avventure che pensavate di trovare,

magari siete rimasti delusi.

Magari vi aspettavate di leggere onde di dieci metri, veleggia-

te estreme, uomini caduti in mare e recuperati in pochi minuti,

insomma quelle avventure da marinai che, passando di bocca

in bocca, si ingrandiscono a dismisura, ma fa comunque pia-

cere crederci.

Invece in vent’anni non mi sono mai capitate avventure di

questo genere, a parte quella volta in cui, navigando per mari

incantati, ad un certo punto mi sono sentito chiamare da

un’infinità di voci femminili. Arrivavano dal fondo del mare e

si diffondevano nell’aria come una musica ammaliante. Era-

no le sirene che, con la loro bellezza e la voce suadente, mi

attiravano fra le loro braccia per condurmi in fondo al mare,

annullando la mia volontà.

Stavo per tuffarmi quando il mio equipaggio, immune da

questo incantesimo, mi ha legato all’albero del Camal e mi ha

messo dei tappi nelle orecchie. Nonostante ciò però continua-

vo a sentire e vedere le sirene, anche se, durante la lotta con i

miei compagni, avevo perso gli occhiali.

Intanto il vento ci aveva spinto lontano e, solo qualche tempo

dopo, la musica dei Gipsy King mi aveva riportato alla realtà.

Potrei continuare la storia, ma… diventerebbe un’ “Odissea”…

Ma quali avventure!!!

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Porto Cervo è talmente bella che a volte

sembra un teatrino di cartone che a fine

stagione si smonta e si mette via per l’an-

no dopo. Pulita, ordinata e molto cara.

A Porto Cervo costa tutto di più ma la gen-

te è contenta, sembra che facciano a gara

per spendere di più e quando tornano a

casa sono fieri di aver pagato un caffè al

banco magari diecimila lire, lo raccontano

con orgoglio, come un’avventura. Perché a

Porto Cervo l’unica avventura che ti possa

capitare è quella di pagare tutto caro op-

pure di incontrare qualche vip, ma questo

non costa niente, è compreso nel prezzo.

Anche noi stavamo per vivere la nostra

bella avventura, ma fortunatamente l’ab-

biamo scampata. Eravamo in sei arrivati

da Palermo in barca, ci siamo seduti al Bar

degli Archi nell’omonima piazzetta per un

aperitivo, abbiamo preso posto intorno ad

un tavolo basso e subito, neanche il tempo

di sedersi, due camerieri in tenuta di lusso

(pantaloni neri, giacca doppiopetto di un

bianco sporco, farfallino, anzi… farfallone)

hanno appoggiato sul tavolo patatine e

noccioline.

Abbiamo cominciato subito a mangiare

ordinando sei Negroni, senza neanche

chiedere il prezzo. Stefano, uno di noi

molto attento a spendere, prima che i

camerieri si allontanassero ha chiesto un

listino prezzi.

Abbiamo sfogliato e il Negroni costava

18 mila lire… allorché, senza un attimo di

esitazione, tutti insieme ci siamo alzati di-

cendo di aver dimenticato i soldi in barca

e ce ne siamo andati, lasciando i camerieri

di stucco e senza patatine.

Al Caffè du Port, alla Marina vecchia, il Ne-

groni costava seimila lire. Il proprietario

ci sapeva anche fare, specialmente con i

barcaioli come noi. Infatti tra qualche bar-

zelletta, focaccine calde e olivette ci siamo

bevuti tre Negroni a testa. La spesa è stata

la stessa, ma abbiamo passato una serata

da veri marinai, parlando di donne mai

avute e di avventure esagerate, trainati

dall’affetto alcool.

Porto Cervo

Salpati dalla Maddalena a bordo del Camal 2, eravamo io,

Orietta, mio figlio Sandro, la sua fidanzata Barbara e il no-

stro cane Slech. Facciamo rotta per Bonifacio passando tra

le isolette di Budelli, Santa Maria e Spargi. Il tempo era stu-

pendo, sole e mare calmo, non c’era vento, ma non si può

avere tutto! Ci siamo fermati a fare un bagno a Budelli nella

spiaggia rosa, oggi parco naturale, ma allora ancora libera.

Subito dopo Spargi abbiamo visto qualcosa sull’acqua che

non si riusciva a capire cosa fosse. Alcuni dicevano che era

un pesce, altri un salvagente o un tronco. Così ho deciso

di avvicinarmi e con stupore abbiamo visto che si trattava

di una bellissima tartaruga, che stranamente non cerca-

va di immergersi, malgrado mi fossi avvicinato a mezzo

metro. A vederla così sembrava morta, infatti nonostante

l’abbaiare di Slech non si muoveva. Sandro è salito sul ten-

der, si è avvicinato e, appena l’ha toccata con la mano, la

tartaruga ha cercato di scappare e addirittura di morderlo,

ma i suoi movimenti erano talmente lenti e goffi che non

provava neanche ad immergersi come fanno di solito.

C’era qualcosa che non andava, ma non capivamo cosa

e così ho deciso di avvertire la guardia costiera tramite il

canale 16 del VHF. Dopo un paio di tentativi mi ha risposto

il CP della Maddalena chiedendomi il nome della barca

(che comunque avevo già comunicato) e la posizione o le

coordinate. Ci hanno pregato di aspettare il loro arrivo e di

tenere d’occhio la tartaruga.

Ho accettato volentieri, il tempo non ci mancava.

I soccorsi sono arrivati dopo quasi due ore, perché aveva-

no imbarcato un veterinario esperto.

Hanno tirato a bordo la tartaruga con una rete e, dopo

averla studiata attentamente, le hanno estratto dalla gola

un filo di nylon con decine di ami attaccati (un palami-

to, quello che lasciano i pescatori come esca). Nel giro di

mezz’oretta hanno rimesso in mare la povera testuggine.

Abbiamo ripreso la nostra rotta un po’ bruciacchiati dal

sole ma contenti. La capitaneria di porto ci ha poi ringrazia-

ti pubblicamente sul CH 16, dicendo che “grazie al Camal 2

era stata salvata una tartaruga rara per le nostre zone” e che

il nostro avrebbe dovuto essere un esempio da seguire.

Un po’ commossi, siamo arrivati a Bonifacio.

Arcipelago della Maddalena

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Slech non ce la faceva più, erano più di

dieci ore che eravamo in navigazione e

doveva fare la pipì. Continuava ad andare

avanti e indietro per il ponte e, non appe-

na mi avvicinavo al pontile, abbaiava e si

sporgeva dalla barca come per saltare a

terra. Ho cercato di fare in fretta, ma i pon-

tili del porto Flavio Gioia di Gaeta erano

tutti strapieni e non riuscivo neanche ad

appoggiarmi.

Un ormeggiatore mi ha gridato che era

tutto pieno, di andare quindi al molo prin-

cipale davanti alla Capitaneria di Porto e

così ho fatto. Mi sono avvicinato al molo e

stavo per ormeggiarmi all’inglese, quando

una guardia marina si è avvicinata e mi ha

detto che era vietato. Ho spiegato che do-

vevo solo far scendere il cane, che intanto

si stava buttando a terra, ma niente.

Dovevo assolutamente spostarmi e co-

munque, se proprio avessi voluto ormeg-

giare lì, avrei dovuto dare l’ancora e fare

un ormeggio tradizionale prua all’anco-

ra e poppa in banchina. Sono arrivato al

porto, ad un mio segnale Orietta ha dato

fondo all’ancora facendo filare la catena

ed ho incominciato la retromarcia con le

cime di ormeggio già pronte da lanciare

a qualcuno.

Slech però si è lanciato sul molo ancora

distante e così, come nei cartoni animati,

è finito in mare dopo aver lasciato i segni

delle unghie sul muro del molo. Orietta,

impegnata ancora a prua, ha cominciato

ad agitarsi chiamando Slech.

La gente che intanto si era ammucchia-

ta sul molo si preoccupava per il cane e

insultava la guardia costiera. Io intanto

ho preso il mezzo marinaio e sono sceso

sulla plancetta di poppa, in un solo colpo

ho agganciato Slech per il collare e l’ho

tirato a bordo fra gli applausi del pub-

blico, ho finito l’ormeggio e finalmente

Slech ha messo le zampe a terra. A dire il

vero solo tre, mentre la quarta la teneva

alzata dando.

Gaeta

Incontrare un delfino in mezzo al mare

mentre si è in navigazione è una di quel-

le cose che rendono felici e mettono al-

legria.

Quella mattina del tre gennaio siamo

entrati con una barca a Kelos, un piccolo

porto spagnolo vicino a Malaga, per fare

gasolio. Mentre ero intento a fare manovra

è spuntato da sotto la barca un grosso del-

fino che, gioioso, si è infilato nel porto con

grande stupore di tutti i presenti.

Sarà rimasto più di mezz’ora nuotando

tra le barche e poi, uscito dal porto, ha

preso il largo.

Delfino in porto

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La Marina di Porto Antico

La Marina di Porto Antico è una delle più esclusive, anzi, la più esclusiva in Italia. Si-

tuata nel cuore di Genova, l’acquario da una parte, il museo dall’altra, Via Prè dietro e

bagnata dal mare davanti.

Alla Marina comandano tutti, ma il vero e incontrastato comandante è lui... Scopri-

rete più avanti di chi si tratta, anche se chi frequenta la Marina sicuramente avrà già

capito… Gabriele, il capo degli ormeggiatori, ha sempre qualcosa da dire, l’ho visto

sorridere solo una volta, cinque anni fa.

In ufficio c’è la signora Anna, molto attiva e in forma smagliante, che comanda l’ im-

piegata che non sa mai niente.

Luciano non sta mai seduto, telefona sempre stando vicino alla ringhiera e guarda le

barche verso la lanterna. Poi c’è un’altro signore, alto, con pochi capelli, non so come

si chiami e cosa comandi.

In direzione, nei piani superiori, ci sono le stesse persone da anni, da lì escono

solo ordini.

Come posso poi dimenticare Armando dell’ “Old Bar”, comanda tutti, anche il suo so-

cio. Ogni tanto mi offre un caffè...

Il bar “La Tortuga” è gestito da un’intera famiglia: padre, madre e tre figli maschi già

grandi. Comandavano tutti e bisticciavano sempre, ora invece uno dei tre ragazzi si è

sposato e comanda la moglie…

Fiorenzo, il re del charter, quando non c’è la sua amata Lilly, comanda anche lui.

Tra tutti questi comandanti, l’unico vero, quello di cui vi parlavo all’inizio, è il capo

della vigilanza notturna, Giulio detto “il Cobra” e forse anche “Rambo”. Sta sempre nel

piazzale, in divisa, anfibi, armato fino ai denti e spara a chi lo contraddice. Tutto ciò

che dice Giulio è legge, non ha mai sparato a nessuno.

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burrasca, “il bello deve ancora venire, cin-

quanta nodi il vento” continua Gaspare

“il mare spumeggia, onde su onde di sette

– otto metri”.

“Ho la bocca bruciata dal sale, mi esce l’ac-

qua dal naso come avessi fatto un’immer-

sione e così per altre sei ore, quando final-

mente arriviamo a Porto Ottiolu”.

Anche lì c’era vento, ma i nostri marinai

erano protetti dalla terra. Porto Ottiolu è

carino. E’ un tipico porto estivo con un re-

cord positivo: sei euro per una notte.

Gaspare, Gianluca e Piero alle cinque del

pomeriggio, dopo un mangiata di spa-

ghetti aglio, olio e peperoncino sapiente-

mente preparati da Tiziana, sono andati a

dormire e si sono svegliati dopo un meri-

tato riposo di tredici ore.

Matilda ha proseguito il suo viaggio per

Arbatrax, Porto Corallo per affrontare l’ul-

timo tratto: Villa Simius.

E’ ancora Gaspare che ci tiene incollati al

suo racconto: “Appena messa la prua fuori

dal Capo Carbonara, fra l’Isola dei Cavoli,

ci si presenta un muro enorme di onde, al-

tissime e incazzate. Comincio una bolina

estenuante con il solo fiocchetto e a volte

un po’ di motore. Il vento si era veramente

scatenato, le onde ad un certo punto erano

diventate oceaniche: quaranta nodi fissi con

punte di cinquanta. Cantavo, urlavo e inci-

tavo Matilda”.

E così, dopo due bordi magistrali, i nostri

sono atterrati in porto dove li aspettava-

no il figlio di Piero e un piatto di spaghetti,

perché, come dice una meravigliosa pub-

blicità, “dove c’è Barilla, c’è casa”.

Una settimana a forza otto

Vi ricordate quei giorni di vento terribile,

avevano sospeso la partita a Cagliari per-

ché volavano i cartelloni pubblicitari e ne-

vicava il sale delle saline?

Bene, mentre in quei giorni ce ne stavamo

rifugiati in casa, i nostri due amici Gaspare

Trevisan e Gianluca Guglielmo erano im-

pegnati in un trasferimento di Matilda, che

dopo le pratiche di vendita, doveva essere

portata nella sua nuova casa, la Sardegna.

“Il tempo non ne voleva sapere” confida Ga-

spare “e quindi il mare era grosso. Si rinvia,

di giorno in giorno, la partenza sino al lune-

dì dopo quando decido di salpare alle ore 20.

Il vento era forte da Nord e quindi in poppa

piena. Usciti dal porto, subito in rotta per la

Corsica. Filavamo a sei o sette nodi con delle

punte di dieci nodi. Spettacolare anche se

faceva veramente freddo”.

Lasciato il porto di Toga (Bastia), Matilda

aveva già la prua su Solenzara a 55mg.

Il vento a maestrale e Gaspare, Gianluca e

Piero, riparati dalla Corsica, veleggiavano

alla grande.

All’una di notte, al traverso di Solenzara,

la media di Matilda è buona, ma verso le

due il vento si rinforza, aumenta sempre

di più portandosi a trenta nodi fissi e così,

verso le quattro del mattino nelle vicinan-

ze delle Bocche di Bonifacio il vento era a

quaranta nodi.

Gaspare: “Vento a 48,3 nodi, onde enormi,

cattive e salate. Matilda orza e orza ancora.

Dobbiamo ammainare la randa e proprio in

quel momento arriva una super raffica a cin-

quanta nodi che ci mette il boma in acqua.

L’onda si scarica nel pozzetto e i garrocci, a

uno ad uno, saltano come birilli. Dobbiamo

ammainare. La randa non ne voleva sape-

re di scendere e allora con tutte le forze e il

mio peso mi aggrappo alla randa e giù. Mi

graffio un po’ le mani, sudo, mi bagno, ma

è fatta. Matilda respira, saltella (sulle onde)

contenta (forse)”.

Il vento insisteva a quaranta nodi fissi e i

nostri amici Gaspare e Gianluca si alterna-

vano alla ruota.

Passate sei ore da quando era iniziata la

Efrem Bovo

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